ARRIGO BOITO LIBRETTISTA Un’Indagine Linguistica Tra Testo Poetico E Testo Musicale
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA MODERNA Corso di Dottorato di Ricerca in STORIA DELLA LINGUA E DELLA LETTERATURA ITALIANA CICLO XXII TESI DI DOTTORATO DI RICERCA ARRIGO BOITO LIBRETTISTA Un’indagine linguistica tra testo poetico e testo musicale L-FIL-LET/12 Edoardo BURONI TUTOR: Chiar.ma Prof.ssa Ilaria BONOMI COORDINATORE DEL DOTTORATO: Chiar.mo Prof. Francesco SPERA Anno Accademico 2008/2009 1. IL PANORAMA CRITICO E LE PREMESSE METODOLOGICHE Figura complessa, quella di Arrigo Boito, perché rappresentativa di un autore che si è cimentato tanto con l’arte delle parole quanto con quella dei suoni. Diversificati, come si vedrà tra poco, i giudizi che i suoi contemporanei e soprattutto i posteri hanno espresso a proposito di tale duplice produzione; ma è assodato che questo autore si è imposto più come poeta e letterato che non come musicista, nonostante i suoi esordi e soprattutto la sua formazione (presso il Con- servatorio di Milano) avrebbero potuto lasciar prevedere diversamente. In realtà, però, già le prime prove scolastiche boitiane degne di attenzione, la ‘cantata patria’ Il quattro giugno e ancor più il ‘mistero’ Le sorelle d’Italia1, scritte in collaborazione con il quasi altrettanto giovane ami- co Franco Faccio, collocavano questo personaggio in uno status ambiguo, o forse sarebbe me- glio dire plurimo e ambivalente: in parte musicista e in tutto poeta. Tale duplice attribuzione resterà appunto un tratto costitutivo della figura di Boito, che se, come detto, si affermerà principalmente in veste di poeta, non smetterà mai di occuparsi per- sonalmente di composizione musicale, sia in qualità di uomo di cultura e di studioso2, sia come direttore per breve tempo del Conservatorio di Parma, sia, soprattutto, perché impegnato fino al- la morte da un lato a seguire in prima persona le rappresentazioni nazionali e internazionali di Mefistofele e dall’altro a stendere e limare senza pace una seconda opera di cui sarebbe stato au- tore sia del testo poetico sia di quello musicale: il postumo e parzialmente incompiuto Nerone. All’interno dell’attività di Boito come poeta spicca forse maggiormente quella di libretti- sta piuttosto che quella di poeta “puro”: in quest’ultimo caso infatti la produzione dell’autore, per quanto significativa e di estrema rilevanza per il contesto socio-culturale in cui vide la luce e per le ricadute che ebbe, non si è contraddistinta per prolificità, limitandosi anzi sostanzialmen- te, nonostante successive rielaborazioni e riedizioni, a due lavori giovanili: Il libro dei versi e Re Orso. Oltretutto di quest’ultimo poemetto è stata rilevata da più critici la similarità morfologica e in parte linguistica con il genere librettistico: ambito in cui appunto Boito si distinse forse più che in ogni altro. Ma questo del melodramma è ancora una volta un genere ibrido, a cavallo tra le due arti praticate dall’autore di cui ci si sta occupando, e per giunta un genere che coinvolge altre discipline e altre arti quali, in prima istanza, la drammaturgia e tutto quanto concorre alla realizzazione scenica di un’opera lirica: tutti aspetti, come si avrà modo di chiarire meglio nel capitolo successivo, di cui Boito aveva piena consapevolezza e rispetto ai quali si poneva in un’ottica estetica complessiva che concedeva autonomia solo parziale a ciascuno di essi. Il che spiega in gran parte perché gli studi e gli studiosi boitiani afferiscano a tutte le di- scipline testé considerate, rendendo alquanto eterogenea e complessa una ricognizione e una ri- costruzione organiche dello stato dell’arte sulla critica a proposito di questo poeta-musicista; a ciò si aggiunga che, essendo comunque un autore certo importante ma non di primissimo piano nel panorama ottocentesco, l’attenzione a lui riservata non è stata costante nel corso dei decenni e in molti casi non è stata esclusiva, nel senso che spesso a una focalizzazione monografica è stata preferita una trattazione inserita in un più ampio quadro critico (di norma a proposito della Scapigliatura). Cionondimeno è parso opportuno tentare di proporre preliminarmente un quadro generale da cui il presente lavoro non può che prendere le mosse; ma appunto per quanto appena specificato non potrà – né vorrà – trattarsi di un regesto completo, quanto piuttosto di una pre- 1 Cfr. Nardi (1942b) pp. 40-73 e, per i testi, Nardi (1942a) pp. 1337-1362; di questi lavori e di altri cui qui si ac- cennerà si parlerà più diffusamente nei prossimi capitoli. 2 Basti ricordare il conferimento nel 1893 della laurea honoris causa in Musica decretato dall’Università di Cambridge: per una descrizione dell’avvenimento, ricostruito anche in chiave aneddotica, si veda Barbiera (1940), oltre a Nardi (1942b) pp. 597-600 che in gran parte si rifà al precedente. 2 sentazione certo dettagliata ma rapsodica dei contributi più significativi o più utili per l’indagine che seguirà. 1.1. LA CRITICA BOITIANA DALL’INIZIO DEL ’900 AD OGGI Già nei primi decenni del secolo scorso, e in parte quindi ancora vivente l’autore, la figu- ra e la produzione di Boito sono state approcciate da differenti punti di vista e hanno prodotto interpretazioni e riflessioni critiche disparate e spesso antitetiche: un tratto che si rivelerà una costante anche successivamente, e certo ascrivibile alla complessità e alla non univoca qualità delle realizzazioni boitiane. Comprensibile che il primo contributo di rilievo sia di carattere monografico e sia stato pubblicato a commento dell’uscita del solo libretto, in forma di tragedia, di Nerone (1901): il volume è opera di Romualdo Giani, significativamente tanto letterato quanto musicologo, e fu poi riedito con alcune aggiunte nel 1924, data della prima rappresentazione postuma del melo- dramma3. Lo studio, come gli riconobbe lo stesso Boito, era ricco di spunti importanti, denotava grande erudizione e un’analiticità non comune: pur non risparmiando alcune critiche al libretto- tragedia, Giani riconosceva all’autore di aver saputo trattare meglio di altri suoi predecessori il complesso mondo e la complessa vicenda dell’imperatore romano, adattando con maestria il soggetto alle esigenze del teatro musicale, trascendendolo; a questo proposito è importante sot- tolineare la dichiarazione secondo cui il Nerone boitiano «non è la concezione d’un verseggiato- re, distesa nelle forme più atte a rivestirsi di note e foggiata secondo le necessità del melodram- ma – non è insomma una composizion letteraria che debba poi tradursi nel linguaggio dei suoni – ma è la creazione d’un artista multanime, sôrta da un’ispirazione complessa, poetica e plastica e musicale a un tempo»4. Vi era dunque consapevolezza che per comprendere, analizzare e interpretare questo la- voro non sarebbe stato sufficiente concentrarsi su uno solo dei suoi elementi costitutivi; non so- lo, ma proprio nei versi di Nerone Giani vedeva per la prima volta realizzato in pieno l’affrancarsi da parte del poeta-musicista dalle convenzioni del codice librettistico. Stupisce al- quanto, però, che lo studioso si dimostrasse tanto soddisfatto di questa poesia che altro «non è se non una parte dell’espressione totale»5 (come si può notare, Giani era un consapevole e dichiara- to sostenitore delle teorie wagneriane nella forma in cui esse erano state recepite nel nostro Pae- se) senza averne prima avuto alcun riscontro concreto: il volume fu infatti pubblicato e riedito prima che l’opera potesse essere ascoltata dal critico; non solo, ma questi contemplava nelle sue pur acute e spesso pertinenti riflessioni anche l’atto quinto della tragedia, che in realtà non trovò mai una realizzazione musicale se non sotto forma di qualche abbozzo. Chi invece colmò per primo questa lacuna e parlò dunque con maggior cognizione di causa fu Vittorio Gui, non per nulla, oltre che studioso, celebre direttore d’orchestra. In contem- poranea con la prima rappresentazione dell’opera, questo musicista ne pubblicò un’analisi inte- ressante: comprensibilmente la componente musicologica era preponderante, ma l’autore, anch’egli consapevole dell’inopportunità di separare tra loro le diverse arti che concorrono a dar forma compiuta a un melodramma e ancor più nel caso di Arrigo Boito, la associò costantemen- 3 Qui si fa appunto riferimento a Giani (19242). 4 Cfr. Giani (19242) p. 55; e più oltre: «Se dunque è vero che la tragedia dev’essere “concepita nel seno della musica”, nessuna opera risponde a questa necessità meglio del Nerone di Arrigo Boito. L’inspirazione, che l’anima, muove – vedemmo – da un mondo interiore, dalle profonde intimità del mistero; e per ciò a punto è tale che, dopo essersi determinata nella parola e atteggiata di visibili apparenze nella plastica della scena, anela ancora alla musica dal cui regno è sorta e nelle cui forme soltanto può trovare la sua espressione compiuta»: cfr. Giani (19242) pp. 81- 82. 5 Cfr. Giani (19242) p. 58. 3 te al suo rapporto con la poesia, la drammaturgia e l’estetica. Non veniva negata l’esistenza di diversi pregi e di diversi momenti eccellentemente riusciti, ma nello studio si metteva in luce come alla bellezza dei versi (ancorché talvolta appesantiti da eccessiva erudizione e di conse- guenza da scarsa efficacia drammaturgica) non corrispondesse sempre una musica altrettanto i- spirata; in sostanza vale come epitome quanto l’autore sottolineò in apertura del suo studio, ov- vero dal suo punto di vista a Boito mancò «il dominio assoluto della materia chiamata a servizio della sua emozione così elevata e profondamente religiosa, mancò quindi alla sua