Premessa La Vecchia, Inguaribile, Un Tempo Quasi Epidemica Passione
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PREMESSA La vecchia, inguaribile, un tempo quasi epidemica passione per il tea- tro d’opera: in sostanza bisognava provarsi a rafforzarla alla grande, o a confermarla vivamente, o addirittura a suscitarla dal nulla o quasi. Allora, rivolgendosi a un pubblico così diverso d’età, di gusti e di abitudini da conoscere a memoria tutta la Traviata (altro che il solo Amami Alfredo) oppure da credere che Verdi sia solo colui che ha messo in musica un certo Va pensiero, questo libro s’è rimboccato le metaforiche maniche, ha allarga- to le sue braccia generose e ha sentenziato, fra sé e sé, come segue. Ha scelto parecchie “voci” di nomi propri di persona, specie di com- positori (alcuni da allungare assai), cantanti e concertatori-direttori d’or- chestra. Ha individuato diverse opere particolari, quelle senza dubbio più valenti e interessanti, da trattare con una certa estensione, che fosse il dia- bolico Don Giovanni o l’erotico Tristano e Isotta. Ha schizzato una sorta di indice di opere (ulteriori), personaggi, arie, cori e quant’altro, da meglio illustrare mediante le voci maggiori. Ha alleggerito il testo con parecchie immagini, sempre benefiche al discorso e spesso curiose di per sé. Infine ha raccolto uno specimen di pezzi d’opera popolari, dicasi pur proverbiali e l’ha proposto come allegato sonoro. Quello che ne è sortito, del famoso e magari famigerato “melodramma” vorrebbe essere un quadro ragionevolmente preciso e comunicativo. Da un lato, infatti, fornisce e tratteggia le notizie, i nomi, le forme, i fenomeni, gli stili, e qua e là indulge anche a certi aspetti un po’ comici, alquanto inve- rosimili, simpaticamente aneddotici del genere. Dall’altra, invece, racconta e magnifica le bellezze artistiche, i grandi sentimenti, i folli entusiasmi, le stupende e recondite armonie che così spesso hanno fatto spuntare furti- ve lacrime sugli occhi nostri, non solo a ridosso della Tosca di Puccini o dell’Elisir d’amore di Donizetti. Tutto per accostare, per ripassare, per ama- re sempre di più, per tenersi o per aprirsi in testa e nel cuore un angolino di sogni e, perché no? di manie e di capricci. Tanto, la benedizione delle Muse è assicurata. Piero Mioli Bologna, novembre 2012 Proprietà esclusiva per tutti i Paesi: EDIZIONI CURCI S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2012 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati 3 LA BOHÈME di Giacomo Puccini (1896) Fu già Toscanini, che nel 1896 al Regio di Torino tenne a battesimo la quarta opera di Puccini, lui che, assai meno convinto di altre partiture dell’amico, avrebbe diretto la Bohème molte volte e mezzo secolo dopo sareb- be giunto a inciderla in disco, lui che del prediletto Verdi non avrebbe lasciato nessun Rigoletto o Trovatore completo. Illica e Giacosa scrissero il bel libretto adattando il dramma in cinque atti (e già romanzo) di Henry Murger saltan- done il quarto: difatti l’opera si svolge come serie in quattro quadri di sem- plici scene liriche, e in una Parigi otto- centesca racconta gli amori ballerini di Mimì (s.) con Rodolfo (t.) e Musetta (s.) con Marcello, accanto ad altri due simpatici bohémiens di nome Schaunard (br.) e Colline (bs.) e ad alcune carica- ture come Benoit (bf.), Alcindoro (bf.) e Parpignol (t.). Per due atti si sorride, e talvolta si ride anche gustosamente, La celebre locandina in stile liberty della Bohème di Puccini. L’opera ma negli altri due il pianto sopravanza andò in scena per la il sorriso, in un’opera che facendo tesoro prima volta nel 1896 al Regio della sensibilità naturalistica dell’ultimo di Torino diretta dall’allora astro nascente dei direttori italiani, Ottocento non ha nessuna intenzione di il ventinovenne Arturo Toscanini insistere sopra alcuni affetti soltanto e di correre a capofitto verso il finale. Nella povera soffitta fa un freddo polare, gli amici hanno una gran fame, si scherza e si balla, c’è un poeta che non riesce a concentrarsi e un pittore che fa o non fa lo stesso, il povero padrone di casa che bussa alla porta viene menato per il naso (e non pagato) per via di una scappatella (con una donnina in carne, visto che la moglie è magrissima). Ma quando Mimì, già bisticciata con Rodolfo, vi ritorna moribonda, la commedia sfuma in Proprietà esclusiva per tutti i Paesi: EDIZIONI CURCI S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano 38 © 2012 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati tragedia e il canto fresco, simpati- co, a più voci vien meno a tornare è anche la monodia, con il duetto «Sono andati?» fra soprano e teno- re, fino alla declamazione pura del tenore che grida il nome di lei sul suono lancinante degli ottoni. Finisce un’opera, ma finisce anche un’idea di mondo e di vita, di sen- timenti e soprattutto di spensiera- tezza d’innocenza. «Che gelida manina», «Sì, mi chiamano Mimì», «O soave fan- ciulla», «Quando men vo», «Donde Giacomo Puccini (1858-1924) compose lieta uscì», «Vecchia zimarra» sono La bohème nell’adorata Torre le scene solistiche dell’opera, belle del Lago, un piccolo paese di fronte al Lago di Massacciucoli, in provincia e giustamente popolari, ma non di Lucca. Libretto di Illica e Giacosa, sono tali a dispetto del resto, per- è ambientata a Parigi intorno al 1830 ché la Bohème è opera di rarissimo equilibrio drammatico, musicale, sonoro. Se il primo, il terzo e il quarto atto chiudono rispettivamente con un duetto, un quartetto e un duetto- sestetto, il secondo è tutto assiemistico, corale, chiassoso, perfino caotico, giusto giusto per la notte della vigilia di Natale nelle strade e fra i locali del quartiere latino. Tanto che si disse, e si può dire ancora, che questa musica di Puccini è il miglior viatico per la conoscenza di quella vecchia Parigi, delle sue atmosfere, delle sue gioie, delle sue fragilità. A proposito, Mimì non muore violentemente, come Fidelia (la fidanzata diE dgar accoltellata dalla mal- vagia Tigrana), Tosca, Butterfly, Giorgetta o Liù, ma naturalmente, e non di stenti (disidratata?) come Manon, bensì ammalata del male del secolo. Che sul terreno dell’opera finisce così, lo stesso anno dell’Andrea Chénier di Giordano, come finiscono tutte le cose di questo mondo, in particolare quelle belle e gentili della gioventù. Principiata nel 1918, la discografia completa della Bohème conta numeri molti e alti, ma il vertice l’ha certo toccato nel 1972, quando per la Decca Proprietà esclusiva per tutti i Paesi: EDIZIONI CURCI S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano © 2012 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati 39 Karajan ha accompagnato Freni, Pavarotti, Harwood, Panerai, Maffeo, Ghiaurov e Sénéchal con i Berliner Philharmoniker. Fra i cinque video disponibili spicca sempre quello scaligero del 1964 (DG), firmato da uno Zeffirelli in vena di naturalistica semplicità. FRANÇOIs-ADRIEN BOÏELDIEU (Rouen, 1775 – Varennes-Jarcy, 1834) Professore di composizione al conservatorio di Parigi, compose 37 opéras-comiques di stile tradizionale, ma con La dame blanche del 1825 contribuì decisamente a traghettare il genere verso il Romanticismo. Tal dama bianca è un innocentissimo fantasma, lo stesso della Donna bianca d’Avenello che Pavesi diede alla Scala cinque anni dopo. ARRIGO BOITO (Padova, 1842 – Milano, 1918) Fu prima battagliero rappresentante della Scapigliatura milanese, con l’ambizioso Mefistofele tratto da Goethe, poi devoto ed efficiente autore dei libretti di Otello e Falstaff per Verdi. Intellettuale, poeta e scrittore, libret- tista per sé e per Ponchielli, Faccio, Catalani e altri, fu musicista forse più dotto che ispirato. Tanto che dopo l’operone del 1868 (malnato alla Scala, rifatto e fortunato a Bologna, terra di Wagner, nel ’75) elaborò un Nerone poi compiuto da altri (postumo nel ’24). RICHARD BONYNGE (Sidney, 1930) Un raro direttore d’orchestra appassionato di belcanto: australiano come la moglie Joan Sutherland, con l’arte di lei e la cultura sua (di lui) ha sortito eccellenti esecuzioni di spartiti rossiniani, belliniani, donizettiani, verdiani, francesi. La Beatrice di Tenda di Bellini e la Lakmé di Delibes per esempi. PAOLO BORDOGNA (Melzo, 1972) Ha studiato con Roberto Coviello, si è perfezionato con la Ricciarelli e la Casoni, ha vinto i premi “Caruso” nel 2000 e “Battistini” nel 2002. Proprietà esclusiva per tutti i Paesi: EDIZIONI CURCI S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano 40 © 2012 by EDIZIONI CURCI S.r.l. – Tutti i diritti sono riservati fra duetti e terzetti e perfino uno stretto, ecco la cavatina di Tom («Love, too frequently betrayed», «Amore, troppo spesso tradito»), la cabaletta di Anna («I go to him», «Andrò da lui», con agilità fino al Do acuto), una pantomima, un ballad-tune, la ninna-nanna o lullaby di Anna («Gently, little boat», «Caro, piccolo battello»), e poi molti ariosi, e un finaletto- vaudeville in 2/4 che termina con una battuta in 5/8. Così aveva voluto Händel la pazzia del suo Orlando. Più neoclassico di così, neanche il Pulcinella che nel 1920 aveva avviato il movimento e il periodo. ENRICO CARUSO (Napoli, 1873 – 1921) Nessuna registrazione di opera intera è giunta a documentare l’arte del teno- re più famoso del mondo, principe del Metropolitan per anni e anni, interpre- te di un repertorio lirico-drammatico di 61 personaggi che escludeva Otello ma non Nemorino e puntava su Verdi (specie Rigoletto) e Puccini (specie Tosca) ma anche su Halévy, Meyerbeer, Boito, Mascagni, Leoncavallo. Con voce bronzea e fonazione perfetta creò la Fedora di Giordano, l’Adriana Lecouvreur di Cilea, la Fanciulla del Re del Metropolitan per molti anni, West di Puccini. Molte, per fortuna, le Enrico Caruso (1873-1921), napoletano, antologie discografiche.