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ISTITUTO STORICO LUCCHESE SEZIONE “VERSILIA STORICA” STUDI VERSILIESI Numero XVI (2008-2009) Anno di fondazione 1983 STUDI VERSILIESI Numero XVI (2008-09) DIREZIONE Luigi Santini COMITATO DI REDAZIONE Manuela Coppedè, Elisa Gabrielli, Giulio Galleni, Donatella Graziani, Sergio Mancini, Melania Spampinato, Barbara Vezzoni, Giuseppe Vezzoni, Simone Vezzoni SEGRETERIA Giulio Galleni *** Periodico annuale edito a cura della Sezione “Versilia Storica” dell’Istituto Storico Lucchese Autorizzazione del Tribunale di Lucca n. 375/84 – 17 febbraio 1984 Sede Legale Palazzo Comunale di Stazzema Redazione e Corrispondenza Casella Postale 17 Ufficio Postale di 55047 Seravezza (Lucca) Posta elettronica [email protected] ***** DIRETTORE RESPONSABILE: Antonio Romiti - Presidente dell’Istituto Storico Lucchese È consentita la riproduzione anche parziale dei testi e delle immagini purché la citazione della fonte sia correttamente seguita ISTITUTO STORICO LUCCHESE SEZIONE “VERSILIA STORICA” STUDI VERSILIESI Numero XVI (2008-2009) ANTONIO BARTELLETTI, MANUELA COPPEDÈ, ELISA GABRIELLI, DONATELLA GRAZIANI, EMANUELE GUAZZI, SERGIO MANCINI, GIUSEPPE VEZZONI, SIMONE VEZZONI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE IN ALTA VERSILIA Il sito archeominerario e gli stabilimenti industriali di Calcaferro Badia di Cantignano - Lucca Tipografia San Marco Nei vari contributi del presente lavoro, le eventuali citazioni bibliografiche tra parentesi hanno la referenza integrale in Bibliografia alle pagg. 151-159. Studi Versiliesi, XVI (2008-2009), 9-10 ANTONIO BARTELLETTI Prefazione Canale della Radice – da Farnocchia a Calcaferro, per scorrere poi verso Campo Carbonaio, fino al torrente Vezza e al fiume Versilia – porta nel nome, chiaro e indelebile, il segno della storia del medesimo luogo. “Radice” è da intendersi qui nel senso di “origine” e pure di “matrice” di una Terra insediata nel profondo di un’umida vallata, il cui primo aggregarsi trova ragione nella fortunata e contemporanea disponibilità della forza idraulica di acque correnti, del carbone ottenuto dalla legna dei boschi e soprattutto dei minerali utili che giacciono in rocce affioranti. Nasce così, per l’incrociarsi di condizioni naturali favorevoli, la storia mineraria, siderurgica e dunque economica dell’entroterra versiliese. Nasce in tempi lontani, in piena età medievale, quando fiumi, boschi e miniere di Stazzema sono feudo indiscusso e fonte di ricchezza sperata per i Nobili da Corvaia e da Vallecchia. Non solo l’argento estratto a fatica, ma anche il ferro ordinario, da vendere entrambi a caro prezzo sulle piazze di Lucca, Pisa e Genova e quindi da difendere, quali uniche e preziose risorse, con casseri e torri nel triangolo fortificato tra Gallena, S. Anna e Farnocchia. Pure nei nomi di Calcaferro e di Campo Carbonaio – riuniti poi sotto quello di Mulina – rimane la memoria di un’attività pre- e paleoindustriale che, in modo intermittente, ha marcato ottocento e più anni di storia, fino alla definitiva eclissi del secondo Novecento. Malgrado lo scorrere del tempo, gli impianti, gli strumenti e le tecniche di lavorazione sono mutati appena dal loro primo apparire. Tra miniere e ferriere, gli uomini della valle di Stazzema hanno spesso ripercorso gli stessi passi, vissuto più volte le medesi- me azioni ed emozioni, in un duro e aspro vivere quotidiano che ha attraver- sato i secoli. Al vertice della filiera si è sempre posto il minatore e la sua 9 affannosa ricerca della vena ferralis propizia, per seguirne in profondità il corso nervoso e volubile, potendo talvolta scartare la scarsa qualità della vena silvestris. Venivano a ruota i fabrichieri della Vicaria, intenti nei loro opifici caliginosi, dove si fondeva il minerale estratto col fuoco del carbone da legna e lo si batteva sotto il ritmo infernale di un maglio spinto dalle acque del fiume. Più che nei documenti d’archivio, la storia di miniere e di opifici del Canale della Radice è scritta nei reperti di cultura materiale, che ancora sopravvivono a stento lungo la sua sinistra idrografica, a risalire fino alla sor- gente delle Molinette ed oltre. L’archeologia industriale offre qui la migliore testimonianza possibile di un’impresa difficile, tormentata, al limite o forse già sotto la soglia della sostenibilità economica. Eppure, qualche periodo di congiuntura favorevole si è manifestato, a dispetto della scarsa risorsa disponibile, non senza qualche aiuto esterno o il beneficio trovato di innovazioni produttive. Ne è un esempio il ferro “bono”, da ridurre in verghe e quadroni, che già nel Trecento veniva qui condotto grezzo dall’Isola d’Elba attraverso il porto di Motrone e Pietrasanta. Inoltre, è il caso della riconversione industriale, a noi più vicina, che ha visto vecchie ferriere trasformarsi in stabilimenti moderni per la produzione di polvere da sparo. In altri casi è stata l’evoluzione naturale dell’attività estrattiva a garantire un diverso sbocco lavorativo e un’altra occasione possibile di sussistenza per bocche e fuochi, nel rispetto assoluto della tradizione mineraria del luogo. Il tardo Medioevo ha qui prodotto l’arte dei piastricci e l’ha diffusa anche al di fuori dell’entroterra versiliese. Umili artefici di Stazzema – forse ex minatori, di sicuro scalpellini – hanno acquisito l’abilità unica di ricavare piastre sem- pre più sottili per la copertura dei tetti, spesso dalle medesime rocce scistose che recano le vene del ferro. Proprio a Campo Carbonaio, nel 1474, operava ancora il fabrichiere del ferro, Gabriele di Vianuccio, della stessa famiglia di Lorenzo di Stagio e del figlio Stagio (di Lorenzo) Stagi, passati poi con suc- cesso, non solo locale, all’attività parallela e via via più nobile di scalpellini e scultori. 10 Studi Versiliesi, XVI (2008-2009), 11-14 EMANUELE GUAZZI Il Canale della Radice, il paesaggio vegetale Come è noto le Alpi Apuane sono caratterizzate da un’elevatissima biodi- versità vegetale; in quest’area infatti si può ritrovare quasi il 50% del totale delle specie vegetali della flora italiana; il motivo di questa ricchezza floristi- ca è dovuta alle peculiari caratteristiche geomorfologiche del comprensorio che, unitamente alle caratteristiche climatiche, danno origine in una superfi- cie totale relativamente piccola ad una grande diversità di ambienti disponi- bili per la vita delle piante. L’area di nostro interesse, che coincide sostanzialmente con il bacino del Canale della Radice, è esemplificativo di questa caratteristica dell’area apua- na, e cioè del concentrarsi in una piccola porzione di territorio di una grande diversità biologica, che si esplica anche nella frequente presenza di specie di rilevante interesse fitogeografico, come le specie endemiche, esclusive dell’a- rea apuana, e relitte, ossia testimoni oggi di variazioni climatiche del passato. Il Canale della Radice è situato nelle settore meridionale del comprenso- rio Apuano, e scorre in direzione SSW-NNE in una stretta valle compresa fra il Monte Lieto a ovest, il Monte Gevoli e il Monte Gabberi a SE, il Fosso di Pomezzana ad E ed il Monte di Stazzema a NE. Tutta l’area mostra elevata piovosità, con precipitazioni medie annue superiori ai 2500 mm. e con un tasso di umidità che si mantiene su valori molto elevati per tutto il corso dell’anno. Il substrato è caratterizzato essenzialmente dalle formazioni dell’Autoctono (Pseudomacigno), e del Parautoctono (Pseudomacigno, Brecce tettoniche poli- geniche, Verrucano s.l.); solo nella parte più elevata della valle compare l’Unità Toscana non metamorfica, con calcari e marne a Rhaetavicula contorta. Il suolo è dunque prevalentemente acido, se si fa eccezione della parte più alta dell’area. 11 Il paesaggio vegetale rispecchia essenzialmente le caratteristiche del suolo ed è dominato quasi ovunque dalla presenza dei castagneti, che vengono sostituiti più in alto da boschi misti con carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.) e acero opalo (Acer opalus L.). In superfici limitate compaiono anche poche aree coltivate, formazioni arbustive – essenzialmente ex coltivi nuova- mente colonizzati dalle specie spontanee – e vegetazione rupicola, limitata alle rupi calcaree delle pendici del Monte Lieto. I castagneti rappresentano la cenosi forestale di gran lunga più diffusa nel bacino del Canale della Radice, così come succede in larga parte del territorio apuano, dove il castagno (Castanea sativa L.) può essere considerato, almeno in parte, pianta autoctona (Ferrarini e Marchetti, 1994), in un primo momento presente come elemento del bosco misto originario, e poi coltivato ad opera dell’uomo; così, i castagneti sono da considerarsi formazioni di sosti- tuzione degli originari boschi misti mesofili, diffusi dall’uomo a partire dall’VIII secolo (Lombardi et alii, 2000). Nella valle di nostro interesse il castagno è presente dai 200 m, presenza consentita dalle particolari condizioni microclimatiche che si realizzano in queste valli strette e profonde, particolarmente fresche ed umide, fino ad una quota di circa 900 m, in corrispondenza del margine sud-occidentale del bacino. Nel sottobosco del castagneto si possono spesso ritrovare anche l’agrifo- glio (Ilex aquifolium L.), ed altre specie vegetali caratteristiche quali Potentilla erecta (L.) Rauschel, Molinia coerulea (L.) Moench, Solidago virgaurea L. subsp. virgaurea, Phyteuma scorzonerifolium Vill. e Genista pilosa L. Anche nella Valle della Radice, analogamente a quanto accade spesso nei castagneti apuani, il bosco di castagno, non più mantenuto con regolarità, si presenta spesso fortemente aggredito da specie infestanti, prima fra tutte l’e- dera (Hedera