Don Bosco: Storia Di Un Prete
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DON BOSCO: STORIA DI UN PRETE 1. Se non viene papa Il giovane massaro dei Biglione Il primo ricordo di Giovanni Bosco è una giornata nera. Essa si aprì all'improvviso nella sua vita quando aveva solo due anni. Una giornata incorniciata di facce tristi e rigata dalle lacrime di sua madre. La ricorda così nelle sue Memorie: «Tutti uscivano dalla camera dove mio papà era mancato, ma io non volevo seguirli. Mia mamma mi diceva: - Vieni, Giovanni, vieni con me. - Se non viene papà, non vengo - risposi. - Povero figlio, non hai più papà. Così dicendo mia mamma scoppiò a piangere, mi prese per mano e mi portò fuori» (Memorie, 12). Suo papà, Francesco Bosco, era stato per 12 anni il giovane massaro dei signori Biglione, nella loro cascina dei Becchi. Aveva cominciato a 21 anni, prendendo il posto del fratello maggiore Paolo, che se n'era andato a lavorare in altre terre di Castelnuovo. Francesco abitava nella casa rustica, coltivava le vigne e i campi, «faceva andare» i prati, allevava e usava per i lavori agricoli le bestie della stalla. Alla scadenza di ogni annata consegnava ai Biglione (che abitavano a Chieri e a Torino) una quota fissa sul raccolto, corrispondente più o meno ai due terzi. Nel 1817, testimonia un documento, avrebbe consegnato ai padroni, oltre al prodotto della vigna, «otto tese di fieno, otto sacchi e tre emine di frumento, quattro sacchi di barbariato» (CAS 100). Una tesa era un ballotto di fieno lungo m 1,714, un'emma corrispondeva a 23 litri, il barbariato era una mescolanza di frumento e di segala che crescevano nello stesso campo, un sacco andava sui cento chili. A 21 anni, appena diventato massaro, Francesco aveva sposato Margherita Cagliero, sua coetanea. Essa gli aveva dato il primo figlio, Antonio, e la prima figlia, Teresa. Ma da questo secondo parto, Margherita non si era più ripresa. Nello spazio di un solo anno, mamma e figlioletta se ne erano andate a Dio. Francesco si era risposato. Aveva condotto all'altare la più brava ragazza di Serra di Capriglio, Margherita Occhiena, di 4 anni più giovane di lui. «Una crotta e stalla» Mentre Margherita gli dava altri due figli, Giovanni e Giuseppe, egli raddoppiava il suo lavoro. Non voleva passare tutta la vita a lavorare sulla terra degli altri. Con i risparmi comprò un po' di campo e un po' di vigna, per un totale di 1900 metri quadri. Comprò anche, facendo un debito, «una crotta e stalla accanto, coperta a coppi in cattivo stato» (CAS 97). Usò questa casupola come stalla e vi collocò alcuni animali agricoli, comprati pure questi a credito. I debiti non lo spaventavano. Era sicuro di saldarli presto con il suo lavoro. Era un contadino allegro e gagliardo. Tornava al tramonto dai campi, riportava i buoi nella stalla, si tergeva il sudore, poi prendeva in braccio i suoi bambini. Ma la salute, in quel tempo e su quelle colline, era precaria. Era appena arrivata una malattia nuova che spaventava la gente: la pellagra. Colpiva chi si nutriva quasi solo di granturco. La primavera del 1817 portò il tifo petecchiale, che devastò paesi e cittadine intorno a Torino. Francesco Bosco, nel fiore degli anni, fu invece colpito da una malattia antica, la polmonite. Una sera di maggio di quel 1817, tornato dal lavoro molto sudato, dovette scendere nella cantina fredda. Tornò su che tremava e batteva i denti per la febbre. Il freddo umido gli aveva gelato il sudore addosso. 2 Fu chiamato il medico, lo speziale di Castelnuovo inviò medicine. Ma non ci fu più niente da fare. Venne il parroco. Lo confessò e gli diede la Comunione come viatico, poi l'Unzione degli infermi. Nell'ultima giornata Francesco parlò con solida fede cristiana alla sua sposa: - E’ la volontà di Dio, Margherita. Dobbiamo rassegnarci... Abbi fiducia nel Signore... Ti raccomando i figli, specialmente Giovanni, così piccolo... (MB 1 ,34s). Nel testamento, dettato al notaio e firmato con la croce degli analfabeti, Francesco nominò tutori dei suoi figli la moglie Margherita e il cugino Giovanni Zucca, e chiese la celebrazione di quaranta sante Messe per la pace dell'anima sua. Prima che la mamma lo portasse via a forza da quella stanza, Giovannino fissava la faccia pallida di papà. Gli sembrava tutto una cosa strana. Gli sembrava che adesso papà doveva smetterla di stare sul letto. Doveva alzarsi, tornare a ridere e a prenderlo in braccio. Tutto come prima, insomma. Ma la mamma gli disse: «Non hai più papà». «Quelle parole mi si fissarono nella mente - dirà tante volte don Bosco -. Non le ho mai dimenticate». 2. Un'estate senza sole «Sei nato nel giorno della Madonna» Sua mamma gli aveva detto tante volte: «Tu sei nato nel giorno della Madonna», e don Bosco ripeté per tutta la sua vita che era nato il 15 agosto 1815, festa dell'Assunta. Non andò mai a consultare il registro parrocchiale dove è scritto che nacque il 16 ago-sto. Un errore della madre? Una distrazione del parroco? Probabilmente né l'uno né l'altra. A quei tempi i parroci esigevano dai loro cristiani che portassero i neonati al battesimo nelle prime ventiquattr'ore. Molti papà, per non rischiare la vita del bimbo, glielo portavano qualche giorno dopo, e per non provocare la sfuriata del parroco posticipavano il giorno della nascita. Così capitò a Giuseppe Verdi, contemporaneo di don Bosco, e a tanti altri. E i figli credevano più alle madri che ai registri. Del resto, giorno più giorno meno, la data di nascita non era molto importante per i contadini. Importante era sopravvivere al primo anno che si portava via il venticinque per cento dei bambini, e ai quattro anni che seguivano, che si portavano via un altro venti per cento. Mamma Margherita aveva ventinove anni quando suo marito morì. Una donna molto giovane con un grosso peso da portare. Doveva allevare e educare tre bambini: Giovanni (2 anni), Giuseppe (4 anni), Antonio (9 anni). Antonio, dopo la morte della mamma (avvenuta quando aveva tre anni) aveva assistito impietrito anche alla morte del papà. Questi due avvenimenti lo sconvolsero profondamente. Lo trasformarono in un ragazzo irritabile e scontroso, che cominciò a rendere difficile la vita di quelli che gli vivevano accanto. In famiglia c'era anche la nonna, Margherita Zucca. Era la mamma di Francesco, aveva 65 anni ed era travagliata da vari acciacchi. Da maggio a novembre Margherita (facendosi aiutare da due lavoranti) riuscì a portare a termine la stagione e a salvare i magri raccolti. Dall'11 novembre 1817 il rapporto di mezzadria tra i Biglione e la famiglia Bosco cessò. La famiglia si sistemò alla meglio nella casupola comprata dal papà ad uso stalla. Gli zii diedero una mano ad adattarla, ma quella «crotta» (= cantina) rimase la casetta più povera di tutta la località dei Becchi. Un vulcano lontanissimo Quello stesso anno che aveva portato la morte del babbo, portò miseria e fame. Dopo una stagione in cui pioveva sempre, venne un'estate senza sole. I raccolti furono scarsissimi. Fu la carestia. Carestia è parola un po' vaga. Diventa più concreta quando sulle statistiche agrarie del 3 tempo leggiamo che nei tempi di ottima stagione un chicco di grano seminato rendeva da 4 a 6 chicchi. Negli anni di carestia, un chicco seminato ne rendeva al massimo due. Sui documenti, Torino nel 1817 è descritta come una città invasa da file di gente miserabile che ha abbandonato la terra ed è venuta ad accamparsi davanti alle chiese e ai palazzi dei signori. La causa di quella terribile carestia l'avrebbero scoperta tanti anni dopo gli scienziati. Un lontanissimo vulcano dell'Indonesia, il Tambòra, aveva scagliato nell'aria la più grande eruzione mai avvenuta negli ultimi duemila anni: ottanta chilometri cubi di fuliggine. I venti avevano portato lentamente le immense nubi nere su tutto il mondo. Quegli anni furono chiamati «anni senza estate». Nella Lombardia, per lo scarso fogliame dei gelsi, crollò la coltura dei bachi da seta, magro sostentamento di tante famiglie contadine. Il governatore di Genova scriveva al re: «La fame va distruggendo le intiere famiglie» (PINTO, 243). Anche nella casetta dei Becchi ci fu fame e paura. «Un giorno - racconterà don Bosco - non avevamo mangiato quasi niente. Mia madre provò a bussare alle case vicine per avere in prestito qualcosa, ma nessuno fu in grado di aiutarci». Allora la mamma, con l'aiuto di un vicino, uccise il vitellino che allevavano nella stalla (e a cui i bambini erano affezionati), fece cuocere un po' di carne «e ci diede da cena. Eravamo affamati fino allo sfinimento. Nei giorni che seguirono riuscì a far arrivare del grano da paesi lontani, a carissimo prezzo» (Memorie, 13). (Questa fu la «versione» contata da mamma Margherita ai figli. La verità era un po' più squallida: il grano non fu fatto arrivare da paesi lontani, ma comprato da un prete vicino, don Vittorio Amedei. Lo vendette a quella vedova a un prezzo da mezzo strozzino: quattro emine a lire 9,17 l'una, mentre il prezzo ufficiale sul mercato di Torino era di lire 7,43) (CAS, 103). «In quella durissima annata - continua don Bosco - mia madre soffrì e faticò moltissimo. Solo con un lavoro instancabile, un risparmio spinto fino al centesimo, riuscimmo a superare la crisi» (Memorie, 13). Soltanto un anno dopo mamma Margherita fu in grado di saldare il conto con lo speziale Gianella di Castelnuovo «per medicinali spediti al fu suo marito». Gli versò lire 6,15 (dieci camicie da uomo costavano 6 lire). E solo a rate, negli anni seguenti, poté saldare il conto con il notaio Montalenti che era salito ai Becchi per il testamento e l'inventano dei beni di Francesco Bosco: lire 32 (CAS, 104).