El Greco E Giovanni De’ Vecchi
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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN Arti Visive, Performative, Mediali Ciclo XXIX Settore Concorsuale di afferenza: 10/B1 - STORIA DELL’ARTE Settore Scientifico disciplinare: L-ART/02 - STORIA DELL'ARTE MODERNA Roma 1572: la “fiammata mistica” di Anthonie Blocklandt, El Greco e Giovanni de’ Vecchi Presentata da: dott. Guido Checchi Coordinatore Dottorato Relatore prof. Daniele Benati prof.ssa. Angela Ghirardi Esame finale anno 2017 1 Indice Premessa ………………………………………...………………………….…….p. 3 Capitolo primo La “fiammata mistica” di Federico Zeri: le origini e la fortuna critica di un’idea 1-Pittura e Controriforma 1957………………………………..………….…..….p .5 2-Anthonie Blocklandt, El Greco, Giovanni de’Vecchi e la “fiammata mistica”…………………………………………………………......………….….p. 8 3-La risposta degli studi………………………………………………..………p. 14 Capitolo secondo Roma circa 1572: un viaggio nella pittura 1-Gli eventi della storia………………………………………………...……….p. 29 2-I tre artisti della “fiammata mistica” e i dipinti 1570-1575……...………....p. 44 3-Tra Caprarola e il Gonfalone……………………………………...………..p. 210 Capitolo terzo La “fiammata mistica” sessant’anni dopo 1-Andando a ritroso: l’importanza di Francesco Salviati e Andrea Schiavone…………………………………………………………………….….p. 241 2- La “fiammata mistica” allargata……………………………………….…..p. 247 3-Il significato della “fiammata mistica” allo stato attuale degli studi….…..p. 259 Bibliografia………………………………...…………………………………....p. 266 2 Premessa Le monografie con i cataloghi ragionati degli artisti sarebbero ormai un prodotto editoriale un po’ retrò, superato dai nuovi orientamenti metologici della ricerca storica artistica, sempre più orientati verso un approccio allargato e insieme stratificato, sostanzialmente incompatibile con i limiti di visuale imposti dall’analisi di una singola vicenda Il passo di Frangi1 si adatta bene alla ricerca della mia tesi di dottorato che ha svolto uno studio non monografico (nel senso di non legato ad un solo artista) ma incentrato su un aggrovigliato nodo di tre pittori, Anthonie Blocklandt, El Greco, Giovanni de’ Vecchi, che a Roma, intorno al 1572, probabilmente si incontrarono e avviarono un dialogo artistico. Si tratta di un episodio particolarmente significativo del rapporto fra arte e fede all’indomani della chiusura del Concilio di Trento e del difficile ristrutturarsi della Chiesa e della società cattolica. Dell’incontro tra i tre artisti e dell’accensione spiritualistica della loro pittura avvertiva, fin dal 1957, Federico Zeri definendo questo momento con l’efficace espressione di “fiammata mistica”. Sono arrivato alla scelta di questo argomento seguendo la direzione della mia tesi di Laurea Magistrale intitolata L’iconoclastia raccontata per immagini nell’Europa del Cinquecento (Università di Bologna, 2001, relatore prof.ssa, Angela Ghirardi) dove indagavo il complesso rapporto fra arte e fede in epoca moderna attraverso le immagini (dipinti, disegni e stampe) che rappresentano scene di iconoclastia con assalti dei protestanti e dei calvinisti alle chiese, con la furia degli onocefali alle porte delle collezioni d’arte. Nella tesi di dottorato ho voluto approfondire il tema dell’arte sacra sull’altro versante confessionale, quello della Chiesa Cattolica, a Roma cuore della cristianità. La partenza è stata da Federico Zeri, dal suo celebre saggio Pittura e Controriforma, l’arte “senza tempo” di Scipione da Gaeta, del 1957, che ha innervato la ricerca, il cui scopo primario era quello di verificare la ricezione della “fiammata mistica” negli studi e il suo significato oggi. Dopo un primo tentativo di radicare, con i documenti d’archivio -cercati ma senza esiti significativi-, il probabile incontro fra i tre artisti della “fiammata mistica”, la tesi si è svolta soprattutto attraverso la ricerca bibliografica, molto impegnativa per la grande quantità degli studi sull’arte a Roma nell’età postridentina e per la scarsità di 1 Frangi 1999, p. 14. 3 punti fermi ai quali ancorare l’attività dei tre pittori intorno al 1572. Si è cercato di attraversare questo complesso patrimonio di studi instaurando dei collegamenti nuovi che potessero avvicinare gli artisti, mettere a fuoco la trama delle committenze, approfondire il referto delle fonti. Artisti singolarmente studiati in proporzioni molto diverse l’uno dall’altro: poco Blocklandt, anche negli studi nederlandesi (Jost, Kloek), molto El Greco ma con proposte fin troppo differenziate e spesso solo ipotetiche (Marìas, Puppi, Álvarez Lopera…), Giovanni de’Vecchi più accessibile perché studiato soprattutto in Italia (Roli, Pinelli, Tosini). L’età della “fiammata mistica” è quella del lungo e fervido papato del bolognese Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni e del “gran cardinale” Alessandro Farnese, promotore dei due cantieri, Caprarola e il Gonfalone, tra i quali si ambienta l’attività romana dei tre artisti. Considerando la vitalità artistica dell’aetas gregoriana e l’importanza della corte farnesiana nel Cinquecento, si comprende come l’intreccio della “fiammata mistica” sia rilevante ed esprima, nell’ottica dell’arte sacra e nel contesto di eventi storici di forte impatto, un respiro europeo. Infine le conclusioni raggiunte dalla mia tesi sono in sintonia con quell’ “approccio allargato e insieme stratificato”, auspicato nel passo in esergo, che ha orientato questo lavoro. 4 Capitolo primo La “fiammata mistica” di Federico Zeri: le origini e la fortuna critica di un’idea 1-Pittura e Controriforma 1957 Quando Federico Zeri scrisse nel 1952 Pittura e Controriforma, l’arte “senza tempo” di Scipione da Gaeta, il tema dell’arte sacra nel periodo della Controriforma non era stato ancora considerato a dovere. Con la pubblicazione del 1957,2 Zeri si pose come uno dei primi in Italia ad addentrarsi nel tema. Partendo dall’emblematico esempio di uno dei pittori di quel tempo, quale è Scipione Pulzone, attraversando il secolo XVI della pittura italiana e trattando numerosi altri artisti, Zeri mise in luce alcuni aspetti del tema fino ad allora trascurati. In Pittura e Controriforma l’autore, come scrive nella sua premessa,3 non vuole essere esaustivo né pretendere di riassumere nei particolari il complesso rapporto fra arti figurative e Controriforma ma ne discute alcuni aspetti e componenti utili alla ricostruzione del periodo, in cui poi si sviluppò la personalità artistica di Pulzone; per poter dare un rapidissimo colpo d’occhio alla situazione della pittura a Roma precedente a Pulzone, intesa come il naturale antefatto a quella della seconda metà del XVI secolo. Nell’affrontare l’argomento, vengono esposte molte idee e riflessioni innovative. Fra queste vi è la negazione di una svolta della pittura religiosa dopo il Concilio di Trento, come se si fosse trattato di una netta e repentina cesura fra due periodi, e che, è, invece, una sorta di tendenza nella pittura sacra al rigetto di formule troppo elaborate e al ritorno ad uno stile semplificato e arcaico come si era già registrata nei decenni precedenti alla regolamentazione ufficiale data dal decreto sul culto delle immagini del dicembre 1563, nell’opera di Sebastiano del Piombo, per esempio. Questo clima sarebbe poi andato ad influenzare alcuni artisti del manierismo, come Marcello Venusti, Francesco Salviati, Marco Pino da Siena, il maestro di Pulzone, Girolamo Siciolante da Sermoneta, Iacopino del Conte,4 sul quale Zeri si era laureato con Pietro Toesca. Per questo si può affermare che il ritorno a formule arcaiche e più semplici, caratterizzate da una sofferta tensione spirituale, era già iniziato prima dell’applicazione concreta del decreto tridentino sulle immagini sacre, connotate da quella disciplina e quel rigore che si palesarono più apertamente nella seconda metà del Cinquecento. 2 Federico Zeri, Pittura e Controriforma, L’ arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Torino, Einaudi, 1979, ed. or. 1957 3 Zeri 1979, p. 13. 4 Idem, pp. 29-45. 5 Il decreto tridentino sulle immagini sacre provò quindi a dare una direzione alle varie tendenze, che potevano pericolosamente convogliare in eresia, e, al di là della situazione politica in cui venne elaborato, fu un tentativo di risposta alle critiche dei riformati. Secondo Zeri è stato dopo l’emissione del decreto, e dopo l’ambiguità e gli iniziali tentativi di sincretismo, che si provò a dare una precisa codifica delle regole a cui gli artisti dovevano attenersi, riconoscendogli, a seconda dei casi, un certo grado di autonomia propria del linguaggio artistico. Emblematico, in questo senso, è il trattato di Andrea Gilio, ecclesiastico di Fabriano, Due Dialoghi… degli errori de pittori stampato nel 1564, che per Zeri è il primo tentativo di indirizzare l’attività dei pittori moderni. Questi ultimi, a detta del prelato, peccavano perché dipingevano le figure sacre nude e contorte, mentre i pittori antichi le dipingevano goffe ma castigate e adatte per suscitare devozione; perciò Gilio auspicò che l’uno supplisse alle carenze dell’altro con una regolata mescolanza per immagini sacre consone alla preghiera. Zeri cita i passi di Gilio dove si dimostra conservatore nell’iconografia sacra e auspica un ritorno ai pittori antichi: che furono avanti di Michelangelo, più alla verità e a la devotione” anche se “non potevano fare le loro opere se non goffe. Così Gilio continuò, scrivendo che: se quelli (cioè gli antichi) erravano nel poco, e questi (cioè i moderni) errano nel molto: però sarebbe bene di quel poco, e di questo molto fare regolata mescolanza, e cavare un mezzo che supplisse al difetto degli uni, e degli altri; acciò che le opere