Costumanze, Vita E Pregiudizi Del Popolo Potentino Per Raffaele Riviello

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Costumanze, Vita E Pregiudizi Del Popolo Potentino Per Raffaele Riviello RICORDI E NOTE su COSTUMANZE, VITA E PREGIUDIZII DEL POPOLO POTENTINO PER Raffaele Riviello POTENZA TIPOGRAFIA EDITRICE Garramone e Marchesiello 1893. Finito di stampare in Potenza il 18 Marzo 1894 a spese degli Editori Garramone e Marchesiello _______________________________ Ristampa eseguita a cura della Biblioteca Provinciale di Potenza. Tip. BMG Matera / 1979 _______________________________ ebook realizzato da Luigi Catalani Biblioteca Provinciale di Potenza / 2014 Ai miei concittadini dedico questo mio lavoro, affinchè dai ricordi e dallo studio della vita, del dialetto e delle costumanze antiche, sorga la vera idea di patria, e più vivo l’amore e più saldo il vincolo che stringer deve in uno tutti i figli del luogo natio. Raffaele Riviello Proporre la ristampa anastatica dell’opera di Raffaele Riviello «Ricordi e note su costumanze vita e pregiudizi del popolo potentino» significa, per la Biblioteca Provinciale di Potenza che l’ha sollecitata e voluta, venire incontro alle istanze di quanti, e sono molti, si interessano di studi regionali e locali e, nello stesso tempo, mediare una rilettura attenta delle articolazioni della vita, dell’ambiente, dei modi di essere e di porsi del cittadino, nelle sue origini e nelle sue manifestazioni, nella filologia, anche euristica, espressa attraverso partecipazioni emblematiche e rappresentative. Significa, anche, voler offrire, alla doverosa considerazione della Città e della Provincia di Potenza, la testimonianza analitica dei temi e dei tempi di una storicità maturata attraverso la genuinità e la semplicità delle intuizioni e dei comportamenti che sono diventati momenti di vita vissuta e identità di una originalità che ha trovato, in se stessa, i segni ed i significati della sua essenza e le tracce indelebili della sua origine. L’opera si inserisce nella sintesi del rapporto intessuto tra l’uomo ed i suoi contesti sociali da cui emergono le articolazioni della vitalità dello spirito, dei modi di vita e degli aspetti di partecipazione ad una realtà che ancora stenta a riconoscersi ed a riconoscere i segni del suo mutamento. L’indagine compositiva si slarga fra le tessere di una vivace, pura essenzialità descrittiva. Individua i nessi, i termini e le articolazioni della testimonianza calda ed affettuosa di intreccio tra «nota» e «ricordo» e da essi fa scaturire la genuinità di una civiltà mai spenta diventata abito e colore di «presenza» che trova il suo significato nella disposizione delle intenzioni verso una religiosità di consuetudine, stantia ed asettica che diventa «pregiudizio» ma che si fa anche linguaggio intessuto e palpabile di coerenza e logica espositiva della storia e del costume locale e sintesi, ragionata e voluta, di profondità ancestrali come realizzazioni dello spirito calato nel tempo che nel suo «cuore antico» trova la sua civiltà ed il senso di un futuro anche se sempre più incerto e lontano. Riviello, in quest’opera, scende in profondità nell’analisi della sua città ne chiarisce e circoscrive i contenuti, per far posto alla vita così come essa viene ad identificarsi in veicolo di relazioni e di rapporti umani e sociali personalizzati, con la gradualità e la permeabilità che coinvolge persona e territorio, sottilmente, e che li modifica nel loro vicendevole integrarsi. Parte dalla persona per raggiungerla e per delinearne il carattere e l’abito di originalità, rimanendo, a volte, al di fuori ed in qualche modo al di sopra delle motivazioni storiche, ma sempre per chiarire la duttilità e l’umanità di un afflato di comunicazione immediato, semplice, efficace, colorito, incisivo, scoppiettante ed aggregante: la «costumanza» con la colorazione che i tempi e gli uomini, figli dei tempi, le hanno dato attraverso la consuetudine. Questa ristampa, infine, è motivata anche dal desiderio di rendere giustizia ad un autore lucano, attento, accurato ed imparziale, studiato e considerato altrove, ma, come spesso accade, ingiustamente dimenticato nella sua terra e dalla sua gente. GIUSEPPE MONACO Direttore della Biblioteca Provinciale Si esprime un vivo ringraziamento all’Amministrazione Provinciale di Potenza che, a quasi cento anni dalla prima stesura manoscritta ha approvato e finanziato questa ristampa. INDICE CAPO I. I tre punti della vita Nascita Battesimo Matrimonio Morte CAPO II. Case e vestimenta, o costume Vestimenta o costume CAPO III. Giuochi di fanciulli, di giovani e di adulti CAPO IV. Classi, occupazioni, lavoro CAPOV. Cucina, pranzi CAPO VI. Feste campestri e gite a santuarii CAPO VII. Feste e processioni solenni CAPO VIII. Industria, commercio, fiere CAPO IX. Religione, istruzione, educazione, nettezza CAPO X. Pregiudizii e leggende APPENDICESunto storico delle Città di Potenza dai più remoti tempi ai giorni nostri CAPO I. I tre punti della vita. Poiché mutano i tempi e le generazioni passano, e le costumanze impallidiscono, o si trasformano e spariscono, a me parve utile consiglio di ricordare e raccogliere le idee e le usanze dei nostri avi, prima che lo spirito moderno di rivoluzione, venutoci più veemente col fischio del vapore, ne fughi le tradizioni e le memorie, le quali ora già sono nella stessa classe dei contadini assai neglette e scolorite. Io aveva cominciato a pubblicare nella Lucania Letteraria alcune novelle, che delle nostre costumanze avevano il disegno, ed I Turchi, La Notte dei Morti, Il Lupo mannaro, Il Monaciello furono lette e benevolmente accolte dai lettori intelligenti e studiosi; quando cessata la pubblicazione del giornale, mi venne meno il pensiero di altre novelle. Più tardi ne scrissi qualcuna pel Gazzettino di Basilicata; e le – Feste campestri, L'Apprecettatore del tempo, I Pipli, o la festa del Corpus Domini – uscirono alla luce; ma le poverine si trovavano in disagio fra notizie di Amministrazione e di Comuni; laonde decisi di fare più utile e dilettevole lavoro, e volli cominciare col descrivere le cerimonie che solevano un tempo farsi per la nascita, il matrimonio e la morte dal popolo potentino. (1) (1) Nell’Eco della Provincia poi pubblicai: I Santangiolesi, o la gita dei Potentini a Monte Gargano; il Sortilegio delle zitelle nella festa di S. Giovanni; e la Visciledda. Nascita. Presso di noi la donna prena (gravida), e specialmente quella di primo parto, stimavasi quasi inviolabile e sacra persona, ed in questo sentimento popolare si racchiudeva l’istinto di una provvidenza naturale e di una tenerezza schietta ed espressiva, che meglio giovava all’interesse civile e sociale. Guai se qualcuno avesse ardito di alzare la voce o la mano ad ingiuriare e percuotere la donna gravida, chè tutti lo avrebbero regalato di male parole e di urtoni. In ogni luogo alla donna gravida si usavano riguardi. Nelle case, nei forni, nelle chiese ed in ogni sito le si faceva canso (posto); le si offriva qualsiasi cibo o ghiottornia, che vedesse, a provare, temendosi che non venisse a lei ed al feto danno e segno pe vulio (voglia puerperina), così facile ad aversi in quello stato. Tale affettuosa e delicatissima usanza di riguardi era così sentita, che si faceva anche con la donna gravida, con cui non si aveva alcun vincolo di parentela, di amicizia o di vicinato. Conseguenze di questi vulii (voglie) si credevano i segni, allorchè gl’infanti nascevano, portando sulla pelle macchiette o nei che rivelavano i golosi desiderii della madre nello stato di gravidanza. Si ricordavano fanciulli che avevano sulla pelle il segno della mora, della fragola, di un pizzico di rucculu (focaccia all’olio), o di altra qualsiasi cosa; e fanciulli che fra i capelli avevano un ciuffo bianco che pareva la voglia o il segno della ricotta. Nel Vico Portamendola viveva un contadino che aveva la metà della faccia a colore di vino, e dicevasi che era nato così, perchè la madre nella sua gravidanza vide, o sentì la voglia del mosto, e potette per inavvertenza portarsi la mano sulla faccia per asciugarsi il sudore e per distrarsi dal vulio (voglia). Qualche volta la donna gravida doveva, la poverina, ubbidire a strane costumanze, come quando la si obbligava a baciare la lepre sotto la coda, perchè non le nascesse il bimbo col muso spaccato. Allorchè la donna si sgravava, accorrevano le parenti e le vicine ad aiutare la puerpera, ed ognuna diceva la sua, e si novellava sui segni e la forma della gravidanza, dai quali, a sentir quelle chiacchierine, ben s’indovinava il sesso del parto. Tale costume di sollecitudine e di riguardi perdeva un po’ di tenerezza per le donne che contavano parecchi parti, e talvolta avveniva che si vedesse tornare dalla campagna qualche donna contadina, che gravida portava pesanti fasci di sarmenti sulla testa; e se mai avesse trovato ragioni per rifiutarsi al duro peso, poteva guadagnarsi dal rozzo marito anche una punta di scarpone ind’ digli (nei fianchi), o qualche pugno sulle spalle. Figliata, cioè messo alla luce felicemente il parto, subito si mandava una fantesca o qualche persona del vicinato, a dare, festosa, alle parenti e alle comari la lieta nuova, e quella l’annunziava, dicendo: Prisciarivenn che Maria Gerarda, per esempio, ha fatt’ nu bell’ piccininn’ o na bella piccininna. (Rallegratevi, consolatevi che Maria Gerarda ha partorito un bel bambino, o una bella bambina). Ed allora parenti, comari ed amiche mandavano ad offrire alla puerpera uno o più paia di piccioni, o altra cosa, da servire pel brodo e altri bisogni, e nella casa di lei era un via-vai di persone che andavano a far visita e congratularsi; e gente che assisteva la madre nei suoi desiderii, o fasciava ed assisteva il bambino che vagiva. Quando nasceva femmina, si faceva un pò il muso, in segno di dispiacenza e di dolore, predominando la credenza che col maschio nascesse l’augurio, e con la femmina il duolo, sopra tutto nei primi parti; e quindi le espressioni: quando nasce la femmina, nasce lu ducculu (il duolo); ovvero: nasce prima lu ducculu (duolo), e poi la femmina – per indicare che la nascita di una bambina portava seco più gravi pensieri per la famiglia, imperocchè la donna sin dal primo momento della vita va soggetta a maggiori cure ed a mille fastidii, di che l’uomo non ha bisogno.
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