Quadri mentali cultura e rapporti simbolici nella società rurale del Mezzogiorno di Piero Bevilacqua

I luoghi della cultura mutamenti e dunque di storia: Vemigrazione. Buona parte del lavoro della Piselli è volto a II libro di Fortunata Piselli, Parentela ed mostrare, in maniera persuasiva come, alme­ emigrazione costituisce, a mio parere, una no sino al 1950, i grandi flussi migratori ot­ buona base di partenza per un dialogo circo- to-novecenteschi, nonché disgregare, hanno scritto, ma condotto sul concreto, fra storia finito con il rafforzare l’economia e la socie­ e antropologia1. E per più di una ragione. Il tà contadina in esame. La tesi in sé, per la ve­ libro prende in esame — come già da tempo rità, non è nuova. Esiste una consolidata tra­ hanno intrapreso a fare gli antropologi di dizione di studi sul Mezzogiorno che ha ripe­ cultura anglosassone — una comunità rurale tutamente esaminato il nesso — quanto me­ del Mezzogiorno contemporaneo. E l’indagi­ no sotto l’aspetto economico-sociale — fra ne — che si snoda lungo l’arco cronologico emigrazione e potenziamento della piccola che va dalla fine dell’Ottocento sino agli anni proprietà2. Ma nel libro della Piselli la novi­ settanta del nostro — si presenta per ciò stes­ tà, la sfida consiste essenzialmente nel mo­ so come una sorta di storia condotta secondo strare come le strutture elementari della co­ approcci e con strumentazioni antropologici. munità (famiglia, parentela) non solo fagoci­ D’altra parte, anche il reperimento e l’uso tano o adattino a sé ogni elemento di novità del materiale su cui è costruita la ricerca ap­ o cambiamento proveniente dall’esterno, ma paiono segnati dalla presenza commista delle continuano a lungo a costituire il centro mo­ due discipline: l’indagine sul campo e la rico­ tore di ogni strategia sociale degli individui e struzione storica su fonti documentarie (gli dei gruppi sociali. alberi genealogici delle famiglie, le ramifica­ È dunque individuata una dimensione di zioni di parentela ecc.). Per di più, il suo og­ resistenza, un nucleo flessibile di dinamiche getto — una comunità interna dell’alta colli­ di continuità che riesce a tenere inchiodata na calabrese — è esaminata in rapporto a un una comunità ai meccanismi tradizionali del­ fenomeno che per eccellenza è portatore di la sua riproduzione.

1 Fortunata Piselli, Parentela ed emigrazione. Mutamenti e continuità in una comunità calabrese, presentazione di G. Arrighi, Torino, Einaudi, 1981. Nel merito di questo lavoro sono già intervenuto: cfr. fra antropologia e storia, in “Studi storici”, 1981, n. 3. 2 Mi limito a ricordare, fra una vasta e ben nota bibliografia, i volumi dell’Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia (1909-1910); le indagini regionali condotte dall’Inea all’indo­ mani della prima guerra mondiale: cfr. Giovanni Lorenzoni, Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra, XV, Relazione finale, Roma, 1983.

Italia contemporanea”, marzo 1984, fase. 154 52 Piero Bevilacqua

È questa, a mio avviso, la lezione più rapporti di forza fra proprietari e lavoro sa­ importante che viene allo storico da questo lariato; l’influenza da essa esercitata, ma in contributo. E costituisce al tempo stesso un concomitanza con processi economici più ge­ esempio importante delle lezioni che alla nerali, sullo sviluppo di un paesaggio agrario storia possono venire dalla antropologia. È fondato sulle colture arboree; l’incidenza un invito a guardare alle strutture più pro­ modificatrice sulle psicologie individuali e di fonde della realtà, a stabilire nuovi criteri gruppo, sul regime alimentare, sul compor­ di esame e di valutazione dei processi di tamento politico3. cambiamento. Quest’insieme di fenomeni — non tutti Evidentemente, tale dimensione costitui­ estranei, peraltro, all’interesse antropologico sce solo una faccia del confronto possibile — non modificava nella sostanza la società fra le due discipline. Dal punto di vista della rurale del Mezzogiorno, ma vi introduceva storia — di una storia che ambisce a dialoga­ elementi non irrilevanti di dinamismo. Per re con le scienze sociali e vuole conservare la cui, ad esempio, si può immaginare che la sua specificità — si tratta di un’acquisizione realtà delle famiglie contadine esaminate dal­ che apre un certo numero di problemi, sia di la Piselli fosse negli anni cinquanta notevol­ merito che di metodo. E sono per l’appunto, mente cambiata rispetto agli ultimi decenni i problemi di un dialogo reale fra antropolo­ dell’Ottocento, pur rimanendo sostanzial­ gia e storia. mente immutati i rapporti interni e i mecca­ L’invito a guardare ciò che resiste al cam­ nismi di trasmissione e riproduzione dentro biamento non deve tuttavia far dimenticare i la comunità sociale. L’osservazione non vuo­ fenomeni di mutamento che investono una le avere alcun rilievo critico, né tanto meno società, anche quando questi risultino ineffi­ polemico; ha qui solo lo scopo di richiamare caci nel modificare le sue strutture fonda- un problema di carattere epistemologico. mentali. Se così non fosse — lo si comprende Appare infatti evidente che l’approccio an­ bene — anche lo storico contemporaneo, lo tropologico e quello storico sull’oggetto emi­ studioso delle società capitalistiche, avrebbe grazione hanno, in questo caso, una nozione ben poche novità da raccontare. disomogenea o comunque non collimante, di Ma entriamo nel merito dei problemi. Di ciò che è cambiamento. L’antropologia pone fronte ai processi indotti dall’emigrazione a un livello più profondo ed elementare l’am­ nelle campagne del Mezzogiorno l’approccio bito in cui vengono a prodursi rotture, dif­ antropologico — esemplificato dallo studio formità irreversibili rispetto a equilibri pre­ della Piselli — si trova spiazzato su molti cedenti. Mentre la storia, forse meno seletti­ versanti, tradizionalmente coperti dall’anali­ va, accoglie nel suo seno avvenimenti e pro­ si storica. Mi limito qui a ricordare i muta­ cessi che non sempre né necessariamente pro­ menti prodotti dall’emigrazione sul terreno ducono mutamenti sostanziali al loro appari­ della diffusione e circolazione del denaro (e re. Spesso tuttavia essi preparano, costrui­ non solo fra i ceti contadini); le novità intro­ scono la trama dei cambiamenti futuri. Cre­ dotte nel mercato del lavoro agricolo e nei do che costituisca un errore, da parte dello

3 Si veda, in maniera essenziale per i temi richiamati, Francesco Saverio Nitti, Inchiesta sulle condizioni dei contadi­ ni in Basilicata e in Calabria in Scritti sulla questione meridionale, a cura di P. Villani e A. Massafra, I, Bari, Later­ za, 1968; F. Coletti, Dell’emigrazione italiana in Cinquant’anni di storia italiana, III, Milano, 1911; Francesco Bal­ letta, Il Banco di Napoli e le rimesse degli emigranti (1914-1925), Napoli, Poligrafico Campano, 1972; Piero Bevilac­ qua, Emigrazione transoceanica e mutamenti dell’alimentazione contadina calabrese fra Otto e Novecento, in “Qua­ derni storici”, 1981, n. 47. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 53 storico, rinchiudersi in un modello epistemo­ grazione nelle campagne del Mezzogiorno logico univoco di mutamento. La realtà del non erano sufficienti a modificare le struttu­ cambiamento è multilineare, troppo com­ re della proprietà fondiaria e dunque i rap­ plessa perché la si possa imprigionare in uno porti sociali dominanti. Si aggiunga che tali schema rassicurante. Talora, per alcuni am­ strutture e tali rapporti si incarnavano in un biti, si danno mutamenti repentini, catastro­ assetto degli insediamenti umani, in una de­ fi4 e più spesso il mutamento sembra essere il terminata organizzazione spaziale della co­ risultato di processi cumulativi, oppure il munità, che non era poi senza effetti durevo­ momento terminale di lunghe e lente erosio­ li sulla conservazione stessa della società ru­ ni. E d’altra parte la consapevolezza di que­ rale. L’autoproduzione della comunità non sta pluralità di tempi della trasformazione — avrebbe probabilmente posseduto la stessa che corrisponde a una molteplicità di ambiti forza senza la permanenza degli antichi bor­ che oggi cadono sotto il dominio della storia ghi contadini, che hanno costituito, lungo un — costituisce, per lo storico, la possibilità di arco secolare, la forma dominante degli inse­ fare della propria disciplina lo strumento pri­ diamenti demografici nel territorio meridio­ vilegiato per l’analisi complessa dei processi nale5. È noto che anche i contadini reduci di cambiamento. E vorrei qui produrre una dall’emigrazione in America, dotati di ri­ esemplificazione che mi consente, peraltro, sparmi e di spirito d’iniziativa, non sceglie­ di entrare meglio nel vivo del tema fonda- vano la via dell’insediamento sparso in cam­ mentale. pagna, nel fondo acquistato. Non davano vi­ La continuità che, nel lavoro della Piselli, ta a una unità aziendale in cui la casa potesse domina le dinamiche familiari e parentali — costituire il centro della vita familiare e al al punto che sembrano esser queste a produr­ tempo stesso il nucleo dinamico dell’impresa re la continuità di tutta la vita comunitaria contadina. Anche le ragioni di tale resistenza — ha impulsi e ambiti ben più vasti di quan­ sono largamente note. Gli agglomerati rurali to l’antropologia, da sola, non possa vedere. di piccole e medie dimensioni, posti in cima Se l’emigrazione non scardinava la comunità alle alture e spesso isolati gli uni dagli altri, contadina ciò non accadeva perché il com­ hanno conservato sino a un cinquantennio portamento dei suoi membri valeva a tenerla fa, in molte zone del Mezzogiorno, una fun­ unita. Quest’ultimo assumeva ovviamente zione strategica rispetto alla malattia domi­ un’importanza di rilievo, e tornerò in manie­ nante delle pianure e delle coste: la malaria. ra specifica sul problema. Ma il fatto è che a Ma ciò che qui importa sottolineare è che a favore della sua conservazione operavano tali assetti di lunga durata — frutto della forze potenti, talora invisibili, contro cui an­ particolare storia del Regno meridionale fra che una supposta volontà modificatrice dei il Medioevo e l’Età moderna — si subordina­ ceti popolari poco o nulla avrebbe potuto. vano e modellavano, in età contemporanea, Sappiamo, da una consolidata tradizione di anche le dinamiche innovative che rinvesti­ sociologia rurale, in parte già richiamata, vano. All’inizio di questo secolo, il Maranelli che le nuove dinamiche introdotte dalla emi­ osservava come i contadini continuavano a

4 Sul tema epistemologico delle catastrofi e per alcuni risvolti di carattere sociale e storico cfr. “Laboratorio politi­ co”, 1981, n. 5-6 (Catastrofi e trasformazioni). 5 Sulla distribuzione della popolazione cfr. Angerio Filangieri, Territorio e popolazione neH’Italia meridionale, Mi­ lano, Franco Angeli, 1980, pp. 154 sgg. sulle differenziazioni interne degli insediamenti e relative problematiche di antropologia storica cfr. Giuseppe Galasso, Gli insediamenti e il territorio in L ’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d ’Italia, Milano, Mondadori, 1982, 54 Piero Bevilacqua vivere in paese, si condannavano spesso a essi stessi alcune delle cause d’origine della marce interminabili per raggiungere le varie conservazione di quegli assetti, vedevano a località di campagna, per una ragione assai loro volta riconfermati gli antichi centri di semplice: il borgo restava il luogo fisico in attrazione e di gravitazione8. cui si svolgeva il mercato del lavoro e i vari La comunità rurale, quindi, e la perma­ rapporti connessi con l’attività agricola6. Era nenza dei suoi caratteri tradizionali si inscri­ nella ‘piazza’ del paese — secondo una con­ vevano in un ordine più vasto e in un com­ suetudine che è viva ancor oggi, ad esempio, plesso di resistenze di più lunga durata. Sa­ in alcuni centri della Puglia — che proprieta­ rebbe tuttavia gravemente erroneo espungere ri e lavoratori si scambiavano domanda e of­ da questo quadro il comportamento concre­ ferta per le attività stagionali e per i lavori to degli uomini, presentato come mero risul­ occasionali. Era dunque la struttura discon­ tato delle forze materiali, e non come agente tinua, episodica, del lavoro, la mancanza di attivo, impegnato a modificare le necessità una sua continuità regolata da istituzioni e sotto la spinta dei suoi bisogni, e perciò ca­ norme impersonali, a imporre la presenza di pace di creare nuovi equilibri o di conservare un centro in cui era possibile l’ingaggio quelli esistenti. Gli uomini, le famiglie, i estemporaneo e ad personam. In connessio­ gruppi, resistevano a trasferirsi dagli antichi ne con tale realtà — come ebbe a precisare in insediamenti anche per altre ragioni che tan­ seguito Rossi Doria — giocava a sua volta un to la storia quanto l’economia o la sociologia ruolo importante di conservazione il tipo di hanno trascurato di considerare. Queste era­ proprietà su cui poteva fare affidamento la no date dal fatto che i borghi rurali non era­ gran massa dei contadini. La frammentarietà no solo centri di vita economica, di rilevanti dei microfondi, sparsi qua e là per la campa­ dinamiche sociali, ma costituivano altresì il gna, spesso distanti, talora lontanissimi tra luogo di una intensa socialità interpersonale loro, imponevano al contadino un centro di che coinvolgeva tanto i rapporti di lavoro residenza da cui governare, con il proprio la­ quanto gli altri momenti fondamentali voro itinerante, la frantumazione aziendale dell’esistenza; la nascita, il matrimonio, le della proprietà7. Dunque il livello tecnico malattie, la morte. Centro di solidarietà e di della produzione, e l’assetto della proprietà reciproco soccorso, la comunità rurale era fondiaria, ostacolavano potentemente la na­ anche la sede in cui venivano scanditi ed esal­ scita di una nuova configurazione degli ag­ tati i momenti di incontro e di identificazione gregati umani. E naturalmente l’organizza­ collettiva: le fiere, le feste, gli incontri in zione dello spazio, i caratteri storici e natura­ osteria, i funerali, le pratiche e le manifesta­ li del territorio meridionale — che imponeva­ zioni religiose. Tutta una cultura, stratificata no condizionamenti pesanti allo spostamen­ e tenace, aveva le sue ragioni da difendere9. to di uomini e merci — mentre costituivano Ed essa costituiva una forza storica attiva

6 Carlo Maranelli, Considerazioni sulla questione meridionale, Bari, 1946, p. 17 e p. 29. 7 Manlio Rossi Doria, Struttura e problemi dell’agricoltura meridionale in Riforma agraria e azione meridionalisti­ ca, Bologna, 1948, pp. 16. 8 Per questi problemi, che meriterebbero un più specifico approfondimento cfr. Piero Bevilacqua, Catastrofi, conti­ nuità, rotture nella storia del Mezzogiorno, in“Laboratorio Politico”, 1981, n. 5-6. 9 II Pitré ricorda come, in occasione dei lavori estivi, i contadini provenienti dai paesi più lontani, riproducessero dei villaggi temporanei con abitazioni improvvisate. “Il pagghiaru per famiglie non resta isolato, perché nessuna di esse si avventurerebbe o si rassegnerebbe alla solitudine. Il popolo siciliano è socievolissimo, e le donne, come vedremo, non saprebbero stare senza vedersi tra loro, parlare, lavorare insieme. Molti pagghiara sorgono quindi in un posto, Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 55 che condizionava non pochi aspetti della vi­ confronti di un’organizzazione dei fatti se­ cenda sociale complessiva. condo le scansioni di una cronologia narrati­ L’antropologia, quindi, dopo essere stata va. “Non possiamo — ha notato Thompson delimitata entro territori che le son propri, — osservare rituali, consuetudini, relazioni torna, a ragione, a rivendicare i suoi specifici di parentela, senza fermare di volta in volta il diritti conoscitivi. processo storico, e sottoporre gli elementi a un’analisi statica, sincronica, strutturale”10. Costituisce pertanto un’utile indicazione di Le consolazioni delia magia metodo, quella fornita da Keith Thomas, sui modi più propri e più produttivi, per lo stori­ Lo storico dell’età contemporanea che voglia co, di accostarsi ai fenomeni che sono ogget­ prendere in esame la cultura contadina, ha a to dell’analisi antropologica. Il valore di miti propria disposizione un massa documentaria o leggende, per lo storico, risiede in ciò che a torto trascurata, sino ad oggi, sia da storici essi dicono intorno alla società nella quale che da antropologi: le raccolte di materiale furono composti, non in ciò che egli può ap­ folcloristico prodotte da demopsicologi e da prendere, da essi, intorno al remoto passato eruditi locali fra Ottocento e Novecento. Si al quale quelli pretendono di riferirsi11. È tratta invero di fonti che pongono alla storia una scelta che si inscriverà nella felice formu­ particolari problemi per il loro utilizzo, sia in la di Thompson della storia quale ‘scienza ordine alla corretta interpretazione offerta di del contesto’12. volta in volta di riti, usanze, miti, sia per una Occorre tuttavia dire che lo storico con­ caratteristica ricorrente in tale tipo di docu­ temporaneo incontra particolari difficoltà ad mentazione: il loro carattere spesso astorico, applicare questa indicazione indubbiamente separato dalle circostanze concrete in cui si feconda. Chi studia il mondo culturale dei producono e riproducono comportamenti e contadini in età contemporanea non ha di forme culturali. Si pensi, a questo proposito, fronte a sé né la comunità degli aborigeni in­ a quel curioso archivio di fossili mentali che dagata dall’etnologo, né la compatta società sono le raccolte dei proverbi popolari, così rurale dell 'ancien régime. Cade sotto la sua difficili spesso, da ricondurre a contesti ben osservazione un ambito sociale in cui compo­ determinati, e pur cosi importanti per pene­ nenti di lungo o di lunghissimo periodo — trare un mondo culturale povero di tracce com’è nel caso delle campagne del Sud fra scritte, dominato dalla trasmissione della XIX e prima metà del XX secolo — vengono cultura orale. D’altra parte, già l’assunzione alterate e stravolte da flussi esterni dello svi­ dei temi che cadono sotto l’osservazione del luppo capitalistico. Una molteplicità di ten­ folclore comporta, da parte dello storico, sioni innovative la percorrono in più punti e l’approntamento di un diverso atteggiamen­ con modalità differenziate: attraverso la pe­ to di fronte al tempo: e più precisamente nei netrazione sempre più accentuata del merca- l’uno vicino all’altro, specie di villaggio” (Giuseppe Pitré, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, in Biblio­ teca delle tradizioni popolari siciliane, a cura di A. Rigoli, prefazione di B. Bernardi, Palermo, Il Vespro, 1978, p. 80). Vividi quadri di questa solidale dimensione di vicinato sul finire dell’Ottocento in Caterina Pigorini Beri, In Ca­ labria, Torino, 1892, p. 9 e passim. 10 Edward P. Thompson, Folklore, antropologia e storia sociale, in Società patrizia, cultura plebea, a cura di E. Grendi, Torino, Einaudi, 1981, pp. 326-327. 11 Keitk Thomas, History and anthropology, in “Past and Present”, 1963, n. 24. 12 E. Thompson, Società patrizia, cultura plebea, cit., p. 258 e, in riferimento più specifico al rapporto con l’antro­ pologia, p. 310. 56 Piero Bevilacqua

to, l’accelerazione e varietà degli scambi in­ lità si costumava di salutarsi l’ingresso del terpersonali, l’alfabetizzazione e altri feno­ mese con un tiro di grosso mortaretto in meni di inglobamento nella sfera statuale mezzo la piazza. Si andava quindi cantan­ (servizio militare ecc.) l’emigrazione e così do a suono di varii strumenti, e si piantava via. il maggio, consistente in lunghi rami di al­ Le manifestazioni della cultura popolare loro e di sambuco fiorito innanzi a più ca­ tradizionale appaiono spesso come i pallidi se, dopo che si era cantata un’intiera can­ fantasmi di una vita comunitaria che ha zona in ciascun sito e dispensata, o sia di­ smarrito le ragioni sostanziali di molti dei retta alla prosperità del padrone di casa. Il suoi riti13. Non sempre le espressioni simboli­ mastro-giurato diriggeva quella festa not­ che del folclore conservano il loro contenuto turna che durava fino all’alba. Ciscun pa­ originario: questo è ovvio. Ma neppure è drone di casa apriva e dispensava compli­ sempre possibile ricondurre la loro persisten­ menti non solo di spiriti, e mustacciuoli, ze, il loro durare, a una funzione sociale de­ ma di qualche frutto a dispensa". terminata, facilmente rilevabile. Sotto il pri­ Festa composita, dominata dal rilievo di mo aspetto è comunque possibile scoprire la un coinvolgente rito del dono all’interno del­ relativa mobilità e capacità di adattamento la comunità, ma che trovava nuove ragioni della cultura popolare, che sotto un’appa­ di continuità e aggiornata riproposizione in rente immobilità cela un continuo processo circostanze ben definite: “pure per Cirò — di riassorbimento di circostanza, reali inedi­ precisa il nostro erudito — io trovo la ragio­ te, di rielaborazione e di plasmazione conti­ ne nella circostanza che trovandosi allora oc­ nua di accadimenti e trasformazioni. Spesso, cupato l’uso di pascolo di tutte le vaste tenu­ una festa popolare non legata a ricorrenze te Demaniali dell’università dal Barone, la religiose, e vissuta dai contadini come espres­ consuetudine e le varie convenzioni portava­ sione di un rito oscuro e remoto, può scopri­ no che al primo maggio seguisse lo sbarro di re le sue origini relativamente recenti, e co­ tali pascoli a comune uso di tutti i cittadini munque circostanziate, in alcune norme con­ [...] ed era tanto grato per tal libertà di pa­ suetudinarie dell’assetto agrario. L’antica fe­ scoli l’ingresso del mese di maggio, che per sta calendariale del maggio, legata all’avven­ esprimersi il gradimento dell’arrivo di un to ciclico della primavera, poteva essere as­ amico, o di un forestiere non poteva né sape­ sorbita e assimilata per esprimere nuove esi­ va dirsi meglio del ‘benvenuto come la prima genze di significato. Si veda, ad esempio, di maggio’”14. quanto osservava a metà Ottocento un erudi­ Un vero e proprio rito di ringraziamento, to locale — molto bene informato — a pro­ dunque, in cui un rapporto di classe (il domi­ posito dei festeggiamenti che si tenevano in nio stagionale del barone sui pascoli dema­ territorio di Cirò, in Calabria, in quel mo­ niali) veniva inscritto in un ordine naturale mento dell’anno: “Nella mezza notte prece­ scandito dalle interruzioni calendariali. L’of­ dente il primo maggio fin che durò la feuda­ ferta di doni simbolici da parte dei contadini,

13 II Corso, che pure era impegnato con competenza e scrupolo filologico a mostrare il legame fra riti popolari e per­ sistenze pagane, doveva indicare due distinti modi di essere delle manifestazioni folcloristiche: quelle catalogabili co­ me reminiscenze, più o meno sbiadite, g quelle delle riviviscenze, dotate ancora di vitalità (Raffaele Corso, Pagani- tas. Persistenze pagane nelle tradizioni popolari italiane, estr. da “Bilychnis”, Roma, 1923, p. 4). 14 Giovan Francesco Pugliese, Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politico-economiche di Cirò in provincia di Calabria Ultra Seconda seguita da un cenno per le comuni di Crucoli e Melissa, Napoli, 1849, vol. II, p. 142. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 57 e la restituzione in beni reali da parte dei più larga giustificazione nella persistenza di proprietari, rievocava insieme una richiesta alcune coordinate fondamentali della menta­ di continuità della pratica dello sbarro e al lità contadina. È a queste ultime che bisogna tempo stesso la promessa di mantenimento volgere l’attenzione un po’ più da vicino, di quella consuetudine. Ma sulle implica­ grazie anche ai molti studi che sono stati pro­ zioni politiche dei riti del dono si tornerà dotti negli ultimi anni. Con la premessa che più avanti. la tipizzazione che qui se ne ricava, quanto In altre circostanze, una consuetudine si­ meno nel corso del nostro secolo, è continua- curamente secolare e ben collaudata, quale la mente erosa e talora travolta dai mutamenti processione del carnevale, veniva aggiornata introdotti dallo sviluppo. nei suoi contenuti e resa aderente ai suoi fini Alfonso M. Di Nola ha offerto un soddi­ istituzionali di satira del potere. Così alla fi­ sfacente saggio di interpretazione materia­ ne dell’Ottocento, in vari paesi della Cala­ listica dei meccanismi che presiedono al­ bria, le farse si colorivano ormai di contenuti l’atteggiamento popolare di fronte alla vita di forte attualità: “ed io ho visto molti — perché sia qui necessario tornare su tale scriveva uno studioso locale — in tempo di aspetto17. Ciò che probabilmente necessita di carnevale, vestiti da ingegneri con compassi, una riflessione più specifica è la peculiarità vecchi cannocchiali, grossi libri, e funi e fet­ dell’atteggiamento contadino nei confronti tucce e tanti altri ordigni, con cui periziava­ della dimensione passato e futuro, la sua per­ no un tratto di strada, molte volte promesso cezione del mutamento, e, in generale, la sua agli elettori, in tempo di elezioni, e non mai concezione del tempo. Forse la prima osser­ fatto”15. vazione da avanzare, apparentemente ovvia, Tuttavia, lo storico che indaghi la com­ ma che comporta qualche importante impli­ plessa geografia delle manifestazioni rituali e cazione, è che la concezione di una dimensio­ dei comportamenti culturali del mondo con­ ne progressiva del tempo, non nasce nella te­ tadino meridionale fra Ottocento e Novecen­ sta dei contadini, dall’interno della loro so­ to, si accorge presto che non tutto è ricondu­ cietà: è un’acquisizione esterna, proveniente cibile a funzioni o circostanze determinante. dal mondo urbano. La sua forza di modifi­ Il significato di molti comportamenti popo­ cazione sarà per questo lungamente attenua­ lari, in occasione di ricorrenze festive o di ce­ ta. Ora, non è possibile comprendere piena­ lebrazioni che sopravvivono svuotati delle mente l’universo dei valori contadini, e molti loro motivazioni originarie, non trova soven­ dei suoi meccanismi di comportamento, sen­ te spiegazione in nessuna plausibile persi­ za afferrare la radicale diversità che nel mo­ stenza di funzioni16. La loro presenza, all’in- do di percepire il tempo — anche per buona terno di una comunità anche investita da parte dell’età contemporanea — corre fra il processi molteplici di mutamento, trova una mondo urbano e la società rurale tradiziona-

15 Giovanni De Giacomo, Il popolo di Calabria, parte I e II, Castrovillari, vol. I, 1896, p. 89. 16 Essi sono spiegabili solo come persistenze frammentarie d’una cultura magica. Si vedano a mo’ d’esempio, il cul­ to dei serpenti in Calabria (Vincenzo Dorsa, La tradizione greco-latina negli usi e nelle credenze popolari della Cala­ bria citeriore, Cosenza, 1884, p. 28); il bagno degli animali in mare nella notte dell’Ascensione (Salvatore Salomone- Marino, Costumi e usanze dei contadini di Sicilia, Palermo, 1897, pp. 178-:79); le varie usanze intorno al ceppo (Gennaro Finamore, Credenze usi e costumi abruzzesi, voi. VII delle Curiosità popolari tradizionali pubblicate per cura di G. Pitré, Palermo, 1890, p. 64 sgg.). Ma l’elenco sarebbe molto lungo. 17 Mi riferisco soprattutto a Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhie- ri, 1976. 58 Piero Bevilacqua le. L’idea di progresso ha certamente una sua sentazione dominante del tempo che lo svi­ lunga e frastagliata storia secolare, che non luppo capitalistico è riuscito a introiettare necessariamente si identifica con il modo di nella coscienza collettiva delle società con­ percepire le forme di crescita di una forma­ temporanee20. zione economico-sociale determinata. E d’al­ La prima, radicale diversità che noi con­ tra parte si tratta, in ogni caso, dell’acquisi­ statiamo osservando il mondo contadino — zione realizzata da centri di elevata cultura fino a quando non è investito da processi di urbana18. Ma sicuramente legata all’avvento polarizzazione e diversificazione — è data del capitalismo è un’idea del tempo come svi­ dal suo essere dominato, sul piano produtti­ luppo, luogo privilegiato entro cui si svolgo­ vo, dalla riproduzione semplice21. Il mecca­ no processi materiali che accrescono in pro­ nismo economico su cui è fondata la sua so­ gressione la ricchezza e la potenza di una so­ pravvivenza è il raccolto: cioè un modello di cietà. Marx ha chiarito con insistenza questo ricambio organico con la natura altamente aspetto peculiarissimo del rapporto di pro­ reversibile, che si consuma entro un arco duzione capitalistico rispetto alle formazioni temporale limitato, come un qualsiasi ciclo sociali precedenti. Egli ha mostrato la sua in­ vitale, con un inizio e una fine. Sostanzial­ trinseca necessità, per esistere, di accrescersi mente, non ci sono accumuli capaci di dar continuamente. Ma al tempo stesso ha anche luogo a una continuità, che si proietta verso chiarito come il momento terminale della il futuro: ma, in maniera dominante, soltan­ produzione costituisca anche il momento ini­ to dei ritorni al punto di partenza. Per di più, ziale di un nuovo processo di valorizzazione la vicenda produttiva è mediata da una stru­ del capitale19. mentazione tecnica quanto mai esile, qual è Una linea continua e ascendente, a dispet­ quella che per una lunga serie di secoli ha do­ to di crisi cicliche e congiunture, è la rappre­ minato, con continuità sostanziale e al di là

18 Si veda in proposito la ricostruzione storica che ne fa Jacques Le Goff, Progresso / reazione in Enciclopedia, di­ retta da R. Romano, Torino, Einaudi, 1980, voi. 11. 19 Nel secondo libro del Capitale, egli tirava le fila di una minuziosa analisi della riproduzione su scala allargata con l’affermazione perentoria “Il costante ingrandimento del suo [del capitalista] capitale diviene condizione per la con­ servazione del capitale stesso”. Ma già nel primo libro aveva chiarito: “Per accumulare si deve trasformare in capita­ le una parte del plusprodotto. Ma, se non si fanno miracoli, si possono trasformare in capitale solo quelle cose che si possono adoperare nel processo lavorativo, cioè mezzi di produzione e inoltre cose con le quali l’operaio può sosten­ tarsi [...] In una parola: il plusvalore è trasformabile in capitale solo per la ragione che il plusprodotto, del quale il plusvalore costituisce il valore, contiene già le parti costitutive materiali di un nuovo capitale” (K. Marx, Il Capitale, libro secondo, trad, it., di R. Panzieri, Roma, Editori Riuniti, 1965, p. 80 e libro primo, trad. it. di D. Cantimori, Roma, 1967, pp. 636-637). 20 La crisi di questo rapporto con il futuro, che sembra avere incarnato una dimensione soggettiva primaria degli uo­ mini, e al tempo stesso un modo di funzionare del capitalismo, è esaminata con acutezza da Krzysztof Pomian, La crisi dell’avvenire', in Aa.Vv., Le frontiere del tempo, a cura di R. Romano, Milano, Il Saggiatore, 1981. 21 Per i meccanismi che impediscono processi di accumulazione e forme di polarizzazione sociale nell’ambito delle varie realtà contadine cfr. l’ampia rassegna di Theodor Shanin, The Nature and Logic o f the Peasant Economy, IL Diversity and Change, III. Policy and Intervention, in “The Journal of Peasant Studies”, 1974, vol. I, n. 2. Tra i meccanismi indicati da Shanin, quelli della divisione della terra per srasmissione ereditaria appare come uno dei più efficaci nella realtà meridionale. Si veda per l’esistenzaione della terra per trasmissione ereditaria appare come uno dei più efficaci nella realtà meridionale. Si veda per l’esistenza del fenomeno — ma senza sviluppi analitici apprezza­ bili — Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, VI, Sicilia, To­ mo I, Relazione del delegato tecnico G. Lorenzoni, Roma, 1910, p. 464; IV, Campania, Tomo I, Relazione O. Bor- diga, Roma, 1909, pp. 234-235. II, Abruzzi e , Tomo I, Relazione C. Jarech, Roma, 1909, p. 50; V, Basilicata e Calabria, Relazione, E. Marenghi, Roma, 1909, p. 589. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 59 di perfezionamenti più o meno importanti, la costante aspirazione, il desiderio intenso, il storia dell’agricoltura occidentale22. Una tec­ sogno di tutte le notti, il pensiero che non lo nologia peraltro avviluppata entro i meccani­ lascia un minuto”25. smi di deperibilità che per tutta l’età precapi­ Necessariamente, salvo le possibili fortune talistica ha profondamente minato la durata individuali, l’ordine generale delle cose dove­ di ogni capitale costante. Come ha ricordato va apparire come condannato a riprodurre Braudel sulla scorta di Kuznets, nella realtà ciò che era già esistito. La normalità, la real­ d’ancien régime, “La stessa terra è un capita­ tà vissuta come condizione immodificabile, le assai fragile: la sua fertilità si distrugge poteva d’altra parte essere momentaneamen­ d’anno in anno; di qui quelle rotazioni che te infranta solo per l’irrompere di forze ma­ non finiscono mai di avvicendarsi; di qui, la giche, per la sospensione momentanea di un necessità delle concimazioni (come crearne in incantesimo. E non a caso tale possibilità si quantità sufficienti?)”23. È difficile immagi­ verificava solo nelle notti delle feste solenni, nare, da questo tipo di economia, la nascita quando gli animali parlavano e le fontane di una cultura popolare che avesse del futuro davano latte o oro: secondo cioè una visione un’idea profondamente dissimile dal passato del tempo che riproduceva ciclicamente le che aveva alle spalle24. L’avvenire aveva po­ proprie lunghe necessità e le proprie brevi che premesse da fare, salvo l’insperato arric­ possibilità26. chimento individuale, legato alla ruota della Entro tale quadro generale si illumina di Fortuna e al reperimento di tesori nascosti. una luce ulteriore l’attaccamento dei conta­ L’impossibilità di contare sull’avvenire dini alle vecchie pratiche agronomiche, il lo­ spingeva infatti a sperare su ciò che il passato ro cosiddetto tradizionalismo. Esso possede­ e la sua remota ricchezza potevano aver la­ va — come è stato chiarito — una sua pro­ sciato in eredità “La Trovatura — ricordava fonda razionalità: quella di erigere una dife­ Salomone-Marino — ossia il tesoro nasco­ sa contro i rischi connessi all’attività agrico­ sto, con o senza incantagione, è pel villico la la, messa a riparo da innovazioni e sperimen-

22 B.H. Slicher Van Bath, The influence o f economic conditions on the development o f agricultural tools and ma­ chines in history in Mechanization in Agriculture, edited by J.L. Meij, Amsterdam, 1960. 23 F. Braudel, Civiltà materiale economia e capitalismo, II, Igiochi dello scambio, Torino, Einanudi, 1981, p. 243. Sui limiti tecnici della produzione contadina meridionale cfr. Gérard Delille, Agricoltura e demografia nel Regno di Napoli, Napoli, Guida, 1977, pp. 131-132. 24 Si ricordi, a questo proposito, che una forma di lotta ricorrente nelle società rurali, l’usurpazione delle terre, a lungo è stata accompagnata da una ideologia del recupero della vecchia legalità infranta dalle occupazioni. Cfr. per un esame comparato, che comprende anche l’Italia meridionale — su cui peraltro esiste vasta bibliografia — Eric Hobsbawm, Peasant Land Occupations, “Past and Present”, 1974, n. 62. 25 S. Salomone-Marino, Costumi ed usanze, cit. p. 302. Si veda inoltre — ma la bibliografia sul tema è alquanto ric­ ca — V. Dorsa, La tradizione greco-latina, cit. p. 23 sgg.; Giovanni Pansa, Miti, leggende e superstizioni dell’Abruz­ zo (Studi comparati), I, Roma, 1924, p. 41 sgg. 26 Per la diffusione di queste credenze, relative alla notte di Natale, di Capodanno e dell’Epifania cfr. V. Dorsa, La tradizione, cit., p. 35; G. Finamore, Credenze e usi, cit. pp. 80-81; Emiliano Giancristofaro, Il Mangiafavole. In­ chiesta diretta sul folclore abruzzese, Firenze, Olschki, 1971, p. 285. Su questo tipo di rappresentazione del tempo: “Nelle leggende di castelli, città, monasteri, chiese scomparse per sortilegio la maledizione non è mai definitiva, ma si rinnova periodicamente ogni anno, ogni sette anni, ogni nove anni; alla data precisa della catastrofe, la città risor­ ge, le campane suonano, la castellana esce dal suo ritiro, i tesori si aprono, i guardiani si addormentano: ma all’ora stabilita l’incantesimo si chiude e tutto sparisce. Questi ritorni periodici sono già sufficienti a dimostrare che le stesse date riportano gli stessi fatti”. (Henri Hubert e Marcel Mauss, Studio sommario della rappresentazione del tempo nella religione e nella magia, in L ’origine dei poteri magici, Roma, 1977, pp. 207). 60 Piero Bevilacqua tazioni pericolose27. Ma tale paura e rifiuto te tecnico, ma sempre avvolte entro criteri di del nuovo, trovava altre ragioni nei meccani­ valore più generale, che coinvolgevano l’eti­ smi di conservazione, interni al mondo con­ ca familiare e comunitaria. tadino, al di là dei limiti materiali (e certo in Formule apodittiche, oscure spesso nella ragioni di questi) dell’assetto agrario. La pe­ loro reale motivazione, e proprio per questo culiarità dell’atteggiamento nei confronti del in grado di esercitare sulla mente dell’adole­ passato nasceva anche dai particolari mecca­ scente il fascino delle cose misteriose e indi­ nismi di trasmissione della cultura orale. È scutibili. D’altra parte, gli insegnamenti pro­ largamente noto che le conoscenze tecniche, venivano dall’alto, dal più vecchio ed esper­ nel mondo contadino, venivano apprese dai to, cui si doveva ubbidienza, rispetto, affetto giovani all’interno della famiglia, dalla boc­ filiale, riconoscenza, secondo norme di com­ ca dei padri e dei nonni28. Tutto ciò non ave­ portamento che regolavano la vita interna va solo effetti sul terreno del conservatori­ della famiglia e la sua riproduzione. E occor­ smo agronomico, che è l’aspetto su cui gene­ re anche aggiungere che per il giovane, l’ac­ ralmente insistono gli scrittori contempora­ cesso alle conoscenze del mestiere costituiva nei di cose agrarie. Tale meccanismo, in real­ una forma evidente di promozione, di intro­ tà, introiettava nella psicologia delle genera­ duzione quasi iniziatica al mondo degli adul­ zioni emergenti ben più vaste e complesse ti:' con tutto quello che prometteva per la sua trame di valorizzazione del passato. Occorre futura possibilità di lavoro autonomo e di infatti ricordare, innanzitutto, che per quan­ fondazione del proprio nucleo familiare. Si to riguardava le norme per la conduzione trattava, dunque, di un apprendimento sa­ dell’attività produttiva la possibilità di una cralizzato, carico di implicazioni simboliche loro ‘verifica falsificante’, non solo si pre­ e di contenuti etici e sentimentali. Violarlo si­ sentava, per il giovane contadino, come ri­ gnificava operare una forma di tradimento. schiosa — per il possibile fallimento del rac­ Per questa ragione, nel contesto della vec­ colto — ma come aperta trasgressione. Al di chia società rurale, l’innovazione assumeva il là dei ristretti limiti materali entro cui a lun­ significato di insubordinazione: cercarla e go è dovuta mantenersi ogni possibile inno­ praticarla non era possibile senza viverla co­ vazione nell’economia contadina, tentare il me colpa. Il passato, dunque, restava la sede nuovo significava trasgredire delle norme di della conoscenza e della saggezza: in esso si contenuto morale, violare alcune regole fon­ condensavano esperienza e valore morale, damentali su cui si reggeva l’intera comuni­ conseguibili solo da chi vi si adeguava. La tà. Le norme di lavoro, infatti, non erano persistenza tenace di molti elementi mitici mai presentate solo nel contenuto meramen­ nella cultura contadina contemporanea ha

27 Witold Kula e Jacek Kochanowicz, Contadini, in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1978, voi. 3, pp. 920-921. Sui vari elementi e meccanismi che presiedono alla conservazione della realtà contadina si veda inoltre T. Shanin, The nature and logic o f The Peasant Economy. \.A Generalisation in “The Journal of Peasant Studies”, 1973, vol. I, n. I. Sulle resistenze alle innovazioni tecniche, per ragioni di conservazione sociale, cfr. Eric. J. Hobsbawm, The social function of the past, “Past and Preasent”, 1972, n. 55. 28 Cfr. S. Salomone-Marino, Costumi e usanze, cit. p. 14, G. De Giacomo, I!popolo di Calabria, Trani, 1899, voi. II, p. 152: sul “cieco empirismo agrario” in Puglia; Carlo De Cesare, Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre province di Puglia, Napoli, 1859, p. 80. Esemplificazione delle massime correnti nell’ampia e ben commentata raccolta di Francesco Mino-Palumbo, Proverbi agrari, Palermo, 1859; cfr. inoltre Giuseppe Scafo- glio, Le cerealicultura nei proverbi calabresi di Bocchigliero, “Il folklore italiano”, 1924, fase. II e IV. Sulla ‘educa­ zione’ agraria del contadino meridionale, come fatto culturale totale, Manlio Rossi Doria, L ’educazione dei contadi­ ni, in Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno, Bari, 1958, pp. 25-27. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 61 ubbidito anche a questa necessità più genera­ sempre di più — man mano che il dominio le, soprattutto quando la loro funzione spe­ reale sulle cose si fa strada anche nel mondo cifica si era ormai dissolta: conservare, di contadino — il suo compito sostanziale ap­ fronte all’incalzare dei segni di mutamento, pare sempre più quello di offrire elementi di un canale di comunicazione con questo mon­ risarcimento a un mondo violato nelle sue re­ do-valore che era il passato. Un porto di si­ gole culturali, ma pur sempre materialmente curezza di fronte all’angoscia prodotta indifeso. Per tale ragione, indipendentemen­ dall’apparire di realtà inedite e ignote. Sicu­ te dal possibile intervento dei ceti dominanti, rezza: parola chiave per comprendere molte già nelle condizioni mentali delle popolazio­ cose del comportamento degli uomini nelle ni, è possibile rinvenire l’esigenza di un biso­ società del passato. E non solo di quelle. gno insopprimibile: quello di assegnare al Ma c’è ancora un altro aspetto, un lato patrimonio culturale tradizionale una fun­ inesplorato dei quadri mentali del mondo zione di consolazione, e per ciò stesso di ma­ contadino su cui occorre brevemente soffer­ scheramento della realtà. Di fronte a una marsi. È, se si vuole, un aspetto inquietante, condizione precaria, perennemente esposta e difficile da accettare, ma che ci aiuta a com­ minacciata, di fronte alla miseria materiale, prendere con spregiudicatezza le dimensioni quegli uomini si difendevano anche copren­ del dominio in una zona decisiva della socie­ do la reale nudità delle cose: attraverso la tà del passato. continua messa in gioco di un universo illu­ Le condizioni di vita, la realtà materiale in sorio e fantastico. “E non solo i giorni — cui si alimentava il pensiero magico dei con­ scriveva il De Giacomo — ma tutti gli atti tadini — o che comunque contribuiva alla della vita sono causa di superstizioni; e par­ conservazione di una attitudine alla visione lano i fiori, gli alberi, il vento, la pioggia, gli magica — era anche alla base di un atteggia­ uccelli, tutti gli animali”30. Era un immagi­ mento più generale dei ceti popolari di fronte nario collettivo, estremamente ricco e artico­ alla propria esistenza. Forse proprio la fase lato, oggi in gran parte dissolto, che veniva storica in esame, in cui processi di mutamen­ chiamato a riempire di eventi straordinari, di to entrano con crescente rapidità entro strut­ possibilità, di senso, una vicenda esistenziale ture mentali di lunga durata, ci dà la possibi­ che rischiava di apparire, ad ogni occasione, lità di assistere a un mutamento accelerato di nella sua desolata inutilità. Di qui il rapporto funzione della cultura magica. Questa tende continuo, collettivo, con il materiale dei so­ a perdere sempre più la propria originaria gni e i codici della loro interpretazione. Di tensione strumentale: di tentativo di control­ qui il bisogno quotidiano, minuto, della divi­ lo tecnico della natura e di difesa dal negati­ nazione, anche la più umile: quale tentativo vo e dal rischio29. Tensione che certo perdu­ di esorcizzare il futuro, di incanalarlo sotto rerà a lungo, in una molteplicità di manife­ un segno fausto, di ricondurlo a una norma stazioni. E se ne farà cenno più avanti. Ma quotidiana31.

29 È evidente — sin nelle parole usate — che per questo secondo aspetto del pensiero magico ci si riferisce agli studi fondamentali di Ernesto De Martino (cfr. essenzialmente II mondo magico, con introduzione di C. Cases, Torino, Boringhieri, 1981; Morte e pianto rituale, Torino, Boringhieri, 1975). 30 G. De Giacomo, Il popolo di Calabria, cit., II, p. 190. 31 Per i sogni come oggetto di discussione collettiva, tramite magico che mette in comunicazione con una dimensione extraumana cfr. essenzialmente Giuseppe Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni, in Terra d ’Otranto. Con un aggiunta di canti e fiabe popolari', Bologna, Forni, 1970 (ristampa anastatica dell’ed. di Firenze 1893) p. 23; E. Gian- cristofaro, Il mangiafavole, cit. p. 161; Giovanni Tancredi, Folklore garganico, Manfredonia, 1938, pp. 101-103. 62 Piero Bevilacqua

La cultura popolare dunque si svolgeva se­ ganizzazione sindacale agricola del Mezzo­ condo i meccanismi di una funzione triplice; giorno: “Le genti che abitano i campi in ge­ di interpretazione del mondo, di consolazio­ nerale adusate a tutte le privazioni di una vi­ ne esistenziale, di camuffamento della realtà. ta stentata e laboriosa, abituata a ricevere Per quest’ultimo aspetto è importante qui poco compenso da continui lavori, sempre considerare un risvolto di grande rilievo: spettatrici del modo lento e costante con cui l’atteggiamento popolare di fronte ai rappor­ formansi i prodotti agrari, poco desiose di ti di dominio subiti. Com’era vissuto, riela­ novità e di agi domestici, difficilmente pre­ borato, questo dato fondamentale della con­ stano ascolto e con manifesta indifferenza dizione popolare? Non v’è dubbio che un accolgono le abbaglianti promesse”32. tratto peculiare di tale rielaborazione era da­ Non si vuole qui, naturalmente, accredita­ to dalla tendenza, da parte dei contadini, ad re una specie di metafisica popolare della eternizzare il proprio rapporto di dipenden­ rassegnazione. L’umana aspirazione del con­ za. E si comprende perché. A lungo — anche tadino al miglioramento del proprio stato era a dispetto dei mutamenti di fortuna prodotti ovviamente grande. Ma non a caso questo nei rapporti fra i ceti dalla penetrazione capi­ era spesso ricercato nella forma più indivi­ talistica e dagli interventi di esproprio da duale e clandestina: quella del furto. Feno­ parte dello Stato — nelle zone più statiche meno destinato a intensificarsi con il proces­ del mondo contadino la memoria individua­ so di privatizzazione delle terre in senso bor­ le, familiare, collettiva, ha conosciuto solo ghese. E tale atteggiamento non solo nasceva l’uniforme continuità del passato. Essa non dalla coscienza della immobilità dei rapporti riteneva in sé fasi di rottura dell’ordine esi­ fra proprietari e lavoratori, ma aveva anche stente capaci di mutare le condizioni generali al suo fondo l’interiorizzazione dell’eterni­ di vita, né serbava tracce di cambiamento di tà delle gerarchie di potere incarnate dalle rotta nei destini sociali: se non come eccezio­ istituzioni. Colpiva non a caso, a metà Otto­ ne individuale, ventura di singoli. Una serie cento, un osservatore quale il De Cesare indefinita di generazioni che ripetono una “quell’aggiustar fede ai sogni di Barbanera parabola esistenziale sempre uguale a se stes­ sull’avvenire; quel commettersi al furto e sa era, in sostanza, la rappresentazione della scusarsi col motto già passato in proverbio: vicenda sociale che dominava la psicologia chi ara diritto, muore disperato', volendo con delle popolazioni. Ancora nell’ultimo quarto questo dire che l’onestà frutta miseria; quel dell’Ottocento, uno scrittore pugliese così proclamare e tener fermo che le leggi e i ma­ descriveva la situazione di una provincia che, gistrati sono fatti pei poveri e non pei ricchi e qualche decennio più tardi, sarebbe stata al potenti; quel maledire ai padroni, ed impre­ centro di una delle forme più avanzate di or­ care al destino che li fece miseri e plebei”33.

Per l’attitudine divinatoria ci si riferisce alle formule e ai riti svariatissimi di predizione di cui erano oggetti fiori, piante, l’acqua, il fuoco, gli oggetti più vari. 32 Sabino Fiorese, Il contadino nella terra di Bari, Bari, 1878, p. 12. 33 C. De Cesare, Delle condizioni economiche, cit. p. 81. Un panorama estremamente circostanziato delle ‘condizioni morali’ dei contadini meridionali a metà Ottocento — sempre distinte per sobrietà e ubbidienza da quelle degli altri ceti — nell’opera monumentale di Filippo Girelli, Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato. Ovvero descrizione topografica, storica, monumentale, industriale, artistica, economica e com­ merciale delle provincie poste al di qua e al di là del Faro e di ogni singolo paese di esse, Napoli, 1853, vol. II, Terra di lavoro. Capitanata. Molise. Principati, pp. 14, 76, 9 (con tale successione nel testo) e pas­ sim; vol. IV, Abruzzi, p. 27 e passim. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 63

Di fronte alla ripetuta, consolidata impo­ del potere, e riceverne i benefici in termini di tenza a mutare radicalmente la propria con­ sicurezza e di protezione. Cosi, una condi­ dizione, i contadini dovevano necessaria­ zione subita viene trasfigurata illusoriamente mente sublimare il loro stato, pensandolo co­ in scelta: quella dell’accettazione di norme di me sottoposto a leggi pressoché immodifica­ comportamento subordinato, assunte come bili. I proverbi della rassegnazione, di cui è regole etiche che orientano la vita collettiva. ricco il folclore del mondo contadino, sono Grazie a tale ‘scelta’ si è rassicurati della pro­ figli di questa necessità. Certamente il loro pria ‘normalità’, della propria identità agli contenuto reca spesso il marchio della cultu­ altri e della legittimità del proprio ruolo. Le ra egemone e, qua e là evidenti, i segni della strutture del dominio sembrano così trovare predicazione cattolica. Ma essi nascono an­ le radici più profonde della propria giustifi­ che, autonomamente, dal bisogno gratifican­ cazione nella coscienza degli uomini: costret­ te e normativo di ricondurre una esistenza al­ ti, per resistere all’ingiustizia del proprio sta­ trimenti insensata a un significato più vasto, to, a trasformare con un capovolgimento e nello stesso tempo dall’esigenza a vivere la ideologico, la necessità in valore. subalternità nei confronti dei ceti dominanti Si comprende dunque come tale funzione senza dover percepire resistenza perenne- consolatoria e difensiva della cultura popola­ mente come scacco e sconfitta. Una visione re avviluppasse poi i rapporti di classe e con­ realistica dei rapporti di forza non è soppor­ dizionasse profondamente la possibilità di tabile a lungo da chi deve subirli senza posse­ viverli nella loro realtà. È ciò che si cercherà dere gli strumenti, la possibilità materiale per brevemente di vedere. modificarli. La verità diventa una conoscen­ za inutile, e persino insopportabile se essa non può dar luogo a nulla che valga a cam­ Protezione e assoggettamento biare le cose: e perciò prima o poi, viene ri­ mossa, camuffata34. C’è una perversa, ma È stato giustamente osservato, a proposito del comprensibile gratificazione nell’accettare luogo fisico della famiglia contadina: “Già da un ordine che appare immodificabile di fron­ questi cenni emerge la funzione della casa co­ te a ogni tentativo di insubordinazione. L’in­ me fortilizio simbolico, in quanto sistema or­ giustizia, come la repressione, una volta inte­ ganico di protezione, che filtra il negativo riorizzata, diventa norma: criterio di orienta­ esterno contrastandone il potere invadente. In mento a cui riferirsi per non subire urti ri­ quanto spazio protetto, dunque, la casa è luo­ schiosi con l’ordine dato. Piegarsi ad essa si­ go deputato per la vita e, per ciò stesso, contro gnifica, in un certo senso, passare dalla parte la minaccia decisiva della morte”35.

34 Già il Di Nola aveva sottolineato, accanto agli elementi di ‘resistenza’ contro la cultura egemone, insiti nei fatti religiosi, la loro funzione accomodante e mistificatoria nel rapporto fra i ceti popolari e l’ingiustizia dei rapporti so­ ciali. Sul problema si tornerà più avanti. Si vedano ad ogni modo alcuni proverbi significativi in cui il disvalore è rap­ presentato da tutto ciò che esce fuori dall’ordine dato: meglio il marito zoppo che il “compare” imperatore (riferito alla donna); vale più il piccolo podere e non il feudo; campo felice con poco guadagno (cfr. G. Pitré, La famiglia, la casa, cit., p. 35; G. De Giacomo, Il popolo di Calabria, cit., p. 152; S. Salomone-Marino, Costumi e usanze, cit., p. 357: oppure altri in cui si è di fronte alla presa d’atto più cinica della realtà del potere: Attacca l’asino dove vuole il padrone', il padrone perciò è padrone: perché nonostante il torto deve avere ragione (G. Crimi-Lo Giudice, L ’educa­ zione della prole nel contado di Naso (appunti) in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, 1895, vol. XV). 35 Luigi Lombardi Satriani, Mariano Malegrana, Il Ponte di San Giacomo. L ’ideologia della morte nella società contadina del Sud, Milano, Rizzoli, 1982, p. 13. 64 Piero Bevilacqua

Ma il ‘potere invadente’, è ovvio, non è so­ tamento contadino nella comunità. La ricer­ lo rappresentato dalla morte, che ne costitui­ ca di protezione e di aiuto riguardava, in pri­ sce l’incarnazione estrema. Esso è dato, pre­ mo luogo, i presupposti elementari dell’esi­ valentemente, quotidianamente, dalle pres­ stenza: la vicenda dell’annata agraria. Espo­ sioni conflittuali che sulla famiglia esercita­ sta alle alee del tempo e del mercato, alle ma­ no le dinamiche della comunità. Per difen­ lattie e al flagello dei parassiti, l’agricoltura dersi, tuttavia, la famiglia ha bisogno di ser­ contadina aveva un estremo bisogno di tute­ rare i ranghi, di stringersi intorno a un capo la. Incapace di una difesa tecnica, che la met­ che promette protezione in cambio di ubbi­ tesse al riparo dai molteplici imprevisti che dienza. Come nelle comunità animali, “il insidiavano la vita produttiva della sua gallo difende da violenza ed ingiuria le sue azienda, egli chiamava in soccorso potenze galline, se mai qualche gallo del vicinato si superiori. Forze esterne a quel fragile mondo aggiri a contrastargli il dominio”36. in balia delle influenze più incontrollabili38. Nella famiglia patrilineare della società ru­ Ma tale richiesta di soccorso innescava poi rale meridionale questo meccanismo bivalen­ un corrispettivo meccanismo di assoggetta­ te passa, com’è naturale, attraverso l’assog­ mento, quanto meno psicologico, alla poten­ gettamento completo della donna. In lei, an­ za evocata: magica o religiosa che fosse. Ec­ cora a lungo, in età contemporanea, la su­ co un esempio molto significativo di un tale bordinazione al capofamiglia costituiva un meccanismo, registrato non da un folclorista dato culturale profondamente interiorizzato come potrebbe sembrare, ma da un tecnico e partecipe. Come riferiva Salomone-Mari- agrario: “Se l’oidio invade la vigna, se le ca­ no, le contadine siciliane cui veniva fatto no­ vallette danneggiano il campo, se le pioggie tare la eccessiva condiscendenza alla violenza sono più scarse del solito, il contadino corre dei mariti, solevano rispondere: “Il torto è in chiesa, paga le spese della processione e sempre di noi donne, che siamo cattive in pinguamento al pievano e porta in giro qual­ tutto, il marito è marito, egli è padrone an­ che immagine di santo, recita qualche pater­ che di ammazzarci, giacché noi non viviamo noster, intanto che le sue cose vanno di male •che per lui e siamo cosa sua affatto”37. in peggio, ed egli giudica, che i suoi peccati Ecco un bell’esempio dell’ambiguità dei erano enormi e merita questa punizione, che rapporti di potere nelle realtà precapitalisti­ per altro, il prete gli assicura, ché sono consi­ che: dove spesso alle vittime è assegnato il gli benevoli della Provvidenza, onde ravve­ compito di difendere l’oridine che le rassicu­ dersi a tempo”39. Laddove, come è evidente, ra e protegge nella loro subalternità. Ma il anche il fallimento dell’intervento superiore, meccanismo aveva, ovviamente, manifesta­ anziché fonte di dubbio si traduceva, per il zioni più estese, che riguardavano il compor­ contadino, in ragione di riconferma della

36 Raffaele Riviello, Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino, Potenza, 1893, p. 28. 37 Costumi e usanze, cit., p. 8. Sul ruolo della donna e sulla struttura autoritaria della famiglia, caratteristica domi­ nante delle realtà regionali del mondo contadino meridionale, si vedano alcuni esempi interessanti: Giuseppe Piag­ gia, Illustrazione di Milazzo. Studi sulla morale e su’ costumi dei villani del suo territorio, Palermo, 1853, p. 245 sgg.; G. Crimi-Lo Giudice, L ’educazione della prole nel contado di Naso, cit.; R. Serafino Amabile Guestalla, La parità e le storie morali dei nostri villani, introduzione di I. Calvino, presentazione di R. Leydi, Milano, Rizzoli, 1976, p. 61 sgg. 38 Si veda in proposito la bella pagina di Ernesto De Martino, Miseria psicologica e magia in Lucania (Resoconto di un ’indagine di sociologia religiosa), in Mondo popolare e magia in Lucania, a cura di R. Brienza, Roma Matera, Ba­ silicata editrice, 1975. 39 Bruno Battaglia, Relazione dello stato agricolo-zootecnico della Calabria Citra, Napoli, 1870, pp. 83-84. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 65 propria subordinazione e di autoafflizione messi in atto a fini di protezione. Tutta la vi­ personale. ta degli individui ne risulta come impigliata In verità, l’esigenza e la richiesta di prote­ in una maglia sottile e tenace. Sin dalla nasci­ zione costituivano una tensione psicologica e ta, il bambino — circondato da non pochi culturale costante, che attraversava come scongiuri ed esorcismi — era affidato alla una corrente invisibile, ma emergente di vol­ protezione simbolica di un padrino. Questo ta in volta in un pullulare di simboli, l’intera ‘rito di passaggio’ cristiano che è il battesi­ vita comunitaria. Dall’individuo alla fami­ mo, viene caricato di una funzione con un glia, dalla casa al paese, tutti avevano biso­ evidente risvolto sociale: assegnare al nuovo gno di una protezione speciale, di un pa­ nato un protettore — da scegliersi auspica­ trono40 che s’incaricasse di sbarrare la strada bilmente fra le famiglie abbienti — da cui ri­ ai disordini della natura, alle minacce quoti­ cevere in futuro aiuto in casi di necessità, oc­ diane del caso, alle invidie degli uomini. casioni di lavoro, favori e vantaggi di cui Quanto più forte era il bisogno di sicurezza usufruire nella comunità, e il tutto in cambio tanto più assidui e ripetuti erano i dispositivi di rispetto, ubbidienza ed eventuali presta­ che moltiplicavano le potenze chiamate a zioni gratuite. fronteggiare una realtà ostile e umanamente Il Cirelli, soffermandosi a esaminare il ri­ incontrollabile. Di qui l’evidente insufficien­ to del battesimo a Latronico, in Basilicata, za — di fronte agli immutati limiti tecnici del avanzava delle riflessioni che penetrano be­ dominio sulla natura — degli elementi sim­ ne nello spirito dell’istituzione. Esse svelano bolici e rituali della religione cattolica. Di qui in parte le illusorie motivazioni che ispira­ la dilatazione e strumentalizzazione in senso vano i contadini ma al tempo stesso, incon­ magico dei vari strumenti del culto cristiano, sapevolmente, il lato mistificatorio di una piegati ai bisogni elementari di una protezio­ ideologia in cui essi stessi si lasciavano im­ ne più ravvicinata e concreta41. Rispetto al prigionare: “Altra costumanza è qui rimar­ mondo attuale, l’intervento culturale nelle chevole; il chiedere cioè di tenersi al S. Fon­ realtà precapitalistiche rivela tutta la sua ra­ te i loro bamboli da gentiluomini e gentil dicale diversità. La sua funzione fondamen­ donne, secondo il sesso. È una specie di pa­ tale — di fronte alla povertà estrema di mez­ tronato affettuoso, cui il povero si sottopo­ zi di intervento nella realtà materiale — sem­ ne verso il potente [...] Eppure quest’uso bra essere quella di una riplasmazione men­ che sembra da nulla ha un suo profondo si­ tale continua, con vecchi materiali culturali, gnificato. Scomparisce la dissuguaglianza dei fatti e degli avvenimenti che si vanno pro­ mercé il legame dell’amore: è un rapporto ducendo. dippiù che si viene a creare, scevro da ogni Ma qui interessa, in maniera fondamenta­ invilimento, da ogni degradazione, che po­ le, l’esame degli intrecci di potere, a livello ne in relazione intima le famiglie e anche i diffuso, cui mettevano capo i vari dispositivi successori di esse”42.

40 Sui patroni meridionali cfr. G. Galasso, L ’altra Europa, cit., p. 81 ssg. 41 Si veda — in una bibliografia peraltro molto vasta — R. Corso, Riti e pratiche popolari contro la siccità, in “Folklore italiano”, 1933; Santipluriali in Calabria, in “Folklore della Calabria”, 1961, fase. 13; Maria Conte, Tra­ dizioni popolari di Cerignola, con una lettera di G. Pitré, Cerignola, 1910; (sugli scongiuri contro il maltempo) G. Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni, cit. p. 33; (su amuleti e scongiuri delle donne contro l’aborto) ecc. Sul rapporto fra tali forme di religiosità popolari e il culto cattolico, Gabriele De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971; Chiesa e religione popolare nel mezzogiorno, Bari, Laterza, 1978. Cfr. inoltre gli elementi di discussione introdotti da G. Galasso, L ’altra Europa, cit., p. 133 e passim. 4" Il Regno delle Due Sicilie, cit., vol. Ili, p. 28-29. 66 Piero Bevilacqua

Significativamente il battesimo era in ge­ si svolgeva anche al di fuori di questo e attra­ nere caratterizzato da un elemento rituale versava la vita sociale con moduli ed espres­ volto a rafforzare il vincolo di comparatico: sioni molteplici. Era la relazione tra proprie­ l’impedimento, fatto al padre del bambino, tario e contadino che dava continuamente vi­ di entrare in chiesa. Quasi che egli “dovesse ta a forme di finzione rituale in cui il rappor­ per breve tempo dimenticare ogni vincolo di to di subalternità-protezione veniva di volta sangue e di parentela naturale per meglio ri­ in volta riproposto, sollecitato. In quest’am­ conoscere e raffermare il novello diritto del bito rientrava con pienezza la simbologia del patrino”43. Nell’esistenza di tale istituto si dono, così come era praticata nelle società può distintamente intravedere una sorta di agrarie sino a poco tempo fa. Il problema traslazione di classe, lo sforzo simbolico di meriterebbe, ovviamente, ben altri appro­ trasferire la condizione di proletario in quel­ fondimenti. Ma qui basti qualche cenno si­ la di ‘figlio’ del possidente, attraverso il vin­ gnificativo. Salomone-Marino riferisce la co­ colo di una parentela artificiale, ma resa in­ stumanza, un tempo estesa a tutta la Sicilia, dissolubile e solenne dalla sanzione religiosa. e poi ristrettasi al Messinese, per cui i coloni, Esso rappresentava, indubbiamente, il mo­ in occasione di particolari feste (il Sabato mento rituale di una strategia, approntata santo, a Natale, il giorno della festa del pa­ dai ceti popolari anche per aprire un dialogo trono) si recavano dalla campagna a portare con i settori possidenti della comunità, per il tributo o donu ai proprietari delle terre. I attivare uno scambio in cui la riconferma doni, consistenti in beni in natura, assume­ simbolica delle gerarchie di classe potesse vano una funzione ulteriore rispetto alla loro fornire i vantaggi relativi di cui quell’assetto natura di elargizione consuetudinaria: aveva­ sociale era, in determinata misura, capace. no lo scopo di provocare una risposta, con In questo caso la richiesta di protezione al altri doni, da parte del ricevente: “Il tributo, padrino suonava riconferma e accettazione ad esser giusti — ricordava il nostro autore del suo potere e del suo prestigio nella comu­ — è tutto a vantaggio del contadino, e tribu­ nità, in cambio di possibili vantaggi materiali tario è di fatto il padrone”, che era costretto e di una garanzia psicologica di sicurezza. In­ a ricambiare con beni più costosi44. La con­ dubbiamente, visti dal basso, i rapporti di suetudine era durata a lungo in Calabria. A potere mostrano le attive solidarietà a cui co­ Natale — come ricorda l’Angarano — “i stringono i ceti che li subiscono. E fanno contadini recano in dono ai proprietari ter­ altresì comprendere le trame di complicità rieri u capuni (il cappone) oppure cesti di ideologica in cui essi vengono continuamente frutta invernale e i padroni ricambiano col avvolti per renderli e farli vivere come natu­ regalo di nove cose, come vino, torrone, zep- rali, come normali. pole e dolci che variano a seconda dei luo­ Il meccanismo esaminato, in cui si combi­ ghi”45. Anche in , a metà Ottocento, nava richiesta di protezione e offerta sponta­ “Nella vigilia di Natale le persone del basso nea di assoggettamento, non era esaurito, popolo recano in dono alle case civili de’ fa­ tuttavia, dall’istituto del comparatico. Esso sci di legna o un grosso tronco d’albero, che

43 R. Riviello, Ricordi e note, cit., p. 9. Si veda anche la formula di rito usata in Abruzzo in Antonio De Nino, Usi abruzzesi, I, Firenze, 1879, p. 126. Un giudizio giustamente critico su quest’opera — che qui è usata sul piano mera­ mente informativo — in G. Pansa, Miti, leggende e superstizioni, cit. p. VI. 44 S. Salomone-Marino, Costumi e usanze, cit., p. 224. 45 Francesco Antonio Angarano, Vita tradizionale dei contadini e pastori calabresi, Firenze, Olschki, 1973, p. 288. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 67 chiamano ‘Lu truocco di Natale’, per averne D’altronde, forse che non erano anche i compenso in salami, formaggio od altro ge­ rapporti di lavoro, fra proprietari e lavora­ nere di commestibili. Nel dì primo dell’anno, tori, avviluppati in un involucro di finzioni alcune donne del popolo medesimo son solle­ in cui veniva camuffata a talora rovesciata, cite di recare delle conche di acqua; che di­ sin nel linguaggio, la realtà del dare e del mandano l’acqua nuova, per avere pure si­ ricevere? Ricorda il Riviello: “Innanzi la mile compenso”46. chiesa si faceva il patto, o prezzo, e diceva- Come nella figura del dono, studiata si: promettere, quando un bracciale aveva dall’antropologia contemporanea, l’offerta dato la parola di prestare la sua opera per aveva lo scopo di impegnare e render debito­ quel giorno; e spromettere, allorché si la­ re il ricevente47. Ma è evidente che nella ri­ sciava l’uno per aiutare l’altro che dava chiesta, da parte del contadino, di un’offerta qualche grano di più”. Ed “aiutare si dice­ più sostanziosa si esprimeva un implicito si­ va quel prestare ad altri il proprio lavoro gnificato simbolico: la sottolineatura, a fine per mercede”49. di una riconferma del rapporto di protezio­ Nelle campagne di Caltanissetta nei rap­ ne, della propria subalternità e dell’altrui po­ porti di mezzadria, il proprietario era obbli­ tenza. È evidente che non sempre è possibile gato a dare il soccorso (dari lu succursu) lun­ ricondurre a un significato univoco riti che go l’annata agraria al colono, in quantità de­ hanno talora una loro varietà locale e che si terminanti di grano che poi venivano resti­ collegano a circostanze e a tradizioni proba­ tuite50. Ma aveva ricordato anni prima, non bilmente diverse tra loro. Il problema merite­ senza stupore, il Sonnino: “In molti luoghi vi rebbe comunque un approfondimento che va è una consuetudinarie che impone quasi al al di là delle possibilità di queste note. Ciò padrone di prestare una certa quantità di fa­ che comunque la presenza del rito del dono ve o di grano come soccorso al contadino, se­ fra padroni e contadini mostra — al di là di condo la estensione della terra concessa”. ogni possibile variabile di luogo e di funzioni Tale soccorso, naturalmente, non era poi so­ collaterali — è la ricerca di una forma simbo­ lo pagato in termini di devozione assoluta da lica di pacificazione, di un rafforzamento parte del contadino, ma anche con la sua re­ personale dei vincoli, che rischiano di appa­ stituzione in natura, maggiorato dell’interes­ rire nella loro nuda contrattualità e perciò se del 25 per cento, per solo sei-sette mesi di nel loro reale antagonismo48. durata del credito51.

46 Cirelli, Il Regno delle Due Sicilie, cit., vol. IV, p. 27 il rito è registrato in Castel di Sangro. 47 “L’istituzione del dono assume allora un rilievo sorprendente. Al tempo stesso esso rivela un altro tratto parados­ sale: il dono che sancisce con tanta evidenza una relazione d’amicizia appare, a un esame più approfondito, come una sfida. Accettare di ricevere non sempre è un fortuna, poiché questo significa impegnarsi a rendere, e se possibile a rendere di più” (François Poillon, Dono, in Enciclopedia, Torino, Einaudi, 1978, p. 107. La voce è costruita intor­ no al saggio fondamentale di M. Mauss). Per la diffusa pratica del dono da parte dei coloni nei giorni di Natale, in Abruzzo, cfr. anche G. Finamore, Credenze usi e costumi, cit., p. 63. Per la Calabria, anche V. Dorsa, La tradizione greco-latina, cit., pp. 135-136. Si veda altresì l’analisi della questua di Sant’Antonio abate che ci offre il Di Nola “l’esempio più impressionante di una sottomissione dell’uomo al male storico e un ricorso a meccanismi cerimoniali di rifondazione periodica dell’ingiustizia” (Gli aspetti magico-religiosi, cit., p. 22 e p. 196). 48 Sulla personalizzazione dei rapporti sociali che inibisce una permanente consapevolezza di classe cfr. Eric Hobs- bawm, Peasant and Politics, in “The Journal of Peasant Study”, 1973, vol. I, n. 1, pp. 7-8. 49 R. Riviello, Ricordi e note, cit., p. 97. 50 F. Pulci, Consuetudini che governano le proprietà dei terrieri coltivate in comune di Caltanissetta in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, 1896, vol. XV. 51 Sidney Sonnino, I contadini in Sicilia, Firenze, 1877, p. 89. 68 Piero Bevilacqua

In provincia di Reggio, in Calabria, anco­ sistema di protezione intorno all’individuo ra all’indomani dell’Unità, il rapporto fra i lungo il corso della sua vita aveva poi un ri­ massari e foresi (coloni) era scandito da un svolto sociale che apparirà sempre più evi­ calendario di regalie consuetudinarie. Esse, dente man mano che gli aspetti magico-pro- certo, costituivano una forma di integrazio­ tettivi dell’istituzione andranno affievolen­ ne salariale, ma per l’occasione della loro dosi. Esso si inscriveva in una strategia più elargizione — le feste solenni — e per il loro ampia e articolata di alleanze che non si arre­ stesso contenuto, assumevano il significato stava al dialogo fra le due ali dello schiera­ di un dono che accresceva la dipendenza per mento sociale, ma che attraversava l’intera, così dire ‘familiare’ del lavoratore dal padro­ comunità. Significativamente — come spes­ ne: “Nel dì del Natale e propriamente la vigi­ so accade in queste realtà, dove i bisogni tra­ lia gli (ai coloni) si passano cinque o sei paia valicano le istituzioni esistenti che possono di a ciascuno: nella Pasqua la Sguta soddisfarli — la ricerca di padrini andava (così addomandata quella maniera di pane ben oltre le occasioni istituzionali in cui era coll’uovo che i napoletani chiamano casatiel- possibile guadagnarli. Così il ‘San Giovanni’ lo). Nel Carnovale e propriamente nelle ulti­ — cioè il comparatico più solenne, quello del me tre sere si passa loro della carne e mac­ battesimo — veniva in realtà istituito libera­ cheroni lavorati in casa di farina non molto mente e ripetutamente ad ogni ricorrenza fine. In tutti i giorni festivi che vengono in della festa del santo. In Abruzzo il De Nino paese ad ascoltar messa si fa loro da mangia­ riscontrava almeno quattro comparatici, che re”52. egli definiva ‘strambi’. “Il più semplice — ri­ Ma occorre cercare di guardare la società cordava fra l’altro — è il comparatico a maz­ rurale, per quanto è possibile, nella sua glo­ zetto. Nel giorno di san Giovanni si manda balità. E torniamo perciò, per un momento, su una guantiera un fiore o un mazzo di fiori al discorso interrotto. Nell’istituto del com­ con un bel nastro e talvolta con qualche og- paratico, queste realtà venivano inglobate e gettino d’oro. Chi lo riceve rimanda il maz­ inserite in una più variegata gamma di esi­ zetto nel giorno di san Pietro. E così sono genze. Non a caso, com’è noto, nuove figure fatti i compari e le comari.” Ma la pratica di padrini venivano create al momento della era quanto mai diffusa e generalizzata nei cresima e, più tardi, in occasione del matri­ centri rurali del Mezzogiorno ed essa investi­ monio. Occorre infatti ricordare che questo va, con rituali e formule più diverse, lo stesso ripetuto sforzo di erigere un vero e proprio mondo dei fanciulli53. Questo secondo ver-

52 Cfr. Giuseppe Antonio Pasquale, Relazione sullo stato fisico-economico-agrario della prima Calabria ulteriore, “Atti del R. Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli”, 1863, tomo XI, p. 187. Sempre in Calabria per l’offerta di lavoro, da parte dei proprietari, come ‘aiuto’ offerto ai contadini, si veda come si esprimeva il barone Ascanio Branca, relatore per quella regione dell’Inchiesta Jacini: “quando manca il lavoro e si è in annate tristissime per cui il proprietario non può portare aiuto” ecc. (A tti della giunta per l’inchiesta agraria sulle condizioni della clas­ se agricola. Relazione, Roma 1883, vol. IX fase. 1, p. 327). 53 A. De Nino, Vita tradizionale di contadini e pastori calabresi, cit. pp. 48-49. Si veda altresì, Vincenzo Padula, Stato delle persone in Calabria, a cura di C. Muscetta, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1967, pp. 28-29. Giuseppe Pitré, Usi popolari siciliani nella festa di S. Giovanni, Palermo, 1871, che contiene una gamma vastissima di comparatici simbolici. Si veda inoltre F. Piselli, Parentela ed emigrazione, pp. 48-53, che esamina altresì i risvolti di sfruttamento del lavoro connessi al comparatico. Uno spaccato che rivela un radicamento profondo dei rituali del dono nel mondo rurale — sino a coinvolgere gli stessi giochi dei bambini — in Raffaele Corso, I doni nuziali. Studio critico -compara­ to, in “Revue d’Ethnologie ed de Sociologie” (Publiée par l’Institut Ethnographique International de Paris), Pa­ ris. 1911. Quadri mentali nella società rurale del Mezzogiorno 69 sante dell’istituzione del comparatico, la sua della dignità personale. D’altra parte, come disposizione trasversale rispetto allo schiera­ spiegava icasticamente un proverbio sicilia­ mento gerarchico dei ceti, getta una luce ul­ no-comune, peraltro, ad altre aree rurali, e teriore su alcuni meccanismi fondamentali non soltanto italiane “chi ha terra ha guerra”. del comportamento politico dei contadini. Era nella natura particolare di questa fonte Qui appare evidente la funzione di tale istitu­ di ricchezza, e per i rapporti sociali cui dava to alFinterno della vita comunitaria. E per la luogo (questioni di confine, furti, contratti verità non è neppure necessario ricorrere di lavoro, diritti ecc.) essere sede di continui all’antropologia contemporanea per avere antagonismi55. Non era sfuggito questo chiarimenti. Un erudito della metà dell’Otto­ aspetto importante della società meridionale cento che già conosciamo, ce lo dice con sor­ al Franchetti: “È cosa straordinaria la defe­ prendente lucidità. Dopo aver passato in ras­ renza di quei campagnoli per il galantuo­ segna varie forme di comparatico del suo cir­ mo”, egli annotava. Ma non poteva fare a condario, il Pugliese aggiunge: “Pare in meno di osservare come tale atteggiamento somma che gli uomini per se stessi fragili e “contrasta con la violenza, spesso grandissi­ sospettosi, ma tendendo sempre a conservare ma, delle relazioni fra di loro”56. Probabil­ illibato il pudore, avessero escogitato tanti mente, l’osservazione — comune alle fonti mezzi da crearne tanti ostacoli per non in­ più attendibili che ho utilizzato — registra frangersi il rispetto scambievole, egualmente una fase storica nuova all’interno della vec­ che consci della loro debolezza avessero im­ chia società rurale: la dissoluzione sempre maginato tanti modi da legarsi per iscambie- più avanzata degli antichi istituti collettivi, vole soccorso”54. dei rapporti consuetudinari, dei vincoli co­ Ecco una semplice verità: dietro questo munitari. La penetrazione del capitalismo continuo sforzo di edificare istituti interper­ nelle campagne aveva già prodotto, anche sonali e interfamiliari di solidarietà si mani­ nel Mezzogiorno, le sue peculiari, frammen­ festava un bisogno fondamentale: quello di tate forme di individualismo agrario57. Forse riprodurre una socialità continuamente mi­ anche in ragione di questo nei molti istituti e nata dai suoi conflitti interni, minacciata di rituali presenti nella comunità — dal compa­ disgregazione. I ceti contadini — almeno per ratico reale o simbolico, alle offerte di pacifi­ quanto ci riguarda, fra Ottocento e Novecen­ cazione nei giorni di Pasqua (le cosiddette to — sono in primo luogo in guerra con se paci) ai meccanismi di coralità innescati dalle stessi prima che con altri settori della società feste ecc. — non è difficile rinvenire questa rurale. Una guerra che sorgeva sul terreno di esigenza di fondo: il controllo e l’esorcizza- ricorrenti contrasti reali, tanto di ordine eco­ zione del conflitto. Paradossalmente, pro­ nomico che psicologico e culturale: dai con­ prio perché la società rurale è percorsa da an­ flitti generati dalla piccola usura, ai contrasti tagonismi interni ed è minacciata nella sua connessi con i reciproci rapporti di lavoro, esistenza da forze avverse, non contrastabili dalle violente rivalità sessuali, alle inimicizie senza un’unità e solidarietà da ricomporre provocate da gesti e comportamenti offensivi continuamente, essa esprime una cultura che

54 G.F. Pugliese, Descrizione ed historìca narrazione dell'origine e vicende politico-economiche di Ciro, cit., II, p. 134. 55 F. Mina-Palumbo, Proverbi agrari, cit., p. 90. 56 Leopoldo Franchetti, Condizioni economiche ed amministrative delleprovincie napoletane, Firenze, 1875, p. 19. 57 In questa fase si verifica d’altronde il progressivo passaggio — che resta da indagare sotto l’aspetto storico — da parte dei contadini, da una rivendicazione degli antichi diritti consuetudinari alla richiesta di un accesso alla terra in forma di proprietà individuale (cfr. M. Rossi Doria, Riforma agraria, cit. pp. 21-22). 70 Piero Bevilacqua rifugge dal conflitto, che tende a rimuoverlo. dionali, limitatamente ad alcune aree pro­ Debolezza dei meccanismi interni della ripro­ duttive più avanzate, solo alla fine dall’Otto­ duzione sociale, e minaccia dall’esterno, fan­ cento. E per intervento dell’esterno del movi­ no della realtà contadina una società che ten­ mento socialista. Avvenimento quest’ultimo de a mascherare le divisioni e gli antagoni­ di grande rilievo, che metteva in contatto smi, a cancellarli, oltre che dalle proprie una forma di organizzazione e un corpo dot­ aspirazioni pratiche, dai propri orizzonti cul­ trinario, nati nel mondo urbano-industriale, turali. Un profondo conoscitore della storia con le logiche particolari della società rurale. lucana osservava — e certo l’osservazione Tuttavia la politica, che aveva in prevalenza meriterebbe più ampi riscontri — a proposi­ forme latenti e sotterranee di espressione non to dei racconti popolari, che essi raramente era certo assente dall’orizzonte del compor­ presentavano elementi di polemica e di sati­ tamento contadino59. Ma il problema che ri­ ra. Solo quando nel racconto erano coinvolti mane aperto è la comprensione di tale di­ i comuni vicini della stessa regione ciò si veri­ mensione: scoprire i meccanismi di una sog­ ficava. Non più di questo: “Ma (degno di no­ gettività collettiva molto diversa dalla no­ ta più che altro) niente contro i signori, con­ stra, in cui è possibile anche rintracciare i tro i baroni feudatari, contro i regnanti, nul­ sottili legami, gli incastri, che vincolano e al la: anzi di cattivi re non ne conoscono i cónti tempo stesso oppongono la condizione di su­ popolari; e ciò non per la prudenza terrena balternità alle forme del dominio. Si è di del proverbio — poco di Dio, punto del re — fronte ad un mondo tenuto insieme da ma­ ma perché il re è in terra la giustizia e la bon­ glie spesso invisibili di rapporti simbolici, tà di Dio. Ai cónti, alle fiabe veramente po­ che funzionano da fluido lubrificante, da polari ogni intenzione politica manca”58. “normalizzatore” dei rapporti sociali e di po­ Dunque, il mondo contadino costituiva tere. Esse ordinariamente sfuggono alle cate­ una realtà profondamente impolitica? A gorie dell’analisi economica e della storia po­ questa domanda si può dare una risposta af­ litica tradizionale. È questa, credo, una delle fermativa solo se con il termine politico si dà ragioni fondamentali in cui risiede, per la il significato che normalmente attribuiamo storia, l’interesse ad approfondire il proprio oggi a questa parola. In realtà, comporta­ dialogo con l’antropologia. menti politici in quest’ultima accezione co­ minciarono a penetrare nelle campagne meri­ Piero Bevilacqua

58 Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, II, Roma, 1889, p. 242. 59 Sul tema si veda la discussione — in parte già da me richiamata in queste note — ricostruita da Luisa Accati, Se i contadini siano soggetti politici: un dibattito su “The Journal o f Peasant Studies” in “Movimento operaio e sociali­ sta”, 1977, n. 4. Sulla ‘solidarietà verticale’ fra padrone e operaio, protettore e cliente, proprietario terriero e ‘fitta- volo’ che nell’Europa preindustriale agiva spesso a scapito di una solidarietà di classe, cfr. Peter Burke, Cultura po­ polare nell’Europa moderna, Milano, Mondadori, 1980, p. 172. Sui problemi connessi a una revisione storiografica dell’approccio marxista tradizionale (secondo i canoni della Seconda e Terza Internazionale) in Italia cfr. Anna Ros­ si Doria, La storiografia marxista sul movimento contadino dal 1945 a! 1956, in Mezzogiorno e contadini: trent’anni di studi, “Quaderni dell’Istituto Romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza”, 1981, n. 4.