Commedia Anni Trenta.Pdf
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italiana Storie di cinema Ringraziamenti Adriano Aprà per avere messo a mia disposizione il suo ricco archivio filmico permettendomi di vedere, o di rivedere, numerose commedie italiane realizza- te negli anni Trenta; Elena Mosconi, Stefania Parigi, Simonetta Salvestroni per aver letto il dattiloscritto del mio libro dispensandomi utili consigli; Francesco Pitassio per avere vigilato in modo discreto ma molto attento sull’elabora- zione del volume; Silvio Alovisio e l’anonimo peer reviewer per i preziosi sugge- rimenti. Infine, ringrazio la biblioteca Luigi Chiarini del Centro Sperimentale di Cinematografia, Fiammetta Lionti e Giancarlo Concetti per avere permesso di riprodurre le immagini 15, 18 e 42: le prime due sono copertine di spartiti musicali pubblicate in Fogli sonori. Gli spartiti della biblioteca Luigi Chiarini, CSC, Roma, 2012. A Michela Il presente volume è stato oggetto di doppia valutazione, da parte del comitato scientifico e di un anonimo valutatore Italiana Comitato scientifico: Silvio Alovisio, David Bruni, Mariapia Comand, Mariagrazia Fanchi, Giacomo Manzoli, Francesco Pitassio, Veronica Pravadelli, Federica Villa David Bruni Commedia anni Trenta © 2013 Editrice Il Castoro viale Abruzzi 72, 20131 - Milano [email protected] www.castoro-on-line.it In copertina: I grandi magazzini L’immagine proviene dall’Archivio Fotografico della Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia. Nell’impossibilità di rintracciare tutti gli aventi diritto, l’Editore si dichiara disponibile ad assolvere ai propri impegni e a regolare eventuali spettanze per quanto riguarda le immagini e i testi pubblicati nel presente volume. ISBN 978-88-8033-695-2 Questo libro è stampato su carta certificata, proveniente da foreste e piantagioni tutelate e gestite in maniera corretta e sostenibile. David Bruni Commedia anni Trenta Commedia anni Trenta IDENTITÀ DI UN GENERE Nell’estate del 1991 la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro dedica un’imponente retrospettiva alla commedia italiana degli anni Trenta, accompagnata dalla pubblicazione di una mono- grafia che costituisce a tutt’oggi forse il lavoro più organico su un fenomeno ricco di sfaccettature1. Tra i molteplici aspetti indagati e le differenti prospettive adottate, che, anche sulla scia di alcune proposte di lettura innovative provenienti d’oltreoceano2, compor- tano l’inedita messa a fuoco di un periodo cinematografico a lungo dimenticato, emerge un dato incontrovertibile: circa la metà dei film realizzati nel primo quindicennio del cinema sonoro sotto il fascismo è costituita da commedie. Nell’occasione Umberto Rossi, artefice di alcune statistiche assai utili, compie un censimento ri- conducendo ben 355 dei 736 film italiani approvati per la distribu- zione nell’alveo del genere che, dunque, «può ben essere ritenuto il segno distintivo del cinema dell’epoca»3. In linea con una consuetudine storiografica ormai consolidata, quando parliamo di cinema italiano degli anni Trenta ci riferiamo a un arco temporale più vasto che si estende dal 1930 al 1943, i cui estremi sono costituiti dalla realizzazione dei primi film sonori e dalla caduta del fascismo. Ed è inoltre inevitabile fare spesso ap- pello alla commedia quasi fosse un oggetto dai confini delimitabili con certezza, in modo da permettere di individuarne con facilità le caratteristiche predominanti e le dinamiche evolutive. Tuttavia, bisogna tener conto del fatto che da circa un ventennio alcuni dei contributi più significativi sui generi cinematografici hanno defi- nitivamente messo in crisi l’ottica tradizionale4, sottolineando, per converso, la complessità del processo di “generificazione”, frutto del convergere di numerosi fattori, instabili e mutevoli, al punto da 7 sollecitare «almeno quattro fonti di ricerca: lo studio dei testi filmi- ci e delle ricorrenze figurative, narrative, stilistiche; la ricostruzione dei sistemi produttivi da cui il film origina e dei sistemi distributivi che regolano i modi e l’intensità del suo impatto sociale; l’analisi delle reti discorsive in cui circolano e acquistano consistenza e ri- conoscibilità le immagini di genere; infine, la ricostruzione delle aspettative e delle esperienze dei pubblici»5. Proviamo a immaginare un ipotetico film che ci permetta di fissare alcune peculiarità ricorrenti nella commedia italiana degli anni Trenta. Si tratta evidentemente di cimentarsi in un esercizio di astrazione, tanto variegate sono le sfumature che differenziano un insieme di opere ritenute per comodità ben più unitarie di quan- to in realtà non siano. Ci sono d’aiuto il lemma di un autorevole dizionario della lingua italiana, l’etichetta con cui la critica cine- matografica coeva era solita identificare il genere di film allora più diffuso e le acute riflessioni di uno studioso. Secondo il Battaglia, il sostantivo commedia si riferisce, in una delle sue possibili accezioni, a una «vicenda, tratta in genere dal- la vita comune [che] si svolge attraverso vari casi divertenti, per risolversi in un lieto finale»6. D’altra parte, è sufficiente sfogliare qualche pagina di riviste specializzate dell’epoca per accorgersi che i recensori parlano spesso e volentieri di film “comico-sentimentali”, sottolineando la commistione di registri espressivi e di ingredienti narrativi abituali in buona parte della produzione sonora di epoca fascista7. Inoltre, a conclusione di una serie di osservazioni sulla commedia, Maurizio Grande osserva che il suo tema di fondo è «l’incorporazione di personaggi, comportamenti, stili di vita, valori che tendono verso una società nuova» e che una delle sue prero- gative ricorrenti è la capacità di mettere in scena «un mondo in movimento “da un certo genere di società a un altro”», soprattutto «nei periodi di profonde trasformazioni storiche»8. Quasi tutte le commedie degli anni Trenta raccontano storie ar- ticolate e ricche di equivoci che alla fine sfociano nella creazione di una nuova coppia felice di innamorati destinata a unirsi in matri- monio, secondo quanto suggerito dalla morale corrente. Questa è la regola, che tuttavia contempla non poche eccezioni: è, ad esem- pio, il caso di Patatrac (di Gennaro Righelli, 1931) e di Rubacuori 8 (di Guido Brignone, 1931), entrambi interpretati dal popolaris- simo Armando Falconi nei panni di un impenitente libertino di mezza età. Oppure è il caso di certe versioni cinematografiche di pièce teatrali scritte per lo più da Aldo De Benedetti, il cui finale sancisce la ritrovata armonia fra i coniugi di una coppia logorata dal ménage quotidiano e dunque tentata dall’evasione adulterina, solo sognata e mai concretamente sperimentata. Alla commedia non risulta estranea la comicità. Infatti, il ricorso ampio e sistematico a situazioni divertenti, che suscitino il sorriso se non l’ilarità dello spettatore, sembra connaturato al genere. Anzi, commedia e comicità sono intrecciate in modo così stretto da rende- re difficile il compito di individuare le linee di demarcazione fra due territori separabili forse solo in astratto. Eppure già alla critica degli anni Trenta non sfuggiva la necessità di distinguere un ingrediente costitutivo della commedia dal film comico vero e proprio che, a lungo invocato, farà capolino solo verso la fine del decennio, dopo l’entrata in vigore della cosiddetta “Legge sul Monopolio” voluta dal ministro Alfieri9, mentre invece «lo spirito comico alberga natural- mente nel corpo dei differenti filoni della commedia»10. Le differenze tra una commedia e un film comico sembrano innanzitutto legate alla costruzione del racconto, al grado di verosimiglianza della storia narrata, al legame con l’attualità del momento e con le aspirazioni – più o meno confessate – del pubblico; oltre che al differente tipo di coinvolgimento suscitato nel destinatario dal corpo dell’attore comi- co, immediatamente riconoscibile al suo solo apparire. Da una parte, dunque, la commedia propone un universo diege- tico familiare agli spettatori ai quali si rivolge assicurandosi la loro complicità grazie alla vicinanza con i personaggi principali, al centro di vicende contraddistinte da una progressione narrativa lineare de- stinata a concludersi di solito secondo un percorso di integrazione sul piano socio-economico. Dall’altra parte, il film comico delinea un universo che, pur ricco di richiami al vissuto quotidiano, appare insidiato da una forza narrativamente centrifuga, con il risultato di frammentare il racconto mediante una serie di gag e di suscitare reazioni di ilarità da parte degli spettatori senza preoccuparsi di ri- assorbire fino in fondo le fratture così create, talvolta senza neppure risolversi in un finale compiuto11. 9 Perciò non prenderemo in considerazione alcuni film comici come, ad esempio, quelli interpretati da Macario nel 1939 con la regia di Mattoli (Imputato, alzatevi! e “Lo vedi come sei… Lo vedi come sei?”). Se lo spirito comico anima tutte le commedie, la sen- sazione è che la sua presenza, inizialmente distribuita fra vari per- sonaggi, con il passare del tempo venga concentrata in uno solo di essi, per lo più interpretato da un caratterista che ha la funzione di assicurare altrettante brevi digressioni facilmente identificabili. Carlo Campanini, ad esempio, è impegnato spesso in questo ruo- lo di spalla comica con risultati efficaci in commedie come Dora Nelson (di Mario Soldati, 1939), La granduchessa si diverte (di Gia- como Gentilomo, 1940), Il birichino di papà (di Raffaello Mata- razzo, 1942). Ancora, sul versante della comicità dialettale, Virgilio Riento partecipa a commedie quali