WEB/ONLINE

RASSEGNA STAMPA Volume 6 - WEB/ONLINE Dal 4 all’11 luglio 2018 A cura dell’Ufficio Stampa: Renato Rizzardi Renata Viola Paola Marano Milena Cozzolino

Via Generale Orsini, 30 – 80132 Napoli (NA) 04 luglio 2018

"Scene da un matrimonio", a Napoli omaggio a Ingmar Bergman Martedì 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio ha reso omaggio al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Hanno debuttato in sequenza due allestimenti di “Scene da un matrimonio”, il primo firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, il secondo dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni (al Teatro Mercadante, ore 19) e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz (al Teatro Politeama, ore 21) nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Andrej Konchalovskij firma la sua regia italiana per lo Stabile di Napoli e per il Napoli Teatro Festival Italia, affrontando uno dei lavori più noti di Ingmar Bergman, Scene da un matrimonio, che sceglie di ambientare in Italia, a Roma. Ambientazione francese per la seconda versione, diretta da Safy Nebbou.

04 luglio 2018

NTF: un progetto su Bergman con Vysotsaya e la Casta. Mentre a Benevento c’è Luca Zingaretti

Ilaria Varriano

Martedì 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio rende omaggio al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Debuttano in sequenza due allestimenti di “Scene da un matrimonio”, il primo firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, il secondo dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni (al Teatro Mercadante, ore 19) e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz (al Teatro Politeama, ore 21) nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Sempre martedì 3 luglio Teresa Lodovico firma la drammaturgia e la regia di Anfitrione, con Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano di Cola, Giovanni Serratore (Teatro Trianon Viviani, ore 21). All’Osservatorio del NTFI debutta So here we are di Luke Norris, per la regia di Silvio Peroni (Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, ore 21.30). A Pietrelcina (Benevento), Luca Zingaretti è lettore eccellente de Il Cantico dei Cantici e altre storie (Teatro Naturale di Pietrelcina, ore 21.30). La serata si conclude al Dopofestival, nel Giardino Romantico di Palazzo Reale.

04 luglio 2018

“Anfitrione”, nuova produzione dei Teatri di Bari scritta e diretta da Teresa Ludovico, oggi 4 luglio in scena al teatro Trianon (piazza Vincenzo Calenda 9) di Napoli nell’ambito di Napoli Teatro Festival Italia, diretto da Ruggero Cappuccio, e organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival. Lo spettacolo, prodotto da Teatri di Bari, continua la sua tournée nazionale con Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano di Cola, Giovanni Serratore e il maestro Michele Jamil Marzella. Sei attori e un musicista si rincorrono vorticosamente alla ricerca della propria identità: è la commedia di Plauto che irrompe in un bollente e schizofrenico Sud, dove quel che si è non è sempre quel che si deve essere. Il doppio, la costruzione di un’identità fittizia, il furto dell’identità, la perdita dell’identità garantita da un ruolo sociale, sono i temi che Plauto ci consegna in una forma nuova, da lui definita tragicommedia, perché gli accadimenti riguardano dei, padroni e schiavi. In essa il sommo Giove, dopo essersi trasformato nelle più svariate forme animali, vegetali, naturali, decide, per la prima volta, di camuffarsi da uomo. Assume le sembianze di Anfitrione, lontano da casa, per potersi accoppiare con sua moglie, la bella Alcmena, e generare con lei il semidio Ercole. Giove-Anfitrione durante la notte d’amore, lunga come tre notti, racconta ad Alcmena, come se li avesse vissuti personalmente, episodi del viaggio di Anfitrione. Teresa Ludovico crea una coralità multiforme e tragica che però agisce come un contrappunto grottesco e farsesco in uno spazio che disegna doppi mondi: divino e umano. Un andirivieni continuo tra un sopra e un sotto, tra luci e ombre. Realtà e finzione, verità e illusione, l’uno e il doppio, la moltiplicazione del sé, l’altro da sé e il riesso di sé, si alterneranno in un continuo gioco di rimandi, attraverso la plasticità dei corpi degli attori, le sequenze di movimento, i dialoghi serrati e comici.

04 luglio 2018 Napoli Teatro Festival Italia: Scènes de la vie conjugale con Laetitia Casta Cristiano Luchini

Napoli Teatro Festival Italia: Scènes de la vie conjugale di Ingmar Bergman: Nel bellissimo contesto del Teatro Politeama, l’affascinante attrice e modella francese Laetitia Casta ha dimostrato tutte le sue qualità recitative, insieme al valente attore Raphaël Personnaz. – USuzanne na produzione SARQUIER D R A M in A accordo con la Fondation Bergman e l’Agence Josef Weinberger Limited a Londra. Napoli Teatro Festival Italia: Scènes de la vie conjugale. Scènes de la vie conjugale racconta il ventennio della vita di una coppia, vent’anni di amore e di odio e frustrazioni, di aspettative disattese e d’incomprensione. Un ventennio di verità e amare bugie, che galleggiano pericolosamente tra passione, paure e solitudine. Bergman scrisse in qualche mese Scènes de la vie conjugale. Girata per una diffusione esclusivamente televisiva, l’opera si compone di sei episodi da cinquanta minuti ciascuno. Napoli Teatro Festival Italia: Scènes de la vie conjugale. Dietro le maschere di Marianne e Johan, Laetitia Casta e Raphaël Personnaz, recitano in un francese, tanto morbido quanto graffiante, (con sottotitoli in italiano in background), d’istinto, di stomaco, di adrenalina. In una anomala e altalentante complicità, ciascuno dei due pretende fare da guida all’altro, cercando di prevaricarlo. Vivere da soli è insopportabile, ma vivere insieme si rivela estremamente difficile, se non impossibile. In oltre 2 ore di spettacolo, Laetitia Casta e Raphaël Personnaz, dimostrano importanti qualità recitative, grande intesa e forte pàthos, grazie soprattutto alla variegatezza di registri linguistici che offre la pièce. Napoli Teatro Festival Italia: Scènes de la vie conjugale. Abbiamo percepito lo spettacolo (atto unico), in 2 parti immaginarie: la prima la chiameremmo “Aspettando Godot”. I personaggi provano a vincere le annose incomprensioni attendendo un lieto fine, un accadimento, qualcosa che possa scuoterli e avvicinarli “affettivamente” e “sessualmente”. La seconda parte della pièce la chiameremmo “Catarsi”. I personaggi danno sfogo totale delle proprie debolezze e della proprie frustrazioni dando vita ad una catarsi di coppia che li porta a riconoscere in maniera tanto franca quanto dolente, i propri limiti. E’ un teatro intimista, passionale, animale, scevro da orpelli e sofismi. La musica è utilizzata in maniera diligente, e si rivela un mero accompagnamento allo spettacolo. Con Scènes de la vie conjugale, Ingmar Bergman ci insegna che nella vita, forse il coraggio più grande risiede nell’essere se stessi; nell’essere unici e originali nella nostra imperfezione. Ciò che Marianne e Johan, Laetitia Casta e Raphaël Personnaz, nell’epilogo della pièce. saranno costretti a fare. 04 luglio 2018

NAPOLI TEATRO FESTIVAL | 8 - 9 LUGLIO 2018 17:00 IL GRANDE GIOCO / 20:00 PAUSA / 21:00 ENDURING FREEDOM

MARATONA

AFGHANISTAN: IL GRANDE GIOCO + ENDURING FREEDOM The Great Game: Afghanistan è un progetto commissionato dal Tricycle Theatre, la più grande officina di teatro politico inglese, a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana. Un esperimento di drammaturgia a più voci che racconta il rapporto complesso e spesso fallimentare che l'Occidente ha avuto con questo paese mediorientale, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. Il progetto Afghanistan di Bruni e De Capitani, che comprende dieci dei testi originali, è realizzato in coproduzione con Emilia Romagna Fondazione Teatro e in collaborazione con Napoli Teatro Festival e si compone di due spettacoli indipendenti e complementari: Afghanistan: Il grande gioco (debuttato nel gennaio del 2017) che racconta cinque episodi storici del periodo 1842 – 1996 e Afghanistan: Enduring freedom che affronta gli anni attuali (fino al 2010). I due spettacoli possono essere rappresentati autonomamente o proposti in un'unica maratona, come accadrà al Napoli Teatro Festival, dove l'intero progetto debutterà l'8 luglio 2018.

04 luglio 2018

Festival Campus, la quinta puntata dall’Università Suor Orsola Benincasa sul Napoli Teatro Festival.

La quinta puntata di “Festival Campus” è interamente dedicata al mondo femminile. “Una scelta non casuale – dicono i due conduttori del format, Marcello Polverino e Rosanna Astengo -. Per il nostro nuovo appuntamento abbiamo scelto il meglio che questa settimana poteva declinarsi al femminile”. Il nuovo episodio dedicato al Napoli Teatro Festival Italia, trasmesso lunedì 2 luglio dalle 16.00 alle 17.00 su Run Radio, emittente universitaria del Suor Orsola Benincasa(www.runradio.it) è ora disponibile in podcast sul sito www.napoliteatrofestival.it nella sezione dedicata. Ecco il suo link: Nella puntata, curata in regia da Stefano Esposito, spicca la presenza di Tina Pica, raccontata da Giulio Baffi: la mostra che rende omaggio alla grande caratterista napoletana è visitabile a Palazzo Reale fino al 10 luglio. 04 luglio 2018

Belli, ma anche bravi. Laetitia Casta e Raphaël Personnaz. Il pubblico del Napoli Teatro Festival era quasi stupito ieri sera uscendo dal teatro Politeama dopo aver visto lo spettacolo omaggio al capolavoro del regista svedese Ingmar Bergman (a cent’anni dalla nascita) ispirato dal suo rapporto di coppia con l’attrice Liv Ullmann. “Scene da un matrimonio” (lavoro degli anni settanta, prima televisivo, poi cinematografico ) s’intitola “Scènes de la vie conjugale” (foto) nella versione francese diretta da Safy Nebbou che lo ha riadattato insieme a Jacques Fieschi con la scenografia e collaborazione artistica di Cyril Gomez-Mathieu, per una produzione firmata Le Théâtre de l’Oeuvre. Ambientazione elegante e minimalista, con un inizio cinematografico di un primo piano su due protagonisti che si raccontano a tutto schermo. Dieci anni di vita borghese dove tutto è perfetto, fin nei minimi particolari: lavoro da professionisti, soldi, figli, rispettabilità. C’è chi tra gli spettatori ha trovato il testo vecchio, consunto da una modernità che risolve tutto alla spiccia, anche le crisi matrimoniali. Ma c’è anche chi si è immedesimato in questa storia che mette in luce l’analfabetismo dei sentimenti. Colti, intelligenti e di bell’aspetto, Marianne e Johan, dopo dieci anni di convivenza, sono vittime della loro inesperienza in materia di affetto. Tra i due, quella che espande tutta la propria umanità è Letitia/Marianne: lei non ha paura di esprimere l’urlo del proprio dolore quando viene tradita e abbandonata per una donna più giovane (Paula ha soli 23 anni), mentre Johan si mostra indeciso, infantile, insicuro. Dipende psicologicamente da lei e non ha il coraggio di rendersi mentalmente autonomo ma si arrende alla decisione femminile e risolutiva del divorzio. Vent’anni dopo, sono adulteri da ex, ciascuno con un proprio partner, tuttavia un cordone ombelicale sottile e resistente li tiene uniti. Nessuno si aspettava che Laetitia, così bella e altera, potesse essere anche un’attrice davvero dotata, capace di emozionare con la sua tempesta emotiva rappresentata lì in scena senza recitare, interpretando semplicemente se stessa. Esprimendo tutte le sofferenze di donna, accumulate nella vita. Molti posti vuoti in platea, forse perché al Mercadante è appena andato in scena al Mercadante l’allestimento dello stesso lavoro a opera di Andrej Konchalovskij, un nome che intimidisce di più. Stasera lo schema si ripete a orari inversi: Laetitia e Raphaël alle 19, Julia Vysotskaya e Federico Vanni alle 21, diretti dal regista russo. Forse è stato la bellezza di Laetitia a rallentare le vendite dei biglietti: nell’immaginario di molti alla sua capacità d’interprete si davano poche possibilità. Nelle chiacchiere di fine spettacolo c’è stata anche una signora che, costretta a rivedere le proprie convinzioni, esaltando le doti dell’attrice quarantenne, ha vagamente cercato di diminuirne l’avvenenza: forse ha il viso un po’ quadrato. Ma chi ne è uscito piuttosto malconcio è proprio Bergman definito, qua e là, davvero pesante.

04 luglio 2018

"Food distribution", riflessione cinica e poetica sull’uomo spettatore di se stesso

In vico Maiorani, fino al 10 luglio, è possibile assistere all'installazione "Food distribution", progetto realizzato da Davide Scognamiglio e da Daniele Ciprì nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia con il patrocinio morale della IV municipalità di Napoli e con la collaborazione degli abitanti di Vico Maiorani e di Emmedue Service e DTS light Food distribution è una riflessione cinica e poetica sull’uomo spettatore di se stesso. Il lavoro si propone come esito di un laboratorio rivolto a professionisti del settore della fotografia, dell’illuminotecnica e dell’architettura di 10 incontri. Una strada, un vicolo, da studiare nei movimenti e nelle abitudini dei suoi abitanti per concepire un disegno luci che miri a creare geometrie e a scorgere dettagli. Una fotografia cinematografica che abbia come soggetto la quotidianità con i suoi segni: gli abitanti che ci vivono, nel bene e nel male, dentro e fuori le case e un pubblico accomodato a guardare la vita.

04 luglio 2018

Napoli Teatro Festival, il programma di domani giovedì 5 luglio

4/7/2018 - Al Teatro Nuovo “La resa dei conti” di Michele Santeramo per la regia di Peppino Mazzotta con Daniele Russo e Andrea Di Casa (prima). All’Osservatorio la compagnia Liberaimago presenta Celeste di Fabio Pisano. Al Dopofestival, il concerto del gruppo Corde Oblique. Replica “Onde - ovvero errori di memoria” di Elena Bucci alla Sala Assoli.

Il Napoli Teatro Festival Italia, diretto da Ruggero Cappuccio, propone giovedì 5 luglio al Teatro Nuovo (ore 21), la prima nazionale dello spettacolo La resa dei conti, atto unico di Michele Santeramo con Daniele Russo e Andrea Di Casa per la regia di Peppino Mazzotta.

In scena, due uomini si confrontano su grandi temi, sui grandi quesiti senza tempo che da sempre l’umanità si pone. E tutto questo a cominciare dalle due domande più importanti, forse, di tutte: ma di che pasta sono fatti gli uomini? e possono avere fiducia gli uni negli altri? . In un dialogo serrato, i due protagonisti della scrittura originale di Michele Santeramo affrontano e condividono la propria condizione. Cercando di trovare un modo per affrontarla inseguono le risposte, ognuno a modo suo, alle tante domande che via via scaturiscono dal discorso. “Interrogativi – sottolinea il regista Peppino Mazzotta - sempre attuali. Ognuno se li pone quotidianamente a proposito delle persone che incontra e prima ancora, a proposito di sé stesso. Di fronte alla scelta tra il bene e il male come ci comportiamo? Perché all’uomo capita di scegliere il male? Anche il proprio male? E in un luogo preparato ad arte , come si può fare a teatro, cercano una possibilità altra, un’ occasione di salvezza. Tentano di inventare una fede a proprio uso e consumo, che renda possibile credere che l’uomo può guarire l’uomo”. Le scene e i costumi sono di Lino Fiorito, il disegno luci di Cesare Accetta. Lo spettacolo è una coproduzione tra Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini e Fondazione Campania dei Festival - Napoli Teatro Festival Italia. Replica al Teatro Nuovo il 6 luglio, ore 21.

All’Osservatorio la compagnia Liberaimago presenta Celeste, drammaturgia e regia di Fabio Pisano, con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi (Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, ore 21.30). Nel 1925 a Roma, nel Ghetto ebraico, nacque da Settimio ed Ersilia, Celeste di Porto. Non si sa molto di lei, ma alle cronache, su qualche articolo di giornale, qualche ancor non troppo logora memoria tira fuori questa vecchia, impolverata ma spietata storia. La storia della “pantera nera”. Di quella bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una delatrice. Di vendere gli ebrei. I suoi correligionari.

Replica al Festival Onde - ovvero errori di memoria, liberamente ispirato alle opere e alle vite di Virginia Woolf e Katherine Mansfield, drammaturgia, regia e interpretazione di Elena Bucci (Sala Assoli, ore 19.00). La serata si chiude con il Dopofestival, con il concerto del gruppo Corde Oblique (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23.00).

04 luglio 2018

Corde Oblique – Il primo e unico concerto in città al Napoli Teatro Festival

Giovedì 5 luglio 2018, un evento imperdibile con i Corde Oblique! Il primo e unico concerto a Napoli di presentazione del nuovo album, con formazione al completo, nel cartellone del Napoli Teatro Festival e in un luogo speciale come il Giardino Romantico di Palazzo Reale. Sarà l’occasione di suonare le nuove versioni di brani storici del gruppo, quelli rivisitati nel recentissimo nuovo disco dal vivo Back Through The Liquid Mirror, pubblicato dalla tedesca Dark Vinyl Records. L’ingresso è libero per chi sia munito di un qualsiasi biglietto del Napoli Teatro Festival Italia. Il pubblico che non sia in possesso di biglietti NTFI può accedere all’area acquistandone uno al costo di € 2. “Il primo istinto è stato semplicemente quello di “fotografare” il presente di Corde Oblique. Oggi la formazione live ha assunto una struttura stabile e ha dato un nuovo carattere a determinate esecuzioni. Ogni brano, una volta pubblicato, prende una vita propria e, se parte del repertorio live, inizia a trasformarsi come un essere vivente. Cresce, cambia, a volte diventa più bello, a volte diventa più brutto, ma in ogni caso è diverso. Questo guardarsi indietro attraverso uno specchio vivo, liquido come acqua, è alla base di Back Through The Liquid Mirror. Sarebbe come dire: “Ecco come siamo oggi a distanza di ben 13 anni”; guardiamoci indietro attraverso uno specchio liquido e vivo: il live”. Così Riccardo Prencipe riassume Back Through The Liquid Mirror, il nuovo album di Corde Oblique, il progetto da lui fondato nel 2005 che, a tredici anni di distanza dai primi passi, si guarda indietro, si riappropria di alcuni pezzi divenuti veri e propri classici, e li rivisita dal vivo, in studio. Back Through The Liquid Mirror è distribuito in Italia da Audioglobe e in tutto il mondo da MVD (USA), Plastic Head (UK), Clear Spot (Benelux), Nova Media (Germania), Dying Art (Asia), in digitale su Believe. Corde Oblique si è riunita per un giorno negli Splash Studio di Napoli e ha reinterpretato i classici del proprio repertorio attraverso lo “specchio liquido” del presente, tutto d’un fiato, registrando e filmando la performance. “Sfogliando il catalogo dei nostri album – dichiara Prencipe – ci si rende conto che alcuni brani sono difficili da riproporre durante un concerto per motivi strumentali. Nei nostri dischi si contano tantissimi strumenti, spesso assai diversi tra loro. Il live assume invece un carattere più folk-rock-progressivo, ed è quello che volevamo uscisse fuori. Abbiamo sempre registrato step by step, costruendo gli album dalle fondamenta e sovrapponendo gli strumenti uno ad uno come pennellate multistrato, come si fa con un montaggio cinematografico. Stavolta volevamo invece la spontaneità e il vigore del teatro“. Corde Oblique è un vero e proprio progetto artistico, una “bottega degli artisti del suono”ideata e diretta da Riccardo Prencipe, compositore e chitarrista che nel corso degli anni ha impresso alla musica la sua personalità, la sua esperienza, i suoi studi. Il risultato finale di questa lunga e appassionata elaborazione tra musica, arte, storia, geografie e culture, è un genere a sè stante ribattezzato “Progressive-Ethereal-NeoFolk”: da una parte il retaggio del classic rock – ad esempio l’esperienza progressive anni ’70, ma anche certi elementi del panorama hard & heavy – e dall’altra una miscela di sonorità acustiche antiche e contemporanee, con un profilo talvolta severo e introspettivo ai confini con un’estetica dark. Diplomato in chitarra classica presso il Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, Prencipe ha pubblicato sette album con varie case discografiche straniere, distribuiti e promossi in tutto il mondo (con particolare successo in Germania, Russia e Cina), tutti ottimamente recensiti dalla critica per la congiunzione tra la provenienza partenopea, il respiro internazionale, il passaggio fluido tra generi e il riferimento tematico al patrimonio storico-artistico italiano. Il prossimo appuntamento dal vivo, ancora una volta al di fuori dei confini nazionali, sarà il 29 luglio all’Amphi Festival di Colonia, per la seconda volta. L’ennesima conferma del valore internazionale di una realtà artistica che con Back Through The Liquid Mirror offre al pubblico una nuova occasione di scoperta.

04 luglio 2018

RUN RADIO - “Festival Campus”, la quinta puntata è tutta al femminile: Tina Pica, Elena Bucci, Anna Redi e Loredana Putignani

La quinta puntata di “Festival Campus” è interamente dedicata al mondo femminile. “Una scelta non casuale - dicono i due conduttori del format, Marcello Polverino e Rosanna Astengo -. Per il nostro nuovo appuntamento abbiamo scelto il meglio che questa settimana poteva declinarsi al femminile”.

Il nuovo episodio dedicato al Napoli Teatro Festival Italia, trasmesso lunedì 2 luglio dalle 16.00 alle 17.00 su Run Radio, emittente universitaria del Suor Orsola Benincasa(www.runradio.it) è ora disponibile in podcast sul sito www.napoliteatrofestival.it nella sezione dedicata. Ecco il suo link: https://www.napoliteatrofestival.it/festival-campus-2018/

Nella puntata, curata in regia da Stefano Esposito, spicca la presenza di Tina Pica, raccontata da Giulio Baffi: la mostra che rende omaggio alla grande caratterista napoletana è visitabile a Palazzo Reale fino al 10 luglio.

Ai microfoni dei conduttori anche Elena Bucci che porta in scena “Onde”, pièce liberamente ispirata alle opere di Virginia Woolf e Katherine Mansfield (sala Assoli, 4 e 5 luglio), Anna Redi, regista dello spettacolo di danza “La conferenza degli uccelli” tratto da un racconto persiano del dodicesimo secolo (sala Assoli, 7 e 8 luglio) e Loredana Putignani, che presenta il laboratorio dedicato al teatro di Antonio Neiwiller “Molecole Kantor/Neiwilleriane” alla chiesa della Misericordiella.

04 luglio 2018 Il Napoli Teatro Festival omaggia Ingmar Bergman

Il Napoli Teatro Festival rende omaggio al regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita con due allestimenti di uno dei suoi lavori più noti: al Teatro Mercadante “Scene da un matrimonio”, firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, e al Teatro Politeama “Scènes de la vie conjugale”, diretto dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan.

Vent’anni della vita di una coppia, vent’anni di amore e di disamore, di complicità e d’incomprensione. Vent’anni di verità e di menzogne che oscillano incessantemente tra la passione e la solitudine. Sposati da dieci anni, Marianne e Johan e nell’adattamento di Konchalovskij, Milanka e Giovanni, sono una coppia moderna che sembra essere al riparo da qualsiasi minaccia. Tuttavia dietro un’apparenza di benessere e felicità trapela lo scontento e l’insoddisfazione. Un giorno Johan annuncia a Marianne che si è innamorato di un’altra donna e che ha intenzione di andare a vivere con lei. Comincia così una radiografia scottante delle relazioni amorose, in cui malgrado le lacerazioni e i ricongiungimenti, la coppia sembra destinata ad amarsi per sempre.

04 luglio 2018

Ravenna Festival. "L’amica geniale" di Elena Ferrante sotto la lente di Fanny & Alexander

Nel cartellone di Ravenna Festival, non manca lo spazio per la letteratura, in particolare per la parola narrata che sa farsi teatro, gesto immediato, comunicativo. Come è per Storia di un’amicizia, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in scena oggi giovedì 5 luglio, alle 21, al Teatro Alighieri. La compagnia ravennate, che coltiva fin dagli esordi un rapporto privilegiato con la letteratura e la capacità di trasformare il testo scritto nelle alchimie della scena, affronta uno dei più straordinari casi editoriali degli ultimi anni: la tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (edita da Edizioni e/o). A interpretare Elena Greco e Raffaella Cerullo – alias Lenù e Lila, protagoniste della saga - sono rispettivamente l’attrice e drammaturga del gruppo Chiara Lagani e Fiorenza Menni, quest’ultima attrice e direttrice artistica del gruppo bolognese Ateliersi. La regia del lavoro è di Luigi De Angelis che, in questo caso, ha curato anche light design, spazio scenico e progetto sonoro. Completano la squadra di lavoro Tempo Reale, che con Damiano Meacci ha curato il sound design, e la filmmaker ligure Sara Fgaier che, attraverso un prezioso lavoro sull’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Home Movies, ha dato vita a un lavoro video che accompagna il dipanarsi dello spettacolo, con inserti poetici e documentali allo stesso tempo. Storia di un’amicizia è frutto di una coproduzione che ha visto la partecipazione, oltre che di Ravenna Festival, di Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival Italia e di E-production.

Lo spettacolo, dunque, si basa sulla storia dell’amicizia tra le due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e vicinanza che, nei decenni, nutrono il loro rapporto. Sullo sfondo di questa relazione si dipana la coralità di una città/mondo – il rione in cui le protagoniste nascono e la grande Napoli - che resta sempre presente e tangibile, quasi a delinearsi come un terzo protagonista del racconto teatrale di Fanny & Alexander. Storia di un’amicizia è suddiviso in tre atti (Le due bambole, Il nuovo cognome, La bambina perduta) ognuno dei quali focalizzato su un asse tematico evocativo ed emblematico della storia scritta dalla Ferrante. La Compagnia ha scelto di concentrare la propria attenzione su questa pubblicazione dopo una immediata “infatuazione” della drammaturga Chiara Lagani che, sulla genesi del progetto, afferma: “Non dico niente di nuovo per i lettori dell’Amica geniale se affermo che, fin dalle primissime pagine del primo dei quattro libri, la scrittura di Elena Ferrante è una di quelle che sa afferrarti per un braccio e trascinarti di colpo nelle profondità del tessuto denso della narrazione."

Dopo Ravenna Festival, Storia di un’amicizia, che pochi giorni fa ha debuttato al Napoli Teatro Festival, sarà presentato il prossimo 29 agosto a Bassano Del Grappa, all’interno di Operaestate Festival, prima di iniziare la tournée che nella prossima stagione toccherà alcune tra le principali città del Paese, tra cui Milano, Roma, Modena, Trento e Riccione.

04 luglio 2018 Ravenna Festival. La saga "L’amica geniale" di Elena Ferrante sotto la lente di Fanny & Alexander

Nel quadro multidisciplinare che da sempre contraddistingue i cartelloni di Ravenna Festival, non manca lo spazio per la letteratura, in particolare per la parola narrata che sa farsi teatro, gesto immediato, comunicativo. Come è per Storia di un’amicizia, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in scena oggi giovedì 5 luglio, alle 21, al Teatro Alighieri. La compagnia ravennate, che coltiva fin dagli esordi un rapporto privilegiato con la letteratura e la capacità di trasformare il testo scritto nelle alchimie della scena, affronta uno dei più straordinari casi editoriali degli ultimi anni: la tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (edita da Edizioni e/o). A interpretare Elena Greco e Raffaella Cerullo – alias Lenù e Lila, protagoniste della saga - sono rispettivamente l’attrice e drammaturga del gruppo Chiara Lagani e Fiorenza Menni, quest’ultima attrice e direttrice artistica del gruppo bolognese Ateliersi. La regia del lavoro è di Luigi De Angelis che, in questo caso, ha curato anche light design, spazio scenico e progetto sonoro. Completano la squadra di lavoro Tempo Reale, che con Damiano Meacci ha curato il sound design, e la filmmaker ligure Sara Fgaier che, attraverso un prezioso lavoro sull’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Home Movies, ha dato vita a un lavoro video che accompagna il dipanarsi dello spettacolo, con inserti poetici e documentali allo stesso tempo. Storia di un’amicizia è frutto di una coproduzione che ha visto la partecipazione, oltre che di Ravenna Festival, di Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival Italia e di E-production. Lo spettacolo, dunque, si basa sulla storia dell’amicizia tra le due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e vicinanza che, nei decenni, nutrono il loro rapporto. Sullo sfondo di questa relazione si dipana la coralità di una città/mondo – il rione in cui le protagoniste nascono e la grande Napoli - che resta sempre presente e tangibile, quasi a delinearsi come un terzo protagonista del racconto teatrale di Fanny & Alexander. Storia di un’amicizia è suddiviso in tre atti (Le due bambole, Il nuovo cognome, La bambina perduta) ognuno dei quali focalizzato su un asse tematico evocativo ed emblematico della storia scritta dalla Ferrante. La Compagnia ha scelto di concentrare la propria attenzione su questa pubblicazione dopo una immediata “infatuazione” della drammaturga Chiara Lagani che, sulla genesi del progetto, afferma: “Non dico niente di nuovo per i lettori dell’Amica geniale se affermo che, fin dalle primissime pagine del primo dei quattro libri, la scrittura di Elena Ferrante è una di quelle che sa afferrarti per un braccio e trascinarti di colpo nelle profondità del tessuto denso della narrazione. Dopo avere divorato i quattro libri, col pensiero inizialmente vago di volerne fare in seguito qualcosa, ho deciso di sottoporre la mia intuizione al vaglio del tempo. Ho impiegato due anni per proporre di mettere in scena L’amica geniale prima a Luigi De Angelis, regista di Fanny & Alexander e mio compagno di creazioni da tutta una vita, e poi a Fiorenza Menni. L’ho fatto solo quando ho capito che la spinta di quel desiderio non mollava, e dunque valeva la pena di indagare ancora quella storia, per me e, sperabilmente, per il nostro pubblico, che forse avrebbe potuto ritrovarsi nelle stesse questioni”. Da questo desiderio, nel 2017, aveva visto la luce Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, da un verso di Wislawa Szymborska, spettacolo che aveva anticipato il ciclo dedicato alla saga, oggi rieditato e prima parte del lavoro conclusivo, appunto, Storia di un’amicizia. L’accostamento di Luigi De Angelis alla saga ha messo in circolo ulteriori visioni ed energie. “Credo che questa storia riguardi tutte le donne – afferma il regista - ma anche gli uomini, che si riconoscono in legami potenti, che è difficile recidere o trasformare. È una storia che ha a che fare con un morso, il morso dell’amicizia o del legame simbiotico. Questo morso è generatore di frutti bellissimi, ma crea allo stesso tempo proiezioni, luci e ombre, tentativi di allontanamento, di fuga, di cancellazioni reciproche. Portare in scena L’amica geniale è in qualche modo il tentativo di intercettare il veleno che irradia e osservare la possibilità di curarsi dalle ferite che lo hanno generato e allo stesso tempo lenito. È anche la possibilità, per chi si aggrappa al teatro e alla comunità che il teatro sa ancora convocare, di tentare di curarsi tramite l’atto di uno spurgo collettivo o proiettivo”. Dopo Ravenna Festival, Storia di un’amicizia, che pochi giorni fa ha debuttato al Napoli Teatro Festival, sarà presentato il prossimo 29 agosto a Bassano Del Grappa, all’interno di Operaestate Festival, prima di iniziare la tournée che nella prossima stagione toccherà alcune tra le principali città del Paese, tra cui Milano, Roma, Modena, Trento e Riccione.

04 luglio 2018 Napoli Teatro Festival Italia: La resa dei conti di Michele Santeramo per la regia di Peppino Mazzotta con Daniele Russo e Andrea Di Casa

All’Osservatorio la compagnia Liberaimago presenta Celeste di Fabio Pisano. Al Dopofestival, il concerto del gruppo Corde Oblique. Replica Onde – ovvero errori di memoria di Elena Bucci

Il Napoli Teatro Festival Italia, diretto da Ruggero Cappuccio, propone giovedì 5 luglio al Teatro Nuovo (ore 21), la prima nazionale dello spettacolo La resa dei conti, atto unico di Michele Santeramocon Daniele Russo e Andrea Di Casa per la regia di Peppino Mazzotta. In scena, due uomini si confrontano su grandi temi, sui grandi quesiti senza tempo che da sempre l’umanità si pone. E tutto questo a cominciare dalle due domande più importanti, forse, di tutte: ma di che pasta sono fatti gli uomini? e possono avere fiducia gli uni negli altri? . In un dialogo serrato, i due protagonisti della scrittura originale di Michele Santeramo affrontano e condividono la propria condizione. Cercando di trovare un modo per affrontarla inseguono le risposte, ognuno a modo suo, alle tante domande che via via scaturiscono dal discorso. “Interrogativi – sottolinea il regista Peppino Mazzotta – sempre attuali. Ognuno se li pone quotidianamente a proposito delle persone che incontra e prima ancora, a proposito di sé stesso. Di fronte alla scelta tra il bene e il male come ci comportiamo? Perché all’uomo capita di scegliere il male? Anche il proprio male? E in un luogo preparato ad arte , come si può fare a teatro, cercano una possibilità altra, un’ occasione di salvezza. Tentano di inventare una fede a proprio uso e consumo, che renda possibile credere che l’uomo può guarire l’uomo”. Le scene e i costumi sono di Lino Fiorito, il disegno luci di Cesare Accetta. Lo spettacolo è una coproduzione tra Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia. Replica al Teatro Nuovo il 6 luglio, ore 21. All’Osservatorio la compagnia Liberaimago presenta Celeste, drammaturgia e regia di Fabio Pisano, con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi (Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, ore 21.30). Nel 1925 a Roma, nel Ghetto ebraico, nacque da Settimio ed Ersilia, Celeste di Porto. Non si sa molto di lei, ma alle cronache, su qualche articolo di giornale, qualche ancor non troppo logora memoria tira fuori questa vecchia, impolverata ma spietata storia. La storia della “pantera nera”. Di quella bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una delatrice. Di vendere gli ebrei. I suoi correligionari. Replica al Festival Onde – ovvero errori di memoria, liberamente ispirato alle opere e alle vite di Virginia Woolf e Katherine Mansfield, drammaturgia, regia e interpretazione di Elena Bucci (Sala Assoli, ore 19.00). La serata si chiude con il Dopofestival, con il concerto del gruppo Corde Oblique (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23.00). 04 luglio 2018

AL NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA, LO SPETTACOLO LA RESA DEI CONTI • Written by Giuseppe Spasiano

• Il Napoli Teatro Festival Italia, diretto da Ruggero Cappuccio, propone giovedì 5 luglio al Teatro Nuovo (ore 21), la prima nazionale dello spettacolo La resa dei conti, atto unico di Michele Santeramo con Daniele Russo e Andrea Di Casa per la regia di Peppino Mazzotta.

• In scena, due uomini si confrontano su grandi temi, sui grandi quesiti senza tempo che da sempre l’umanità si pone. E tutto questo a cominciare dalle due domande più importanti, forse, di tutte: ma di che pasta sono fatti gli uomini? e possono avere fiducia gli uni negli altri? . In un dialogo serrato, i due protagonisti della scrittura originale di Michele Santeramo affrontano e condividono la propria condizione. Cercando di trovare un modo per affrontarla inseguono le risposte, ognuno a modo suo, alle tante domande che via via scaturiscono dal discorso. “Interrogativi – sottolinea il regista Peppino Mazzotta – sempre attuali. Ognuno se li pone quotidianamente a proposito delle persone che incontra e prima ancora, a proposito di sé stesso. Di fronte alla scelta tra il bene e il male come ci comportiamo? Perché all’uomo capita di scegliere il male? Anche il proprio male? E in un luogo preparato ad arte , come si può fare a teatro, cercano una possibilità altra, un’ occasione di salvezza. Tentano di inventare una fede a proprio uso e consumo, che renda possibile credere che l’uomo può guarire l’uomo”. Le scene e i costumi sono di Lino Fiorito, il disegno luci di Cesare Accetta. Lo spettacolo è una coproduzione tra Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia. Replica al Teatro Nuovo il 6 luglio, ore 21.

• All’Osservatorio la compagnia Liberaimago presenta Celeste, drammaturgia e regia di Fabio Pisano, con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi (Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, ore 21.30). Nel 1925 a Roma, nel Ghetto ebraico, nacque da Settimio ed Ersilia, Celeste di Porto. Non si sa molto di lei, ma alle cronache, su qualche articolo di giornale, qualche ancor non troppo logora memoria tira fuori questa vecchia, impolverata ma spietata storia. La storia della “pantera nera”. Di quella bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una delatrice. Di vendere gli ebrei. I suoi correligionari.

• Replica al Festival Onde – ovvero errori di memoria, liberamente ispirato alle opere e alle vite di Virginia Woolf e Katherine Mansfield, drammaturgia, regia e interpretazione di Elena Bucci (Sala Assoli, ore 19.00). La serata si chiude con il Dopofestival, con il concerto del gruppo Corde Oblique (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23.00).

04 luglio 2018

Laetitia Casta al Napoli Teatro Festival: «L'amore? Ha tante variabili, come le stelle» Su Napoli entrambi fanno commenti encomiastici. Lei: «La amo perché è ribelle. Ha il mare, bella gente ha tutto». Lui: «È un mondo ricco, non...

Su Napoli entrambi fanno commenti encomiastici. Lei: «La amo perché è ribelle. Ha il mare, bella gente ha tutto». Lui: «È un mondo ricco, non di soldi, ma di…

Laetitia Casta al Napoli Teatro Festival: «L'amore? Ha tante variabili, come le stelle»VAI ALL'ARTICOLO

04 luglio 2018

Il Napoli Teatro Festival omaggia Ingmar Bergman

Annalisa Nuzzo

Il Napoli Teatro Festival rende omaggio al regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita con due allestimenti di uno dei suoi lavori più noti : al Teatro Mercadante “Scene da un matrimonio”, firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij e al Teatro Politeama SCÈNES DE LA VIE CONJUGALE diretto dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Vent’anni della vita di una coppia, vent’anni di amore e di disamore, di complicità e d’incomprensione. Vent’anni di verità e di menzogne che oscillano incessantemente tra la passione e la solitudine. Sposati da dieci anni, Marianne e Johan e nell’adattamento di Konchalovskij, Milanka e Giovanni, sono una coppia moderna che sembra essere al riparo da qualsiasi minaccia. Tuttavia dietro un’apparenza di benessere e felicità trapela lo scontento e l’insoddisfazione. Un giorno Johan annuncia a Marianne che si è innamorato di un’altra donna e che ha intenzione di andare a vivere con lei. Comincia così una radiografia scottante delle relazioni amorose, in cui malgrado le lacerazioni e i ricongiungimenti, la coppia sembra destinata ad amarsi per sempre.

ADESSO NEWS

05 luglio 2018 La musica dei clown di Ciulli al Napoli Teatro Festival

Due vecchi clown, lei una Marlene invecchiata, lui un calvo barone tedesco dal monocolo e dall’impermeabile sulle spalle, nella notte in cui tutti dormono, si spogliano lentamente dei loro malanni e si allacciano in un valzer che, vorticando su sé stesso, aumenta di temperatura, sino all’esplosione finale, come un catastrofico superamento del muro del suono. Il clown senza-voce Angelo Moreschi (ispirato all’“ultimo dei castrati”, di cui sfoggia, sotto l’abito marrone, il pizzo da cantore papale e la morbida figura), impettito come un divo ottocentesco, mantiene la posa di tre quarti, lo sguardo languido e stremato dalla palpebra semichiusa, la boccuccia muliebre, il gesto ampio, e sguaina un microscopico violino pochette, duetta col pianoforte su un tempo in tre, graffiato (o scandito) come nella migliore tradizione delle gag musicali dai rumori prodotti dalla compagnia – palloncini, cadute, sciabordio d’acqua versata, sbadigli. È l’ora della distribuzione dei medicinali: noiose pillole e polverine che, scosse e lasciate tintinnare nei bicchieri, compongono un ritmo, e al pianoforte non resta che distendervisi, per un brano brillante. Se un fastello di assi compare in scena, vorticosamente dal nulla si compongono in un armadio, nel quale trova rifugio l’intera compagnia, pronta a scomparirvi, come ampiamente atteso. In una Napoli improvvisamente torrida e appiccicosa, per la sezione internazionale del Napoli Teatro Festival 2018 (che prosegue, sotto la direzione di Ruggero Cappuccio, fino al 10 luglio) è sbarcata la compagnia del Theater an der Ruhr, guidata dal clown-regista Roberto Ciulli, milanese di nascita ma in Germania dal 1965, “uno dei pochi produttori teatrali europei che può essere considerato esperto nella moderna anche se dimenticata arte clownesca”, ci rammenta il festival. Tanta è la contentezza di portare qui il suo teatro, fondato nell’80 a Mülheim con il drammaturgo Helmut Schäfer e lo scenografo Gralf-Edzard Habben, che non resiste a uscire alla ribalta per presentare lo spettacolo, in uno strampalato discorso bilingue. “Clown 2 ½” è un testo per otto clown più due – e questi due sono gli “Augusti”, il compositore delle musiche Matthias Flake, al mezzacoda in scena, e un Gigante Buono, Rupert J. Seidl, il tipo di infermiere severo ma di buon cuore. Terzo capitolo costruito con gli stessi personaggi, dopo “Clowns unter Tage” e “Clowns im Sturm”, tutto si svolge questa volta in una casa di riposo per anziani. L’ispirazione felliniana è evidente già nel titolo, e poi nell’uso sul finale del brano di dalla suite per “I Clowns”, ma soprattutto nella declinazione più magica che acrobatica della figura del clown. Magica e patetica. Si tratta di esseri poco meno che umani, ognuno con la sua esplicita limitazione buttata in bella mostra (la stupidità, la debolezza, l’autoindulgenza, la paranoia, la deformità) e insieme assai più che semplici uomini, capaci con un niente di elevarsi ad altezze di impraticabili e fragili sogni. Come legati dal filo di un destino disgraziato, hanno scavalcato il confine che separa il circo dal teatro, e si sono fatti più silenziosi, hanno rallentato i loro movimenti, hanno consegnato al volto, sporcato di un trucco appena essenziale, un’espressività più vivida di quella che tengono nel corpo. I sentimenti si imprimono sui tratti più che nei gesti. Sono clown che giocano pericolosamente con l’empatia. Lo spettacolo è diviso in scene non comunicanti tra loro, vere e proprie orchestrazioni a organico misto: duetti, terzetti, concerti per strumento solista e orchestra e sinfonie concertanti. Le otto figure in scena, pur intervenendo ognuna con brevi o brevissimi assoli, sono divise in primo e secondo piano, e ad alcune sono riservati rinforzi, raddoppi, pochi o pochissimi momenti solistici. Non cambierei con altre la metafora dell’orchestra, perché è la musica il nucleo dello spettacolo, tanto che a volte la sua assenza è percepita come angoscia. Musica: grande ordinatrice del cosmo (l’accompagnamento al piano di un film muto che nessuno vede, coinvolge i clown nelle passioni invisibili della pellicola, e noi con loro); balsamo sulle disgrazie della vita (la ripetitività dei gesti può diventare ritmo); accogliente rifugio, dove c’è un posticino per tutti, come in un’orchestra, sia pure per un tintinnio di triangolo, lungamente atteso. Desacralizzazione, felice superamento dell’assurdo del vivere, questo è la musica dei clown. Ed è giovinezza in uno spettacolo sulla vecchiaia: quando il piano suona, i vecchietti si rianimano, praticano sport, anche estremi, amano e vivono senza età. E se lo starter, dopo averli allineati tutti sul filo di una partenza dei cento metri, per errore fa fuoco sul pianista, una violenta recrudescenza di realtà aggredisce i clown: tutto improvvisamente ripiomba nell’incapacità di agire. A ciascuno è riassegnato, senza sconti di pena, il peso faticoso del proprio corpo e della propria trascurabile individualità.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end. 05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

"Scene da un matrimonio", a Napoli omaggio a Ingmar Bergman

Martedì 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio ha reso omaggio al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Hanno debuttato in sequenza due allestimenti di “Scene da un matrimonio”, il primo firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, il secondo dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni (al Teatro Mercadante, ore 19) e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz (al Teatro Politeama, ore 21) nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Andrej Konchalovskij firma la sua regia italiana per lo Stabile di Napoli e per il Napoli Teatro Festival Italia, affrontando uno dei lavori più noti di Ingmar Bergman, Scene da un matrimonio, che sceglie di ambientare in Italia, a Roma. Ambientazione francese per la seconda versione, diretta da Safy Nebbou. Video: Napoli teatro Festival 05 luglio 2018

Ravenna Festival. "L’amica geniale" di Elena Ferrante sotto la lente di Fanny & Alexander

Nel cartellone di Ravenna Festival non manca lo spazio per la letteratura, in particolare per la parola narrata che sa farsi teatro, gesto immediato, comunicativo. Come è per Storia di un’amicizia, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in scena oggi giovedì 5 luglio, alle 21, al Teatro Alighieri.

La compagnia ravennate, che coltiva fin dagli esordi un rapporto privilegiato con la letteratura e la capacità di trasformare il testo scritto nelle alchimie della scena, affronta uno dei più straordinari casi editoriali degli ultimi anni: la tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (edita da Edizioni e/o). A interpretare Elena Greco e Raffaella Cerullo – alias Lenù e Lila, protagoniste della saga - sono rispettivamente l’attrice e drammaturga del gruppo Chiara Lagani e Fiorenza Menni, quest’ultima attrice e direttrice artistica del gruppo bolognese Ateliersi. La regia del lavoro è di Luigi De Angelis che, in questo caso, ha curato anche light design, spazio scenico e progetto sonoro. Completano la squadra di lavoro Tempo Reale, che con Damiano Meacci ha curato il sound design, e la filmmaker ligure Sara Fgaier che, attraverso un prezioso lavoro sull’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Home Movies, ha dato vita a un lavoro video che accompagna il dipanarsi dello spettacolo, con inserti poetici e documentali allo stesso tempo. Storia di un’amicizia è frutto di una coproduzione che ha visto la partecipazione, oltre che di Ravenna Festival, di Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival Italia e di E-production.

Lo spettacolo, dunque, si basa sulla storia dell’amicizia tra le due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e vicinanza che, nei decenni, nutrono il loro rapporto. Sullo sfondo di questa relazione si dipana la coralità di una città/mondo – il rione in cui le protagoniste nascono e la grande Napoli - che resta sempre presente e tangibile, quasi a delinearsi come un terzo protagonista del racconto teatrale di Fanny & Alexander. Storia di un’amicizia è suddiviso in tre atti (Le due bambole, Il nuovo cognome, La bambina perduta) ognuno dei quali focalizzato su un asse tematico evocativo ed emblematico della storia scritta dalla Ferrante. La Compagnia ha scelto di concentrare la propria attenzione su questa pubblicazione dopo una immediata “infatuazione” della drammaturga Chiara Lagani che, sulla genesi del progetto, afferma: “Non dico niente di nuovo per i lettori dell’Amica geniale se affermo che, fin dalle primissime pagine del primo dei quattro libri, la scrittura di Elena Ferrante è una di quelle che sa afferrarti per un braccio e trascinarti di colpo nelle profondità del tessuto denso della narrazione."

Dopo Ravenna Festival, Storia di un’amicizia, che pochi giorni fa ha debuttato al Napoli Teatro Festival, sarà presentato il prossimo 29 agosto a Bassano Del Grappa, all’interno di Operaestate Festival, prima di iniziare la tournée che nella prossima stagione toccherà alcune tra le principali città del Paese, tra cui Milano, Roma, Modena, Trento e Riccione.

05 luglio 2018 Napoli Teatro Festival Francesca Saturnino, Massimo Marino Un’occasione sprecata? (Francesca Saturnino)

Qualche giorno fa mi è capitato un incontro particolare. Tornavo con amici dal “dopo festival” del Napoli Teatro Festival, una serie di concerti serali negli splendidi giardini di Palazzo Reale. Tra via Toledo e Piazza Trieste e Trento, tanti ragazzini dei Quartieri Spagnoli – massimo quindici anni a testa – in due o tre per ogni motorino facevano sempre lo tratto di strada e tornavano indietro. Curiosi, ci siamo messi a chiacchierare con alcune ragazze della giovane paranza: ci hanno spiegato che si trattava della moderna evoluzione dell’antichissima forma di struscio serale con tanto di corteggiamento/scelta del rispettivo partner tramite “guardata” durante quei giri in motore. Ci hanno chiesto da dove venivamo e perché eravamo lì: così è venuto fuori il teatro. Ecco che compare Chicca, la più grandicella che gestisce un centro estetico in zona: alla parola teatro si è letteralmente illuminata. Ci ha raccontato di aver fatto, a un certo punto nella sua giovanissima vita, un laboratorio e che quest’esperienza non se la scorda più. Se potesse, ci ha detto, ne vorrebbe “ancora”.

Mentre scrivo, anche quest’anno il Napoli Teatro Festival prosegue con la sua batteria di spettacoli, letture, concerti, mostre: oltre un mese fittissimo di appuntamenti che solo per orientarcisi servirebbe una guida a parte. Nel solco inaugurato lo scorso anno dal (ennesimo) neo direttore Ruggero Cappuccio, i biglietti per gli spettacoli hanno prezzi davvero popolari: questo permette una fruizione più che democratica della rassegna. Ma, prezzi dei biglietti a parte, nella calda estate dei festival che da nord a sud attraversa tutta la penisola, non c’è un motivo per cui il festival partenopeo, quest’anno alla sua undicesima edizione, emerge tra gli altri, se non che si tratta di una delle rassegne con fondi pubblici più sostanziosi d’Italia. Ideato su esempio dei grandi festival europei come Edimburgo o Avignone, nelle edizioni precedenti, soprattutto le prime, il festival invadeva la città: incursioni di teatro in strada, spettacoli in luoghi non canonici, del centro o delle cosiddette periferie. Primo tra tutti il Real Albergo dei Poveri, un posto enorme, abbandonato, nel cuore della città, il Museo delle locomotive di Pietrarsa a San Giovanni a Teduccio, l’ex Birrificio Peroni a Miano e poi il Porto, il Castel Sant’Elmo. Oggi il festival si è sostanzialmente rinchiuso nei (caldissimi) teatri dove andiamo tutto l’anno, dislocati in varie zone, senza un reale centro aggregante che ogni festival dovrebbe avere.

Questo è un peccato in una città come Napoli che proprio sugli spazi partecipati, «liberati» e restituiti all’«uso civico» attraverso l’arte – penso all’Asilo, lo Scugnizzo, l’ex Opg, Santa Fede e tanti altri – avrebbe molto da offrire e da dire. Perché non usare i fondi del festival per avviare interventi strutturali con ricadute in città anche dopo il periodo del festival stesso? Come manca un centro fisico, allo stesso modo questa rassegna non ha un fuoco che lo alimenti. Basta guardare il programma, diviso in anacronistiche «sezioni»: molti – troppi – napoletani, qualche guizzo nazionale e una scelta esigua e non troppo soddisfacente di lavori internazionali, danza compresa. Questo fritto misto appare manchevole di un’idea organica e ragionata che parta dalla città e che la inglobi, insomma una progettualità che ci liberi dal perenne hic et nunc in cui questo festival sembra oramai da anni ingabbiato. Funzione di un festival – soprattutto se così imponente – dovrebbe essere quella di aprire e dilatare le visioni, produrre nuove narrazioni, azioni e reazioni durevoli, contaminazioni: il Napoli Teatro Festival, nella sua impostazione anti Contemporaneo, appare una rassegna che semmai la visione la addomestica.

Eppure gli slanci positivi non mancano. Parte più viva è la variegata (e non raccontata) sezione dei laboratori gratuiti, grazie cui la città in queste settimane è luogo d’incontri tra giovani artisti da tutte le parti d’Italia che si confrontano, con esiti anche dal punto di vista produttivo. È il caso di La luna. Un percorso di ricerca e creazione a partire dai rifiuti, gli scarti, il rimosso di una collettività tenuto da Davide Iodice da cui nascerà una nuova produzione che come input avrà i rifiuti depositati dai cittadini durante il laboratorio. Punta Corsara nelle selezioni per Laboratorio sull’attore ha chiesto ai candidati di «indicare gli spettacoli teatrali significativi nella propria esperienza di spettatore»: ne è uscita un’interessantissima mini mappatura su base nazionale degli artisti più amati dalla generazione over 30, oltre che un lavoro finale presentato a chiusura del progetto. Degno di nota anche Food distribution della guerra e del turismo, laboratorio di illuminotecnica a cura di Davide Scognamiglio e Daniele Ciprì che ha prodotto un’istallazione semi permanente luminosa dentro Vico Maiorani, uno dei più particolari e (per ora) meno turistici del centro storico, dove i partecipanti hanno interagito direttamente con gli abitanti. In corso anche Molecole Kantor/Neiwilleriane a cura di Loredana Putignani, ex compagna di Antonio Neiwiller, nella chiesa della Misericordiella, neo nato centro d’arte contemporanea dal basso nel Borgo Vergini, all’imbocco della Sanità. Tutto questo è qualcosa, ma non basta. L’impressione è che, ancora una volta, chi coordina questa grande macchina non abbia una visione del tutto e delle enormi potenzialità impattanti che il festival potrebbe avere sulla città. Penso alla scena contemporanea e al suo interagire con “l’universo/ mondo Napoli” – per dirla con parole di Enzo Moscato – e con le sue altitudini e i suoi abissi; e poi penso a Chicca, che a ventun’anni gestisce un centro estetico nei Quartieri Spagnoli e s’illumina alla parola: teatro.

Due pezzi sul vuoto (Massimo Marino)

Hai voglia a cercare di definire perimetri: ci puoi provare, con la geometria, la psicanalisi, la storia, la disperata ricerca di relazioni tra fattori. Perfino con quell’arte in discredito che è la politica. All’interno trovi sempre quello: un vuoto, o mille vuoti, assenze, che smarginano ogni tentativo di definire, di coagulare, di confinare. Due spettacoli del Napoli Teatro Festival una rassegna che come ha spiegato Francesca Saturnino rimane eclettica e poco centrata, fanno riemergere questi pensieri, che spesso sorgono di fronte a creazioni teatrali che radicalmente affrontano la condizione contemporanea. I due pezzi sono titoli di punta della rassegna che quest’anno copre poco più di un mese, dall’8 giugno al 10 luglio: Brodsky/Baryshnikov, un viaggio dell’anziano mito della danza negli esili, nelle assenze del poeta russo della bellezza e della distanza, con la regia di Alvis Hermanis; Si nota all’imbrunire (solitudine da paese spopolato) di Lucia Calamaro, ormai senza dubbio la nostra autrice di teatro di più alto rilievo e inquietudine, nel nuovo incontro con un divo sensibile come Silvio Orlando.

Il primo lavoro, Brodsky/Baryshnikov, viaggia nelle lontananze del poeta premio Nobel, nei suoi flussi di parole che stordiscono, rapiscono e spostano in mondi di melanconia, di separazione, di assenza, di mancanza di una regione dell’anima (chiamatela patria, se volete), di una consistenza. Parole come soffi, turbini di vento, orizzonti oleosi; dense come pietre, liquide come il mare, davanti a una vecchia veranda liberty, con il mito della danza Baryshnikov che, muovendosi appena il necessario, tra dentro e fuori quei vetri appannati dal tempo e dagli uomini, intorno a un vecchio registratore a bobine beckettiano, con voce profonda recita in russo quei desideri smorzati dalla distanza, dalla vecchiezza, dalla minaccia della morte troppo presto incalzante, con minimalismo perfino eccessivo, che in certi momenti sa di gioco al risparmio, e si accende in certe pose che evocano il decadimento fisico, l’irrompere dell’età, la malattia, la decomposizione, lo strazio, la morte, degne del Goya nero.

Ma il vero capolavoro è la pièce di Lucia Calamaro, che continua lo scavo di famiglie e personalità distanti. Dopo la figlia e la madre (e l’altra sorella) dell’Origine del mondo, dopo la moglie morta della Vita ferma, dopo gli altri suoi personaggi sempre avviluppati a qualcuno o a qualcosa e fuori fase, fuori luogo, ora fa di Silvio Orlando un marito vedovo che da dieci anni è a andato a vivere in un borgo minimo, lontano da amici, parenti, incontri, in un eremitaggio che ha i contorni di piaga del nostro tempo, la “solitudine sociale”, una vera malattia, il contraltare del giovanile ritrarsi degli hikikomori, il vedere dissolversi a poco a poco tutti i legami. Non fare nulla.

La scrittura brillante, ironica, di Calamaro, da commedia sofisticata o da pièce psicanalitica con retrogusto alla Woody Allen, mostra Silvio (i personaggi assumono il nome dell’attore) tediato dall’arrivo dei parenti per l’anniversario della morte della moglie: il figlio sfasato Riccardo (Goretti), in cerca di improbabile arricchimento; la figlia Alice (Redini), aspirante poetessa più o meno mancata, che vive di copie e citazioni; l’altra figlia Maria Laura (Rondanini), una che compila, precisamente, puntualmente, tediosamente, liste, specializzata nel ri-narrare storie di pazienti. Con loro c’è anche il fratello del protagonista, Roberto (Nobile), separato da Silvio da antiche storie e rancori, forse medico, forse un altro innamorato del vaniloquio, retorico, forse supponente (il forse è sempre d’obbligo in una scrittura che insieme definisce precisamente, concretamente, e che in realtà sfuma, glissa, rimanda, sospende). È apparentemente fatto di drammi di parole, il teatro di Calamaro, di vaniloqui ridicoli, teneri e disperanti che presto squarciano i cieli di carta della finzione teatrale che li nutre. Che qualcosa non torni in questa atmosfera tra dramma familiare, sospensioni cechoviane e visioni abbandonate Hopper (soprattutto all’inizio del secondo atto, con un’infilata di sdraio dove si catalizzano e cristallizzano posizioni e conflitti) è evidente dall’inizio. La bella scena di Roberto Crea dai toni pastello, che si caricano di echi di tramonti infuocati e di notti insonni nei finali d’atto, è fatta di materiali trasparenti, di tulle che dà l’idea di trovarsi in un castello di carte, tra ambienti, verande e corridoi di fantasmi. Una casa di spettri, come i familiari per Silvio, come una vita lontana, assente, non vivificata dal rapporto con gli altri, dal contatto, sempre vissuta seduta, con il volto rivolto all’ingiù. Le idiosincrasie precipitano (sempre apparentemente) in tentativi fallimentari di incontri, in ricordi di una memoria avvitata su se stessa, che non si sa dove vada a finire, che come un’infezione contagiosa crea “pensieri come bambole di porcellana gonfie di morte”.

L’attesa dell’anniversario della morte della madre, la celebrazione la sera prima del compleanno del padre, come una festa svagata, con una torta che dalla platea non si vede e candeline che non si accendono. Repentine sovrapposizioni di voci. Scatti. Fughe. Non riconoscersi nel tempo passato. Nella vita cambiata. Il desiderio di stare, almeno rammaricati, insieme, e un senso crescente, insopprimibile (metafisico?) di estraneità... Un continuo punteruolo che scarnifica le carni, l’anima, fino al finale solitario, straziante, di Silvio, con un mazzo di fiori in mano, pronto a celebrare da solo al cimitero il buco nero della scomparsa della moglie, che richiama alla mente lo sprofondamento di Roland Barthes nell’assenza di Dove lei non è, il meraviglioso, struggente libro scritto dopo la morte della madre. Silvio ripete, inaspettatamente, che quest’anno non è venuto nessuno, né figli, né il fratello, lasciandoci nella poetica ambiguità che davvero, tra quelle pareti simili a carta, tutti fossero fantasmi, o che ogni discorso, ogni presenza, per chi scivola nell’incurabile malinconia del distacco sociale sia puro vento. Un buco nero. Con attori che nella tournée sicuramente si amalgameranno di più (si sentono ancora un po’ le provenienze da due esperienze differenti, la compagnia Orlando e quella di Lucia Calamaro), ma che già incidono meravigliosamente le parole vortice dell’autrice, portandole con incrinatura dolorosa, pietosa, ironica, su se stessi. Con un Silvio Orlando che giganteggia come nelle sue migliori interpretazioni, in un lavoro a togliere, a scavare con densa leggerezza, che ti apre e rivela in molti momenti, e soprattutto alla fine, l’uomo nudo. Desolato, ma ancora con la voglia di vivere. Nascosta, rimossa, smarginata, indefinita. Forse urgente, nonostante lo sprofondare nella commovente notte buia. Alla prima un trionfo.

05 luglio 2018

Ravenna Festival. "L’amica geniale" di Elena Ferrante sotto la lente di Fanny & Alexander

Nel cartellone di Ravenna Festival, non manca lo spazio per la letteratura, in particolare per la parola narrata che sa farsi teatro, gesto immediato, comunicativo. Come è per Storia di un’amicizia, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in scena oggi giovedì 5 luglio, alle 21, al Teatro Alighieri.

La compagnia ravennate, che coltiva fin dagli esordi un rapporto privilegiato con la letteratura e la capacità di trasformare il testo scritto nelle alchimie della scena, affronta uno dei più straordinari casi editoriali degli ultimi anni: la tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (edita da Edizioni e/o). A interpretare Elena Greco e Raffaella Cerullo – alias Lenù e Lila, protagoniste della saga - sono rispettivamente l’attrice e drammaturga del gruppo Chiara Lagani e Fiorenza Menni, quest’ultima attrice e direttrice artistica del gruppo bolognese Ateliersi. La regia del lavoro è di Luigi De Angelis che, in questo caso, ha curato anche light design, spazio scenico e progetto sonoro. Completano la squadra di lavoro Tempo Reale, che con Damiano Meacci ha curato il sound design, e la filmmaker ligure Sara Fgaier che, attraverso un prezioso lavoro sull’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Home Movies, ha dato vita a un lavoro video che accompagna il dipanarsi dello spettacolo, con inserti poetici e documentali allo stesso tempo. Storia di un’amicizia è frutto di una coproduzione che ha visto la partecipazione, oltre che di Ravenna Festival, di Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival Italia e di E-production. Lo spettacolo, dunque, si basa sulla storia dell’amicizia tra le due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e vicinanza che, nei decenni, nutrono il loro rapporto. Sullo sfondo di questa relazione si dipana la coralità di una città/mondo – il rione in cui le protagoniste nascono e la grande Napoli - che resta sempre presente e tangibile, quasi a delinearsi come un terzo protagonista del racconto teatrale di Fanny & Alexander.

Storia di un’amicizia è suddiviso in tre atti (Le due bambole, Il nuovo cognome, La bambina perduta) ognuno dei quali focalizzato su un asse tematico evocativo ed emblematico della storia scritta dalla Ferrante. La Compagnia ha scelto di concentrare la propria attenzione su questa pubblicazione dopo una immediata “infatuazione” della drammaturga Chiara Lagani che, sulla genesi del progetto, afferma: “Non dico niente di nuovo per i lettori dell’Amica geniale se affermo che, fin dalle primissime pagine del primo dei quattro libri, la scrittura di Elena Ferrante è una di quelle che sa afferrarti per un braccio e trascinarti di colpo nelle profondità del tessuto denso della narrazione."

Dopo Ravenna Festival, Storia di un’amicizia, che pochi giorni fa ha debuttato al Napoli Teatro Festival, sarà presentato il prossimo 29 agosto a Bassano Del Grappa, all’interno di Operaestate Festival, prima di iniziare la tournée che nella prossima stagione toccherà alcune tra le principali città del Paese, tra cui Milano, Roma, Modena, Trento e Riccione. 05 luglio 2018 Il grande viaggio avventuroso, crudele e poetico lungo la storia dell’Afghanistan #Inscena al Napoli Teatro

Il grande viaggio avventuroso, crudele e poetico lungo la storia dell’Afghanistan debutta al Napoli Teatro FestivalFestival dal 7 al 10 luglio per poi toccare Roma, Modena e Bologna nell’autunno e aprire la nuova stagione dell’Elfo Puccini il 23 ottobre. Il progetto di Bruni e De Capitani comprende dieci testi suddivisi in due spettacoli, Afghanistan: Il grande gioco che racconta cinque episodi storici del periodo 1842 – 1996 e Afghanistan: Enduring freedom che affronta gli anni attuali fino al 2010, o proposti in un’unica maratona. “Storie notturne, sospese tra realismo e sogno, vedono materializzarsi personaggi che attraversano due secoli. Dieci autori animano questo “place for people”: lo dilatano, lo trasformano, viaggiando dall’oriente sognato e romanzesco dei primi resoconti di viaggi ed esplorazioni, attraverso il melodramma noir del cinema americano, fino al realismo delle docu-fiction della televisione anglosassone e al finale dove, nel bellissimo testo di Naomi Wallace, il conflitto sembra trovare una sua possibile composizione solo in un sogno al di là della morte. Un grande affresco, un polittico, un grande gioco, per sapere, per capire, per poter leggere la disperazione e la speranza negli occhi di chi è partito dalla valle del Panjshir per sedersi al nostro fianco in metropolitana”. Il Progetto Afghanistan inaugura ad ottobre la stagione Elfo Puccini 2018/19.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

"Scene da un matrimonio", a Napoli omaggio a Ingmar Bergman

Martedì 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio ha reso omaggio al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Hanno debuttato in sequenza due allestimenti di “Scene da un matrimonio”, il primo firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, il secondo dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni (al Teatro Mercadante, ore 19) e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz (al Teatro Politeama, ore 21) nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Andrej Konchalovskij firma la sua regia italiana per lo Stabile di Napoli e per il Napoli Teatro Festival Italia, affrontando uno dei lavori più noti di Ingmar Bergman, Scene da un matrimonio, che sceglie di ambientare in Italia, a Roma. Ambientazione francese per la seconda versione, diretta da Safy Nebbou. Video: Napoli teatro Festival

05 luglio 2018

La musica dei clown di Ciulli al Napoli Teatro Festival By Carlo Lei

Due vecchi clown, lei una Marlene invecchiata, lui un calvo barone tedesco dal monocolo e dall’impermeabile sulle spalle, nella notte in cui tutti dormono, si spogliano lentamente dei loro malanni e si allacciano in un valzer che, vorticando su sé stesso, aumenta di temperatura, sino all’esplosione finale, come un catastrofico superamento del muro del suono. Il clown senza-voce Angelo Moreschi (ispirato all’“ultimo dei castrati”, di cui sfoggia, sotto l’abito marrone, il pizzo da cantore papale e la morbida figura), impettito come un divo ottocentesco, mantiene la posa di tre quarti, lo sguardo languido e stremato dalla palpebra semichiusa, la boccuccia muliebre, il gesto ampio, e sguaina un microscopico violino pochette, duetta col pianoforte su un tempo in tre, graffiato (o scandito) come nella migliore tradizione delle gag musicali dai rumori prodotti dalla compagnia – palloncini, cadute, sciabordio d’acqua versata, sbadigli. È l’ora della distribuzione dei medicinali: noiose pillole e polverine che, scosse e lasciate tintinnare nei bicchieri, compongono un ritmo, e al pianoforte non resta che distendervisi, per un brano brillante. Se un fastello di assi compare in scena, vorticosamente dal nulla si compongono in un armadio, nel quale trova rifugio l’intera compagnia, pronta a scomparirvi, come ampiamente atteso.

In una Napoli improvvisamente torrida e appiccicosa, per la sezione internazionale del Napoli Teatro Festival 2018 (che prosegue, sotto la direzione di Ruggero Cappuccio, fino al 10 luglio) è sbarcata la compagnia del Theater an der Ruhr, guidata dal clown-regista Roberto Ciulli, milanese di nascita ma in Germania dal 1965, “uno dei pochi produttori teatrali europei che può essere considerato esperto nella moderna anche se dimenticata arte clownesca”, ci rammenta il festival. Tanta è la contentezza di portare qui il suo teatro, fondato nell’80 a Mülheim con il drammaturgo Helmut Schäfer e lo scenografo Gralf-Edzard Habben, che non resiste a uscire alla ribalta per presentare lo spettacolo, in uno strampalato discorso bilingue. “Clown 2 ½” è un testo per otto clown più due – e questi due sono gli “Augusti”, il compositore delle musiche Matthias Flake, al mezzacoda in scena, e un Gigante Buono, Rupert J. Seidl, il tipo di infermiere severo ma di buon cuore. Terzo capitolo costruito con gli stessi personaggi, dopo “Clowns unter Tage” e “Clowns im Sturm”, tutto si svolge questa volta in una casa di riposo per anziani. L’ispirazione felliniana è evidente già nel titolo, e poi nell’uso sul finale del brano di Nino Rota dalla suite per “I Clowns”, ma soprattutto nella declinazione più magica che acrobatica della figura del clown. Magica e patetica. Si tratta di esseri poco meno che umani, ognuno con la sua esplicita limitazione buttata in bella mostra (la stupidità, la debolezza, l’autoindulgenza, la paranoia, la deformità) e insieme assai più che semplici uomini, capaci con un niente di elevarsi ad altezze di impraticabili e fragili sogni. Come legati dal filo di un destino disgraziato, hanno scavalcato il confine che separa il circo dal teatro, e si sono fatti più silenziosi, hanno rallentato i loro movimenti, hanno consegnato al volto, sporcato di un trucco appena essenziale, un’espressività più vivida di quella che tengono nel corpo. I sentimenti si imprimono sui tratti più che nei gesti. Sono clown che giocano pericolosamente con l’empatia. Lo spettacolo è diviso in scene non comunicanti tra loro, vere e proprie orchestrazioni a organico misto: duetti, terzetti, concerti per strumento solista e orchestra e sinfonie concertanti. Le otto figure in scena, pur intervenendo ognuna con brevi o brevissimi assoli, sono divise in primo e secondo piano, e ad alcune sono riservati rinforzi, raddoppi, pochi o pochissimi momenti solistici. Non cambierei con altre la metafora dell’orchestra, perché è la musica il nucleo dello spettacolo, tanto che a volte la sua assenza è percepita come angoscia. Musica: grande ordinatrice del cosmo (l’accompagnamento al piano di un film muto che nessuno vede, coinvolge i clown nelle passioni invisibili della pellicola, e noi con loro); balsamo sulle disgrazie della vita (la ripetitività dei gesti può diventare ritmo); accogliente rifugio, dove c’è un posticino per tutti, come in un’orchestra, sia pure per un tintinnio di triangolo, lungamente atteso. Desacralizzazione, felice superamento dell’assurdo del vivere, questo è la musica dei clown. Ed è giovinezza in uno spettacolo sulla vecchiaia: quando il piano suona, i vecchietti si rianimano, praticano sport, anche estremi, amano e vivono senza età. E se lo starter, dopo averli allineati tutti sul filo di una partenza dei cento metri, per errore fa fuoco sul pianista, una violenta recrudescenza di realtà aggredisce i clown: tutto improvvisamente ripiomba nell’incapacità di agire. A ciascuno è riassegnato, senza sconti di pena, il peso faticoso del proprio corpo e della propria trascurabile individualità.

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

"Scene da un matrimonio", a Napoli omaggio a Ingmar Bergman

Martedì 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio ha reso omaggio al grande regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala). Hanno debuttato in sequenza due allestimenti di “Scene da un matrimonio”, il primo firmato dal regista moscovita Andrej Konchalovskij, il secondo dal francese Safy Nebbou con, rispettivamente, Julia Vysotsaya e Federico Vanni (al Teatro Mercadante, ore 19) e Laetitia Casta e Raphaël Personnaz (al Teatro Politeama, ore 21) nei ruoli dei protagonisti Marianne e Johan. Andrej Konchalovskij firma la sua regia italiana per lo Stabile di Napoli e per il Napoli Teatro Festival Italia, affrontando uno dei lavori più noti di Ingmar Bergman, Scene da un matrimonio, che sceglie di ambientare in Italia, a Roma. Ambientazione francese per la seconda versione, diretta da Safy Nebbou. Video: Napoli teatro Festival 05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

Ravenna Festival. "L’amica geniale" di Elena Ferrante sotto la lente di Fanny & Alexander

Nel cartellone di Ravenna Festival non manca lo spazio per la letteratura, in particolare per la parola narrata che sa farsi teatro, gesto immediato, comunicativo. Come è per Storia di un’amicizia, il nuovo lavoro di Fanny & Alexander, in scena oggi giovedì 5 luglio, alle 21, al Teatro Alighieri.

La compagnia ravennate, che coltiva fin dagli esordi un rapporto privilegiato con la letteratura e la capacità di trasformare il testo scritto nelle alchimie della scena, affronta uno dei più straordinari casi editoriali degli ultimi anni: la tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (edita da Edizioni e/o). A interpretare Elena Greco e Raffaella Cerullo – alias Lenù e Lila, protagoniste della saga - sono rispettivamente l’attrice e drammaturga del gruppo Chiara Lagani e Fiorenza Menni, quest’ultima attrice e direttrice artistica del gruppo bolognese Ateliersi. La regia del lavoro è di Luigi De Angelis che, in questo caso, ha curato anche light design, spazio scenico e progetto sonoro. Completano la squadra di lavoro Tempo Reale, che con Damiano Meacci ha curato il sound design, e la filmmaker ligure Sara Fgaier che, attraverso un prezioso lavoro sull’Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Home Movies, ha dato vita a un lavoro video che accompagna il dipanarsi dello spettacolo, con inserti poetici e documentali allo stesso tempo. Storia di un’amicizia è frutto di una coproduzione che ha visto la partecipazione, oltre che di Ravenna Festival, di Fondazione Campania dei Festival/Napoli Teatro Festival Italia e di E- production.

Lo spettacolo, dunque, si basa sulla storia dell’amicizia tra le due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e vicinanza che, nei decenni, nutrono il loro rapporto. Sullo sfondo di questa relazione si dipana la coralità di una città/mondo – il rione in cui le protagoniste nascono e la grande Napoli - che resta sempre presente e tangibile, quasi a delinearsi come un terzo protagonista del racconto teatrale di Fanny & Alexander. Storia di un’amicizia è suddiviso in tre atti (Le due bambole, Il nuovo cognome, La bambina perduta) ognuno dei quali focalizzato su un asse tematico evocativo ed emblematico della storia scritta dalla Ferrante. La Compagnia ha scelto di concentrare la propria attenzione su questa pubblicazione dopo una immediata “infatuazione” della drammaturga Chiara Lagani che, sulla genesi del progetto, afferma: “Non dico niente di nuovo per i lettori dell’Amica geniale se affermo che, fin dalle primissime pagine del primo dei quattro libri, la scrittura di Elena Ferrante è una di quelle che sa afferrarti per un braccio e trascinarti di colpo nelle profondità del tessuto denso della narrazione."

Dopo Ravenna Festival, Storia di un’amicizia, che pochi giorni fa ha debuttato al Napoli Teatro Festival, sarà presentato il prossimo 29 agosto a Bassano Del Grappa, all’interno di Operaestate Festival, prima di iniziare la tournée che nella prossima stagione toccherà alcune tra le principali città del Paese, tra cui Milano, Roma, Modena, Trento e Riccione. 05 luglio 2018

Napoli Teatro Festival: la mostra “Tina Pica 1884-1968” By Roberta D'Agostino

“Tina Pica 1884-1968”, la mostra dedicata alla grande attrice di teatro e di cinema, formidabile “spalla” di Eduardo, Vittorio De Sica, Totò, a distanza di 50 anni dalla sua scomparsa. L’esposizione è curata da Giulio Baffi e realizzata dallo scenografo Luigi Ferrigno, allestita nello spazio Quartieri Airots (l’antica Chiesa della Congregazione dei 63 Sacerdoti) in via Carlo De Cesare 30 nei Quartieri Spagnoli di Napoli.

05 luglio 2018

Napoli Teatro Festival: Sirene e ninfe napolitane alla Reggia di Caserta Angelica Santaniello

Nel trionfo di ori della Cappella Palatina della Reggia di Caserta un tuffo nel passato delle corti seicentesche con i suoni del clavicembalo e della tiorba nelle sonate K156 e 157 di Domenico Scarlatti e le cantate Nel bel sen della regal sirena, Or che sul legno e La dove a Mergellina bacia la riva il mare di Alessandro Scarlatti (padre di Domenico). L’ensemble Talenti Vulcanici della Fondazione Pietà de’ Turchini composta dal soprano Naomi Rivieccio, violoncello Karolina Szewczykowska, tiorba Elisa La Marca, cembalo e direzione Stefano Demicheli e ideazione artistica di Paologiovanni Maione ricreano un clima di grande silenzio e profondità dov’è la musica e la voce all’unisono a riportare lo spettatore del Napoli Teatro Festival Italia nelle atmosfere delle cantate da camera tanto in voga nei secoli seicento e settecento. L’indagine musicale si concentra sul mito della Sirena Partenope Nume tutelare della città e recupera alcune di quelle cantate dedicate al mito della sirena/regina che donava a Napoli un’aura mitica di capitale del regno. Il bis è scelto fra le cantate già eseguite ed è una parte del La dove il bel sebeto nel mar de le Sirene di Francesco Mancini autore un po’ più tardo rispetto agli Scarlatti padre e figlio. 05 luglio 2018 A TEATRO, PROIETTI,

ACCORSI, GERMANO Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

Back Through The Liquid Mirror: Corde Oblique in concerto a Napoli Giovedì 5 luglio il gruppo di Riccardo Prencipe presenta dal vivo il nuovo disco nel cartellone del Napoli Teatro Festival, il 29 tornerà a Colonia per l’Amphi Festival. Un originale e fascinoso progressive- ethereal-neofolk Giovedì 5 luglio alle ore 23, un evento imperdibile con i Corde Oblique! Il primo e unico concerto a Napoli di presentazione del nuovo album, con formazione al completo (Annalisa Madonna e Rita Saviano voce – Edo Notarloberti violino – Umberto Lepore basso – Alessio Sicabatteria –Riccardo Prencipe chitarre) nel cartellone del Napoli Teatro Festival e in un luogo speciale come il Giardino Romantico di Palazzo Reale. Sarà l’occasione di suonare le nuove versioni di brani storici del gruppo, quelli rivisitati nel recentissimo nuovo disco dal vivo Back Through The Liquid Mirror, pubblicato dalla tedesca Dark Vinyl Records. L’ingresso è libero per chi sia munito di un qualsiasi biglietto del Napoli Teatro Festival Italia. Il pubblico che non sia in possesso di biglietti NTFI può accedere all’area acquistandone uno al costo di € 2. “Il primo istinto è stato semplicemente quello di “fotografare” il presente di Corde Oblique. Oggi la formazione live ha assunto una struttura stabile e ha dato un nuovo carattere a determinate esecuzioni. Ogni brano, una volta pubblicato, prende una vita propria e, se parte del repertorio live, inizia a trasformarsi come un essere vivente. Cresce, cambia, a volte diventa più bello, a volte diventa più brutto, ma in ogni caso è diverso. Questo guardarsi indietro attraverso uno specchio vivo, liquido come acqua, è alla base di Back Through The Liquid Mirror. Sarebbe come dire: “Ecco come siamo oggi a distanza di ben 13 anni”; guardiamoci indietro attraverso uno specchio liquido e vivo: il live“. Così Riccardo Prencipe riassume Back Through The Liquid Mirror, il nuovo album di Corde Oblique, il progetto da lui fondato nel 2005 che, a tredici anni di distanza dai primi passi, si guarda indietro, si riappropria di alcuni pezzi divenuti veri e propri classici, e li rivisita dal vivo, in studio. Back Through The Liquid Mirror è distribuito in Italia da Audioglobe e in tutto il mondo da MVD (USA), Plastic Head (UK), Clear Spot (Benelux), Nova Media (Germania), Dying Art (Asia), in digitale su Believe. Corde Oblique si è riunita per un giorno negli Splash Studio di Napoli e ha reinterpretato i classici del proprio repertorio attraverso lo “specchio liquido” del presente, tutto d’un fiato, registrando e filmando la performance. “Sfogliando il catalogo dei nostri album – dichiara Prencipe – ci si rende conto che alcuni brani sono difficili da riproporre durante un concerto per motivi strumentali. Nei nostri dischi si contano tantissimi strumenti, spesso assai diversi tra loro. Il live assume invece un carattere più folk-rock-progressivo, ed è quello che volevamo uscisse fuori. Abbiamo sempre registrato step by step, costruendo gli album dalle fondamenta e sovrapponendo gli strumenti uno ad uno come pennellate multistrato, come si fa con un montaggio cinematografico. Stavolta volevamo invece la spontaneità e il vigore del teatro“. Corde Oblique è un vero e proprio progetto artistico, una “bottega degli artisti del suono”ideata e diretta da Riccardo Prencipe, compositore e chitarrista che nel corso degli anni ha impresso alla musica la sua personalità, la sua esperienza, i suoi studi. Il risultato finale di questa lunga e appassionata elaborazione tra musica, arte, storia, geografie e culture, è un genere a sè stante ribattezzato “Progressive-Ethereal-NeoFolk”: da una parte il retaggio del classic rock – ad esempio l’esperienza progressive anni ’70, ma anche certi elementi del panorama hard & heavy – e dall’altra una miscela di sonorità acustiche antiche e contemporanee, con un profilo talvolta severo e introspettivo ai confini con un’estetica dark. Diplomato in chitarra classica presso il Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, Prencipe ha pubblicato sette album con varie case discografiche straniere, distribuiti e promossi in tutto il mondo (con particolare successo in Germania, Russia e Cina), tutti ottimamente recensiti dalla critica per la congiunzione tra la provenienza partenopea, il respiro internazionale, il passaggio fluido tra generi e il riferimento tematico al patrimonio storico-artistico italiano.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

05 luglio 2018

11ª Edizione del NAPOLI TEATRO FESTIVAL - “SCÈNES DE LA VIE CONJUGALE” di Ingmar Bergman. Con Laetitia Casta e Raphaël Personnaz, regia Safy Nebbou. - di Giovanni Luca Montanino

SCÈNES DE LA VIE CONJUGALE di Ingmar Bergman con Laetitia Casta e Raphaël Personnaz regia Safy Nebbou adattamento Jacques Fieschi e Safy Nebbou assistente alla regia Natalie Beder scenografia e collaborazione artistica Cyril Gomez-Mathieu produzione Le Théâtre de l'Oeuvre Le opere teatrali di Ingmar BERGMAN sono rappresentate in Francia dall'agenzia DRAMA – Suzanne SARQUIER www.dramaparis.com in accordo con la Fondation Bergman www.ingmarbergman.se e l'Agence Josef Weinberger Limited a Londra. Napoli Teatro Festival, Teatro Politeama 3-4 luglio «Soli io e te», si ripetono Marianne e Johan. Ma forse vorrebbero dirsi: «solo io e solo tu». Mentre due non resta che un numero svuotato di significato. La complicità soccombe alla routine; l'intesa fatta di sguardi, prima che di parole, cede il posto all'incomunicabilità; la prossimità cola via come acqua dalla crepa di un vaso, generando vuoto e solitudine. Il 3 e il 4 luglio, al Teatro Politeama, nell'ambito del NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA 2018 (diretto da Ruggero Cappuccio) è andato in scena lo spettacolo SCÈNES DE LA VIE CONJUGALE, di Ingmar Bergman, con Laetitia Casta e Raphaël Personnaz. La pièce ha un che di autobiografico: infatti, Bergman la scrisse nel 1973, quando lui e Liv Ullmann (sua musa e compagna di vita), dopo anni di vita insieme, erano già separati. Il regista buttò giù Scènes de la vie conjugale in pochi mesi e lo girò per la televisione in sei episodi da cinquanta minuti ciascuno. Per l'uscita in sala, Bergman conservò la struttura in sei scene (ma soppresse circa due ore). Marianne e Johan sono la coppia universale, senza tempo né luogo. Gli eroi inventati da Ingmar Bergman non solo si affrontano a vicenda, ma sfidano e coinvolgono lo spettatore: marito e moglie si allontanano, si respingono, poi magneticamente ricadono l'uno nell'orbita dell'altra. Così il pubblico segue le vicende della coppia e vi prende parte: si "affeziona", disapprovando in alcuni momenti le scelte dei personaggi (prendendone le distanze), identificandosi in altri. In un'alternanza di emozioni forti e contrastanti. La regia di Safy Nebbou valorizza una sorprendente Laetitia Casta, interprete e donna che sulla scena non si risparmia: la sua versione di Marianne è assolutamente fisica; la donna piange, si strugge e grida di dolore; ride, respinge il suo uomo, poi lo seduce o ne resta sedotta. Funziona la coppia con Raphaël Personnaz, fin dall'efficacissima introduzione video: i due protagonisti appaiono in primissimo piano, accostati l'uno all'altra, mentre si raccontano al pubblico, apparentemente sereni e si danno risposte sui sentimenti, sulla vita di coppia, su di sé. Affermazioni che sono così pacate da apparire come certezze granitiche. Ma non è che l'inizio dello spettacolo. Il Napoli Teatro Festival Italia 2018 ha reso omaggio al regista e drammaturgo svedese Ingmar Bergman nel centenario della sua nascita (il 14 luglio 1918 ad Uppsala), oltre che con lo spettacolo firmato da Safy Nebbou, anche con Scene da un matrimonio, allestimento del regista moscovita Andrej Konchalovskij. Giovanni Luca Montanino

05 luglio 2018 Lucia Calamaro. La solitudine del tramonto

Lucia Calamaro scrive e dirige Si nota all’imbrunire, in prima nazionale al Napoli Teatro Festival 2018. Con Silvio Orlando.

Ph. Mario Spada

S’immagini di stare seduti su di un piccolo muricciolo, senza altro attendere che il calare del sole per che compie ogni giorno, prima di scomparire alla vista. S’immagini di stare, privi di una concentrazione che rende il gesto innaturale, nella quiete di un pomeriggio tardo che precede la sera, della quale non si ha che il vago sentore. S’immagini l’attesa fintamente distratta di cogliere quell’ultimo bagliore a una discesa sempre promessa e mantenuta, ma ogni volta avvertire, appena un momento dopo, di aver mancato l’appuntamento con l’apparizione di qualcosa, finché il sole ormai già non è più. È in questa sensazione che racchiude l’intero corpo di uno spettacolo magnifico, scritto e diretto da colei che fa sperare ormai saldamente che la scrittura teatrale competa ancora e di nuovo con le alte sfere della rilevanza culturale: Lucia Calamaro, autrice di Si nota all’imbrunire, presentato in prima nazionale al Teatro San Ferdinando per il Napoli Teatro Festival 2018. Ci troviamo in una casa di una campagna sperduta, dove un uomo (Silvio Orlando) in là con gli anni si è ritirato, dopo la morte della moglie. È il giorno del suo compleanno. I tre figli e il fratello l’hanno raggiunto per la doppia celebrazione che conterà anche la cerimonia funebre in onore della donna scomparsa. Siamo al mattino di un sabato qualunque. L’uomo in vestaglia da camera ha scelto la sottrazione, combatte la sua intima battaglia silenziosa secondo due principi basilari, maniacali: stare sempre da solo e stare seduto per sempre. Sempre. Ricorre un avverbio come una pena da scontare. Eterna. Perché la casa è animata da una presenza familiare ormai difficile da integrare alla solitudine scelta, pertanto l’uomo fa resistenza al contatto, consapevole che «da quando sto da solo tutta questa frustrazione non la sento più: ci vogliono gli altri per farti sentire veramente triste». Eppure, qualcosa nella ricorrenza degli umani attorno risuona, non già un legame parentale ma un desiderio recondito di condivisione inespressa, che a strappi malcelati effonde e si rivela. «Mi resto io. E non mi basto». Dirà l’uomo. Denunciando di sé – e degli uomini tutti – l’impossibile di riconoscersi nell’assenza degli altri, ma così chiamando a un vincolo che sia però vero, sensibile e complice di alto e basso, di Il verde e l’azzurro delle pareti degradano nel bianco, meglio, in virtù del bianco opaco che ne rende l’essenzialità in una sfumatura di evanescenza; la struttura della scena (di Roberto Crea, ma animata dalle luci di Umile Vainieri) ha una geometria rettangolare e solo un arco in secondo piano, introduce spazi da grandi aperture lasciando a centro palco non più che poche sedute esili a scomparsa, quasi stilizzate. E soltanto qualche libro e un piccolo stereo, in una colonna laterale. L’uomo, in casa sua, fa conto dell’assenza dei presenti, per non cedere – solo e imbrunito – alla presenza degli assenti: una figlia permalosa e noiosa, con l’ossessione di mettere in ordine (Maria Laura Rondanini); l’altra figlia insicura che scrive versi ma che si scoprono ogni volta copiati da grandi poeti (Alice Redini); il figlio maschio molle e divorato dall’ansia da prestazione filiale (Riccardo Goretti); infine un fratello citazionista e nostalgico, colto da un lieve stato di esaltazione, a tratti folle e a tratti invaso da una coscienza razionale filosofica (Roberto Nobile). La riunione di famiglia ha i caratteri, per ognuno, di una misura della propria esistenza, un forse imprevisto appuntamento di formazione attorno a un compleanno festeggiato in silenzio, senza neanche canticchiare l’usata “Tanti auguri” perché banale, ma poi rinnovato in disparte accendendo e soffiando molte volte la stessa candelina. La messa in scena – in due atti: al compleanno succede la commemorazione funebre, il verde-azzurro si staglia poi su uno sfondo di giallo tenue – gode di uno stato di sospensione entro cui i concetti riescono a stare con una brillantezza che non mostra eccessi di complessità, veicolata da attori in una forma straordinaria e in grado, grazie anche al sapiente uso degli “a parte” in una quarta parete appena socchiusa, di tenere in equilibrio ironia e dolore, consapevolezza e alterazione, densità poetica e leggerezza. L’insofferenza è, dunque, sofferenza, per l’uomo e chi lo contorna. Ma l’iniziale sensazione di cinismo e negazione degli affetti – dal ripostiglio di una solitudine che gli fa dire «il mio paese interiore è decisamente privo di abitanti», o un sontuoso ma lapidario «il futuro di ieri è oggi: per questo ti scoraggi» – pian piano rivela un bisogno crescente di contatto e di attenzione; è in virtù di questo che Lucia Calamaro segnala il proprio alto valore intellettuale, ormai solido e consapevole: a una speculazione filosofica del quotidiano si mescola un’indagine esistenziale più ampia, capace di mettere a fuoco, maneggiando uno scandaglio psicologico, il dissidio di profondità tra la solitudine e una relazione mille volte rifiutata, mille volte ancora desiderata. Simone Nebbia 05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end. 05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end. 05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano

(ANSA) - ROMA, 5 LUG - ''Afghanistan'' ovvero ''Il Grande Gioco'' ed ''Enduring freedom'', dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ''Who is the king'', primo episodio di ''William Shakespeare, la serie'' ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ''Mussolini: io mi difendo'' di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ''Lettere a Nour'' di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ''Edmund Kean'' da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l''Oedipus'' di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ''Beat'' e Stefano Accorsi con ''Giocando con Orlando - Assolo'' di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ''Viaggio al termine della notte'' da Céline a ''Tivoli chiama! Il Festival delle Arti'': sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

A teatro, Proietti, Accorsi, Germano Popolizio è il Duce a Spoleto, Oedipus di Wilson a Pompei

(ANSA) – ROMA, 5 LUG – ”Afghanistan” ovvero ”Il Grande Gioco” ed ”Enduring freedom”, dittico che Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani hanno tratto dal progetto del Tricycle Theatre, e ”Who is the king”, primo episodio di ”William Shakespeare, la serie” ideata da Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli, tutti al Napoli Teatro Festival Italia; Massimo Popolizio nei panni del Duce in ”Mussolini: io mi difendo” di Corrado Augias ed Emilio Gentile e Franco Branciaroli con ”Lettere a Nour” di Rachid Benzine al Festival di Spoleto (PG); Gigi Proietti ”Edmund Kean” da FitzSimons al 70/o Festival shakespeariano di Verona e l”Oedipus” di Bob Wilson al Pompeii Theatrum Mundi; e ancora Alessandro Haber in ”Beat” e Stefano Accorsi con ”Giocando con Orlando – Assolo” di Marco Baliani alle Orestiadi di Gibellina; fino a Elio Germano e Teho Teardo in ”Viaggio al termine della notte” da Céline a ”Tivoli chiama! Il Festival delle Arti”: sono alcuni degli spettacoli teatrali in scena nel prossimo week end.

05 luglio 2018

05/07/2018 RAI 1 TG1 09.00

06 luglio 2018

Salerno: al Duomo, Napoli Teatro Festival Italia, Raffaello Converso in “L’armonia sperduta”

Al Duomo di Salerno Raffaello Converso in L’armonia sperduta orchestrazioni originali di Roberto De Simone Sabato 7 luglio al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, in scena al Duomo di Salerno L’armonia sperduta concerto/spettacolo sulla canzone napoletana di Raffaello Converso con elaborazioni e le orchestrazioni originali di Roberto De Simone e con l’ensemble di archi, fiati, pianoforte e mandolino diretto da Luigi Grima (ore 21.30). Prodotto dall’associazione Proscenio, L’Armonia Ritrovata è un cammino nella musica d’autore napoletana costruito da Raffaello Converso grazie alla collaborazione del Maestro Roberto De Simone. Nel segno dell’ibridazione tra i generi, dalle atmosfere pergolesiane, al folk al jazz e al pop, con una ironica incursione nel rap e un omaggio alla “posteggia”, il concerto spettacolo realizza un percorso musicale che restituisce scritture perdute, arie, serenate, fino ad arrivare a componimenti inediti dello stesso De Simone. “I vari brani – sottolinea il musicista e cantante – sono accomunati da una profonda attenzione agli stili vocali e strumentali che connotavano il genere musicale nel suo secolare sviluppo. Si tratta di un ideale e progressivo percorso stilistico che conduce alle più innovative contaminazioni linguistiche dei trascorsi anni ‘70”. In repertorio brani classici come “Nu passariello spierzo” di Di Giacomo-Leva, ma anche una sorprendente versione di “Je so’ pazzo” di Pino Daniele che si innesta sulla partitura della tradizionale “Tarantella del Gargano”, fino alla “Lauda per Frate Pio de Pietrelcina” che, spiega Converso, “realizza un travestimento spirituale su melodia popolare, la musica di Bella Ciao, di cui De Simone ha scoperto le radici yiddish”. “Da considerazioni e confronti condotti sul vasto panorama della Canzone napoletana, – scrive Roberto De Simone – desumiamo che esso non può riferirsi esclusivamente a poeti e musicisti che hanno agito produttivamente a Napoli nell’arco storico di circa un secolo. I documenti stampati della ingente mole di composizioni musicali, difatti, sottintendono una oralità esecutiva che preesisteva alla Canzone stessa e che ne ha consentito la popolarità. La contaminazione storica, che pur connota la più autentica tradizione nostrana, è stata la mia principale meta, sorvolando sulla banale veste strumentale di armonia scolastica. In sottotraccia mi son sempre riferito ad ardite associazioni mentali, relative alla storia e allo straniamento musicale con cui agivano i veraci esecutori ricchi di memoria orale”. L’ARMONIA SPERDUTA con Raffaello Converso, elaborazioni ed orchestrazioni Roberto De Simone, direttore d’orchestra Luigi Grima, produzione Ass. Cult. Proscenio. Duomo di Salerno, 7 luglio ore 21.30, durata 1 ora e 15 min.

06 luglio 2018

Dr.Mariangela Esposito

06 luglio 2018 SHAKESPEARE, DONNELLAN E IL VUOTO Scritto da Alessandro Toppi

Lui dice che non se ne può più, che adesso basta, che è giunta l'ora di fare pulizia e chiarezza: dice che bisogna smetterla con questi spettacoli che piazzano sul palco “l'Asia da una parte e l'Africa dall'altra” costringendo l'attore “a dire sempre dove si trova: altrimenti non si riesce a seguire la vicenda”. E non se ne può più, dice, di spettacoli in cui “tre dame stanno raccogliendo fiori” – e allora siamo in un giardino – mentre “un momento dopo abbiamo la notizia di un naufragio” e non se ne può più, aggiunge, di autori che ci invitano a credere che dove un minuto fa c'era un balcone adesso c'è una caverna “con dentro un mostro orrendo che sputa fuoco e fiamme”, un crepaccio, una scogliera, una sala da ballo o chissà cos'altro. E non se ne può più – dice lui – di spettacoli in cui dobbiamo moltiplicare per mille il solo attore in scena per figurarci la presenza di due eserciti o in cui dobbiamo fare finta di sentire il battito degli zoccoli dei cavalli per immaginare che si alzi da terra – ma da quale terra? – la polvere dei campi di battaglia. Ma è possibile, si chiede lui, che al giorno d'oggi – in teatro, a Londra, nel 1595 – ci raccontino di due giovani che si innamorano, poi (dopo molte traversie) lei rimane incinta, dà alla luce “un bel maschietto”, quest'ultimo viene perduto, cresce, diventa un uomo “ed è pronto a generare un altro figlio” che ritroverà, sul finale, i genitori e i nonni e che – siamo davvero al ridicolo – tutto ciò avvenga “nelle due ore” di un pomeriggio passato al Globe? “Basta” dice lui – sir Philip Sidney – con gli autori che ci invitano a sopperire con la nostra fantasia alle loro mancanze scenografiche, che di continuo ci invitano al cambio di residenza e che modificano l'ordine ritmico del tempo facendo scorrere la sabbia della clessidra a loro piacimento: con un po' di “buon senso”, dice Sidney rivolgendosi ai lettori, si capisce “quanto tutto ciò sia assurdo”. “Basta”, ribadisce componendo la Difesa della Poesia. Ma per fortuna la poesia la scrivono i poeti e non i saggisti così come la storia del teatro non la fanno i critici ma gli autori, gli attori e – talvolta – i registi. Così un autore, meglio: l'autore del tempo di Philip Sidney – un tizio di nome William Shakespeare, che viene soprannominato Shake-scene per la capacità di mutare le regole compositive creando cose mai viste riutilizzando cose già sentite – risponde a suo modo e, non facendosi passare la mosca per il naso, prende l'Arcadia scritta proprio da Philip Sidney, il romanzo più in voga al giorno d'oggi – Londra, 1608 – che nelle sue pagine ha tempeste, naufragi, tornei, celebrazioni pastorali, vagabondaggi, amori contrastati e interventi degli dei; al libro strappa il nome del protagonista (Pyrocles) cambiandone appena qualche lettera, lo associa alla Confessio Amantis di John Gower, un poema finto-ellenistico scritto trecento anni prima e, aggiungendovi la sua bravura, sistema e completa un testo teatrale per la compagnia del Globe, un testo a cui ha messo mano qualcun altro – forse William Rowley; forse John Heywood o John Day; forse quel balordo di George Wilkins, famoso più come tenutario di bordello che come drammaturgo; insomma: Shakespeare completa un testo cominciato da qualcuno che possiamo considerare un autore secondario, un imbratta-carte, uno “scrittore convenzionale” per dirla con Baldini. Nasce quindi il Pericle: una mistura imbevibile per il vecchio Sidney. Ma il Pericle nasce – perché nasconderlo? – anche e soprattutto per ragioni di cassetta e, quando scrivo “cassetta”, intendo esattamente la cassetta di legno (il box office) in cui i gestori dei teatri infilavano i guadagni di giornata. Si tratta di andare incontro ai gusti dominanti strappando spettatori alla concorrenza e in particolare a quei “falchetti” maledetti, quella “nidiata di ragazzini” che, “strillando più di tutti”, stanno “ottenendo applausi a più non posso”: “sono loro la moda adesso” – dice, nel 1600, Rosencrantz ad Amleto nell'Amleto – tant'è che i gentiluomini ormai non mettono più piede nei “teatri comuni” ovvero al Globe e nei posti come il Globe. È in atto “uno scontro di cervelli” aggiunge Guildenstern, è in atto – più concretamente – la cosiddetta “guerra dei teatri” e Shakespeare, le cui finanze dipendono da quante persone stasera pagano il biglietto, capisce che è il momento di variare il repertorio e di incrementare gli incassi riesumando, scrive Melchiori, “quei drammi di pura evasione che avevano goduto di una fuggevole popolarità nel tardo Cinquecento”, opere che con il ricorso “al sensazionale e al meraviglioso” erano in grado “di accattivarsi la parte più sprovveduta” del bacino d'utenza potenziale dei teatri. È tanto vero che nel 1607 – cioè un anno prima di mettere mano al Pericle – proprio la compagnia di William Shakespeare riprende a recitare il Mucedorus, un testo anonimo che ha in sé “elementi cavallereschi”, “contenuti grotteschi”, “intermezzi popolari” e che prevede “perfino la partecipazione di un orso e di un selvaggio”; è tanto vero che proprio il Mucedorus – e non certo il Romeo e Giulietta o il Riccardo III – viene ripubblicato diciassette volte, in altrettante edizioni differenti: a dimostrazione del suo trionfo di mercato. Insomma: “Shakespeare sa” – ci dice Greenblatt – “che la sua carriera dipende dall'industria londinese dell'intrattenimento” e si regola di conseguenza.

Nel Pericle – che in un'ora e mezza concentra quattordici anni di eventi e quarantanove personaggi – abbiamo sei luoghi (Mitilene, Tiro, Tarso, Efeso, Antiochia e Pentapoli), tre naufragi, due volte i sicari in azione e abbiamo un rapimento effettuato dai pirati, la messa in scena di un lupanare, una gara tra cavalieri e abbiamo un matrimonio, il tema dell'incesto, il viaggio inteso come esperienza iniziatica e come strumento di comprensione; abbiamo un paese ridotto in povertà, partenze e arrivi di velieri, tradimenti, una distribuzione di pane agli affamati, abbandoni di cadaveri, omicidi mancati e corpi che giacciono insepolti; abbiamo conversioni religiose, l'applicazione della scienza magica, la sostituzione dei sovrani e abbiamo personaggi che assolvono a una funzione meccanico-precisa all'interno della favola, abbiamo intermezzi romanzeschi, con un narratore che otto volte appare sul palco per dirci nel frattempo come avanza la storia e abbiamo musiche, danze, un intervallo canoro e due pantomime. Abbiamo una figlia che s'innamora di uno straniero, senza chiedere il permesso a suo padre (come nell'Otello) e un padre che offre sua figlia in sposa (come ne La bisbetica domata); una coppia in cui lei programma un omicidio mentre lui risulta impaurito dalla decisione (come nel Macbeth), una selva in cui massacrare una fanciulla (come nel Tito), un regno lasciato in custodia a un governatore provvisorio (come in Misura per misura), figure popolari che per metafora discutono di etica e politica (come i becchini fanno nell'Amleto), una figlia che restituisce al padre la serenità (come nel Re Lear), un matrimonio soggetto a un indovinello (come ne Il mercante di Venezia) e abbiamo il mare messo in disordine dal vento, le spiagge come approdo di fortuna, l'accecamento (fisico e/o morale), il ritorno dei morti in vita (pensate a Il racconto d'inverno) e lo scambio di persona, le agnizioni, il perdono, l'intercessione degli dei e il ritrovamento dei membri della famiglia (come avviene, con gradazioni differenti, in tutti i romance che scrive Shakespeare dopo aver composto il Pericle: dal Ciambellinoa La tempesta). Abbiamo quindi un re (Pericle) che scopre l'incesto tra un altro re e la sua primogenita e, per sottrarsi alla visione di tale orrore, naviga fino a naufragare su un'isola, dove conquista l'amore della bella Taisa, ottenendola in matrimonio. Ripartono felici ma durante il viaggio ecco un'altra sventura: Taisa muore, mentre partorisce Marina, e il suo corpo viene lasciato andare tra le onde (così, d'altronde, impone la legge del mare) mentre la neonata viene affidata a un terzo re, alleato di Pericle, che si premura di trattarla come fosse figlia sua. Scopriremo che Taisa non è morta e che Marina, divenuta una splendida ragazza, viene minacciata da chi dovrebbe proteggerla: rapita all'improvviso dai pirati, Marina scampa a fine sicura ma viene rinchiusa dai rapitori in un bordello dove riesce a mantenersi vergine, inducendo gli avventori all'astinenza e alla purezza. E Pericle? Intanto giace in patria: per il dispiacere ha deciso di non lavarsi, di non cambiarsi mai più d'abito e di farsi crescere barba e capelli a dismisura. Il caso – meglio: le esigenze di copione – gli permettono tuttavia di re-incontrare sua figlia e, poco dopo, di riabbracciare la moglie. La famiglia si ricompone, dunque, mentre nell'aria si percepisce una melodia celeste: che gli spettatori salutino gli attori, ora che avanzano in proscenio. Un guazzabuglio, insomma, nel quale tuttavia è possibile riscontrare scampoli di bellezza assoluta, prodotti da uno Shakespeare che comincia a parlarci con una voce differente, incrinata dall'accumulo degli anni e nella quale si percepisce la fatica che (a tutti e dunque anche a lui) impone vivere la vita. Così, se da un lato viene facile associare la scrittura del Pericle al vecchio Lear che invita sua figlia Cordelia – nell'atto quinto, scena terza – a starsene in “questa prigione” in cui, “come uccelli in gabbia”, di nuovo “ci racconteremo le antiche favole” e le vecchie storie che si tramandando da secoli (il Pericle è infatti “un canto già cantato” – atto primo, scena prima), dall'altro lo Shakespeare più maturo sembra, coi drammi romanzeschi dell'ultimo periodo e dunque anche col Pericle, raccontarci l'utopia del mondo non com'è ma come dovrebbe essere e che – dopo essere stato ritratto a sangue nelle tragedie – si cura le ferite, ritrova l'ordine, si rimette in sesto e offre per un istante (per l'istante che precede la chiusura del sipario) l'illusione che la pace sia possibile e che gli uomini possano essere felici stando assieme. Si tratta dello stesso sentimento – penso al valore enorme che assume la sofferenza, al desiderio di felicità e riposo, alla necessità di calma – che ritrovo nell'ultimo Kavafis, nelle cui poesie affiora la funzione lenitiva che hanno i ricordi; nell'ultimo Gleen Gould, che sente il bisogno di incidere di nuovo le Variazioni Goldberg per trovare la serenità perduta; nell'ultimo Hopper, che avanza – mano nella mano – con sua moglie, ritraendosi sull'orlo di una ribalta di teatro; nell'ultimo Čechov, che ne Il giardino dei ciliegi fa coincidere la fine con una partenza e, dunque, con un nuovo inizio, o nell'Eduardo che ci è indimenticabile, quello dal volto scavato e con l'afasia crescente in gola, che torna a recitare Natale in casa Cupiello per consegnare a tutti noi il miraggio che ha negli occhi, in petto e in testa: quello di “un presepio grande come il mondo, sul quale” scorgere “il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli, che si danno un da fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca stanno riscaldando” un Gesù Bambino che “palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato”. C'è bisogno – insomma – di mettere in pratica il perdono, sembra dirci Shakespeare (“perdono è la parola per tutti” scriverà nel Ciambellino, due anni dopo); c'è bisogno di riconoscerci l'un l'altro, c'è bisogno anche di piangere e c'è bisogno di un abbraccio: prima che la bacchetta si spezzi e che io me ne ritorni, sospinto dagli applausi, per sempre nel retro della scena.

A destra c'è un tavolo con due sedie: fungono da sala d'attesa, il luogo nel quale si aspetta sfogliando distrattamente una copia di Marie Claire. Sulla parete di fondo, procedendo da destra verso sinistra, vediamo un lavabo con uno specchio e – tra lavabo e specchio – una mensola su cui stanno quattro bicchieri di plastica colmi d'acqua; un portasalviette messo a parete; la porta centrale, a due ante; poi un separé e un'altra sedia che anticipano l'elemento principale dell'arredo: il letto. Infine – estrema sinistra – un comodino basso con sopra una lampada e una radio da cui vengono frammenti di una trasmissione in cui si parla di letteratura moderna e antica. Nel letto, intanto, sta il degente: il corpo immobile, coperto dalle lenzuola bianche e da una coperta blu; lo sguardo nel vuoto; una flebo nell'avambraccio sinistro. Siamo nella stanza di un ospedale e qui vedremo ripetutamente entrare e uscire, discutere e agire un medico, un paio di infermieri e tre visitatori: la moglie e la figlia del paziente e il compagno di quest'ultima. Siamo in ospedale perché l'ospedale è il luogo nel quale Donnellan ambienta il Pericle, offrendoci l'intera trama attraverso il riutilizzo di ogni elemento in scena. Gli arredi, ad esempio: il letto funge da nave, le sedie vengono usate come confessionale, il separé diventa una parete divisoria del bordello mentre lo specchio (utilizzato dagli infermieri mentre lavano e rivestono il malato) è utile per rendere la scena in cui tre pescatori – nel Pericle di Shakespeare – si occupano del naufrago, appena spiaggiatosi a Pantepoli. Servono a rendere la trama originaria del Pericle anche gli oggetti: la cartella clinica riporta non solo il referto medico ma anche l'indovinello a cui Pericle si sottopone per volere del re Antioco; la barella viene utilizzata come tavolo operatorio, come bara e come tomba; le stampelle diventano armi da impugnare; l'uso degli occhiali scuri permette la visita al lupanare da parte del governatore di Mitilene, Lisimaco, che – da testo – avviene “in incognito” mentre i bicchieri di plastica sono i calici con cui i cavalieri brindano dopo aver lottato tra loro, una bacinella piena d'acqua funge da tempesta, il cuscino è una neonata in fasce e la camicia di forza – che a un punto imbraca Pericle – è l'armatura ch'egli indossa durante il torneo, lo “strano arnese” (atto secondo, scena seconda) nel quale si presenta al cospetto di Taisa e di suo padre. Ancora. Servono a rendere la trama del Pericle pose e movimenti degli attori, che compongono una coreografia che fonde naturalezza e falsità, credibilità e ostentazione: il duello, che avviene in retroscena (perché leggendo il Pericle sappiamo che i cavalieri combattono ma il combattimento non è visibile né ci viene descritto); la resa del popolo affamato di Tarso, che si prostra a terra e si trascina, afferrando pezzi di pane a noi invisibile; Marina che canta, quand'è il momento in cui deve “mostrare il suo talento”; la mano che il medico pone sulla fronte di Pericle, quando nel testo si dice ch'egli ha “la fronte adirata”; la fissità di Marina, nel momento in cui diventa la statua che adorna il suo sepolcro; la mano destra del medico, atteggiata a saluto reale verso il popolo; le conversioni all'innocenza – dimostrate facendo prostrare gli uomini in preghiera – e il ballo tra Taisa e Pericle, che viene sessualizzato sia perché la ragazza è indotta a concedersi dal padre (“voglio vedervi sposati subito e poi, senza tante cerimonie, a letto!”) sia perché altrimenti sarebbe inspiegabile che nell'atto secondo, scena quinta, avviene il matrimonio e nell'atto terzo, scena prima – cioè due pagine dopo – la donna ha già partorito sua figlia. Servono a rendere la trama del Pericle il colore turchese della parete di fondo, architettonicamente mossa dalle mattonelle in basso (richiamo al mare), il sonoro innescato dalla regia (lo scroscio delle onde, l'aumento della pioggia, l'incedere della tempesta), l'impiego della musica (esempi: la partitura strumentale quando il personaggio di Cerimone chiede di far “suonare qualche musica monocorde” – atto terzo, scena seconda – o i campionamenti da discoteca, quand'è giunto il momento di “sgranchirsi le gambe” e di danzare); servono a rendere la trama del Pericle la penombra e i tagli di luce bianca (il giorno), rossa (il lupanare), celeste (il viaggio in mare) che filtrano dalla parete. Infine. Serve a rendere la trama del Pericle il doubling attoriale organizzato per associazione per cui l'interprete di Pericle recita anche gli altri mariti della trama, l'attrice che interpreta sua moglie recita tutte le mogli, l'attrice che fa da figlia s'alterna nei ruoli di Marina e della primogenita di Antioco e all'uomo che l'accompagna toccano le figure amorali della storia (Antioco, Leonino, Boult, Lisimaco) mentre l'attrice che funge da medico rappresenta i vari “saggi” che appaiono nel Pericle (Eliano, Simonide, Cerimone, Diana) mentre gli infermieri agiscono – di volta in volta – da sicari e da pirati, da popolo di Tarso, pescatori, cavalieri e marinai. E se l'uso frequente della frontalità, l'indirizzo di alcune battute alla platea e la messa in mostra di otto fari posti a mezza altezza (quattro a destra e quattro a sinistra) servono a ribadire che siamo in un teatro, e che su questo palco è in corso uno spettacolo, quello che in definitiva conta è che Donnellan narra il Pericle alternando il presente col passato scegliendo di mostrarci l'eroe nel momento della stanchezza, della malattia, dello sfaldamento psicofisico – dopo che tutto quel che doveva accadere è già accaduto – mentre è alle prese coi ricordi, con riviviscenze allucinanti e momentanee, con improvvisi rigurgiti visivi. Perché? La mia idea è che il regista abbia compreso il valore di una battuta che appartiene all'atto quinto, scena prima: mentre l'eroe giace sul letto (“mettetegli un cuscino dietro la testa”) – proprio come adesso sta il degente in ospedale – gli si mostra Diana: “segui il mio comandamento” gli dice la dea “o vivrai nel dolore”. Cosa deve fare Pericle? “Rivivi il tuo travaglio” in sogno, poi “svegliati e raccontalo”. “Ti obbedirò” le risponde e infatti è questo che avviene nel Pericle di Donnellan. Il sogno dunque si fa memoria, la memoria genera le immagini, le immagini fanno avvampare azioni che riaccadono al momento; così l'allora diventa adesso, ciò che è mi è capitato torna vivo e – attraverso il racconto – da mio diventa vostro. Così, cioè condividendo con gli altri il proprio dolore, d'altronde guarisce l'uomo fin dai tempi in cui Diana veniva venerata ma così – aggiungo – fin dai tempi in cui Diana veniva venerata la comunità (proprio attraverso l'invenzione del teatro) prova a guarire se stessa prevedendo che, al cospetto del pubblico, un uomo che di mestiere fa l'attore avanzi e racconti una storia perché, da propria, diventi altrui: perché, ridetta da lui, diventi nostra.

Il Pericle di Donnellan si basa quindi su un'idea registica chiara e rigorosa, che sembra coerente con il testo di partenza; sfoggia una scenografia approntata al millimetro e usufruisce di interpreti che, attraverso una partitura di microsegni fisici e vocali (l'indice che sfiora le labbra, un bacio, un abbraccio, un balbettio, una carezza data al volto con le dita, uno schiaffo, uno sputo, l'inclinazione della schiena, uno sguardo reciproco, l'intensità di un urlo, una posa lasciva, la mano che passa un fazzoletto dietro al collo per detergersi il sudore, un dialogo che avviene mormorando dei puri suoni stando di lato) riescono a rendere carnalmente vive le figure della trama. Ma allora perché, quando il Pericle finisce, i miei applausi sono fiacchi e perché, uscendo dalla sala, mi assale un senso di insoddisfazione? E di che cosa – con tutto questo ben di dio, tanto costoso – ho sofferto oggi l'assenza? Probabilmente ciò che mi è mancato è il vuoto e cioè quello spazio di indipendenza (più o meno ampio, a seconda delle occasioni) che il teatro di Shakespeare concede agli spettatori consentendogli di far risuonare in se stessi le parole rendendole “radianti” (per dirla con Peter Brook), di generarsi l'inconcreto, di interrogarsi sui mille sensi di una frase, di completare l'apparenza. Mi è mancato questo vuoto − che ha a che fare con la rarefazione della poesia e con l'imperfezione su cui si fonda il teatro e che, attraverso la sottrazione materiale, permette l'aggiunta dell'immateriale − e dunque mi è mancato il nero, l'oscurità assoluta dalla quale trarre il mio Pericle mentre sta avvenendo in scena il Pericle. E mi è mancato l'aldilà, il rapporto che Shakespeare sempre instaura col cielo e con la dimensione metafisica dell'esistenza (qui ridotto a qualche posa e a un monologo in proscenio), e mi è mancato il suono del silenzio (con Donnellan non c'è mai silenzio: quando non parlano gli attori s'ode il mare e, se il mare non si sente, c'è la radio che occupa l'udito) e mi è mancata la possibilità di allontanarmi da questo qui e ora e di inventarmi l'orlo ulteriore del mondo allestito adesso sul palco; mi è mancato poter vagare nell'“extra-oculare” shakespeariano (Starobinski), dov'è possibile scovare “la perturbazione e l'inquietudine, lo scarto e il supplemento”, come scrive Annamaria Morelli ne La scena della visione: quella zona (o)scena in cui, forse, stasera accade il “teatro sacro”, per tornare a Peter Brook. Mi è mancata la possibilità di immaginare. “Immaginare”, certo, dato che è una delle parole più usate dal narratore del Pericle: “E ora immaginate” dice, “immaginate ora Marina” ripete, “usate l'immaginazione” insiste, “con l'immaginazione considerate il palco la tolda di una nave” suggerisce, “se fate uso di immaginazione si annulla il tempo, si abbreviano le miglia e si salpa in mare dentro a una conchiglia” afferma; “immaginate” e così “colmate i vuoti della storia” torna a dire e “rivolgete la mente a”, “esercitate un po' la fantasia”, “provate a sentire”, “lo vedete?”: “Anche stavolta”, quasi ci prega infine, “lasciate che la vostra vista sia guidata dall'immaginazione”. Ecco: come faccio a immaginare se Donnellan, invece di lacerti di mondi diversi (inventati e re-inventabili), mi propone una stanza neoverista dal cui rubinetto necessariamente deve scorrere dell'acqua perché l'intera struttura sia credibile? E come faccio a immaginare se questa stanza ha pareti che sigillano il palco come un muro sigilla un parco privato, se la stanza somiglia a un set semi-cinematografico, se il regista allestisce una scatola geometrico-frontale che mi colma la vista per intero, come faccio se innalza la parete lungo tutto l'orizzonte non permettendomi vie di fuga, deviazioni di pensiero, finanche un momento di distrazione personale? E come faccio a immaginare se lavora per completezza, per accumulo e per saturazione, come fosse intenzionato − più che a raccontarmi una storia attraverso le potenzialità infinite del verbo di Shakespeare (che “parla teatro”, per citare Cixous) − a saldare un debito contratto con gli organizzatori dandomi una quantità di prodotto oggettivo in cambio del prezzo del biglietto? Simile a un bambino al quale si dice “C'era una volta…” per poi piazzarlo davanti allo schermo di un computer perché si guardi la versione-video della fiaba, osservando il Pericle di Donnellan non mi sono mai sentito uno spettatore shakespeariano – al quale è demandata la possibilità di completare la visione –; mi sono sentito invece come talvolta mi capita stando al cinema o davanti alla tv: ficcato nella poltrona, con lo sguardo fisso in avanti, posto in uno stato di passività e trattato, quindi, come il mero ricevente di uno spettacolo. E così che sono privato della libertà di vedere quel che c'è oltre il vedibile. Ne sarebbe stato contento Philip Sidney, forse. A me, invece, resta il rammarico con cui chiudo quest'articolo.

06 luglio 2018

AL TEATRO FESTIVAL LA FILOSOFIA DI BERTRANDO SPAVENTA

Sabato 7 luglio al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, si comincia con Renato Carpentieri impegnato nel reading de La filosofia di Bertrando Spaventa (Istituto Italia per gli Studi Filosofici, ore 18). Si prosegue con la sezione Danza, che presenta La conferenza degli uccelli, dal racconto teatrale di Jean-Claude Carrière, con Amiar Souphiene, Elena Baroglio, Roberto Caccioppoli, Francesca Luce Cardinale, Andrea Caschetto, Tommaso De Santis, Manuela Fiscarelli, Carolina Patino, Valeria Sacchi, diretti da Anna Redi (Sala Assoli, ore 19). Per la sezione Italiani, va invece in scena Afganistan - Il grande gioco, diretto da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, con Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana (Teatro Mercadante, ore 20.30). Proseguono gli appuntamenti dell’Osservatorio del NTFI con Io credo a Cassandra, interpretato da Raffaella Anzalone e Sara Meoni e da Martina Coppeto, Raffaella De Piano, Lisa Imperatore, Francesca Murru, Mario Paesano, Davide Pascarella, Paola Senatore, per la regia di Enzo Marangelo (Cortile della Carrozze di Palazzo Reale, ore 21.30). Nella stessa giornata, il festival si sposta in Regione, al Duomo di Salerno dove Raffaello Converso presenta in prima assoluta L’armonia sperduta concerto/spettacolo sulla canzone napoletana con elaborazioni e le orchestrazioni originali di Roberto De Simone, direttore d’orchestra Luigi Grima (ore 21.30). La serata si conclude al Dopofestival con il concerto di Uanema Swing Orchestra (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23). Reading All’Istituto Italiano per gli studi Filofofici, sabato 7 luglio ore 18, va in scena LA FILOSOFIA DI BERTRANDO SPAVENTA, lettura di Renato Carpentieri, al contrabbasso acustico Ilaria Capalbo. Eugenio Garin, nel ribadire l’importanza del pensiero di Bertrando Spaventa, avvertiva i giovani accorsi numerosi ad ascoltarlo a Palazzo Serra di Cassano, che «in Italia il vero grande pericolo è la rinunzia allo spirito libero, critico – alla filosofia che riconosce solo l’autorità della ragione». E che «in ogni tempo, sotto ogni regime, l’avversione alla filosofia, la lotta contro la filosofia, è sinonimo di lotta contro la libertà, di tirannide dei singoli o delle moltitudini». Senza filosofia, infatti, non ci può essere autocoscienza e quindi libertà; illuminante il passo di Bertrando Spaventa: «Il detto socratico: conosci te stesso, che generò tanto rivolgimento negli ordini ideali della scienza, vale non solo nella formazione morale degli individui, ma specialmente in quella delle nazioni. Un popolo che ha confuso o smarrito la coscienza di sé medesimo, è in peggiore stato dello schiavo di cui parla Omero; egli ha perduto non solo la metà dello spirito, ma tutto lo spirito; egli è un corpo senz’anima». Con la sua straordinaria capacità interpretativa, Renato Carpentieri ci condurrà nella lettura di questa vetta fondamentale del pensiero filosofico e politico moderno che rappresenta il punto più alto dell’autocoscienza della cultura occidentale. “Bertrando Spaventa – sottolinea Carpentieri - ci fa capire che cosa siamo e che cosa dovremmo essere, ovvero nazione libera ed eguale nella comunità delle nazioni”. LA FILOSOFIA DI BERTRANDO SPAVENTA, lettura di Renato Carpentieri, contrabbasso acustico Ilaria Capalbo. Si ringraziano il Filosofo, Prof. Vincenzo Vitiello per i preziosi consigli e Nicola Capone per la collaborazione alle scelte dei testi di Spaventa. Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 7 luglio, ore 18.00. Durata 45 min.

06 luglio 2018

A teatro con Repubblica: sconti per San Carlo e Napoli teatro festival

Per usufruire della promozione basta consegnare al botteghino la pagina del giornale dedicata all'iniziativa, in edicola lunedì 9 luglio

Nuove offerte per i lettori di "Repubblica" appassionati di teatro. Il San Carlo garantisce uno sconto del 20 per cento sui migliori posti disponibili per uno degli spettacoli a scelta tra i tre della rassegna "Opera Festival": "Tosca" di Puccini e "Rigoletto" di Verdi, entrambi in allestimenti firmati dal regista Mario Pontiggia, e il gala di danza "Serata omaggio a Rudolf Nureyev". Per usufruire della promozione basta consegnare al botteghino la pagina del giornale dedicata all'iniziativa, in edicola lunedì 9 luglio.

Con la stessa pagina di "Repubblica", inoltre, si rinnova la formula del "2x1", cioè due ticket al costo di uno, per le ultime quattro pièce in scena per il "Napoli Teatro Festival": "Afghanistan" di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, "La ridicola notte di P." di Federico Vigorito, "Who Is the King" di Lino Musella, Andrea Baracco e Paolo Mazzarelli, "Holzwege - Sentieri interrotti" di Loredana Putignani.

06 luglio 2018

Lina Sastri al Napoli Teatro festival: omaggio a Dalla e De Andrè Al Napoli Teatro Festival Italia, diretto da Ruggero Cappuccio, ha debuttato in prima nazionale "Pensieri all’improvviso – Cantata del prima e del dopo" concerto spettacolo di e con Lina Sastri, e con Pino Perris (pianoforte), Maurizio Pica (chitarra), Filippo D’Allio (chitarra), Luigi Sigillo (contrabbasso), gli arrangiamenti sono di Maurizio Pica, l’ideazione scenica di Bruno Garofalo (Cortile d’Onore di Palazzo Reale, ore 21.30). Lo spettacolo si compone di testi originali della grande interprete ai quali si aggiungono brevi frammenti di autrici che molto hanno amato e scritto di Napoli. La selezione musicale scelta da Lina Sastri per questo suo nuovo lavoro raccoglie brani scelti dal repertorio di grandi musicisti-poeti contemporanei, da Lucio Dalla a Fabrizio De Andrè, da Luigi Tenco a Francesco De Gregori fino a Pino Daniele.

06 luglio 2018

06 luglio 2018

Al Napoli Teatro Festival Italia Tutti soli (appassionatamente) “Si nota all’imbrunire”: Silvio Orlando è il protagonista assoluto della nuova creazione di Lucia Calamaro sull’epidemica Solitudine Sociale. Presentato a Napoli, sarà al Festival dei Due Mondi di Spoleto e in giro per i maggiori teatri italiani nella stagione invernale 2018-2019

Un felice incontro ci rivela che un grande teatro contemporaneo è possibile: Si nota all’imbrunire (solitudine da un paese spopolato), di Lucia Calamaro con Silvio Orlando. La scrittura dell’Autrice trova un interprete d’eccezione: un Attore in stato di grazia che ha raggiunto una maturità e una piena consapevolezza del suo essere attore. Meritate le tante chiamate alla ribalta di un pubblico assai partecipe alla prima napoletana, il 30 giugno al Teatro San Ferdinando, nella cornice del Napoli Teatro Festival Italia 2018 diretto da Ruggero Cappuccio al suo secondo anno di direzione artistica. A metà luglio sarò al Festival dei Due Mondi di Spoleto e in giro per l’Italia per la stagione invernale 2018-2019. Il testo di un’autrice importante (testo per certi versi difficile e sicuramente ambizioso) è mediato attraverso il mondo poetico di un attore che regala a quelle parole una propria straordinaria umanità. Il compito non è facile: i dialoghi introspettivi e ipotattici esigono un’adesione assoluta dell’attore, che li deve incarnare e restituire in maniera credibile e autentica. Il resto lo fa l’affiatamento della compagnia di attori. A cominciare da Maria Laura Rondanini che, con esperienza, spessore e sapienza, ci tramanda un personaggio a tuttotondo con impegnativi risvolti esistenziali, Roberto Nobile una ‘spalla’ efficace, costantemente presente in un percorso sempre in ascesa, ai più giovani Riccardo Goretti e Alice Redini che non sfigurano accanto ai colleghi con maggiore esperienza, a loro un compito difficile, quello di esorcizzare un tema di impegnativo attraversamento. Il protagonista, al quale Orlando presta anche il proprio nome di battesimo – così come tutti gli altri componenti del racconto fanno con il proprio personaggio – è un padre vedovo, non ancora vecchio ma non più giovane, che festeggia il proprio compleanno a un giorno di distanza dalla ricorrenza del decimo anniversario della morte della moglie. Silvio vive ritirato dal mondo, in una solitudine ricercata, difesa da tutto e, soprattutto, da tutti. Dalle poesie di Caproni, alla Settimana Enigmistica passando per Rachmaninoff: scarse letture e poca musica, dunque, ma molto cogitare solitario. Quest’attività solitaria ha luogo in una casa di famiglia, ben effigiata da Roberto Crea, che giocata su trasparenze ed essenzialità; qui si muovono i personaggi, vestiti dei bellissimi costumi di Ornella e Marina Campanale, tutti giocati sulle nuances di azzurro, beige e carta da zucchero. In questo eremo giungono sempre meno – e sempre meno graditi – echi della vita “al di fuori”. Il rifugio potrebbe essere un luogo della mente? No, la mente è troppo impegnata a rimuginare. E così, per la doppia ricorrenza, giungono inaspettati i tre figli, Maria, Alice e Riccardo, e il fratello di Silvio, Roberto. L’azione si svolge nelle ore che precedono la commemorazione funebre. Ed è proprio la commemorazione finale, incentrata sulle scarpe della ex defunta, che rivela la Poesia allo stato puro. Ed è significativo che tutta la vita di Silvio si svolga – compressa e compresa – fra un compleanno ed una morte. Lucia Calamaro interpone questa vicenda fra due tappe fondamentali dell’esistenza di ogni essere umano. In mezzo a tanta vita, tanto tormento e tanta solitudine. Silvio difatti soffre di Solitudine Sociale, un male contemporaneo diagnosticato dalla nuova medicina. Confessioni, scontri, riconciliazioni. Come in ogni riunione familiare. Con una particolarità: un capo famiglia sociopatico guarda, giudica, confessa. Il fratello medico condivide con Silvio non solo la professione, ma un inespresso talento musicale e una passione sfrenata per le moto. La figlia medico è ossessionata dal bisogno di governare un caos esistenziale che le fa paura. L’altra figlia è una sedicente e velleitaria scrittrice che non ha mai pubblicato un solo rigo. E un figlio bulimico, che si è precocemente instradato sulla medesima via del padre, di rifiuto del mondo. Un Lear nella steppa, quello raccontato in Si nota all’imbrunire, rifugiatosi nella steppa come quello di Padri e figli di Turgenev: piuttosto che condividere, preferisce trattenere per sé le proprie sofferenze ed emotività, i beni ereditati da questa società contemporanea. La scrittura di Lucia Calamaro è imprevedibile e fuorviante ad ogni snodo drammaturgico; nelle due ore circa di durata dello spettacolo, in un crescendo andante, seppur in una condizione apertamente senza via di scampo riesce sempre a sorprendere lo spettatore. Risultato di una regia, delicata e chirurgica, che giunge al suo scopo offrendo a ciascun personaggio spazio e modo di raccontarsi. Consente al pubblico di ritrovarsi, ognuno nella propria forma di solitudine, vero fil rouge delle figure che si alternano sulla scena. I dialoghi si accavallano, a volte, con bell’effetto di sovrapposizione in cui le voci si mescolano in un chiacchiericcio troppo familiare al consorzio umano attuale. L’incapacità di stare insieme, il bisogno o la condanna alla solitudine, appare condizione umana necessaria, non il risultato di una causa specifica. Il fratello e i figli fanno da coro, da specchio deformante alla solitaria sociopatia del protagonista che li guarda distaccato. Silvio è incapace di empatia e osserva come si osservano i pesciolini rossi girare in una bolla di vetro picchiettando il dito sul contenitore per provocare una reazione che non avverrà. Silvio Orlando tratteggia la figura del protagonista con mille colori, malinconico, grottesco, istrione. Inaspettatamente si sottrae con stizza alla sua stessa affabilità, patetico piccolo uomo consapevole della propria mediocrità che in tale consapevolezza la supera senza però approdare a nulla. Si può ridere di una patologia? Ebbene sì. Si può raffigurare a tutto tondo un carattere? Ebbene sì. Il Sociopatico può ben stare al pari delle grandi caratterizzazioni molieriane, dell’Avaro o del Misantropo. Vi è la stessa grottesca complice risata, alternata a momenti di vero lirismo. Fino alla sorpresa finale: il dolore si svela, e dietro quella forma apparente di rifiuto degli altri fa capolino un bisogno negato.

07 luglio 2018

AFGHANISTAN Il Grande Gioco e Enduring freedom

Una coproduzione Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia con il sostegno di Fondazione Cariplo Teatro Mercadante Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana. Un esperimento di drammaturgia che ha saputo raccontare il rapporto complesso e fallimentare dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. «È un esempio di quel teatro inglese che ci piace e ci somiglia – spiegano i registi dell’Elfo — che parla di civiltà continuando a essere vivo. Un teatro capace di recuperare la sua funzione “epica”, nel senso di elemento catalizzatore di una comunità attorno a grandi temi, e capace di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Che si parli di aids (come accadeva nel nostro spettacolo Angels in America) o di guerre civili e invasioni militari come accade qui, vogliamo che succeda sempre in maniera coinvolgente e sorprendente». Il progetto Afghanistan di Bruni e De Capitani si concretizza in due spettacoli indipendenti e complementari: Afghanistan: il grande gioco e Afghanistan: enduring freedom, che per la prima volta a Napoli saranno presentati in un’unica “maratona”. 07 luglio 2018

WHO IS THE KING

Galleria Toledo Negli ultimi 15 anni le serie TV hanno sconvolto, rinnovato, vivificato il concetto universale di narrazione, abituando il pubblico di tutto il mondo ad entrare nelle grandi storie episodio dopo episodio, passo dopo passo, personaggio dopo personaggio. Ma la serialità, in narrativa come in teatro, non è una novità del nostro tempo. Studiando l’opera teatrale di un certo William Shakespeare, ci siamo resi conto che il grande genio inglese, nell’arco della sua sconfinata produzione, ha saputo dar vita a qualcosa di realmente impressionante: egli ha infatti messo insieme una sequenza di otto opere (RICCARDO II, ENRICO IV parte I e II, ENRICO V, ENRICO VI parte I, II, III, RICCARDO III) che, messe in quest’ordine, raccontano poco più di un secolo della storia d’Inghilterra (dal 1370 al 1490 circa), precorrendo in modo geniale e sconvolgente esattamente i meccanismi narrativi delle migliori serie TV contemporanee. Messi l’uno dopo l’altro, gli otto drammi storici che vanno da Riccardo II a Riccardo III, si rivelano una grande saga di sconvolgente potenza e di inquietante attualità, una saga che indaga in particolare il rapporto fra uomo e potere, una saga nella quale ogni personaggio viene presentato prima giovane, poi uomo, infine anziano, per poi lasciare il testimone ad un nuovo carattere, che a sua volta attraversa tutte le fasi della vita, va incontro alla morte, lascia il campo ad un nuovo protagonista. Il tutto in un doppio arco narrativo (se fosse una serie TV, diremmo che sono due stagioni perfette) che, partendo dal crollo mistico di Riccardo II, sale su, fino alle vette eroiche di Enrico V, per poi precipitare giù, attraverso gli intrighi dell’Enrico VI, fino all’inferno di Riccardo III. Padri e figli, fratelli e zii, re e regine, ribelli e sudditi, personaggi di corte e viziosi impenitenti, formano tutti insieme un grande quadro che ritrae -a metà fra storia e poesia- l’abbraccio letale che da sempre vede le migliori qualità umane soffocare tra le braccia del potere.

07 luglio 2018

BY CARLO LEI SI NOTA ALL’IMBRUNIRE. LUCIA CALAMARO RACCONTA UN CONGEDO

Si nota all’imbrunire un certo distacco. I colori sfumano come acquarelli, le pareti delle case sotto quella luce incerta perdono un colore proprio, definito, sembrano palinsesti. Si nota all’imbrunire una resistenza degli oggetti, non solo quelli tecnologici, alla nostra volontà, ai nostri gusti, un’ostinazione a cui bisogna soggiacere. E comunicare con le persone, anche quelle più prossime, è difficile, sembrano tutte impegnate in battaglie inutili o comunque incomprensibili. Si nota su sé stessi all’imbrunire un’insistenza, un impigliarsi nelle proprie fissazioni, un’incapacità segnarne la tara, di contrattare tra esse e le vite altrui. Una pigrizia, un desiderio di restarsene seduti, in disparte. La sofferenza, quella che fa piangere, come i colori sfuma. E sfuma, infine, anche il confine, un tempo netto, tra ciò che è e ciò che si vorrebbe fosse, tra la realtà e tutto il resto. È lo stato, più volte esplorato, dell’approdo alla vecchiaia, che nella attuale tendenza alla ‘patologizzazione’ oggi si chiama solitudine sociale. Ed è il tema centrale del nuovo testo di Lucia Calamaro, messo in scena dall’autrice in prima assoluta per il Napoli Teatro Festival Italia 2018 al teatro San Ferdinando, in una raffinata messinscena con l’unione inscindibile e perfetta tra illuminazione di Umile Vainieri e le scene di Roberto Crea – nonostante qualche imperfezione nell’amplificazione delle voci, schiacciate nei timbri e nelle dinamiche. Silvio (Orlando) è vedovo da dieci anni e attende nella sua casa lontana e sperduta la visita dei tre figli e del fratello, per la tradizionale commemorazione della defunta, oltre che per il suo compleanno, che cade il giorno prima. I personaggi dei figli hanno caratteri i cui semi sono rintracciabili negli spettacoli precedenti e nell’interpretazione di attori fortemente caratterizzati, già impiegati con successo dall’autrice: la poetessa incompiuta (Alice Redini), un po’ nevrotica come coloro che mancano di genio, condannata alla pena di un apprendistato infinito, scrive versi di altri credendoli (o spacciandoli per) propri; l’eterno precario, senza obiettivi chiari, perso nei lavori più impensati e meno qualificati (a cui Riccardo Goretti dà una qualità di tenace leggerezza, rimbalzando sulle battute come un sasso sulla superficie dell’acqua); la figlia perbene (Maria Laura Rondanini), che pare aver dato un ordine tradizionale alla propria vita e che invece subisce il ruolo auto-assunto di faro razionale della famiglia come un martirio necessario e un’intollerabile violenza. C’è poi il fratello di Silvio, Roberto Nobile, che impersona un modo incosciente e veramente contemporaneo di invecchiare, personaggio in bilico tra assurdità giovanilistiche e la critica verso un certo milieu intellettualoide citazionista da “borghesia illuminata”. Silvio, strattonato da questi quattro sguardi, se non forti sicuramente ostinati, anziché cedere alle lusinghe di uno o dell’altro (del sentimentalismo, della pietà, dell’orgoglio, del buon senso) finisce per sollevarsi dal piano su cui queste forze insistono, galleggia, trova e assapora davvero la solitudine, al di là di ogni ritorno. Senza piacere, senza dolore. È quel distacco che si prova appunto all’imbrunire. La scrittura di Lucia Calamaro esplora questa zona di transizione con preoccupazione sincera, e con una tessitura testuale oggettiva e piana, una giusta oscillazione tra momenti leggeri e meno leggeri, per tenere viva l’attenzione su uno spettacolo non breve, che nello scorrere inarrestabile delle battute patisce pochi silenzi, preferendo piuttosto giovarsi di controscene dalla valenza simbolica o momenti di concertato realistico, in cui le frasi si sovrappongono restituendo la concitazione di un chiacchiericcio di casa. Debitrice soprattutto di sé stessa, di un’analisi lucida del proprio percorso, l’autrice pare impegnata in un lavoro di sottrazione degli elementi estranei rispetto a una drammaturgia nei temi e nei mezzi completamente tradizionale, espungendone quasi completamente anche quelli colorati di una certa magia e personalissima surrealtà a cui ci aveva abituati, per puntare verso una cosciente emersione al livello della superficie, verso una raffinazione del dettato, sempre meno letterario e sempre più drammaturgico, sempre più “in prosa”, in tutti i sensi, in cui anche le voci dal profondo sono accenni, semplici inviti. Chissà che qualcosa non vada perduto, in quest’operazione. Qualche momento lirico è pur sempre mantenuto nel testo, e per chi ne ha gusto sono i momenti migliori – come la ricostruzione dell’innamoramento di Silvio per la moglie attraverso la storia dei piedi di lei. Insomma, non si aprono spaventose cave a colpi di dinamite, si gettano semmai sassolini nel collo di un pozzo, aspettando il suono del fondo – che arriva presto o tardi, o magari per niente. I brevi monologhi di Silvio, la cui intermissione lascia talvolta uno “scalino” nel flusso, interrompono pirandellianamente i battibecchi, e si spiegano davvero e definitivamente solo nel finale, quando si rivelano non tanto dichiarazioni filosofiche (sempre un po’ troppo estemporanee per esserlo), quanto interiori aggiustamenti di un discorso tutto proprio, non comunicativo. Una sorta di riassestamento delle proprie convinzioni, all’imbrunire. La morte, lei è sempre presente, come lo era, fortissima, nei lavori precedenti. Ma qui non è un mostro alle porte o appeso al soffitto, né una compagna di cui non ci si riesce a liberare, che grida le sue ossessive ragioni. L’oscurità di questa presenza, nel nome di chi non c’è più e nella quotidianità di un lungo “congedo del viaggiatore cerimonioso” (come scriveva Giorgio Caproni), è un silenzioso fiume sotterraneo, il cui mormorio si nota, appunto, solamente all’imbrunire. Visto a Napoli, Teatro San Ferdinando, il 1° luglio 2018

07 luglio 2018

Napoli Teatro Festival, ecco il progetto “Afghanistan” Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana

NAPOLI. Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana. Un esperimento di drammaturgia che ha saputo raccontare il rapporto complesso e fallimentare dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. «È un esempio di quel teatro inglese che ci piace e ci somiglia – spiegano i registi dell’Elfo — che parla di civiltà continuando a essere vivo. Un teatro capace di recuperare la sua funzione “epica”, nel senso di elemento catalizzatore di una comunità attorno a grandi temi, e capace di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Che si parli di aids (come accadeva nel nostro spettacolo Angels in America) o di guerre civili e invasioni militari come accade qui, vogliamo che succeda sempre in maniera coinvolgente e sorprendente». Il progetto Afghanistan di Bruni e De Capitani si concretizza in due spettacoli indipendenti e complementari: Afghanistan: il grande gioco e Afghanistan: enduring freedom, che per la prima volta a Napoli saranno presentati in un’unica “maratona”. 07 luglio 2018 Napoli Teatro Festival, torna l’appuntamento con i concerti del Dopofestival Un’occasione per trascorrere una serata in uno dei luoghi più suggestivi della città ascoltando esibizioni live e bevendo un drink

NAPOLI. Anche quest’anno il Giardino Romantico di Palazzo Reale prende vita ogni sera aprendosi alla musica: una serie di band e concerti, per tutta la durata del Festival, dal rock al pop, dallo swing al jazz. Un’occasione per trascorrere una serata in uno dei luoghi più suggestivi della città ascoltando esibizioni live e bevendo un drink. Tutte le sere, a partire dall’8 giugno, grazie al Dopofestival nel Giardino Romantico ci sarà un intrattenimento musicale, ma il programma di concerti live avrà inizio il 18 giugno.

07 luglio 2018

Serial teatrale per Shakespeare

La serialità arriva in teatro. Per il NTFI 2018, alla Galleria Toledo di Napoli, lunedì 9 luglio (ore 19, replica 10 luglio, ore 21), in anteprima nazionale, andrà in scena Who is the king, Episodio 1 da Riccardo II-Enrico IV parte prima, da William Shakespeare, la serie. Un progetto di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli. Drammaturgia e regia di Lino Musella e Paolo Mazzarelli, che ne sono anche interpreti con Massimo Foschi, Marco Foschi, Annibale Pavone, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Josafat Vagni, Laura Graziosi, Giulia Salvarani. Il lavoro si propone di adattare, tradurre, ridurre, mettere in scena le otto opere del Bardo, che vanno dal Riccardo II al Riccardo III, trasformandole in quattro grandi spettacoli, da presentare nel corso di due triennalità. Gli episodi 1 e 2, che coprono gli eventi narrati in Riccardo II ed Enrico IV parte prima, sono l’inizio di questo grande viaggio. “Studiando l’opera teatrale di Shakespeare, – spiegano Musella e Mazzarelli– ci siamo resi conto che il grande genio inglese, nell’arco della sua sconfinata produzione, ha saputo dar vita a qualcosa di realmente impressionante: egli ha infatti messo insieme una sequenza di otto opere (da Riccardo II a Riccardo III) che raccontano poco più di un secolo della storia d’Inghilterra (dal 1370 al 1490 circa), precorrendo in modo geniale e sconvolgente esattamente i meccanismi narrativi delle migliori serie TV contemporanee. Messi l’uno dopo l’altro, gli otto drammi storici, si rivelano una grande saga di sconvolgente potenza e di inquietante attualità, una saga che indaga in particolare il rapporto fra uomo e potere, una saga nella quale ogni personaggio viene presentato prima giovane, poi uomo, infine anziano, per poi lasciare il testimone ad un nuovo carattere, che a sua volta attraversa tutte le fasi della vita, va incontro alla morte, lascia il campo ad un nuovo protagonista. Il tutto in un doppio arco narrativo (se fosse una serie TV, diremmo che sono due stagioni perfette) che, partendo dal crollo mistico di Riccardo II, sale su, fino alle vette eroiche di Enrico V, per poi precipitare giù, attraverso gli intrighi dell’Enrico VI, fino all’inferno di Riccardo III. Padri e figli, fratelli e zii, re e regine, ribelli e sudditi, personaggi di corte e viziosi impenitenti, formano tutti insieme un grande quadro che ritrae -a metà fra storia e poesia- l’abbraccio letale che da sempre vede le migliori qualità umane soffocare tra le braccia del potere”.

08 luglio 2018 Who is the king, la serie da Shakespeare. a Paolo Mazzarelli

"Who is the king" porta a teatro otto drammi storici di Shakespeare, come una serie TV a puntate. Prove aperte degli Episodi 1 e 2 al Franco Parenti a luglio di Elena Magagnoli

Affari Italiani intervista Paolo Mazzarelli su "Who is the king - la serie" In attesa dell'anteprima al Napoli Teatro Festival (9-10 luglio) e della prima nazionale al Teatro Franco Parenti di Milano (dal 9 ottobre), la compagnia Musella-Mazzarelli ha aperto al pubblico la sala del Teatro Franco Parenti per assistere alle prove dell’Episodio 1 di Who is the king, da William Shakespeare, la serie, a cui faranno seguito le prove aperte dell’Episodio 2 (dal 23 al 31 luglio). Il progetto di Who is the kingporterà in scena otto drammi storici di Shakespeare - nell’ordine, Riccardo II, Enrico IV parte I e II, Enrico V, Enrico VI parte I, II e III, Riccardo III - per raccontare un secolo di storia d’Inghilterra come in un’avvincente serie TV a puntate. Gli Episodi 1 e 2 (che coprono gli eventi narrati in Riccardo II ed Enrico IV parte I) sono l’inizio di questa iniziativa, sulla quale abbiamo intervistato Paolo Mazzarelli che, insieme a Lino Musella, firma la regia e la drammaturgia delle opere. “Who is the king - la serie” si sviluppa su otto history plays di Shakespeare, cosa vi ha spinto a parlare di “serialità”? I drammi storici che abbiamo scelto costituiscono essi stessi una serialità, nel senso che, messi in fila, raccontano un’unica storia che si dipana lungo centoventi anni di storia inglese, narrati secondo la visione poetica di Shakespeare. Quindi, in quei drammi è come se ci fosse esattamente un’unica grande storia scritta a puntate. E’ vero che Shakespeare non li aveva scritti in ordine cronologico, però di fatto gli otto drammi storici, rimessi in ordine, rappresentano una scrittura seriale e questa scoperta ci ha molto affascinato. Nella vostra “serie” teatrale c’è un intento di interpretare la contemporaneità? Negli ultimi quindici anni, più o meno, le serie TV hanno realmente sconvolto il concetto universale di narrazione. Se un tempo i grandi narratori scrivevano grandi romanzi, oggi senza dubbio scrivono serie TV, lavorando insieme ai migliori registi. E scoprire che nel mondo del teatro il più grande drammaturgo, Shakespeare, avesse in qualche modo anticipato tutto questo ci ha molto attratto. Il vostro progetto si compone di più episodi da presentare nel corso di due triennalità, una scelta ambiziosa.. E’ una scelta sicuramente anomala in Italia, in questo momento, in cui è raro vedere anche solo un progetto triennale, al di fuori delle compagnie maggiormente affermate. Iniziamo con i primi due testi (Riccardo II ed Enrico IV parte I) già da questa estate e speriamo di riuscire a portare in scena tutti gli otto drammi storici. Allo stato attuale, è ancora un sogno, ma è quello che ci proponiamo di fare. E’ nato dunque fin da subito come un progetto di lungo periodo. E’ stata una proposta nella quale è entrata fortemente anche Andrée Ruth Shammah. Vista l’ampiezza della mole narrativa, abbiamo considerato di ripartire gli episodi nel tempo, in modo da creare un’affezione nel pubblico e consentire anche un maggior approfondimento dei testi da parte nostra. Negli Episodi 1 e 2 avete adottato la formula delle prove aperte al pubblico, con il tavolo di regia in mezzo alla platea e i registi seduti in sala come in un backstage, c’è qui un’idea di teatro partecipato? Anche questa è stata una proposta del Teatro Franco Parenti, cioè quella di aprire alcuni dei giorni di prova nella Sala Grande del teatro, un po’ per creare curiosità nel pubblico, un po’ per testare i materiali. Da parte nostra è stata un’esperienza indubbiamente difficile, perché in prova l’attore è come in mutande (ride), nel senso che è fragile, esposto, non c’è un lavoro pronto ad essere presentato ad un pubblico. Allo stesso tempo è stato anche un momento eccitante ed utile, che ci ha costretto a prendere atto delle possibili debolezze di un lavoro, insieme alle sue ricchezze. C’è quindi nelle prove aperte un ruolo attivo anche del pubblico nel processo creativo. Sicuramente è un test. Nel momento in cui provi a dire certe parole davanti a dieci, venti, cinquanta, cento persone, capisci se quelle parole generano divertimento, interesse, emozione, noia. E a seconda di quello che senti, provi a lavorare sul testo in modo diverso. A proposito del titolo, “Who is the king” è una domanda o un’affermazione? E’ una domanda e un’affermazione insieme. Nel corso degli otto drammi di Shakespeare si succedono una serie di re. In ogni testo c’è qualcuno che è re e qualcun altro che vuole esserlo. Quindi, “Chi è il re?” è la domanda che tiene banco in tutti i drammi storici, è una domanda attorno alla quale si costruiscono tutte le dinamiche di congiura, guerra, alleanza, sfida, amore, che riempiono e animano i testi. Il titolo “Who is the king” si può leggere anche come un gioco sul fatto che questa operazione non ha un unico direttore d’orchestra, ma due registi e drammaturghi, io e Lino Musella per quest’anno, con la supervisione di Andrea Baracco, con l’idea l’anno prossimo di invertire i ruoli rispetto alla regia. Ci sono, dunque, più teste pensanti e organizzative che cercano di darsi manforte per provare a portare avanti un processo creativo che non abbia un unico “re”. Il re sul quale avete lavorato per il primo episodio della serie è Riccardo II, la sua figura racchiude simboli religiosi e caratteri di narcisismo tipici di Don Giovanni, come si inseriscono questi temi in un unico personaggio? Innanzitutto, Riccardo II è l’ultimo dei re inglesi ad aver regnato per diritto divino, quale “unto del Signore”, rappresentante terreno di Dio. Dopo di lui, Enrico Bolingbroke, Enrico IV, è il primo re a regnare senza l’accordo di Dio. Quindi, sicuramente i simboli religiosi hanno a che fare con il testo. La parola Dio ricorre decine di volte, non solo in Riccardo II, ma in tutti i drammi storici di Shakespeare, perché il rapporto tra potere e religione è sempre stato molto profondo, in particolare nel ‘600 e nel ‘300, cioè nel tempo di Shakespeare e nel tempo storico dei drammi. Inoltre, Riccardo II è una figura talmente vasta e complessa, che in alcune note va a sfiorare un Riccardo III, in alcune note un Don Giovanni, in alcune altre un Amleto. E’ una figura unica e atipica, perché come lui stesso dice: “In me convivono personaggi diversi, nessuno dei quali è mai in pace”. E’ come se fosse un unico personaggio animato da una somma di più personaggi, che convivono nella stessa mente e sono in guerra fra loro. Quali sono le prossime date in programma? Il 9 ottobre debuttiamo al Parenti con l’Episodio 1 e l’Episodio 2 in un unico spettacolo. L’estate prossima dovremmo proseguire con gli Episodi 3 e 4 (cioè l’Enrico IV, parte II e l’Enrico V) in un altro spettacolo, per poi girare in tournée alla fine della prima triennalità con i due grandi spettacoli insieme.

08 luglio 2018

TONINO TAIUTI: PROVA D’ATTORE TRA ARTE, MEMORIA, VITA Alla Sala Assoli, per Napoli Teatro Festival, il debutto de La vita dipinta, un testo di Igor Esposito sulle avanguardie artistiche del Novecento

Scritto da Antonio Grieco Che Tonino Taiuti sia tra i più bravi attori napoletani e italiani, capace di modulare corpo voce e sguardo in infiniti registri espressivi, è ormai noto ai tanti – studiosi, spettatori, artisti – ancora interessati all’esperienza propria del teatro, a quel modo cioè di essere in scena che porta dentro di sé un vissuto legato alle proprie radici, ma in modo innovativo, rifiutando un’idea della tradizione chiusa in sé stessa, nei suoi stereotipi identitari o nei suoi logori luoghi comuni. Ma pochi, che in questi anni lo hanno visto interpretare personaggi dei più vari autori contemporanei, sanno della sua grande passione per il jazz e, soprattutto, per la pittura; quest’ultima, una passione che col tempo, e attraverso la frequentazione di artisti come Salvatore Vitagliano ed Enrico Cajati, lo ha portato a sperimentare un autonomo linguaggio artistico (basti osservare, a questo proposito, la sua ultima produzione esposta proprio in questi giorni alla Galleria Serio, a Napoli: una serie di volti enigmatici, surreali, e di variazioni su di un Pulcinella-burattino con le braccia aperte, sospeso nello spazio e nel tempo, che ritorna in forme sempre diverse dando l’idea della Molteplicità e di un’ umanità ai margini che sfugge alla Storia) e, scavando più a fondo, a scorgervi i medesimi, profondi intrecci con certi meccanismi drammaturgici che combinano presenza e assenza, improvvisazione e meditazione sull’arte. È da qui, a nostro avviso, che bisogna partire per comprendere La vita dipinta, il monologo di Igor Esposito da lui messo in scena (il 28 e 29 giugno) nell’ambito del Napoli Teatro Festival, alla Sala Assoli del Teatro Nuovo. La sensazione infatti è che la pièce sia quasi un compendio della sua personale storia artistica, una storia che, nel corso degli anni, ha mescolato teatro, arte e musica, e lo ha spinto ad indagare il rapporto tra la nostra tradizione teatrale (Petito, Viviani, Eduardo, soprattutto) e le avanguardie artistiche più estreme del Novecento: un discorso che, in fondo, oggi lo riporta alle origini, quando, col Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller, partecipò a spettacoli – come Don Fausto e Black out – che segnarono una generazione di artisti attori napoletani. Ora, in La scena dipinta, egli è un artista solo, folle – dice lui stesso in una nota di regia – che racconta il suo vissuto nel mondo dell’arte a contatto con i più grandi artisti del secolo appena trascorso: da Tristan Tzara ad Andrè Breton e Man Ray, da Pablo Picasso ad Andy Warhol. L’attore entra a passi lenti, nel buio, in una scena spoglia – solo una sedia bianca, l’asta con un microfono, ai lati un piccolo tavolo con un vecchio registratore – sulle suggestive note di Because the night di Patti Smith. Indossa un pastrano grigio, una lunga sciarpa rossa, a volte degli occhiali scuri; segni evidenti del suo vissuto, perché quella sciarpa rossa e quel consumato soprabito sono stati quasi un emblema, un segno distintivo; il primo, di Enrico Cajati, grande artista ai margini della scena artistica napoletana e dimenticato anche dopo la sua morte, il secondo, del neiwilleriano Teatro dei Mutamenti. Da questo luogo fuori dal mondo, immaginario, l’artista ha “un chiodo fisso nella mente”: raccontare se stesso, perché le biografie, dice, non sono mai vere. E, allora, chiuso in questo grande buio, che sembra “la mia grande bara” , parla dei suoi amici artisti, dei loro rapporti, dei loro tic, delle loro diverse, spesso contrapposte, visioni artistiche: Tristan Tzara (l’anima del Dadaismo, il più eversivo dei movimenti artistici del Novecento sorto, durante la prima guerra mondiale, a Zurigo) contro Breton e Picasso, Marcel Duchamp, l’inventore del ready made, quasi nascosto nelle sue interminabili e silenziose partite a scacchi, contro tutto e tutti. Li accomuna l’idea di un’arte rivoluzionaria, sottratta al mercato e ad ogni sorta di speculazione. Il rifiuto dell’ordine borghese sarà la parola d’ordine dei dadaisti e di surrealisti, come Breton, Paul Eluard e lo stesso Tzara. Forse è questo sguardo utopico che trasforma il teatro, la pittura e la poesia, l’immaginazione in tutte le sue espressioni in una necessaria esperienza di resistenza, il nodo che sottende questo spettacolo. Che si fa apprezzare soprattutto per quel suo tratto gentile, minimalista, estraneo a quelle ridondanze, ormai tipiche di tanti eventi postmoderni. Ma a dare potenza espressiva a La vita dipinta è senza alcun dubbio la magistrale interpretazione di Taiuti. Sul filo dell’ironia e della leggerezza, l’attore napoletano dà corpo e anima a un personaggio fantastico, eppure, nella sua disperazione e solitudine esistenziale, così vero, così vicino alla nostra sensibilità umana. Taiuti riesce a tenere insieme, con grande naturalezza, la gestualità tipica della nostra tradizione teatrale con quella legata ai più radicali movimenti artistici d’avanguardia; procedimenti contaminatori spiazzanti, che ritornano sia in battute e gags, che mescolano italiano, napoletano e francese, che in quei brani musicali che alternano il rock a motivi classici della nostra cultura canora, come lo spendido Segretamente di Sergio Bruni. Alla fine Taiuti, che allarga le braccia sconsolato come il suo Pulcinella esposto non distante da questa storica sala dei Quartieri – sembra, ancora una volta, ricordarci che, per dirla con l’indimenticabile Leo de Berardinis, “Il teatro è l’attore”, e che lui, l’attore, con il suo lavoro appartato, lontano dai rumori di fondo della metropoli, può ancora aiutarci a immaginare altro intrecciando il nostro passato con le ombre del nostro presente. Convinti e prolungati gli applausi del pubblico in sala, non solo alla maiuscola interpretazione e alla stessa regia di Taiuti, ma anche a Sara Marino per i costumi, a Luca Taiuti per l’assistenza alla regia, a Giovanni Ludeno per lo sguardo Dada, a Marco Vidino per il sound design.

08 luglio 2018 CLOWNERIA E SENILITÀ: L’ARTE DI ESSERE SE STESSI Scritto da Sara Lotta

E la vita è così forte che attraversa i muri per farsi vedere la vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare la vita è così grande che quando sarai sul punto di morire, pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire” (Sogna, ragazzo sogna, Roberto Vecchioni)

Siamo in una casa di riposo per anziani in un clima surreale di follia e lucidità dove inaspettatamente e del tutto contrariamente al pensiero comune, gli anziani sono vivi e appassionanti più che mai, giocano con se stessi e con la morte, mettendo in scena ogni giorno rituali e novità attraverso l’arte magistrale del clown. Il clown qui inteso e intrepretato come la figura più reale e più vicina al mondo della senilità. Ma perché scegliere proprio il mondo della vecchiaia come oggetto di uno spettacolo? È una scelta che probabilmente genera un senso di straniamento e che va spiegata con i cambiamenti sociali accorsi negli ultimi decenni. Dal momento che tutto cambia e nulla rimane uguale a se stesso, è chiaro come anche la vecchiaia abbia subito un cambiamento: un tempo essere vecchi significava essere pieni di saggezza, rispetto da parte della società e autorevolezza sui più giovani. Oggi essere vecchi significa essere un peso sociale, un di più la cui presenza non si è potuta evitare, un difetto di fabbricazione, una limitazione dell’essere umano, che ha raggiunto le più grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, ma ancora non ha trovato la pozione magica contro la vecchiaia e la morte. Ed è qui, in questo preciso istante e alla luce di questa esatta, oltre che amara considerazione, che interviene il teatro: per dare senso alle cose, per indicare un nuovo punto di osservazione dei fatti, una maglia rotta nella rete attraverso la quale fare il salto nella stessa maniera in cui indicava Montale: allontanarsi dai pregiudizi comuni. Roberto Ciulli ci invita allora a saltare, a osservare il mondo della senilità attraverso gli occhi surreali e iperrealisti di un clown. Il regista tedesco, infatti, è considerato uno dei pochi produttori teatrali europei esperto nella moderna, anche se dimenticata arte clownesca. Ma cosa fa un clown? Esattamente nulla, se non portare in scena se stesso, la sua timidezza e la sua genialità, il suo essere debole e perduto, ovvero tutto quello che lo rende veramente forte. Il clown non ha nulla da dimostrare a nessuno, non è il buffone di corte che vuole suscitare ilarità a ogni costo o che punta alla derisione dell’altro. Il clown è ridicolo insieme agli altri, non contro di loro. Ma torniamo allo spettacolo. Nella casa di cura in cui ci troviamo tutto è regolato da norme e rituali precisi, atti a nascondere il caos e l’anomalia che vive nell’animo di chi si trova dinanzi a un’atroce verità da accettare: la perdita della giovinezza. Ci si potrebbero raccontare tante storie su come essa non rappresenti un problema e sia la naturale evoluzione della vita umana: ci si racconterebbe in sostanza una serie infinita di menzogne con la consapevolezza di farlo. La vecchiaia fa schifo, senza se e senza ma, toglie potere e salute, limita il corpo e indebolisce la mente: anche il cuore ne esce male e soffre a ogni sussulto. Ecco allora che nasce il caos: nasce come erba spontanea nonostante le regole di comportamento, gli orari e le modalità di azione siano chiari a tutti e prescritti nel regolamento. I pazienti mangiano, dormono, fanno sport tutti i giorni allo stesso orario, così come i visitatori sono ammessi in giorni e orari precisi – indipendentemente dal fatto che uno abbia fame, sonno o abbia voglia di ricevere visite. Ed è in queste regole che si insinua il clown, il senso del ridicolo ma, anche, della libertà finalmente acquisita. Il clown arriva per sovvertire ogni cosa: ribalta ogni gesto quotidiano, delude ogni aspettativa riposta. Vari i personaggi che Ciulli mette in scena: c’è chi vede sempre tutto sporco e deve pulire, chi non si arrende all’età e crede ancora nella sua forza erotica, chi vive con un cane immaginario, chi si comporta come se fosse ancora un allenatore di calcio che dalla panchina osserva la sua squadra in campo, chi era un cantante che ha perso la voce e forse la ritroverà. I paradossi più assurdi prendono vita sul palco e nella nostra mente nell’arco di un’ora e trenta di spettacolo attraverso numerosi espedienti teatrali: ecco che i giornali dati da leggere ogni giorno e i medicinali da assumere in precisi orari si trasformano in strumenti musicali, così come i bicchieri di vetro che producono melodie, i lampadari volano, i versi senza senso diventano melodia, l’armadio si trasforma in un nascondino segreto grazie al quale avere la meglio sull’infermiere/ controllore. La meraviglia e lo stupore prendono il sopravvento su tutto: ogni giorno tutto si ripete sempre uguale, e quindi sempre diverso. È il meccanismo della ripetitività e dei rituali scenici che viene completamente ribaltato: qui si balla e si canta, si deride l’altro e la morte, si fa l’amore e la guerra. In una sola parola: si vive. Ritornano alla mente le scene del film Miloš Forman, Qualcuno volò sul nido di un cuculo: la vecchiaia come la pazzia, un viaggio nel tempo per diventare alla fine se stessi. "Lei pensa che la sua mente abbia qualcosa che non va?". "No signore, è una meravigliosa stupenda macchina della scienza".

08 luglio 2018

AL TEATRO FESTIVAL VA IN SCENA "WHO IS THE KING"

Lunedì 9 luglio, al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, va in scena in anteprima nazionale Who is the king, serie teatrale su Shakespeare di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli. Al Napoli Teatro Festival Italia il “primo episodio”: daRiccardo II-Enrico IV parte prima, di William Shakespeare. La drammaturgia e la regia sono di Lino Musella e Paolo Mazzarelli, in scena Massimo Foschi, Marco Foschi, Annibale Pavone, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Josafat Vagni, Laura Graziosi, Giulia Salvarani, Paolo Mazzarelli, Lino Musella (Galleria Toledo, ore 19); a seguire, Holzwege | Sentieri interrotti, concept di Loredana Putignani, convideo sound performed di Youssef Tayamoun(Chiesa della Misericordiella ai Vergini, tre repliche - ore 21, 21.45, 22.30 – per max 15 spettatori ciascuna). Per la Sezione Italiani, debutta in prima nazionale La ridicola notte di P., dramma contemporaneo a colori di Marco Berardi, per laregia diFederico Vigorito, con Luca Biagini, Marco Zannoni, Roberto Negri, Alessandra Raichi (Teatro Nuovo, ore 21.00). Replica per Afganistan - Il grande gioco / Enduring freedom, regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. I due spettacoli sono presentati per la prima volta a Napoli in un’unica maratona che inizia alle ore 17 al Teatro Mercadante. In scena Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana. Al Dopofestival, il concerto di Sandro Joyeux (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23).

08 luglio 2018

Al Napoli Teatro Festival il progetto AFGHANISTAN Scritto da RockG

A partire da sabato 7 luglio, il Napoli Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio dedica un focusal Progetto AFGHANISTAN, ideato e realizzato da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Due spettacoli, in scena al Teatro Mercadante di Napoli, da sabato7 a martedì 10 luglio, per affrontare uno dei temi più sentiti della storia contemporanea. Peculiare la scelta drammaturgica del progetto: tredici gli autori a cui sono stati assegnati altrettanti testi dal Tricycle Theatre di Londra, per raccontare il rapporto fallimentare dell’Occidente con il Medio Oriente. I registi, Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani,hanno messo in scenain Italia dieci di queste scritture originali, creando due produzioni che uniscono il Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione, con la collaborazione del Napoli Teatro Festival Italia e il sostegno della Fondazione Cariplo. Il risultato sono due allestimenti complementari.Afghanistan: il grande gioco, che ha debuttato nel 2017 ed è andato in scena sabato 7 luglio, presenta i testi originali di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, con il racconto di cinque momenti storici del paese, negli anni che vanno dal 1842 al 1996. Afghanistan: enduring freedomè la seconda parte, in scenain prima assoluta al Napoli Teatro Festival Italiadomenica 8 luglio alle ore 20.30. Lo spettacolo sarà preceduto daAfghanistan: il grande gioco, in una maratona di entrambi gli allestimenti, che parte dalle ore17 al Teatro Mercadante. Gli anni più recenti del paese – dal 1196 al 2010 - sono raccontati da Afghanistan: Enduring freedomcon le scritture originali di Colin Teevan, Ben Ockrent, Richard Bean, Simon Stephens e Naomi Wallace (repliche lunedì 9 alle 20.30 e martedì 10 luglio alle 19). La regia degli spettacoli è di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Gli interpreti sono Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana. Scene e costumi di Carlo Sala, video Francesco Frongia, luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli.I dieci testi messi in scena nei due allestimenti sono stati tradotti da Lucio De Capitani. Per le maratone dell’8 e del 9 luglio al Teatro Mercadante è previsto un intervallo di quaranta minuti durante il quale verrà offerto al gentile pubblico un buffet di prodotti tipici cilentani (e presidi slow food nell’ambito dell’iniziativa promossa dal MIBAC 2018 Anno del Cibo Italiano).

08 luglio 2018 Paradise Lost: Danzare Milton senza Milton paolo.randazzo

NAPOLI – Inutile girarci intorno: Paradise Lost, lo spettacolo/coreografia di Ben Duke, andato in scena al Teatro Trianon Viviani nell’ambito del Napoli teatro Festival 2018, non ha convinto ed anzi ha comunicato il sapore sgradevole di un’occasione perduta. Deludente perché, in tutta evidenza, da una personalità di prima fila della danza internazionale (Duke è dal 2004, insieme con Raquel Meseguer, fondatore e leader della prestigiosa e pluripremiata compagnia londinese di teatro danza “Last Dog”), ci si sarebbe aspettato qualcosa di più che un’ora abbondante d’ironia monologante, per quanto divertente, leggera, sagace, elegante, e non può essere proposta quasi a vuoto per così tanto tempo. Ci si attendeva piuttosto qualcosa che davvero valga la pena di vedere/ sentire/ discutere/ condividere o meno, in grado di sollecitare seriamente la nostra attenzione di spettatori contemporanei. Quello che si è visto a Napoli invece, sia o meno uno studio, o uno spettacolo nella sua versione definitiva (ma è corretto dire che ha iniziato a girare nel 2015 nel Regno Unito), è apparso un vacuo divertissement coreografico, dimentico della ragion d’arte per cui forse è stato concepito: ovvero la volontà di confrontarsi (e sollecitare il pubblico a farlo insieme con l’artista) col grande poema epico di Milton (del 1667) e con i motivi e le riflessioni che da questo possono scaturire e possono interessare la contemporaneità. Una su tutte: la complicatissima e feconda dialettica genitoriale tra amore e libertà dei figli, nel rapporto tra chi crea e ciò che (o chi) è creato; una tematica complessa e affascinante in cui l’artista è in grado di cogliere e proporre in qualche modo (alla danza si allude appena e le immagini/situazioni che attraversano la scena appaiono abbastanza scontate), ma poi non è capace di sviluppare appieno in tutta la sua potenza., se non rievocata meglio dalla vasta selezione delle musiche piuttosto che dalla drammaturgia e coreografia.

La riscrittura scenica del poema di Milton appare complessivamente fragile, poco meditata – almeno nella sostanziale cifra di sublime solennità che avvolge tutto il poema dell’autore: dalla creazione del cosmo alla ribellione di Lucifero a Dio (una crisi di coppia dagli esiti imprevedibili…), da Adamo ed Eva a Cristo, e forse non andava rifatta mimeticamente ma attenuata con una cifra stilistica capace in qualche modo di sposare il gusto e le attese antiretoriche del pubblico attuale e sostituita con qualcosa di altrettanto importante e profondo. 08 luglio 2018

ANTEPRIMA NAZIONALE ‘WHO IS THE KING’ AL NTFI Written by Giuseppe Spasiano

Lunedì 9 luglio, al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, va in scena in anteprima nazionale Who is the king, serie teatrale su Shakespeare di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo

Mazzarelli. Al Napoli Teatro Festival Italia il “primo episodio”: da Riccardo II-Enrico IV parte prima, di

William Shakespeare. La drammaturgia e la regia sono di Lino Musella e Paolo Mazzarelli, in scena

Massimo Foschi, Marco Foschi, Annibale Pavone, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Josafat Vagni,

Laura Graziosi, Giulia Salvarani, Paolo Mazzarelli, Lino Musella (Galleria Toledo, ore 19); a seguire, Holzwege | Sentieri interrotti, concept di Loredana Putignani, con video sound performed di Youssef Tayamoun (Chiesa della Misericordiella ai Vergini, tre repliche – ore 21, 21.45, 22.30 – per max 15 spettatori ciascuna). Per la Sezione Italiani, debutta in prima nazionale La ridicola notte di P., dramma contemporaneo a colori di Marco Berardi, per la regia di Federico Vigorito, con Luca Biagini,

Marco Zannoni, Roberto Negri, Alessandra Raichi (Teatro Nuovo, ore 21.00). Replica per Afganistan –

Il grande gioco / Enduring freedom, regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. I due spettacoli sono presentati per la prima volta a Napoli in un’unica maratona che inizia alle ore 17 al Teatro Mercadante.

In scena Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini,

Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana.

Al Dopofestival, il concerto di Sandro Joyeux (Giardino Romantico di Palazzo Reale, ore 23).

09 luglio 2018

Ntf,successo per maratona su Afghanistan 'Il grande gioco' ed 'Enduring freedom' coinvolgono spettatori

(ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali. 09 luglio 2018

Ntf,successo per maratona su Afghanistan 'Il grande gioco' ed 'Enduring freedom' coinvolgono spettatori

(ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

Ntf, successo per maratona su Afghanistan

(ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

Ntf, successo per maratona su Afghanistan

(ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

NEL CUORE DI NAPOLI. MARIO MARTONE E GLI ALTRI

BY CARLO LEI

Napoli ha un cuore di mamma. Non è una scoperta: se un napoletano conquista l’anima della sua gente, è fatta. Potrà poi tentare di allontanarsene, uscire dalla fama locale, farsene una nazionale, ma resterà sempre di qui. Non sarà dimenticato, quand’anche lui stesso dimenticasse.

Sul palco della Galleria Toledo, nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia 2018, va in scena Nando Paone (ne riparleremo approfonditamente altrove) nella riduzione scenica del “Diario di un pazzo” di Gogol’, e l’affetto del pubblico è palpabile, fisico, ancor prima che si spengano le luci. È già un ritorno a casa, un ricordarsi dei film e degli spettacoli del passato come fossero marachelle o belle sorprese, poesie recitate solo per i parenti alle feste di famiglia: un nipote che si fa vivo e si vuole riabbracciare – come sei cresciuto! -, sentendone il sacrosanto diritto. L’artista napoletano che non è innanzitutto napoletano, che ha scelto o si è trovato a essere altro, magari senza polemiche, il cuore di Napoli è così grande che lo accoglie con un movimento di aggiramento sottile e sorprendente: al presunto figliol prodigo non è richiesto altro che il regalo di una sfumatura d’accento, una parola sola, anche meno. Anche niente.

Questo NTFI, al di là dell’apertura internazionale, rifà il gesto aperto di quell’abbraccio domestico, dischiuso per la gente di Napoli dalla direzione artistica di Ruggero Cappuccio. Non è inutile dirlo: funziona. Le sale teatrali, a luglio quasi invivibili, sono gremite, e non raramente anche le gallerie torride del respiro affannato delle platee si aprono, per un pubblico che non smette di affluire. Accanto ai ritorni, ciascuno con un diverso clinamen, di Paone, del casertano (romano) Giancarlo Sepe, del Silvio Orlando dal percorso personale e indipendente, cade con un po’ di ritardo l’abbraccio grosso della ricorrenza, che conta trent’anni, ai Teatri Uniti di Mario Martone, Antonio Neiwiller e Toni Servillo.

Per Martone una grande sala è dedicata al museo d’arte contemporanea Donna Regina (il più familiare MADRE), fino al 3 settembre. Si tratta di una vera istallazione curata da Gianluca Riccio, e composta di una piattaforma con trentasei sedie girevoli al centro di un’ampia stanza. Alle quattro pareti si proiettano spezzoni di film, spettacoli, performance, regie d’opera. Con le cuffie consegnate all’ingresso e collegabili alle sedute, si possono ascoltare alternativamente i sonori dei quattro schermi, contraddistinti da led colorati. E così, dal “Giovane Favoloso” si passa alla “Carmen” di Bizet, ai “Rasoi” con Servillo, al Leopardi in prosa delle “Operette Morali” per lo Stabile torinese, al Risorgimento di “Noi credevamo”, allo “Chénier” di ritorno alla Scala per il Sant’Ambrogio 2018, ce ne andiamo a spasso per una multiforme carriera e per una quantità di titoli tale da lasciare confusi e quasi increduli.

Nella saletta attigua, sui muri, data per data, ne è ripercorso in sorte di Annales martoniani tutto l’arco creativo, dal 1979, il tempo della performance “Segni di vita” alla Galleria Lucio Amelio, a oggi – l’ultimo film, in lavorazione, uscirà in autunno – attraversando esperienze come quella alla direzione del Teatro di Roma che hanno lasciato il segno. E non è una frase fatta: il segno è tangibile come i due capannoni industriali in mattoni del Teatro India, ex fabbrica della Mira Lanza, sul lungotevere che oggi porta il nome di Vittorio Gassman.

Poi un filo invisibile, teso – attraversando a perfetto volo Santa Chiara e il Gesù Nuovo, l’università, i cantieri interminabili (e incomprensibili al passante) di piazza Municipio, il San Carlo d’oro e piazza Plebiscito col colonnato come un luna park di led ubriachi – collega il MADRE con la sala Dorica di Palazzo Reale, un ampio camerone dedicato ai trent’anni di Teatri Uniti (curatela di Maria Savarese, mostra allestita fino al 2 ottobre). Con una struttura canonica di alternanza fra locandine, documenti e frammenti audio (oltre alla non inaspettata saletta video) si racconta l’esperienza della compagnia/produzione napoletana più attiva di fine millennio. Alcune chicche: l’articolo del Mattino che segna la nascita della compagnia dalla fusione tra Falso Movimento, Teatro Studio di Caserta e Teatro dei Mutamenti, l’interminabile elenco date della tournée della “Trilogia” goldoniana, vista da più di 200.000 spettatori, i ritratti artistici di figure che sono nate o hanno gravitato attorno all’astro dei Teatri Uniti (Licia Maglietta, Iaia Forte, Mimmo Paladino, che ha dato peraltro la sua impronta grafica a tutto il festival…), fino alla caustica noterella di Claudio Plazzotta su Umberto Eco, che (ri)sorge per applaudire «sulla fiducia» la Trilogia al Piccolo di Milano, dove il sonno l’aveva colto e accompagnato per gran parte della messinscena.

09 luglio 2018

Ntf, successo per maratona su Afghanistan

(ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

Ntf,successo per maratona su Afghanistan 'Il grande gioco' ed 'Enduring freedom' coinvolgono spettatori

NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

I prodotti cilentani al Napoli Teatro Festival Italia. Ne parliamo in Eccellenze Salernitane in Tavola Ersilia Gillio

“Eccellenze salernitane… in tavola” è l’appuntamento quotidiano che Radio Alfa dedica ai prodotti tipici e alla gastronomia locale, in onda ogni giorno alle 12:00 e alle 19:00 I prodotti del Cilento in mostra al Napoli Teatro Festival Italia che si tiene fino a domani, martedì, in luoghi scenici del capoluogo campano. Obiettivo unire la passione per la cultura con la cultura per il cibo nell’anno del cibo italiano. Iniziativa della rete denominata BRODO che riunisce 8 aziende del Cilento, nata per proporre visite in Cilento strutturate in base ai cicli delle stagioni. Nella puntata di oggi di Eccellenze, una dei soci di Brodo, Donatella Marino, produttrice di alici di Menainca

09 luglio 2018

Ntf,successo per maratona su Afghanistan

Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali. 14 giugno 2018

NAPOLI TEATRO FESTIVAL: IL SOGNO DI SHAKESPEARE PRENDE VITA AL TEATRO BELLINI

«Vi piacerebbe essere svegliati durante un sogno?» chiede la voce che raccomanda di spegnere i cellulari ad inizio spettacolo, ma è quasi un incubo quello in cui si viene precipitati nei primi momenti della rappresentazione: luci bianche e blu piovono sul pubblico mentre tutti i personaggi corrono giù dal palco e una di loro – Ippolita – viene trainata su attraverso una corda. Il forte impatto visivo è completato dalle poche note da nenia che si trasformano in musica rock. È bene dirlo subito: le interpretazioni troppo ardite dell’opera di Shakespeare quasi mai risultano convincenti, e corrono spesso il rischio di perdere di vista il testo già di per sé perfetto. E invece, la rappresentazione pensata da Terza Generazione - Cantiere Teatrale Flegreo per la regia di Michele Schiano di Cola riesce a cogliere il senso dell’opera shakespeariana facendone emergere la sua vera natura: quella di commedia. È proprio il riso, infatti, in Sogno di una notte di mezza estate, a collegare il mondo umano a quello naturale e alle creature fantastiche che popolano la selva, oltre alla metamorfosi asinina subita da Bottom a causa di Puck, antica figura del folklore nordico, qui vero e proprio deus ex machina della storia.

Shakespeare dà ulteriore energia al versante comico dell’opera attraverso la recita messa su da Bottom e compagni per allietare le nozze di Teseo e Ippolita che fanno da sfondo agli avvenimenti. La messinscena di Cantiere Teatrale Flegreo pone particolare attenzione all’allestimento comico della Lamentevolissima commedia e la crudelissima morte di Piramo e Tisbe, che risulta la parte meglio architettata e riuscita dello spettacolo: perfetti Pako Ioffredo e Luigi Bignone nei panni dei comicissimi Piramo e Tisbe. La commedia, tra le più note di Shakespeare, presenta già nel titolo alcuni dei suoi elementi fondamentali: il sogno, lo stato tra realtà e irrealtà, la notte, ovvero il momento in cui tutto assume forme alterate, e il passaggio alla stagione estiva, accompagnato in numerose civiltà da riti connessi alla fertilità. Il bosco, poi, luogo del dionisiaco e dell’onirico è contrapposto alla corte, ovvero l’apollineo e la razionalità, due piani contrapposti della narrazione; terzo piano è proprio quello del racconto del mondo degli artigiani, dell’arte: l’intento di Shakespeare è quello di rappresentare uno spaccato sociale del tempo, quello dei mestieranti e attori, attraverso la pratica del play within the play cara agli elisabettiani.

L’allestimento è calato, secondo le dichiarazione dello stesso regista, in un contemporaneo non naturalistico e si domanda quale possa essere il significato oggi di fate e folletti, del bosco o del conflitto tra apollineo e dionisiaco. La difficoltà del comprendere lo scarto all’interno della rappresentazione diretta da Schiano di Cola sta proprio nella capacità del Bardo di trattare temi e argomenti che riguardano l’uomo elisabettiano quanto quello del XX secolo, tanto che alcune delle istanze poste dai personaggi shakespeariani sono valide ancora oggi. La messinscena del Cantiere Teatrale Flegreo gioca, poi, su alcuni capovolgimenti: il più evidente e riuscito, quello di un Puck in scena con bastone e occhiali da non vedente e privo di quella velocità e prontezza tipici del folletto shakespeariano. Nel finale, forse, la chiave di interpretazione più convincente dell’opera: Botton cerca di spiegare al pubblico il sogno che ha vissuto, il momento della sua trasformazione in asino, e non vi riesce: un sogno che supera ogni capacità per un uomo di poterlo raccontare.

Pasquale Pota 14/06/2018 05 luglio 2018

NAPOLI TEATRO FESTIVAL, LUCA ZINGARETTI LEGGE IL CANTICO DEI CANTICI E ALTRE STORIE

Nel piccolo teatro naturale di Pietrelcina, cittadina sede di ben tre eventi del Napoli Teatro Festival 2018, un palcoscenico immerso nella natura e nell’oscurità della notte ospita il reading ideato da Luca Zingaretti e da Giuseppe Cesaro, che mettono insieme testi tratti dal libro biblico e riflessioni sulla natura umana. La scenografia è semplice: un pianoforte a coda per l’accompagnamento musicale originale di Arturo Annecchino e una tela su cui viene proiettata una foto della nostra galassia catturata dalla sonda Voyager 1. È così che inizia la riflessione di Zingaretti: la Terra è appena visibile all’interno dei miliardi di stelle visibili,l’uomo è insignificante di fronte a tutto ciò, e così le differenze che ci separano e ci dividono. «Cosa avrebbe scritto Leopardi se avesse visto la Terra fotografata dalla Voyager 1?» incalza dopo aver letto un passo dell’Infinito, poesia che Leopardi scrisse appena ventenne. E ancora, «cosa rende noi uomini “primi” e non “ultimi” nell’infinità di galassie e pianeti che ci circondano?» si domanda dopo aver letto il noto passo del Vangelo di Matteo. La lettura pensata da Zingaretti e Cesaro tenta di dare una risposta ad alcune di queste domande in maniera chiara: ciò che differenzia e rende unico l’uomo rispetto a tutto il resto è la poesia, quella di Leopardi o di Rilke – di cui legge frammenti –, quella che conosce chi ha visto la Cappella Sistina, o chi si è trovato di fronte ad un’opera di Giotto, Michelangelo, Fidia, Van Gogh, Monet o Picasso; quella intrinseca nella danza di Nureyev o nella musica di Ella Fitzgerald e nella voce di Maria Callas. Ma Zingaretti dice di più: la poesia non è nella luna e nelle stelle – che pure hanno ispirato generazioni di poeti – è nell’anima dell’uomo e dà voce alla verità. Ciò che conta, dunque, non è l’infinito di Leopardi, ma ciò che dentro Leopardi fa sì che un ragazzino di vent’anni possa pensare e scrivere “L’infinito”. Il percorso ideato dall’attore romano, poi, finisce per esplorare la relazione dell’essere umano con la divinità attraverso la tragica richiesta di risposte che l’essere umano rivolge a Dio: da quest’unico elemento sarebbe possibile trarre una quantità di testimonianze nella letteratura e nel teatro di tutti i tempi, dalle tragedie greche fino a Shakespeare. La considerazione, infine, che la poesia è donna – basti pensare all’origine greca del termine – permette all’attore di compiere una digressione sulla più stringente attualità e sulle tragiche notizie di cronaca che si susseguono negli ultimi anni.

Pasquale Pota 05/07/2018

06 luglio 2018

Napoli Teatro Festival a Salerno: il 7 luglio l’armonia sperduta al Duomo

Da Ilaria Varriano

Sabato 7 luglio al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, in scena al Duomo di Salerno L’armonia sperduta concerto/spettacolo sulla canzone napoletana di Raffaello Converso con elaborazioni e le orchestrazioni originali di Roberto De Simone e con l’ensemble di archi, fiati, pianoforte e mandolino diretto da Luigi Grima (ore 21.30). Prodotto dall’associazione Proscenio, L’Armonia Ritrovata è un cammino nella musica d’autore napoletana costruito da Raffaello Converso grazie alla collaborazione del Maestro Roberto De Simone. Nel segno dell’ibridazione tra i generi, dalle atmosfere pergolesiane, al folk al jazz e al pop, con una ironica incursione nel rap e un omaggio alla “posteggia”, il concerto spettacolo realizza un percorso musicale che restituisce scritture perdute, arie, serenate, fino ad arrivare a componimenti inediti dello stesso De Simone. “I vari brani – sottolinea il musicista e cantante – sono accomunati da una profonda attenzione agli stili vocali e strumentali che connotavano il genere musicale nel suo secolare sviluppo. Si tratta di un ideale e progressivo percorso stilistico che conduce alle più innovative contaminazioni linguistiche dei trascorsi anni ‘70”. In repertorio brani classici come “Nu passariello spierzo” di Di Giacomo-Leva, ma anche una sorprendente versione di “Je so’ pazzo” di Pino Daniele che si innesta sulla partitura della tradizionale “Tarantella del Gargano”, fino alla “Lauda per Frate Pio de Pietrelcina” che, spiega Converso, “realizza un travestimento spirituale su melodia popolare, la musica di Bella Ciao, di cui De Simone ha scoperto le radici yiddish”. “Da considerazioni e confronti condotti sul vasto panorama della Canzone napoletana, – scrive Roberto De Simone – desumiamo che esso non può riferirsi esclusivamente a poeti e musicisti che hanno agito produttivamente a Napoli nell’arco storico di circa un secolo. I documenti stampati della ingente mole di composizioni musicali, difatti, sottintendono una oralità esecutiva che preesisteva alla Canzone stessa e che ne ha consentito la popolarità. La contaminazione storica, che pur connota la più autentica tradizione nostrana, è stata la mia principale meta, sorvolando sulla banale veste strumentale di armonia scolastica. In sottotraccia mi son sempre riferito ad ardite associazioni mentali, relative alla storia e allo straniamento musicale con cui agivano i veraci esecutori ricchi di memoria orale”. L’ARMONIA SPERDUTA con Raffaello Converso, elaborazioni ed orchestrazioni Roberto De Simone, direttore d’orchestra Luigi Grima, produzione Ass. Cult. Proscenio. Duomo di Salerno, 7 luglio ore 21.30, durata 1 ora e 15 min.

06 luglio 2018 Afghanistan: Il grande gioco / Enduring freedom

Afghanistan: Il grande gioco / Enduring freedom, sono i due spettacoli, diretti da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, in scena nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, al Teatro Mercadante tra il 7 ed il 10 luglio. Tutto inizia da una domanda: “Che cosa sappiamo di questo grande paese dell'Asia Centrale che ciclicamente occupa le prime pagine dei nostri giornali? Un paese che, in seguito all'attentato dell'11 settembre, è stato invaso per mettere fine al regime dei talebani, nel quale sono tutt'oggi presenti truppe italiane. Un paese che dall'Ottocento è terreno di scontro delle potenze mondiali per la sua posizione strategica”. Se lo sono chiesti al Tricycle Theatre di Londra, la più grande officina britannica di teatro politico, commissionando a tredici autori, tra i più interessanti della scena angloamericana, altrettanti testi per raccontare il rapporto complesso e fallimentare dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. Il progetto diventa spettacolo ed il successo è clamoroso. Se lo sono chiesti egualmente Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani che affrontano l’argomento nel loro progetto Afghanistan, scegliendo di mettere in scena nel nostro Paese dieci di queste scritture originali, attraverso un lavoro reso possibile da una sinergia produttiva che unisce il Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione, con la collaborazione del Napoli Teatro Festival Italia e il sostegno della Fondazione Cariplo. Il progetto di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani si concretizza nell’allestimento di due spettacoli, indipendenti benché complementari: Afghanistan: il grande gioco (che ha debuttato nel gennaio del 2017 e che a Napoli sarà in scena al Teatro Mercadante sabato 7 luglio, alle 20.30, durata 2 ore e 35 min) con cui si propone, attraverso i testi originali di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, il racconto scenico di cinque momenti storici del Paese mediorientale, relativi ad un periodo che va dal 1842 al 1996. Afghanistan: Enduring freedom in scena, in prima assoluta al Napoli Teatro Festival Italia, domenica 8 luglio alle 20.30 affronta, nelle scritture di Colin Teevan, Ben Ockrent, Richard Bean, Simon Stephens e Naomi Wallace, gli anni attuali di questo Paese, raccontando un periodo storico che va dal 1996 al 2010 (repliche lunedì 9 – ore 20.30 e martedì 10 alle 19, durata 2 ore e 54 minuti). “La storia dei rapporti tra Occidente e Afghanistan - precisano i registi Bruni e De Capitani - è metafora di tutti gli errori fatti in Medio Oriente e Asia anche per ignoranza: ci piace che venga raccontato un periodo di cui si sa poco ma ci coinvolge tanto, riaffermando l'idea di un teatro che parla di civiltà continuando a essere vivo”. Una emozionante epopea che consegna al pubblico una nuova occasione di teatro che sa raccontare il presente senza essere documentaristico, entrando nel cuore della grande Storia con tante piccole storie. “È un esempio di quel teatro inglese che ci piace e ci somiglia – spiegano i registi dell’Elfo — che parla di civiltà continuando a essere vivo. Un teatro capace di recuperare la sua funzione “epica”, nel senso di elemento catalizzatore di una comunità attorno a grandi temi, e capace di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Che si parli di aids (come accadeva nel nostro spettacolo “Angels in America”) o di guerre civili e invasioni militari come accade qui, vogliamo che succeda sempre in maniera coinvolgente e sorprendente”. I dieci testi che sono messi in scena nei due allestimenti sono stati tradotti da Lucio De Capitani. La regia di entrambi gli spettacoli è di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Il cast è formato dagli attori Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana. Scene e costumi di Carlo Sala, video Francesco Frongia, luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli. La maratona Afganistan L’8 il 9 e il 10 giugno al Teatro Mercadante si potrà assistere ad entrambi gli allestimenti in una “maratona Afghanistan”. 8 luglio Il grande gioco + Enduring Freedom (17.00 Il grande gioco, 20.30 Enduring Freedom – Tra i due spettacoli ci saranno 40 minuti di intervallo) 9 luglio Il grande gioco + Enduring Freedom (17.00 Il grande gioco, 20.30 Enduring Freedom – Tra i due spettacoli ci saranno 40 minuti di intervallo) 06 luglio 2018

AL DUOMO DI SALERNO RAFFAELLO CONVERSO PER NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA • Giuseppe Spasiano

Sabato 7 luglio al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, in scena al Duomo di Salerno L’armonia sperduta concerto/spettacolo sulla canzone napoletana di Raffaello Converso con elaborazioni e le orchestrazioni originali di Roberto De Simone e con l’ensemble di archi, fiati, pianoforte e mandolino diretto da Luigi Grima (ore 21.30). Prodotto dall’associazione Proscenio, L’Armonia Ritrovata è un cammino nella musica d’autore napoletana costruito da Raffaello Converso grazie alla collaborazione del Maestro Roberto De Simone. Nel segno dell’ibridazione tra i generi, dalle atmosfere pergolesiane, al folk al jazz e al pop, con una ironica incursione nel rap e un omaggio alla “posteggia”, il concerto spettacolo realizza un percorso musicale che restituisce scritture perdute, arie, serenate, fino ad arrivare a componimenti inediti dello stesso De Simone. “I vari brani – sottolinea il musicista e cantante – sono accomunati da una profonda attenzione agli stili vocali e strumentali che connotavano il genere musicale nel suo secolare sviluppo. Si tratta di un ideale e progressivo percorso stilistico che conduce alle più innovative contaminazioni linguistiche dei trascorsi anni ‘70”. In repertorio brani classici come “Nu passariello spierzo” di Di Giacomo-Leva, ma anche una sorprendente versione di “Je so’ pazzo” di Pino Daniele che si innesta sulla partitura della tradizionale “Tarantella del Gargano”, fino alla “Lauda per Frate Pio de Pietrelcina” che, spiega Converso, “realizza un travestimento spirituale su melodia popolare, la musica di Bella Ciao, di cui De Simone ha scoperto le radici yiddish”. “Da considerazioni e confronti condotti sul vasto panorama della Canzone napoletana, – scrive Roberto De Simone – desumiamo che esso non può riferirsi esclusivamente a poeti e musicisti che hanno agito produttivamente a Napoli nell’arco storico di circa un secolo. I documenti stampati della ingente mole di composizioni musicali, difatti, sottintendono una oralità esecutiva che preesisteva alla Canzone stessa e che ne ha consentito la popolarità. La contaminazione storica, che pur connota la più autentica tradizione nostrana, è stata la mia principale meta, sorvolando sulla banale veste strumentale di armonia scolastica. In sottotraccia mi son sempre riferito ad ardite associazioni mentali, relative alla storia e allo straniamento musicale con cui agivano i veraci esecutori ricchi di memoria orale”.

06 luglio 2018

06/07/2018 TG1

07 luglio 2018

AFGHANISTAN Il Grande Gioco e Enduring freedom

Una coproduzione Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia con il sostegno di Fondazione Cariplo Teatro Mercadante Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana. Un esperimento di drammaturgia che ha saputo raccontare il rapporto complesso e fallimentare dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. «È un esempio di quel teatro inglese che ci piace e ci somiglia – spiegano i registi dell’Elfo — che parla di civiltà continuando a essere vivo. Un teatro capace di recuperare la sua funzione “epica”, nel senso di elemento catalizzatore di una comunità attorno a grandi temi, e capace di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Che si parli di aids (come accadeva nel nostro spettacolo Angels in America) o di guerre civili e invasioni militari come accade qui, vogliamo che succeda sempre in maniera coinvolgente e sorprendente». Il progetto Afghanistan di Bruni e De Capitani si concretizza in due spettacoli indipendenti e complementari: Afghanistan: il grande gioco e Afghanistan: enduring freedom, che per la prima volta a Napoli saranno presentati in un’unica “maratona”. 07 luglio 2018

WHO IS THE KING

Galleria Toledo Negli ultimi 15 anni le serie TV hanno sconvolto, rinnovato, vivificato il concetto universale di narrazione, abituando il pubblico di tutto il mondo ad entrare nelle grandi storie episodio dopo episodio, passo dopo passo, personaggio dopo personaggio. Ma la serialità, in narrativa come in teatro, non è una novità del nostro tempo. Studiando l’opera teatrale di un certo William Shakespeare, ci siamo resi conto che il grande genio inglese, nell’arco della sua sconfinata produzione, ha saputo dar vita a qualcosa di realmente impressionante: egli ha infatti messo insieme una sequenza di otto opere (RICCARDO II, ENRICO IV parte I e II, ENRICO V, ENRICO VI parte I, II, III, RICCARDO III) che, messe in quest’ordine, raccontano poco più di un secolo della storia d’Inghilterra (dal 1370 al 1490 circa), precorrendo in modo geniale e sconvolgente esattamente i meccanismi narrativi delle migliori serie TV contemporanee. Messi l’uno dopo l’altro, gli otto drammi storici che vanno da Riccardo II a Riccardo III, si rivelano una grande saga di sconvolgente potenza e di inquietante attualità, una saga che indaga in particolare il rapporto fra uomo e potere, una saga nella quale ogni personaggio viene presentato prima giovane, poi uomo, infine anziano, per poi lasciare il testimone ad un nuovo carattere, che a sua volta attraversa tutte le fasi della vita, va incontro alla morte, lascia il campo ad un nuovo protagonista. Il tutto in un doppio arco narrativo (se fosse una serie TV, diremmo che sono due stagioni perfette) che, partendo dal crollo mistico di Riccardo II, sale su, fino alle vette eroiche di Enrico V, per poi precipitare giù, attraverso gli intrighi dell’Enrico VI, fino all’inferno di Riccardo III. Padri e figli, fratelli e zii, re e regine, ribelli e sudditi, personaggi di corte e viziosi impenitenti, formano tutti insieme un grande quadro che ritrae -a metà fra storia e poesia- l’abbraccio letale che da sempre vede le migliori qualità umane soffocare tra le braccia del potere. 07 luglio 2018

Napoli Teatro Festival, ecco il progetto “Afghanistan” Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana

NAPOLI. Afghanistan è un progetto che il Tricycle Theatre, la più grande officina britannica di teatro politico, ha commissionato a tredici autori tra i più interessanti della scena angloamericana. Un esperimento di drammaturgia che ha saputo raccontare il rapporto complesso e fallimentare dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre (e suo malgrado) al centro dello scacchiere mondiale. «È un esempio di quel teatro inglese che ci piace e ci somiglia – spiegano i registi dell’Elfo — che parla di civiltà continuando a essere vivo. Un teatro capace di recuperare la sua funzione “epica”, nel senso di elemento catalizzatore di una comunità attorno a grandi temi, e capace di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Che si parli di aids (come accadeva nel nostro spettacolo Angels in America) o di guerre civili e invasioni militari come accade qui, vogliamo che succeda sempre in maniera coinvolgente e sorprendente». Il progetto Afghanistan di Bruni e De Capitani si concretizza in due spettacoli indipendenti e complementari: Afghanistan: il grande gioco e Afghanistan: enduring freedom, che per la prima volta a Napoli saranno presentati in un’unica “maratona”. 07 luglio 2018 Napoli Teatro Festival, torna l’appuntamento con i concerti del Dopofestival Un’occasione per trascorrere una serata in uno dei luoghi più suggestivi della città ascoltando esibizioni live e bevendo un drink

NAPOLI. Anche quest’anno il Giardino Romantico di Palazzo Reale prende vita ogni sera aprendosi alla musica: una serie di band e concerti, per tutta la durata del Festival, dal rock al pop, dallo swing al jazz. Un’occasione per trascorrere una serata in uno dei luoghi più suggestivi della città ascoltando esibizioni live e bevendo un drink. Tutte le sere, a partire dall’8 giugno, grazie al Dopofestival nel Giardino Romantico ci sarà un intrattenimento musicale, ma il programma di concerti live avrà inizio il 18 giugno. 09 luglio 2018

Ntf, successo per maratona su Afghanistan

'Il grande gioco' ed 'Enduring freedom' coinvolgono spettatori

NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali. 09 luglio 2018

La “Conferenza degli uccelli” è uno spettacolo mette in scena il racconto teatrale di Jean- Claude Carrière, rappresenato per la prima volta dal grande Peter Brook ad Avignone nel 1979. Il testo è basato sul poema persiano del XII secolo di Farid Uddin Attar Mantic Uttair, e narra del viaggio di un grande stormo di uccelli, guidati da un’upupa, per raggiungere il loro re, il leggendario Simorg. L’inizio del viaggio è difficoltoso perché gli uccelli hanno dubbi e paure: l’anatra preferisce il suo stagno, la pernice le sue pietre, l’usignolo la sua rosa, il gufo il suo ramo, la cocorita la sua gabbia e il passerotto (che parla napoletano) si sente piccolo e debole e ha paura di non farcela. Ma l’Upupa, l’unica capace di non accontentarsi del quotidiano, li ammonisce, racconta storie che dimostrano l’infondatezza delle loro convinzioni e infine partono. Gli uccelli dovranno attraversare le sette valli in un viaggio difficile e pericoloso per raggiungere il loro vero re, il Simorg, il “Grande uccello”. Quando arriveranno si accorgeranno che l’oggetto della loro ricerca non è che uno specchio. Come dire che la meta del viaggio è il viaggiatore stesso. Si tratta quindi di un viaggio iniziatico, un cammino spirituale, e gli uccelli, naturalmente, siamo noi, una moltitudine eterogenea, ognuno con le sue paure e le sue illusioni da demolire per poter procedere. Dice Anna Redi che da tempo desiderava lavorare al testo di Carrière e solo “la creazione di questo gruppo teatrale di non soli napoletani ma anche con performer algerini, cileni e di altri luoghi a me non familiari me lo ha reso possibile”. Perché la diversità, all’interno dello stormo, è tratto essenziale del percorso che porta allo specchio in cui tutti si riconosceranno “uno”. Lo spettacolo ha un bel ritmo, è vario, attraversa momenti comici e drammatici, gli interpreti si trasformano con disinvoltura in personaggi diversi: da derviscio a uccello, da cocorita a pipistrello, da re a gufo, da passerotto a madre premurosa. Il Coro di Voci Bianche di Chiara Biondani che accompagna la rappresentazione dal vivo è suggestivo e accentua l’atmosfera di fiaba morale. La coreografia è curata, non banale. Il lavoro riesce a toccare le corde del cuore. E certamente gli attori danzano, il movimento ha uno spazio molto maggiore rispetto a uno spettacolo teatrale tradizionale. Tuttavia non è uno spettacolo di danza e neanche di teatro danza, perché la narrazione è portata avanti dalle parole del testo di Carrière, recitate dagli interpreti, non dal corpo e dal suo linguaggio. Mara Fortuna

09 luglio 2018 Da Napoli al Rendano debutta ‘Sogno di una notte di mezza estate’

Il 23 luglio la compagnia di Sogno di una notte di mezza estate calcherà il palcoscenico del Teatro Rendano che, guidata dal regista Michele Schiano di Cola, ha debuttato nel mese scorso al Napoli Teatro Festival di Ruggero Cappuccio. Il progetto di questo allestimento della commedia di Shakesperare è ideato e diretto da Pako Ioffredo, Demi Licata e Michele Schiano Di Cola di Terza Generazione – Cantiere Teatrale Flegreo, protagonisti di una rinascita dell'area dei Campi Flegrei che, persa la sua vocazione industriale, si riconverte a punto di riferimento culturale e artistico per offrire – soprattutto ai giovani – la possibilità di educarsi alle arti e di accedere alla cultura come ambito quotidiano. E' una terza generazione di artisti a dare vita al Cantiere Teatrale Flegreo – En Art, una realtà territoriale di respiro internazionale nella quale confluiscono artisti e professionisti delle differenti arti sceniche. È lo stesso Schiano Di Cola a raccontare il progetto, “con Marina Commedia, EnArt e Casa Srl, abbiamo dato vita ad una serie di laboratori, con attori per lo più napoletani, il cui fulcro è stata l’indagine di alcuni capolavori di Shakespeare. Trovo ci sia una forte parentela tra la tradizione drammaturgica inglese e quella napoletana: la capacità di raccontare storie, tanto per cominciare; la ricchezza linguistica, in grado di esprimere in forma poetica e nello stesso tempo popolare, svariati mondi; la capacità di far coesistere il tragico e il comico; l’innegabile comunicatività che consente di stabilire un ponte con il pubblico, che si lascia emozionare, commuovere e divertire”. Da questa riflessione è nata la prima produzione del 'Cantiere Teatrale Flegreo', “Sogno di una notte di Mezza estate”, con dieci attori napoletani che hanno frequentato i laboratori: Luigi Bignone, Giuseppe Brunetti, Clio Cipolletta, Adriano Falivene, Rocco Giordano, Irene Grasso, Pako Ioffredo, Nuvoletta Lucarelli, Cecilia Lupoli, Davide Mazzella. “Nel Sogno di una notte di mezza estate – è ancora il regista Schiano Di Cola - Shakespeare racconta un mondo imbastito su tre piani, ognuno con un linguaggio diverso: il bosco, ovvero l’onirico, il dionisiaco, il luogo della lingua madre, che nella nostra ricerca, abbiamo indagato in napoletano; la corte, ovvero l’apollineo, la razionalità, che abbiamo attraversato con l’italiano; il mondo degli artigiani, dell’arte, del teatro continuamente in bilico tra i due mondi, tra cadenze, colori ed espressioni frutto dell’imbastardimento dell’uno o dell’altro”. “Una ricerca sui linguaggi che – spiega Di Cola - durante le prove, ci ha consentito di guardare con altri occhi questo capolavoro. L’allestimento è calato in un contemporaneo non naturalistico, perché il Sogno è una storia di fate e folletti. Ma chi sono oggi queste fate e questi folletti? Cos’è veramente il bosco? Cosa ci muove dalla corte di noi stessi? Cosa ci fa trascendere? Qual è il risultato dell’eterno conflitto tra il dionisiaco e l’apollineo e come lo esprime la nostra civiltà? Mi interessa indagare il disagio che lo sbilanciamento di questo conflitto provoca; le fragilità e le contraddizioni dell’uomo contemporaneo in disequilibrio costante rispetto a sé stesso e alla propria natura. Tutto questo, nel rispetto della direzione indicataci da Shakespeare: la commedia!”

09 luglio 2018

Cosenza, dal Napoli Teatro Festival alle Invasioni 2018: il 13 luglio al Rendano “Sogno di una Notte di Mezza Estate” del Cantiere Teatrale Flegreo, in collaborazione con Invasioni e BoCS Art

Il progetto 2018 delle residenze artistiche BoCS Art ha dato il primo assaggio di una multidisciplinarietà che è tratto distintivo del nuovo corso firmato Giacinto Di Pietrantonio, ospitando ai primi di giugno la compagnia di Sogno di una notte di mezza estate che, guidata dal regista Michele Schiano di Cola, ha debuttato al Napoli Teatro Festival di Ruggero Cappuccio. La collaborazione con il Festival delle Invasioni, che rafforza la sua presenza all'interno di prestigiosi circuiti culturali, vedrà ora la messa in scena dello spettacolo anche a Cosenza, proprio nell'ambito del festival, sul palcoscenico del Teatro Rendano, venerdì 13 luglio, alle ore 21, con ingresso libero. Il progetto di questo allestimento della commedia di Shakesperare è ideato e diretto da Pako Ioffredo, Demi Licata e Michele Schiano Di Cola di Terza Generazione – Cantiere Teatrale Flegreo, protagonisti di una rinascita dell'area dei Campi Flegrei che, persa la sua vocazione idustriale, si riconverte a punto di riferimento culturale e artistico per offrire – soprattutto ai giovani – la possibilità di educarsi alle arti e di accedere alla cultura come ambito quotidiano. E' una terza generazione di artisti a dare vita al Cantiere Teatrale Flegreo – En Art, una realtà territoriale di respiro internazionale nella quale confluiscono artisti e professionisti delle differenti arti sceniche.

È lo stesso Schiano Di Cola a raccontare il progetto, "con Marina Commedia, EnArt e C.A.S.A. s.r.l., abbiamo dato vita ad una serie di laboratori, con attori per lo più napoletani, il cui fulcro è stata l'indagine di alcuni capolavori di Shakespeare. Trovo ci sia una forte parentela tra la tradizione drammaturgica inglese e quella napoletana: la capacità di raccontare storie, tanto per cominciare; la ricchezza linguistica, in grado di esprimere in forma poetica e nello stesso tempo popolare, svariati mondi; la capacità di far coesistere il tragico e il comico; l'innegabile comunicatività che consente di stabilire un ponte con il pubblico, che si lascia emozionare, commuovere e divertire". Da questa riflessione è nata la prima produzione del 'Cantiere Teatrale Flegreo', "Sogno di una notte di Mezza estate", con dieci attori napoletani che hanno frequentato i laboratori: Luigi Bignone, Giuseppe Brunetti, Clio Cipolletta, Adriano Falivene, Rocco Giordano, Irene Grasso, Pako Ioffredo, Nuvoletta Lucarelli, Cecilia Lupoli, Davide Mazzella. 09 luglio 2018

Il primo episodio della saga “Who is the king” in anteprima al Napoli Teatro Festival

Debutta il 9 Luglio al Napoli Teatro Festival il primo capitolo di “Who is the king?” un progetto dei nostri Lino Musella e Andrea Baracco con Paolo Mazzarelli prodotto da Teatro Franco Parenti, La Pirandelliana e Marche Teatro.

“WHO IS THE KING da William Shakespeare – La serie” si propone di adattare, tradurre, ridurre e mettere in scena le 8 opere di Shakespeare trasformandole in 4 grandi spettacoli da presentare nel corso di due triennalità! In anteprima nazionale al NTF2018 dunque l’”Episodio 1 da Riccardo II-Enrico IV parte prima”. Drammaturgia e regia di Lino Musella e Paolo Mazzarelli ( che saranno anche in scena) e supervisione alla regia di Andrea Baracco

09 luglio 2018

09 luglio 2018

CULTURA ED EVENTI Napoli Teatro Festival, “Afghanistan” molto apprezzato dagli spettatori Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast

NAPOLI. Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell’Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un’unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali. (ANSA)

09 luglio 2018

09 luglio 2018

. 09 luglio 2018

Dal Napoli Teatro Festival al Rendano il 13 'Sogno di una Notte di Mezza Estate'

09 lug 18 Il progetto 2018 delle residenze artistiche BoCS Art ha dato il primo assaggio di una multidisciplinarietà che è tratto distintivo del nuovo corso firmato Giacinto Di Pietrantonio, ospitando ai primi di giugno la compagnia di Sogno di una notte di mezza estate che, guidata dal regista....

Leggi tutto

09 luglio 2018

Napoli teatro festival, spettacolo-fiume racconta l'Afghanistan

Lunghi applausi alla "prima" napoletana al teatro Mercadante di GIULIO BAFFI

Ma in fondo che ne sappiamo noi dell'Afghanistan? Quasi nulla, se non quel che ci dicono i titoli di qualche articolo che per lo più leggiamo distratti, in tempi faticosi per litigi e scontenti. A farci venire la voglia di saperne di più, a stupirci e turbarci, a incantarci con un raro teatro del nostro tempo, ci pensano allora Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani con il loro "Afghanistan - Il grande gioco" e "Enduring freedom".

Spettacolo-fiume della durata di sei ore e trenta minuti (ma si può vederlo anche i due successive serate) è andato in scena al Teatro Mercadante a chiudere il Napoli Teatro Festival Italia e a ottobre sarà al teatro Argentina di Roma e all'Elfo Puccini di Milano; chiede attenzione ed offre inorriditi percorsi, sapienti costruzioni, qualche momento divertente, stupita emozione, con una drammaturgia sapiente ed una messa in scena capace di far trascorrere il tempo lungo dello spettacolo in uno rapido e sorprendente. Teatro che non indugia a raccontare delusioni coniugali e/o aspirazioni adolescenziali ma storia vera che si trasforma e vive, palpita e incuriosisce. È la storia di una nazione violentata da se stessa e da altri, inglesi, russi, americani, e da chissà quanti altri mercanti di armi e di droga, di uomini e donne, di violenti interpreti di religioni tolleranti rese orrende oppressioni. Lo spettacolo parte lontano, nel 1842, e va vanti per tappe fino al 2010. Bruni e De Capitani mettono in scena una sorta di concerto d'immagini, parole e concetti, attenendosi ad una verità trasfigurata in rappresentazione, mediandola dalla scrittura di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys e Joy Wilkinson per la prima parte che va dal 1842 al 1996, mentre quelli di Colin Teevan, Ben Ockrent, Richard Bean, Simon Stephens e Naomi Wallace raccontano gli anni che vanno dal 1996 al 2010. Li si segue col fiato sospeso, sapendo bene alcune cose, coprendone altre. Inorriditi scopriamo una cultura distorta e fraudolenta che opprime, reprime e deprime, che sfrutta e che uccide, soprattutto le donne scavando fossati difficili da colmare. In scena Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcuru, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana, modificano voci e gesti per diventare questo o quel protagonista della storia, sfruttatori e sfruttati. Qualcuno da amare, molti da odiare, distanti per scelte e ideali. Dieci titoli per dieci storie che hanno diverse temperature ed offrono scelte poetiche distanti.

Ho preferito tra tutti i titoli la restituzione teatrale di "Questo è il momento" di Joy Wilkinson, con Enzo Curcurù, Hossein Taheri, Emilia Scarpati Fanetti e Michele Radice per il pallore disperato di una fuga, "Minigonne di Kabul" di David Greig con Claudia Coli ed ancora Enzo Curcurù, per il racconto di una verità crudelissima, "Il leone di Kabul" di Colin Teevan per l'inorridita visione e "Come se quel freddo" di Naomi Wallace per la tenerezza disperata del sogno e le magnifiche prove di Emilia Scarpati Fanetti, Giulia Viana e Michele Costabile.

C'è cinema e c'è televisione, c'è verità e c'è sogno disperato per una favola amara e tenera che chiude il percorso con un sospiro, un sussulto che dalla verità della cronaca ci porta lontano verso uno struggimento crudele. Ogni spettatore può scegliersi dove irritarsi, dove piangere, dove odiare, e comprendere che c'è, lontano ed estraneo, una gente da amare, anche con il teatro. Le scene ed i costumi sono di Carlo Sala, i video di Francesco Frongia, le luci di Nando Frigerio, il suono di Giuseppe Marzoli. Alla "prima" napoletana, lunghi applausi convinti. Si replica questa sera e domani. 09 luglio 2018

Napoli teatro festival, spettacolo-fiume racconta l'Afghanistan Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani in scena con "Afghanistan - Il grande gioco" e "Enduring freedom". Spettacolo-fiume della durata di sei ore e trenta minuti (ma si può vederlo anche i due successive serate) è andato in scena al Teatro Mercadante a chiudere il Napoli Teatro Festival Italia, e a ottobre sarà al teatro Argentina di Roma e all'Elfo Puccini di Milano; chiede attenzione ed offre inorriditi percorsi, sapienti costruzioni, qualche momento divertente, stupita emozione, con una drammaturgia sapiente ed una messa in scena capace di far trascorrere il tempo lungo dello spettacolo in uno rapido e sorprendente. Teatro che non indugia a raccontare delusioni coniugali e/o aspirazioni adolescenziali ma storia vera che si trasforma e vive, palpita e incuriosisce.

Testo Giulio Baffi

09 luglio 2018

09 luglio 2018

Napoli Teatro Festival: successo per il debutto della maratona Afghanistan

Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan- Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell’Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale.

Napoli Teatro Festival: Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un’unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

Ntf, successo per maratona su Afghanistan

'Il grande gioco' ed 'Enduring freedom' coinvolgono spettatori (ANSA) - NAPOLI, 9 LUG - Successo al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per il debutto di Afghanistan-Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Dieci testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell'Occidente con il Paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un'unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante alle 17 di ieri per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali.

09 luglio 2018

Napoli Teatro Festival 2018 - Progetto Afghanistan

10 luglio 2018

• MARGHERITA DE BLASI

Who is the king – una serie shakespeariana al NTFI 2018

Who is the king è un interessante esperimento di Lino Musella, Andrea Baracco e Paolo Mazzarelli, portato in anteprima al Napoli Teatro Festival – andrà poi in scena al Teatro Franco Parenti il 9 ottobre 2018 – alla Galleria Toledo. Il progetto è di creare una serie basata sulle opere teatrali di William Shakespeare, creando collegamenti tra i vari testi shakespeariani. La trama è di Shakespeare, ma la rilettura è veloce ed efficace, soprattutto per il Riccardo II. In circa un’ora, infatti, la storia della tragedie viene raccontata senza perdere la sua profondità. La messa in scena deve molto alle nuove modalità narrative che le serie tv hanno portato alla ribalta, più veloci ma ugualmente approfondite nella costruzione dei personaggi e delle loro storie. Riflettendo su queste narrazioni e sul lavoro di Shakespeare gli autori di Who is the king si sono accorti, infatti, che la sequenza Riccardo II, Enrico IV (I e II), Enrico V, Enrico VI (I, II e III), Riccardo III rappresenta un primissimo esperimento di serialità. Si tratta, infatti, del racconto di circa un secolo di storia inglese passando per le vicende dei suoi re. Shakespeare ha, quindi, creato una saga ante-litteram, una serialità prima di The Tudors di Jonathan Rhys Meyers. Ma chi è The King del Napoli Teatro Festival?

Nel primo episodio i testi sono Riccardo II ed Enrico IV. Il primo re, Re Riccardo (Paolo Mazzarelli), si comporta in modo insensato, fino a far dubitare tutti del suo essere un re legittimo, soprattutto per l’aspra vendetta messa in atto nei confronti del cugino Enrico (Marco Foschi), mandato in esilio. La sua caduta crea un precedente importante nella storia: un re – eletto per volontà divina – viene messo in dubbio, al punto da cedere la sua corona a qualcuno che non la merita per nascita. La sua caduta – raccontata a cavallo tra le due parti dell’episodio – coincide con la salita al potere di Enrico IV. Nella prima parte interpretato da Marco Foschi e nella seconda da Massimo Foschi. The king della seconda parte di questo episodio è, quindi, il vecchio Enrico IV che, dopo aver preso il potere con il supporto del suo popolo, si trova a dover gestire un figlio (Marco Foschi) che frequenta compagnie non adatte ad un futuro re. Sul finale il tono dello spettacolo cambia – forse in maniera un po’ troppo repentina – lasciando spazio ad un’ambientazione contemporanea e ad una recitazione ancora più svelta. Nel complesso, lo spettatore ha, alla fine del primo episodio, la curiosità di vedere come andrà a finire la saga dei re inglesi, dimostrando la validità dell’esperimento seriale a teatro.

10 luglio 2018

Festival Campus, la sesta puntata sul Napoli Teatro Festival.

L’ultima giornata dell’edizione 2018 del Napoli Teatro Festival Italia corrisponde alla pubblicazione del sesto podcast di “Festival Campus”, il format in onda ogni lunedì alle 16.00 su Run Radio, l’emittente web dell’Università Suor Orsola Benicasa(www.runradio.it).

Il file audio è disponibile al link: https://www.napoliteatrofestival.it/festival-campus-2018/

10 luglio 2018

Una chemioterapia tempestiva contro la corruzione. Se l’augura Cassandra sul palco del Napoli Teatro Festival, nella messinscena del regista e attore avellinese Enzo Marangelo che si è ispirato al celebre romanzo della scrittrice tedesca Christa Wolf , dedicato alla figlia veggente di Priamo, re di Troia. Nel cortile delle carrozze di Palazzo Reale in piazza del plebiscito (foto), lo spettacolo è stato rappresentato lo scorso weekend davanti a un pubblico attento e piuttosto eterogeneo. Con Raffaella Anzalone, Sara Meoni, Martina Coppeto, Raffaella De Piano, Lisa Imperatore, Francesca Murru, Mario Paesano, Davide Pascarella, Paola Senatore. “Io credo a Cassandra” è il titolo che annuncia un’idea: attraverso una sequenza di quadri teatrali dall’incisività filmica che raccontano l’ingresso del cavallo di legno nelle mura della città, la guerra, la traversata in un tempestoso Egeo (Cassandra verrà condotta a Micene, prigioniera di Agamennone) si fa strada il messaggio civile di una regia impegnata a mostrare quanto sia attuale il ruolo della giovane troiana. Al fianco di una Cassandra sdoppiata, che trova eco nella sua controfigura femminile, ce ne sono tante altre di Cassandra: donne contemporanee che hanno affidato alla scrittura la forza della loro verità. Bendate di nero, si presentano per quello che sono, soprattutto per quello che hanno scritto, sconvolgendo la logica di un potere perverso, determinato a farle tacere. Giornaliste, capaci di sfidare la morte denunciando traffico d’armi, assassini, disonestà. Lottando per la tutela dei diritti umani nel mondo: Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Marielle Franco, Anna Stepanovna Politkovskaja, Daphne Caruana Galizia. Il lavoro teatrale di Marangelo è un progetto che si sviluppa in capitoli attraverso città differenti. A Napoli, dove è stato presentato il primo, ci si è concentrati sull’elemento della tempesta, affascinando gli spettatori per la scenografia realista, giocata sulle sfumature cupe di una realtà in disgregazione. Da recuperare attraverso l’importanza delle parole e della cultura. E’ questa la grande protagonista della seconda edizione del Napoli Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio che si conclude oggi con il consueto appuntamento nel giardino romantico della dimora borbonica dove ogni sera, nel corso della rassegna, ha regnato la musica: dal rock al pop, dallo swing al jazz. Dispiace che i suoi cancelli ora si chiudano e che i napoletani ne restino orfani, fino all’anno prossimo. Quando, si spera, potranno accedervi di nuovo, a soli due euro o gratuitamente se comprano almeno un biglietto del Festival, in programma quel giorno.

10 luglio 2018

DANZA SU PAROLE

Un palazzo di ferro e di vetro occupa quasi l’intero palco. La grande novità architettonica del secolo scorso: palazzi di ferro e vetro, come serre che custodiscono giardini, come gabbie per uccelli, palazzi che ingabbiano esseri umani. Ma belli, tanto belli da diventare uno dei simboli della Belle Epoque. Età dello splendore, dell’energia produttiva, del lavoro e del divertimento, età della giovinezza. Sul palco, però, quel palazzo di ferro e di vetro, che si lascia guardare all’interno come in una radiografia, è ormai rovinato. Il tempo passato ha lasciato i suoi segni. La vernice non splende più e i vetri non sono del tutto trasparenti. La colonnina della corrente elettrica fa continuamente corto circuito, come improvvise scintille di energia vitale che non fanno altro che rendere, ai nostri occhi, più decadente e abbandonato a se stesso il vecchio palazzo. E dalla porta di vetro leggera entra ed esce uno straordinario esemplare di essere umano. La sua anima è chiusa nella gabbia del corpo ma egli sa come aprire le porte e farla uscire. Quel suo corpo ha pareti di vetro e scheletro di ferro. Lui sa farci guardare all’interno e sa creare delle vie di fuga per la propria anima muovendo i piedi, le mani e tutto il suo corpo come se esso si fosse sgretolato, come se il tempo passato non avesse lasciato i suoi segni su quel bellissimo palazzo di un tempo. C’è un'altra anima sul palco ma essa non ha corpo, non ha vetri. Il suo palazzo è ormai distrutto e l’anima, non vista ma percepita, è libera di muoversi anche oltre la quarta parete. Scende in platea, si arrampica sui palchetti, fa all’amore con le nostre anime, insinuandosi attraverso le orecchie o gli occhi con la forza devastante della parola poetica. Ma non parla la nostra lingua. Brodsky/Baryshnikov al Teatro Politeama per il Napoli Teatro Festival comincia con un’attesa: il palazzo di vetro si apre e si chiude, Baryshnikov vi esce e vi entra, Brodsky si fa solo immaginare, il pubblico si lascia alle spalle la città con tutte le sue gabbie ed entra in uno stato d’animo più calmo. Per imitazione può imparare ad aprire a chiudere le proprie porte e fare entrare e uscire l’anima o solamente le parole del poeta. Poi finalmente Brodsky si fa sentire. Passa attraverso la bocca di Baryshnikov che recita le poesie del vecchio amico. Passa anche attraverso una macchina, capolavoro di ingegneria del secolo scorso. La voce del poeta russo è registrata sul Revox e le bobine girano e girano, diffondendola nel teatro. I versi scelti raccontano il tempo che passa inesorabile sui corpi. Parlano di vita di morte. Sono vite che durano un solo giorno come quella della farfalla o vite arrivate stanche al limite. Parlano di passi sicuri sul mondo solo quando i piedi si muovono sulla sabbia del deserto e di occhi che guardano nel buio l’arrivo di un grosso cavallo nero. Parlano della fine della tragedia o della fine di ogni cosa. È nei momenti in cui è in funzione il Revox che Baryshnikov danza. Il ritmo poetico è la sola musica dello spettacolo, nessuna nota è suonata da nessun altro strumento. Le parole di Brodsky sono musica e il corpo del danzatore, seguendola, si muove. E poiché è da questi movimenti che trae fuori il suo spirito, Baryshnikov danza nel palazzo di vetro. Forse per riuscire presto a recuperarlo e riportare il corpo fuori per leggere seduto o sdraiato su una panca, aprendo a caso una pagina di un taccuino, togliendosi i vestiti. Sul palazzo di vetro, in alto, è proiettata la traduzione in italiano delle poesie recitate in russo. Le orecchie ascoltano quindi la lingua originale del poeta mentre gli occhi sono costretti a fuggire la scena per comprendere ciò che viene recitato. Se non si decide di voler lasciare la comprensione delle parole per vivere le atmosfere dello spettacolo, allora tutto quello che c’è sul palco è solo un’immagine sfocata sullo sfondo. Le pupille mettono a fuoco le parole e tutto il resto sbiadisce. Evapora Barishnikov, il palazzo, la colonnina che va in corto circuito. Quindi di tanto in tanto ho scelto di lasciar andare le parole e la mia ignoranza del russo e di guardare. Potrò ritrovare le parole in un libro, potrò leggerle e rileggerle per tentare di comprendere ma lo spettacolo è qui, ora e mai più. È richiesto ad ognuno dei presenti di sacrificare qualcosa.

10 luglio 2018

Silvio Orlando e la ‘solitudine sociale’ in scena al Festival di Spoleto

SPOLETO – Dopo il grande successo al Napoli Teatro Festival, Si nota all’imbrunire, spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro, con Silvio Orlando nelle vesti di protagonista arriva al Festival dei Due Mondi a Spoleto il prossimo 12 luglio alle ore 18 (in replica anche il 13 alle ore 17.30) sul palco del teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi. 10 luglio 2018

13 luglio 2018 - Al Rendano, 'Sogno di una Notte di Mezza Estate', prima produzione del Cantiere Teatrale Flegreo, in collaborazione con Invasioni e BoCS Art

Salvatore Pastore Il progetto 2018 delle residenze artistiche BoCS Art ha dato il primo assaggio di una multidisciplinarietà che è tratto distintivo del nuovo corso firmato Giacinto Di Pietrantonio, ospitando ai primi di giugno la compagnia di Sogno di una notte di mezza estate che, guidata dal regista Michele Schiano di Cola, ha debuttato al Napoli Teatro Festival di Ruggero Cappuccio. La collaborazione con il Festival delle Invasioni, che rafforza la sua presenza all'interno di prestigiosi circuiti culturali, vedrà ora la messa in scena dello spettacolo anche a Cosenza, proprio nell'ambito del festival, sul palcoscenico del Teatro Rendano, venerdì 13 luglio, alle ore 21, con ingresso libero.

Il progetto di questo allestimento della commedia di Shakesperare è ideato e diretto da Pako Ioffredo, Demi Licata e Michele Schiano Di Cola di Terza Generazione – Cantiere Teatrale Flegreo, protagonisti di una rinascita dell'area dei Campi Flegrei che, persa la sua vocazione idustriale, si riconverte a punto di riferimento culturale e artistico per offrire - soprattutto ai giovani - la possibilità di educarsi alle arti e di accedere alla cultura come ambito quotidiano. E' una terza generazione di artisti a dare vita al Cantiere Teatrale Flegreo - En Art, una realtà territoriale di respiro internazionale nella quale confluiscono artisti e professionisti delle differenti arti sceniche.

10 luglio 2018

10 luglio 2018

ESTRANEITÀ DELLA FAMIGLIA. IL DEBUTTO DI LUCIA CALAMARO E SILVIO ORLANDO di Giuseppina Borghese Esiste una sorta di riconoscimento morale nei confronti di chi se ne va: andarsene, al di là delle contingenze, è sempre considerato un atto eroico, un fatto narrativamente interessante. A rifletterci, però, c’è qualcosa di molto coraggioso anche in chi resta, per scelta o per necessità. Alla rinuncia di chi parte, corrisponde sempre il sacrificio di chi rimane e, per capirlo, basterebbe ritornare nel paese dell’infanzia dove si trascorrevano le vacanze estive e affrontare una chiacchierata con chi da lì non è mai andato via. C’è una identità mobile, fatta di strade, negozi e ricordi da risemantizzare, in una disposizione d’animo di perenne confronto con quello che è stato e non è più. È musica tenue e malinconica, quella che fa da sottofondo all’ininterrotto ragionamento, acuto e sempre brillante di “Si nota all’imbrunire”, l’ultimo lavoro scritto e diretto da Lucia Calamaro andato in scena in prima nazionale al Teatro San Ferdinando all’interno del Napoli Teatro Festival; lo spettacolo è una produzione Cardellino srl in collaborazione con il Teatro Stabile dell’Umbria. È in un piccolo paese quasi completamente disabitato che vive Silvio (Silvio Orlando), un uomo seduto sulla propria solitudine, nel cui isolamento e nel cui desiderio di non voler più camminare a seguito della morte della moglie, rivela non tanto pigrizia o debolezza, ma una nobile e distaccata lucidità dal mondo circostante. A irrompere nella sua monocroma esistenza i tre figli Alice (Alice Redini), Riccardo (Riccardo Goretti), Maria Laura (Maria Laura Rondanini) e il fratello maggiore Roberto (Roberto Nobile), arrivati alla vigilia del decimo anniversario di morte della moglie e seriamente preoccupati per le condizioni di salute in cui l’uomo si trova. I toni pastello della scena (curata da Roberto Crea) si riempiono così delle idiosincrasie dei suoi protagonisti, creando progressivamente una intimità familiare sempre più imbarazzante e scomoda, tra le premure maniacali della mite Maria Laura, il senso di inadeguatezza filiale di Riccardo, l’insicurezza goffa e grottesca di Alice e il citazionismo fluviale di zio Roberto. La famiglia si compone, pezzo per pezzo, con leggerezza e precisone, svelando come al legame di sangue, con il passare del tempo, non corrisponda più la vicinanza sentimentale. “La confidenza fa schifo”, osserva Silvio, abbandonandosi a languidi e spassosi soliloqui, in una interpretazione sincera, ispirata e straordinariamente emozionante. Regista e drammaturga dallo sguardo limpido e sferzante, tra le voci più autorevoli del teatro contemporaneo, Lucia Calamaro ritorna ai suoi temi più cari, la famiglia e la memoria. Li porta in scena con eleganza e un’ironia personalissima che abbiamo già apprezzato nei suoi lavori precedenti ma che sa ogni volta rinnovarsi e dare vita a spettacoli raffinati ma allo stesso tempo diretti e divertenti. Nell’universo di Lucia Calamaro, in quello dei suoi personaggi trovano posto poeti, riflessioni e annotazioni sparse che sfuggono ad ogni retorica possibile, alla piaggeria, allo snobismo, e diventano elementi comici e insieme profondissimi. Ancora una volta la drammaturga romana riesce a tratteggiare la forma dell’assenza, il dialogo tra i vivi e i morti, il rumore della vita che continua a scorrere e il silenzio dei ricordi, che si vorrebbero fermare nella memoria. Perché – come ha già affermato ne “La vita ferma” – dimenticare è uno scandalo.

10 luglio 2018

Dall’Oriente sognato al realismo anglosassone: in scena la storia dell’Afghanistan Grande successo, domenica 8 luglio al Napoli Teatro Festival Italia diretto da Ruggero Cappuccio, per debutto di Afghanistan – Il grande gioco e Afghanistan: Enduring freedom con la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. 10 testi originali, tradotti da Lucio De Capitani da altrettanti autori angloamericani, sono adattati e messi in scena dai due registi per raccontare, dalla prima invasione inglese ai giorni nostri, il complesso e fallimentare rapporto dell’Occidente con questo paese del Medio Oriente, sempre e suo malgrado al centro dello scacchiere mondiale. Un “Progetto Afghanistan”, prodotto da Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione con il sostegno della Fondazione Cariplo, che si concretizza nell’allestimento di due spettacoli, indipendenti benché complementari. Ne Il grande gioco (che aveva già debuttato nella passata stagione 2017) si propone, attraverso le scritture di Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Joy Wilkinson, il racconto scenico di cinque momenti storici relativi ad un periodo che va dal 1842 alla fine degli anni Novanta. In Enduring freedom, in prima assoluta al Napoli Teatro Festival Italia, vengono affrontati, nei testi di Colin Teevan, Ben Ockrent, Richard Bean, Simon Stephens e Naomi Wallace, gli anni recenti di questo Paese, dall’avvento del regime dei Talebani ad oggi. Entrambi gli spettacoli sono stati proposti per la prima volta insieme in un’unica maratona che è iniziata al Teatro Mercadante di Napoli alle ore 17 per concludersi poco dopo le 23.30. Circa 6 ore e mezza la durata complessiva del lavoro accolto con straordinaria ed intensa partecipazione del pubblico che ha tributato al termine calorosi e convinti applausi al cast chiamato più volte in scena nei ringraziamenti finali. Tutti centrati nei ruoli i dieci attori, da Claudia Coli a Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri, Giulia Viana, chiamati a dar vita a ben 44 personaggi diversi nella ricostruzione di 170 anni di storia del grande paese dell’Asia Centrale. Dai militi del drappello inglese di guardia alle mura di Jalalabad dopo la disfatta di Kabul del 1842, al re Amannullah Khan e alla regina Soraya Tarzi in fuga (negli anni’20 del secolo scorso), fino ai giorni nostri con un reduce incapace di reinserirsi nella normalità del quotidiano, una giornalista che intervista il presidente Nagijbullah durante l’occupazione sovietica, due bambine vittime dell’imperizia e dell’inesperienza di un giovane soldato americano. Ogni episodio era diviso dal seguente dai pregevoli video di raccordo, realizzati da Francesco Frongia con materiale d’archivio, prezioso ausilio per la comprensione del contesto storico, e che si aggiungevano a quelli con funzione scenografica proiettati durante i vari capitoli della serie. Le scene ed i tanti costumi sono di Carlo Sala, le luci Nando Frigerio, il suono di Giuseppe Marzoli. Dopo l’anteprima al Napoli Teatro Festival Italia, il “progetto” Afghanistan è atteso nel prossimo autunno al Teatro Argentina di Roma (dal 17 al 21 ottobre) e al Teatro Elfo Puccini di Milano (dal 23 ottobre al 25 novembre).

10 luglio 2018

Ntf18, in scena i drammi di Shakespeare come una serie tv

Otto drammi storici di Shakespeare, Riccardo II, Enrico IV parte I e II, Enrico V, Enrico VI parte I, II e III, Riccardo III, per raccontare un secolo di storia d’Inghilterra come in un’avvincente serie TV a puntate. Gli episodi 1 e 2, che coprono gli eventi narrati in Riccardo II ed Enrico IV parte prima, sono l’inizio del grande viaggio di “Who is the King”, da William Shakespeare, la serie, il progetto di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli in scena alla Galleria Toledo nell’ambito del Napoli Teatro Festival. Messi l’uno dopo l’altro, i drammi storici, si rivelano una grande saga di sconvolgente potenza e di inquietante attualità, una saga che indaga in particolare il rapporto fra uomo e potere, e nella quale ogni personaggio viene presentato prima giovane, poi uomo, infine anziano, per poi lasciare il testimone ad un nuovo carattere, che a sua volta attraversa tutte le fasi della vita, va incontro alla morte, lascia il campo ad un nuovo protagonista. Padri e figli, fratelli e zii, re e regine, ribelli e sudditi, personaggi di corte e viziosi impenitenti, formano tutti insieme un grande quadro che ritrae -a metà fra storia e poesia- l’abbraccio che da sempre vede le migliori qualità umane soffocare tra le braccia del potere. In scena al Teatro Nuovo invece, “La ridicola notte di P”, di Marco Berardi, per la regia di Federico Vigorito. Un testo che eredita le intuizioni di Evreinov nella sua opera La Morte Lieta, in cui si annidano gli indizi per una critica feroce al nostro tempo. Berardi immagina l’ultimo giorno di vita di Arlecchino, una festa per la riconsegna della più famosa tra le maschere; elegge Pierrot gran cerimoniere, invita in scena la bella Colombina e una mostruosa rappresentanza della società civile: un medico, un giudice. Tutti nella folle corsa verso la fine dello spettacolo, verso il momento in cui Arlecchino smetterà di scherzare. Due compagni di sempre, due vite passate insieme, due destini di un’unica storia. Due attori che per secoli hanno rappresentato lo stesso spettacolo.

10 luglio 2018

Silvio Orlando al Festival di Spoleto 12 e 13 luglio con “Si nota all’imbrunire”

Silvio Orlando al Festival di Spoleto 12 e 13 luglio con “Si nota all’imbrunire”. Dopo aver trionfato al Napoli Teatro Festival, SI NOTA ALL’IMBRUNIRE scritto e diretto da Lucia Calamaro, protagonista Silvio Orlandocon Riccardo Goretti, Roberto Nobile, Alice Redini e Maria Laura Rondanini,arriva al Festival di Spoleto, giovedì 12 luglio alle 18 e venerdì 13 luglio alle 17,30, presso ilTeatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi. 10 luglio 2018

Ntf18, in scena i drammi di Shakespeare come una serie tv e l’ultimo giorno di vita di Arlecchino

Annalisa Nuzzo - Otto drammi storici di Shakespeare, Riccardo II, Enrico IV parte I e II, Enrico V, Enrico VI parte I, II e III, Riccardo III, per raccontare un secolo di storia d’Inghilterra come in un’avvincente serie TV a puntate. Gli episodi 1 e 2, che coprono gli eventi narrati in Riccardo II ed Enrico IV parte prima, sono l’inizio del grande viaggio di “Who is the King”, da William Shakespeare, la serie, il progetto di Lino Musella, Andrea Baracco, Paolo Mazzarelli in scena alla Galleria Toledo nell’ambito del Napoli Teatro Festival. Messi l’uno dopo l’altro, i drammi storici, si rivelano una grande saga di sconvolgente potenza e di inquietante attualità, una saga che indaga in particolare il rapporto fra uomo e potere, e nella quale ogni personaggio viene presentato prima giovane, poi uomo, infine anziano, per poi lasciare il testimone ad un nuovo carattere, che a sua volta attraversa tutte le fasi della vita, va incontro alla morte, lascia il campo ad un nuovo protagonista. Padri e figli, fratelli e zii, re e regine, ribelli e sudditi, personaggi di corte e viziosi impenitenti, formano tutti insieme un grande quadro che ritrae -a metà fra storia e poesia- l’abbraccio che da sempre vede le migliori qualità umane soffocare tra le braccia del potere. In scena al Teatro Nuovo invece, “La ridicola notte di P”, di Marco Berardi, per la regia di Federico Vigorito. Un testo che eredita le intuizioni di Evreinov nella sua opera La Morte Lieta, in cui si annidano gli indizi per una critica feroce al nostro tempo. Berardi immagina l’ultimo giorno di vita di Arlecchino, una festa per la riconsegna della più famosa tra le maschere; elegge Pierrot gran cerimoniere, invita in scena la bella Colombina e una mostruosa rappresentanza della società civile: un medico, un giudice. Tutti nella folle corsa verso la fine dello spettacolo, verso il momento in cui Arlecchino smetterà di scherzare. Due compagni di sempre, due vite passate insieme, due destini di un’unica storia. Due attori che per secoli hanno rappresentato lo stesso spettacolo.

10 luglio 2018

09/07/2018 RAI 2 TG2 18.15

10 luglio 2018

09/07/2018 RAI 3 TGR CAMPANIA 19.30

10 luglio 2018

Napoli Teatro Festival, spettacolo-fiume racconta l'Afghanistan

11 luglio 2018

Silvio Orlando a Spoleto con lo spettacolo “Si nota all’imbrunire”

Dopo aver trionfato al Napoli Teatro Festival, Si nota all’imbrunire scritto e diretto da Lucia Calamaro, protagonista Silvio Orlando con Riccardo Goretti, Roberto Nobile, Alice Redini e Maria Laura Rondanini, arriva al Festival di Spoleto, giovedì 12 luglio alle 18 e venerdì 13 luglio alle 17,30, presso il Teatro Caio MelissoSpazio Carla Fendi. Lo spettacolo, prodotto da Cardellino insieme al Teatro Stabile dell’Umbria, “ha trovato nella figura del padre – racconta la Calamaro – un interprete al tempo insperato e meraviglioso, Silvio Orlando, e trova le sue radici in una piaga, una maledizione, una patologia specifica del nostro tempo la “solitudine sociale”. Silvio Orlando è un attore unico. Capace di scatenare per la sua resa assoluta al palco, le empatie di ogni spettatore, e con le sue corde squisitamente tragicomiche, di suscitare riquestionamenti, emozioni ed azioni nel suo pubblico.”. I figli Alice, Riccardo e Maria sono arrivati la sera prima. Il fratello maggiore Roberto anche. Un fine settimana nella casa di campagna di Silvio, all’inizio del villaggio spopolato dove vive da solo da tre anni. Silvio ha acquisito, nella solitudine, un buon numero di manie, la più grave di tutte: non vuole più camminare. Non si vuole alzare. Vuole stare e vivere seduto il più possibile. E da solo. Si tratta, per i figli che finora non se ne erano preoccupati troppo, di decidere che fare, come occuparsene, come smuoverlo da questa posizione intristente e radicale. Emergono qua e là empatie e distanze tra due generazioni di fratelli. Rese dei conti, mutua noia ma nonostante tutto fratellanza come si può, per quel che vale, in generale meno, abbastanza meno di quello che ognuno vorrebbe. Vengono per la messa dei dieci anni dalla morte della madre… C’è da commemorare, da dire, da concertare discorsi. Certo è che, preda del suo isolamento, nella testa di Silvio si installa una certa confusione tra desideri e realtà, senza nessuno che lo smentisca nel quotidiano, la vita può essere esattamente come uno decide che sia. Fino a un certo punto. “Ci piace pensare che gli spettatori – dice Calamaro – grazie a un potenziale smottamento dell’animo dovuto speriamo a questo spettacolo, magari la sera stessa all’uscita, o magari l’indomani, chiameranno di nuovo quel padre, quella madre, quel fratello, lontano parente o amico oramai isolatosi e lo andranno a trovare, per farlo uscire di casa. O per fargli solamente un po’ di compagnia.”