L'italiano Al Cinema, L'italiano Del Cinema
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spacca LA LINGUA ITALIANA NEL MONDO Nuova serie e-book L’ebook è molto di + Seguici su facebook, twitter, ebook extra spacca © 2017 Accademia della Crusca, Firenze – goWare, Firenze ISBN 978-88-6797-874-8 LA LINGUA ITALIANA NEL MONDO. Nuova serie e-book Nessuna parte del libro può essere riprodotta in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore. Accademia della Crusca Via di Castello 46 – 50141 Firenze +39 055 454277/8 – Fax +39 055 454279 Sito: www.accademiadellacrusca.it Facebook: https://www.facebook.com/AccademiaCrusca Twitter: https://twitter.com/AccademiaCrusca YouTube: https://www.youtube.com/user/AccademiaCrusca Contatti: http://www.accademiadellacrusca.it/it/contatta-la-crusca goWare è una startup fiorentina specializzata in nuova editoria Fateci avere i vostri commenti a: [email protected] Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: [email protected] Redazione a cura di Dalila Bachis Copertina: Lorenzo Puliti Premessa La storia della lingua italiana del Novecento è legata a quella del cinema a doppio no- do: inscenando dapprima l’italiano letterario nelle didascalie del muto e nei dialoghi d’ascendenza teatrale del primo sonoro, per poi dar voce sempre più spesso a tutte le varietà d’Italia, lo schermo, più che da diaframma, ha fatto da mezzo di continuo in- terscambio tra usi reali e riprodotti. Lo testimonia, tuttora, la ricca messe di “filmismi” nell’italiano di tutti i giorni, da quarto potere all’attimo fuggente, dall’Armata Branca- leone alla grande abbuffata, alcuni dei quali migrati addirittura in molte altre lingue del mondo, come i fellinismi dolcevita e paparazzo. Al plurilinguismo come cifra distintiva del nostro cinema, già prima del neorealismo, si contrappone peraltro la tendenza, pa- rimenti identitaria, alla normalizzazione e alla ricerca di un italiano dell’uso medio da tutti facilmente comprensibile, tipico non soltanto di gran parte del cinema nostrano, ma soprattutto di quello doppiato in italiano, la cui potenzialità didattica è stata più volte riconosciuta (De Mauro 1963, Raffaelli 1992). La duplice funzione di «scuola» e di «specchio» delle lingue (Simone 1987) assunta dal cinema ha funto da model- lo per la televisione e per tutti gli altri media della «logosfera audiovisiva» (Raffaelli 1994: 271), con i quali il cinema è oggi sempre più contaminato. La XVII Settimana della lingua italiana nel mondo sottolinea dunque proprio il ruolo del cinema come amplificatore, in Italia e all’estero, di lingue e varietà, racco- gliendo l’eredità di illustri linguisti come Bruno Migliorini, Alberto Menarini, Carlo Battisti, Tullio De Mauro e soprattutto Sergio Raffaelli, i quali, con sensibile precocità, avevano individuato nel grande schermo un potente strumento glottologico, nel sen- so più ampio del termine. Il volume qui presentato e la varietà dei saggi ivi contenuti danno conto del doppio rapporto di dare e avere tra cinema e lingua italiana, così come viene spiegato ad apertura del primo capitolo: come la lingua del cinema entra, even- tualmente modificandolo, nell’italiano comune? E come quest’ultimo passaal cinema, eventualmente modificato, filtrato o deformato? Anche se non c’è stata (né avrebbe mai potuto esservi) alcuna pretesa di comple- tezza nell’illustrazione della lunga e complessa storia filmica del nostro Paese, i dieci capitoli tentano di non lasciare insondato nessun momento significativo del binomio cinema-lingua, dalle origini (Rossi, Gatta), ai fasti della commedia all’italiana (France- schini), da Fellini (Gargiulo) a Troisi (Sommario), dai rapporti tra cinema e televisione (Messina, Clemenzi-Gualdo), al ruolo cruciale del doppiaggio (Sileo), dal tipo testuale della sceneggiatura (Meacci-Serafini) all’onomastica filmica (Caffarelli). 5 Premessa Addentrandoci nei contenuti del volume, il primo capitolo (di Fabio Rossi) trat- teggia una storia del parlato filmico dalle origini fino ad oggi, soffermandosi su alcu- ni autori salienti (Totò, Sordi) e mettendo a fuoco soprattutto la resa dei dialetti sul grande schermo, impiegati ora con funzione mimetica o ludica, ora, e più spesso, con ambizioni allusivo-simboliche, critiche, espressionistiche. La recente tendenza al plu- rilinguismo è analizzata in film e correnti dell’ultimo decennio. Dalla panoramica fil- mico-linguistica del capitolo emerge la continua oscillazione del mezzo schermico tra inscenamento e riduzione del caos, tra ricerca di un codice medio e di massa e volontà di rappresentazione delle mille varietà del nostro Paese e anche di molti altri idiomi oltre confine. In virtù della spiccata tendenza del cinema italiano al rispecchiamento e alla metariflessione, anche linguistica, non v’è forse momento topico o snodo della sto- ria nazionale che non trovi puntuale riscontro negli usi linguistici del nostro cinema. I debiti del cinema sonoro dei primordi nei confronti della letteratura e del teatro sono evidenti, sulla scorta delle didascalie del muto, come documentato dal secondo capitolo (di Francesca Gatta). L’esempio del teatro borghese, compromissorio tra un parco ricorso a una regionalità di colore e il rispetto di un italiano semplice e com- prensibile ai più, tra prime istanze mimetiche e ambizioni paraletterarie al facile con- senso, conferisce maggiore scioltezza ai dialoghi filmici degli anni Trenta e Quaranta. Il cinema parlato s’avvia dunque a distaccarsi progressivamente dal modello del teatro tradizionale e ad assumere il ruolo, insieme con la radio, di principale mezzo di uni- ficazione linguistica e anche di salutare svecchiamento rispetto al canone letterario. Timide aperture addirittura a neologismi e forestierismi, soprattutto nelle commedie dei Telefoni bianchi, edificheranno la base per la palingenesi neorealistica e comica del decennio successivo, già con punte espressionistiche e plurilingui (Totò, Blasetti) che tuttavia, a quest’altezza cronologica, lasciano ancora il sapore dell’eccezionalità. Dopo il ciclone neorealistico (commentato nel primo capitolo), il primato dell’in- ventività plurilingue (lingue straniere, dialetti, registri e gerghi) spetta ai film di Fede- rico Fellini (oggetto del terzo capitolo, di Marco Gargiulo), che segna anche la prima forte penetrazione di lessemi cinematografici non soltanto nel parlato comune italiano, ma addirittura fuori d’Italia. In particolare, l’uso dei dialetti passa dalla funzione mi- metica a quella onirica, simbolica e psicanalitica, lungo tutto l’arco della produzione felliniana, per giungere a picchi di confusione babelica, di un barocchismo al contem- po surreale e postmoderno, con i film dallaDolce vita in poi, nei quali l’unica realtà, anche linguistica, possibile è quella del visionario. Uso simbolico e mimetico insieme del ventaglio variazionale dell’italiano, impiega- to sì con finalità eminentemente ludica, ma mai priva di risvolti di critica sociale casti( - gat ridendo mores), si riscontra nella stagione più felice della nostra cinematografia, la commedia all’italiana, presa in esame da Fabrizio Franceschini, nel quarto capitolo. Il grande cinema italiano, ancora una volta, induce a rileggere l’antitesi (di comodo, usata talora forse un po’ troppo corrivamente) realismo-espressionismo, alla ricerca più delle sfumature carsiche e delle reciproche permeabilità che degli apparenti contrasti. Come pure comicità, verosimile rappresentazione linguistico-sociale della margi- nalità, poesia e funzione simbolica del dialetto si riscontrano, insieme amalgamati, nel- 6 Premessa la personalissima, tanto inimitabile quanto fortunata, soluzione linguistica dei film di Massimo Troisi, oggetto del quinto capitolo (di Giuseppe Sommario). L’eredità del cinema come rappresentazione della realtà plurilingue d’Italia e come vocazione tra il documentaristico e il critico inaugurata dal neorealismo è raccolta dal- la televisione, e soprattutto dalla neotelevisione e segnatamente dalla nuova narrativa cinetelevisiva delle serie tv, come illustrato nel sesto capitolo (di Simona Messina). Analogamente, l’apertura ai linguaggi settoriali e alla testualità informativa e argomen- tativa dei documentari avvicina il linguaggio televisivo al documentarismo cinemato- grafico di stampo longanesiano e zavattiniano, che a sua volta risulterà successivamente influenzato dal piccolo schermo, come analizzato nel settimo capitolo (di Laura Cle- menzi e Riccardo Gualdo). La nascita di generi ibridi come il docu-fiction e l’uso di sti- lemi propri del linguaggio giornalistico e della ricerca etno-antropologica completano il quadro delle contaminazioni tra grande e piccolo schermo. L’osmosi tra i due tipi di schermo, come si evince manifestamente da questi ultimi due capitoli, è sempre più evidente, anche nelle strategie linguistico-narrative, tanto da giustificare fenomeni di conguaglio nella testualità audiovisiva indipendentemente dal supporto e da giustifi- care le recenti letture dei semiologi dei media, che parlano di continui interscambi tra un mezzo e l’altro (e tra vecchi e nuovi media), nelle forme dell’intermedialità e della remediation (Bolter e Grusin 2003, Zecca 2013). Al punto tale che, oggi, i concetti di cinema e film hanno dilatato i propri campi semantici: film non può più essere consi- derato soltanto un prodotto su pellicola fruito su un grande schermo in una sala da un pubblico collettivo, ma anche un prodotto digitale fruito individualmente su un tele- fono cellulare. Non è (e forse non è mai stato) il mezzo di fruizione che fa di un film un film, ma l’istanza