Diari Di Cineclub N. 72
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_ n.3 Anno VIII N. 72 | Maggio 2019 | ISSN 2431 - 6739 [email protected] n. 72 Il lavoro nell’arte avvolto da splendore e dramma Jean-François Millet “Le spigolatrici” 1857 olio su tela 83,5×110 cm. Museo d’Orsay Gustave Courbet, “Gli spaccapietre”,1849 Jean-François Millet “L’Angelus” 1858-59 olio su tela, 55×66 cm. Museo d’Orsay, “STEEN Jan Die verberte welt” 1663 olio su tela 105x45 cm Kunsthistoriches Parigi Museum - Vienna Renato Guttuso “Occupazione delle terre incolte in Sicilia” 1949/50 Luigi Cima “Fabbri” 1896 2 [email protected] Il cinema per noi è un passato che è un grande futuro, se verrà un nuovo tempo per inventare... Il cinema per noi è Tutti gli addetti alla comunicazione non han- o niente; in Italia, proprio niente. Timidezza. una cosa libera, che dà no fatto passi avanti. La cosa più grave, che Incertezza. Timore, autocensura, scarsità di felicità nel ricordo. cementa la situazione, è la penuria di idee e di progetti. Me ne sono reso conto lavorando per Noi di generazioni esperienze utili. In Europa, succede poco o l’Unione Europea a un progetto capace di cre- che sono state avanti niente. I film del cinema e le proposte delle tv are sintesi tra scienza e spettacolo: 12 film di nell’aver cercato, vi- battono strade tradizionali. Però. Il cinema media durata, intitolati “Salviamo il professo- sto, ricordato il cine- si ritrova ai festival, quasi sempre in posti bel- re”, che sono piaciuti perché innovativi e spre- ma (un mondo fatto li, in Italia e nel mondo, ma il menu non scuo- giudicati, creativi. Una esperienza utile dopo prima di immagini e te nessuno. Opere, giurie, premi, spettatori, e il mio “1200 km di bellezza” prodotto da Luce Italo Moscati poi di parole, con mu- soprattutto idee, conquiste di nuovi orizzonti Cinecittà che ha girato il mondo affermando sica), sappiamo forse cosa abbiamo visto e si somigliano in modo impressionante. E’ in modo perentorio e ottimistico la frase di amato; ma non sappiamo, come tutti, dove la sterilità che nasce dalla produzione con po- Dostoevskij: “La bellezza ci salverà”. Sarà ve- stiamo andando nel gran viale asfaltato di de- co rinnovamento e poche idee. La noia vince, ro? Lo sarà se alle analisi fatte di vuote chiac- sideri, emozioni e di sogni. Lo sfor- chiere si sostituiranno risultati zo per dimostrare la vitalità, forse aperti al nuovo pubblico che atten- l’immortalità del cinema, viene fat- de, senza sapere, il suo domani. Le to in nome di una nostalgia che è cose si muovono soltanto se si anche, ancora, un affare in difficol- crea un’offensiva di proposte e tà ma rispettabile. Le sale diminui- obiettivi, tra scienza e narrativa, ci- scono e spesso non sono piene. I fe- nema e tv. Una esperienza, un cer- stival si sbracciano a proiettare, i chio nell’acqua dello stagno. Ma la giornali e le tv sembrano fare una questione deve scavalcare pruden- respirazione bocca a bocca a un ma- za e incapacità di invenzione. Il lato ancora sano che non si preoc- tempo stringe. Le multinazionali cupa del domani, tenta di correre dei Paesi più forti si sono mosse, si ancora e sempre verso il domani. Il muovono. Noi stiamo guardando, domani, in nome di un grande pas- assorti, all’acqua del fiume sottoca- sato secolare, resiste con le unghie e sa che scorre noiosamente nella con i denti,con lo smoking e il red stessa direzione. Così la situazione carpet, con i premi e le feste, come si impantana e i nomi delle multi- gli omaggi e le palpitazioni di chi nazionali fanno bracciate forti e ri- cerca il futuro e non si rassegna. Del solute che rosicchiano le antenne grande attivismo, che un poco sof- degli altri, i perdenti…rassegnati. fre nel cercare nuovi respiri, resta Lo spettacolo a volte spaventa ma a un continuo soprassalto di speran- volte esalta di fronte a un bel film, a ze e di futuro. La grande fabbrica è ancora sti- le feste per i brindisi celebrativi sono stucche- un atto di volontà di fiducia. Non c’è autore mata nel mondo perché regala gioia e speran- voli appuntamenti. Le televisioni non fanno che non sogni il domani e si prepari a cercarlo za di domani. Ma la situazione è chiara. Certo, molto di più, si ripetono e ormai sembrano dopo averlo invocato. Voglio dire che la crisi le cose vanno avanti vanno avanti in tv e nel ancorate a schemi quasi soltanto celebrativi, generale, mai negata, insiste per essere cura- cinema (due amanti che vanno tenendosi per con il rilancio di vecchie testate, vecchi titoli, ta e guarita. Ma non basta. C’è bisogno di fre- mano, nel giro degli ultimi dieci anni e più’, in vecchi personaggi; lo spazio per qualche ini- schezza di pensiero e di velocità di progettare, un modo che non si scosta poi molto dal passato. ziativa originale, autonoma, ispirata da idee e realizzare. Il cinema deve essere la ricerca di sveglia; ma purtroppo si vede, quel che si ve- un nuovo futuro in un mondo che non sta fer- de, spesso sarebbe meglio non fosse mai sta- mo e attende altri ciak, altri battiti del cuore e to messo in produzione. Il pericolo imminen- della sensibilità. te di sterilità ma di grande enfasi nei giornali in crisi e nelle tv che stanno vincendo sfug- ge, viene citato come ripetitività di paure e Italo Moscati negazioni di novità profonde, motivate. La stampa carica l’in- formazione su aziende mon- diali, pronte a tutto, spesso an- tiche (come la Disney, Warner Media, Comcast) o novità che si intrecciano tra loro (Netflix, Amazon, Apple, Hulu…). Tutte forze che lavorano per conqui- stare spazi e potere. La prepara- zione per la conquista definitiva va avanti ma la realtà è ovattata, generica. E si spiega. Nessuna iniziativa, nessuna voce, nessuna volontà si agita in Europa, tante grandi o medie aziende, spesso vincolate agli Stati, fanno poco 1° Maggio a Napoli nel 1956. Détournement di Nicola De Carlo 3 n. 72 Bruno Ganz, l’inquietudine nel cinema senza più confini Sono stati magici gli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, dell’ormai tra- scorso scorso secolo, per il cinema europeo. Una bella sferzata di vitalità l’ha offerta il ci- nema tedesco e quella, ormai passata, nuova onda di autori capaci di inventare immagi- Tonino De Pace ni che avrebbero per sempre mutato le prospettive di sguardo per migliaia di appassionati e studiosi, che avreb- bero cambiato le coordinate della critica, fa- cendo scoprire quel desiderio di nuovo che coincideva, straordinariamente, con un nuo- vo assetto politico, con un nuovo approccio della coscienza. Tutto sembrava doversi diri- gere verso un inedito esistenzialismo che tra- duceva una nuova sensibilità solidale di- retta anche ad abbattere le barriere fisiche stagioni successive, permeato il nuovo e politiche, per rifugiarsi dentro una asso- sentire che per la prima volta raccontava luta umanità, in una altrettanto originale con intenso orgoglio autoriale lo smarri- forma di umanesimo. D’intorno un pessi- mento e l’inquietudine, il titanismo arti- mismo ancora tutto da esplorare in que- stico e l’amore per l’arte, ma anche l’omo- sto rimettere al centro l’umanità dei senti- sessualità come forma melodrammatica menti, soprattutto quelli fino ad allora dell’esistenza, la memoria e la contempo- inespressi o male espressi. Quei film, quel raneità anche più scottante. Tutto questo vento di rinnovamento che per noi arriva- e molto di più raccontava il cinema tede- va da nord, era il segno di una nuova con- sco di quegli anni e, contemporaneamen- sapevolezza, di un mutamento della dire- te, raccontava di uno sconfinato amore zione del pensiero dopo l’assestamento, “L’amico americano” (1977) di Wim Wenders per il cinema del passato non solo nazio- storicamente avvenuto, della pacificazio- nale, ma quello fondante, d’oltreoceano, ne mondiale che sembrava essere arrivata facendo scoprire agli europei la grandez- nella metà dei ’70, dopo la fine della guerra za di alcuni registi che avevano lavorato a in Vietnam. Guerra questa per antonoma- testa bassa spaziando, con le loro storie, sia e terreno di confronto e di scontro, sul dentro al meraviglioso caleidoscopio dei quale si misuravano le forze in vista del la- generi. Questo avveniva proprio perché voro futuro. Era il vento che avrebbe con- questi autori, prima di essere registi, ave- tribuito alla lunga, a buttare giù le divisio- vano trascorso il loro tempo - prendendo a ni del muro di Berlino e non si trattava prestito la definizione di un innovatore solo di un fatto politico o geografico, ma della critica come Enzo Ungari - a mangia- piuttosto di una spinta generosa che re film riempiendo di immagini il loro avrebbe a sua volta, generato altri mostri e sguardo che le avrebbe metabolizzate in un altri muri. Ma questo non potevano/non “Dans la ville blanche” (1983) di Alain Tanner cinema che sarebbe divenuto indimentica- potevamo saperlo. In questo clima nasce- bile. Bruno Ganz è vissuto dentro questo vano i nuovi registi, gli intellettuali che svilupparsi di idee in movimento, di un ci- con l’occhio alla macchina da presa e un nema che per la prima volta sembrava amore per il cinema che in forma così abolire i confini, non solo fisici o politici, massiccia non si sarebbe più vista, almeno ma anche culturali, per diventare l’anima come fenomeno nazionale, si facevano ca- di un’altra soggettività che si formava. rico di inventare storie e guardare al pre- L’anima di quell’internazionalismo cultu- sente con intensa sensibilità.