Processo Mori, Testimonia Lo Verso Accuse a Dell'utri E Schifani

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Processo Mori, Testimonia Lo Verso Accuse a Dell'utri E Schifani "Le stragi sono state la rovina. In pochi sappiamo la verità: io, Totuccio (Riina) e Andreotti" Processo Mori, testimonia Lo Verso Accuse a Dell'Utri e Schifani "Nicola Mandalà (boss mafioso, ndr) mi disse che avevamo nelle mani Renato Schifani, Marcello Dell'Utri, Totò Cuffaro e Saverio Romano". È quanto ha detto il pentito di mafia Stefano Lo Verso, ex boss di Ficarazzi (Palermo), deponendo al processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nell'ottobre del 1995. Il presidente del Senato lo querela Totò Riina entra nell'aula bunker del palazzo di Giustizia di Palermo (foto d'archivio LaPresse) PALERMO - "Abbiamo nelle mani Schifani, Dell'Utri, Cuffaro e Romano". È la frase che il pentito Stefano Lo Verso, deponendo nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, ha riferito ai giudici riportando quanto gli avrebbe detto Nicola Mandalà, boss di Villabate. Il processo è quello che vede alla sbarra l'ex generale dei Carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento a Cosa nostra per il mancato arresto di Bernardo Provenzano nelle campagne del palermitano nel 1995. Lo Verso, che ha accompagnato Provenzano nell'ultima fase della sua latitanza, ha sostenuto in aula che il boss Mandalà gli aveva parlato di Schifani come amico e socio di suo padre. Oltre al presidente del Senato ha tirato in ballo anche il ministro dell'Agricoltura Saverio Romano, il senatore Marcello Dell'Utri e l'ex presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro, quest'ultimo in carcere per favoreggiamento alla mafia. Secondo la testimonianza di Lo Verso, i quattro uomini politici avrebbero rappresentato una garanzia per Cosa nostra: "Non abbiamo problemi - gli avrebbe detto Mandalà per tranquillizzarlo - li abbiamo nelle mani". Immediata la replica del Presidente del Senato, che in una nota ha fatto sapere attraverso il suo portavoce, Eli Benedetti, di "avere dato mandato ai propri legali di intraprendere ogni attività a tutela della propria onorabilità e immagine nei confronti del signor Stefano Lo Verso". I legali di Dell'Utri, che, secondo Lo Verso, dopo le stragi del '92 "aveva preso il posto di Salvo Lima", fanno sapere in una nota che "le dichiarazioni oggi rese al processo Mori da Stefano Lo Verso contro Dell'Utri, costituiscono l'ennesimo e calunnioso tentativo di coinvolgere il senatore in vicende politico-mafiose autorevolmente escluse anche dalla recente sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo''. ''Inoltre l'ulteriore affermazione di Lo Verso secondo cui uomini del centro destra, tra cui Dell'Utri, sarebbero stati 'nelle mani' di boss mafiosi, - aggiungono - contrasta in maniera stridente e oggettiva con tutta la legislazione antimafia, compreso l'inasprimento del 41 bis e l'irrigidimento delle misure di prevenzione che ha caratterizzato tutti i governi Berlusconi''. ''Ci si riserva, quindi, ogni adeguata iniziativa, in ogni opportuna sede, - concludono i legali - che accerti il mendacio e l'assoluta infondatezza di tali esternazioni''. Nel corso dell'interrogatorio-fiume Stefano Lo Verso parla soprattutto delle confidenza che gli avrebbe fatto, tra il 2003 e il 2004, l'allora boss latitante Bernardo Provenzano a cui aveva fatto da vivandiere. Fu così che seppe dei particolari sulle stragi mafiose del '92 a Palermo. "Lo Stato lo sa chi ha voluto le stragi mafiose del '92", gli avrebbe detto Provenzano. "Si lamentava che non vedeva la moglie da tre anni e che non conviveva con lei da dodici anni. Quando chiesi a Provenzano perché - riferisce ancora Lo Verso - mi rispose: 'per colpa di altri. Le stragi sono state la rovina. In pochissimi sappiamo la verità: io, il mio paesano Riina, Andreotti e altri due che sono morti. Uno era Salvo Lima, che è stato ucciso, per paura che non sopportasse il peso della verità sulle stragi e l'altro è Vito Ciancimino, che probabilmente è stato ucciso pure". E su Andreotti ha aggiunto: "Falcone e Borsellino furono uccisi perché avevano individuato la radice dell'organizzazione mafiosa. Siccome Andreotti lo aveva garantito nella latitanza, Provenzano doveva fare il favore". .
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