Divertimento Ensemble Sandro Gorli Direttore 2

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Divertimento Ensemble Sandro Gorli Direttore 2 STAGIONE 2008-09 Martedì 28 ottobre 2008 ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Divertimento Ensemble 2 Sandro Gorli direttore Elizabeth Norberg-Schulz soprano Maria Grazia Bellocchio pianoforte Consiglieri di turno Direttore Artistico Maria Majno Paolo Arcà Carlo Sini Con il contributo di Con il contributo di Con la partecipazione di Sponsor istituzionali Con il patrocinio di È vietato prendere fotografie o fare registrazioni, audio o video, in sala con qualsiasi apparecchio, anche cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo dopo la fine di ogni composizione, durante gli applausi. Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si invita a: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse…); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Divertimento Ensemble Sandro Gorli direttore Elizabeth Norberg-Schulz soprano Maria Grazia Bellocchio pianoforte Gustav Mahler (Kalisˇte, Boemia 1860 – Vienna 1911) Lieder eines fahrenden Gesellen (trascrizione Schoenberg) Matteo Franceschini (Trento 1979) “sine qua non” per pianoforte e ensemble (prima esecuzione assoluta, commissione della Fondazione Dragoni in memoria di Bruno Bettinelli) Intervallo Arnold Schoenberg (Vienna 1874 – Los Angeles 1951) Pierrot lunaire op. 21 In collaborazione con Milano Musica Gustav Mahler Lieder eines fahrenden Gesellen (trascrizione Schoenberg) Wenn mein Schatz Hochzeit macht Ging heut morgen übers Feld Ich hab’ ein glühend Messer Die zwei blauen Augen L’ 1 luglio 1918 Alban Berg scriveva alla moglie Helene: «Schoenberg ha avuto di nuovo un’idea meravigliosa: fondare nella prossima stagione un’Associazione, il cui compito sarà di eseguire ogni settimana, per i suoi soci, delle opere musica- li, dall’epoca “Mahler ed ora”». Nello sfacelo di Vienna, appena finita la guerra, nacque così il Verein für musikalische Privataufführungen in Wien (Associazione per esecuzioni musicali private a Vienna). Schoenberg aveva già tentato qualcosa di simile nel 1904, fondando con il cognato Alexander Zemlinsky la Vereinigung schaffender Tonkünstler (Unione degli artisti musi- cali creativi), il cui presidente onorario era Gustav Mahler. L’arco formato da quelle due esperienze circoscrive anche il rapporto tra le personalità emblema- tiche della musica viennese del primo Novecento, Mahler e Schoenberg. Mahler era il Direttore dell’Opera di Corte e l’arbitro della musica a Vienna. Nel breve periodo della sua gestione, il teatro visse una trasformazione sconvolgen- te. Le resistenze al cambiamento, sia all’interno che all’esterno del teatro, furo- no durissime e sempre più violente, fino a provocare nel 1907 le dimissioni di Mahler e la sua partenza da Vienna. La figura di Mahler divenne la bandiera dei giovani musicisti, al di là e forse anche contro le sue intenzioni. Mahler tuttavia sostenne sempre le nuove tendenze musicali con generosità, sia tramite la pro- pria influenza, sia con concreti aiuti finanziari. Schoenberg rimase sempre in buoni rapporti con Mahler, sebbene con giudizi a volte controversi sul suo lavoro. Non rinunciò mai tuttavia a promuovere la conoscenza della sua musica. Il primo concerto del Verein für musikalische Privataufführungen, agli inizi del 1919, presentava non a caso la Settima Sinfonia in una trascrizione per pianoforte a quattro mani di Alfredo Casella. Nel concerto del 6 febbraio 1920 era in programma un altro lavoro di Mahler, i Lieder eines fahrenden Gesellen. I quattro Lieder costituiscono il primo ciclo vocale scritto da Mahler e risalgono probabilmente al periodo di Kassel, tra la fine del 1883 e il 1885. La genesi del lavoro è ancora poco chiara. Non si conosce di preciso qual è la fonte dei testi, probabilmente stesi dallo stesso compositore sulla falsariga delle poesie romantiche del Corno magico del fanciullo (Des Knaben Wunderhorn). Rimane ancora senza risposta la domanda se Mahler abbia scritto il ciclo in origine per pianoforte o per orchestra. Le due versioni vennero pubblicate contemporaneamente nel 1897, a Vienna. Vari elementi lasciano ritenere, secondo autorevoli studiosi, che il ciclo sia stato scritto in ori- gine per pianoforte e che la prima versione orchestrale sia la citazione dei Lieder nella Prima Sinfonia. Ging heut morgen, per esempio, fornì il tema ini- ziale del primo movimento, così come la parte centrale di Die zwei blauen Augen divenne un episodio della grottesca marcia funebre. Schoenberg decise di occuparsi di quel lavoro giovanile di Mahler, preparando una trascrizione del ciclo orchestrale per un organico di dieci strumenti. Il fatto era abbastanza eccezionale, dal momento che in genere i lavori per orchestra venivano presentati in trascrizioni per pianoforte (o per due pianoforti), non solo per motivi pratici, ma anche per un deliberato proposito di spogliare la musica da «tutti gli orpelli sensibili», come scrisse Alban Berg in uno degli opuscoli. L’ aspetto tuttavia meno convenzionale riguarda il procedimento. Schoenberg non ha trascritto la musica in senso tradizionale, bensì ha enucleato dalla parti- tura originale le linee principali delle varie voci strumentali, creando una sorta di miniatura sonora. Non voleva infatti rendere un’interpretazione soggettiva, bensì intendeva leggere la musica di Mahler attraverso il filtro di un’analisi per così dire oggettiva. Ma il riferimento a Mahler in quel contesto, e in particolare al suo primo capolavoro, così carico di riverberi schubertiani, rivelano la coscien- za di essere il musicista in grado di proseguire la tradizione della musica vien- nese, un destino che Schoenberg portava su di sé più come il peso di una croce che come un titolo d’onore. Matteo Franceschini “sine qua non” per pianoforte e ensemble I II III Bruno Bettinelli, scomparso nel 2004, era una delle personalità più conosciute del Conservatorio di Milano. Fecondo compositore e padrone di ogni segreto dell’arte musicale, ha formato varie generazioni di musicisti milanesi. La sua figura emanava un’aura di rispetto e di soggezione tra gli studenti, che si sfor- zavano di divinare dal colore della giacca gli umori del severo Maestro. Sembra una felice coincidenza che la Fondazione Dragoni abbia commissionato un lavo- ro in memoria di Bruno Bettinelli proprio nell’anno in cui il Conservatorio di Milano festeggia i 200 anni dalla sua fondazione. Allievo di Solbiati a Milano e di Corghi a Roma, Matteo Franceschini si è distin- to negli ultimi anni come uno degli autori più promettenti della musica italiana. “sine qua non”, per pianoforte e un ensemble di otto esecutori, declina varie forme dello stile concertante nell’ambito di un linguaggio musicale contempora- neo. «Il brano – spiega l’autore – si pone come una riflessione sul ruolo che il pia- noforte, con le sue diverse e intrinseche caratteristiche, può ricoprire se consi- derato il vero centro di un’architettura formale». La forma generale è quella classica del concerto solistico, con un primo tempo più elaborato, un adagio centrale e un movimento conclusivo virtuosistico e bril- lante. Lo schema tradizionale tuttavia è interpretato con finezza, intessendo una trama di rapporti tra i vari movimenti per conferire all’insieme un carattere organico. Il tema principale del primo movimento, esposto dal pianoforte dopo l’introduzione lenta, ritorna per esempio nella pagina finale del lavoro, chiuden- do il cerchio con l’evocazione del mondo dal quale il viaggio ha preso le mosse. Il pianoforte genera il materiale musicale, che via via prende forma nel rapporto con gli altri strumenti. Il dialogo, fitto di contrappunti ritmici e timbrici, diven- ta sempre più nervoso, in una climax parossistica di estrema violenza che sfocia in un lungo silenzio spossato e attonito. Il pianoforte ritrova le forze, per chiu- dere il movimento con un episodio di sapore jazzistico, dominato dal ritmo viva- ce del tamburo rullante. Il movimento successivo riparte dal clima immobile dell’inizio. La musica distil- la il materiale armonico, che il pianoforte elabora in fantasmagorie lunari. La forma è simmetrica, rispecchiando alla rovescia le acrobazie della mano destra della prima parte nei cupi rimbombi finali della tastiera, riverberati dalle per- cussioni gravi. Nel movimento rapido e percussivo finale si apre al centro un’am- pia e solitaria meditazione del pianoforte. L’episodio si sviluppa attorno a un accordo ostinato di terza maggiore (re – fa diesis), che inevitabilmente richiama all’orecchio la tonalità di re maggiore. La tensione tra il ricordo della dimensio- ne tonale e il libero trattamento armonico e melodico della musica che le ruota attorno crea un gioco di rifrazioni sempre più ambiguo. Il cerchio si chiude nel segno di una nuova e più ampia armonia, sottolineata dalle strappate alla Stravinskij degli archi. L’espressione lirica di questa ritrovata dimensione armo- nica è affidata alla tastiera nell’ultimo ritorno del tempo immobile iniziale, l’epi- sodio che cuce assieme la musica dei tre movimenti. La voce del pianoforte reci- ta uno alla volta, da un capo all’altro della tastiera, i suoni che formano la scala su cui è costruito l’intero lavoro, a cominciare da quel mi bemolle, bisbigliato all’unisono all’inizio, da cui tutto aveva preso le mosse. Arnold Schoenberg Pierrot lunaire op. 21 A dispetto dello scandalo e delle accuse di fantasia malsana, la forza espressiva dirompente di Pierrot lunaire rese evidente a tutti che quel lavoro portava defi- nitivamente la musica aldilà della tradizione ottocentesca. L’audacia delle posi- zioni di Schoenberg, in quel primo scorcio di secolo, aveva spaventato in primo luogo lui stesso. Schoenberg sentiva che i lavori più radicali dei suoi ex-allievi Alban Berg e Anton Webern rischiavano di rendere antiquato il suo linguaggio e temeva che il confronto con i giovani finisse per snaturare la sua musica. La crisi indusse Schoenberg a ripensare il proprio lavoro in forma teorica e a inda- gare se stesso tramite altri linguaggi espressivi. L’incontro con Wassily Kandinsky, nell’estate del 1911, e la collaborazione alla rivista Blaue Reiter segnano la fase più intensa della sua produzione pittorica.
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