Mangiare Con Gli Occhi. Gastronomia, Estetica E Rappresentazione a Tokyo
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Corso di Laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica. Tesi di Laurea Mangiare con gli occhi. Gastronomia, estetica e rappresentazione a Tokyo. Relatore Professoressa Valentina Bonifacio Laureando Duccio Gasparri Matricola 831265 Anno Accademico 2013 / 2014 1 INDICE INTRODUZIONE 1. L'occhio e l'arte del tiro con l'arco (un fallimento etnologico)....................................................3 2. Antropologia alimentare..............................................................................................................6 3. Antropologia dei sensi.................................................................................................................9 4. Ingold e Sutton: prospettive critiche..........................................................................................13 5. Giapponi.....................................................................................................................................17 6. Note metodologiche e riassunto dei capitoli..............................................................................18 CAPITOLO 1 - CENNI STORICI 1. Le navi nere e la Rifondazione Meiji.........................................................................................21 2. Raggiungere e superare.............................................................................................................24 3. Dal sistema-paese al fascismo imperiale...................................................................................26 4. La Guerra del Pacifico...............................................................................................................28 5. Carne e occidentalismo..............................................................................................................31 6. Seyō ryōri...................................................................................................................................34 7. Shina ryōri e Chōsen ryōri.........................................................................................................35 9. I grandi magazzini e la nuova identità femminile......................................................................39 10. Sanpuru....................................................................................................................................44 CAPITOLO 2 - LA MANO: PERFORMATIVITÀ E SINESTESIA 1. Primavera: Ishinomaki...............................................................................................................50 2. Estate: Shabu-shabu...................................................................................................................54 3. Autunno: Takoyaki.....................................................................................................................56 4. Inverno: Shimokitazawa............................................................................................................59 5. Habitus e produzione sensoriale................................................................................................63 6. Memoria, pratica e cibo.............................................................................................................66 CAPITOLO 3 - L'OCCHIO: PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE 1. “I giapponesi mangiano con gli occhi”......................................................................................70 2. Modelli e coltelli........................................................................................................................74 3. Forme, sguardi, pratiche............................................................................................................77 4. L'impero dei sensi......................................................................................................................81 5. Disciplinare lo sguardo..............................................................................................................83 6. Piccoli mediatori........................................................................................................................85 CAPITOLO 4 - CONCLUSIONI 1. The self as a metaphor of food (una critica a Ohnuki-Tierney).................................................91 2. Arcipelaghi: note per un'urbanistica della metropoli e del disastro in Giappone......................94 3. La percezione come pratica.......................................................................................................98 4. La pratica come percezione.....................................................................................................101 6. Lo sguardo obliquo della gastroestetica: Tanizaki, D-fens, la carpa e il color verde..............105 8. Considerazioni conclusive.......................................................................................................110 Bibliografia ......................................................................................................................................113 Appendice.........................................................................................................................................118 2 INTRODUZIONE 1. L'occhio e l'arte del tiro con l'arco (un fallimento etnologico). É mattina presto a Padova, in una gelida domenica di febbraio del 2010. Il mio amico S. C., instancabile praticante e sperimentatore di disparate arti marziali provenienti da ogni luogo del mondo quel giorno dedica – come tutte le domeniche da diversi anni a questa parte e come continuerà a fare almeno fino al 2014, anno in cui scrivo queste righe – al tiro con l'arco giapponese, detto anche kyūdō, “strada dell'arco e della freccia” secondo la nozione per la quale determinate attività equivalgono a lunghi viaggi, nei quali l'enfasi è posta non sul raggiungimento della meta-competenza ma sul lento procedere, apprendendo: “In the artistic dō […] particular emphasis is laid on the process, the way, by which one goes toward the goal” (Izutsu, cit. in Cox 2003 p. 51). Il sottoscritto, ispirato dalla competenza di S. C. e dalla relativa novità dell'attività, ha svogliatamente mosso qualche passo su questa “strada” per circa tre anni e in quell'occasione ha seguito il suo referente anziano (in giapponese senpai, una figura che delinea una relazione binaria – senpai-kohai – di importanza capitale nel mondo dell'istruzione, del lavoro e del gioco) per una sessione di pratica in uno dei pochi campi di tiro “alla giapponese” del Centro-nord, il dojo “Take no ko” (“Germoglio di bambù”) di Padova. Vale la pena ribadirlo: faceva molto freddo quella mattina. Le pozzanghere erano lastre di ghiaccio e il fiato formava nuvolette di vapore bianco. Eravamo solo in tre: il maestro del dojo, il mio senpai e io, intenti a preparare i lunghi archi yumi, le frecce ya, gli appositi guanti da tiro di cuoio e gli altri diversi parafrenalia del tiratore, come la cenere (usata per rafforzare la presa della mano sinistra, nuda, sull'arco), corde di ricambio, sotto-guanti, etc. Lo kyūdō è stato reso popolare nel mondo da Herrigel nel suo “Lo zen e l'arte del tiro con l'arco”, un testo che oggi definirei estremamente impregnato di orientalismo ma che all'epoca avevo letto con interesse, perseguendo una generale attrazione per gli aspetti pratici del buddhismo giapponese, che spesso sconfinavano nel marzialismo. Tra le prime osservazioni che il maestro padovano condivise con noi ci fu un giudizio tranchant e sbrigativo del testo: “Xe so tute cagate quando xe dixe xe il bersaglio non va da colpì, se no xe colpisci il bersaglio xe tiri con l'arco a fare, dico?” (“Quando Herrigel dice che [nella tradizione del tiro con l'arco] l'attenzione non è posta nel colpire il bersaglio sono tutte stupidaggini, se non tiri per colpire cosa tiri con l'arco a fare?” F. Z., conversazione privata, 02/2010 Padova). Il campo di tiro era un quadrato erboso lungo circa venti metri – la forma tradizionale del tiro è a diciotto metri – per una decina; sul lato corto si allineano gli arcieri per la pratica. Esistono forme cerimoniali specifiche anche per la pratica quotidiana, ma come avevo già avuto modo di sperimentare, lo kyūdō italiano è tendenzialmente poco solenne e poco orientato verso l'elitarismo 3 cerimoniale – elemento al contrario centrale nella pratica del tiratore con l'arco nipponico – quindi quella mattina ci allenammo in modo molto informale. S. C. ha alle spalle quasi quarant'anni di pratica e studio delle arti marziali orientali, per cui gli oscuri riferimenti del maestro sono molto chiari per lui, che li immette prontamente nel fitto network di rimandi della cultura marziale nipponica. Io arranco decisamente di più. Ironicamente, uno dei pochi insegnamenti che ho ritenuto dalle giornate padovane resta per me ancora un mistero nel suo significato specifico, sebbene le sue implicazioni generali mi sarebbero state utili nel definire le mie ricerche universitarie. Proprio quella domenica, forse ispirato dal clima – lo ribadisco per la terza volta – antartico, affermò quanto segue: “Mentre si prende la mira si usa uno sguardo particolare. I giapponesi lo chiamano lo sguardo della neve, o anche lo sguardo del ragno” Non nego che provai – e provo ancora – una certa fascinazione esoterica, mai sopita dalla pratica e dall'esuberante pragmatismo sia del maestro F. Z. che del mio senpai S. C., nei confronti di queste espressioni. In seguito lo pregai di spiegarle meglio e la sua interpretazione fu la seguente: “Lo sguardo della neve è lo sguardo con cui si segue un singolo fiocco di neve in mezzo ad