Madame Bovary

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Madame Bovary GUSTAVE FLAUBERT MADAME BOVARY Traduzione di Bruno Oddera in collaborazione con Indice generale Note critiche………………………………………………………………………………………………pag. 3 PARTE PRIMA…………………………………………………………………………………………..pag. 5 I…………………………………………………………………………………………………….………pag. 5 II……………………………………………………………………………………………………….….pag. 11 III……………………………………………………………………………….…………………….…..pag. 15 IV…………………………………………………………………………………………………….……pag. 19 V…………………………………………………………………………………….……………….…….pag. 22 VI………………………………………………………………………………………………….……...pag. 24 VII………………………………………………………………………..…….………….…….……....pag. 27 VIII…………………………………………………………………………………………….………...pag. 31 IX…………………………………………………………………………………………….…………...pag. 37 PARTE SECONDA……………………………………………………………………….……………..pag. 45 I…………………………………………………………………………………………….………………pag. 45 II…………………………………………………………………………………………………………..pag. 51 III………………………………………………………………………………………………………….pag. 55 IV………………………………………………………………………………………………………….pag. 62 V…………………………………………………………………………….……………………………..pag. 64 VI………………………………………………………………………………………………………....pag. 70 VII…………………………………………………………………………………………………….…..pag. 78 VIII……………………………………………………………………….………………..………..…..pag. 84 IX……………………………………………………………………….……………..………………….pag. 98 X………………………………………………………………….………………………………..……...pag. 105 XI…………………………………………………………….…………………………………..……….pag. 110 XII…………………………………………………………….………………………………..………...pag. 118 XIII………………………………………………………….………………………………..…………..pag. 127 XIV………………………………………………………….………………………………..…………..pag. 133 XV…………………………………………………………….……………………………..…………….pag. 140 PARTE TERZA……………………………………………….……………..…………………………...pag. 146 I………………………………………………………………….……………..………………………….pag. 146 II………………………………………………………………….……………..………………………...pag. 155 III………………………………………………………………….……………..……………………....pag. 162 IV…………………………………………………………………….…………………………………....pag. 163 V……………………………………………………………………….…………..……………………...pag. 165 VI……………………………………………………………………….…………..………………..…...pag. 176 VII……………………………………………………………………….…………..…………….……..pag. 187 VIII……………………………………………………………………….…………..…………………..pag. 196 IX………………………………………………………………………….…………..…...……………..pag. 207 X…………………………………………………………………………….…………..…….…………..pag. 213 XI…………………………………………………………………………….…………..………………..pag. 216 2 Note critiche a cura di Laura Barberi Come un’altra opera già resa disponibile su cd rom per i nostri lettori, vale a dire il Don Chisciotte di Cervantes, Madame Bovary tratta dell’inconciliabilità di realtà e fantasia, della distanza incolmabile tra sogni e vita quotidiana. Charles Bovary, un modesto medico di campagna, dopo la morte della moglie, una ricca vedova, si innamora di Emma Rouault, figlia di un agricoltore agiato, e la sposa. Emma, educata in convento, ha nutrito la propria immaginazione e sensibilità con numerose letture e confida di realizzare i propri sogni romanzeschi attraverso il matrimonio. Ben presto, però, Emma resta delusa dalla monotonia e dal grigiore della vita coniugale, mentre aumenta il desiderio di un’esistenza diversa. Un trasferimento da Tostes a Yonville-l’Abbaye, voluto dal marito per cercare di migliorare le declinanti condizioni di salute di Emma, non sortisce l’effetto sperato: ella resta delusa anche dalla vita nel nuovo ambiente nonché dalle persone che vi vivono. L’unico a suscitare un interesse in Emma è un giovane notaio, Léon Dupuis, ma egli parte lasciandola in preda ai rimpianti. Conosce allora un ricco proprietario, Rodolphe Boulanger, e ne diventa l’amante, ma presto anche lui l’abbandona. A Rouen Emma rincontra Léon e i due intrecciano una relazione, nel frattempo aumentano i debiti accumulati dalla Bovary per circondarsi di un po’ di lusso: un usuraio pretende di essere pagato e le fa sequestrare i mobili. Disperata, Emma vede negarsi ogni aiuto sia da Léon che da Rodolphe, ruba del veleno dalla farmacia e si toglie la vita. Alla sua pubblicazione, nel 1857, il romanzo suscitò un enorme scandalo e l’autore venne processato per offesa alla morale pubblica e alla religione; Flaubert fu però assolto mentre le vendite del libro si avvantaggiarono del clamore. Tappa fondamentale nella storia del romanzo ottocentesco, Madame Bovary viene spesso troppo semplicisticamente considerato come il prototipo del romanzo realista. Una valutazione non completa perché, pur affondando le sue radici nella tradizione romantica (sia quella del lirismo che quella dell’aderenza alla realtà socio-politica esistente), il testo di Flaubert anticipa sia nei temi che nelle tecniche narrative molte opere del novecento: basti pensare ai tanti romanzi del nostro secolo incentrati sul tema del vuoto esistenziale e della nausea di vivere. Madame Bovary offre un’infinità di livelli di lettura: c’è chi semplicemente si farà coinvolgere dalle emozioni dei personaggi; chi invece apprezzerà la ricchezza dei temi e dei simboli ricorrenti nel romanzo; chi, ancora, studierà le perfette tecniche di narrazione come, per esempio, i frequenti passaggi dalla focalizzazione centrata sul narratore alla focalizzazione centrata sui personaggi. Non resta, quindi, che augurare: buona lettura a tutti! 3 A MARIE-ANTOINE-JULES SÉNARD MEMBRO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PARIGI EX PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE EX MINISTRO DEGLI INTERNI Caro e illustre amico, mi permetta di porre il suo nome all’inizio di questo libro e prima della dedica; debbo infatti soprattutto a lei se è stato pubblicato. Grazie alla sua splendida difesa, la mia opera ha acquisito anche per me una sorta di imprevista autorevolezza. Accetti quindi l’omaggio della gratitudine che ho per lei e che, per quanto grande, non sarà mai all’altezza della sua eloquenza e della sua dedizione. GUSTAVE FLAUBERT Parigi, 12 aprile 1857 4 PARTE PRIMA I Stavamo studiando, quando entrò il preside seguito da un nuovo alunno vestito in borghese e dal bidello che trasportava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono e si alzarono in piedi come sorpresi in piena attività. Il preside ci fece cenno di star comodi, poi si rivolse all’insegnante: «Professor Roger,» disse sottovoce «le raccomando questo allievo. Viene ammesso alla quinta, ma se il profitto e la condotta lo renderanno meritevole, passerà fra i grandi, come richiederebbe la sua età». Il ‘nuovo’, un giovane e robusto campagnolo d’una quindicina di anni circa, alto di statura più di ognuno di noi, rimaneva in un angolo dietro la porta, di modo che lo vedevamo appena. Aveva i capelli tagliati diritti sulla fronte, come un chierichetto di paese: sembrava assennato e molto intimorito. Benché non avesse le spalle larghe, dava l’impressione che la giacchetta di panno verde con i bottoni neri lo stringesse sotto le ascelle; gli spacchi dei risvolti delle maniche lasciavano vedere i polsi arrossati a furia di rimanere scoperti. Le gambe calzate di blu sbucavano da un paio di pantaloni giallastri sostenuti con troppa energia dalle bretelle. Portava scarpe chiodate robuste e mal lucidate. Cominciammo a recitare le lezioni. Egli stava tutto orecchi ad ascoltarle, attento come se ascoltasse un sermone, senza osare nemmeno incrociare le gambe o appoggiarsi al gomito, e alle due, quando suonò la campana, il professore dovette chiamarlo perché si mettesse in fila con noi. Avevamo l’abitudine entrando in classe di gettare a terra i berretti per restare con le mani più libere; bisognava lanciarli stando sulla soglia fin sotto il banco, in modo che battessero contro il muro e sollevassero più polvere possibile; così era ‘l’uso’. Ma, sia che non avesse notato la manovra o che non avesse osato metterla in pratica, alla fine della preghiera, il ‘nuovo’ teneva ancora il berretto sulle ginocchia. Si trattava di uno di quei copricapi non ben definibili, nei quali è possibile trovare gli elementi del cappuccio di pelo, del colbacco, del cappello rotondo, del berretto di lontra e del berretto da notte, una di quelle povere cose, insomma, la cui bruttezza silenziosa ha la stessa profondità d’espressione del viso d’un idiota. Di forma ovoidale e tenuto teso dalle stecche di balena, cominciava con tre salsicciotti rotondi, poi, separate da una striscia rossa, si alternavano losanghe di velluto e di pelo di coniglio; veniva in seguito una specie di sacco che terminava con un poligono sostenuto da cartone ed era coperto da un complicato ricamo di passamaneria, dal quale pendeva, al termine di un lungo e troppo sottile cordone, un ciuffetto di fili d’oro a guisa di nappina. Il berretto era nuovo di zecca e la visiera splendeva. «Si alzi» disse il professore. Lo scolaro si alzò: il berretto cadde per terra. Tutta la classe scoppiò a ridere. Egli si chinò per raccoglierlo. Un compagno con una gomitata lo fece di nuovo cadere: il ragazzo ancora una volta lo raccattò. 5 «Si sbarazzi del suo casco» disse il professore che era un uomo di spirito. Un’altra clamorosa risata della scolaresca sconcertò il povero ragazzo, tanto che egli non seppe più se dovesse tenere il berretto in mano, lasciarlo per terra o metterselo in testa. Si rimise a sedere e lo posò sulle ginocchia. «Si alzi,» riprese il professore «e mi dica il suo nome». Il ‘nuovo’, farfugliando, pronunciò un nome incomprensibile. «Ripeta!» Si udì lo stesso farfugliamento di sillabe, sommerso dagli schiamazzi della classe. «Più forte,» gridò l’insegnante «più forte!» Il ‘nuovo’, prendendo una decisione eroica, aprì una bocca smisurata e gridò a pieni polmoni, come per chiamare qualcuno, questa parola: «Charbovari». Di colpo si levò uno strepito che salì in crescendo con acuti scoppi di voce (chi urlava, chi abbaiava, chi pestava i piedi, mentre tutti ripetevano: «Charbovari, Charbovari!») per smorzarsi poi in
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