UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ 2016-2017

LA FRANCIA DAL 1852 AL 1898

LEZIONE 1

il contesto storico realismo e naturalismo

Danielle Goti

15 gennaio IL CONTESTO STORICO

I IL SECONDO IMPERO 1852-1870 Nato dal colpo di stato del 2 dicembre 1851 e legittimato dal plebiscito del 2 dicembre 1852 1 l 'impero autoritario (1852-60). controllo della stampa e leggi repressive 2 L'impero liberale (1860-1870) verso più democrazia, tentativi di liberalizzazione in economia guerra franco-prussiana: disfatta di Sedan ( 2 sett.1870 )- caduta dell’impero 3 I lavori di Haussman trasformazione del paesaggio urbano di Parigi

II LA TERZA REPUBBLICA (1871-1899) Proclamata il 4 settembre 1870 nella Parigi assediata. Coll’armistizio e il trattato di Francoforte (maggio 1871) la Francia perde l’Alsazia Lorena (nascita del revanscismo) . La Costituzione del 1875 istituisce un sistema bi camerale e semi presidenziale. Viene introdotta l'istruzione obbligatoria, gratuita e laica (lois Ferry del 1881), vengono rafforzate le istituzioni tra sentimento nazionalista e antisemite e spinte democratiche e progressiste e si costituisce il II impero coloniale.

Ma viene anche attraversa da una serie di crisi gravi:  la Commune de Paris (1870-71) : insurrezione popolare repressa nel sangue  il Boulangisme (1885-89): tentativo di colpo di stato populista  lo scandalo di Panama (1892): travolse uomini politici e imprenditori  l'Affaire Dreyfus (1894-99): Clamoroso caso politico-giudiziario che contribuì a palesare due raggruppamenti di forze contrapposte, una destra nazionalista e antisemita (antidreyfusards) e una sinistra democratica e progressista (dreyfusards).

Emile Zola J’accuse « Monsieur le Président, permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella , se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori,Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell’apoteosi di questa festa patriottica che l’alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno quell’abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un consiglio di guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. (…)La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell’uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese?. [...] Ma questa lettera è lunga signor presidente, ed è tempo di concludere. Accuso il luogotenente colonnello de Paty di Clam di essere stato l’operaio diabolico dell’errore giudiziario, in incoscienza, io lo voglio credere, e di aver in seguito difeso la sua opera nociva, da tre anni,con le macchinazioni più irragionevoli e più colpevoli. Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di questo crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. Accuso il generale de Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, uno certamente per passione clericale, l’altro forse con questo spirito di corpo che fa degli uffici della guerra l’arcata santa, inattaccabile. Accuso il generale De Pellieux ed il comandante Ravary di avere fatto un’indagine scellerata, intendendo con ciò un’indagine della parzialità più enorme, di cui abbiamo nella relazione del secondo un imperituro monumento di ingenua audacia. Accuso i tre esperti in scrittura signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere presentato relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio. Accuso gli uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell’Eclair e nell’Eco de Paris, una campagna abominevole, per smarrire l’opinione pubblica e coprire il loro difetto. Accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato su una parte rimasta segreta, ed accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto quest’illegalità per ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di liberare consapevolmente un colpevole. Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione . Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l’indagine abbia luogo al più presto. Aspetto Vogliate gradire, signor presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto.» Il ROMANZ0 REALISTA

GUSTAVE FLAUBERT (1821-1880)

Primo romanziere realista: per lui la visione dell'artista deve trovare riscontro nell'esperienza del mondo esterno, studia il suo soggetto in modo scientifico ma non confonde la scienza con l'arte come avviene nel romanzo naturalista.

Madame Bovary 1855 Insieme critica dei costumi di provincia, del romanticismo e modello per la nuova scuola del realismo. , stato di crisi psicologica e morale causato dal desiderio di evasione da una realtà banale e monotona dalla quale ci si può sottrarre solo con la morte.

Testo

1-V Di tanto in tanto, Emma si rinfrescava le gote premendovi il palmo delle mani fatte raffreddare sui pomoli di ferro dei grandi alari. Si lagnava di provare talvolta, con il cambiamento della stagione, un senso di stordimento; gli domandò se i bagni di mare le avrebbero giovato; poi prese a parlare del convento e Charles del suo collegio; la conversazione si avviò. Salirono nella camera di lei. Ella gli mostrò i suoi vecchi libri di musica, i volumetti ricevuti in premio e le corone di foglie di quercia abbandonate in fondo a un armadio. Gli parlò anche di sua madre, del cimitero, e infine gli mostrò l'aiuola in giardino, dove ogni primo venerdì del mese coglieva i fiori da portare sulla tomba. Ma il giardiniere che avevano non capiva niente; la servitù non valeva più nulla. Le sarebbe piaciuto molto vivere in città, almeno d'inverno, sebbene durante l'estate la campagna potesse essere ancora più noiosa, con le giornate che non finiscono mai; a seconda degli argomenti, la sua voce si faceva limpida, acuta, si colmava d'improvviso languore, si trascinava in modulazioni che finivano quasi in un sussurro quando ella parlava fra sé, ora allegra, con i candidi occhi spalancati, poi con le palpebre socchiuse su uno sguardo sommerso dalla noia e i pensieri vaganti chissà dove. (…)

Durante le visite di Charles alla fattoria, si discutevano i preparativi per le nozze, ci si domandava in quale locale si sarebbe svolto il pranzo, si facevano progetti sul numero e sulla qualità delle portate. Emma, invece, avrebbe desiderato un matrimonio celebrato a mezzanotte, alla luce delle fiaccole; ma papà Rouault non riuscì a capacitarsi di una simile idea. Fu celebrato quindi un matrimonio al quale parteciparono quarantatre invitati, i quali restarono per sedici ore a tavola, ricominciarono il festino il giorno dopo con qualche strascico anche nei giorni successivi. (…)

Prima di sposarsi, Emma aveva creduto di essere innamorata, ma la felicità che sarebbe dovuta nascere da questo amore non esisteva, ed ella pensava ormai di essersi sbagliata. Cercava ora di capire che cosa volessero dire realmente le parole felicità, passione, ebbrezza, che le erano sembrate così belle nei libri.

1-VII A volte si diceva che questi sarebbero dovuti essere i giorni più felici della sua vita, la cosiddetta luna di miele. Per poterne gustare davvero la dolcezza, senza dubbio, bisognava partire per quei paesi dai nomi altisonanti, dove i primi giorni di matrimonio hanno più soavi pigrizie. In diligenza, all’ombra di tendine di seta azzurra, si sale per ripide strade ascoltando la canzone del postiglione che echeggia fra le montagne insieme con le campanelle delle capre e il rombo sordo delle cascate. Al tramonto, sulla riva dei golfi marini, ci si può inebriare con la fragranza dei limoni; la sera, sulla terrazza di una villa, soli, le mani dell’uno intrecciate con le mani dell’altra, si possono fare progetti guardando le stelle. Secondo lei, taluni luoghi sulla terra possedevano la peculiarità di produrre la felicità, quasi essa fosse stata una pianta alla quale è necessario un particolare terreno, una pianta che cresce male in qualunque altro luogo. Come avrebbe voluto potersi affacciare al balcone di uno chalet svizzero, o chiudere la sua malinconia in un cottage scozzese, insieme con un marito che indossasse un abito a giacca lunga di velluto nero, calzasse morbidi stivali e portasse un cappello a punta e i polsini. Eppure, se Charles avesse voluto, se lo avesse sospettato, se una sola volta lo sguardo di lui avesse indovinato i suoi pensieri, un’improvvisa piena di sentimenti sarebbe scaturita da lei, così come i frutti maturi si staccano da una spalliera soltanto sfiorandoli con la mano. Ma a mano a mano che cresceva l’intimità della loro vita, veniva a determinarsi un distacco spirituale che la allontanava sempre più da lui. La conversazione di Charles era piatta come un marciapiede e le idee più comuni vi sfilavano nel loro abito di tutti i giorni, senza suscitare emozione o risate o fantasticherie. Quando abitava a Rouen, diceva, non aveva mai provato la curiosità di andare a vedere gli attori di Parigi. Non sapeva nuotare né tirare di scherma o con la pistola, e una volta non seppe spiegarle un termine di equitazione che lei aveva letto in un romanzo. Un uomo, non avrebbe dovuto, invece, conoscere tutto, eccellere in molteplici attività, saper iniziare una donna al fuoco della passione, alle raffinatezze della vita, a tutti i misteri? Ma costui non insegnava niente, non sapeva niente, non desiderava niente 2 XI Guardandosi nello specchio, si stupì dell'aspetto del proprio viso. Non aveva mai avuto gli occhi tanto grandi, così neri e profondi. Qualcosa di impalpabile, diffuso su tutta la sua persona, la trasfigurava. Andava ripetendosi: «Ho un amante! Ho un amante!» e questa idea la deliziava come se le avessero promesso una seconda adolescenza. Finalmente avrebbe posseduto quelle famose gioie che dà l'amore, quella febbre di felicità che non sperava più di provare. Stava per entrare in quel mondo meraviglioso ove tutto è passione, estasi, delizia; un roseo universo la circondava, i più alti sentimenti splendevano sfiorati dal suo pensiero, l'esistenza di ogni giorno era confinata lontano, laggiù in fondo, nell'ombra, nei vuoti che si trovavano fra quelle straordinarie altezze. Rammentò le eroine dei libri che aveva letto e la lirica legione di quelle donne infedeli che Emma sentiva sorelle, fece coro nella sua memoria con voci che la incantavano. Divenne ella stessa parte integrante di queste invenzioni. Vedeva avverarsi il lungo sogno della sua giovinezza, e si immedesimava in quel ruolo di donna passionale che aveva tanto desiderato. Oltre a ciò, assaporava la gioia della vendetta. Non aveva forse sofferto abbastanza? Ma ora sentiva di essere la trionfatrice e l'amore, così a lungo conculcato, sgorgava con impeto e con gioiosa turbolenza. Emma lo assaporava senza rimorsi, senza inquietudine, senza turbamento.(...) Tutto di lui adesso la irritava, il viso, l'abito, quello che non diceva, il suo atteggiamento, la sua esistenza. Si pentiva, come di un delitto, della fedeltà di un tempo, e ciò ch'era rimasto della sua virtù crollava ormai sotto i colpi furiosi dell'orgoglio. Gioiva di tutte le perfide ironie che l'adulterio suggerisce. I ricordi dell'amante tornavano a lei con suggestioni vertiginose che sommergevano la sua anima spingendola verso di lui con nuovo entusiasmo; e Charles gli appariva così distaccato ormai dalla sua vita, lontano per sempre, fuori della realtà e addirittura annientato come se stesse per morire, come se stesse agonizzando sotto i suoi stessi occhi 3-VI Léon si sentiva infastidito adesso quando Emma d'improvviso si metteva a singhiozzare sul suo petto, e il cuore di lui, simile a quelle persone che si stancano se ascoltano per lungo tempo la musica, si assopiva nell'indifferenza alle manifestazioni clamorose di un amore del quale non apprezzava più le raffinatezze. Si conoscevano troppo perché fosse loro possibile godere quello stupore del possesso che centuplica la gioia. Emma era tanto disgustata di lui quanto Léon si sentiva stanco di lei, che, del resto, ritrovava nell'adulterio tutta la monotonia del matrimonio. Ma come fare per liberarsi? .... Accusava Léon delle proprie speranze deluse quasi l'avesse tradita, e arrivava ad augurarsi una catastrofe che avrebbe facilitato la loro separazione, dal momento che lei non trovava il coraggio di deciderla. 3-VII Emma sedette allo scrittoio e scrisse una lettera che sigillò adagio, aggiungendo la data e l'ora.Poi disse in tono solenne: «La leggerai domani; fino ad allora, ti prego, non mi fare domande!... No, nemmeno una!» «Ma...» «Oh! Lasciami in pace! » Si distese sul letto. Un sapore acre in bocca la svegliò. Intravide Charles e richiuse gli occhi. Spiava le proprie sensazioni per rendersi conto se cominciasse a star male. Ma no, non ancora. Sentiva il ticchettio della pendola, il rumore del fuoco e Charles, in piedi al suo capezzale, che respirava. "Ah! È una cosa ben da poco la morte" pensava. "Dormirò e tutto sarà finito!" Bevve un sorso d'acqua, e si voltò verso il muro. Quell'orribile sapore di inchiostro continuava. «Ho sete! Oh! Ho una sete terribile!» sospirò. «Ma che cos'hai, insomma?» disse Charles, porgendole un bicchiere d'acqua. «Non è nullla!..Apri la finestra...Soffoco!» E fu afferrata dalla nausea così d'improvviso che ebbe appena il tempo di prendere il fazzoletto sotto il cuscino. «Portalo via!» protestò «Buttalo!» Charles le fece domande alle quali Emma non rispose. Rimaneva immobile, temendo che la più piccola emozione la facesse vomitare. Sentiva però un freddo di ghiaccio salirle dai piedi fino al cuore. «Ah! Ecco che comincia!» mormorò. «Cosa dici?» Voltò la testa con un movimento lento, pieno di angoscia, aprendo e chiudendo di continuo la bocca come se avesse avuto sulla lingua qualcosa di molto pesante. Alle otto, i conati di vomito ricominciarono. Charles osservò sul fondo della bacinella qualcosa di simile a granelli bianchi attaccati alle pareti di porcellana. «È straordinario! È una cosa stranissima!» ripeteva. Ma Emma disse ad alta voce: «No, ti sbagli!» Allora, delicatamente, quasi la carezzasse, Charles le passò una mano sullo stomaco. Emma gettò un grido acuto. Charles si tirò indietro spaventato. Poi la signora Bovary si mise a gemere, dapprima debolmente. Grandi brividi le scotevano le spalle e diventava più pallida del lenzuolo nel quale affondava le dita contratte. Il polso, aritmico, era quasi impercettibile, adesso. Gocce di sudore scendevano sul viso cianotico che sembrava quasi irrigidito nell'esalazione di un vapore metallico. I denti battevano, gli occhi dilatati guardavano vagamente tutto intorno e ad ogni domanda Emma rispondeva scotendo il capo; sorrise addirittura una o due volte. A poco a poco i gemiti si fecero più forti. Un urlo soffocato e continuo le sfuggiva; voleva far credere di stare meglio e che ben presto si sarebbe alzata ma le presero le convulsioni, gridava: «Ah! È atroce, mio Dio!» Charles si gettò in ginocchio contro il letto. «Parla! Cos'hai mangiato? Rispondi, in nome del cielo!» E la guardava con una tenerezza negli occhi,una tenerezza che Emma non vi aveva mai veduto. «Ebbene, là...là...» disse lei con voce spenta. Charles balzò verso lo scrittoio, ruppe il sigillo e lesse a voce alta: «Non si accusi nessuno...» Si interruppe, si passò una mano sugli occhi, e rilesse di nuovo. «Come! Aiuto! Accorrete!» E riuscì soltanto a ripetere queste parole: «Avvelenata, avvelenata!» ….

IL ROMANZO NATURALISTA

EMILE ZOLA (1840-1902)

Capo fila dei romanzieri naturalisti che, appoggiandosi sulle nuove scoperte scientifiche, considerano il romanzo come un impresa di analisi e di spiegazione dei meccanismi sociali e individuali . Il suo scopo è la ricerca della verità non per suscitare scandalo ma per comprendere e possibilmente migliorare. 1867.Thérèse Raquin 1870- 1893: i Rougon-Macquart:, histoire naturelle e sociale d'une famille sous le Second Empire 20 volumi che offrono uno sguardo sulla società del suo tempo dominata dal denaro e esplora gli istinti e le pulsioni individuali che prima delle teorie psicanaliste fecero scandalo.

Germinal 1885 Romanzo di denuncia dello sfruttamento degli operai nelle miniere, delle violenze repressive, del degrado economico e della miseria che generano alcolismo, criminalità, propensione alla violenza, devastazione fisica e morale. testo 1Nella rasa pianura, sotto la notte senza stelle, scura e spessa come l'inchiostro, un uomo solo seguiva lo stradone che andava da Marchienne a Montsou, dieci chilometri di selciato diritto che tagliava un campo di barbabietole. Davanti a sé, non vedeva neanche la terra nera, e soltanto i soffi del vento di marzo, dalle raffiche ampie come in pieno mare, gelide per aver spazzato intere leghe di paludi e terre nude, gli dava la sensazione dell'immenso orizzonte piatto. Nessuna ombra di albero si stagliava sul cielo, il selciato si stendeva con la precisione di una gettata, in mezzo all'oscurità accecante delle tenebre. L'uomo era partito da Marchienne verso le due. Camminava a passi ampi, tremando sotto il cotone sottile della sua giacca e del suo pantalone di velluto. Un pacchettino, annodato in un fazzoletto a quadri, gli dava molto fastidio; e lo stringeva contro i suoi fianchi, talvolta con un gomito, talaltra con l'altro, per far scivolare in fondo alle tasche entrambe le mani, delle mani rosse che le lamine del vento facevano sanguinare. Un'unica idea occupava la sua testa vuota di operaio senza lavoro e senza alloggio, la speranza che il freddo sarebbe stato meno intenso dopo il sorgere del giorno. Da un'ora camminava così, quando sulla sinistra, a due chilometri da Montsou, scorse dei fuochi rossi, tre bracieri brucianti all'aria aperta, e come sospesi. Inizialmente esitò, preso dalla paura; poi, non poté resistere al bisogno doloroso di scaldarsi un po' le mani.

2 Urlanti e gesticolanti,le donne erano apparse;un migliaio o poco meno; scarmigliate dalla corsa, mal coperte da cenci che lasciavano intravedere qua e là la pelle, dei corpi di femmine sfiancate a forza di figliare. Alcune tenevano fra le braccia l’ultimo nato, lo sollevavano, lo mostravano come brandissero e agitassero un segnacolo di vendetta e di lutto. Altre, più giovani, procedevano impettite come muovessero alla battaglia, impugnando bastoni; mentre le vecchie, simili a furie scatenate, urlavano così forte che nei colli scarniti le corde si tendevano quasi a schiantarsi. Seguiva la valanga degli uomini; duemila forsennati; manovali, braccianti, stuccatori; una massa pigiata e confusa che avanzava compatta al punto che non vi si discerneva più nulla: camiciotti di tela o maglie a brandelli, tutto spariva in un’unica tinta terrea. […] In quel momento il sole tramontava, insanguinando la pianura della cupa porpora dei suoi ultimi raggi. Tinti di quella porpora, uomini e donne seguitavano a correre simili a beccai imbrattati di sangue; e fu come se, non più una folla, ma un fiume di sangue dilagasse per la strada. […] Quel che passava lì davanti era il minaccioso preludio d’una rivoluzione che a breve scadenza fatalmente li travolgerebbe tutti. Sì, il secolo non volgerebbe a termine, che in una rossa sera come questa, il popolo scatenato strariperebbe così per le strade: grondante del sangue della borghesia, agiterebbe sulle picche delle teste, sventrerebbe i forzieri e ne seminerebbe l’oro. Le donne urlerebbero; minacciosi come questi, gli uomini spalancherebbero fauci di belva. Sì, sarebbero gli stessi cenci che ricomparirebbero, lo stesso strepitio di zoccoli che rintronerebbe le vie; sarebbe la stessa raccapricciante folla, lacera, sudicia, dal fiato appestato, che spazzerebbe via il vecchio mondo sotto la sua barbarica spinta irresistibile. Incendi fiammeggerebbero; delle città non resterebbe pietra su pietra; si ritornerebbe all’esistenza selvaggia dei boschi, dopo il pauroso esplodere di foia, dopo l’immane orgia che vedrebbe in una notte i diseredati sfiancare le donne dei ricchi, mettere a sacco le loro cantine. Più nulla resterebbe; non un soldo delle fortune accumulate, non un titolo o una posizione sociale; sino al giorno in cui forse un nuovo mondo sorgerebbe sulle rovine dell’antico. Sì, era un’avvisaglia di questo, ciò che ora si scatenava su quella strada con la irresistibilità d’una forza di natura; era dell’imminente ciclone che essi ora ricevevano in viso la ventata che bastava a farli trascolorire. É.ZOLA,Germinale,Einaudi