<<

Civitas

Rivista quadrimestrale di ricerca Registrazione storica e cultura politica Tribunale Civile di Roma • Fondata e diretta da Filippo Meda n. 152 dell’8.04.2004 (1919-1925) • Diretta da (1947) Direttore • Diretta da Paolo Emilio Taviani Franco Nobili (1950-1995) Quarta serie Direttore Responsabile • Diretta da Gabriele De Rosa Agostino Giovagnoli (2004-2007) • Diretta da Franco Nobili Coordinatore editoriale «Civitas» “riprenderà il difficile impegno con la serietà Amos Ciabattoni ed il rigore che l’hanno contraddistinta nei momenti più travagliati e complessi. Redazione I temi riguarderanno problemi, eventi, prospettive della politica internazionale con un particolare riguardo • Comitato alla vita italiana ed all’unità europea. Andrea Bixio ... Il XX secolo ha lasciato tracce e impronte in Italia, Mario Giro in Europa e nel mondo, che sono in gran parte da scoprire e, Nicola Graziani per un certo verso, se non addirittura, da correggere, Flavia Nardelli da meglio interpretare. Giuseppe Sangiorgi Sarà anche questo un importante compito della nuova «Civi- tas»”. [Paolo Emilio Taviani, 18 febbraio 2000] • Sede Costo di un numero € 10,00 Via delle Coppelle, 35 Abbonamento a tre numeri € 25,00 00186 Roma Abbonamento sostenitore € 250,00 Tel. 06/68809223-6840421 (Equivalente a 10 abbonamenti) Fax 06/45471753 E-mail C/c postale [email protected] 15062888 intestato a Rubbettino Editore, Viale Rosario [email protected] Rubbettino, 10 - 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) Bonifico bancario Editore Banca Popolare di Crotone - Agenzia di Serrastretta Rubbettino C/C 120418 ABI 05256 CAB 42750 Viale R. Rubbettino, 10 Carte di credito 88049 Soveria Mannelli Visa - Mastercard - Cartasì Tel. 0968/6664201 Fax 0968/662055 Pubblicità E-mail Pagina b/n € 1.500,00 - Per tre numeri € 3.500,00 [email protected]

2 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 NEL SOLCO DI UN CAMMINO COERENTE

L’ argomento di questo numero di «Civitas» non è stato scelto per le circostan- ze che da qualche tempo lo rendono sempre più attuale, ma perché è tra quelli che la Rivista, fin dalla sua prima apparizione nel panorama culturale del nostro Paese, ha da sempre trattato e sviluppato parallelamente all’evolversi delle vicende cultu- rali e politiche della società italiana.

• Scorrendo infatti la ponderosa collezione dei numeri di «Civitas», della pri- ma (1919-1925), della seconda (1947) e della terza serie (1950-1995) – dalle quali è risorta l’attuale quarta serie (2004) – si ritrova il coerente sviluppo dell’argomen- to della ricerca, anzi della rivendicazione, di come il pensiero sociale cristiano e quindi la presenza attiva dei cattolici abbiano maturato nel nostro Paese diritti, do- veri e ruoli in virtù dei contributi dati al suo progresso democratico e sociale. E fat- to crescere un elettorato cattolico sensibile e d’opinione dal quale non è possibile prescindere.

• Il lungo cammino della maturità sociale e politica dei cattolici italiani, ai quali il Magistero della Chiesa ha progressivamente aperto strade sempre più larghe di partecipazione e di responsabilità, viene ripercorso, in profondità e coerenza di giudizio, nell’editoriale, curato da Agostino Giovagnoli, col quale si apre questo numero che pertanto offre alla rinnovata riflessione dei lettori apporti culturali ed opinioni aderenti al nostro tempo.

• È nostra ferma convinzione che, in coerente analogia e continuità con lo spes- sore del dibattito che «Civitas» ha sempre promosso, tenuto vivo e rinnova nell’at- tuale fase della vita italiana, questo numero della Rivista, per il tema che tratta, sia la continuità di un impegno che non mostrerà mai cedimenti e non avrà mai fine.

Nella seconda parte del testo, il ricordo a più voci di Pietro Scoppola ci è sem- brato più che doveroso per onorare un Amico e uno Storico d’impegno e di grande spessore, la cui scomparsa rende la cultura italiana orfana di un irripetibile protago- nista. Nei Suoi scritti, nelle Sue opere, nelle Sue ricerche storiche, si ritrova la profon- da attualità del Suo pensiero e del Suo impegno di cattolico sensibile al divenire della società. Il richiamo ai Suoi copiosi contributi di Sapere e di Intelligenza è d’obbligo per integrare, aggiornare e completare la nostra analisi sul ruolo dei cattolici nella so- cietà di oggi e del futuro.

Franco Nobili

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 3

Indice

• DOVE VANNO I CATTOLICI Prima parte 9 Editoriale 17 Cento anni di dottrina sociale - di Andrea Riccardi 33 Dieci tesi sui cattolici in politica - di Mauro Magatti 41 Inquietudine e prospettive per il tempo presente - di Savino Pezzotta 49 Lo specifico cristiano e il Partito democratico - di Pierluigi Castagnetti 59 I cattolici e la politica oggi - di Gennaro Acquaviva 71 I cattolici e la politica - di Gianni Baget Bozzo 79 Cattolici e laici nel Partito democratico. Intervista a Paolo Corsini - a cura di Carlo Giunipero 89 Preparazione alla politica: l’esperienza di Retinopera - di Paola Bignardi 97 Il movimento dei Focolari: una scelta di campo - di Lucia Fronza Crepaz

Seconda parte: ricordo di Pietro Scoppola 111 Pietro Scoppola e il nostro tempo - di Franco Nobili 113 Omelia per il funerale di Pietro Scoppola - del Cardinale Achille Silvestrini 117 Scoppola, la storia come complessità - di Andrea Riccardi 121 Addio a Scoppola cattolico e democratico - di Eugenio Scalfari 123 Il Nuovo Partito che rompe con il Novecento, Post scriptum - di Eugenio Scalfari 125 “Un cattolico a modo suo” - di Agostino Giovagnoli 129 Quando il cattolico democratico ci inflisse la scomunica - di Giuliano Ferrara 131 L’amore di Pietro per la storia - di Francesco Malgeri 135 Scoppola, l’etica come religione - di Alberto Melloni 137 Gentiluomo laico, di fede - di Emma Fattorini

RUBRICHE

POLITICA INTERNA a cura di Nicola Graziani 141 POLITICA INTERNAZIONALE a cura di Mario Giro 146 RICERCHE a cura di Andrea Bixio 152 RELIGIONI E CIVILTÀ a cura di Agostino Giovagnoli 155

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 5 LIBERA OPINIONE a cura di Giorgio Tu p i n i 160 NOVITÀ IN LIBRERIA a cura di Valerio De Cesaris 164

NOMI CITATI 168 NUMERI PRECEDENTI 170

6 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Prima parte

Editoriale

• Nei confronti della politica i cristiani vivono costantemente una diffi- coltà di fondo che non è facile superare. Benedetto XVI l’ha espressa sintetica- mente nel suo libro su Gesù di Nazaret con queste parole: “sul Discorso della Montagna non si può costruire nessuno Stato e nessun ordine sociale”. Tra l’ideale cristiano e qualunque costruzione giuridico-politica è sempre presente una distanza profonda ed incolmabile: tutti i tentativi di negare o annullare tale distanza hanno sempre avuto esiti negativi o addirittura tragici. Ma, sul piano storico, si deve registrare che in molti modi e in molte forme il cristiane- simo ha influito sullo sviluppo delle istituzioni politiche e sociali: la storia eu- ropea è ricca di esempi in questo senso. Ciò vale anche per il novecento ed in particolare per il caso italiano. Nel se- colo scorso, in diversi momenti i cattolici hanno vissuto un nesso molto stretto tra le loro convinzioni più profonde e alcune scelte politico-istituzionali di ca- rattere generale, impegnandosi a fondo nella vita pubblica italiana. È accadu- to nel primo dopoguerra con il Partito popolare – l’evento più importante della storia italiana nel XX secolo, secondo Federico Chabod – e nel secondo dopo- guerra con la Democrazia cristiana, mentre in altre fasi – come durante il fa- scismo – è prevalsa un’afasia dei cattolici nella vita pubblica. Nel primo e nel secondo dopoguerra, infatti, l’apporto dei cattolici è stato determinante per tut- to il paese, investendo nodi cruciali del sistema politico, come nel caso del Par- tito popolare la cui nascita si lega strettamente al passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico, alla battaglia per la proporzionale e ad un radicale mutamento nel rapporto tra cittadini e Stato in Italia. Nella Seconda guerra mondiale, invece, la ferma convinzione che la realizzazione di un obiettivo moralmente e religiosamente decisivo – come il raggiungimento di una pace stabile a livello internazionale – ha spinto i cattolici a guidare il paese verso la definitiva transizione alla democrazia ed una rapida modernizzazione accom- pagnata da una redistribuzione delle ricchezze.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 9 Editoriale

 La “diaspora”

• Com’è noto, a partire dai primi anni novanta, dopo la dissoluzione della Democrazia cristiana, il ruolo dei cattolici in Italia si è sensibilmente ridotto. In realtà, molti esponenti democristiani hanno continuato ad essere presenti in altre formazioni politiche. Inizialmente, tale presenza si è concentrata soprat- tutto in formazioni che si richiamavano direttamente o indirettamente alla Dc, mentre successivamente è prevalsa la diaspora in partiti diversi, anche se molti ex democristiani hanno conservato una comune cultura politica. È anco- ra presto per tentare un bilancio di tale presenza, che molti hanno deprecato co- me fattore di continuità con la “Prima repubblica” e come ostacolo al rinnova- mento della politica e di cui altri, invece, sottolineano gli aspetti positivi. Uno degli effetti più rilevanti di questa presenza è stato indubbiamente costituito dal contributo dato alla conservazione della Costituzione del 1948, sia sotto il profilo formale sia sotto il profilo materiale. Non sono mancati, però, anche cattolici, già in primo piano nella battaglia per superare la Dc e l’unità politi- ca dei cattolici, che si sono invece impegnati per dar vita ad un sistema politi- co-istituzionale profondamente diverso dal precedente, pur nella fedeltà ad al- cuni fondamentali valori costituzionali. È uno degli esempi più eloquenti di una diaspora che non riguarda solo le scelte immediate ma anche gli orienta- menti politico-ideali di fondo. In ogni caso, dopo il 1994 gli ex democristiani – e, più in generale, i cattolici – sono stati sempre meno al centro della scena po- litica, dominata ormai da altre formazioni e da altri protagonisti. È una diffe- renza decisiva se si pensa che, per tutta la lunga stagione democristiana, molti cattolici sono stati invece nel partito cardine dell’intero sistema politico. Il loro ruolo, se non proprio marginale e subalterno, si è quantomeno ridotto in modo sensibile e la loro presenza sul piano politico, nella cosiddetta Seconda repub- blica, è stata interpretata in chiave residuale come mera sopravvivenza di un passato ben diverso.

 Il ruolo di supplenza della Cei

• Al declino e alla scomparsa della Dc ha però corrisposto una crescente vi- sibilità di un altro soggetto sempre più rilevante nel cattolicesimo italiano: la Conferenza episcopale, alla cui guida – dalla metà degli anni ottanta al 2007 – è stato, con diversi ruoli, il card. Camillo Ruini. In questo periodo, la Cei ha interpretato la prospettiva indicata al cattolicesimo italiano da Giovanni Pao-

10 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Editoriale lo II nel convegno di Loreto del 1985, quando il papa incoraggiò i cattolici ita- liani a sviluppare con più forza la propria presenza nella società. Il card. Ruini ha successivamente ricostruito la transizione degli anni ottanta e novanta, af- fermando che al convegno di Loreto, si aprì “una fase nuova, più propositiva e in un certo senso più ‘ambiziosa’ della Chiesa italiana, pur mantenendosi ben dentro il solco del primato della evangelizzazione tracciato dalla Cei già col piano pastorale degli anni ’70, sulla scorta della Evangelii nuntiandi di Paolo VI”. Egli ha spiegato tale apertura in questi termini: “A Loreto veniva messo in evidenza il rapporto con la società e con la cultu- ra, caratteristico della proposta della ‘nuova evangelizzazione’ di Giovanni Paolo II: il suo invito ad operare ‘anche e particolarmente in una società plura- listica e parzialmente scristianizzata […] affinché la fede cristiana abbia o re- cuperi un ruolo guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro”. Alla svolta di Loreto rimasero estranee sia buona parte del mondo cattolico sia la Democrazia cristiana, anche se probabilmente nell’immediato quest’ulti- ma ne beneficiò sul piano elettorale. Secondo una successiva ricostruzione del card. Ruini, negli ultimi tempi della vita di questo partito, la Cei “ha insistito con forza sull’unità politica dei cattolici, motivandola però più che con la ne- cessità di difendere il sistema democratico, con il dovere di salvaguardare e pro- muovere alcuni fondamentali contenuti etici ed antropologici”. Pur esprimen- do una chiarezza emersa solo successivamente, la ricostruzione sottolinea una progressiva divaricazione tra Cei e Dc che indubbiamente ci fu, malgrado il so- stegno elettorale offerto fino alla fine dall’episcopato italiano a questo partito. Tale divaricazione manifesta un calo di interesse per il ruolo dei cattolici quale cardine della democrazia italiana, mentre cresceva, nel contesto dell’episcopato wojtylano, la sensibilità per tematiche culturali ed antropologiche che venivano emergendo sotto la spinta della globalizzazione.

 Il recupero dell’autonomia della Chiesa

• Dopo la scomparsa del “partito cattolico”, mentre ancora era diffuso tra i cattolici un grande smarrimento per una fine così improvvisa e, soprattutto, co- sì ingloriosa, al Convegno di Palermo del 1995 la Chiesa italiana ha indicato la strada del distacco dalle diverse formazioni che venivano popolando un nuo- vo sistema politico bipolare. Dopo la scomparsa della Dc, l’istituzione ecclesia- stica ha inoltre recuperato una piena autonomia nei confronti di un laicato cattolico che aveva visto crescere progressivamente la propria autorevolezza,

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 11 Editoriale grazie al ruolo assunto nelle istituzioni pubbliche ed alla guida dello Stato. Si sono poste così le premesse per un nuovo ruolo pubblico assunto direttamente dalla Presidenza della Cei in rappresentanza dell’intero cattolicesimo italiano. A partire dagli anni novanta, il card. Ruini ha avviato il “progetto culturale” della Chiesa italiana, ingiustamente sospettato di preparare la ricostruzione della Democrazia cristiana. Le vicende successive hanno mostrato chiaramente che né il card. Ruini né i suoi collaboratori al vertice della Cei hanno puntato sulla rinascita della Democrazia cristiana. Il duplice obiettivo del progetto cul- turale era diverso: inculturare la fede e soprattutto evangelizzare la cultura di un paese sempre più secolarizzato come l’Italia di fine novecento. Il card. Ruini ha qualificato la prospettiva globale dell’evangelizzazione ponendo al centro dell’attenzione nuove tematiche culturali e antropologiche, diffondendole tra i cattolici ed aprendo un dialogo con laici sensibili a tali tematiche. La scelta ruiniana di privilegiare tali questioni ha anticipato un più largo interesse che si è manifestato successivamente, com’è particolarmente evidente nel caso della bioetica. Tutto ciò è poi apparso in una luce nuova dopo l’11 settembre 2001: l’attenzione che in tutto il mondo è stata rivolta nei confronti delle religioni, il rapporto fra religione e politica, il ruolo pubblico delle religioni nel contesto odierno ha favorito un’ulteriore crescita del ruolo pubblico della Chiesa cattoli- ca in Italia.

 I pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI

• Come si vede, la Cei ha guidato il cattolicesimo italiano su strade molto diverse rispetto a quelle battute precedentemente dalla Dc. Tuttavia, proprio in- torno a questioni come quelle della bioetica si sono sviluppate, com’è noto, ini- ziative che hanno fatto parlare di nuovo intervento politico della Chiesa nella situazione italiana. Iniziative come quelle prese in occasione del referendum sul- la fecondazione assistita hanno infatti riguardato direttamente il terreno della produzione normativa, oltre a quello etico, toccando indirettamente anche la dimensione della politica, nel senso ampio del termine. Tutto ciò ha provocato molte polemiche, mentre si manifestavano nuovamente forme di acceso anticle- ricalismo dopo molti anni di “pace religiosa”. Sotto il profilo storico, si può dire che la Cei abbia in parte raccolto l’eredità della Dc, seppure su terreni e con mo- dalità evidentemente molto diversi: ciò è avvenuto soprattutto per quanto ri- guarda l’obiettivo – già ampiamente perseguito dalla Democrazia cristiana – di evitare che il cattolicesimo italiano si chiudesse in una logica di minoranza, at-

12 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Editoriale testato su posizioni specifiche e “non comunicabili”, spingendolo invece verso un ruolo di “parte” che si fa carico dei problemi del “tutto” costituito dal paese nel suo complesso. La Cei, viceversa, non ha sostituito interamente la Dc nella guida politica dei cattolici italiani: i suoi interventi, infatti, si sono concentrati su questioni specifiche, seppure sempre più importanti, che essa ha considerato di sua diretta competenza ed in particolare sulle tematiche antropologico-culturali, scegliendo invece di non intervenire in altri campi, come i problemi politico- istituzionali attinenti alla “costituzione materiale” che hanno costituito proba- bilmente il principale problema irrisolto della “Seconda repubblica”. Collegato a tale “disinteresse” – che scaturisce dalla natura e agli scopi specifici propri del- l’istituzione ecclesiastica – appare anche l’abban dono di una “divisione di ruoli” che assegnava principalmente al laicato cattolico la presenza nella vita pubblica, anche se Benedetto XVI e l’episcopato italiano hanno continuato a ribadire che l’impegno politico spetta di regola non al clero ma ai laici. In questo contesto, è tornato periodicamente a riproporsi il problema della presenza politica di questi ultimi e sono emersi nuovi tentativi per configurare tale presenza, ad opera non solo di ex democristiani o di protagonisti comun- que riconducibili all’esperienza della “Prima repubblica”, ma anche da espo- nenti dell’associazionismo cattolico di varia provenienza, espressivi della nuova stagione che si è aperta dopo il declino e la fine della Dc. Formati nel contesto ecclesiale e politico degli ultimi decenni, molti di loro non appaiono particolar- mente nostalgici dell’esperienza democristiana e sono viceversa sensibili alle no- vità maturate durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Anche un rapporto più stretto con l’istituzione ecclesiastica ed in particolare con la Cei li differenzia dagli ex democristiani, insieme ad una maggiore con- sonanza con i movimenti e le organizzazioni ecclesiali che rappresentano la principale novità del laicato cattolico italiano degli ultimi decenni.

 La collocazione dei cattolici tra giudizi e scelte

• Siamo arrivati così alla situazione attuale, che questo numero di «Civi- tas» cerca di fotografare. Si tratta di un argomento di interesse primario per una rivista come «Civitas», le cui diverse stagioni sono state tutte collegate alle varie forme assunte dall’impegno politico dei cattolici in Italia. Questo numero non ha la pretesa di interpretare l’attuale situazione dei cattolici in Italia, né di prevederne gli sviluppi futuri. Pesano infatti molte incognite, dalle scelte de- gli attori principali alle modificazioni del sistema elettorale. Si è scelto perciò di

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 13 Editoriale raccogliere opinioni diverse di studiosi, esperti, protagonisti di vario orienta- mento politico e di diversa collocazione nell’attuale scenario italiano. Ne è sca- turito un quadro che non è certo esauriente – anche per la mancanza di alcune voci che non è stato possibile ospitare malgrado ripetuti tentativi –, ma che tut- tavia ci sembra ampio ed interessante. Accanto ai contributi di uno storico (Andrea Riccardi), di un sociologo (Mauro Magatti), sono ospitate le voci di politici (come Pierluigi Castagnetti, Gennaro Acquaviva e Paolo Corsini) o di osservatori (come Gianni Baget Bozzo) esplicitamente collocati in una parte o dall’altra dello scenario politico, di personalità cattoliche che guardano alla po- litica dal punto di vista del loro impegno ecclesiale (come Paola Bignardi e Lu- cia Fronza Crepaz) o che sono esplicitamente alla ricerca di nuove forme di im- pegno (come Savino Pezzotta). Il quadro che ne emerge è variegato. Molte delusioni sono maturate con il tramonto sempre più evidente della speranza che, in un sistema bipolare, un elettorato cattolico “d’opinione”, numericamente minoritario ma politicamen- te consapevole, potesse svolgere un ruolo determinante, spostandosi tra i due schieramenti e decidendone le sorti. Non a caso, emerge oggi, in molti luoghi diversi della società italiana, la spinta ad esprimere più compiutamente orien- tamenti che vengono maturando nel mondo cattolico. Ma tale spinta si scontra con dure opposizioni animate da cattolici decisi invece a respingere l’ipotesi di un’espressione troppo diretta sul piano politico della loro identità religiosa. A qualcuno, una presenza sociale e politica più direttamente legata all’identità cattolica sembra direttamente connessa a tentazioni di invadenza clericale da parte dell’istituzione ecclesiastica; ad altri, al contrario, il ritorno in forme nuove di una presenza più incisiva del laicato cattolico sul piano politico appa- re un modo per limitare tali tentazioni. Molti altri esempi potrebbero essere ri- chiamati a conferma dei molteplici orientamenti presenti oggi nel cattolicesimo italiano, ma comunque appare complessivamente piuttosto diffusa l’insoddi sfa - zione per il modo limitato o scarsamente rilevante in cui la presenza dei catto- lici si è configurata in Italia negli ultimi quindici anni.

 Il diritto al rispetto della Chiesa

• L’ insoddisfazione è stata autorevolmente espressa anche dal card. Tarci- sio Bertone, il quale ha manifestato l’opinione che, “ai tempi della Democrazia cristiana e del Pci”, “c’era più rispetto” verso la Chiesa. La stampa ha sottoli- neato soprattutto l’opinione espressa dal cardinale che “la posizione di Gramsci

14 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Editoriale e di tanti esponenti comunisti verso la religione era ben diversa da quelli di cer- ti laicisti attuali”. Ma Bertone ha anche contrastato l’opinione che “un cattoli- co non possa avere un concetto positivo di laicità”, richiamando i nomi di “Giuseppe Lazzati, Igino Giordani, Giorgio La Pira, e altre grandi persona- lità”, a suo avviso espressive di un senso autentico di laicità in grado di smenti- re “pregiudizi stereotipati, quasi che un cattolico non possa essere un cittadino vero”. Emerge da queste parole un esplicito riconoscimento della capacità dei cattolici di esprimere “un senso positivo di laicità”, probabilmente non estraneo al rispetto di cui la Chiesa godeva ai tempi della Democrazia cristiana anche da parte di chi – come i leaders comunisti – ne aveva auspicato, almeno ini- zialmente, se non la distruzione almeno un forte ridimensionamento.

 Cattolicesimo italiano e società italiana

• Ma, probabilmente, non è solo l’insoddisfazione dei cattolici a suscitare interrogativi sulla loro presenza nella politica italiana. Sembra infatti di poter notare un nesso tra questa problematica e un’ insoddisfazione più generale nei confronti della cosiddetta “Seconda repubblica”. È l’insoddisfazione che ha spinto verso la formazione di un nuovo soggetto politico – il Partito Democrati- co, che secondo molti osservatori ha costituito l’evento politicamente più rile- vante del 2007 –, cui sono seguiti movimenti diversi sia nel centro-sinistra sia nel centro-destra nonché il rilancio del dibattito sull’esigenza di rifondare l’intero sistema politico-istituzionale attraverso riforme elettorali e costituzio- nali. In altre parole, si guarda oggi ai cattolici non solo come ad una limitata riserva elettorale, utile a questa o quella formazione politica – i cosiddetti “vo- ti del cielo” –, ma anche in rapporto a ciò che essi possono rappresentare per il sistema-paese nel suo complesso. Ciò ha generato attese persino eccessive, gradite agli uni e sgradite agli altri, verso i cattolici e ciò che essi potrebbero fare nella politica italiana, sopravvalutato dalle speranze degli uni e dai timori degli al- tri. In ogni caso, il collegamento con un’insoddisfazione complessiva verso la politica italiana proietta i cattolici oltre una interpretazione puramente resi- duale o solamente marginale della loro presenza nella politica italiana. È un modo di guardare ai cattolici in linea con tutta la loro storia prece- dente nell’Italia post-unitaria. L’assenza o la presenza dei cattolici nella vita politica italiana ha infatti segnato quest’ultima, nel bene e nel male e si può di- re che il contributo dei cattolici è stato utile al paese soprattutto quando essi hanno sostenuto prospettive di interesse generale, come è avvenuto con il Ppi e

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 15 Editoriale in un alcune fasi della storia della Dc. Con ogni probabilità, oggi, l’esigenza di un loro maggior coinvolgimento non su questioni specifiche, come già avviene, ma nelle scelte di fondo per costruire un nuovo assetto politico-istituzionale si radicano, da una parte, nei legami del cattolicesimo italiano con dinamiche più ampie del mondo globalizzato e, dall’altro, nei suoi collegamenti profondi con la società italiana. I cattolici potrebbero cioè contribuire, come in altri mo- menti, ad una più soddisfacente collocazione internazionale del paese e ad un rapporto più intenso tra istituzioni e cittadini. In ogni caso, il problema della presenza dei cattolici nella vita sociale e politica italiana non costituisce una questione meramente “confessionale”, tutta interna al cattolicesimo italiano ed alle sue evoluzioni. Si tratta di un problema che riguarda l’intera società ita- liana e in questo senso è interesse anche dei non cattolici capire se, accanto al rapporto tra Chiesa e Stato, che segue sue dinamiche specifiche, faccia bene o faccia male all’Italia un maggior coinvolgimento dei cattolici – in quali forme? – nella vita pubblica e nella costruzione dello Stato.

16 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Cento anni di dottrina sociale*

ANDREA RICCARDI Cent’anni dalla prima Settimana Sociale. Si può far la storia di questa istituzione? Alcuni potranno. Per me, Università degli l’interesse è considerare le quarantacinque Settimane Studi Roma Tre come osservatorio della storia del cattolicesimo italia- no. Sì, cent’anni di cristianesimo italiano lungo un se- colo che è, per l’Italia, il secolo della nazione, il primo dello Stato unitario. Fino all’Ottocento, il grande e so- lo fatto unificante della penisola fu il cattolicesimo. Per questo – notava Rumi – l’Unità fu pensata in mo- do neoguelfo. Ma l’Italia non nasce dal grembo della Chiesa e progressivamente non le appartiene più una- nime. Il Novecento è il secolo più secolarizzato. Ed è il ≈ secolo del cattolicesimo che si fa movimento sociale e politico. “Il cattolicesimo, dal secondo dopoguerra, ha  Alle origini della pretesa di essere sociali fatto storia sociale e politica da protagonista, • In cent’anni, attraverso le Settimane, appaiono i dibat- come mai… c’è ora, titi sulla dimensione sociale del cristianesimo italiano, sul con il distacco del rapporto con l’Italia del potere e del quotidiano. Le Settima- tempo, il grande ne sono ufficiali, ma raccolgono idee, uomini e migliori lavoro da fare: scriverne la energie del cattolicesimo. Chi si immerge negli Atti, consta- storia” ta, con sorpresa, come talune risposte o questioni, sentite og- gi nuove, ritornino di stagione in stagione. Chi sottolinea le ≈ svolte, leggendo gli Atti, ha l’impressione, tra tante diversità, di un fluire continuo di vissuto, che fa la storia della Chiesa. Storia sociale, politica…, ma anche storia della carità in sen- so largo (questa meno nota). La Chiesa è compagna di sem- pre del popolo italiano, come nessun’altra istituzione. Viene

*Dalla 45° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani celebrativa del Cen- tenario.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 17 Andrea Riccardi da più lontano del giovane Stato. È quel che il vecchio vescovo Monterisi disse, con orgoglio, a Badoglio che lo rimproverava di non cedergli il seminario nel 1944 e che lo aveva apostrofato: “Lei è italiano?”: “Quando il popolo è rimasto solo e stremato dalle sofferenze della guerra io vecchio di 76 anni, col mio clero, sono rimasto al mio posto a conforto e sollievo della popolazione, il maresciallo Badoglio è scappato a Pescara”.

• Rimasti al proprio posto a conforto e sollievo del popolo: la vita di un pa- store o della Chiesa è sociale, fin dalle fibre più ecclesiali. La Chiesa e il popolo: sembra retorica, ma è presenza dentro il vissuto degli italiani. Gli italiani lo sen- tono, specie nei momenti difficili. La Chiesa parla sempre agli italiani, perché da antica compagna della storia italiana, ha maturato un invidiabile senso della realtà, anzi direbbe Paolo VI, un’esperienza di umanità. Così nelle Settimane ri- fluisce un’esperienza pensata, proposta, discussa. Tuttavia, nei primi decenni del- l’Unità, la Chiesa non ha posto nel quadro istituzionale dello Stato, a cui i catto- lici non partecipano. Ugualmente si sente portatrice di un’idea di bene per il paese: “quel sommo e immutabile bene”, di cui parla Leone XIII nella Immortale Dei del 1885, lo stesso che Monterisi rivendica di fronte a Badoglio. Con Leone XIII, la convinzione di es- sere portatori di sommo bene si articola sul terreno sociale. L’affermazione di una Chiesa che è sociale lega posizioni diverse: da mons. Benigni, personaggio poco chiaro e antisemita, che lotta insieme contro gesuiti e massoni, e nel 1907 pubblica la sua Storia sociale della Chiesa, fino al card. De Lubac, teologo del Vaticano II, con il suo Cattolicismo, gli aspetti sociali del dogma nel 1938.

 Le origini

• Le Settimane nascono per illustrare ai cattolici e agli italiani i volti del bene comune: parlano all’interno, ma mai solo e non dell’interno bensì del paese. Co- minciano a Lione nel 1904, poco dopo la rottura tra Francia anticlericale e Santa Sede. La Settimana di Lione esprime una vivace generazione cattolica, militante e sociale, offrendo “una dottrina all’impegno cattolico sociale”. La Spagna segue nel 1906, anche se la stagione più incisiva è col franchismo, dal 1949 al 1970, quando i cattolici trovano spazio di influenza nel regime del generalissimo. Dal 1908, il Belgio celebra la sua Settimana. Le Settimane belghe entrano in crisi con l’affie - volirsi dell’unità del paese, oggi arrivato alla scomposizione nell’indifferenza euro- pea, crisi emblematica per noi tutti. Troviamo le Settimane nel 1908 in Messico, in Uruguay, più tardi in Cile e Brasile. In Canada vanno dal 1920 al 1959. In Germa- nia non arrivano mai, per l’esistenza de Katholikentag, convegno nazionale dei cat- tolici, non sugli aspetti sociali.

18 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi

• Le Settimane affermano che la Chiesa ha da dire sul terreno della società, perché è nel sociale. Nell’età liberale, esprimono un rifiuto del posto assegnatole dai regimi liberali, cioè del solo culto. Le leggi sull’asse ecclesiastico sopprimono monasteri, vita religiosa, opere caritative, lo spessore sociale, lasciando solo le par- rocchie e le diocesi, sostenute dallo Stato. La Chiesa è ridotta a struttura di servizio religioso pubblico a una società che allora aveva una morale pubblica quasi coinci- dente con quella cattolica. Rifiuta uno spazio solo culturale, quasi cappellano della società civile (voluta dalla borghesia liberale anche con un’idea di riforma ecclesia- stica e spirituale). Respinge il posto di servizio civile religioso (come aveva voluto la Rivoluzione, ma anche come si era profilato nell’anglicanesimo ed è proposta di ri- duzione ricorrente della vita ecclesiale); non rinuncia allo spessore sociale della sua vita e azione. Vuole essere un popolo diverso attorno al papa e ai vescovi dentro la società italiana (“un movimento” – aveva affermato Lamennais nella crisi della Re- staurazione). Intende parlare dell’Italia e a nome dell’Italia, un paese di cui crede di conoscere il bene.

 Cattolici sociali tra liberali e socialisti

• Questa è la storia del movimento cattolico dall’Opera dei Congressi, tem- po di Leone XIII (1878-1903), fervido di idee e di azioni. Ma anche tempo del grande conflitto triangolare otto-novecentesco: borghesia, Chiesa, movimento socialista, tre poli in lotta tra loro, anche se le distanze tra l’uno e l’altro si accor- ciano o si allungano secondo le congiunture. Cattolici esterni al potere sentono la necessità di agire per un “ridestamento” – disse Toniolo a Pistoia – sul piano sociale, perché il mondo cambia, i socialisti avanzano, ci sono profonde miserie, i cuori operai e contadini si estraniano alla fede. Il professore crede – scriveva – in “una economia umana… per cui all’uomo operoso venga seguace e alleato il capi- tale”. Nel 1908, di fronte alle agitazioni agrarie dell’Emilia, Toniolo commentò: “guai a chi arriva secondo”. Si sente che l’orologio della storia è mosso da altri. Come entrare nella storia, se non si fa politica? La risposta è: con la battaglia so- ciale, più efficace di una politica peraltro preclusa dalla questione romana. To- niolo lottò per condensare le intelligenze cattoliche sugli studi sociali, perché bi- sognava ripartire dalle idee per orientare la storia nazionale. Convinto con Marx che il capitalismo moderno portasse allo sfruttamento del proletariato, Toniolo, contro Marx, riteneva che le idee non fossero sovrastrutture, ma muovessero la storia da strutture portanti. Le Settimane investono sulle idee per dar carne al- l’opposizione cattolica, per dirla con Spadolini: non solo “no” allo Stato usurpa- tore da fuori della storia. Non l’esclusiva difesa degli interessi cattolici o del papa, ma una visione di bene generale del paese. L’opposizione si fa proposta nella sto- ria sociale.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 19 Andrea Riccardi

• Il tempo dell’esordio è il confronto-scontro con l’altra Italia, laica, anticleri- cale e socialista, di cui si vede un saggio a Pistoia: “Un giorno una folla miserabile per denaro ed educazione era trascurata e lasciata nel suo basso fondo. – dice Mino- retti – Ieri presero dei sassi e li lanciarono ignobilmente contro il prof. Toniolo… Non sprezzo, non insulti contro questi poveretti, ma compassione fatta di amore e di lavoro, perché giungano a quel grado di cultura…”. Perché questa gente si estra- nia dalla Chiesa? La domanda angustia i cattolici europei da Leone XIII in poi. So- no figli di un mondo cambiato: dell’anticlericalismo borghese e di un movimento di redenzione sociale (il socialismo), più pericoloso del primo, perché allontana il popolo. La dottrina sociale mostra una Chiesa che interpreta quello che sente esse- re il bene dell’Italia. Non attraverso la politica. È la prima stagione delle Settimane, dal 1907 al 1913, con i suoi temi: azione sociale, condizione operaia, lavoro, coo- perazione, scuola, famiglia, problemi agricoli, economia, organizzazioni professio- nali, libertà civili dei cattolici. Le Settimane si aggruppano in blocchi: dal 1907 al 1913 con Pio X; dal 1920 al 1934; dal 1945 al 1970; dal 1991 ad oggi. La cadenza varia, a differenza di quella più o meno annuale dei francesi.

• La Settimana del 1907 nasce con Pio X (1903-1914), dopo lo scioglimento, nel 1904, del grande strumento dell’opposizione cattolica, l’Opera dei Congressi. Il movimento cattolico è tenuto nelle mani della Santa Sede, ma si opera la distin- zione tra azione del clero e del laicato; si promuoveva l’azione sociale ma si guarda alla politica. La Settimana, in questa strategia, raccoglie idee pensieri per cattolici dentro il paese reale, più vicini di qualche anno prima ai meccanismi politici del paese legale. È organizzata dall’Unione Popolare, diretta da Toniolo, dopo la fine dell’Opera dei Congressi. Con l’Unione elettorale, sorta per riorganizzare le forze cattoliche sul piano locale, nel 1913 si va al cosiddetto patto Gentiloni: l’appoggio, nelle prime elezioni a suffragio universale maschile, a candidati in larga parte libe- rali, che sottoscrivono sette punti a cuore alla Chiesa. Non è una proposta politica cattolica, ma un sostegno negoziato ai moderati. Per fermare i socialisti, si riduce la distanza della Chiesa dal blocco liberalgiolittiano. Due poli della lotta triangolare si accostano: cattolici e borghesia. Le Settimane finiscono nel 1913, prima della guerra. L’ultima, nel XVI cente- nario dell’Editto di Costantino, per cattolici sulla soglia della politica, ha come te- ma: Le libertà civili dei cattolici. Cosa chiedono i cattolici allo Stato? La laicità non sia laicismo, i cattolici nei corpi consultivi, le congregazioni religiose libere, la Chie- sa in libero possesso dei suoi beni, l’insegnamento libero, il matrimonio indissolubi- le… Sono storie lontane. Ma la politica della Chiesa, se così posso dire, non ha i bre- vi tempi di una legislatura o quelli, oggi brevissimi, del dibattito televisivo; corre su scansioni lunghe, forse perché non sottoposta a elezioni o sondaggi, soprattutto per- ché aderente al vissuto. Quindi tanto ritorna. Il cattolicesimo d’opposizione, rigur- gitante di iniziative sociali, con l’attenuarsi del non expedit, al crepuscolo dell’egemo-

20 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi nia liberale, con il suffragio universale che riversa le masse in politica, dichiara la sua visione per l’Italia: la ricerca del “bene comune”, interesse dei cattolici.

 La Chiesa tra prospettiva di un regime cattolico e Stato fascista

• La grande guerra, con la mobilitazione delle masse e l’esperienza del dolore, cambia la politica, dominata dalla classe dirigente liberalborghese. Don Sturzo, con la fondazione del Partito Popolare, lancia un’iniziativa politica cattolica, non con- fessionale, partito di popolo non della Chiesa, portatore di idee ed esperienze di de- cenni di opposizione in modo originale: un partito più esigente e autonomo degli accordi clerico-moderati sulla scia del Patto Gentiloni. L’arrivo tardivo dei cattolici come partito politico mostrò sì l’originalità della loro proposta, ma non salvò la va- cillante democrazia parlamentare dall’avvento del fascismo. Gli anni del fascismo (e di Pio XI) registrano un quadro inedito. Il regime oscil- la tra modello autoritario alla Salazar e totalitario: tanto mondo cattolico spera di cattolicizzarlo. La Conciliazione non è un concordato difensivo, ma anche uno strumento di conquista cattolica di un regime autoritario. Speranze e delusioni si alternano in Pio XI. A che servono le Settimane? Il presidente delle Settimane, p. Gemelli (dal 1926), usa cautela nella gestione dei temi del congresso pubblico in un regime senza dibattito libero. Nel 1929 si parla dell’autorità sociale della dottri- na della Chiesa (l’acuto p. Cordovani, Maestro dei Sacri Palazzi, discute i limiti del- l’autorità dello Stato); nel 1926 di famiglia; nel 1927 di educazione cristiana; nel 1928 di unità religiosa. Nell’anno della Conciliazione la Settimana è sull’opera di Pio XI. Come dire il bene comune, quando il regime si riserva il monopolio di esprimere la nazione?

• L’Italia del Concordato non ha bisogno delle Settimane: se ne tengono solo due nel 1933 sulla carità e nel 1934 sulla professione. C’è in mezzo la crisi del ’31 sull’Azione Cattolica. La Settimana del 1931 salta per la crisi con il fascismo. Le Set- timane poco si addicono a un clima illiberale. Il regime presenta vari profili: può es- sere considerato cattolico da chi lo vuole, guardando alla dottrina fascista e alle sue organizzazioni come prezzo da pagare al dittatore. Ma la realtà è che il regime non si fa cattolicizzare. Mussolini è più realista verso il papato e la Chiesa di buona parte dei dirigenti liberali; ma non rinuncia a imporre un’impronta totale al paese, più che nazionalista. Il regime occupa la società, educa i giovani, mobilita le masse, vuole creare un uomo nuovo. Lo si vede dopo le leggi razziste e con il culto della guerra.

• I cattolici erano stati all’opposizione di Stato e borghesia liberale, rifiutando di essere cappellani del Regno. Che spazio in un regime sempre più totale? Cercano percorsi alternativi: creare nell’Italia fascista una classe dirigente per orientare il fu-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 21 Andrea Riccardi turo. Gemelli lavora attraverso l’Università Cattolica: “Dobbiamo piuttosto pren- dere coscienza di un passato che tramonta, – dice alla Settimana del 1933 – e parte- cipare, animandolo col nostro spirito, al ciclo sociale che comincia”. Mons. Monti- ni, Sostituto della Segreteria di Stato, animatore degli universitari cattolici e fino al 1933 loro assistente (quando si deve dimettere per la sua linea religioso-educativa e antifascista), promuove i Laureati Cattolici, fucina della classe politica del dopo- guerra. Guarda al di là del fascismo, di cui auspica il superamento. Mons. Berna- reggi, presidente delle Settimane nel 1934, è assistente dei Laureati: “Non è soltan- to questione di una scuola, ma della vita stessa, che si è fatta spesso nemico del Van- gelo” – dice nell’ultima Settimana. Formazione di classi dirigenti e – naturalmente – stare in mezzo al popolo, per stare nella storia. Di fronte c’è solo un protagonista, il fascismo, che intende occupare tanto spazio sociale... Ma viene la guerra. La Chiesa rivela il suo radicamento popolare nello smarri- mento del conflitto. Essa sa che le guerre cambiano quasi più delle rivoluzioni, im- mettono masse desiderose di protagonismo. Nel “tutto è perduto con la guerra, niente è perduto con la pace” di Pio XII all’alba del conflitto, sta la consapevolezza che la vecchia Europa, con orrori e grandezze, si perderà con tante vite umane nella guerra. Nello smarrimento italiano della guerra, grandeggia la figura di Pio XII con la Chiesa. Mai, da secoli, c’è stato un rapporto così diretto tra papa, popolo e Italia: una pagina inedita di storia sociale e religiosa. Tramonta la monarchia sabauda; il papa acquista un ruolo di guida spirituale nella vita nazionale che, nonostante le polemiche, gli resta per decenni.

 Il laboratorio dei cattolici al potere

• Come ricostruire il paese? Il partito cattolico, voluto da De Gasperi e da Mon- tini, nasce – questa volta sì! – come partito della Chiesa; valorizza le energie prepara- tesi negli anni Trenta: è espressione di un protagonismo di cattolici, inedito nella storia unitaria. Si ritrova con altre presenze di partiti (e grosse talune!), ma finisce per occupare una posizione forte e centrale. Governa con alleanze, ma da posizione di forza. Si crea un blocco cattolico, di cui la Dc è espressione politica, forte di una re- te di associazioni e della cultura sociale cattolica. Le Settimane sono utili. Si susse- guono con scansione annuale dal 1945 al 1966, saltando il 1950. Nel 1968 e nel 1970 ci sono le due ultime Settimane. Dal 1945 al 1966, un solido blocco di Setti- mane ha come interlocutore la classe democristiana che costruisce lo Stato, la nuo- va economia italiana (anche a partecipazione statale), reti assistenziali in un paese che si inurba e in mondi di antica miseria toccati dalla rivoluzione del benessere. Nella prima Settimana, nel 1945, Costituzione e Costituente, si ritrova il meglio del cattolicesimo italiano pensante, da De Gasperi a La Pira, ai Laureati cattolici, ai vescovi. Infatti l’Italia democristiana ha due classi dirigenti di cattolici: quella politica

22 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi e quella episcopale, unite, ma non confuse, non sempre unanimi in tutto, ma convin- te nel sostenere l’esperienza unitaria dei cattolici in politica. Questo quadro dura fino agli anni Novanta, anche attraverso la crescita della CEI, timidamente nata nel 1952 e rafforzatasi dopo il Vaticano II. Le Settimane sono un laboratorio comune.

• Nel 1945 il dibattito è serrato. Ci sono differenze, perché ci sono idee. Il card. Dalla Costa vuole la Costituzione fondata sulle radici cristiane; La Pira, vici- no a lui, insiste però sulla persona come fondamento (ed è noto il suo ruolo alla Costituente). Afferma Ferruccio Pergolesi,: “Il nazionalismo in senso stretto, che fa della nazione lo scopo supremo e la suprema regola d’azione, deve cedere il passo a un universalismo che orienti… verso il bene supernazionale della comunità civile”. La democrazia sostituisce nazione, utilizzata con cautela dopo il fascismo. C’è la volontà di radicare la nuova Italia nell’“unità del genere umano”. È un modo di pensare l’Italia differente dal passato liberale e fascista. Le Settimane, centrate sui problemi italiani, hanno aperture al mondo, come la decolonizzazione del 1961. C’è di più: fin dal 1945, si sente la necessità di ancorare la democrazia italiana alla comunità internazionale. Per parlare dell’Italia, bisogna dire anche dove e con chi stia nel mondo. La democrazia italiana si integra nell’Occidente, entra nella Nato: malgrado le perplessità di mons. Tardini, di Dossetti e altri, i democratici cristiani, De Gasperi, Montini non hanno dubbi. La scelta dell’Europa (ardita per un cattolicesimo diffi- dente verso, più proiettato sull’idea di un’unione cattolico-latina che su paesi laici come la Francia o protestanti) vede impegnato lo stesso Pio XII, che non teme la formazione di un insieme dove i cattolici non saranno egemonici, ma accanto a lai- ci e protestanti. L’idea è che l’Italia democratica da sola non regge e si deve inserire in una realtà internazionale, che è fatta di comunità più che di azione diplomatica. Il bene comune nazionale si collega – in tale visione – al “bene comune universale”. Ne parla la Settimana del 1948 sulla comunità internazionale: è il frutto della dura lezione della guerra, e di una visione. La sovranità dello Stato va ridimensionata – dice Messineo – nella coesistenza con altri Stati e dal diritto naturale. Si auspica, nel mondo del dopoguerra, una missione per l’Europa.

• L’andamento delle Settimane è centrato sull’Italia: lavoro, vita rurale, sicu- rezza sociale, impresa, popolazione, famiglia, scuola, economia ed etica, tempo li- bero, emigrazione, mezzi di comunicazione e via dicendo. I cattolici sono al potere per la prima volta nella storia unitaria e, per così dire, orientano la storia. Ma che vuol dire fare un’Italia cattolica? La morale pubblica, per lo più, coincide con quel- la cattolica. I cattolici propongono percorsi concreti per trasformare il paese, uscire dalla miseria secolare, dare sicurezza ai lavoratori, creare un’economia dinamica e anche uno Stato imprenditore. Alla Settimana del 1949, il gesuita De Marco tiene la prolusione, partendo dalla “cosiddetta liberazione” del 1945:

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 23 Andrea Riccardi

“Quanto a liberare i popoli dal bisogno era tutt’altra questione. Una liberazio- ne di tal genere non è opera di un giorno né di un popolo solo, ma il risultato di un complesso di fattori d’ordine individuale e collettivo, privato e pubblico, nazionale e internazionale; in particolare poi per i paesi economicamente deboli e per giunta usciti… dalla guerra…”. L’Italia è vista come un cantiere privato e pubblico, nazionale e internazionale, dove i cattolici che fanno politica, pensano, operano sul terreno economico, per “liberare dal bisogno”. Le Settimane, un po’ gli stati generali, pulsano del senso di una grande impresa. È il periodo più fecondo, in cui il pensiero dei cattolici unito al senso di una responsabilità politica epocale, si sente sfidato dal movimento co- munista sul terreno del voto e della realtà sociale.

• Le Settimane sono italiane, ma anche papali. Si sente l’influenza della visione di Pio XII. Il card. Siri, presidente delle Settimane dal 1949 al 1970, sostenne: “il Comitato permanente deve essere nominato dal papa. Perché, guardi, levare le no- mine al papa significa distruggere”. In quegli anni, il papa è il punto di unità dei cattolici italiani. Di fatto non esiste la CEI. Le Settimane sono la grande assise dei cattolici italiani, fino al convegno nazionale del 1976. Hanno nel presidente il rife- rimento che collega la Santa Sede con la situazione italiana. Siri difese le Settimane con forza dopo il loro accantonamento: “siccome debbono essere guida di popoli, debbono come qualunque guida antevedere le questioni…” – ha dichiarato nel 1987. E alludendo alla politica italiana, ha detto: “sarebbe diverso il clima se le Set- timane avessero continuato… E il clima influisce sulla credibilità e sulla non credi- bilità della gente. E può sempre condizionare anche i fatti nazionali”.

• Per più di vent’anni il card. Siri ha svolto una funzione con prossimità parti- colare a Pio XII, che lo avrebbe voluto a Roma come collaboratore autorevole. Il cardinale, affiancato dal 1957 da mons. Nicodemo di Bari, ebbe forte la convinzio- ne dell’originalità cattolica: “Il mondo lo dobbiamo affrontare, non dobbiamo mi- surare il nostro comportamento sul metro di quello che ciecamente desidera”. Siri era convinto che i cattolici fossero portatori di un grande disegno per l’Italia; anche se, da realista, conosceva le forze e gli uomini. Il governo era per lui la più alta for- ma di servizio, unendo un grande disegno e il realismo delle scelte concrete. Sull’apertura a sinistra scoppiò il dibattito con Moro nel 1963. Critico sulla po- litica dei democristiani, da sempre Siri aveva rifiutato l’idea di un altro partito cat- tolico, a destra della Dc, che il partito romano avanzava dal dopoguerra. Per lui era prioritaria una volontà unitaria, non solo ecclesiale, ma politica. In un decennio, la Dc era divenuto il partito nazionale, che assommava la legittimazione cattolica, oc- cidentale, economica, popolare. Aveva guidato la più incisiva trasformazione eco- nomico-sociale del paese; viveva però il logorio del governo fatto da formule insta- bili, ma nella sostanziale continuità del gruppo dirigente. C’erano grandi e logo-

24 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi ranti problemi nel rapporto tra il disegno cattolico, le scelte di governo, l’equilibrio degli interessi particolari, l’usura del potere. Il cattolicesimo, dal secondo dopoguerra, ha fatto storia sociale e politica da protagonista, come mai. Tale storia è stata scandagliata dal dibattito politico, dalla morale, da uno sguardo teologico, dalla stampa, dalla magistratura: c’è ora, con il distacco del tempo, il grande lavoro da fare: scriverne la storia per comprendere l’impatto dei cattolici, al governo con altri, di fronte a varie opposizioni, ma al cen- tro del sistema.

 Il tempo della crisi

• La crisi e la ripresa delle Settimane sono quarant’anni di storia: la recezione del Vaticano II. Questa storia – mi diceva sempre p. Congar – non è solo vicenda del post Concilio, ma anche del ’68 e seguito, insomma dell’ultima rivoluzione eu- ropea, fallita politicamente, ma dal forte impatto antropologico. Frutto di una ge- nerazione che non ricordava la guerra, in un clima di benessere, il ’68 introdusse una spinta antigerarchica con il culto della frattura (instauratrice per dirla con de Certeau): nella Chiesa, scuola, famiglia… Una ventata di soggettivismo e di gusto della propria esperienza, portò alla critica del blocco cattolico. Tolse al partito co- munista il monopolio dell’opposizione; corrose la legittimazione della Dc, metten- do in contraddizione il suo essere partito di potere e formazione cattolica. Tanti so- no i protagonisti della vita politica: “base” è parola mitica. Non più soli i partiti e le istituzioni. In pochi anni il cattolicesimo italiano si ritrovò con un volto marcata- mente al plurale. I cattolici in diaspora? Nelle due ultime Settimane emerge l’affievolita volontà di essere presenti insieme politicamente e socialmente. Sociale diventa altra cosa: talvolta l’esperienza solidale, talvolta il politico, certo un prota- gonismo articolato e differenziato…

• Ci sono due storie da seguire: la Dc e la Chiesa. La Dc vive una progressiva delegittimazione: con l’usura del potere, la contestazione dei cattolici, le scelte a si- nistra, lo scarso entusiasmo dei giovani, l’affievolirsi del retroterra culturale e delle motivazioni. Né la Dc sa parlare al mondo post ’68. Nel 1978, alla morte di Paolo VI, grande costruttore della Dc nel dopoguerra, dopo l’assassinio di (che scuote i basamenti del sistema), il partito è ancora forte elettoralmente, ma con poco retroterra di energie, idee. Al convegno ecclesiale del 1976 si dibatté della Dc: Pietro Scoppola rivendicò il pluralismo dei cattolici; don Ruini prospettò la “laicizzazione della Dc”, pur mantenendo da parte della Chiesa un’“indicazione non vincolante”. Il partito si indebolisce finché – negli anni Novanta – smarrisce la centralità e non riesce a gestire il residuo, ancorché consistente, consenso elettorale. È la fine di un mondo sotto la pressione della società civile, dei media, di poteri

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 25 Andrea Riccardi non partitici, protagonisti poi degli anni successivi. Non più la Repubblica dei par- titi, ma di un impasto inedito tra personalità e media, tra impennate di movimenti sociali, attività di governo, formazioni politiche. Si registra l’eclissi della volontà di essere insieme dei cattolici sul terreno politico.

• Nel 1976, Paolo VI confessa a mons. Bartoletti (che lo appunta): “bisogna ri- cominciare da zero per riprendere una coerenza e una convergenza dei cattolici. Ha mostrato ancora fiducia nella possibilità del movimento cattolico, pur pronunzian- do giudizi negativi… Bisogna educare uomini (laici) che sappiano amare e servire la Chiesa”. Su questo la Chiesa si concentra. Sono gli anni di Paolo VI e di un pae- se più secolarizzato, in cui però l’eclissi del religioso, profetizzato molto presto, non ha avuto l’ampiezza prevista. Paolo VI aveva un vasto progetto di riforma ecclesiale da gestire gradualmente con la sua autorità, ma si trova con una Chiesa non solo al plurale, ma divaricante: “Ci avessero fatto lavorare in pace, avremmo cambiato profondamente la Chiesa” – diceva mons. Manziana riferendo il sentire dell’amico Montini. La Chiesa di Paolo VI sembra travolta: “Tutti poi si è sconvolti dal dila- gante fenomeno della contestazione – scrive il card. Colombo al presidente della CEI Urbani nel 1969 – e l’Episcopato italiano offre quasi l’impressione di non sa- pere che cosa dire, e di aspettare per vedere come vanno a finire le cose. Un giorno non sarà rimproverato di pavido silenzio?”.

• La presenza unitaria si smarrisce in politica e nel sociale. Politicamente un certo numero di cattolici si orienta a sinistra e, talvolta teorizza la scelta come op- zione che scaturisce dalla fede. La presenza unitaria si smarrisce anche a livello ec- clesiale: una crisi unica nella storia religiosa, niente da paragonare al periodo unita- rio. Paolo VI punta sulla costruzione di una Chiesa italiana attorno alla Conferenza Episcopale. È un lavoro lento, complesso, paziente. Ruota attorno alla prospettiva di evangelizzare il popolo italiano, “erede d’una ottima, ma un po’ stanca e consue- tudinaria formazione religiosa” – dice alla CEI nel 1978. Il papa conosceva bene il cattolicesimo italiano dagli anni Venti; aveva avuto un ruolo notevole dal 1937 co- me Sostituto (era il tramite per la Chiesa italiana); dal 1955 era stato arcivescovo di Milano. A lungo aveva riflettuto sui suoi problemi e sognato un futuro di grande rinnovamento.

• Alla fine del suo pontificato, nel 1978, salutava la CEI come speranza: “fatto singolare e magnifico che l’Assemblea dell’Episcopato Italiano per se stessa docu- menta ed illustra l’unione canonica della Chiesa in Italia”. Attorno alla CEI si svi- luppano le iniziative pastorali che danno spessore comune al cattolicesimo italiano: bisogna attrarre le pluralità perché non siano dispersione. È il primo convegno dei cattolici nel 1976 a Roma, per il presidente Poma di “importanza storica ecceziona- le”, “per la partecipazione dei rappresentanti di tutte le componenti ecclesiali”: “an-

26 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi che se in passato vi sono stati congressi e Settimane Sociali”. L’evangelizzazione, cuore della vita ecclesiale italiana, si coniuga con la “promozione umana”, espres- sione dell’Evangelii Nuntiandi, che riassume quel fascio di impegni, sociali, educa- tivi, in favore dei poveri... che i cattolici vivono, perché non hanno lasciato il terre- no sociale e dei poveri, anche se vi stanno in modo meno organizzato (e sono una grande risorsa per il paese).

• Del resto, con il Concilio, con un più marcato pluralismo politico-sociale, aleggia il dubbio se e come sia possibile la dottrina sociale: come stare insieme nella storia se non solo in una prospettiva religiosa. La Populorum progressio del 1967 col- loca la questione sociale nei rapporti tra Nord e Sud; l’Octogesima adveniens del 1971 confessa che è difficile esprimere una parola generale sui grandi problemi so- ciali, ma ammonisce sulla ideologizzazione della politica, sul marxismo. Il papa in- vita all’azione sociale, “perché dietro il velo dell’indifferenza c’è nel cuore di ogni uomo una volontà di vita fraterna e una sete di giustizia e di pace che si devono far fiorire”. In una prospettiva sociale “larga”, la CEI collega l’azione sociale all’evange- lizzazione alla ricerca di una comunicazione maggiore tra cattolici.

 Giovanni Paolo II in una Italia spaesata

• Il quadro è difficile per motivi ecclesiali e per l’instabilità politica, tempo di crisi, quando irrompe Giovanni Paolo II. Non parlerò degli ultimi tempi che, non solo per le persone viventi, poco si adattano anche a un primo giudizio storico. Il più lungo pontificato del secolo richiede, per comprenderlo, uno studio capace di abbracciare un quarto di secolo, un lungo ministero, che è davvero complesso. Non mi sono ritrovato nella lettura che ne dà un noto storico italiano, Giovanni Micco- li, In difesa della fede. La comprensione dell’eredità di Giovanni Paolo II rappresen- ta – anche solo per l’Italia – un appuntamento intellettuale e culturale decisivo. In- vece, in un mondo cangiante e sulla notizia, il rischio è archiviarlo nel revisionismo o nella pigrizia intellettuale. Da un punto di vista storico e intellettuale non capisco come i cristiani italiani, talvolta alla ricerca di antenati nella loro storia sociale del- l’altro ieri, non affrontino in modo serio il tempo di Wojtyla che è ancora l’oggi.

• Papa Wojtyla ha avuto la capacità di leggere il cattolicesimo italiano, più del- la CEI di allora che ne notava solo taluni segmenti. Non ha creduto alla fatale deca- denza del cristianesimo italiano, che molti prevedevano. Ha creduto che andasse capito qual era: un cattolicesimo di popolo, segnato da una complessità, che non vuol dire divaricazione. Le semplificazioni delle geometrie pastorali o dei piani non rendevano giustizia a un mondo non riducibile ad unum, né organizzabile geome- tricamente. Andava ravvivato e guidato con carisma. Wojtyla ha sconvolto la di-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 27 Andrea Riccardi stinzione weberiana tra carisma e ufficio, unendoli entrambi con originalità. Il suo è stato un governo carismatico, creatore di unità nella complessità. Il cattolicesimo si esprimeva in modo plurale: era frutto del post Concilio o di una ventata di sog- gettivismo, ma anche di stratificazioni storiche, spirituali e pastorali, di differenze tra Nord e Sud. Bisognava ravvivare il gusto di una storia da scrivere insieme e con gli italiani. Per papa Wojtyla il cattolicesimo non andava razionalizzato, magari per corri- spondere a un modello: è cattolicesimo vero, ma plurimo, quello italiano. Per lui, era rispetto convinto di una stratificazione di vissuti, di opera dello Spirito, di sto- ria di santità. Lontano dall’idea del piano, Wojtyla vedeva un cristianesimo di po- polo orientato a comunicare il Vangelo. Non rinunciava al mondo dei santuari e al- la pietà, piuttosto accantonati nella pastorale postconciliare. Ma ha attenzione alla cultura. Il papa, amico degli intellettuali, è sensibile a un cristianesimo di popolo, quello dei santuari, della vita parrocchiale, quello, così diverso tra loro, dei movi- menti e delle nuove comunità, che inserisce nella Chiesa italiana con dignità. Nes- suno di questi segmenti deve essere lasciato cadere perché costituisce una strada per la fede stessa. In questa realtà plurima il papa vedeva il frutto dell’azione dello Spi- rito, fede del popolo, santità e iniziative carismatiche. Sentiva la grande storia che pulsava in questo mondo. C’era storia spirituale da respirare nei santuari, nel con- tatto con la gente, nel ritessere il senso di una vasta comunità di popolo cristiano. Il suo genio non è razionalizzare, ma guidare la complessità, la realtà di un popolo dalla storia cristiana bimillenaria. In questo è genio molto contemporaneo, ma dal sentire antico. Il Concilio, per lui, è sorgente di uno slancio di un popolo che evangelizza. A tutti i livelli, ribadisce il primato del credere e dell’evangelizzare; ma è convinto che abbia una ricaduta profonda sulla vita sociale. In questo non ha il pudore del catto- licesimo italiano, vissuto da ospite nello Stato liberale. Ludovico Montini una volta mi disse: “è combattendo nella prima guerra mondiale che ci siamo guadagnati il nostro essere italiani”. Wojtyla non ha questi problemi. È un polacco che si sente vescovo italiano. Non ha le perplessità del cattolicesimo postconciliare che fetida distinzioni e sente il lungo governo della Dc come un peso. Ben profonda e prova- ta è, per lui, la presenza del cristianesimo nella storia nazionale. Non sente il fascino o la vocazione della minoranza, anche se non pretende l’egemonia.

• A Loreto, nel 1985, Giovanni Paolo II spiega ai cattolici: “Anche in una so- cietà pluralistica e parzialmente secolarizzata, la Chiesa è chiamata a operare, con umile coraggio e piena fiducia nel Signore, affinché la fede cristiana abbia o ricupe- ri, un ruolo-guida e un’efficacia trainante…”. La fede vissuta del popolo cristiano deve avere un ruolo guida in un paese che il papa non considera totalmente secola- rizzato, anzi in buona parte cristiano, ma a rischio di fratture a partire dal soggetti- vismo. Un ruolo-guida nella storia, che viene da lontano: “tutta la sua storia e la sua

28 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi cultura sono impregnate di cristianesimo e intimamente intrecciate col cammino della Chiesa a partire dai tempi apostolici”. Il papa parla di “ricchezza di carismi”: “grande varietà e vivacità di aggregazioni e movimenti, soprattutto laicali, che ca- ratterizza l’attuale periodo postconciliare”. Dice: “a tal riguardo mi piace ricordare l’antica e significativa tradizione di impegno sociale e politico dei cattolici”. Con- clude: “questo insegnamento della storia circa al presenza e l’impegno dei cattolici non va dimenticato…”. In questa visione rinascono le Settimane auspicate a Lore- to. Si ricomincia nell’anno della Centesimus annus, quando il papa rilancia la dottri- na sociale. Parte anche il progetto culturale che, paradossalmente, si collega a un cristianesimo di popolo, cioè a un cristianesimo che non ha rinunciato a pensare e a parlare con gli altri. Illustra bene questa prospettiva in cui fu impegnato, la figura di mons. Naro, intellettuale ed estimatore di un cattolicesimo di popolo, attento al- la questione sociale e a quella antropologica.

• Wojtyla – lo si voglia accettare o no – ha un’idea d’Italia. Di fronte a un pae- se che rischia di frammentarsi e che cerca nuovi equilibri politici senza trovarli ne- gli anni Novanta, il papa ha un’idea d’Italia. Considera, ad esempio, il Mezzogior- no e quella che Pietro Borzomati ha chiamato la questione meridionale ecclesiale: conosce le risorse del Sud religioso in un cattolicesimo che ha più pensato al Nord. Risponde (da papa) alla questione soggiacente (inespressa per timore) alle tante do- mande che ci poniamo sul futuro, come scrive Lucio Caracciolo: “a che serve l’Italia?”. Chiede infatti ai partecipanti alla Settimana del 1991: “Qual è il progetto di Dio sulla nostra storia? Sulla storia di questa nuova Europa che si va faticosa- mente ridefinendo? Su quest’Italia in Europa?”.

• L’idea sull’Italia si esplicita nel 1994 quando, in un periodo di crisi, propone una “grande preghiera per l’Italia e con l’Italia”. Allora considera “valutazione erra- ta” affermare che “una forza di ispirazione cristiana avrebbe cessato di essere neces- saria”. Tre sono le eredità qualificanti il paese: la fede, la cultura e l’unità (anche di quest’ultima si sente difensore intransigente). L’Italia democratica ha un servizio cristiano e umano all’Europa e al mondo. Afferma: “Sono convinto che l’Italia co- me nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono anche dallo sfondo della negazione del cristianesimo”. Queste idee non facevano l’unanimità dei cattolici italiani. Il suo non è stato un pontificato esente da critiche, anche se oggi lo si dimentica con la logica (già vista con gli ultimi quattro papi almeno) di esaltare il papa morto per criticare il vivo. Va detto che, però, Giovanni Paolo II ebbe anche la capacità di coinvolgere (non sem- pre convincere) tanti con la simpatia verso gli uomini e la sincerità comunicativa del suo credere, divenendo un grande leader nazionale. La sua è una pastoralità da capire. Credeva – citando Pertini – che “la Chiesa possa fare molto di più di quan-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 29 Andrea Riccardi to si ritiene generalmente. Essa è una grande forza sociale che unisce gli abitanti dell’Italia, dal nord al sud. Una forza che ha superato la prova della storia”. La do- manda è ancora aperta. Forse bisognerebbe avere il coraggio non solo di dire tante cose al nostro paese, ma di provare a dire cos’è l’Italia, cos’è in Europa, cos’è nel mondo. Non è l’idea di cui ha bisogno un paese che sbanda nella vertigine della globalizzazione? Certo richiede una concentrazione di intelligenze… Aveva ragione Toniolo: spesso le idee muovono la storia. Ma talvolta è più facile agire insieme, che pensare assieme.

 Senza conclusione

• Riflettendo su cent’anni, lo storico vede anche il radicamento cattolico nel mondo meno noto della preghiera, dei santuari, della liturgia: non isolandosi da questo mondo i cattolici fanno storia sociale, ma la loro originalità, concretezza e tenacia, si radicano in tale realtà spirituale che poco lo storico sa narrare e quasi niente il cronista. La storia spirituale si intreccia con quella sociale. Storia spiritua- le, storia sociale, storia della carità… attraversano generazioni e luoghi del paese, e ne hanno modellato la geografia e l’identità. Cento anni di storia mostrano che i cattolici non sono da soli l’Italia e né hanno il monopolio del futuro: tutt’altro, ma rappresentano una risorsa importante per tutti e per pensarne il futuro. Hanno sa- puto dire al paese parole importanti nelle ore di smarrimento. Penso a Pio XII nel 1943, a Paolo VI nel 1978 con la morte di Moro. Da un così ricco vissuto, emerge una parola importante per il paese che, tra smarrimenti e ripiegamenti, è entrato nella vertigine della globalizzazione, dove il confronto con i giganti della storia, quelli asiatici, o con le scosse di un mondo con- fuso, fa indulgere a rassicurarsi e difendersi sul particolare perimetro che si possie- de. Ma se non si accetta la sfida, ci si rattrappisce come paese (dal livello intellettua- le a quello imprenditoriale), ci si taglia fuori dal futuro, che è non solo storia italia- na, ma storia del mondo. Questo vale per l’economia, ma anche per la politica e la cultura. Va detto allora che cosa dev’essere il nostro paese nel mondo e di fronte a se stesso, al di là delle quotidiane trovate della politica.

• Il convegno di Verona ha parlato di speranza. Vanno tracciate figure e percor- si di speranza per i cristiani e anche gli italiani. Raramente sono gli intellettuali a indicarli nella Chiesa. Talvolta i pastori. Spesso i santi. O i martiri. Ho in mente pa- dre Puglisi, martire di una carità pastorale, che, da prete, scosse tanto il sociale drammatico del quartiere Brancaccio da essere condannato a morte. C’è un bene, non proprio, per cui si può morire. O penso a Vittorio Bachelet, ucciso nel 1980, perché la sua presenza mite e forte appariva minacciosa a un pensiero folle, che pur amava citare Santa Caterina da Siena (“se sarete quello che dovete essere metterete fuoco all’Italia”).

30 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi

Con serena semplicità, afferma Benedetto XVI nella Deus caritas est: “la forza del cristianesimo si espande ben oltre le frontiere del cristianesimo”. Cent’anni di cristianesimo italiano nella società, con la sua grandezza e le sue fragilità, sono una forza che va oltre le sue frontiere e scrive la storia: nel locale e nel regionale, tra la gente, i poveri, nel governo del paese, nell’intraprendere iniziative... Cent’anni di storia sociale, spirituale, di carità, nel loro intreccio, dicono al paese – ed è anche una lezione umana e storica – che non si può vivere per se stessi, chiusi in se stessi, solo per proteggersi (come paese, categoria, individui), ma pensare agli altri, intra- prendere per loro, amarli, governali, aiutarli, servirli, guidarli, educarli, accompa- gnarli (e tanto altro…). Sono un modo di stare nella storia. Lo storico lo vede. Il contemporaneo lo percepisce. Questo vuol dire vivere il futuro e la speranza, non sopravvivere in una specie di autismo sociale. Non è solo una lezione per un indivi- duo, per una comunità cristiana, ma un segreto umano. Alla fine è anche l’anima per un paese.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 31

Dieci tesi sui cattolici in politica

MAURO MAGATTI In questo contributo presenterò dieci tesi sul rapporto tra cattolici e politica nell’attuale fase storica. Università Cattolica La scelta di un tale registro comunicativo esprime il del Sacro Cuore tentativo di reagire al disorientamento e allo scoraggia- di Milano mento alimentati dal degrado del sistema politico ita- liano. Di fronte ad una tale situazione credo sia giusto accettare di correre qualche rischio, provando a smuo- vere un po’ le acque e a stanare il dibattito dalle tante rigidità e timidezze che lo caratterizzano. Ovviamente, una tale scelta non è priva di conseguen- ze: procedendo per punti, l’esposizione potrà risultare schematica e, in diversi passaggi, forse addirittura ri- duttiva, anche se credo non semplicistica. ≈ La speranza è che il saldo finale possa comunque essere positivo, contribuendo ad una riflessione che è di “La speranza è che …prenda grande importanza per il mondo cattolico e per l’inte- corso una ro paese. riflessione… di grande importanza per il mondo cattolico  L’epoca democristiana e per l’intero paese” • La prima tesi afferma che, nella storia dell’unità d’Ita- ≈ lia, l’epoca democristiana rimane tra le più positive. Al di là dei fattori esterni, al di fuori della sfera di azione e di re- sponsabilità del governo nazionale, i successi ottenuti nel secondo dopoguerra nello sviluppo economico e nell’inte- grazione sociale sono stati possibili grazie alla capacità della Dc di esprimere una guida politica in grado di interpretare il paese nelle sue profondità. Tale capacità è probabilmente da ricondurre al fatto che l’Italia è un paese che ha nelle sue fibre costitutive un rapporto speciale con la tradizione cat- tolica.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 33 Mauro Magatti

 La fine della Dc

• La seconda tesi ha a che fare con quella che si può chiamare “la fine inglorio- sa” dell’esperienza storica del partito dei cattolici. Parlo di “fine ingloriosa” perché, a partire dagli anni ’70, e poi per poi tutti gli anni ’80, la Dc ha progressivamente smarrito i valori ideali e le tecniche politiche che avevano caratterizzato la sua azio- ne nei due decenni precedenti. Non è il caso qui di approfondire le ragioni di tale degrado. Nei limiti di quanto intendo sostenere è sufficiente sottolineare che, ridu- cendosi in un partito correntizio e spartitorio, sempre più in difficoltà nel far fron- te alle sfide che le venivano portate dal Pci e dal Psi, la Dc ha finito per compro- mettere la sua stessa eredità storica.

 I mutamenti nel sistema politico

• Proprio perché l’epoca democristiana si è interrotta in modo brusco e trau- matico, non ci si può stupire che la fine della Dc abbia dato vita a due raggruppa- menti – confluiti progressivamente in quello che oggi chiamiamo centro destra e centro sinistra – profondamente segnati da venature anticattoliche. Da un lato, in Forza Italia e nella Lega Nord – oltre che in settori di An – la di- stanza dal mondo cattolico è stata sempre evidente, pur senza che questo abbia im- pedito a questi partiti di appropriarsi di temi cari ai cattolici, piegandoli ad un uso strumentale e conservatore. Dall’altro lato, sia Rifondazione Comunista sia il Pds – poi Ds – hanno mante- nuto un atteggiamento opportunista nei confronti del mondo cattolico, considera- to un alleato minore da tollerare e, in definitiva, da egemonizzare. In entrambi gli schieramenti, la posizione dei cattolici è stata marginale. A causa della negativa eredità storica lasciata dalla Dc e dal sistema elettorale che si è venuto a formare nei primi anni ’90, l’unità politica dei cattolici è uscita di scena, lasciando così campo libero a ripetuti tentativi di strumentalizzazione: nel caso del centro sini- stra, la scelta di un leader cattolico – con un potere reale sempre piuttosto limitato – è stato visto come il costo minore da pagare per arrivare a vincere le elezioni; mentre nel centro destra è prevalso il ricorso allo scambio politico: l’offerta di benefici eco- nomici in cambio di un assenso indispensabile per governare.

 Fragilità politica e sviluppo

• L’Italia è un paese complesso, con tante differenze e tanti particolarismi. So- prattutto è un paese che fa un’enorme fatica a trovare un baricentro in grado di te- nerla insieme e di permetterle di svilupparsi. Per questa ragione, in un’epoca che

34 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Mauro Magatti strutturalmente tende a produrre frammentazione, il paese sembra accusare tante difficoltà: il rischio è che una tale fragilità sia la causa prima di una progressiva per- dita di capacità di tenere il passo dello sviluppo. Nella fase che stiamo attraversando, la questione politica centrale per l’Italia mi sembra proprio questa: come è possibile costruire un assetto politico che sia capace di interpretare il paese, dandogli quel baricentro che non ha più ormai da così tan- to tempo? Rispetto ad un mondo socialmente e istituzionalmente molto articolato, sareb- be una forzatura sostenere semplicisticamente che “il paese era e rimane cattolico”. Le cose sono molto più complicate, anche perché la stessa base ecclesiale è messa a dura prova da un tempo così tumultuoso come quello che stiamo vivendo. Molte ricerche parlano di un mondo cattolico che presenta tante crepe e che fa- tica a tenere insieme la sua ricca articolazione interna. Tanto che parlare di mondo cattolico appare per alcuni un’astrazione, visto che con questo termine si intendo- no realtà molto differenti. Eppure, rimane il fatto che il mondo cattolico è la principale realtà organizzata del paese, con un radicamento e una vitalità sorprendenti. E ciò da almeno due punti di vista. In primo luogo, il mondo cattolico è di gran lunga la principale organizzazione per quanto riguarda la capacità di sostenere e dar vita a esperienze e attività in am- bito sociale, culturale, assistenziale, cooperativo. Con la trama dei suoi movimenti, associazioni, gruppi, la Chiesa Cattolica contribuisce in modo straordinario alla vi- ta del paese, in tantissime delle sue manifestazioni. In secondo luogo, in un momento nel quale sembrano venir meno i riferimen- ti collettivi, l’autorevolezza della Chiesa Cattolica rimane elevata. Nonostante tut- to, la Chiesa è ancora oggi un’agenzia che costituisce un riferimento spirituale per l’intero paese. Per queste ragioni, se è vero che oggi non esistono le condizioni per un governo dei cattolici, si può altresì affermare che non è possibile governare l’Italia senza fare seriamente i conti con questa variegata realtà. Tale affermazione è vera non solo e non tanto dal punto di vista elettorale o parlamentare, quanto piuttosto per il radicamento sociale che qualunque azione politica che intenda avere successo deve avere.

 Le componenti anticattoliche

• A me sembra che, negli ultimi 15 anni, le componenti anticattoliche presen- ti nelle élites politiche del nostro paese abbiano cercato di scalzare tale presenza. Progetto legittimo, ma che – a quindici anni di distanza – deve essere valutato alla luce dei suoi risultati, che sono deludenti se non negativi.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 35 Mauro Magatti

Le ragioni di tale fallimento sono molteplici e non intendo qui analizzarle. Ma credo che una delle ragioni di fondo abbia a che fare con il tema che sto trattando: nate da una reazione ai cinquantenni democristiani, le élites che hanno dominato il sistema politico negli ultimi 15 anni non erano nelle condizioni di interpretare il vero sentire del paese. Il che ha ulteriormente aggravato la crisi di legittimazione del sistema politico-istituzionale, che si è avvitato su se stesso, finendo per diventa- re l’artefice di decisioni astratte e spesso assai poco pertinenti con i reali bisogni del paese.

 Mondo cattolico strumentalizzato

• La situazione che si è venuta a creare all’inizio degli anni ’90 perdura dunque ancora oggi: nella difficile fase che stiamo attraversando, sia il centro destra sia il centro sinistra continuano a mostrare un atteggiamento strumentale nei confronti del mondo cattolico. Il nuovo Pd è su una promessa non mantenuta: l’intento dichiarato era quello di far nascere qualcosa di nuovo proprio sulla base della sintesi innovativa tra le principali culture politiche coinvolte nel progetto: da un lato la sinistra erede del- la storia del Pci e dall’altro quella parte di mondo cattolico che da sempre è sensibi- le ai temi sociali. L’obiettivo era ambizioso: far nascere un nuovo grande partito po- polare in grado di interpretare l’asse più avanzato del paese. Ma i fatti non sembra- no seguire le intenzioni: nessun lavoro serio di composizione di queste due tradi- zioni è stato fatto e il Pd è nato come una strana combinazione: ad un primo livel- lo, come incontro tra Ds e Margherita, intese come organizzazioni partitiche in senso stretto; e ad un secondo livello, come mera aggregazione attorno ad un leader – Veltroni – investito mediante una votazione tanto carica dal punto di vista comu- nicativo e simbolico quanto debole dal punto di vista delle indicazioni progettuali e identitarie. Nel centro destra, i cattolici rimangono sostanzialmente confinati nell’Udc o comunque minoranze guardate con sospetto negli altri partiti. Al di là delle dichia- razioni, essi appaiono incapaci di costituire il baricentro dell’intera coalizione, su- bendo così pesantemente le incursioni degli alleati su tutti i principali temi.

 Riflessi elettorali

• Dal punto di vista elettorale, la diaspora dei cattolici – che votano ormai per tutti i partiti: dalla Fiamma Tricolore a Rifondazione Comunista – è nota. Il voto cattolico è diviso e pesa in entrambi gli schieramenti, anche se non riesce ad incide- re in maniera significativa su nessuno dei due. Si ottiene così un risultato parados-

36 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Mauro Magatti sale: il mondo cattolico, pur se infragilito e ridotto, nella sua ricca articolazione co- stituisce ancora oggi il principale soggetto socio-culturale del paese. Ma per come oggi funziona il sistema politico esso non riesce a influenzare in modo significativo il processo di decisione politico. In questo modo, il paese rimane vittima di classi dirigenti che hanno un retroterra culturale limitato e in qualche caso così parziale da provocare, con le loro iniziative, dei continui collassi al paese, che rimane così privo di una guida politica autorevole. Pur senza commettere l’errore di sopravvalutare un evento singolo, la manife- stazione che si è svolta a Roma sulla famiglia qualche mese fa è un buon indicatore preciso di quale sia oggi la sproporzione tra la rilevanza culturale del mondo catto- lico e la sua capacità di orientare la decisione politica.

 Che fare, dunque?

• Per tentare di rispondere a tale interrogativo è necessario cominciare con l’escludere alcune soluzioni. Primo: non si può pensare di ricostituire una nuova Dc. Nella storia le cose non ritornano mai allo stesso modo. Tanto più che oggi mancano moltissime condizio- ni sia interne sia esterne. Interne, perché le condizioni politico-istituzionali rendo- no impraticabile questa soluzione. Ed esterne, perché sul piano internazionale ciò configurerebbe una anomalia difficile poi da gestire. Secondo: ugualmente improbabile è pensare al riassorbimento all’interno di un unico polo dell’intero mondo cattolico. Ciò mi sembra molto improbabile non so- lo per lo stato in cui versa il mondo cattolico – con una articolazione che rendereb- be rischiosa una forzatura unitaria – ma anche per la natura del sistema bipolare: schiacciarsi su una parte potrebbe essere, per una confessione religiosa, molto peri- coloso. La terza via è la più ovvia e consiste nel partecipare con impegno e passione alla costruzione dei due poli, cercando di far filtrare gli elementi che appartengono alla cultura cattolica all’interno dei due raggruppamenti. L’obiettivo è difficile, anche se non si può escludere a priori che sia possibile ottenere qualche risultato apprezzabi- le. Si potrebbe dire così: se la Dc avesse chiuso gloriosamente il suo ciclo storico, oggi avremmo due schieramenti (uno di Cd e uno di Cs) distinti ma entrambi ca- paci di stare in relazione (nel senso di capaci di tenere seriamente conto) con la cul- tura cattolica. Riuscire a ottenere un tale risultato oggi, a partire dai rapporti di for- za esistenti, è assai difficile, dato che le questioni aperte sono molte. Per uscire dal generico: nel nascente Pd, il nodo più grosso riguarda la deriva libertaria e mera- mente tecnocratica che sembra prevalere in ciò che resta nel movimento socialista. Di fronte alle lezioni del XX secolo, questa tradizione appare frastornata e fatal- mente attratta dal tema delle differenze e della difesa dei diritti individuali, che si

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 37 Mauro Magatti combina con il fascino “progressista” del cambiamento tecnologico acriticamente preso. Temi importanti, ma che spesso sono vissuti in modo fortemente ideologiz- zato. Quando tali sensibilità prevalgono, la collaborazione con il mondo cattolico diventa assai difficile. Nella destra, invece i principali problemi vengono dalle derive populiste, plebi- scitarie e xenofobe, oltre che dalla leggerezza con cui si affrontano i temi che riguar- dano la giustizia sociale e il lavoro. Quando a prevalere sono le visioni più radicali, anche in questo caso, la collaborazione diviene pressoché impossibile.

 La portata delle sfide

• Se si guarda con realismo la situazione, occorre riconoscere che l’impegno dei cattolici nella costruzione di un nuovo centro destra e di un nuovo centro sinistra – per quanto indispensabile – non basta. La ragione sta nel fatto che l’assetto che il sistema politico italiano ha assunto nei primi anni ’90 mostra sempre di più la sua inadeguatezza. Sia dal punto di vista istituzionale – dato che le regole del gioco non funzionano e impediscono un’ade- guata azione di governo – sia dal punto di vista culturale – il paese (e con lui le sue élites) non mi pare sia ancora riuscito a elaborare in modo adeguato la portata delle sfide che questo tempo sta ponendo, e tanto meno le risposte che è necessario met- tere in campo. Nessuno può pensare di avere la ricetta in tasca. Proprio per questo, contraria- mente a quello che di solito si crede, la politica – se non vuole ridursi a mera tecni- ca – ha bisogno prima di tutto di ascoltare. I grandi passaggi storici degli ultimi decenni – si pensi alla America di Reagan o di Clinton, all’Inghilterra di Blair, alla Spagna di Aznar – sono stati caratterizzati dall’affermazione di un gruppo dirigente che ha saputo unire indubbie doti di azio- ne politica (nella creazione del consenso e nella deliberazione politica) con una straordinaria capacità di “intonare” il proprio paese nelle sue qualità e attitudini più autentiche. Quello che la Dc era riuscita a fare nel dopoguerra in Italia. Ma il presupposto per riuscire a trovare questa “intonazione” è quello di dedi- care tempo, energie, risorse a comprendere in profondità quello che sta accadendo in modo da arrivare a definire un progetto in grado di dare un equilibrio al paese, condizione necessaria per una nuova fase di crescita. Sono convinto che, per quanto riguarda l’Italia, una tale attitudine la può svi- luppare più di ogni altra realtà proprio il mondo cattolico. Ma perché ciò possa ac- cadere occorre credere ad un tale progetto e creare le condizioni per realizzarlo. L’obiettivo di un tale sforzo non dovrebbe essere quello di creare le basi per un nuovo partito dei cattolici, quanto piuttosto quello di convocare le realtà del mondo cattolico, portandole a prendere parte all’elaborazione di una nuova visione politica.

38 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Mauro Magatti

Lo sbocco strettamente politico di un tale lavoro dovrebbe, in prima battuta, essere lasciato aperto. Anche perché i movimenti del quadro politico – a partire dal- la riforma elettorale – modificheranno ulteriormente le regole del gioco. E rimane a tutt’oggi difficile – forse impossibile – capire quali saranno gli assetti futuri. Lavorare per costruire un progetto di questo tipo non è affatto accademia. Si tratta invece di creare le condizioni per una capacità di proposta che potrà trovare poi diverse strade per esprimersi, via via che le diverse variabili della scena – legge elettorale, alleanza, leadership – si andranno a dipanare. Si tratta insomma di pre- pararsi ad un appuntamento storico, piuttosto che correre dietro alle continue sol- lecitazioni dell’emergenza. Significa guadagnare, non perdere, tempo. Se le cose andassero bene, nel momento in cui il paese si porrà decisamente alla ricerca di un progetto, ci sarà qualcuno che glielo potrà dare. Se non ci sarà bisogno di questo, un risultato minimale – tutt’altro che disprezzabile – sarà stato quello di aver contributo a creare le premesse per dar vita a qualche forma di coordinamento dei parlamentari cattolici presenti nei diversi schieramenti, in grado di fissare alcu- ni paletti all’azione di governo, rendendo impraticabili alcune politiche e soprat- tutto indicando alcune priorità.

 L’Italia e l’Europa

• L’ultima tesi riguarda la relazione tra Italia e Europa. Il discorso che abbiamo qui svolto vale per il nostro paese. Ma non ha più senso oggi pensare il caso italiano al di fuori del contesto europeo. Nel secondo dopoguerra, l’ideale di un’unità euro- pea fu uno dei grandi progetti a cui partecipò come protagonista proprio la cultura politica cattolica. Forse, una delle ragioni dello smarrimento che oggi l’Unione Eu- ropea registra è aver deciso di recidere quelle radici. Pensare ad una rinnovata stagione di impegno dei cattolici italiani in politica si- gnifica lavorare in una prospettiva europea. Il laboratorio italiano da questo punto di vista potrebbe essere assai prezioso per delineare e sperimentare soluzioni ed equilibri nuovi, da estendere poi all’intero continente. E ancor più che la vicenda italiana, quella europea ha bisogno prima di tutto di pensiero, di visione, di imma- ginazione.

• Per concludere, mi sembra che non esistano scorciatoie. Il tempo che viviamo è difficile e la sfida è portata ad un livello molto alto. Ma non si può fare a meno di raccoglierla. E d’altra parte, questo è esattamente quello che, prima di noi, hanno già fatto i nostri predecessori, che tanto ammiriamo e ri- cordiamo.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 39

Inquietudine e prospettive per il tempo presente

SAVINO PEZZOTTA Ci sono giorni che, nell’osservare le vicende politiche del nostro Paese, veniamo presi da una sorta di inquie- Presidente di tudine interiore che non riusciamo a rasserenare o a “Officina 2007” placare. Di fronte alla complessità dei problemi che giorno dopo giorno appesantiscono la situazione e mutano le condizioni di vita, di lavoro, di relazione delle persone, desidereremmo vedere in campo propo- ste rigorose per rivitalizzare un tessuto socio-politico che continua a lacerarsi, di cui le vicende dei rifiuti di Napoli non sono altro che una raffigurazione dram- matica e paradossale dei nostri mali. Ci crogioliamo sui pochi dati economici positivi e ci lasciamo trasci- ≈ nare in dibattiti politici un poco vuoti ed evanescenti. Certo, non tutto va male e nel paese esistono persone “… quello che che lavorano, producono e creano. Anche quando con- occorre capire è se i cattolici si sumiamo i lauti cenoni di natale e fine anno, abbiamo posizionano in dentro di noi la sensazione di un malessere che non difesa oppure, riusciamo a spiegare. È l’insoddisfazione per come come io ritengo vanno le cose. opportuno, si attrezzano a pensare  Eppure avevamo sperato tanto politicamente ai problemi che stanno irrompen- • C’è stato un periodo di speranza all’inizio degli anni do nella vita ’90, dopo la fine di tangentopoli e l’avvio di quella che im- sociale e propriamente ma simbolicamente avevamo chiamato secon- contribuiscono a costruire la città da repubblica. Oggi manca il coraggio di dire che siamo stati dell’uomo in delusi perché il nuovo che doveva nascere in realtà non è mai questa nuova nato. Abbiamo continuato con i nostri molti vizi e poche situazione” virtù, non abbiamo visto realizzare le tanto promesse riforme ≈ e tantomeno crescere un nuovo modo di essere della politica centrato su un rinnovato rapporto tra cittadini, istituzioni e dirigenza politica.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 41 Savino Pezzotta

• Non è stato cosi! E il buon De Rita ci descrive come siamo immersi nella pol- tiglia. A questo punto ci saremmo aspettati un atto di sincerità che dichiarasse con semplicità e senza clamori che la seconda repubblica è morta prima ancora che co- minciasse a vivere. Catastrofismo o realismo? Scegliete voi, ma così non si può an- dare avanti a lungo. Non basta rassegnarsi all’evidenza delle cose, costatare che sia- mo agli ultimi posti in Europa, che il nostro debito pubblico non si riduce come dovrebbe, che il mezzogiorno rimane invischiato nei suoi problemi, che i nostri giovani sembrano perdere tensione. Bisognerebbe mettere in campo un’analisi im- pietosa sui mali d’Italia, della politica italiana e sulle responsabilità dei gruppi diri- genti. E neppure basta che una mattina si cambino i simboli e i nomi dei partiti per dire che il nuovo avanza quando a produrre questi mutamenti sono sempre quelli di prima. Non mi convincono nemmeno quelli che predicano i ricambi generazio- nali, soprattutto se a pontificare sono persone anagraficamente quasi giovani ma da molto tempo sulle accidentate rotte della nostra politica. Non credo nemmeno alle virtù palingenetiche degli uomini nuovi, anche perché, a ben vedere, sono sempre le stesse facce.

Presentate le mie geremiadi, posso quindi con libertà dire che è tempo di met- tersi all’opera per contribuire a far germinare processi ricostruttivi in grado di resi- stere al crescere di una tentazione, la stessa che tiene lontana molti giovani dall’im- pegno politico, che li spinge a rifluire nel “privato”, a rifugiarsi nella dimensione “sociale” o “ludica”. Si cercano altrove le soddisfazioni, le passioni e le emozioni che il politico non sembra essere in grado di dare. Quando la politica non è più in gra- do di emozionare e suscitare tensioni emotive significa che si è entrati in un cono d’ombra e che bisogna uscirne in fretta.

 Voglia di recupero e di buona politica

• Queste riflessioni potrebbero essere interpretate espressione di una visione pessimistica che tende a giustificare il disimpegno. Non è così. Sono infatti convin- to che esistano dentro la nostra società, nel nostro Paese e nella politica stessa, per- sone e luoghi che manifestano una grande capacità di recupero e una grande voglia – che a volte si esprime in forme e modi radicali o beffardi – di una buona politica, per la quale soffrire, rischiare, gioire e condividere.

Sono convinto che oggi ci sia ancora la possibilità di salvare il politico tanto ne- cessario al Paese: è dalle difficoltà che germina la voglia di riscatto, di cambiamen- to. Nei sussulti della cosiddetta antipolitica s’avverte l’anelito di una prassi che fac- cia dell’impegno politico il terreno su cui far crescere le virtù civili.

42 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Savino Pezzotta

• È arrivato il tempo di liberarsi dai condizionamenti, dagli interessi di parte e personali per cercare di uscire da questa situazione confusa in cui la nebulosità sem- bra essere lo strumento più utilizzato per mantenere o consolidare il consenso. Non è un caso che ci si rivolga in modo impreciso e indistinto a tutti, evitando di offrire argomenti e proposte coerenti. Si potrebbe sospettare che questo metodo basato sull’indistinto e sulla sommatoria dei contenuti, sia praticato soprattutto dai partiti maggiori per tenere aperte più possibilità di alleanze e di convergenze. Altro che te- mere l’improbabile ricomparsa della politica dei due forni! Sarebbe molto più coe- rente, unificante e tonificante che ciascuno dei contendenti si presentasse con chia- re posizioni programmatiche, ma soprattutto indicasse le priorità che intende per- seguire con relative forme, modi, tempi e risorse. Non basta affermare la vocazione maggioritaria – che per altro non può che essere propria di tutti coloro che concor- rono e nemmeno pensata come esclusività del duopolio – se non è accompagnata dalla chiarezza dei punti programmatici, l’esplicitazione delle alleanze e del tipo di rapporto che si intende instaurare con le organizzazioni sociali.

 Valori ed etica della politica

• Quello che conta è uscire da questa situazione e dare prova che la politica non è un gioco di uomini scaltri interessati esclusivamente a vincere e a prendere il potere, ma che è soprattutto un impegno teso a riscattare ruolo, valori e dimensio- ne etica dell’agire pubblico. È sempre più necessario dimostrare che lo stare in cam- po non risponde ad interessi particolari e affermare, in declinazioni concrete e pra- tiche, i valori nei quali l’uomo si realizza in tutta la sua interezza.

È qui, su questo terreno che da cattolici siamo chiamati ad esserci. Non preten- diamo di essere in primo piano o di possedere ricette miracolose, ma per noi il termi- ne “uomo” ha una valenza significativa e orientativa poiché lo vediamo nel suo rap- porto di origine e di fine con Dio. Nemmeno intendiamo per questo esprimere un tratto di superiorità ma, al contrario, vogliamo esercitare un servizio aperto al con- fronto e al dialogo con tutti, per ricercare, nella consapevolezza dell’appartenenza, un comune impegno per valorizzare tutto l’uomo nella sua integrità, libertà e dignità.

 La questione antropologica

• Si pone in quest’ambito la questione antropologica che sarà dirimente nel delineare il futuro del dibattito politico e delle scelte conseguenti. C’è ancora anche nel nostro mondo, una sorta di inconscio timore ad entrare su questo terreno e a farlo oggetto di pensiero politico. Restiamo troppo legati alla questione sociale e al- le problematiche socio-economiche e fatichiamo a comprendere che sono ormai

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 43 Savino Pezzotta diventate parte di una questione più profonda che riguarda l’idea di uomo e di per- sona per la quale lavora la politica. Credo che ci sia l’urgenza di capire perché l’uomo del nostro tempo fatichi a definirsi e viva in una sorta di smarrimento di sé che lo costringe a rifugiarsi in un individualismo libertario che trasforma la società in moltitudine in cui gli uomini si muovono come monadi.

• L’intreccio sempre più evidente tra questione sociale e antropologica è dun- que già davanti a noi ed è sempre più accentuato dalle trasformazioni che la globa- lizzazione sta producendo attraverso la crescente interdipendenza economica e cul- turale, la diffusione delle migrazioni umane che mischiano e intrecciano le civiltà, la trasformazione della divisione internazionale del lavoro che pone nuove questio- ni di giustizia tra paesi poveri, emergenti ed emersi. Nei paesi di vecchia industria- lizzazione cresce l’esigenza di una nuova cura per la salvaguardia dell’ambiente e so- no fenomeni nuovi l’avanzare di tecnologie biologiche, comunicative e informative sempre più pervasive e modificatrici dell’umano, delle forme e dei modi con cui le persone si relazionano, che chiedono nuove sensibilità della politica proprio per de- terminarne una nuova qualità.

 Il “pensare politicamente” dei cattolici

• A fronte di questi cambiamenti che in molti casi toccano elementi significa- tivi della visione del mondo, quello che occorre capire è se i cattolici si posizionano in difesa oppure, come io ritengo opportuno, si attrezzano a pensare politicamente ai problemi che stanno irrompendo nella vita sociale e contribuiscono a costruire la città dell’uomo in questa nuova situazione. Dobbiamo perciò domandarci se que- sto oggi sia possibile oppure limitarci a sostenere che il “pensare politicamente” deb- ba per noi cristiani ridursi a scegliere quale schieramento votare o in quale forma- zione politica alloggiare.

• La questione cattolica come noi l’abbiamo conosciuta e come l’ha vissuta il movimento politico dei cattolici italiani è certamente stata chiusa con la realizza- zione della democrazia di tutti. Anche se episodi come quelli legati alla visita poi annullata del Santo Padre all’università romana della Sapienza, o certe esasperazio- ni anticristiane e anticlericali ci creano turbamenti, non possiamo rinnegare il lavo- ro che è stato fatto dai cattolici per fare in modo che diventassero valori condivisi la convivenza democratica, il rispetto delle idee e soprattutto di quelle diverse dalle nostre, il diritto di parola, il rispetto della libertà di coscienza. In questo sta la no- stra laicità e non nella privatizzazione o nel nascondimento nella melassa del politi- camente corretto, delle nostre convinzioni di fede che non vogliamo imporre a nes- suno ma che vogliamo poter esprimere e testimoniare.

44 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Savino Pezzotta

 Come operare da cattolici nella politica?

• Tutto questo non evade la domanda che ci dobbiamo porre: come stare e ope- rare da cattolici in politica? È a mio parere una domanda che si fa sempre più urgente perché sul piano storico-sociale rischia di esaurirsi il cattolicesimo popolare, uno dei più fecondi patrimoni costruiti dalla comunità cristiana italiana fin dall’Ottocento ed in misura massiccia dagli anni Venti e nel secondo dopoguerra. Rischia di svanire quando una sua presenza sarebbe alquanto significativa per aiutare il nostro paese ad affrontare i nuovi problemi. Non è un caso che, a fronte del suo indebolimento, si sia ripresentata nel dibattito politico italiano la questione della laicità. Ed è soprattutto la laicità cristiana a suscitare problemi e diffidenze sia a destra che a sinistra. Forse per- ché è troppo scomoda per coloro che da anni perseguono l’obiettivo della semplifica- zione e della schematizzazione politica: destra/sinistra, amico/nemico. Come se nella modernità dei nostri tempi a valere non fosse invece il paradigma della complessità e la capacità di agire, pensare e organizzare in modo complesso.

• A fronte di questi cambiamenti e delle nuove problematiche, mi sto chieden- do da tempo come sia oggi possibile operare da cattolici in politica in modo orga- nizzato e se questo sia ancora possibile. In particolare me lo chiedo dopo che i po- polari si sono sciolti nel Partito Democratico. Generalmente quando pongo questo quesito mi si risponde dal punto di vista storico oppure teologico o culturale. Sono risposte che intrometto e che mi aiutano a fare discernimento, ma che ancora non mi hanno risolto la questione. Come mi si rammenta da diverse parti, la Dc non rappresentava tutti i cattolici. Infatti era un partito di cattolici e non dei cattolici, laico e di ispirazione cristiana. Lo stesso lo era il Ppi di Martinazzoli e Bianco. Ma la presenza politica organizzata rappresentava, anche per i cattolici che militavano in altri partiti, un centro, un punto di confronto e di orientamento politico e cultu- rale. Poi ad un certo punto si è confuso il pluralismo con la frammentazione, una frammentazione che ha corrisposto più all’esigenza di schierarsi che ad una rinno- vata piattaforma programmatica.

Non ho nostalgie da mettere in campo, ma solo osservazioni da rilevare e cerca- re di scrutare nei segni del presente se sia ancora possibile generare luoghi in cui dei cattolici possano trovare il modo di “pensare politicamente” e laicamente avanzare proposte per il Paese.

 Popolarismo e Personalismo

• Per quanto mi riguarda non posso non restare ancorato ad alcuni elementi di principio propri di una cultura politica di ispirazione cristiana che va sotto la deno-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 45 Savino Pezzotta minazione di popolarismo e personalismo. Una cultura che deve fare i conti con ri- gore con quanto è cambiato nel mondo cattolico e nel mondo più in generale. An- zi sono convinto che serva un nuovo popolarismo e un neopersonalismo. Più vado avanti negli anni, più sono costretto a rendermi conto che il nostro problema non è tanto quello di non rimanere prigionieri del passato, ma di lasciarci imbrigliare da un presente che tende di per sé e in sé ad esaurire il futuro. Ciò significa allontanar- si dalla storia, negare di avervi un posto, invece che obbligarsi a una critica costan- te, anche di sé, per trovare una risposta al mutare del presente. E ad acutizzare la nostra percezione di ciò che muta non può non intervenire il passato, la memoria storica, che ci fornisce gli strumenti per trasformare il presente in continua occasio- ne e ci evita di ricadere negli errori compiuti. Il passato non spiega il presente per- ché nella logica avviene il contrario, ma ci aiuta a trasformarlo. Benjamin in Tes i di filosofia della storia, dice che “c’è un’intesa segreta tra le generazioni passate e la no- stra”. Di questo dovremmo sempre avere consapevolezza.

 La coscienza critica del passato

• Oggi c’è una voglia di archiviare, dimenticare e obliare il passato. Operazioni di questa natura non ci rendono più immacolati, non ci purificano dagli errori compiuti e non ci liberano dalle responsabilità del tempo vissuto. L’unico risultato che operazioni di questo genere ci possono dare è il crescere dell’impossibilità di un pensare e di un agire critico-propositivo.

Mi rendo conto che diventa difficile parlare di identità in una società che sem- pre viene descritta come liquida, a coriandoli o vista come una melassa. Eppure mi tormenta il dubbio che senza una chiarezza sull’appartenenza non sia possibile co- struire processi democratici più avanzati.

• Con l’approvazione della Carta dei valori del Pd è venuta meno, nel panora- ma politico italiano, un’altra presenza di cattolici organizzati in politica. Non vo- glio discutere o mettere in campo giudizi morali se questa scelta sia sta un bene o un male. È una scelta che legittimamente dei cattolici possono fare e di cui sono re- sponsabili. Faccio solo una constatazione: è chiaro che aderendo a una nuova carta dei valori si sono lasciati alle spalle il popolarismo e una cultura politica. Non è in discussione la possibilità di aderire da cristiani ad una carta dei valori che non sia in contrasto con i valori cristiani. Ma deve essere altrettanto chiaro che questo è altro da ciò che si era. Il Pd, al di là di quello che strumentalmente si sostiene alla sua si- nistra, è un partito di sinistra che tende a ottenere il voto di cattolici e di chi si col- loca su una posizione centrista. In pratica non è il partito di centro che guarda a si- nistra come diceva De Gasperi della Dc, ma il contrario. È chiaro che questa con-

46 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Savino Pezzotta fluenza indebolisce ulteriormente la presenza organizzata di cattolici in politica e in particolare di quel filone che si definiva “cattolico popolare”. La presenza di cattolici nel Pd potrà essere preziosa anche se tutta da vetrificare, ma, come avvenuto in altre parti d’Europa, sarà sempre più caratterizzata dalla testimonianza personale. E fare una corrente “cattolica” nel Pd, come qualcuno ipotizza, sarebbe un grave errore perché finirebbe per minorizzare una presenza.

Altro pericolo che intravedo in questa contingenza politica e che occorre con- trastare è il tentativo di impadronirsi dei valori cristiani per fini puramente utilita- ristici. Un interesse ai problemi che i cristiani mettono in campo che non è dettato dalla condivisione, da curiosità intellettuale per i contenuti, ma semplicemente fi- nalizzato a obiettivi politici.

 Pensare ed educare per agire politicamente

• Sono queste questioni che ci obbligano a riprendere il tema del “pensare poli- ticamente” da cattolici e darci strumenti che lo consentano. Sono convinto che in prima istanza il problema si ponga alle associazioni e ai movimenti ecclesiali i quali sicuramente e autonomamente devono perseguire i fini propri e in prima istanza, data la loro natura ecclesiale, quello dell’evangelizzare. Soprattutto devono cercare di evitare qualsiasi sorta di neocollateralismo ed in particolare quello pragmatico- utilitaristico che è il più insidioso. Ma in questa situazione italiana oggi hanno an- che il dovere di educare alla politica e a pensare la politica, che è cosa diversa dallo schierarsi partiticamente.

• Resto anche convinto che una rimodulazione della politica e una flessibiliz- zazione del bipolarismo attraverso una riforma elettorale di tipo proporzionale, con uno sbarramento che aiuti i simili ad aggregarsi e riduca la frammentazione, senza premi di maggioranza e con l’introduzione delle preferenze, potrebbe aiutare a de- terminare una nuova presenza di cattolici in politica e a valorizzare il loro ruolo nei vari schieramenti. A volte mi stupisco nel sentire i laudatori della sussidiarietà farsi paladini della semplificazione bipolare. Gli schieramenti imposti diventano blinda- ti ed in essi la libertà di coscienza un problema invece che una risorsa.

 Organizzazione e partecipazione

• Nel frattempo occorre anche che dei cattolici si possano organizzare in forme nuove per promuovere buona politica e una politica diffusa che si basi soprattutto sulla partecipazione . La necessità di fare rete, di non disperdere un patrimonio di

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 47 Savino Pezzotta cultura politica, di essere presenti nel dibattito pubblico e nell’iniziativa politica ha fatto sorgere “Officina 2007 ”. Si tratta di un movimento laico di ispirazione cri- stiana che, non dimentico del passato, vuole affrontare in modo innovativo le sfide del presente. In pratica vuol dare un contributo perché nasca un tempo in cui a do- minare la scena sia la buona politica. Una politica diffusa che amplia i modi e le forme della partecipazione.

• C’è nel paese l’esigenza di tornare a discutere e a confrontarsi con serietà, di dire basta alla propaganda, all’uso mediatico e strumentale, all’eccesso di leaderi- smo, ai poteri sempre più monocratici che non sempre – come dimostra il caso dei rifiuti di Napoli – riescono a risolvere problemi complessi. Non abbiamo bisogno di sistemi presidenziali palesi o surrettizi come il Sindaco d’Italia. Più la politica si restringe sui pochi più blocca ogni dialogo, inibisce ogni ricerca, crea disaffezione. Sono convinto che occorra uno sforzo di fantasia e uscire dagli schemi rigidi, dai giudizi precostituiti senza smarrire le tradizioni nelle quali siamo nati e cresciuti, anzi, per renderle feconde e non semplicemente ritratti da appendere in qualche Pantheon. Abbiamo bisogno di aperture, di spazi larghi, di moltiplicare le Agorà. Non abbiamo bisogno di chiudere gli spazi. La politica vive se respira, respira se è partecipata, se i luoghi del confronto si moltiplicano. Agire da cristiani in politica significa anche avere sempre a mente che per noi ogni riduzione della fede ad ideo- logia è da considerarsi idolatria, ed è il nostro agire antidolatrico che garantisce la nostra laicità.



48 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lo specifico cristiano e il Partito democratico

PIERLUIGI CASTAGNETTI Il problema del rapporto con la politica è sempre com- plicato per i cristiani. Si tratta della difficoltà, in con- Vicepresidente creto, di vivere la doppia cittadinanza della terra e del della Camera Cielo. Un problema particolarmente sentito in Italia dei Deputati sia a causa della vicenda del potere temporale della Chiesa, per quanto ormai risalente a due secoli fa e co- munque ampiamente risolto da un Magistero successi- vo inequivocabilmente posizionato sul piano della net- ta separazione dei poteri, sia per le discusse e talvolta laceranti esperienze di rigorosa laicità vissute dagli uo- mini politici cristiani che da Sturzo in poi hanno ope- rato sul teatro della politica italiana. ≈

“… la storia che  Rapporto fede politica in Italia cammina e marcia velocemente e • Quando capita di incontrare uomini politici cristiani chiede (anche) ai cristiani di di altri paesi, non solo europei, e si scambiano opinioni sulle abituarsi a rispettive esperienze, si nota non di rado la difficoltà da parte costruire tende e a loro anche solo a comprendere taluni dei problemi presenti vivere in tenda, nel dibattito politico italiano riguardo al rapporto fede poli- chiede di non confondere mai tica. Come ad esempio il problema della rilevanza politica i fini con gli dei cattolici, cioè della possibilità di rendere influente, ascol- strumenti e, tata e per quanto possibile accolta una certa visione del mon- dunque, di non do e dell’uomo in particolare. Normalmente in Baviera o nel dimenticare che i partiti pur non Quebec, dove pure la presenza dei cattolici è consistente, tale essendo taxi sono questione non si pone: lì credenti e non credenti sono essen- pur sempre solo zialmente cittadini, conservatori o progressisti o altro anco- strumenti” ra, e solo di fronte a questioni etiche di rara importanza c’è ≈ un pronunciamento ufficiale dell’episcopato che i singoli uomini politici credenti cercano di assumere come orienta-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 49 Pierluigi Castagnetti mento personale in modo più o meno coerente. In Italia non è così. Qui c’è la San- ta Sede e la politica non può prescinderne. Persino Togliatti, e Berlinguer, si pone- vano l’esigenza di avere una “politica ecclesiastica”.

• Qui c’è una tradizione di presenza importante della Chiesa nel tessuto socia- le del paese e una legittima tradizione di pronunciamento pubblico della Chiesa su tutte le vicende che interpellano la coscienza dei cittadini e c’è nella gran parte dei cittadini una aspettativa per questi pronunciamenti. E, nondimeno, qui c’è la tra- dizione di un impegno dei cattolici in quanto tali in politica – dal popolarismo (che un grande storico come F. Chabod ha definito uno degli eventi politici più im- portanti del secolo scorso) in poi – che è risultato decisivo nella costruzione della democrazia repubblicana e nell’avvio del processo unitario europeo, tradizione che ha lungamente influenzato, non senza contrasti, la cultura politica democratica del paese. E, dunque, il superamento della forma e delle modalità organizzative di quella specifica presenza politica ha posto e continua a porre questioni oggettiva- mente non banali, che ruotano ineludibilmente intorno al tema della rilevanza di forme nuove di presenza dei cattolici in politica.

 La fine dell’unità politica dei cattolici

• Le ragioni che hanno portato al superamento definitivo della unità politica dei cattolici sono state adeguatamente indagate dalla storiografia contemporanea e non è il caso di richiamarle in questa sede, se non una che solitamente è trascu- rata: la Democrazia Cristiana con la fine del comunismo e l’accettazione dell’ordi- ne costituzionale repubblicano da parte della estrema destra nazionale ha registra- to il massimo successo della sua principale missione storica che era quella della de- mocratizzazione del paese. L’accettazione poi da parte delle forze storiche della si- nistra di altri capisaldi della tradizione politica del cattolicesimo democratico – l’europeismo e l’economia sociale di mercato – ha reso ancora più completo quel successo. Il raggiungimento di tali obiettivi ha contribuito, in qualche misura, a fare considerare esaurita una missione storica e le conseguenti “ragioni di neces- sità” di sostegno elettorale da parte di quei cittadini che non si sentivano motivati principalmente da ragioni di “appartenenza” culturale (o confessionale) in senso stretto.

• Vale invece la pena interrogarsi sul fatto se esista (ancora) uno specifico cat- tolico e quale fisionomia possa assumere in politica oggi. Alla domanda rispondo senz’altro positivamente. Lo specifico del cristiano è Gesù Cristo. Da tale assunto discendono conseguenze imprescindibili nella vita e nelle azioni dei cristiani, di tutti i cristiani, e perciò anche di quelli che sono impegnati e lavorano nelle istitu-

50 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Pierluigi Castagnetti zioni della città dell’uomo. Il cristiano deve vivere i comandamenti dell’amore e dell’unità che, declinati politicamente, configurano una originalità veramente rivo- luzionaria. Pensiamo ai temi della libertà, della giustizia e della pace – che rappre- sentano il terreno proprio delle istituzioni politiche – e immaginiamo in quale mi- sura essi possano essere illuminati da questi comandamenti. Lo specifico cristiano è, dunque, una impostazione per molti aspetti “altra” della politica.

 Le regole della politica

• Peraltro, in democrazia la politica ha una sua forma, ha proprie regole e pro- cedure che ne garantiscono l’autonomia e la responsabilità rispetto alle influenze ideologiche che le stanno alle spalle e agli obiettivi che intende perseguire. Regole e procedure che assicurano pure la partecipazione (cioè la condivisione) e il controllo da parte dei cittadini su chi esercita funzioni e responsabilità di governo. La demo- crazia è inoltre il sistema di regole e norme più rispettoso e più efficace a garantire i diritti delle persone. I cristiani, cittadini come gli altri, alla pari degli altri debbono utilizzare gli strumenti partecipativi che la democrazia mette a disposizione di tutti, se vogliono influenzare le scelte politiche.

• Il dilemma che oggi si pone loro non è nuovo: conviene ai cristiani organiz- zare la loro presenza in politica mettendosi insieme, fra di loro cioè, sapendo di es- sere minoranza e correndo il rischio di trovarsi per tale ragione emarginati e protet- ti in una enclave di omologhi in attesa che eventualmente maturino condizioni di- verse e favorevoli, o non è più opportuno che essi partecipino alla costruzione di strumenti (partiti) più larghi insieme a chi, provenendo da altre tradizioni cultura- li, mostri una “vicinanza programmatica” che ne rende compatibile e virtuosa la convivenza? Ancora un partito di credenti, o un partito laico in cui i credenti pos- sano agire l’influenza del loro specifico? A me pare che la risposta a questo interrogativo sia “storicamente” obbligata, ed è la seconda.

 Un errore chiamarsi fuori

• Nel concreto, in Italia, di fronte alla riorganizzazione sia dello schieramento di centro sinistra che di quello di centro destra, a me sembrerebbe un errore “chia- marsi fuori”, e scegliere forme di aventinismo politico strutturato, o anche forme di presenza politica “terze” da poter giocare al tavolo di possibili accordi programma- tici successivi alle elezioni. Conosco le obiezioni: questo sistema politico bipolare non ci piace, entrambe le compagnie non ci soddisfano.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 51 Pierluigi Castagnetti

Credo che alla prima si possa replicare pacatamente che, alla luce di quanto av- viene un po’ ovunque nel mondo, è oggi irrealistico pensare di tornare a sistemi non più bipolari. E, alla seconda, si debba dire che ai cristiani, testimoni della ten- sione alla unità, non può essere risparmiata la fatica di cercare punti di convergenza con quanti si sentono – per alcuni temi anche rilevanti – non omologhi, ma solo potenzialmente omologabili. Ma, si riobietta in proposito, ci sono temi su cui non sarà mai possibile definire punti di convergenza, come i cosiddetti principi non ne- goziabili per i credenti. In tal caso, senza rinunciare alla fiducia e alla speranza di un risultato non scontato in partenza, a me pare che si dovrebbero definire procedure di rispetto delle reciproche autonome posizioni, che avranno il diritto di esprimer- si in sedi interne ed esterne, senza per ciò rinunciare a realizzare e valorizzare quei tanti punti di convergenza possibili. Questa, in sintesi, è la scommessa (e il rischio) assunta dai cattolici che hanno contribuito a far nascere il Partito democratico. Il quale non è una evoluzione di forze politiche precedenti, ma è la risposta nuova a una domanda politica nuova.

 La scelta di schieramento

• Ma perché, ci viene chiesto, la scelta di questi compagni di strada, perché lo schieramento riformista anziché quello conservatore (o, come taluno preferisce, li- berista)? Si potrebbe rispondere con le parole di Aldo Schiavone1, perché come la storia anche recente dimostra, il liberismo più serio e rigoroso che pur si rivela ca- pace di far da volano al cambiamento non è poi in grado di elaborare gli strumenti culturali e politici per gestirne in modo adeguato le conseguenze. La libertà sarà duratura – ha detto recentemente a Foggia l’amministratore delegato della FIAT Sergio Marchionne – se saprà farsi carico dei problemi di chi paga il costo del cam- biamento. Per questo stanno emergendo domande di senso, di legami solidi, di si- curezze, di accompagnamento lungo i sentieri inesplorati dello sviluppo scientifico, cui la politica deve prestare attenzione e delineare risposte. Queste le ragioni della scelta di campo a favore del “partito dell’inclusione e della speranza”. La combina- zione complessiva fra tecnica e mercato – scrive infatti Schiavone –

è il più straordinario motore di sviluppo che la storia dell’umanità abbia mai sapu- to mettere in campo. Il pensiero della nuova destra globale ne aveva fatto la sua bandie- ra ed è stato capace di dettare per trent’anni l’agenda del mondo […] Ma la potenza della macchina in campo è tuttavia pari alla sua pericolosità […] 2

1 A. Schiavone, La destra non sa più spiegare il mondo, in «la Repubblica», 16 ottobre 2007. 2 Ibidem.

52 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Pierluigi Castagnetti

 Sfide e opportunità

• Ecco la sfida nuova che sta innanzi a noi e che rappresenta insieme un dovere e una opportunità anche per i credenti di stare nel loro tempo, cercando di com- prenderlo e di orientarlo. Non è forse scritto che è compito dei laici trattare le cose temporali e orientarle secondo i disegni di Dio3? È vero che la Chiesa questa sfida l’ha colta tempestivamente, ha colto il passaggio epocale di una “tecnoscienza” che non si accontenta più di conoscere il mondo ma si appresta a costruirlo, a rico- struirlo. Secondo Galli della Loggia, in particolare la CEI del Card. Ruini ha intui- to e raccolto la sfida e per questo ha deciso di affrontarla sul piano pubblico, in pri- mo luogo perché ciò «serve alla Chiesa per svolgere la sua funzione religiosa4». Ser- ve per parlare alle coscienze dei cittadini, per offrire loro linee di orientamento e per trasmettere fiducia.

• Del resto dovrebbe essere pacifico per tutti i cristiani che a loro non è con- sentito sottrarsi alle sfide, estraniarsi dal mondo solo perché cambia, dovrebbero anzi sentire il dovere di inserirsi per potere, come dice il Papa “evangelizzare la sto- ria dall’interno”. Un grande pensatore cristiano, già negli anni venti, scriveva:

Il nostro posto è nel divenire […] il nuovo mondo è caotico e agisce da distruttore perché l’uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora […] Si deve trovare la for- za di sacrificare con cuore saldo l’indicibile nobiltà del passato5.

 La sfida del cambiamento

• E i cristiani che stanno in politica cosa fanno per cogliere con “con cuore saldo” la sfida del cambiamento? Non possono certo vivere della rendita rappre- sentata dall’“indicibile nobiltà del passato”, debbono assolutamente entrare nella modernità con pensieri nuovi, con strumenti e analisi nuove, da “uomini nuovi” capaci di rappresentare quella speranza che è in loro. Quella speranza rilanciata ancora una volta da Benedetto XVI con la enciclica Spe Salvi che una certa lettu- ra faziosa e frettolosa ha liquidato come antimoderna, solo perché ha evidenziato i limiti di un progresso scientifico che pretende e protende verso nuove forme di totalitarismo culturale e perché ha spostato – giustamente, poiché questa è l’essenza del messaggio cristiano – l’angolatura della speranza dal “su cosa” all’“in chi”.

3 Lumen Gentium, 31. 4 M. Politi, Ruini “Io sono un animale politico”, «la Repubblica», 6 novembre 2007. 5 R. Guardini, Lettere da lago di Como, Morcelliana, 1959.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 53 Pierluigi Castagnetti

La speranza come ha acutamente osservato Giuliano Ferrara citando Peguy6, è una virtù bambina che trascina tutte le altre in una spirale teologale che è anche il culmine assoluto della filosofia, della vera filosofia viandante e mendicante di ve- rità. La speranza che consiste:

…in sostanza nella conoscenza di Dio, nella scoperta del suo cuore di Padre buono e misericordioso. Gesù con la sua morte e resurrezione ci ha rivelato il suo volto7.

E, più avanti:

Tutto perde di “spessore”. È come se venisse a mancare la dimensione della profon- dità ed ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, della sua “sporgenza” rispetto alla mera materialità8.

• È una virtù strana la speranza, perché va contro la prassi dello stordimento e della superficialità finalizzate a rimuovere le domande di fondo dell’uomo moder- no e a non occuparsi di chi soffre l’ingiustizia, di chi ha bisogno e di chi pone do- mande “inquietanti” a chi governa e a chi gestisce comunque il potere.

 Il Pd offre spazi?

• Ci sarà spazio nel Partito democratico per riorientare la politica in modo da farle intrecciare la modernità e contemporaneamente le domande più profonde dell’uomo di oggi? Ci sarà spazio per fare dialogare ragione e fede al fine di supera- re la tirannia della banalità e della mediocrità che contribuisce non poco a produr- re quel rigetto della politica che, con atteggiamento di spregio, ci stiamo abituando a liquidare tutto come antipolitica? Tra fede e ragione non si tratta di un confondersi ma di un rispondersi, o me- glio di un interrogarsi reciproco.

La ragione domanda al credente le sue ragioni per credere… La fede domanda al- l’agnostico e all’ateo come egli fondi il legame umano senza comunione spirituale, come comprenda se stesso se non è destinato a nulla9.

La scommessa è dunque, per i cristiani del Partito democratico, davvero sugge- stiva e – dobbiamo riconoscerlo – non facile.

6 G. Ferrara, Ehi, laiconi, provate a rispondere al Papa, «Il Foglio», 5 dicembre 2007. 7 Non la scienza ma l’amore redime l’uomo, «Avvenire», 4 dicembre 2007. 8 Ibidem. 9 P. Manent, Tra Voltaire e Pascal dialogo ancora possibile?, «Vita e Pensiero», 5/2007.

54 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Pierluigi Castagnetti

• Cammineremo fianco a fianco con compagni di strada con cui sappiamo do- ve andare, rispettosi – ognuno verso l’altro – delle diverse provenienze e dei diversi approcci a questioni non secondarie per dare un senso all’ambizione di concorrere a costruire un nuovo umanesimo, ma non sempre motivati ad andare oltre il rispet- to reciproco per conoscersi meglio e per farsi cambiare dalla conoscenza. Molto di- penderà da come noi credenti sapremo vivere e trasmettere l’originalità, non incli- ne al pragmatismo e alla spensieratezza, della nostra cultura. ha parlato di un partito allegro, è giusto che il partito non sia cu- po e pessimista, ma sereno e fiducioso, in un certo senso anche lieve, riconoscendo i limiti propri e più in generale della politica. Allegro ma non banale. Perché le questio- ni che ci stanno innanzi sono troppo serie ed evocano forza e solidità di pensiero. In questo senso non basterà neppure dire che nel nuovo partito i cattolici debbono sen- tirsi a casa loro, o che per loro ci sarà spazio. Lo spazio di cui essi hanno bisogno è quello del dialogo, dell’approfondimento, del riconoscimento di quella specificità politica diversa dall’identità partitica di cui parla Giorgio Campanini10, della non pri- vatizzazione della fede, del non timore a tornare a parlare dei valori e dei principî:

Se non siamo in grado di imparare e di insegnare il valore di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato siamo destinati ad essere sommersi dal “caos morale” 11.

 “Omologhi” in cammino

• Torno ancora al dilemma relativo all’ipotesi, che in queste settimane tormen- ta alcuni cattolici, di promuovere l’ennesimo tentativo di partito identitario di cen- tro e mi chiedo perché delle difficili questioni di cui abbiamo parlato dovremmo occuparci nelle stanze strette e confortanti di un partito di omologhi e non in quel- le più ampie e faticose di un partito di “omologhi in cammino”? Anche, direi pro- prio anche, alla luce di un dibattito sulla laicità destinato a diventare più serrato proprio per la delicatezza di talune questioni – tipiche di ciò che definiamo moder- nità – che attengono la sfera della vita e dell’etica e che interpellano insistentemen- te la politica. Se per laicità intendiamo infatti:

una situazione in cui lo Stato si atteggia come “neutrale” e imparziale rispetto alle chie- se dalle quali prende, per così dire, la stessa distanza con una separazione che può presentar- si come indifferente ostile o cooperativa ma che tutela comunque la libertà religiosa12

10 G. Campanini, Cattolici e politica: quale “identità”?, «Aggiornamenti Sociali», 11/2007. 11 T. Blair, Congresso Labour Party, London, 1993. 12 L. Elia, Introduzione ai problemi della laicità, Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Napoli 26-27 ottobre 2007, in corso di pubblicazione.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 55 Pierluigi Castagnetti ci rendiamo conto della necessità di operare in modo vigile e intelligente perché il quadro politico non scivoli progressivamente e inesorabilmente da una fase di se- parazione “cooperativa” a quella di una separazione “ostile”. Non lo faremo certo per difendere privilegi o spazi impropri, ma per assicurare una prospettiva di dia- logo e di cooperazione fra Stato e Chiesa cattolica nell’interesse del paese e della democrazia. Sì, proprio della democrazia, la cui crisi crescente non necessita di particolari spiegazioni che già non si conoscano (fra i tanti rimando agli scritti più recenti di Robert Dahl e John Dunn).

• Ma vi è una ragione di questa crisi che rimanda proprio alla premessa, al so- strato etico condiviso su cui poggiano i sistemi democratici. La globalizzazione e i massicci flussi migratori di uomini che portano con sé affetti e fedi religiose, pon- gono oggi infatti alle democrazie dei paesi occidentali problemi etici rilevanti che possono minare le basi stesse della convivenza e sui quali nei prossimi anni saremo chiamati tutti a lavorare. Li riassumo citando i due problemi recentemente posti dall’insigne costituzionalista tedesco Ernst Wolfgang Böckenförde che già nel re- cente passato ci aveva avvertito delle questioni connesse al fatto che «lo Stato libera- le secolarizzato vive di presupposti normativi che non può più garantire»13.

 Emigrazioni e fedi religiose

• Il primo: lo stato secolarizzato e liberale da dove trae e come garantisce oggi, e in futuro, il criterio per individuare la comune base pregiuridica e l’ethos su cui si possa fondare una proficua convivenza, insostituibile per ogni ordinamento liberale? Il secondo: in una situazione caratterizzata da un crescente pluralismo di visioni religiose del mondo e da processi migratori sempre più consistenti, in che misura questo stato è in grado di garantire effettivamente, in conformità ai suoi stessi princi- pi costitutivi, la libertà di religione? Böckenförde indica alcune piste per rispondere a tali interrogativi. Ma è del tutto evidente che si tratta di materia di discussione. Di ampio e faticoso dibattito e di conseguenti complesse e delicate decisioni.

 Responsabilità e consapevolezza

• Ho menzionato intenzionalmente la portata di problemi veramente di fon- do, per dire il senso, lo spirito, la responsabilità (e la consapevolezza dei rischi) del-

13 E.W. Böckenförde, Saggio apparso nella collana “Themen” diretta dal prof. H. Meier, pubbli- cati in Italia ne «Il Regno» - attualità, 18/2007.

56 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Pierluigi Castagnetti la scelta di tanti cristiani di concorrere a dar vita a un nuovo soggetto politico insie- me ad altri non credenti, partito dell’inclusione e della speranza oltreché – vorrei aggiungere – della responsabilità verso il nostro tempo e il tempo futuro. Conosco, di contro, le titubanze e le diffidenze di tanti amici con cui in questi decenni ho condiviso l’esperienza di partiti identitari come la Dc e il Ppi e anche la prima esperienza di partito pluridentitario come “Dl Margherita”. Un altro inizio! Non me la sento, mi sono sentito dire. È, ahimè, la storia che cammina e marcia velocemente e chiede (anche) ai cri- stiani di abituarsi a costruire tende e a vivere in tenda, chiede di non confondere mai i fini con gli strumenti e, dunque, di non dimenticare che i partiti pur non es- sendo taxi sono pur sempre solo strumenti. Un grande mistico del IV secolo, Gregorio di Nissa, era solito dire ai suoi disce- poli: «con me percorrerete sempre inizi». Forse questo è anche il destino dei credenti impegnati in politica: percorrere inizi. Un destino faticoso ma avvincente.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 57

I cattolici e la politica oggi

GENNARO Se rifletto sulla politica come l’ho vista scorrere, da- ACQUAVIVA vanti ai miei occhi, in questi anni di post-tangentopo- li, mi viene spesso alle labbra una frase di Don Milani Senatore che sembra fatta apposta per provocare coloro che, co- me me, sono usciti sconfitti da quella stagione: “Si- gnore, perdonaci per le occasione che abbiamo spreca- to”. Mi sono cioè spesso domandato se noi, che abbia- ≈ mo a lungo animato ed anche combattuto una buona battaglia a sostegno della confluenza dei valori e delle “L’apertura di un esperienze dei cattolici nella costruzione di un sociali- confronto smo riformista e liberale, eravamo ancora degni di dire approfondito … una parola, capaci di reagire all’appiattimento preva- non potrà che lente su altre culture, proponibili per esprimere un im- partire da una richiesta esplicita pegno nostro, vigoroso e nuovo; un impegno che ci di sostegno rendesse possibile agire ancora, a sostegno della buona all’opera di politica ed operando in continuità con una lunga sta- ricostruzione della gione di ricerca e di azione, durata almeno quindici politica e, …in essa specificata- anni e che era approdata complessivamente a buoni ri- mente di una forza sultati. politica di sociali- smo democratico, aperta al confronto  Cattolici e modernità con i valori cristiani e deside- rosa di accogliere, • La domanda trova qualche ragione di attualità giacché con generosità, tra siamo stati in questi mesi testimoni di una rinnovata stagio- le sue file quei ne di anticlericalesimo, mossa anche da parte di coloro che cattolici che inten- purtroppo trovano incentivo al loro attivismo in una suppo- dono impegnarsi nella vita politica a sta tradizione socialista; ma a me viene spontaneo riproporla partire dalla comu- ricordando le parole con cui l’ha espressa, più volte, uno dei ne accettazione di maggiori corifei di questa campagna demolitoria del cattoli- finalità sociali e di cesimo italiano e della sua Chiesa, e cioè Eugenio Scalfari. Il progresso” Fondatore di «Repubblica», è tornato infatti ad accusare i ≈ cattolici, in particolare, per il fatto che con i loro atti e com-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 59 Gennaro Acquaviva portamenti essi si sono irrimediabilmente tagliati fuori della “modernità come coe- renza con la potenza storica della ragione e della scienza”; aggiungendo ripetuta- mente che noi saremmo appesantiti e dunque definitivamente sconfitti rispetto al futuro, perché vivremmo un’inimicizia profonda nei confronti appunto dell’“l’in - ter no valore della modernità, così come è stato costruito dal pensiero del Rinasci- mento e dell’Illuminismo”. Forse a questi oppositori della presenza cattolica nella società italiana si potreb- be opporre semplicemente il fatto che la fede quotidiana sembra tuttora possedere qualche carica di ispirazione e mobilitazione per milioni di individui: una realtà che essi mostrano di non vedere. Ma io non ho mai voluto usare la fede come stru- mento di polemica e non voglio cominciare proprio in vecchiaia. Mi sembra invece più utile e produttivo, per tornare alle argomentazioni scartando lo scandalismo, richiamare la circostanza oggettiva che questa “straordinaria” modernità sembra trasmettere malissimo la sua potenza e che, con tutta evidenza, essa non appare in grado di forzare il gioco facendo vivere le sue ragioni nelle grandi masse, di fatto esponendosi a carenze grandi e ripetute quando si collega ai processi sociali e politi- ci reali; con la conseguenza che la conclamata iperpotenza della modernità, posta nelle mani di coloro che se ne fanno profeti, non appare in grado di chiudere la par- tita, di fatto lasciando che la cultura cattolica, l’antropologia cattolica, la vita quoti- diana dei cattolici in Italia sopravvivano, e neppure tanto male, a questa formidabi- le potenza di fuoco.

 Resistenze intellettuali e furbizie politiche

• È allora lecito domandarsi per quale ragione questo avviene, giacché debbo- no giocare in proposito motivi più consistenti di quelli rintracciabili nelle resisten- ze intellettuali di un teologo eletto pontefice o nelle furbizie politiche di un cardi- nale che, esaltato dai suoi critici, rischia di passare alla storia come un moderno Ri- chelieu. Se il mondo della modernità non convince è evidente che è anche colpa sua: per esempio, per essersi calato nella cultura collettiva in termini probabilmen- te troppo lontani dalle sue elaborazioni di élite; per esempio, per essersi posta lon- tano dalla concreta antropologia del Paese, dove il mondo cattolico, da sempre ben insediato nel quotidiano e sul territorio, ha qualche vantaggio. Non è certamente senza ragione, per fare un caso concreto, che nell’acceso confronto sulle unioni di fatto (per non parlare del risultato a cui è giunto il referendum sulla procreazione assistita), il Cardinale Ruini partiva da una indubbia posizione di vantaggio, per la semplice circostanza che la Chiesa, con la porosità delle sue decine di migliaia di parrocchie, era in grado di conoscere la realtà di cui si trattava assai più di quanto potevano apprezzarla gli esponenti delle tante sigle che, dai più diversi pulpiti, ar- ringavano la “piazza della modernità”.

60 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gennaro Acquaviva

Queste sono alcune delle ragioni che mi hanno suggerito di premettere alle po- che considerazioni propositive che cercherò di presentare circa gli obiettivi e il si- gnificato di un apporto (o meglio di una richiesta di apporto) dei cattolici alla rico- struzione delle fondamenta della politica, una indicazione dei punti costitutivi, co- me io li vedo, della crisi in cui è immersa la società italiana. La mia opinione infatti è che l’operazione oggi più necessaria dal punto di vista social-politico, anche di fronte alle frontiere che la “modernità” pone a tutti noi, sia quella di fornici di alcu- ni “indicatori di marcia” rispetto alle condizioni di disagio profondo che caratteriz- zano da tempo la società italiana; e che debbono essere essi gli strumenti fonda- mentali da utilizzare per definire il nostro cammino verso il futuro, anche rispetto alla politica: perché è evidente che è solo a partire dalla stessa percezione del futuro come possibile, percorribile e migliorabile che si può fare politica; ed è solo parten- do da un’idea positiva di quello che abbiamo davanti, che inizia obbligatoriamente il cammino per uscire da una crisi che tocca così gravemente il nostro tempo e l’Italia in esso e con esso.

 Fenomeni e processi della “crisi”

• La crisi di una società è, infatti, sempre, una crisi di divisione, di autoco- scienza collettiva di quel che si è e di autopropulsione verso quel che si vorrebbe o si decide di essere. Per questo possiamo dire che alla base dell’attuale crisi italiana, prima ancora della troppa carenza di decisionalità e di guida, esiste una carenza di ragionamento interpretativo spesso tralasciato; allo stato dei fatti non vedo infatti nessuna forza (una classe egemone, una alleanza politica, una pastorale ecclesiale, una qualche élite ideologico-culturale) capace di capire che la nostra crisi viene dal- l’intreccio fra tre grandi fenomeni e processi:

– la crescita della soggettività individuale, con i suoi effetti di frammentazione so- ciale e di soggettivismo etico; – la perdita di forza aggregante delle tradizionali sedi di rappresentanza (politica, sin- dacale, categoriale) e la correlata difficoltà di operare condensazione collettiva; – la labilità crescente della funzione delle istituzioni pubbliche e l’ambiguità del loro rapporto con la sfera privata degli interessi e dei comportamenti dei cittadini.

 Tre evidenze

• Forse conviene approfondire questi tre punti prima di giungere ad una con- clusione utile ai nostri fini, specialmente nelle relazioni che possiamo intravedere tra di essi.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 61 Gennaro Acquaviva

• La prima evidenza riguarda il fatto che siamo prigionieri da tempo di una crescita di soggettività individuale che ha corroso e corrode tutte le tradizionali for- me di integrazione sociale (dalla famiglia alla comunità locale, agli organismi di rappresentanza, alle stesse istituzioni), lasciando i singoli nella sfida solitaria di co- struire, come direbbero i sociologi, i propri “destini personali”. C’è in tale fenome- no un grande e storico processo di liberazione e valorizzazione dei diritti, delle li- bertà, delle potenzialità personali. Ma c’è anche tanto relativismo morale, con i di- ritti anteposti ai doveri; tanto egoismo, che riduce pericolosamente i valori colletti- vi di solidarietà, di diritto naturale, di bene comune; dico di più: a me preoccupa soprattutto la conseguenza inevitabile di questo stato di cose e cioè il fatto che il singolo viene lasciato disperatamente solo di fronte alla fatica di costruirsi un desti- no. Sta qui la radice, in parte infetta, della enorme e spesso incontrollabile fram- mentazione sociale degli ultimi decenni.

• La seconda evidenza è che le varie sedi di aggregazione e mobilitazione collet- tive sono da tempo in crisi profonda: dall’associazionismo categoriale alle rappre- sentanze politiche e sindacali. L’individualismo e la conseguente molecolarità degli interessi e dei comportamenti, sfarina dal basso il funzionamento dei corpi inter- medi; mentre dall’alto la crisi delle ideologie e delle grandi sfide socio-politiche ha ulteriormente livellato il profilo della visione collettiva. Chi come me conosce bene quel grande movimento di emancipazione collettiva e di solidarietà nel nome del- l’uomo che si è chiamato socialismo, non può allora dimenticare che le esigenze di condensazione sociale in gruppi ed in appartenenze rimangono comunque necessa- rie anche in una società moderna, “dove non si vive senza un Noi”.

• Infine, terza evidenza, se la vita individuale soffre di uno squilibrio soggetti- vistico e le identità collettive soffrono di uno squilibrio particolaristico, il sistema nel suo complesso soffre non di uno ma di almeno tre squilibri sostanziali: I si è innanzitutto rotto l’equilibrio fra i poteri istituzionali ai vari livelli: la tra- sformazione della funzione giudiziaria in potere reale ed attivo; lo svuotamento delle sedi di rappresentanza nelle istituzioni, dai consigli comunali sino al Par- lamento; la crisi dei rapporti tra poteri centrali e periferici; l’utilizzo della legi- slazione per interessi di parte; II è rotto l’equilibrio tra responsabilità private e responsabilità pubbliche, perché la delicata vita del sistema dell’economia mista costruito fino agli anni ’70 è sta- to stravolto, con conseguenze che toccano anche l’oggi, prima da uno statali- smo animato da potere boiardo, poi da un processo di privatizzazione assai po- co trasparente; III rotto l’equilibrio dinamico che esisteva tra le vitalità dei molteplici soggetti im- prenditoriali e sociali e l’accumulazione sistemica (in infrastrutture, in reti di servizi, in formazione e ricerca) che a tale vitalità dava costante alimentazione.

62 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gennaro Acquaviva

È quindi evidente che alla soggettività individuale, alla frammentazione sociale, al particolarismo di tanti “noi” non ha fatto compensazione e soluzione un’azione pubblica capace di dare senso di lungo periodo allo sviluppo italiano e al destino del Paese. Per cui, ad esempio, un apparato istituzionale costruito nei decenni per assolvere a ruoli di destino nazionale (l’unità del Paese, la costruzione di un Impe- ro, lo sviluppo e il benessere collettivi) è rimasto un apparato sempre più pesante e costoso, ma vuoto di senso; un apparato appunto, non un riferimento collettivo in cui riconoscersi.

 La gestione politica dei problemi

• È dunque su questi tre grandi problemi che ci sono oggi di fronte, è sulla lo- ro gestione politica che io penso si giocheranno buona parte delle nostre sfide del futuro. Certo non è consolante dover constatare come a tutt’oggi – mi ripeto – non si veda nessuno (classe egemone, partito, coalizione, profezia religiosa o altro) che abbia spessore adeguato a capire e governare anche separatamente i tre problemi che ho prima descritto; anzi, è realtà di tutti i giorni che ogni soggetto organizzato, quando scende in essi, quasi ne accarezza il pelo, ne sfrutta cioè assai più le perico- lose debolezze che le potenziali prospettive di crescita. È qui che il richiamo alla politica, ad una politica nuova che io oggi non trovo pra- ticata da nessuna parte, acquista tutta la sua cogenza. Rispetto al problema della proli- ferazione della soggettività individuale, che è la radice profonda della nostra inarresta- bile frammentazione, la politica con il suo appello alla solidarietà collettiva, con la sua declinazione dei doveri accanto ai diritti, ci serve perché essa è il solo strumento che ci consentirebbe di fermare lo spontaneo e fatalistico andar delle cose. Ma anche sul se- condo punto di crisi, cioè sulla bassa capacità di condensazione sociale è evidente che occorre un impegno squisitamente politico. Di fronte alle difficoltà profonde a co- struire nuove grandi appartenenze ed identità (che non possono certo essere rappre- sentate da semplici sommatorie di apparati di partiti), dobbiamo pensare innanzitutto ad un lavoro di condensazione intermedia cioè ad una politica per sviluppare un “noi” di più appartenenze ed identità: un impegno oggi sempre più indispensabile.

 Il ruolo delle forze storiche del Paese

• Mi rendo conto che ho introdotto questioni complesse, che pretenderebbero un ragionamento ben più disteso ed anche più approfondito. Ma vengo comunque ad una conclusione: con chi fare questo grande sforzo di rinnovamento, con chi reinventare una politica che il crollo delle ideologie e lo strappo di Tangentopoli ha, in Italia, forzato, accelerato e reso inarrestabile?

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 63 Gennaro Acquaviva

Io penso che dobbiamo fare riferimento alle grandi forze storiche del Paese, ai serbatoi di idealità e di forza che permangono nel suo seno. Tra queste vi è sicura- mente il socialismo, se è ancora rintracciabile da qualche forza organizzato la sua storia più che centenaria di riscatto umano e di battaglia per la libertà; e vi è il cat- tolicesimo, di ieri, di oggi e di domani. Lascio da parte il socialismo che pretende- rebbe un’analisi molto puntuale, ma sul cattolicesimo posso forse dire una parola che sia anche propositiva. Esso, il cattolicesimo italiano, anche nella realtà della sua crisi particolare, è tuttora una grande risorsa per il Paese; la fede di un popolo, la sua preghiera, la sua carità, la cultura politica e il senso sociale che ancora è in esso, le sue connessioni e le sue proiezioni internazionali, sono tuttora una grande forza potenzialmente disponibile a servizio del Paese. Non dico che sia l’unica, ma è pro- babilmente la più grande risorsa sul piano ideale, che abbia una storia, che sia orga- nica, che sia in forte continuità con il passato e che non rinunci a proiettarsi sul fu- turo. Lo dico naturalmente da un punto di vista fenomenologico, non con uno spi- rito di soddisfazione parrocchiale.

• Ebbene, la mia opinione è che questo cattolicesimo va chiamato all’appello per la costruzione di una nuova politica, come lo fu nel 1943-44. Va depurato dei suoi potenziali e reali integralismi, che pure permangono; soprattutto ne va solle- citata e sostenuta la sua spinta laica ad occuparsi di politica, indirizzandola forte- mente al sostegno della ricostruzione del Paese. Non abbiamo bisogno di un cat- tolicesimo consolatorio, e alla fine reazionario perché rassegnato; abbiamo biso- gno di un cattolicesimo che ci fornisca quel serbatoio di classe dirigente intelligen- te e laica, disponibile a servire il proprio Paese, capace di perseguire il bene comu- ne perché mossa da una spinta disinteressata, che oggi è quasi impossibile cercare da altre parti.

 La specificità italiana

• Il tema del rapporto dei cattolici e della loro Chiesa con lo Stato, sembra tornare ad acquisire oggi una specificità tutta italiana, come se fosse necessario rifondarlo. Forse è necessario allora utile ricordare che esso nasce da una lunga storia, si è costruito ed evoluto nei secoli in un modo che ha sempre visto intrec- ciati indissolubilmente i ruoli dei due soggetti, non fosse altro perché essi insisto- no sul medesimo territorio e vivono indissolubilmente legati nel medesimo po- polo. Ricapitoliamo sinteticamente la condizione attuale dei loro rapporti, fondata come sappiamo, su di una logica pattizia fondata sullo strumento concordatario: una cornice ed una realtà che rappresenta l’approdo finale di una vicenda molto complessa e battagliata, intrecciata all’origine con la stessa nascita della Nazione.

64 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gennaro Acquaviva

• Recita l’art. 7 della nostra Costituzione: “Lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”. Se entrambi sono sovrani chi stabilisce le reciproche competenze? Non vi è, come dicono i giuristi, una competenza sulle competenze, che possa stabilire limiti e confini e dirimere i conflitti. La formula “indipendenti e sovrani”, secondo il ricordo di Dossetti, l’avrebbe scritta Togliatti in un incontro riservato tra i due. Ma come Scoppola sottolinea, Togliatti forse non sapeva che quella formula ripeteva quasi alla lettera le parole con cui una famosa Enciclica di Leone XIII, la Immortale Dei del 1885, definiva il rapporto fra le due società: “ambedue sono supreme, ciascuna nel suo ordine”. Nella formula vi sono dunque, dall’inizio, radici cattoliche; essa, d’altra parte, è storicamente collegata al secondo comma dello stesso articolo che offre garanzia costituzionale al regime pat- tizio; per di più, il Concordato di Craxi ha voluto sancire un principio di collabora- zione.

• Il dato di fatto da cui partire è dunque che si è venuto definendo, storica- mente, tra i due soggetti un sistema di rapporti che non ha riscontri puntuali in nessun altro ordinamento e che rappresenta un deciso salto di qualità rispetto alla formula cavouriana del “Libera Chiesa in libero Stato”; e che questo sistema di rap- porti, per poter funzionare, presuppone reciproca fiducia, rispetto, collaborazione appunto, in sintonia del resto con un dato profondo della storia italiana: il ruolo decisivo che la Chiesa ha avuto, anche dialetticamente, e attraverso aspri contrasti, nella stessa costruzione della identità del nostro Paese.

 Il quadro generale della specificità

• Per fare un passo ulteriore è utile ricordare che tutto questo è stato pensato e realizzato nel quadro di un sistema politico dominato dal partito dei cattolici e spinto dalla logica del proporzionale ad una convergenza verso il centro; insomma, storicamente, questo particolare sistema di rapporti che vige fra Stato e Chiesa cat- tolica in Italia nasce e si consolida in quanto legato in qualche modo al sistema po- litico. È stato così inevitabile che Tangentopoli e la contemporanea conclusione della esperienza politica della Dc, che ha certificato inoltre la fine dell’unità politica dei cattolici in un unico partito, producessero non solo mutamenti nel sistema politico ma anche modifiche nel rapporto tra la Chiesa e la politica. Anche la Chiesa, infatti, almeno sul fronte dei rapporti politici, usciva in qual- che modo sconfitta dalla fine della prima Repubblica; ed è soprattutto per questa ragione, e non solo per la presenza esorbitante di un fine “politico” come il Cardi- nal Ruini, che essa non ha voluto o non ha potuto cogliere la possibilità, che allora poteva essere colta, di diventare ancora una volta elemento di animazione etica di

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 65 Gennaro Acquaviva tutta la democrazia italiana, anche utilizzando la fluidità della fase iniziale che ha caratterizzato la prima transizione, cioè i due-tre anni immediatamente successivi al crollo della prima Repubblica. Al contrario, si è di fatto assistito, dopo un bien- nio (1994/96) all’insegna dell’indeterminatezza, il realizzarsi di una politica di tipo gentiloniano, basata sullo schema “consensi in cambio di sostegno alle rivendica- zioni cattoliche”; con ciò contribuendo a spingere la Chiesa (o almeno i capi della CEI) a promuoversi ed a vedersi di fatto come una potente lobby, quanto meno nel campo del “mercato” della politica.

• Va da sé che le maggiori ragioni che hanno contribuito a determinare una ta- le configurazione rispetto alla politica, sono da rintracciarsi nelle modalità con cui si è costruito ed è stato gestito, dopo il 1995-96, il “fronte” del centro-destra; ma conviene ricordare che una logica non dissimile è stata perseguita, con una costan- za abbastanza cieca, anche dalle forze del centro-sinistra, sia nel senso di non negar- si praticamente mai alla pratica dello scambio lobbistico quando richiesto; sia nel- l’esporre, all’apposto, le proprie bandiere a vampate improvvise e spesso estempora- nee, ma violente, di un anticlericalismo caratteristico di un’altra epoca, potremmo dire di stampo ottocentesco.

• Per tutti i quattordici anni che ci separano dalla scomparsa del partito cristia- no, leaders ed attori tra i maggiori della sinistra politica e culturale non hanno sa- puto contrapporre, rispetto a questa impostazione (ripeto: prevalentemente pro- mossa o meglio fiancheggiata dal centro-destra, soprattutto per esplicite valutazio- ni elettorali), nulla di organico, nulla che potesse apparire animato da una prospet- tiva di confronto di ampio respiro, innanzitutto sociale ma anche culturale. Accan- to a punture di spillo, a polemiche inutili e talvolta infondate sugli interventi della gerarchia e specificatamente del presidente della CEI, va soprattutto richiamato quello che si è dimostrato, in questa logica, il fondamentale errore strategico per le forze di sinistra: aver sollecitato, promosso e gestito il referendum sulla fecondazio- ne assistita senza essere in grado di interpretare e far proprio quello che era uno sta- to d’animo largamente diffuso nel Paese, che si è dimostrato essere – al contrario di quella che si pensava fosse una posizione largamente prevalente e cioè una scontata affermazione di diritti – colmo di timore e di sospetto, o quantomeno di incertez- za, verso gli automatismi del potere della scienza e della medicina nella manipola- zione dell’uomo.

 La visione del futuro

• Ma veniamo al punto e guardiamo al futuro e a quello che si può fare. A me sembra che ciò che è mancata e che oggi va costruita è “una politica ecclesiastica

66 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gennaro Acquaviva della sinistra”, in particolare da parte di chi vuole rafforzare i valori e la forza del so- cialismo liberale, al fine di mettersi in sintonia con la novità che la situazione post 1994 tuttora conserva. Uso questa terminologia – politica ecclesiastica – che non mi piace, per cercare di mettermi in rapporto con la fase in cui essa ebbe l’onore del mondo, naturalmente in connessione con la storia del Pci. Nel 1974, di fronte al referendum sul divorzio, non solo Cisl e Acli, ma settori consistenti della stessa Azione cattolica non per caso presero posizione contro l’abrogazione della legge, al contrario di quanto sta avvenendo puntualmente in questi anni, in cui assistiamo da parte delle organizzazioni cattoliche ad una costante uniformità di intenti intor- no agli indirizzi del vertice ecclesiastico. Quello in sostanza che voglio sostenere è che la sinistra italiana ha un grande bisogno di studiare e capire e comprendere su quali basi si è venuta rafforzando l’influenza della Chiesa e delle sue ragioni nell’Ita- lia di oggi; e che questo sforzo di approfondimento e di ricerca comune è reso ur- gente ed obbligatorio dalla condizione attuale della politica e dalla collocazione delle forze in campo.

• Nasce da qui la proposta di inserire nel programma di rinnovamento della politica e nello sforzo collegato di ricostruirne le sue basi umane e ideali l’impegno a realizzare un rapporto positivo e collaborativo con i cattolici italiani, con la loro Chiesa, con chi oggi è chiamato a presiederla. Essa si fonda su alcune premesse: a) con il 1993-94 si è conclusa senza appello l’esperienza politica della Democrazia Cristiana, i cui destini erano evidentemente legati indissolubilmente al vincolo del- l’unità dei cattolici in un solo partito; b) le indicazioni dottrinali della Gerarchia cattolica pronunciate successivamente hanno reso palese, anche per il nostro Paese, la piena libertà di milizia partitica per tutti i credenti; c) la Chiesa italiana è oggi in una fase di riserbo ed anche di indeterminatezza, realtà che può anche nascondere un appiattimento conformistico rispetto alla crisi della politica ma che comunque lascia impregiudicato il futuro della sua azione anche rispetto agli strumenti del suo intervento, che quindi possono ancora orientarsi verso un rapporto, magari indi- retto ma autorevole e probabilmente decisivo, con la politica.

 Le culture e i valori per un rapporto nuovo

• Due ragioni sostengono la scelta di avviare con la Chiesa cattolica questo rapporto nuovo da parte di chi intende ricostruire una forza politica fondata sui principi e sulle pratiche del socialismo democratico, omogenee cioè a quelle realiz- zate nelle grandi democrazie dell’Europa negli ultimi cinquant’anni. Il primo è fondato sui valori profondi della tradizione socialista, che collocano l’uomo e la sua libertà, la sua socialità ed il suo benessere spirituale e materiale al centro della poli- tica, dando ad essa forti connotati solidaristici e antindividualisti. Il secondo è che i

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 67 Gennaro Acquaviva

Pastori della Chiesa italiana non possono continuare ad ignorare che le pur vaghe risposte di conservazione e di sostegno dei valori cristiani che la destra politica è stata in grado fin qui di assicurare, non sono esaustivi rispetto ad un orizzonte sem- pre più vasto della loro azione apostolica, soprattutto se rapportate agli impulsi “missionari” mossi dalla predicazione papale e tesi ad invertire le prevalenti spinte secolarizzanti. È per me inevitabile che questa problematica, per molti anni resa meno visibile dalla gestione accentratrice dell’ultimo presidente della CEI, sia de- stinata ad emergere, pur se gradualmente, con il passare del tempo anche indipen- dentemente dall’azione dei nuovi vertici della CEI.

• L’apertura di un confronto approfondito e seriamente condotto con la Ge- rarchia cattolica non potrà che partire da una richiesta esplicita di sostegno all’ope- ra di ricostruzione della politica e, per quel che riguarda la mia ottica, in essa speci- ficatamente di una forza politica di socialismo democratico, aperta al confronto con i valori cristiani e desiderosa di accogliere, con generosità, tra le sue file quei cattolici che intendono impegnarsi nella vita politica a partire dalla comune accet- tazione di finalità sociali e di progresso. Questa forza politica, di cui è in atto un processo costituente, dovrà naturalmente definire al suo interno una piattaforma di contenuti, a partire da quella che è corretto indicare come “tavola dei valori di una moderna piattaforma riformista”. Essa non potrà non affrontare temi centrali del futuro della nostra vita collettiva: quelli legati ai dilemmi umanistici circa gli orien- tamenti ed i confini da porre alle nuove possibilità della tecnologia; quelli connessi con lo spessore istituzionale ed il ruolo sociale da assegnare alle forme di organizza- zione sociale ed in specie al tema della famiglia; quelli legati alla relazione tra diritti individuali, doveri collettivi e spazio della solidarietà, in una visione matura della moderna convivenza liberale.

 L’auspicabile disponibilità della Chiesa

• Alle molte incertezze che potrebbero accompagnare l’azione di chi intenda impegnarsi come promotore di un’azione come quella sopra abbozzata, è utile ri- chiamare a premessa quella decisiva, legata cioè alla disponibilità o, prima ancora, alla praticabilità da parte dei vescovi italiani di una operazione del genere. Anche cioè dando per possibile la scelta da parte della Chiesa italiana di giungere all’accet- tazione di un confronto con parti organizzate della società politica, quella che an- drebbe esaminata preliminarmente è la possibilità concreta per i vescovi, di dare oggi corso operativo ed organizzativo ad una qualche forma di intesa e di coinvolgi- mento. È infatti evidente che nessuno dei potenziali interlocutori dell’ipotesi che ho prima descritto, neppure la Chiesa italiana in quanto tale, è oggi in una condi- zione paragonabile alla realtà del 1943-45, una condizione cioè che io considero

68 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gennaro Acquaviva per molti versi simile alla attuale; allora si era in una fase in cui, dovendo impegnar- si nella ricostruzione sia della politica che dei suoi strumenti, si aveva di contro, di- versamente da oggi, la certezza della disponibilità di uomini ed organizzazioni affi- dabili e di massa, pronte all’obbedienza, disponibili al sacrificio personale, capaci di accettare fino in fondo i costi ed i rischi di un impegno disinteressato. Oggi la Chiesa italiana non dispone più di propri strumenti “di massa”, anche lontanamen- te paragonabili a quelli degli anni ’40; essa è in grado di agire direttamente solo fa- cendo leva su un’area minoritaria del mondo cattolico, qual è quella rappresentata dalle organizzazioni di Azione cattolica basate sui nuclei parrocchiali; ed il suo rag- gio di influenza nell’impegnare i “movimenti” – che, ricordiamo, sono di matrice “spirituale” e tendenzialmente distaccati dall’impegno politico diretto – in un’azio- ne legata all’arena politica, è tutto da verificare e comunque appare molto proble- matico. Tutto ciò va tenuto presente nell’impostare la proposta da rivolgere ai verti- ci della Chiesa italiana; questo comunque, a mio parere, non toglie importanza a quanto detto più sopra e cioè che per gli individui ed i gruppi che ritengono urgen- te e necessario impegnarsi per la rifondazione della politica, l’appello alla Chiesa cattolica sia un’opportunità obbligata; così come, per altro verso, e cioè per i vesco- vi italiani, e in generale per i diversi protagonisti del mondo cattolico, l’impegno morale alla ricostruzione della politica di un Paese come l’Italia, se ben illustrata e percepita correttamente, potrebbe tradursi in una sfida da cui essi potrebbero sen- tirsi impossibilitati a sottrarsi, pena il venir meno del loro giuramento di “pascere il loro gregge”.

 Riaccendere le energie vitali

• C’è in Italia la convinzione diffusa che siamo un Paese non solo pieno di pro- blemi ma ormai troppo vulnerabile e fragile, ogni giorno ci sentiamo come soffoca- ti dal pessimismo, sembriamo ormai quasi condannati a dover soffrire un disagio sempre più profondo, pur nel permanere della nostra opulenza. Gli italiani vivono un male dell’anima apparentemente “più rassegnati che incarogniti”, come ci dice De Rita, con una costante inclinazione a vedere nero ma anche a non farsene una ragione. Proprio il più attento ed autorevole analista della società italiana, per di più un cattolico specchiato, parla oggi del pericolo di una distruzione “o più coe- rentemente di uno spegnimento del vitale che è stato parte integrante della nostra evoluzione storica”; ed aggiunge: “il traguardo finale del peggio sarebbe la perdita del vitale”. Cosa occorre ancora aspettare, una ennesima crisi devastante della politica, il fallimento dichiarato delle leadership appena riverniciate, uno sprofondamento sempre più cinico dell’antipolitica, per decidersi ad agire prima che sia troppo tardi?

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 69 Gennaro Acquaviva

La Chiesa in Italia ha una responsabilità storica così vasta che sopravanza qual- siasi pastorale illuminata e dotta, tutti i ruoli caritativi lodevolmente assolti, ogni particella di bene servito quotidianamente e disinteressatamente al popolo. Questa responsabilità va oggi assolta, prima che sia troppo tardi; questa storia va renumera- ta prima che tutto muoia nel languore. Anche se i laici cattolici preferiscono conti- nuare a curare il proprio orticello. Anche se Pio XII, Tardini e Montini (ma anche De Gasperi, Fanfani e La Pira) non sono più con noi.



70 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 I cattolici e la politica

GIANNI BAGET Alla domanda: “Quale partito o movimento politico BOZZO oggi può essere considerato l’interprete dei cattolici” verrebbe da rispondere che la domanda non ha senso. Teologo e Politologo Perché il partito dei cattolici appartiene ad un altro tempo storico: come si dice nel linguaggio patristico ad un altro “eone”. La famosa frase di Fukuyama “è finita la storia” significa almeno questo: che è cambiato il mondo.

 Il “secolo breve” ≈ • Eric Hobsbawn ha sostenuto che il secolo ventesimo è “La società un “secolo breve”, perché vede il 1914 come inizio del secolo mondiale include ventesimo con la prima guerra mondiale e lo avverte conclu- l’Occidente e la so nell’89. Naturalmente egli interpreta questo secolo come Cristianità in una centrato sulla nascita, sull’egemonia e sull’autodissolvimento unità dello spazio unico in tempi del comunismo sovietico: il secolo di Lenin. storici e culturali Quel secolo è finito, ma il tempo è continuato a scorrere diversi… è dopo il crollo del muro di Berlino ed è nata un’altra realtà: la policentrica e la società mondiale. In altre parole l’Europa ha cessato di essere sua massa critica sta in Asia. il centro del mondo e quindi il principio della sua interpreta- Sono problemi zione come storia. E anche il termine “storia” viene meno, interamente nuovi perché esso è legato alla lettura della civiltà europea come che richiedono evento unico che spiega la sua unicità nei tempi e quindi una coscienza proporzionata da consente il concetto di storia come idea unitaria. Si può dire parte di tutti i che con la fine della centralità d’Europa anche la “categoria cristiani europei storia” ha cessato di essere in uso. che vogliono Così è caduta l’interpretazione benevola della storia rimanere tali” umana, pensata come se avesse un disegno interiore e quindi ≈ portasse scritta in sé una finalità. L’idea di storia nasce da una trasformazione immanentista dell’escatologia cristiana, co- me se la città di Dio fosse costruita nella storia umana.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 71 Gianni Baget Bozzo

 Lo scontro di potere

• La realtà umana è tornata come sempre è stata pensata: uno scontro di pote- re senza finalità immanenti dopo che sono state consumate le categorie trascenden- ti. L’integrale comunicazione mediante l’economia e la telematica ha reso il mondo un luogo abitato come comune spazio da civiltà interamente diverse secondo i tem- pi. Le differenze storiche sono divenute realtà paritarie ugualmente presenti e egualmente relazionate. Questo avviene mentre la tecnica fa superare all’uomo il limite del corpo uma- no e rende inesauribili le capacità di conoscenza: quelle legate non al corpo ma alla mente. Può indagare la realtà del cosmo dal massimamente grande al massimamen- te piccolo come un processo che non conosce fine, come se la conoscenza umana fosse infinita e infinita la realtà che ne è oggetto, sempre aperta a livelli che vanno del tutto oltre l’esperienza sensibile. Lo spazio unico che unisce tutti i tempi è l’esperienza nuova per l’umanità: e si congiunge con il momento in cui la conoscenza umana supera il concetto stesso di limite. La realtà in cui noi viviamo e il senso che ci tramanda ci lascia nell’assoluta insicurezza perché nel momento in cui l’uomo può conoscere tutto diviene incerto su chi egli sia, che tipo di cosa sia. Ma è certo che l’Europa e lo stesso Occidente, che hanno prodotto il formarsi della città mondiale, vengono marginalizzati dalla loro opera stessa: e altri subentrano nel mondo della potenza e sono tutte culture che non hanno il concetto della realtà come storia umana.

 L’Asia e i tempi nuovi

• La massa critica dei nuovi tempi sta in Asia, dove la Cina diviene una grande potenza capitalista che rende possibili la stabilità delle monete anche occidentali e permette lo sviluppo del sistema, anche quando la locomotiva del mondo, cioè gli Stati Uniti, hanno cessato di essere propulsivi. L’India è divenuta la chiave delle tec- nologie informatiche, cioè delle forme d’interpretazione di struttura della società. Le loro masse umane, toccate solo parzialmente dal nuovo ruolo delle loro econo- mie e delle loro tecnologie, pesano però sulla realtà in cui la conoscenza umana, an- che quella del singolo uomo, è una chiave per la crescita del sistema che è essenziale alla sua stessa esistenza, alla sua permanenza nell’essere.

 Il Cristianesimo nella società mondiale

• La cultura che ha prodotto la società mondiale, sia come determinazione del- lo spazio unico che come indefinita potenza della conoscenza e dei suoi esiti tecno-

72 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gianni Baget Bozzo logici, è il Cristianesimo. L’annuncio della vita divina conferita all’uomo nella fede ha reso possibile la comprensione del mondo come unità universale aperta alla fede in Cristo. Ed ha, al tempo stesso, prodotto la demitizzazione del reale per cui sono caduti gli dei. Le cose sono viste come reali in se stesse, non come proiezione nella realtà trascendente. Il Cristianesimo ha unificato il mondo, costruendo lo spazio unico con l’universalità delle sue tecniche e ha aperto alla mente la conoscenza di tutta la realtà, una conoscenza che determina la creazione di tecnologie radicali. Questa società mondiale e tecnologica si è staccata dal Cristianesimo come dal vei- colo che l’aveva accompagnata nello spazio unico e che ora, per rimanere fedele al- l’unità della società mondiale e all’espansione indefinita della tecnologia, era obbli- gata a lasciare. Ancora una volta, ma in forma assai diversa, torna il concetto che occorre separarsi dal Cristianesimo per poter realizzare tutte le premesse e le pro- messe dell’umanità. Queste osservazioni vogliono dire che siamo entrati in un tem- po assai diverso da quello conosciuto nel ventesimo secolo. E che tutti i concetti usati in quel secolo sono divenuti desueti per comprendere ciò che l’umanità vive oggi, anche nella politica ed anche nella politica italiana.

 I cattolici per la democrazia

• Il secolo ventesimo è dominato dalla contesa tra le finalità assolute e le proce- dure regolanti. La democrazia non è un valore assoluto, è una procedura regolante. I cattolici nel secolo XIX hanno avuto difficoltà ad accettare la democrazia perché essa si presentava come una finalità assoluta, salvifica. Nel secolo XIX liberalismo e demo- crazia come assoluti politici contrastavano la religione cristiana nel fondamento dot- trinale, il primato di Dio creatore e provvidente e quindi la redenzione dell’uomo operata da Gesù Cristo. Perché queste cose cambiassero, occorreva venisse la prima grande crisi del moderno e cioè la prima guerra mondiale. Uomini che condivideva- no idee comuni su nazione, Stato e democrazia si combatterono corpo a corpo con la baionetta nel terribile inferno di una guerra mondiale. Nazione, Stato e democrazia non sono più forme salvifiche universali perché hanno costituto il fondamento di lot- te mortali tra uomini che condividevano questi valori. Qui cominciò la crisi del mo- derno e quindi cessò l’idea di discriminare i cattolici in base alla modernità come as- soluto. Dopo la prima guerra mondiale, la modernità non è più un assoluto. La crisi della modernità si esprime nei fascismi che negano la modernità e fan- no del ritorno al premoderno l’essenza del loro messaggio. Ciò avviene in forme di- verse. La forma fascista, in alternativa alla Roma cattolica, professa il ritorno alla Roma imperiale come pagana e come custode di quell’universalità del diritto che Roma ha portato nel mondo da essa dominato. Il premoderno però in questo caso è una tradizione civile che può essere giustamente considerata la fondazione del moderno.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 73 Gianni Baget Bozzo

• Con il nazismo avviene un ritorno alla Germania di Tacito come chiave della volontà barbara del dominio razziale. Proprio il nazismo e il comunismo rendono inevitabile l’adesione dei cattolici alla libertà e alla democrazia, visti non come asso- luti ma come procedure che, nella stessa limitazione del loro significato nella paro- la che assumono, sono la chiave storica della demitizzazione del potere e la difesa della libertà e della persona come valori assoluti, quindi come verità. I partiti de- mocratici dei cattolici nascono dalla comprensione che la democrazia è una proce- dura garante della libertà e dell’eguaglianza delle persone e quindi è propedeutica alla verità cristiana e ai valori civili che sono l’anima della cultura europea. Il fine dei partiti cattolici è quello di esprimere al mondo il valore universale della demo- crazia come forma procedurale della libertà. I partiti cattolici compiono la loro missione nel “secolo breve”, rendendo possibile una compenetrazione tra il valore della modernità e la verità della religione cristiana.

 Un tempo di cambiamento

• La Chiesa vive, dopo il “secolo breve”, il tempo del suo impianto nella società mondiale assumendo la forma in cui essa si presenta. E cambiano i problemi della Chiesa nel mondo: non è più l’accordo con la modernità sul piano delle istituzioni politiche il problema, ma è quello del rapporto della Chiesa con i problemi posti dalla scienza e dalla tecnologia che operano pienamente in tutta la realtà del corpo umano e della sua coscienza e con quelli posti dalla sfida di altre religioni universa- li tra cui fondamentale è il nuovo attacco dell’Islam alla Cristianità. I problemi non riguardano più i rapporti della Chiesa con lo Stato e dei cattolici con le istituzioni moderne ma l’esistenza stessa della Chiesa in una cultura in cui la scienza e la tec- nologia hanno possibilità infinite; e in cui appare l’avversario antico e conosciuto, l’Islam, divenuto una potenza nuova e straordinaria di cui i mezzi di comunicazio- ne sociale rivelano la potenza mondiale di mobilitazione.

• La cultura occidentale sostiene oggi, in correnti rilevanti, che la Chiesa è in- compatibile con lo sviluppo scientifico e tecnologico e con la concezione dei diritti umani indipendentemente dalla tradizione. Come è inevitabile proprio perché è in gioco l’essenza e l’esistenza della Chiesa, il ruolo di guida dei cattolici è stato assun- to direttamente dal Papa e sostenuto dai vescovi. Il problema dei partiti cattolici era importante nei giorni in cui il problema era la democrazia, non nei giorni in cui è in gioco l’esistenza stessa del Cristianesimo. I partiti democristiani si sono modifi- cati in partiti secolari, (liberali o conservatori), opposti alle sinistre, nella cui area politica incide il nuovo anticristianesimo occidentale.

• La questione del Cristianesimo come tradizione storica europea e occidenta- le è stata sostenuta dai partiti di destra e avversata da quelli di sinistra, ma ha dovu-

74 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gianni Baget Bozzo to essere integrata in una difesa dei valori tradizionali, delle “radici cristiane”, visti dunque non come fatti religiosi ma come fatti culturali. Le democrazie cristiane europee sono secolarizzate, ma non laicistizzate. I partiti di destra sono rimasti le- gati alla tradizione cristiana, anche quando hanno abbandonato il rapporto con la confessione. Il partito cristiano, nel senso di partito confessante, non ha sopravvissuto agli anni ’70. In Italia la cultura cattolica è stata influenzata dalle varie ondate del marxismo: da quelle del Pci negli anni ’50 a quelle del dissenso degli anni ’60 a quelle della rivoluzione negli anni ’70. Ciò ha lasciato la Dc dagli anni ’60 in poi senza il supporto culturale da parte del mondo cattolico. Questo sradicamento è forse causa non piccola della decadenza del costume e del venir meno del consenso morale. Ciò ha reso possibile l’intervento della procura milanese che condusse la Dc all’autoscioglimento. Essa rinacque come Partito popolare ma in forma assai minoritaria ed è divenuta dipendente dal partito postcomunista, l’unico salvato dall’intervento di Mani Pulite. Anche il Psi, che con Bettino Craxi aveva firmato un nuovo concordato, e che aveva valorizzato l’Italia come nazione in modo assolu- tamente nuovo per la sinistra, venne travolto. Mentre negli altri partiti europei ciò che rimaneva della tradizione dei democristiani rimase in qualche forma, in Italia la Dc, partito sostenuto dall’unità dei cattolici proclamata dalla gerarchia ecclesiasti- ca, venne distrutta.

• Il cambiamento totale del nuovo “eone” mostra che la fine dei partiti demo- cristiani avvenne nella società prima dell’89 per la secolarizzazione della cultura in chiave non ancora anticristiana. La società mondiale include l’Occidente e la Cri- stianità in una unità dello spazio unico in tempi storici e culturali diversi; l’Occidente che era il centro del mondo e l’erede della Cristianità, oggi diviene solo una parte, pur determinante, della società mondiale. La società mondiale è policen- trica e la sua massa critica sta in Asia. Sono problemi interamente nuovi che richie- dono una coscienza proporzionata da parte di tutti i cristiani europei che vogliono rimanere tali.

 Berlusconi

• Il caso Berlusconi domina la politica italiana del ’94: e continua a dominarla nel 2007. Il fenomeno è singolare perché si tratta sicuramente di un carisma perso- nale, in sostanza non trasmissibile. Ma d’altro lato la forma partito è mutata: in tut- to l’Occidente il rapporto politico passa tra un leader e i mezzi di comunicazione sociale, soprattutto la televisione. È una forma di democrazia diretta, che ha sosti- tuito la figura del partito delle tessere e delle sezioni dotato di una sovranità sui suoi iscritti. Personalizzando la sua politica, Berlusconi è riuscito a creare una forma

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 75 Gianni Baget Bozzo mobile che rimane però identica a sé stessa negli anni e convoglia così elettorati cambiati per il corso delle generazioni. Berlusconi è intervenuto in politica nel ’94 per salvare i partiti democratici dall’esecuzione politica da parte della magistratura e dei postcomunisti. Egli ha realizzato ciò che accadeva anche ai partiti democri- stiani europei, cioè la loro secolarizzazione. Essa non significava la loro laicistizza- zione, come era invece accaduto nei partiti socialdemocratici europei. La Dc italia- na aveva alle spalle ormai un elettorato in cui il motivo religioso non era più domi- nante. Del resto, sin dalle origini, con De Gasperi, la Dc aveva creato un partito ri- volto non ai cattolici, ma agli italiani e quindi aveva per prima iniziato la secolariz- zazione del partito tra “cattolici” come si definiva il Partito popolare di don Sturzo. Questa secolarizzazione poteva avvenire in forma non drammatica se non ci fosse stata un’operazione violenta come Mani Pulite.

• Perché sia avvenuta tale operazione che distruggeva sia i democristiani che i socialisti, cioè i partiti occidentali, è ancora un mistero italiano, come quello del- l’assassinio di Aldo Moro. Fu un fenomeno eterodiretto, che ebbe per epicentro la stampa e soprattutto il giornale dei misteri, il «Corriere della Sera». La decisione di Berlusconi di candidarsi fu un provvedimento di emergenza. Egli ripetè la mobilitazione anticomunista che era stata quella di De Gasperi nel ’48 parlando un linguaggio che la Dc da decenni non parlava più. Che egli avesse successo voleva dire che un linguaggio secolarizzato parlava meglio al popolo e sfuggiva alla presa comunista. Raggiungeva il popolo italiano nella sua composizio- ne media, che, con un linguaggio approssimativo, si poteva chiamare moderato in contrapposto a rivoluzionario.

• La Casa delle libertà ha espresso una protesta contro la Dc come partito auto- referenziale che gestiva lo Stato assieme ai comunisti. E fu questo il modo di evitare il massacro dei dirigenti democristiani da parte dei procuratori della Repubblica ita- liani e, al tempo stesso, il modo per sostituire il tradizionale con un so- lo partito. Era una soluzione che solo la grave crisi che portava all’autoscioglimento dei partiti democratici poteva determinare. Con la Casa delle libertà avviene così che fu possibile secolarizzare i partiti di centro in un partito che non aveva ideologie, ma che si fondava sul primato della libertà e voleva liberare lo Stato dal potere del- l’apparato delle sinistre, a cominciare da quello dei sindacati. Ci fu un cambiamento che si sarebbe rivelato adatto ai giorni della globalizzazione. Il cambiamento radicale rispetto al partito democristiano era la fine dell’incidenza della sinistra in chiave sta- talista sulla Dc. In realtà questa incidenza era già avvenuta sul piano della Costitu- zione, che aveva espresso la Repubblica, cioè lo Stato, come principio creatore di tut- ti i processi sociali. Avveniva sulla Dc l’influenza congiunta sia del fascismo che del- la socialdemocrazia. E il centro dell’influenza era l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano da cui provenne il quartetto che diede forma alla Dc italiana dopo

76 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gianni Baget Bozzo

Alcide De Gasperi: Dossetti, Fanfani, Lazzati e La Pira a cui si aggiunse Aldo Moro. Ciò conduceva a fare della Dc un partito dell’intervento pubblico dello Stato sino al punto che Togliatti presentò come elementi del socialismo reale in Italia le industrie pubbliche, in particolare l’Iri e l’Eni. Del resto, dopo il Concilio una eguale influen- za si sarebbe esercitata nella Chiesa a partire soprattutto dagli eventi del ’68.

• È un elettorato secolarizzato ma non laicista che Berlusconi ha tratto dalla crisi della Democrazia cristiana, un elettorato che sentiva profondamente i temi della tradizione. E Berlusconi riuscì, reinserendo la Lega Nord nell’unità nazionale e legittimando l’Msi nella democrazia, a costituire un partito della società italiana alternativo alla sinistra e alla cultura marxista e postmarxista in Italia. Berlusconi ha ottenuto il consenso dell’elettorato cattolico, ma non ha avuto il supporto della cultura cattolica, ancora legata alla lunga influenza della sinistra sul- la Chiesa e sulla società. Quello che Berlusconi valorizzava erano le piccole e medie imprese che costruivano la base dell’economia italiana e del suo inserimento nel mondo. Il paese usciva dal primato della politica e dall’esaurimento di essa nei limi- ti dello Stato nazionale e si apriva a comprendere la realtà del sistema Italia nella globalizzazione: cioè che solo mediante l’acquisto di mercati il sistema politico so- ciale italiano poteva continuare e sopravvivere. Era un cambio culturale che il mon- do cattolico italiano non aveva compiuto, racchiuso come era nello statalismo della sinistra. Per vivere occorreva creare, lavorare ed esportare. Era un realismo econo- mico che distruggeva la mitologia politica dello statalismo e della sinistra come for- za egemone, che aveva invischiato l’Italia, sino a farne il paese più vicino al sociali- smo reale di tutti gli altri paesi europei, ed ora in parte anche di quelli dell’Est libe- rati dall’influenza sovietica.

• La cultura cattolica e quella democristiana, legate allo statalismo della sini- stra non potevano parlare politicamente il linguaggio del privato, dell’impresa, del- l’economia, della competizione. Il grande cambiamento avviene nell’economia, nella politica e nel linguaggio. Il mondo cattolico nel suo insieme non ha perciò compreso il fatto Berlusconi e guarda ancora la sinistra come un linguaggio legitti- mante. Se guarda verso Berlusconi, si sofferma su Casini e sull’Udc, ma Casini ha puntato sulla liquidazione di Berlusconi costruendo il subgoverno Fini-Follini e obbligando Berlusconi alla crisi di governo. Berlusconi vinse le elezioni parlando di comunismo e di tasse e facendo riferimento all’egemonia della sinistra sulla cultura, del vasto potere burocratico del Pci, dai giornali ai sindacati, alle cooperative. Mise l’accento sul fatto che la maggioranza Prodi non poteva che rimanere fedele al prin- cipio “tassa e spendi” perché non poteva ridurre la spesa pubblica per tanta parte ad essa legata. Casini pensava di uscire dalla Casa delle libertà creandosi un supporto esterno al centrosinistra alternativo aggiunto a Rifondazione. Non è stato possibile perché il popolo di Berlusconi è rimasto fedele a Berlusconi anche dopo la sconfit-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 77 Gianni Baget Bozzo ta elettorale per un soffio. E grazie all’abitudine comunista a controllare capillar- mente i seggi elettorali.

• Non è un caso che la legislatura della Casa delle libertà, appunto perché seco- larizzata ma non laicista, sia la legislatura che nella storia della Repubblica ha emes- so leggi favorevoli alla Chiesa cattolica: particolarmente quella, assai controversa e discutibile, della legge sulla fecondazione assistita con l’obbligo del reimpianto a cui la sinistra si è opposta con un referendum che il cardinale Ruini ha fatto vince- re al no, non mediante il voto affermativo ma mediante l’astensione dal voto. Que- sto mostra che l’adesione di principio alle tesi della Chiesa non è militante. Forza Italia è dunque il partito che ha salvato la continuità con la Dc mediante l’intervento straordinario che ha creato una forza politica che accetta la libertà co- me valore fondamentale e la giustifica, anche nei suoi componenti laici, con le radi- ci cristiane d’Europa. Nella sinistra il laicismo dominante è destinato a crescere, non basteranno i popolari a fermarlo. La Casa delle libertà è una forza laica e cristiana che accetta, in un tempo in cui la fede cristiana è in diminuzione nei pensieri e nelle pratiche, di far valere la tradi- zione come principio dell’identità politica nel primato della libertà.



78 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Cattolici e laici nel Partito democratico

«Civitas»: Le statistiche indicano che negli ultimi anni Intervista a è diminuito il numero dei cattolici che votano per il centro PAOLO CORSINI sinistra. Sembra dunque in atto uno spostamento del voto Sindaco di Brescia cattolico verso il centro destra. Il Partito democratico come intende contrastare questa tendenza? a cura di CARLO GIUNIPERO Paolo Corsini: Come suggeriva Pietro Scoppola, già ne- Ricercatore ISPI - gli anni ’50, in Italia c’è un rapporto estremamente significa- Istituto per gli tivo tra la crescita della coscienza religiosa e lo sviluppo della Studi di Politica democrazia, un intreccio molto forte tra storia civile e storia Internazionale religiosa, anche se oggi i processi di secolarizzazione, il disin- canto, la mondanizzazione hanno determinato una condi- zione minoritaria, sotto il profilo culturale, dei cattolici ita- liani. Ma se non c’è più la Democrazia cristiana, è praticabile la democrazia dei cristiani, come ha scritto Scoppola, e se, da ≈ un lato, si deve riconoscere il valore della democrazia come strumento di regolazione dei problemi della convivenza e de- “Credo che una gli interessi, dall’altro, sono convinto che la democrazia non convivenza sia può prescindere da un’ispirazione religiosa, come già scrive- possibile se… c’ è una sinistra che va Tocqueville. Non c’è dubbio che la conclusione della sto- sappia recuperare ria della Democrazia cristiana sia stata molto diversa da quel- una dimensione di la del Pci o dalla crisi che attraversa la socialdemocrazia con- apertura alla so- temporanea. Il Pci è finito in ragione di un fallimento stori- cialità... e una presenza di co, mentre la socialdemocrazia è oggi in crisi in ragione di un cattolici, di compimento della sua funzione: ha mantenuto le sue pro- credenti che messe, ma è in difficoltà a dare un’interpretazione della com- vedano nella plessità, ad interpretare il presente ed il futuro. La fine della mediazione politica il punto di Dc è dovuta a uno sradicamento – la politica del Preambolo soluzione delle (il Preambolo del documento finale approvato dal Congres- controversie” so della Dc del 1980, che sancì la fine della politica di solida- rietà nazionale NdR) ha sostanzialmente tentato di margina- ≈ lizzare la tradizione cattolico-democratica – che non signifi-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 79 Paolo Corsini ca affatto, in nessun modo la fine del valore democratico e del principio cristiano. Il principio democratico e cristiano ha un futuro e quindi il problema che noi oggi abbiamo di fronte come credenti è attraverso quali forme, attraverso quale media- zione culturale, attraverso quale iniziativa politica dare un futuro al principio de- mocratico e cristiano. Ora non c’è dubbio che l’elettorato cattolico, il quale peraltro in misura ancora significativa continua a votare per le formazioni politiche del centro sinistra, so- prattutto negli ultimi anni, si sia orientato in modo consistente verso il centro de- stra. Sono molteplici le ragioni di questo processo e di questo fenomeno, ma ce ne è una particolarmente significativa: paradossalmente, era più facile per un cattolico dialogare ed interloquire con il Pci di quanto non lo sia oggi con l’attuale sinistra italiana, la quale sembra essere sempre più immemore della sua vocazione alla so- cialità, al tema, diciamo così, del riscatto del lavoro, alla possibilità di promuovere una società solidale, forte di legami umani. Oggi, mentre sembra scivolare sempre più verso una cultura di impronta radicale e individualistica, la sinistra sposa so- prattutto i temi dei cosiddetti diritti civili e così sembra volgere la propria attenzio- ne alla soggettività dell’individuo più che ai grandi fattori di socialità. C’è poi una seconda motivazione fondamentale. Con Giovanni Paolo II è maturato nel mondo cattolico un forte giudizio critico sull’esperienza della sinistra, non solo nei Paesi che una volta si chiamavano del socialismo reale ma anche in tutta Europa. Con Benedetto XVI, poi, questa critica si è ulteriormente accentuata investendo soprat- tutto le tematiche della soggettività, penso soprattutto alla sfera della sessualità. In tutto questo, naturalmente, vedo da parte di noi cattolici anche una buona dose di farisaismo e di ipocrisia, insomma ho l’impressione che i cattolici oggi rischino di dissociare la loro morale privata dalla morale pubblica. a cui guardo con grande interesse, ha rilasciato una battuta efficace al «Corriere della Se- ra», a un giornalista che gli chiedeva, “ma lei partecipa al Family day?”, rispondeva, “no, non posso partecipare perché io ho una moglie da quasi cinquant’anni”. Il problema è che oggi la sinistra ha perso la nozione di popolo e quindi la “nazione cattolica” che è anche un popolo fa fatica a riconoscersi nella sinistra italiana. Per quanto riguarda il Pd, una cartina al tornasole sarà la carta dei valori, il co- dice etico, inteso non come strumento di regolazione della vita del partito, ma co- me riferimento ideale, valoriale. Non c’è dubbio che il Pd – che nasce sostanzial- mente dalla confluenza tra Margherita, Ds e repubblicani europei, anche se poi se- gnano una significativa presenza anche spezzoni di società civile, singole persona- lità – deve dare una risposta a questo problema, perché se il Pd si orienterà e scivo- lerà sul piano inclinato di questa soggettività individualistica, rischierà di tagliare i ponti con i cattolici o, comunque, di non avere reali canali di comunicazione con loro, di non riuscire ad interpretarli. E io credo che sia questa una grande responsa- bilità, perché reputo che la storia del cattolicesimo democratico in Italia, in forme nuove, deve avere un futuro.

80 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paolo Corsini

C.: Secondo lei i cattolici saranno sempre più attratti da un partito moderato che guarda al centro destra?

P. C . : In un sistema bipolare, i cattolici si schiereranno e si dislocheranno su due schieramenti, e non c’è dubbio che c’è una forte tradizione cattolica moderata. Ma c’è anche un cattolicesimo della moderazione e sono due cose distinte e diverse. Il cattolicesimo moderato risale alla tradizione del moderatismo, il cattolicesimo della moderazione ad una tradizione cattolico democratica. Reputo che finita la Democrazia cristiana, un progetto ormai improponibile nel sistema bipolare – e per l’evoluzione del sistema politico, i rapporti internazionali, la fine del comuni- smo – il tema dell’unità dei cattolici non si porrà più in politica. Ma sarà difficile perseguirlo anche su quelli che sono i valori non negoziabili, perché un valore ri- manda pur sempre ad una mediazione storica che va realizzata e quindi anche su questo ci sarà probabilmente differenziazione. Quando sento parlare cattolici di schieramento politico opposto, ostili tra loro, che invocano l’unità su principi non negoziabili, mi pare che questo atteggiamento possa valere in campo culturale, in campo di elaborazione teorica, ma in sede politica il tema si pone diversamente, perché il principio va sempre storicizzato; c’è pur sempre una cultura politica che lo interpreta, c’è pur sempre una struttura politica che lo invera.

C.: Secondo lei, c’è un orientamento verso certi valori che condurranno an- che l’elettorato cattolico a decidere il voto proprio in base a questi?

P. C . : Vedo da un lato una spiccata reattività nei confronti della cultura del desi- derio, del bisogno che dovrebbe diventare norma sulla base di un individualismo spesso, peraltro, paradossalmente, anomico; dall’altro lato, invece, non vedo altret- tanta sensibilità nei confronti delle forme di neo paganesimo che caratterizzano la società contemporanea, e cioè in particolare quelle culture neo tribali del luogo, quelle pratiche di egoismo appropriativo che altro non sono che neo paganesimo. Non vedo la Chiesa sufficientemente reattiva, e mi pare che sentiremo sempre come cattolici il bisogno di voci autorevoli e di testimonianze probanti che alimentino la vita di una Chiesa vigile e critica. Ho l’impressione che qualcosa si sia esaurito e che ci sia un qualche spegnimento in corso di una tradizione conciliare che aveva cultu- ralmente e teologicamente elaborato i fattori che consentivano una reazione rispetto a questa deriva neo pagana. Mi pare che il neo paganesimo diffuso non trovi nella Chiesa oggi un contrasto adeguato. Mi pare però anche che le due encicliche di Be- nedetto XVI Deus caritas est e Spe salvi facti sumus, aprano spiragli che giudico estre- mamente interessanti per una ripresa della testimonianza della Chiesa in Italia. E poi trovo che esistano gruppi, realtà, singoli sacerdoti, personalità, uomini di cultura che svolgono un ruolo prezioso per la vita civile di questo Paese.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 81 Paolo Corsini

C.: Che cosa pensa delle esperienze come quelle di Savino Pezzotta, di Bruno Tabacci, cioè l’idea di nuove formazioni che siano espressione…

P. C . : Ci sono due aspetti del problema. Il primo aspetto è questo: è pensabile che in Italia i cattolici non abbiano forme di rappresentanza politica? Si pensi so- prattutto all’esperienza del sindacato, dell’associazionismo, del volontariato cattoli- co: come è possibile non dare a tutto ciò una forma di rappresentanza politica? Do- po aver risposto a questa domanda, si può poi studiare in quale modo, in quali con- tenitori e attraverso quali declinazioni ciò possa avvenire. Ma non c’è nessun dub- bio che questo è un problema che va risolto, in particolar modo da parte del centro sinistra. Il centro destra lo ha risolto, in chiave un po’ neogentiloniana. Io sono molto critico nei confronti dei laici bigotti e degli atei devoti. Vedo che oggi l’ateismo devoto è particolarmente diffuso: alcuni suoi interpreti sono molto noti, come Marcello Pera, di cui basta leggere quello che scriveva dieci anni fa e quello che scrive oggi per constatare come è cambiato, e per molti versi qualcosa di simile è accaduto a Galli Della Loggia, il quale scriveva tempo fa, in una raccolta di saggi sull’Italia repubblicana pubblicata da Einaudi, che l’unica cultura che i cattolici hanno dato al nostro Paese è quella dei bigliardini degli oratori, mostrando nei confronti dei cattolici una totale sordità e sottovalutazione, mentre oggi esprime un’enfatizzazione che mi sembra abbastanza strumentale. L’altro aspetto del pro- blema riguarda la dinamica del sistema politico e cioè il problema di come sia pos- sibile, in un sistema politico bipolare incompiuto e spurio, una rappresentazione della tradizione cattolico democratica che è la tradizione più viva del cattolicesimo impegnato in politica in questo Paese. Dunque, non c’è dubbio che Tabacci e Pez- zotta pongano una domanda fondata. Io non so quale sia la loro risposta a questa domanda e cioè quale sia il loro progetto, ma non credo che vogliano formare un nuovo partito. In ogni caso, ritengo personalmente che, di fronte ad un pluralismo politico attuale dei cattolici assolutamente diverso dalla vecchia diaspora, promuo- vere un nuovo, ennesimo piccolo partito sarebbe improprio rispetto anche ai fini che si perseguono. Se il fine è quello di dare visibilità a una presenza organizzata dei cattolici nel nostro Paese, dar vita a un piccolo partito, non mi sembra una soluzio- ne auspicabile.

C.: Quindi, anche quando si parla di sistema elettorale proporzionale secon- do lei comunque l’opzione di un partito democratico che raccolga anche i cattoli- ci è quella che deve prevalere?

P. C . : Questa è la mia convinzione per il centro sinistra, poi per quanto riguar- da il centro destra…

82 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paolo Corsini

C.: Come crede che possano convivere due sensibilità così diverse, quella dei cattolici e quella della sinistra all’interno del Partito democratico? Mentre la Chiesa sembra avere sempre più una presenza pubblica diretta, qual è la posizio- ne di un cattolico all’interno del Partito democratico?

P. C . : Più che una convivenza, personalmente auspicherei una sorta di sartriana comunità di fusione nel Partito democratico. Credo che questo sia possibile se, da un lato, non c’è un irrigidimento ideologico ed i problemi non vengono affrontati soltanto nei termini di petizioni di principio, se, cioè, c’è una sinistra che sappia re- cuperare una dimensione di apertura alla socialità; dall’altro, se c’è una presenza di cattolici, di credenti che vedano nella mediazione politica il punto di soluzione del- le controversie, fermo restando che, nei casi estremi, mi sembrerebbe opportuno affermare e riconoscere il primato della coscienza. Resta sempre ferma per un catto- lico una doppia fedeltà che va naturalmente riconciliata e ricomposta, cioè la fe- deltà alle proprie convinzioni di fede e la fedeltà alle soluzioni politiche possibili, praticabili. Ma è sul terreno della politica che va trovata la soluzione. Vorrei richia- mare la vicenda del divorzio. La chiave di interpretazione del problema del divorzio che dettero i cattolici democratici per il no, capeggiati da un maestro come Pietro Scoppola, è una chiave che oggi può essere riproposta; così pure, un’interpretazione del tema dell’aborto che non lo presenti come un diritto civile, ma come esigenza di una legislazione che ponga rimedio ad una esperienza comunque sempre doloro- sa e mortificante. Sul secondo punto, non c’è alcun dubbio che l’esperienza religiosa ha una va- lenza pubblica, lo vediamo a maggior ragione nel tempo del multiculturalismo reli- gioso, direi che è ormai dirompente, prorompente. Persino il laicista più impeni- tente, persino il laicista più clericale, perché il laicismo è una forma di clericalismo laico, non può non vedere questo dato. Dunque va riconosciuto lo spazio pubblico della religione, naturalmente nel rispetto della distinzione di ruoli e della laicità dello Stato, di uno Stato, come il nostro, che è laico in quanto democratico e plura- lista. Ma il ruolo della Chiesa come magistero, come coscienza dell’umanità, come richiamo a un sistema di principi non mi pare possa essere messo in discussione. Naturalmente, il punto della mediazione politica è centrale: la mediazione politica è il luogo nel quale è possibile la convivenza o la comunità di fusione. Per quanto riguarda la classe dirigente, io vedo un depauperamento della classe dirigente e so- prattutto della sua statura culturale in questo Paese e vedo che c’è una certa sordità, c’è una certa indifferenza, c’è una sorta di agnosticismo politico. Direi che se penso alla Costituente, alla tradizione del Pci, a Togliatti e al discorso di Bergamo, credo che assistiamo al paradosso di una sinistra sempre meno ideologica, sempre più pragmatica, ma che rinuncia a interrogarsi sul valore del dialogo sui grandi temi, sui grandi principi, sul destino dell’uomo, su quelli che sono i fondamenti della de- mocrazia. La democrazia non può non avere un fondamento religioso, perché altri-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 83 Paolo Corsini menti la democrazia se è soltanto un sistema di regole, non ha più qualcosa che la fondi e non ha più qualcosa che la giudichi.

C.: Nella insufficienza di rapporti tra forze politiche e mondo cattolico, c’è una timidezza dell’associazionismo cattolico o una tendenza presente nel Partito democratico che va in un’altra direzione?

P. C . : C’è l’uno e l’altro. Da parte di molte realtà cattoliche c’è un atteggiamen- to spesse volte strumentale nei confronti della politica: chiedono alla politica un’a- desione formale, ossequiosa, ed esteriore, chiedono il laicismo bigotto o l’ateismo devoto. Dall’altro lato, invece c’è da parte dei politici una sorta di depauperamento culturale, una incapacità di interrogarsi sulle provocazioni che il fatto cristiano pro- pone anche alla politica. Ciò avviene perché non c’è più educazione alla politica, formazione alla politica e oggi in Italia “un Marcel diventa ogni villan che parteg- giando viene”, per dirla con Dante.

C.: All’interno del Partito democratico, la componente cattolico democratica sarà subalterna, così come è sembrato negli ultimi mesi o avrà la possibilità di af- fermarsi maggiormente?

P. C . : Credo che sia una partita aperta. So che la politica è lotta per il primato, per la gestione del potere, per l’assunzione della responsabilità di governo, è certa- mente questo. Però guarderei con un certo sospetto nel Partito democratico la fos- silizzazione delle correnti, e cioè i cattolici da una parte gli ex diessini dall’altra, gli ex margherita o ex popolari da una parte e gli ex diessini dall’altra. È vero che Vel- troni sta cercando un’operazione di mixofilia, direbbe Bauman, e cioè di cultura della mescolanza, di amore della mescolanza. Credo che questa sia la strada da per- correre in nome di una mediazione politica possibile.

C.: Un partito come quello democratico, a vocazione maggioritaria, non do- vrebbe elaborare maggiormente un progetto sul ruolo complessivo della Chiesa e dei cattolici, come hanno già fatto gli altri principali politici italiani, Cavour, Giolitti, De Gasperi?

P. C . : C’è una scelta che il Partito democratico non deve assolutamente fare, quella di una sorta di nuovo patto Gentiloni del tutto strumentale. È un problema di fondo, di una cultura politica che non sia né agnostica, né indifferente, ma che guardi al mondo cattolico come a una riserva, un giacimento di valori, questo è il

84 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paolo Corsini punto. Se nel Partito democratico prevale questa convinzione, allora va da sé che ne scaturiranno politiche adeguate.

C.: Passando ai programmi politici, la sicurezza è una dei temi dibattuti al- l’interno del Partito democratico e non ci sono state remore a parlare di tolleran- za zero. Che differenze ci possono essere su questo tema tra un Partito democra- tico e le forze del centro destra su questo terreno?

P. C . : È evidente la differenza, e cioè che il centro destra si ispira a una ideologia di tipo securitarista e il Partito democratico tarda a interiorizzare una cultura non so- ciologistica dei problemi della sicurezza, e cioè la consapevolezza che i problemi del- la sicurezza sono indotti da fattori di modernizzazione, non di arretratezza: la insicu- rezza non è il frutto di condizioni sociali disagiate o subalterne. Quindi credo che il Partito democratico dovrebbe assumere pienamente la bussola della sicurezza come orizzonte di libertà e di democrazia ed acquisire compiutamente il principio che la sicurezza appartiene anche alla giustizia, non tanto intesa come ordinamento, ma come sistema di opportunità e di capacità concrete riconosciute a tutti. Credo che il Partito democratico erediti un qualche ritardo in ordine a questo problema.

C.: È soddisfatto di come è stata affrontata nel dibattito del Partito democra- tico la “questione settentrionale”?

P. C . : No, è stata affrontata con notevolissimo ritardo, non sono per niente soddisfatto, anche perché il Partito democratico deve raccogliere una sfida. Il Parti- to democratico è erede di tradizioni che accentravano la loro attenzione e la loro at- tività politica strutturandola attorno al polo ordinatore dei valori del progresso. Io credo che senza dismettere questa tradizione che va tenuta ferma, il vero tema che il Partito democratico al nord deve affrontare è la sfida del governo dello sviluppo della modernizzazione. La modernizzazione è un processo ambivalente, tuttavia i deficit infrastrutturali del nord, la possibilità di intercettare le aspettative di ceti emergenti e di “nuove borghesie”, di affrontare i problemi dell’uguaglianza anche e soprattutto sotto il profilo della conoscenza sono problemi urgenti. Don Milani aveva visto giusto: l’uguaglianza non è soltanto come la sinistra l’ha sempre vissuta, non è soltanto un problema patrimoniale, appropriativo, di proprietà. In realtà nel- la società della conoscenza è fondamentale il tema della padronanza del linguaggio, del pensiero, della parola e quindi della crescita della cultura e delle opportunità. La visita di Veltroni a Don Milani, non è soltanto l’omaggio a un profeta del nostro tempo, ma quando Don Milani scrive nella lettera alla professoressa, “vedi tu Fran- chino sarai sempre diverso da Pierino, perché Pierino dispone di migliaia di parole

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 85 Paolo Corsini e tu invece no”, pronuncia una “profezia”: Don Milani aveva capito che nella so- cietà contemporanea l’uguaglianza investe soprattutto le opportunità che vanno coltivate sul terreno della crescita culturale e dell’appropriazione dei fattori della conoscenza. Credo che il Partito democratico debba assolutamente spingere in questa direzione e investire sulla scuola, sulla ricerca, sull’università, sull’innovazio- ne che sono fattori di uguaglianza, non di differenziazione.

C.: Quali sono gli altri punti che qualificano maggiormente la questione set- tentrionale?

P. C . : Il primo punto per il nord è inverare la democrazia della decisione. Se la decisione scaturisce da procedure legittime e democratiche, va assolutamente as- sunta e credo che qui ci sia sostanzialmente un ritardo, una mancanza di piglio de- cisorio. Non sto teorizzando, come dire, la politica forte, l’imposizione e così via, ma la progettualità partecipata non può che approdare a una democrazia della deci- sione compiuta e questo da sindaco lo vivo tutti i giorni. Questo è il problema cul- turale, direi quasi antropologico per il Partito democratico del nord, perché soltan- to una compiuta democrazia della decisione e della responsabilità può consentire di porre mano ai grandi nodi di questo territorio.

C.: La questione settentrionale è stata agitata anzitutto dalla Lega…

P. C . : Credo che tale questione si accentuerà sempre di più, basti pensare al ruolo di alcuni ceti, alla loro dislocazione sociale, al peso che oggi assumono nella società italiana. Io leggo la Lega come l’equivoco della modernizzazione, cioè la Le- ga è una sorta di rivolta dei produttori che vogliono da un lato la modernità e dal- l’altro la temono. Sono insieme liberisti e protezionisti, sono liberisti quando fa co- modo e protezionisti quando invece non è più conveniente. La Lega è soprattutto questo, è un fatto antropologico che diventa politica di fronte agli equivoci e alle ambivalenze della modernizzazione. Poi naturalmente su questo si innescano fatto- ri storici e problemi irrisolti dello sviluppo italiano.

C.: Quale atteggiamento possono avere i cattolici verso la Lega Nord?

P. C . : Per me la Lega Nord è una forma di neo paganesimo e quindi direi che di fronte alla Lega Nord il cattolico ha un solo problema: quello di salvarsi l’anima. Al di là degli atteggiamenti ossequiosi verso il cattolicesimo, la Lega Nord significa il Dio Po, la sacra ampolla, l’attacco al Papa, la denigrazione delle esperienze cattoli-

86 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paolo Corsini che più vere… C’ è poi il recupero di tradizioni perfino reazionarie che fanno rife- rimento ad alcuni aspetti specifici e facilmente identificabili della cultura neo radi- cale di destra.

C.: Lei conosce molto bene le zone bianche e la Lombardia. Come vede il fu- turo del Partito democratico in Lombardia e come vede la prossima elezione del governatore della Lombardia, deve essere un cattolico?

P. C . : Anzitutto il problema fondamentale del Partito democratico in Lombar- dia è uscire dalla sua subalternità politica e dalla sua minorità culturale. È il proble- ma di misurarsi con il formigonianesimo, che è un fenomeno da assumere nella sua dimensione reale e cioè insediamento, rapporti sociali, leadership politica, capacità di governo. Io credo che sarebbe sbagliata una demonizzazione dell’esperienza for- migoniana, della quale peraltro vanno denunciate le incongruità, i limiti, le arretra- tezze. Una sottovalutazione del significato che la presenza di Formigoni, e di ciò che rappresenta, ha assunto in Lombardia sarebbe assolutamente fuorviante e dele- teria. Per quanto riguarda le prospettive politiche, non credo che necessariamente il futuro presidente debba essere un cattolico. La credibilità di una leadership demo- cratica in Lombardia si affida a due risposte necessarie, a due ordini di problemi, come ho già detto: il governo dello sviluppo e non soltanto il recupero della tradi- zione dei valori del progresso da un lato, e, dall’altro, una leadership politica che sia in grado di dare una risposta alle istanze, agli interrogativi, ai bisogni che emergono dal mondo cattolico, per stare all’ambito che la domanda mi pone. Il leader non deve necessariamente essere un cattolico, però se sarà un leader laico non potrà pre- scindere dal capire che in Lombardia il mondo cattolico non è soltanto una testi- monianza di fede, è anche movimenti, strutture organizzate, realtà associative, pre- senze sindacali, organizzazioni storiche: questo il riferimento cui bisogna guardare.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 87

Preparazione alla politica: l’esperienza di Retinopera

PAOLA BIGNARDI Retinopera è un’associazione sorta nel 2002, dopo una gestazione di qualche anno, per iniziativa di un grup- Direttore della po di laici, tra cui i presidenti di alcune realtà aggrega- rivista «Scuola tive di antica tradizione e di nuova origine; nel 2005 si Italiana Moderna» è organizzata in forma di associazione. Obiettivo dell’iniziativa è quello di mediare la dottrina sociale della Chiesa rendendola impegno concreto dei cattolici nella società e via ad una nuova soggettività del laicato.

• La natura di Retinopera, il contesto sociale e politico ≈ italiano e la posizione dei cattolici in esso hanno fatto sì che verso questa esperienza si rivolgesse l’attenzione interessata “Per capire di alcuni e il sospetto di altri. Interesse per un’esperienza che Retinopera, poteva promettere una ripresa di presenza dei cattolici nella occorre andare… società; che suscitava speranza in vista di un rinnovamento al processo che negli ultimi di una realtà sociale e politica fattasi sempre più difficile e decenni… ha visto spesso lontana dalla sensibilità e dai valori cari al mondo cat- affermarsi molte tolico. Sospetto, in chi ha visto in Retinopera il tentativo di realtà aggregative ridare vita ad un futuro nuovo partito di cattolici; diffidenza che… hanno avvertito soprattutto in chi è abituato a vedere in loro un inciampo l’esigenza di più che una risorsa per la società. ritrovarsi attorno a ciò che esse • Tenendo presente le domande che spesso mi sono sta- avevano in comune” te rivolte in questi anni, vorrei provare a ripercorrere il cam- mino di questa esperienza, esaminando di essa opportunità e ≈ rischi, ancora tutti aperti in una realtà difficile e che ha alle proprie spalle un tratto di strada così breve.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 89 Paola Bignardi

 Dalla differenziazione ad una nuova domanda di unità

• Per capire Retinopera, occorre andare con il pensiero al processo che negli ul- timi decenni, dopo la frantumazione dell’unità del passato, ha visto affermarsi mol- te realtà aggregative che, superata la fase dell’autoreferenzialità iniziale, hanno av- vertito l’esigenza di ritrovarsi attorno a ciò che esse avevano in comune. Il mondo cattolico italiano aveva conosciuto sino agli anni immediatamente successivi al Concilio una sostanziale unità: pastorale, attorno alla parrocchia; della militanza laicale, attorno all’Azione Cattolica; politica, dal dopo guerra in poi, at- torno alla Democrazia Cristiana. Questo mondo compatto comincia ad incrinarsi sotto la spinta dei cambia- menti culturali e sociali degli anni ’70-’80. Va rapidamente perduta l’unità di ispi- razione della pastorale, non risolta dalle forme di organizzazione nate nel dopo Concilio. Va in crisi l’unità politica, conclusa anche formalmente nella bufera di Tangentopoli. Si trasforma profondamente il mondo del laicato, con il sorgere di nuove realtà di gruppo e con l’affermazione di realtà strutturate come sono i nuovi movimenti. Essi, caratterizzati da una forte identità e da una struttura carismatica forte, ri- spondono ad effettive esigenze di un tempo nuovo: raggiungono ambienti di vita che ormai la pastorale tradizionale non raggiunge più; si spendono per un nuovo annuncio del Vangelo; si esprimono attraverso forme di spiritualità nuove, più libe- re da quelle tradizionali, interpretando bisogni di interiorità, di ritrovamento di sé, di incontro con il mistero; raggiungono persone nuove, uscite dai circuiti comuni- cativi delle comunità cristiane. L’affermazione di queste esperienze è avvenuta spesso nel reciproco isolamento, quando non anche, in alcuni passaggi cruciali, in confronti aspri o di vero e proprio conflitto. L’esperienza delle diverse aggregazioni è andata avanti raccolta su se stes- sa, sulle proprie attività e sulle proprie iniziative, senza scambi reciproci, nell’inten- zione di rafforzare la propria identità e il proprio progetto. Concluso però il perio- do iniziale, è parso chiaro che l’autoreferenzialità avrebbe costituito una debolezza per associazioni e movimenti, ma anche per la comunità cristiana, smarrita in un contesto di rapidi e accelerati cambiamenti, soprattutto sempre più in difficoltà ad assolvere il suo compito di essere sale e luce nella società.

La percezione della fragilità connessa all’isolamento delle aggregazioni; il disa- gio per la cattiva testimonianza causata dalle reciproche estraneità; la consapevolez- za della progressiva insignificanza sociale di un mondo cattolico frammentato…: tutto questo ha portato diversi responsabili delle associazioni e dei movimenti a cercare strade per uscire da questa situazione. I dialoghi informali e i rapporti inter- personali sono stati in questo di grande aiuto. Si è avviato così un processo di con- fronto e di ricerca per rendere le posizioni delle diverse aggregazioni un po’ meno

90 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paola Bignardi lontane; soprattutto per diventare reciprocamente meno estranei. A chiedere que- sto mutamento erano soprattutto le nuove generazioni, estranee alle tensioni del passato. I rapporti tra le persone hanno preceduto quelli tra le realtà organizzate e hanno favorito quella stima e quella fiducia che può cambiare la qualità delle orga- nizzazioni.

 La nascita di Retinopera e la sua evoluzione

• In questo clima di ricerca di dialogo è nata l’idea di Retinopera, maturata in un gruppo di amici che iniziò a incontrarsi portato dal desiderio di sperimentare nuovi confronti. Dietro questa intenzione vi erano attese diverse: basta ascoltare i racconti dei protagonisti di quella stagione per rendersi conto che ognuno di essi portava a que- gli incontri istanze non omogenee: quella della formazione sociale insieme a quella di un’operatività concreta; quella di tener viva la “causa cattolica” e quella di studia- re forme nuove e più efficaci di presenza sociale; quella di far sentire la voce dei cat- tolici in un contesto in cui essi rischiavano di essere muti e tagliati fuori dall’opi- nione pubblica e quella di rendere possibile una nuova soggettività del laicato cat- tolico anche nella comunità cristiana.

Queste attese hanno trovato un punto di convergenza in un Manifesto dal tito- lo: Prendiamo il largo, firmato da un centinaio di persone, esponenti a diverso tito- lo del variegato mondo cattolico. Già in questo titolo è indicato lo spirito di Retinopera: il desiderio di prendere sul serio la parola di Giovanni Paolo II che all’inizio del millennio invitava a “pren- dere il largo”: i grandi orizzonti della cultura, di una progettualità sociale capace di ideali e di valori; una nuova soggettività dei laici cristiani, attraverso un’interpreta- zione creativa della dottrina sociale della Chiesa. Attraverso l’azione coordinata delle diverse aggregazioni, Retinopera vuole ri- familiarizzare i cattolici con i temi della società e della cultura. Le esperienze attra- verso cui questo viene proposto sono la formazione, intesa come spiritualità e pen- siero; l’ascolto della Parola di Dio e la lettura della realtà di oggi; l’esercizio del di- scernimento come impegno a leggere e a valutare ciò che accade, alla ricerca dei se- gni dei tempi; elaborazione culturale a partire dalle provocazioni della società in cui viviamo. In tal modo Retinopera si propone di favorire nelle diverse aggregazioni la formazione di una coscienza sociale comune, capace di esprimersi nelle diverse si- tuazioni di oggi. Retinopera si colloca al di qua dell’impegno politico, qualificandosi come espe- rienza formativa e culturale, volendo contribuire proprio con questa libertà a rige- nerare la politica stessa.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 91 Paola Bignardi

Nell’estate del 2004 questo cammino ha visto un continuo crescendo, che si è espresso in una serie di eventi dei principali movimenti e organizzazioni con il coinvolgimento di diverse migliaia di persone; ha avuto il suo culmine a Loreto, durante il pellegrinaggio in cui Giovanni Paolo II ha incontrato l’Azione Cattolica, evento cui hanno partecipato rappresentanti di tutte le aggregazioni laicali. In quel- la circostanza, ciò che si era costruito con pazienza nel silenzio è emerso ed è diven- tato visibile, suscitando nell’opinione pubblica un dibattito in cui la polemica ha spesso prevalso sullo sforzo di conoscere, chiarire e capire.

Dopo questo momento, Retinopera ha sentito il bisogno di darsi una forma più definita anche dal punto di vista istituzionale: si è data uno Statuto come asso- ciazione, cui partecipano sia responsabili di associazioni e movimenti, in quanto ta- li, sia alcune persone singole, soprattutto coloro che nella fase fondativa hanno contribuito a dare vita all’esperienza.

Le aggregazioni che hanno aderito a Retinopera, a ottobre 2007, sono: ACLI, AGESCI, Azione Cattolica, CIF, Coldiretti, Comunità di S. Egidio, CSI, CTG, FOCSIV, Fondazione Toniolo, FUCI, UNEBA. Partecipano ai lavori anche il Movimento dei Focolari, CL e CISL. Dopo Vallombrosa 2005, si è costituita anche una piccola lista di associazioni e movimenti in attesa di aderire.

Il cammino vissuto insieme ha avuto in un seminario annuale a Vallombrosa il suo momento più importante di approfondimento e di dialogo, contribuendo a rendere più maturi gli obiettivi di Retinopera, che nello Statuto dell’associazione sono formulati così:

“L’Associazione si costituisce come punto di incontro per lo studio, l’attuazione e la diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, con le finalità di valorizzare l’impegno dei cittadini sui piani spirituale, civile, culturale, educativo; di affermare e realizzare i valori e i diritti della persona e delle comunità; di promuoverne la responsabile parteci- pazione allo sviluppo di una società democratica, ordinata alla realizzazione del bene comune. In ideale continuità con le Settimane sociali dei cattolici italiani e riconoscendosi nei principi costituzionali e fondativi degli ordinamenti italiano ed europeo, opera come la- boratorio di riflessione e formazione, di convergenza attorno a specifici progetti ed obiet- tivi, di ricerca di posizioni comuni relativamente a questioni pubbliche di grande rile- vanza e di promozione di conseguenti iniziative dell’associazionismo cattolico. (art. 3)

A questi fini l’Associazione, anche in convergenza e con la collaborazione di altri enti, organismi ed iniziative:

92 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paola Bignardi

– promuove l’incontro di studiosi, ricercatori, amministratori, esponenti del mondo po- litico, imprenditoriale, sindacale e del terzo settore ed assume ogni altra utile inizia- tiva ed azione; – organizza convegni, seminari, campagne e manifestazioni; – svolge attività di ricerca, formazione e progettazione anche con il concorso e la valo- rizzazione delle istituzioni ed iniziative operanti nell’ambito delle sue finalità; – svolge attività editoriale, di comunicazione e di informazione. (art 4)”.

Nel gennaio del 2006, un’iniziativa realizzata a Napoli ha costituito la rappre- sentazione concreta delle possibilità e dello stile con cui Retinopera può operare sul territorio: si tratta di una Convention sul tema “Cristiani: da Napoli per un nuovo Mezzogiorno”. Nata dalla riflessione di Vallombrosa 2005 e dall’agenda sociale che in quell’occasione è stata approvata, l’appuntamento di Napoli ha visto una presen- za numerosissima di persone appartenenti a tutte le aggregazioni di Napoli e che in un clima di partecipazione si sono incontrate per interrogarsi sulla realtà e sui pro- blemi della grandi città, a partire da una metropoli del Sud. La Convention ha avuto una singolarità che l’ha differenziata da altri appunta- menti analoghi: è nata dal dialogo e dal lavoro dei responsabili delle associazioni e dei movimenti locali: un’esperienza di corresponsabilità, di cui si è colto l’effetto nel coinvolgimento e nell’entusiasmo dei partecipanti.

 Condizioni di futuro di un’esperienza interessante e difficile

• L’esperienza di questi anni ha messo in luce quali sono le condizioni alle qua- li porre attenzione, perché Retinopera si consolidi, fedele ad un progetto che non ha nulla di scontato e che è tentato di continuo a tornare su esperienze del passato o su posizioni già sperimentate.

Associazione di associazioni e movimenti

Retinopera deve conservare il suo carattere di associazione di secondo livello, di associazione cioè costituita non da singole persone, ma da soggetti sociali, quali so- no appunto le associazioni e i movimenti che ad essa aderiscono. A Retinopera non si può aderire come singoli. Restano alcune eccezioni moti- vate, ma la responsabilità e la guida poggia ormai sulle associazioni. Per far questo, è necessario che associazioni e movimenti conservino una forte regìa sulla progettualità e sull’operatività di Retinopera, testimoniandone l’origina - lità di esperienza di dialogo e di condivisione e mostrando come sia possibile una forma di relazione significativa che non annulla le singole identità e non mortifica il loro carisma.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 93 Paola Bignardi

Saper camminare insieme

È facile che, pur avvertendo l’esigenza di percorsi di comunione e di conver- genza, alla prova dei fatti associazioni e movimenti siano tentati di frenare nella rea- lizzazione di progetti che li coinvolgono insieme, rendendo meno visibile la sogget- tività delle singole realtà aggregative. Ma compiere passi indietro sulla strada della convergenza significherebbe indebolire il valore dei laici nella vita della comunità cristiana e l’efficacia della testimonianza dei cristiani nella società. Mi pare che oggi le aggregazioni – associazioni vecchie e nuove, movimenti ec- clesiali vecchi e nuovi – abbiano compreso che non si ha nulla da perdere dal met- tersi insieme, ma solo da guadagnare. Un’iniziativa che nasce non come espressione di un’associazione, ma di diverse realtà associate, dà maggiore efficacia all’iniziativa stessa e fa crescere l’aggregazione, nella capacità di relazione, che è il timbro della maturità. Con questo non si intende affermare che il mondo cattolico deve tornare ad essere (ma lo è mai stato?) una realtà omogenea, ma piuttosto che nel rispetto dei carismi e dei progetti associativi tipici di ciascuno, si impari ad affrontare insie- me questioni che sono di tutti.

Soggettività del laicato

Retinopera ha la caratteristica di essere sorta per iniziativa dei laici e per loro piena responsabilità. Essa è frutto di un laicato che si interroga sulla propria presen- za nella società, che è consapevole che i gravi problemi di questo momento non possono essere affrontati nell’isolamento e nella solitudine. Occorre che resti a Re- tinopera questa caratteristica, resistendo alla tentazione di rendere meno desolata la solitudine nella quale spesso si opera e di ricorrere a legittimazioni autorevoli per la propria azione. D’altra parte, anche la Gerarchia deve riconoscere che se Retinopera è una ri- sorsa per la Chiesa, questa non può che esserlo nel suo spirito laicale – che non si- gnifica assenza di legami ecclesiali e di relazioni – nello spirito che il Concilio ha tratteggiato nella Lumen Gentium. Questa è una delle situazioni in cui la fiducia della Chiesa nei laici deve mo- strarsi in termini effettivi, nel riconoscimento cioè di competenze e di responsabi- lità che non devono ricondursi direttamente alla Chiesa.

Libertà dalla politica

Retinopera, costituita da realtà associative e di movimento dalla differente sensibilità culturale e sociale, deve poter restare al di qua dell’impegno politico

94 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Paola Bignardi inteso come schieramento, pur sapendosi spingere sul concreto delle valutazioni e dei giudizi relativi alla vita sociale e civile. In questo modo si esercita la possibi- lità di discernimento, di opinione, di cultura dei cattolici in uno spazio non co- stretto dalle logiche partitiche e si ridimensiona l’opinione – a volte implicita, ma forte – che la politica sia l’unico spazio di una presenza incisiva dei cattolici nella polis. Retinopera può testimoniare che la politica, pur stimata come altissima voca- zione, non è tutto e non è “l’esito obbligato” di ogni scelta di impegno. Anzi, molte esperienze di impegno sul territorio inducono a pensare che la vita di una città si cambia modificando atteggiamenti e stili; senso ordinario della legalità e apparte- nenza alla città. È ciò che è già avvenuto nel nostro Paese negli anni dopo la secon- da guerra mondiale. I cattolici hanno avuto un ruolo decisivo nel dare nuova forma all’Italia uscita dalla guerra, perché negli anni difficili del fascismo si erano dedicati a formare coscienze forti e libere. L’esperienza dei migliori di essi ha messo insieme santità e cultura.

Radicamento locale

Retinopera ha bisogno di radicarsi a livello locale, come esperienza di parteci- pazione e di corresponsabilità, cementata possibilmente da qualche progetto con- creto da realizzare. Incontrarsi per conoscersi, o per raccontarsi ciò che ciascuna as- sociazione o movimento realizza è bello, ma non può essere l’unico scopo di un’as- sociazione. Portare avanti insieme qualche progetto non necessariamente impoveri- sce l’identità e il progetto di un’aggregazione; molto spesso la arricchisce dell’espe- rienza di un dialogo che matura e affina la capacità di discernere tra l’essenziale e ciò che è accessorio. In questo modo sarà possibile superare la fase di una formazione che rischia di restare astratta, per affrontare insieme situazioni che hanno bisogno di scelte; e al tempo stesso superare la tentazione di decisioni – politiche e amministrative – che patiscono la fretta delle scorciatoie, senza riflessione sufficiente e senza spessore cul- turale.

 Santità e secolarità

• Retinopera può mostrare che ci sono laici che, senza staccarsi dalla comunità cristiana e senza passare ad una militanza politica, sono impegnati a vivere quella secolarità che costituisce un elemento specifico, cui ridare dignità cristiana, vigore, attenzione. Dopo il Concilio, l’esperienza del laicato ha patito una sorta di schizo- frenia, tra chi si è dedicato soprattutto alla vita della città, talvolta perdendo i con- tatti con la comunità cristiana, e chi si è dedicato quasi esclusivamente alla vita pa-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 95 Paola Bignardi storale della parrocchia. Occorre oggi fare un passo avanti in una cultura e spiritua- lità cristiana di sintesi, che tiene insieme preghiera e dibattito; attenzione alla città e attenzione alla Chiesa; interiorità e cultura. Retinopera vorrebbe essere uno di questi luoghi.



96 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Il movimento dei Focolari: una scelta di campo

LUCIA FRONZA Quando vado alle radici del mio impegno politico, CREPAZ debbo ricordare ciò che è avvenuto quando, con altri giovani, venni in contatto con il carisma dell’unità di Presidente Chiara Lubich. L’esperienza personale di Dio Amore Movimento politico diventò esigenza di rendere sperimentabile, oggi, la per l’unità - Sua presenza d’amore per l’umanità: non si poteva più Focolari essere indifferenti. Si trattava di assumere il problema altrui come nostro: andare in un campo rom ad aiutare i bambini nel dopo-scuola; andare a trovare gli anziani soli, cercando di dare quello che potevamo; rivedere con gli occhi della giustizia quanto ognuno di noi pos- sedeva – tempo, vestiti, denaro – per condividerlo con chi era nel bisogno, essere pronti a partire quando suc- cedeva qualche tragedia che non poteva lasciarci indif- ≈ ferenti (il terremoto in Irpinia, per esempio). “È necessario … proporre ai nostri  Il senso dell’esperienza politica giovani un patto intergenerazionale per contribuire a • Quando, dopo qualche anno, mi è stato chiesto di dare alla politica candidarmi, é stato chiaro che si trattava di dire di sì un’altra il suo autentico volta: era la stessa esperienza. Se era stato importante conti- spirito di impegno nuare a rispondere volta per volta alle emergenze sociali, comunitario” questo non bastava. Occorreva portare la stessa logica anche ≈ nella decisione di realizzare un’opera pubblica cittadina, o nella redazione della legge finanziaria dello Stato, o nelle di- namiche della politica internazionale… Ciò che non cam- biava era il senso della nostra esperienza cristiana: il Vangelo non era qualcosa da vivere individualmente, in un rapporto verticale fra me e Dio; era un messaggio vero e da concretiz- zare “dai tetti in giù” – come un giorno Chiara Lubich disse a noi giovani gen – anche assumendo responsabilità dentro il mondo della politica.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 97 Lucia Fronza Crepaz

Il messaggio per lei e le sue prime compagne era stato chiaro fin dai primi tem- pi, durante la tragedia della seconda guerra mondiale: il Testamento di Gesù “Che tutti siano uno” (Gv. 17,21), quell’unità della famiglia umana nell’amore del Padre, era la loro visione del reale e la loro vocazione. L’unità scelta come scopo della vita: un dono del Cielo e allo stesso tempo un mandato a portare l’unità laddove ancora non c’è. Una sfida accolta personalmente e nello stesso tempo una tensione insopprimi- bile scoperta dentro le vicende sociali e nella stessa storia dell’umanità; un cammi- no progressivo e ineluttabile e altresì da accompagnare e sostenere con scelte re- sponsabili e coraggiose.

• Gli antropologi fanno risalire la nascita della società umana ad una scoperta ben precisa. Essi hanno attribuito questo particolare significato al periodo a cui si può far risalire lo scheletro ritrovato di un uomo di circa trent’anni che ha una gamba chiaramente e pesantemente lesionata. Il trauma, che risulta evidente risali- re all’infanzia, indica che quell’uomo ha vissuto quasi tutta la sua lunga vita (per quell’epoca, trent’anni dovevano essere una lunga vita!) da disabile. Senza l’aiuto di altri uomini, non avrebbe potuto continuare a vivere in un am- biente fortemente ostile, dove solo la caccia forniva le risorse per la sopravvivenza. Questo dunque, per gli antropologi, il carattere “umano” dell’evoluzione sociale: una comunità in cui le persone si fanno coscientemente responsabili l’uno dell’al- tro, per cui il vivere dell’uomo è qualcosa di più del semplice porsi in relazione “con” – anche nel branco, si va a caccia “con” –; la relazione che caratterizza la so- cietà umana è descritta piuttosto dalla preposizione “per”. Se è così, quando parliamo di politica, dobbiamo intendere un’azione al servi- zio di quel legame sociale che unisce reciprocamente gli uomini tra loro, l’arte ne- cessaria a comporre in unità la convivenza degli uomini, la strada per concorrere al- la realizzazione di una comunità di fratelli.

 I vari fronti della crisi politica

• Ci sono molti fronti su cui focalizzare l’attenzione parlando dell’attuale crisi che attraversa la politica. Ma c’è n’è uno particolare, che a mio parere ci aiuta a scorgerne la ragione e la direzione nella ricerca di soluzioni non superficiali. Alla radice delle grandi domande rivolte alla politica è possibile rintracciare un elemento che le accomuna tutte: il venir meno delle tradizionali forme di comuni- cazione e di convivenza fra gli esseri umani, che diventa difficoltà nel rapporto in- terpersonale, sociale e politico. Penso all’innegabile humus di ingiustizia sociale e politica che è alla base del proliferare di fondamentalismi e di terrorismi di varia matrice, penso alla difficoltà di avere davanti agli occhi le generazioni future quan-

98 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lucia Fronza Crepaz do consumiamo l’ambiente, penso alla mancanza di spazio per le minoranze e le di- versità dentro la rete di una comunicazione artificialmente globalizzata, penso al pro- blema della violenza che, a dispetto di fondamentali acquisizioni di civiltà giuridica, torna ad essere scelta come mezzo per risolvere le questioni, ma penso anche al biso- gno ormai non rimandabile di affrontare la crisi del welfare come community globale. Al cuore di problematiche così apparentemente frastagliate, mi pare sia eviden- te il comune denominatore: quello dell’incapacità di con-vivere. Il nostro è un tempo lacerato da mille divisioni, ma che rivela un’innegabile do- manda di unità. Nei confronti di questa domanda si impone con urgenza una scel- ta radicale fra due opzioni: la strada della difesa ad oltranza del molto (o del poco) su cui contare per perpetuare le nostre certezze, costruendo grandi muri attorno ai nostri quartieri/città/stati/culture-fortezza, oppure la strada della sforzo di leggere la storia in profondità e guardando all’“uomo-mondo” che ci sta davanti.

 Dove si colloca il cristiano?

• Ed il cristiano? La figura del cristiano che oggi viene in rilievo non è certo quella di una perso- na che cerca un’ascesi consumata dentro la solitudine, che vede il fratello come un ostacolo per la ricerca di Dio, ma piuttosto una figura frutto e quindi fonte di un’e- sperienza comunitaria, innervata da una “spiritualità di comunione” come Giovan- ni Paolo II la definisce nella Novo Millennio Ineunte. La specificità della proposta cristiana attinge al cuore stesso del messaggio di Gesù, a quello che Lui stesso chiama “comandamento suo e nuovo”: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (Gv 13,34). Quel “costruire comunità” che contraddistingue i seguaci di Gesù, non li allon- tana dagli interrogativi che oggi pone la storia, non li isola dalle sue fratture, anzi, li pone alla radice delle domande del presente, perché il creare legami, il praticare la condivisione, la ricerca di “ciò che unisce” è il retroterra sostanziale e imprescindi- bile di ogni possibile risposta. Il resto, si potrebbe dire semplificando, ne è solo conseguenza. Già nella Christifideles laici, si legge che nella realtà di oggi, l’incidenza cultura- le del messaggio cristiano “può realizzarsi solo con l’opera non tanto dei singoli quanto di un ‘soggetto sociale’, ossia di un gruppo, di una comunità, di un’associa- zione, di un movimento” (II, 29). Devo dire che la recente pubblicazione del Compendio della Dottrina Sociale ha offerto nuovi elementi per una rilettura dell’identità e della missione del cristia- no, della comunità cristiana. Viene in evidenza la novità di una impostazione an- tropologica illuminata dalla prospettiva dell’Amore trinitario, con tutte le conse- guenze che ne derivano. Gesù, il Dio Amore fatto uomo, diventa modello per il no-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 99 Lucia Fronza Crepaz stro agire anche sociale e politico, ed il suo comando – “da questo conosceranno che siete miei discepoli!” – si fa nuova grammatica della relazione sociale. Il Concilio Vaticano II insegna che il comandamento nuovo della carità non è soltanto “la legge fondamentale dell’umana perfezione”, ma anche “della trasfor- mazione del mondo” (GS 38). Si intuisce, allora, che il paradigma antropologico classico entro cui si è costrui- ta la cultura della modernità, impostato sull’individuo, monade solitaria, dedito a difendere i propri diritti individuali (homo homini lupus...), deve lasciare il passo ad un nuovo paradigma fondato sull’amore e sulla responsabilità reciproca, da cui fio- risce non solo una “spiritualità di comunione”, ma anche una “cultura della comu- nione” che investe tutte le espressioni dell’esistenza umana.

• Quella a cui siamo chiamati come cristiani dunque non è la costruzione di una comunità chiusa, di una FILIA elettiva, ma è attesa e realizzazione di una AGAPE che Gesù stesso ha voluto universale, aperta allo straniero, con i confini di quell’“ut omnes” che è il suo testamento (Gv. 17,21). Il cristiano è qualcuno che vive nello stupore l’esperienza dell’amore del Padre. Ma questa scoperta non può che essere intimamente legata ad una conseguenza: “vi è un solo Padre, Dio, e voi siete tutti fratelli” (cfr. Mt. 23,8-9). Considerare ogni uomo come fratello diviene “abitudine” – una virtù, “la” virtù cristiana (l’amore!) – l’unica precomprensione che c’è consentita. Allora, in politica? Penso che proprio questa visione e questa esperienza della fraternità, e della fra- ternità universale, costituisca la premessa per l’apporto specifico che i cristiani pos- sono e devono dare alla politica. Per capirci ciò di cui parliamo non è un’idea che cala dall’alto come un deus ex machina, o il sogno ricorrente di una umanità finalmente uniformata dal disegno fraterno di qualche setta più o meno potente. Non è nemmeno l’appello ad una ri- sorsa ad una norma etica che si alza quando i progetti e la realtà della politica non sanno più chi convocare in aiuto… Questo valore, dono di Gesù agli uomini, ma diventato man mano patrimonio dell’umanità intera, ha in sé la capacità di rendere possibile un’unità di intenti an- che con persone che non hanno un riferimento di fede ma condividono l’aspirazione ad un ordine sociale “fraterno” perché fondato sul legame umano fon- damentale, universale, iscritto nel DNA, che viene prima delle diversità culturali, di religione, di estrazione sociale. Del resto, il principio di fraternità ha una sua storia nel progetto politico della modernità, accanto ai principi di libertà e di uguaglianza, seppure tra ombre che hanno fatto parlare del “terzo principio dimenticato”. Esiste una storia della fraternità vissuta e tradita che sarebbe interessante per- correre. Questa storia è simile ad un fiume carsico che, così come ha guidato e

100 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lucia Fronza Crepaz orientato tanti momenti decisivi della storia dei nostri popoli, torna oggi a reclama- re la sua traduzione politica.

 Il percorso dei popoli

• Qui vorrei solo leggere alcuni processi politici in corso dov’è riconoscibile il percorso faticoso ma inarrestabile che i popoli stanno compiendo, un percorso che li avvicina progressivamente l’uno all’altro non solo e non tanto in termini econo- mici, ma in una prospettiva più ampia di incontro e di interdipendenza. Attorno all’Organizzazione mondiale del commercio, dalla Conferenza del ’99 a Seattle, fino a quelle di Cancun del 2003 e del 2005, si è innescato un processo certamente osteggiato ma irreversibile, che ha spezzato lo stretto cerchio degli atto- ri decisionali che gestivano le politiche economiche e finanziarie internazionali. L’unità europea: un processo inedito nella storia dell’umanità. Le Nazioni che la compongono, pur tra accelerazioni e brusche frenate, hanno saputo rinunciare a porzioni di potere a favore di una sovranità sopranazionale, volta a obiettivi comuni. Guardando all’Asia, i due giganti economici della Cina e dell’India, che un se- colo fa avrebbero rischiato, senza la globalizzazione, di scontrarsi frontalmente per la supremazia economica, sono stati – vorrei dire – costretti dall’impossibilità di operare in modo solitario, a darsi regole comuni di cooperazione economica. E, ancora, il consolidamento del processo di democratizzazione del Sud Ameri- ca che ha reso quel continente un interlocutore politico sempre più integrato, atto- re consapevole del proprio destino nel quadro internazionale multipolare. Né si può dimenticare il rafforzamento dell’Unione Africana, pur fra mille dif- ficoltà, e al consolidamento delle varie unioni regionali che stanno guidando l’evoluzione sociale e politica in questo straordinario, immenso continente.

• Per tutte queste evidenze la storia dell’umanità può essere letta come un len- to ma inarrestabile cammino di “interdipendenza positiva” verso la meta della fra- ternità universale, quasi un magma sotterraneo che si muove all’interno delle pie- ghe della storia e che oggi sta emergendo per fecondare le nostre società. Ricordo un giorno, al Parlamento catalano, le parole di Joan Rigol i Roig, ex presidente del parlamento catalano, figura politica di particolare rilievo, temprata nella resistenza antifranchista: “La fraternità è una categoria politica, e la più im- portante… perché tocca e coinvolge ogni uomo, qualsiasi uomo, e quindi è davve- ro fondante per costruire una politica che possa realmente svolgere la sua funzione a servizio dell’umanità”. Scegliere la fraternità come categoria politica ha delle conseguenze precise. Chiara Lubich, in un suo messaggio per un incontro latino americano di sinda- ci, è ancora più audace: “Le forti contraddizioni che segnano la nostra epoca neces-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 101 Lucia Fronza Crepaz sitano di un punto di orientamento altrettanto penetrante ed incisivo, di categorie di pensiero e di azioni capaci di coinvolgere ogni singola persona, così come i popoli con i loro ordinamenti economici, sociali e politici. C’è un’idea universale che è già un’esperienza in atto, e che si sta rivelando in grado di reggere il peso di questa sfida epocale: la fraternità universale”. Oggi i tempi, e ancor più la politica, chiedono una svolta profonda; questa, co- me già proponeva 40 anni fa la Populorum progressio, deve partire da una nuova cul- tura, da uno sguardo nuovo sulla realtà, da una riflessione che abbia il coraggio di incorporare nel quadro concettuale idee e categorie nuove. Occorre scavare a fondo per vedere cosa la fraternità ci offre come categoria politica, sociologica, giuridica, economica…

 La politica come servizio

• Conseguenza naturale è un impegno quotidiano a farsi soggetti e non ogget- ti della storia, un impegno a “riprendere in mano” la politica riscoprendone la fun- zione essenziale, irrinunciabile, per coniugare con valori comuni a ogni uomo le ri- sposte che oggi la società attende, con una prima caratteristica. Oggi non basta più intendere l’azione politica come servizio, come impegno individuale, come coerenza personale (mettere l’interesse pubblico prima degli in- teressi particolari, coerenza etica non solo dei fini, ma anche dei mezzi…). C’è una dimensione più ampia della parola “servizio” in politica che ci deve condurre alla concezione stessa della politica. C’è bisogno di concepire la politica stessa come servizio alla società e farlo accettandone tutte le conseguenze anche in termini strutturali. Per esemplificare, vorrei prendere a prestito un’immagine che Chiara Lubich usa spesso (l’ultima volta ne ha parlato ad un gruppo di parlamenta- ri britannici) e che io trovo particolarmente stimolante: “Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori”. Una politica così risponde all’esigenza moderna della società, che chiede più li- bertà rispetto all’invadenza e ai condizionamenti di una certa concezione di stato, ma rifiuta anche la riduzione delle istituzioni politiche a “Stato minimo”, come im- maginato da Nozik. Alla luce di questa visione, la politica ha il dovere di ricercare un rapporto continuo e qualificato con ogni altro ambito di vita, per stimolarlo, per farne emergere i progetti di sviluppo e porre in questo modo le condizioni af- finché la società stessa, con tutte le sue espressioni, assuma la sua responsabilità ci- vica, e possa così realizzare fino in fondo il suo disegno. È chiaro che in questo continuo sforzo di servizio, la politica ha il dovere di ri- servare a sé alcuni specifici spazi: dare voce a chi non ne ha, dare priorità alle istan-

102 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lucia Fronza Crepaz ze degli ultimi, comporre l’ordine dell’agenda politica assegnando le precedenze. Attraverso azioni di sovra-rappresentazione positiva, è possibile rafforzare la pre- senza e l’azione anche di chi non ha voce, ma che è ugualmente indispensabile per- ché se il minimo diventa “misura” della città, la città è più vivibile per tutti. Una politica-servizio implica poi un instancabile farsi carico sempre e comunque di fa- cilitare l’accesso alla partecipazione, che vuol dire dialogo, mediazione, responsabi- lità e concretezza. Senza accontentarsi mai, con l’umiltà di riconoscere che il fine della politica le è estrinseco: non la salvaguardia di posizioni raggiunte o la riproduzione del potere di qualcuno, ma la realizzazione piena dei diversi cammini di persone, città e popo- li verso la costruzione della famiglia umana.

 La partecipazione

• Oggi siamo alla ricerca di come “ridemocratizzare la democrazia” (come so- steneva il compianto Hirst), pena la riduzione della democrazia a un contenitore vuoto e inadeguato alle difficili domande dell’attualità, che investono direttamente l’agire politico. Alla luce della fraternità universale, anche dentro i processi politici si delineano caratteristiche specifiche.

Al cuore della crisi che ha fortemente scosso il Brasile, la scorsa legislatura, mi ha colpito leggere l’invito che i Vescovi brasiliani (il 12 agosto 2005) hanno fatto al popolo “recuperare la speranza, concretizzandola in impegni di partecipazione po- litica”. Noi crediamo che la condizione originale del cambiamento, quella che, an- che se lenta e faticosa, non potrà riservare amari risvegli, è fare della società uno spazio protagonista della politica. La società non è il tu della politica, è “l’io della politica”, il suo soggetto sorgivo. Assumere la fraternità universale come categoria politica significa spostare il centro della politica dalle istituzioni alla società, non per diminuire o, peggio anco- ra, per negare il loro valore e la loro insostituibilità, ma per renderle più atte al loro compito, innestandole dentro l’humus democratico che le legittima. I partiti sono una struttura necessaria alla democrazia, ma forse oggi abbiamo più bisogno di co- mitati civici, di gruppi di impegno civico, che di nuovi partiti ancora una volta au- toreferenziali, chiusi in se stessi nell’illusione di trarre da sé la capacità di cambia- mento. Certo, tutto questo non nasce automaticamente, ma presuppone l’impegno di tutte le componenti della società civile: prima di tutto da parte del cittadino che deve superare la tentazione di vedere nelle istituzioni, e peggio ancora nel politico, una sorta di “padrino” a cui delegare la risposta ai propri bisogni individuali, che diventano così non un diritto ma una gentile concessione da ricevere in cambio di

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 103 Lucia Fronza Crepaz un sostegno poco chiaro. Il cittadino, per poter coniugare quel verbo fondamentale della democrazia che è il verbo controllare, da cui passa la forza e la trasparenza dei meccanismi democratici, deve essere libero e “casto”. Una volta fatta questa scelta, si scopre la capacità di essere parte di una comunità complessa, ci si accorge che i propri bisogni sono inseriti dentro una dinamica collettiva, e nasce la capacità di passare da individui isolati e facilmente manipolabili a società civile organizzata. Le nostre comunità saranno allora un vivaio di vocazioni politiche, popolare e democratico, fecondo, capace di produrre rappresentanti che si impegnano casta- mente nelle istituzioni, cittadini generosi nell’offrire creatività, risorse, stimolo alle istituzioni, funzionari come efficaci mediatori tra istituzioni e società, diplomatici in grado di lavorare per la propria patria dentro il destino comune di tutti i popoli, imprenditori che si assumono la responsabilità civica del loro fare economia, raffor- zando quella che oggi si definisce responsabilità sociale d’impresa, leader politici nati dentro la società, che sappiano ridare senso ai partiti in cui lavorano. Una società così – in cui ciascuno è cosciente della propria insostituibile fun- zione, ma cerca la reciprocità con gli altri soggetti – si meriterà una politica capace di buone pratiche, innovative ed efficaci, scaturite dall’incontro virtuoso tra forza istituzionale e dinamismo vitale dei soggetti coinvolti, per una nuova intelligenza e qualità della democrazia.

Vorrei fare un esempio, restando in Brasile. Il Movimento politico per l’unità – espressione politica del Movimento dei focolari –, proprio in queste ultime setti- mane, ha dato avvio ad una importante azione a livello nazionale in risposta alle ri- correnti crisi sotto il profilo della legalità che si susseguono nel sistema politico e vedono implicati partiti e istituzioni. Si tratta della proposta di una modifica costi- tuzionale intorno alla legge federale di bilancio: un’azione che coinvolge parlamen- tari federali e dei diversi parlamenti statali, organizzazioni della società civile laiche e cattoliche, tanti cittadini e, tra tutti questi, tanti giovani, e che ha messo a fuoco un punto di debolezza istituzionale dove appare necessario intervenire con un ur- gente intervento legislativo. La campagna di raccolta delle firme necessarie alla presentazione della modifica della Costituzione intende raggiungere tre obiettivi: il consolidamento della regola democratica e delle sue procedure, la moltiplicazione dei luoghi del dibattito pub- blico perché il bilancio della nazione possa diventare “questione di popolo”, il rafforzamento delle scelte etiche attraverso un rafforzamento della legalità.

 Il dialogo come metodo

• Fraternità in politica non significa una sorta di codice etico di buona educa- zione, non vuol dire accordarsi superficialmente, rinunciare alle polarità degli estre-

104 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lucia Fronza Crepaz mi per incontrarsi al centro… Tra il resto, restare dentro il confine dei temi che ci uniscono, ci porterebbe ad escludere temi essenziali e urgenti, perché laceranti: esempi su tutti il dibattito sulla guerra, sulla famiglia... Scegliere la fraternità vuol dire apprezzare la “parola politica” dell’altro come necessaria alla costruzione della comunità, vuol dire posporre gli interessi della propria parte nella convinzione di poter concorrere ad un bene più grande che tocca l’intera comunità. Per questo “fraternità” è prima di tutto ascolto e dialogo, spesso sofferto, per approfondire la verità delle cose, è mediazione competente e approfondita, è costruzione di proget- ti politici condivisi ispirati ai valori dell’uomo e delle culture. Scegliere di privilegiare la ricerca del rapporto prima dell’affermazione della propria appartenenza politica, permette anzitutto di approfondire la nostra pecu- liare identità, dal momento che ciascuno è espressione e portatore di un’opzione e dà voce – a partire dalla propria esperienza e dalla propria formazione – ad interes- si diversi. Ma aprendoci alle ragioni dell’altro, mettendoci alla ricerca di ciò che ci fa simili sul piano di valori – perché siamo fratelli – possiamo davvero lavorare sem- pre più efficacemente per il bene comune, raggiungendo una condivisione sempre più profonda e allo stesso tempo più concreta sugli obiettivi da raggiungere, e ri- spondendo in modo sempre più adeguato e compiuto alla molteplicità degli inter- rogativi della comunità di cui siamo. La scelta della fraternità fa crescere la capacità progettuale delle risposte politiche. La fraternità dà spazio e rafforza il “noi” della politica: solo questa composizio- ne in unità della varietà degli interessi, solo questa azione fortemente plurale guida- ta dalla fraternità universale, infatti, può farci superare l’empasse della difesa dei particolarismi e della paura della diversità, quella notte del “noi” di cui parlava Ri- couer. La fraternità non frutta annullamento delle identità, omogeneità mortifi- cante; chiede, anzi, il dono “appassionato” – e sottolineo questo aggettivo forte – del proprio contributo personale e di gruppo.

 Dentro la città

• Questa realtà non è un’operazione sentimentale o peggio ancora ideologica, che avviene astrattamente guardando verso “l’isola che non c’è”, un luogo che im- maginiamo noi, ma che non esiste: è un lavoro che comincia dentro la storia che ci interpella giorno per giorno e mette in luce ciò che già c’è, che inizia dal comporre insieme fratture e risposte, bisogni e risorse, agendo non in modo ingenuo, ma con una riflessione seria e continua. Scegliere la fraternità vuol dire diventare cittadini a pieno titolo, capaci di guar- dare in faccia la realtà e allo stesso tempo di modificare il corso degli eventi: signifi- ca progettare a partire dalla scelta decisa di voler incontrare la propria città. Solo gente così, che fornisce un nuovo capitale sociale di speranza e di rapporti, cercati e

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 105 Lucia Fronza Crepaz voluti, sarà in grado di trasformare il “cuore di pietra” delle nostre città, in un “cuo- re di carne” che sa riconoscere e raccogliere il contributo di tutti, sia di chi può solo chiedere, sia di chi è ricco di risorse e di beni. Si può così sperimentare che non ci sono determinismi sociali che governano le situazioni, a condizione che ci sia chi decide di farsi attore sociale che investe in nuove relazioni, essenziali per costruire una nuova città.

 La mondialità come misura dell’azione

• Che la storia dell’umanità sia caratterizzata da un rapporto di interdipendenza reciproca è un dato di fatto da cui è impossibile prescindere. Le esemplificazioni sono evidenti: la ricerca della pace, la difesa dell’ambiente, lo sviluppo della scienza, le co- municazioni e l’uso dei media… Sfide verso le quali è possibile produrre una risposta efficace, esprimere una parola forte, solo agendo con sforzi creativi proporzionati: so- lo se partiamo dal riconoscimento del legame universale della fraternità. Questo agire si attua dentro la storia, una storia che lega gli uomini dal primo all’ultimo, che ci dà la possibilità di interpretare tutto il patrimonio delle idee dell’umanità. Per fare solo un esempio, quello delle azioni per la pace, esse chiedono di agire in due direzioni convergenti: mentre la globalizzazione esige una riforma vigorosa determinata delle istituzioni internazionali verso istituzioni democratiche globali, allo stesso tempo è indispensabile dare spazio e rafforzare anche la rete di relazioni di “diplomazia diffusa” popolare e decentrata, dando forma a una “società globale”. Persone che hanno imparato a conoscersi e a stimarsi, a collaborare e ad apprezzar- si reciprocamente, che hanno spazi comuni di dialogo, più difficilmente si preste- ranno a imbracciare le armi l’una contro l’altra. Se la sfida è concretizzare nella sto- ria ciò che è segno della nostra umanità, ovvero la fraternità universale, si tratta di abituarsi a ragionare in politica tenendo conto che la comunità politica fondamen- tale è l’umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione poli- tica, la stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere nel- le sue conseguenze pratiche che il progetto di vita dell’altro ha a che fare con il mio, che la sua aspettativa di vita è la mia, che gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e quello del suo popolo sono gli ostacoli che frenano lo sviluppo mio e del mio popo- lo. Allora il bilancio della mia famiglia, del mio comune, del mio Stato si relativizza e si struttura in una nuova dimensione.

 L’opzione per i poveri

• Altra caratteristica irrinunciabile di una politica fraterna è l’opzione per i po- veri, che rappresenta certamente una direttrice precisa: la soluzione non è lo stato

106 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Lucia Fronza Crepaz compassionevole, ma una politica che sceglie di sovra-rappresentare gli interessi de- gli ultimi, di chi da solo non ha voce dentro le dinamiche democratiche. Zigmund Bauman ricorda che gli ingegneri non ritengono sicuro un ponte cal- colando la portata del pilastro più forte, ma calcolando il pilastro più debole, quel- la è la forza del ponte, ed aggiunge: così nella nostra società per organizzarla dob- biamo prendere le misure organizzative sul punto più debole e da lì iniziare. Prota- gonisti della nostra organizzazione politica debbono essere i più deboli. Questo si traduce nella possibilità per tutti di concretizzare e di rendere esigibi- li i propri diritti di cittadinanza: dare cioè la possibilità di sopravvivenza, ma anche, ancora più essenziale forse, dare la possibilità di riscattare la propria dignità, in par- ticolare attraverso l’istruzione e attivando quelle forme di autopromozione di cui Yunus, ma anche progetti come l’economia di comunione, sono testimoni e speri- mentazioni efficaci. Questo passa attraverso una seria capacità di progettazione po- litica, ma passa anche dalla decisione di assumere stili di vita diversi, personali e fa- miliari. Se saremo capaci di rispondere ai diritti degli ultimi, saremo capaci di ri- spondere ai bisogni di tutti, facendo barriera contro la crescente cultura del conflit- to, che produce la guerra, ma anche le insanabili divisioni e violenze dentro la no- stra società.

 La priorità della formazione

• Ma come cristiani è necessario rispondere ad altre due opzioni: la creazione di luoghi di dialogo precedenti alla politica, così come ci ha invitato a fare il Card. Ruini al convegno di Verona e un coinvolgimento adeguato dei giovani, la vera chance per una politica nuova. Grandi anime della politica hanno visto nei processi lunghi della formazione, del- la ricerca delle motivazioni all’azione sociale e politica, l’unica strategia davvero effica- ce. Questa domanda di formazione, ancora in germe, sta emergendo però un po’ do- vunque, per poter essere in grado di svolgere le proprie funzioni dentro i cambiamen- ti. I giovani che frequentano con entusiasmo le nostre scuole lo dimostrano. Due mi sembrano le condizioni indispensabili a questa formazione: – bisogna avere il coraggio di dare uno spazio specifico all’approfondimento di ra- dici spirituali, dei valori precedenti la politica, che danno senso alle appartenen- ze, ma che non possono essere sostituiti da quelle: i sudamericani di lingua spa- gnola la chiamerebbero necessità di una mistica; – luogo della formazione dovrà essere un ambiente in cui si possa sperimentare la comunità: non si può creare comunità politica se non si sperimenta la comunità, se non si compone un’esperienza di condivisione, in cui la diversità è una ric- chezza, perché “l’apprendimento in gruppo” è maggiore della semplice somma di ciò che ciascuno può apprendere da solo.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 107 Lucia Fronza Crepaz

È necessario allora proporre ai nostri giovani un patto intergenerazionale per contribuire a dare alla politica il suo autentico spirito di impegno comunitario. Un patto di amore scambievole tra i giovani, che hanno la capacità di credere nella at- tuazione dei grandi valori come la fratellanza universale, la pace, la libertà, e gli adulti che, avendo già cominciato a lavorare, hanno il peso ma anche la ricchezza dell’esperienza e rappresentano ciò che oggi è possibile mettere in atto. Le persone che hanno cambiato la storia, l’hanno potuto fare perché non si so- no mai rassegnate al mondo così com’era, ma hanno “creduto” al cambiamento. Come potrebbero essere assenti dai processi di cambiamento in atto proprio i cristiani, portatori della “speranza” che “performa”? La loro vocazione all’amore può diventare vocazione politica: amore per la propria gente, per la propria patria, per la patria altrui amata come la propria, per l’umanità intera, orizzonte della loro speranza.



108 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Seconda parte: ricordo di Pietro Scoppola

Pietro Scoppola e il nostro tempo

di Franco Nobili

• La Rivista «Civitas» ha più di un motivo per ricordare, anzi perpetuare, non sol- tanto il ricordo di Pietro Scoppola, ma soprattutto il grande lascito del Suo pensiero che trae alimento da una cultura vastissima e in particolare dal suo amore per la politi- ca intesa come servizio per l’intelligenza; dalla passione per i compiti ed i problemi del- la Società; dalla sua dedizione per la ricerca della continuità della Storia e dei Valori che di volta in volta completa; dall’amore per l’Italia e il suo progresso culturale e sociale.

Siccome non muore davvero chi lascia eredità di pensiero e di opere ai posteri, possiamo dire che Pietro Scoppola è vivo e ancora vivrà continuando ad affiancarsi a chi ha il compito di continuare sulla scia del suo esempio.

L’Istituto “L. Sturzo”, che lo ha avuto a lungo attivo componente del suo Con- siglio e animatore delle iniziative di maggiore spicco, è e sarà in prima fila per que- sto doveroso e sentito tributo di amicizia e di stima.

• Questa sezione straordinaria di «Civitas» tutta dedicata a Pietro Scoppola, densa di ricordi, è l’iniziativa più immediata, e ancora carica di emozioni, che l’Istituto promuove e alla quale si unisce la partecipazione convinta delle venti Fon- dazioni che custodiscono l’eredità del pensiero politico e sociale dei protagonisti della ancora giovane storia democratica del nostro Paese, e che sono raccolte nel- l’Associazione per la Valorizzazione della Democrazia in Italia.

È come dire che l’eredità di Scoppola viene subito accolta, raccolta e perpetuata dal più vasto mondo della cultura attiva e più strettamente collegato con il divenire del progresso della società contemporanea.

• I testi e gli articoli che la sezione di «Civitas» propone, e ripropone a chi gli è stato vicino e accanto al momento del commiato, non è quindi un dovere di ma- niera e tanto meno la continuità di una commemorazione rituale, ma è nei decisi propositi, una testimonianza di continuità con lui.

In ogni testo riprodotto o inedito che viene offerto ai nostri lettori, c’è, oltre il fervore del momento, una porzione piccola o grande di ciò che è stato, e continuerà

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 111 Franco Nobili ad essere per tutti noi, l’intellettuale Scoppola; il profondo ragionatore politico; il seminatore dei risultati delle continue ricerche dei “perché” e dei “come” la Storia accumula e distribuisce in perpetuo la saggezza degli insegnamenti; e soprattutto il generoso e chiaro offerente di possibili soluzioni agli inevitabili problemi del vivere sociale.

– L’Omelia del Cardinale Achille Silvestrini tocca in profondità il cuore e la men- te e predispone al più sincero sentimento di affetto e di riconoscenza per l’amico scomparso. – Il contributo di Andrea Riccardi approfondisce il pensiero di Scoppola e lo inse- risce nella complessità del commento alla Storia. – Il saluto sincero di Eugenio Scalfari è l’omaggio di un grande e sensibile osserva- tore dei moti della politica e dei cambiamenti sociali oltre che degli uomini che li influenzano. Ma è anche l’omaggio di un Amico che celebra l’universalità ac- quisita da Scoppola che entra nel Pantheon della nostra Storia. – Agostino Giovagnoli offre un ritratto di Pietro Scoppola che ne celebra la perso- nalità con una attenta analisi. – Il ricordo di Giuliano Ferrara dà la dimensione e la vastità della popolarità di Scoppola e del rispetto che gli viene tributato. – Francesco Malgeri porta in primo piano l’amore profondo dell’amico per la Sto- ria e sottolinea la validità del suo metodo di ricerca. – La religiosità di Scoppola, ma soprattutto la sua convinta e coerente scelta del- l’etica come religione, è ricordata e descritta da Alberto Melloni. – Il tributo a Scoppola come gentiluomo e laico di fede è un aspetto di valore ri- conosciuto e tributato da Emma Fattorini.

• Alla iniziativa di «Civitas» altre ne seguiranno in grado di dare continuità al Suo pensiero ed essere fonte di studi e di ricerche soprattutto per le generazioni ve- nienti.



112 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Omelia per il funerale di Pietro Scoppola

del Cardinale Achille Silvestrini

• “Domenica scorsa, nella sala da pranzo di casa, abbiamo celebrato con lui l’Eucaristia. Corinna si preoccupava che non mancassero le candele, e mentre veni- vano proclamate le letture, Pietro socchiudeva gli occhi come a imprimere nel cuo- re la Parola divina. Un velo stava oscurandogli la vista esteriore, ma i versetti della Scrittura letti da voci a lui care gli mostravano la strada, quella via misteriosa a cui tutti guardiamo con timore e speranza. C’era la pagina del libro dell’Esodo con la preghiera di Mosè a braccia alzate. Nella tensione di quelle braccia che si affidano a Dio c’era tutto il tempo presente di Pietro, il suo coraggioso e dignitoso far fronte all’aggressione della malattia, ma anche l’intera parabola della sua vita di autentico credente che non ha mai smesso di sentire il valore plurale di ogni preghiera e di proporla con la lucida integrità del- l’uomo di fede. Vi era nella sua fisionomia interiore e nel suo impegno il sentimen- to di appartenenza ad un popolo, la condivisione del destino di una nazione, la fe- deltà ai suoi principi fondamentali sempre col desiderio di cercare le ragioni per cui spendere tutte le proprie forze coniugando libertà e fedeltà. Come Mosè agiva e pregava non per se stesso. Ma anche a Mosè, dice l’Esodo, ‘pesavano le mani per la stanchezza’ (17,12), e noi intorno a lui, ci sentivamo chiamati a fare quello che lui aveva fatto molte volte per noi, e per tanti giovani allievi, con il sostegno della sua intelligenza, con la probità delle sue scelte. Di fare, cioè come Aronne e Cur, sim- bolo dei puntelli che sostengono la speranza nelle situazioni in cui la stanchezza in- debolisce e fiacca anche i più robusti. La nostra preghiera si raccoglieva intorno alla tavola di famiglia per sostenere le braccia di Pietro nell’ultima prova. E adesso noi continuiamo a riconoscerci in quel gesto, nella liturgia di conge- do, a suffragare la sua anima. Ognuno di noi, fratelli, figli, discepoli, amici, rappre- senta parte della sua storia ed è qui per essere partecipe, coi pensieri oranti che cia- scuno può offrire, del sostegno al suo ultimo transito. Non qui, ma si dovrà ricor- darlo in sede adeguata come storico, uomo di cultura e per il Suo magistero nell’u- niversità e nella vita pubblica.

• Non c’è sapere che ci possa preparare al guado della morte. Puntelliamo i nostri timori e le nostre speranze con qualche saggio ed equilibrato pensiero, rivediamo la nostra vita, consideriamo i passaggi che l’hanno indirizzata volendo rimanere autenti- ci e riuscire a chiedere scusa e riparare il possibile dove ci accorgiamo d’avere sbagliato.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 113 Achille Silvestrini

E poi c’è lo spazio della gratitudine, quella sensazione che nasce dall’evidenza d’aver molto ricevuto dalla vita e dagli altri che talora instilla il rammarico di non aver altro tempo per vivere. Una prolunga vitale utile, forse, per riuscire a sdebitarsi tramite un esercizio capovolto in cui il dono esca indenne dalle nostre mani magari accresciuto, per essere restituito a chi, ora, ha bisogno di tempo per crescere, maturare e impegnar- si. Ed è qui, in questa evidenza che Pietro ha mostrato come si può diventare maestri. Nella vita non si diventa maestri seducendo o imponendosi oppure dando vita a grup- pi di pressione. Le sue stagioni sono state per noi stagioni di magistero civile e spiri- tuale, libero e disinteressato; in più ogni volta che si trovava a contatto con nuovi sti- moli o era interrogato dagli occhi avidi di giovani – e quanti giovani, di più generazio- ni – che ne avevano intercettato il valore, era capace di tornare discepolo, convinto che ci sono momenti in cui è più urgente cercare ancora qualcosa ma che non si può farlo da soli. Amico di tanti di ogni età, riceveva, consigliava, discuteva, sottoponendo a vaglio critico ricerche e progetti, pago di un frutto concordemente maturato.

• Nella prima lettura, le parole di Giobbe (42,1-6) diventano le sue parole. Pietro nelle ultime settimane leggeva avidamente il libro di Giobbe. Il dignitoso co- raggio dell’uomo giusto, provato da sofferenze, che trasfigura la vita in un grande mistero lo spingeva a parlare con Dio. E come Giobbe, per farsi ascoltare, aveva ca- pito che facendo tacere inutili discorsi su Dio, occorreva tornare discepoli: ‘Ascolta- mi e io parlerò, io t’interrogherò e tu istruiscimi’. Pietro era tornato discepolo, affi- dandosi, e sottomettendo la sua curiosità – così disponibile allo stupore – alla fede. Il mistero è più grande delle nostre misure, così come la vita eterna è più gran- de, più profonda di tutto quello che nella vita riusciamo a realizzare. Il Vangelo del- la Samaritana ci parla di questo, di un Dio in cerca dell’uomo assetato. Di un Dio più grande del luogo in cui lo si adora; di un Dio largo e aperto quanto lo spirito e la verità, di cui sono nutriti i veri adoratori, quelli ricercati e amati dal Padre. Nella donna del Vangelo che con la brocca trascina la sua sete c’è il segno dell’umana ri- cerca. Gesù è lì ad attenderla, sapendo che la sua sete non può saziarsi senza di Lui. Le promette l’acqua viva, l’acqua che non inganna, l’acqua vera capace di liberare la verità nascosta della sua vita.

• Abbiamo di fronte la brocca e l’incontenibile acqua divina. Così si rappre- senta la nostra vita davanti al giudizio di Dio. Ne discende l’idea di quello che Pietro ha sempre creduto. Il cristianesimo, così come storicamente si è delineato e si delinea, non potrà mai pensarsi del tutto pro- porzionato all’infinita ricchezza che custodisce. E questa evidenza lo ha segnato tem- prando in lui il carattere del cristiano serenamente inappagato, docilmente inquieto. Da qui deriva lo sguardo critico con cui ha osservato e cercato di decifrare i nostri an- ni. Tale sguardo non era generato da orgogliosa autosufficienza, ma, al contrario, affondava in quel rigoroso senso di appartenenza che non poteva esercitarsi senza

114 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Achille Silvestrini l’esercizio della responsabilità dell’intelligenza. L’appello alla coscienza nei momenti in cui poteva avvenire di non trovare espresso compiutamente il passaggio dalla lette- ra evangelica alla sua applicazione nella realtà, non è mai stato per lui l’esodo dalla fe- deltà verso un soggettivismo senza padri. Al contrario, l’appello alla coscienza era la prova della vitalità della fede espressa in forma concreta come verifica di quel precetto che tutto fonda: amerai il prossimo tuo come te stesso, impossibile, come dice la Lettera ai Galati, senza essere guidati dallo Spirito di Dio. La docilità allo Spirito trasforma il cristiano. Lo sapeva Giovanni XXIII quando indisse il Concilio, lo sapeva Paolo VI quando ne difese i contenuti. ‘Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé’. Tutte queste caratteristiche si ri- trovano nella speranza degli anni conciliari che aveva trasformato il rapporto della Chiesa col mondo. Una Chiesa ‘chiamata a libertà’, liberata dalla paura del mondo.

• Pietro figlio del Concilio non aveva paura ed era lucido per questo. Era libe- ro, e dalla sua coerenza nasceva la valutazione che, anche se critica, aveva come fine di tutelare la libertà della chiesa e della politica, entrambe nella necessità di essere tutelate dall’asservimento a logiche strumentali che ne potevano stravolgere la na- tura e il fine. La Chiesa e la politica dovevano servire l’uomo, a loro modo, attraverso strade diverse che ne ritraducevano l’assioma, obbedivano allo stesso comandamento, quello che chiede di servire il prossimo amandolo.

• Pietro da storico era convinto che la storia insegna ma non offre infallibili stru- menti. La storia rivela ad ogni generazione una verità semplicemente utile a districar- si tra le insidie del ripetersi degli errori. Il credente sa che il Vangelo non dispiega i dettagli delle risposte a tutte le domande che la vita di ogni generazione solleva. Ci sono stagioni di entusiasmo e ci sono tempi in cui ci pare che le cose non rie- scano a ritrovare la giusta direzione. Ci sono le sconfitte e i successi. C’è la giovinez- za e la vecchiaia, la vita e la morte. Tutto si rivolge alle promesse divine, soprattutto quella più grande e più difficile a credersi, della vittoria sulla morte, della resurrezio- ne. Pietro ha attraversato l’ombra che la vita umana ci proietta addosso con la fidu- cia nella sinergia di grazia e libertà. In essa ha aperto il Vangelo per dare senso e con- tinuità al suo battesimo, interrogandolo e interrogandosi. È stato figlio, fratello, ma- rito, padre, nonno, amico, maestro, considerando come talento prezioso l’essere cre- dente. Non ha sotterrato, questo talento, lo ha messo in opera fino alla fine. L’ultima lezione è stata quella dell’abbandono fiducioso. Quello che aveva po- tuto fare era stato fatto. Ha riscritto nella sua debolezza le ultime parole di Cristo ‘tutto è compiuto’, respirando l’attesa che la sua vita sarebbe stata raccolta dall’ab- braccio di Dio che non ha lasciato suo Figlio nella tomba”.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 115

Scoppola, la storia come complessità*

di Andrea Riccardi

Il mio primo ricordo di Pietro Scoppola rimonta al 1970, nel clima effervescen- te della ‘Sapienza’ a Roma, quando nel mondo universitario si riversava l’onda del ’68. Lo studioso, che ieri è scomparso, teneva una linea difficile: considerato “pro- gressista” da non pochi colleghi di Facoltà, richiamava alla lezione della storia tanti studenti imbevuti nello spirito para marxista del tempo, per cui tutto era sovrastrut- tura. Professore poco più che quarantenne, Scoppola era convinto della complessità della storia, non riducibile ad un’interpretazione ideologica. E comunicava il gusto della storia. La concretezza del confronto con i fatti e i processi storici era il grande insegnamento che fin da allora egli offriva ai più giovani. Infatti Scoppola ha sempre unito l’attenta ricerca sui documenti con un’intuizione spiccata e profonda di uomi- ni, situazioni, congiunture. Non si può dire che lo storico abbia avuto maestri, an- che se si rifaceva alla lezione di Jemolo e riprendeva con ammirazione quella di Mar- rou, “uno storicismo umanistico aperto ai valori della trascendenza”.

Il contatto con gli studenti, la discussione con loro, la lezione, l’insegnamen- to… sono stati la passione della sua vita. A chi lo frequentava trasmetteva il senso di una vicenda storica da scoprire con i documenti, la ricerca, la riflessione. In questa prospettiva è stato un maestro di generazioni di giovani storici e di tanti studenti lungo periodi inquieti e in anni più tranquilli, ma talvolta piatti culturalmente. Non è stato un “maestro” di una scuola storica, ma uno storico che, con un notevo- le senso del rapporto personale e con attenzione alle capacità e al sentire dei suoi in- terlocutori, ha sviluppato in allievi e collaboratori il gusto di andare al di là della rappresentazione banale degli eventi.

Scoppola non veniva dall’Università, ma era funzionario del Senato. La storia era la sua passione fin dagli anni Cinquanta. Era stato protagonista, con Gabriele De Rosa, dell’inserzione della storia del cattolicesimo (anzi del movi- mento cattolico) nella storiografia italiana, orientata in una linea crociana, che metteva ai margini la vicenda del mondo cattolico. Ma ben presto si era dedicato a temi fini e complessi come quelli della crisi modernista di inizio secolo, che rappre- sentava la grande questione del primo rapporto tra Chiesa e modernità. Il tema era

* «Avvvenire», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 117 Andrea Riccardi un intreccio di problematiche culturali e religiose, che diede origine al primo libro sul modernismo italiano.

Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, edito nel 1961. La cultura reli- giosa restò sempre un aspetto decisivo della ricerca storiografica di Pietro Scoppola. Ma lo studioso romano è anche estremamente sensibile al legame tra vita religiosa e vita pubblica. La sua non è mai stata una storiografia confessionale o a tesi; anzi era convinto che «la fede è l’antidoto più efficace ad ogni lettura ideologica della storia».

Lungo questa linea si muovono tante sue ricerche e pubblicazioni. Non è qui il caso di ricordarle, anche perché, in queste ore, mi è più presente l’immagine del cri- stiano e dell’amico di tante giovani generazioni di studenti e studiosi. Solo va detto che le sue ricerche su Chiesa e fascismo e quelle su De Gasperi, portarono il riserva- to studioso nel pieno del dibattito politico.

Soprattutto La proposta politica di De Gasperi (che è del 1977), opera di grande valore storiografico, si saldò alla vicenda politica di quel periodo, all’Italia del “compromesso storico”, all’assassinio di Aldo Moro (che aveva guardato a quel te- sto con attenzione, anche perché recuperava un aspetto dimenticato della storia na- zionale e della politica dei cattolici). Negli anni Settanta cominciò la vita pubblica di Pietro Scoppola (che fu, negli anni Ottanta, senatore per una legislatura), fervi- do cantiere di iniziative per cercare un nuovo equilibrio della politica italiana e del- la presenza dei cattolici in esso. Ma lo storico romano non è mai stato un politico e, in fondo, poco ha avuto dalla politica e dai politici. Il suo approccio colto, pensato, e un timbro etico lo hanno tenuto lontano da una politique d’abord e talvolta reso una presenza singolare tra i compagni delle sue imprese.

Si potrebbe pensare che nel più che ottantenne professore romano (era nato nel 1926) predominava l’amarezza per il suo rapporto con il mondo della politica. Avreb- be potuto predominare anche l’amarezza per i suoi rapporti con il cattolicesimo.

Scoppola aveva sentito con molta partecipazione gli anni di Paolo VI, di cui ammirava il travaglio intellettuale. Il pontificato di Giovanni Paolo II lo aveva visto meno partecipe, specie degli aspetti ‘popolari’ di questo papa, di cui pure ricono- sceva la grandezza. Del resto era tipico dell’approccio dello studioso alla vita, anche nei suoi aspetti personali, un forte senso critico e autocritico. Sarà necessario, in un prossimo futuro, ritornare sull’uomo e sullo studioso, che fa parte della storia cul- turale e politica del nostro paese negli ultimi decenni.

Un aspetto, però, mi preme sottolineare, quello meno noto ai lettori dei gior- nali e forse protetto dalla sua grande riservatezza borghese. Infatti Pietro Scoppola è

118 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Andrea Riccardi stato un borghese, nel senso nobile del termine: servitore dello Stato, insegnante appassionato nell’Università, attento ai valori del dovere e dell’onestà. Qualcuno ha parlato di lui come di un “cattolico liberale”; ma forse è una definizione fuori tem- po, se non per sottolineare la nobiltà d’animo e l’approccio “etico” alle questioni della vita, della politica e della ricerca. La sua casa nel quartiere romano borghese di Prati (non distante da quella che fu di Arturo Carlo Jemolo e nello stesso palazzo dove abitava lo storico Vittorio Emanuele Giuntella), assieme alla sua famiglia, era lo specchio di questi valori coltivati nel privato e condivisi nella lunga vita con la moglie Corinna. Lì, a Prati, Scoppola riceveva tanti, consigliava, discuteva delle ul- time ricerche, incoraggiava, sottoponeva al vaglio critico ricerche e progetti. Lo ha fatto sino alla fine della sua vita.

L’aspetto, che vorrei sottolineare, poco noto, è quello del credente: non il catto- lico militante, l’intellettuale, l’ispiratore di azioni politiche o di discorsi. Pietro Scoppola era credente, amava la Bibbia, pregava, sentiva la liturgia. Aveva riflettuto sul male (era ammalato di cancro) che “prende da dentro e consuma”, non qualco- sa che gli altri contagiano e viene da fuori – diceva – ma qualcosa che “è dentro di te”. Tuttavia i suoi ultimi mesi e, in particolare, i suoi ultimi giorni sono stati una preparazione, sofferta ma serena, a quello che considerava il passo più grande della sua vita, quello della morte come passaggio: “Aiutatemi a vivere i prossimi giorni con gioia”, aveva detto in una preghiera a casa sua, meno di due settimane fa.

Diceva: “La fede è l’antidoto migliore alle letture ideologiche”. In una discipli- na segnata dalla linea crociana, indagò in modo nuovo i rapporti fra Chiesa e mo- dernità. Amava Bibbia e liturgia, aveva una profonda cognizione del male.

Nel dolore, pregava di vivere l’ultimo passaggio “con gioia”.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 119

Addio a Scoppola cattolico e democratico*

di Eugenio Scalfari

Sapevamo che era molto ammalato e ormai prossimo alla fine ma conservava ancora una lucidità di mente straordinaria e una capacità di lavoro che stupiva tut- ti quelli che seguivano con trepidazione la sua personale vicenda. Pochi giorni fa aveva dato al nostro giornale, cui da molti anni collaborava, un’ampia intervista politica; da suo figlio avevo saputo che stava scrivendo un li- bro-testamento e si affrettava a dettarlo (a scrivere materialmente non riusciva più) sperando che fosse pronto prima della fine che sapeva imminente. Così speriamo tutti noi che gli siamo stati amici e tanto abbiamo imparato da lui su come si possa essere cattolici e democratici insieme, rispettosi del magistero morale della Chiesa e autonomi nelle scelte sia etiche sia politiche. Questo, della cattolicità democratica, è stato da sempre il tema e il problema delle sue riflessioni, dei suoi scritti e della sua azione politica, con due punti di rife- rimento precisi: il Concilio Vaticano II e le encicliche ad esso ispirate da un lato e dall’altro i princìpi della Costituzione repubblicana. Si è detto che alcune delle sue posizioni traessero origine dal pensiero cattolico-democratico francese dei primi del Novecento. Qualche somiglianza e qualche eco si colgono nei suoi scritti ma il contesto dei due paesi era ed è molto diverso, l’Italia è la sede millenaria del Papato e del tempo- ralismo della Chiesa, la Francia ha una tradizione gallicana e anche una tradizione giansenista che hanno fortemente influito sul cattolicesimo francese, insieme all’in- sediamento ugonotto e alle guerre di religione durate per oltre tre secoli. A causa di queste profonde diversità dei contesti politico-religiosi la posizione di Scoppola è stata del tutto autonoma. Sostanzialmente solitaria. Perciò preziosa per quell’incontro storico della cultura laica e socialista con la cultura cattolico-democratica che dovrebbe avere il suo compimento nell’appena nato Partito democratico del quale non a caso Pietro Scoppola è stato uno dei fon- datori. Gli ultimi due Papi, nelle loro manifestazioni magisterali e nella loro attività pastorale, suscitarono parecchi dubbi nell’animo suo di credente, di storico e di uo- mo di pensiero. Di Wojtyla ammirava molto la doppia critica al comunismo totali- tario e al capitalismo fondato sulla ricerca del profitto come obiettivo esclusivo e

* «la Repubblica», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 121 Eugenio Scalfari

“fondamento morale” della cultura di impresa. Criticava invece una sorta di fonda- mentalismo cattolico che vedeva emergere in quel pontificato, radicalizzato dalle gerarchie episcopali di Roma e di Italia. In Benedetto XVI vide lo sviluppo coerente e tenace della tesi del predecessore, fino all’esplicita messa in causa del Vaticano II e ad una sorta di regressione verso la Chiesa pacelliana di non fausta memoria per i cattolici democratici. Questa è stata la posizione di Scoppola con gli scritti e con l’azione. Ho detto posizione solitaria ma aggiungo: per sua scelta. Non amava le correnti né politiche né di scuola. Ama- va e praticava una piena autonomia e libertà di giudizio, fondate su una concezione comunitaria e proprio per questo ecumenica del cattolicesimo. Alcuni di noi laici – penso a Gustavo Zagrebelsky – ritengono che la Chiesa cattolica porti in sé una vocazione oggettiva e perciò irresistibile verso il fondamen- talismo per il fatto stesso di affermare il possesso di una verità rivelata e quindi as- soluta. Ma non era questa la posizione di Scoppola e di alcuni (pochissimi) ecclesiasti- ci che concordavano con il suo pensiero. Egli introduceva infatti nell’abbinamento tra verità rivelata e verità assoluta un terzo elemento, quello del rapporto del cre- dente con Dio non necessariamente intermediato dalla Chiesa. In qualche misura era stato questo il lascito del “modernismo” e ancora più indietro del pensiero di Rosmini e del Manzoni. Il rapporto diretto dei fedeli con Dio e con le sue scritture evangeliche rappresenta in questo contesto il solo efficace baluardo contro la voca- zione gerarchica e fondamentalista e getta un ponte verso la laicità delle istituzioni, il pluralismo dei contributi, l’autentica libertà religiosa e, infine, l’autonomia del laicato cattolico e democratico. Questo è il lascito di Pietro Scoppola, il rimpianto di non averlo più con noi nel momento stesso in cui la sua presenza e la sua generosità intellettuale sarebbe stata preziosa, il timore che la sua scomparsa privi il pensiero e l’azione dei cattolici di un contributo essenziale. E il nostro giornale di una voce che non sarà certo faci- le da rimpiazzare. Al nostro modo laico anche noi oggi pensandolo e ricordandolo preghiamo per lui.



122 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Il Nuovo Partito che rompe con il Novecento*

di Eugenio Scalfari

Post scriptum. Sono stato ieri al funerale di Pietro Scoppola svoltosi nella chie- sa di Cristo Re a Roma in viale Mazzini. C’erano almeno mille persone, intente e commosse. Officiava il cardinal Silvestrini insieme a tutto il capitolo della parroc- chia.

Non entravo in quella chiesa da settant’anni; la frequentai da bambino e men- tre assistevo alla messa funebre e pensavo all’amico scomparso sono anche riandato a quegli anni così lontani della mia infanzia devota.

La folla assiepata nei banchi e nelle navate rappresentava un campione autenti- co di cattolici ferventi, animati dalla fede e da un impegno civile ammirevole. Lo dico perché conosco molti di loro e so di quell’impegno e di quella fede responsabi- le e non bigotta.

Si sono tutti comunicati. L’intera folla presente ha preso l’eucaristia. Più d’uno si è avvicinato a me per dirmi che preferiscono frequentare i non credenti sinceri piuttosto che i falsi cattolici.

Il cardinale ha parlato benissimo e così pure, con brevi parole, il parroco della chiesa. Figli e nipoti del morto si sono avvicendati con letture e pensieri appropria- ti e commossi.

Ho avuto la sensazione di stare con persone perbene, moralmente, intellettual- mente e professionalmente perbene. Da non credente mi ci sono trovato a mio agio. Mi hanno dato fiducia nel futuro. Per questo rinnovo il mio ringraziamento alla memoria di Pietro Scoppola, sicuro che i cattolici presenti in quella chiesa e i tanti simili a loro proseguano l’opera sua.



* «la Repubblica», 28 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 123

“Un cattolico a modo suo” *

di Agostino Giovagnoli

“Un cattolico a modo suo”. Così lo definì Paolo VI quando il segretario della Conferenza episcopale italiana, Enrico Bartoletti, gli chiese un giudizio su Pietro Scoppola. Era allora in corso la preparazione del primo convegno nazionale della Chiesa italiana – “Evangelizzazione e Promozione Umana” che si tenne a Roma nell’ottobre del 1976 – e su Scoppola, membro del comitato organizzatore, era comparso un articolo critico de «L’Osservatore Romano». Egli avrebbe voluto di- mettersi, ma fu trattenuto da Bartoletti che interpellò Montini e l’arguta ma bene- vola risposta del papa fece continuare la sua collaborazione al convegno della Chie- sa italiana. Scoppola si riconosceva in questa definizione. Egli sentiva il dovere di essere in- tellettualmente rigoroso, talvolta costruttivamente critico, anche a motivo della sua sincera cattolicità. Amava sottolineare che la sua fede passava costantemente attra- verso il dubbio. Ma pur avendo scritto nel 1961 il primo libro importante sul mo- dernismo italiano, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia – nutriva dub- bi diversi da quelli della generazione di credenti di inizio novecento, sconvolta so- prattutto dagli sviluppi della scienza. Egli era anzi un po’ allergico ad una certa rincorsa cattolica nei confronti della modernità, di cui alla vigilia del Concilio Vaticano II denunciava l’“esteriorità”. Per “stabilire un contatto vivo con l’animo dell’uomo moderno” si doveva piuttosto promuovere “un più profondo senso interiore […] alieno da ogni aggressività o punta polemica” e, soprattutto, riconoscere che “l’uomo di oggi è colpito assai più dal richiamo al rischio e all’incertezza della sua condizione e da un appello alle sue responsabilità individuali di fronte al mistero cristiano, che da una esposizione dot- trinaria ed astratta […] alla quale il suo orecchio è diventato sordo”.

• Scoppola ha accolto l’invito all’“aggiornamento” lanciato da Giovanni XXIII per contrastare le voci dei “profeti di sventura”. Probabilmente, il Vaticano II è sta- to l’evento che più ha segnato la sua vita, orientando tutto il suo percorso religioso, culturale, politico. Come si è accennato, il suo cattolicesimo non ha seguito i bina- ri obbligati della logica istituzionale ma a Scoppola non piaceva neanche quella che si potrebbe chiamare la “banalità dell’anticonformismo”: il suo giudizio sul dissen-

* «la Repubblica», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 125 Agostino Giovagnoli so cattolico e sulla povertà culturale è sempre rimasto molto severo. Egli guardava piuttosto a personalità complesse come quella di Paolo VI, di cui pure non condivi- se alcune scelte, ma che gli sembrava esprimere un rapporto intenso e tormentato con la cultura contemporanea. Per Scoppola, infatti, il messaggio religioso non do- veva essere calato dentro una rigida filosofia neoscolastica che lo allontana dalla vi- ta concreta degli uomini e delle donne. In questo senso non è stato casuale il suo incontro con la storia, il cui studio egli ha sviluppato – sulla scia di grandi maestri come March Bloch ed Henri Marrou – soprattutto come “simpatia” verso tutto ciò che è umano. A tale atteggiamento corrispondeva, al di là dei suoi studi, una since- ra capacità di interesse per l’altro, superando distanze culturali, sociali, ideologiche: egli ha saputo unire grande cultura e forte carica umana, grazie anche a un’inquie- tudine che lo faceva uscire dalle convenzioni e dai clichè del suo ambiente.

• Il nome di Pietro Scoppola è strettamente associato alla storia del cattolicesi- mo democratico italiano. Egli si è prima inserito nella tradizione di Sturzo, De Ga- speri e Moro, l’ha poi reinterpretata e ne è infine diventato un esponente di spicco. La proposta politica di De Gasperi, da lui pubblicata nel 1977, non segnò solo una svolta negli studi degasperiani, ma offrì anche un nuovo punto di riferimento al- l’impegno politico dei cattolici. Progressivamente, la tradizione cattolico-democratica ha cominciato a parlare soprattutto con la sua voce, è stata da lui difesa contro le contraffazioni ed è riusci- ta a sopravvivere, dopo l’esaurimento delle forze politiche che la esprimevano, at- traverso le sue posizioni. È accaduto durante il referendum sul divorzio, quando egli si impegnò per evitarne l’abrogazione. Personalmente molto legato alla moglie e alla famiglia, era però convinto che l’indissolubilità del matrimonio non dovesse essere imposta per legge ma scelta liberamente in coscienza (sull’aborto invece ha avuto un’opinione molto diversa, convinto che la tutela della vita costituisca un principio giuridico irrinunciabile). La parola coscienza, che gli era indubbiamente familiare, evoca infatti in lui l’esigenza di una coerenza più profonda e di un dovere più alto, piuttosto che il senso della soggettività individuale. È significativo in que- sto senso che, in seguito, Scoppola abbia messo in dubbio l’opportunità di quella scelta, constatando la ferita del corpo ecclesiale che ne era derivata.

• Le sue posizioni erano esenti da rigidità o ristrettezze, anche se egli amava di- scutere sostenendo in modo brillante le proprie convinzioni e, nel confronto a più voci, la sua personalità finiva in genere per prevalere. Scoppola non temeva i para- dossi, anzi probabilmente li riteneva passaggi necessari per restare fedele ad una sua personale autenticità. Tra gli altri, c’è stato anche il paradosso degli scarsi successi politici di un uomo pure tanto ammirato e stimato, ma il suo “fallimento politico” era probabilmente scritto nel suo destino ed è facilmente comprensibile se si pensa alla forte carica etica che lo ha animato. Nel 1977 egli era noto come uno dei prin-

126 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Agostino Giovagnoli cipali ispiratori del rinnovamento democristiano, per questo subì la contestazione di un gruppo di studenti e fu anche messa una bomba sotto la sua auto. Ma Scop- pola era critico verso quel rinnovamento: pur sentendosi vicino al tentativo di Zac- cagnini e Moro, riteneva troppo timida la loro azione e ne giudicava insufficienti i risultati. Qualcosa di simile si è ripetuto spesso anche in altre circostanze. A lui si devono intuizioni politiche importanti, che hanno contribuito prima alla nascita dell’Ulivo e poi a quella del Partito Democratico, ma in entrambi i casi il suo ap- porto è stato accolto solo limitatamente. Anche molti di coloro che pure si sono ispirati alle sue idee ne temevano la coerenza e lo hanno tenuto a distanza: talvolta Scoppola ne ha sofferto, pur comprendendo tali comportamenti con realismo mi- schiato ad ironia.

• Senza mai diventare uomo del Palazzo, ha sempre avuto un forte senso delle istituzioni. Scoppola ha denunciato apertamente i limiti del sistema politico – La Repubblica dei partiti è un’altra delle sue opere più importanti – ed ha contribuito attivamente a cambiarlo, sostenendo nel 1993 il referendum sulla legge elettorale. Ma egli era agli antipodi del qualunquismo o dell’antipolitica. Al fondo, ha perse- guito soprattutto una “missione impossibile”: cambiare il costume civile e politico degli italiani, facendo leva contemporaneamente su un rinnovato senso religioso e su un profondo spirito laico. «La Repubblica» ha spesso ospitato i suoi interventi in questo senso. “Generale senza truppe” fu astiosamente definito negli anni ottanta, ma Pietro Scoppola – che peraltro non ha mai cercato di allineare truppe dietro di sé – ha avuto molti amici, esercitando con la sola forza delle sue idee un’influenza sorprendentemente larga. La “lezione” più difficile del professore, che avrebbe compiuto ottantun’anni il 14 dicembre 2007, è stata indubbiamente l’ultima: con la sobrietà che gli era propria ma in una forma in qualche modo pubblica, ha com- battuto a viso aperto la sua ultima battaglia, vivendo la malattia con la lucidità del laico e la serenità del credente. Senza Pietro Scoppola oggi siamo più soli: cattolici e laici, amici ed avversari sentiremo tutti la sua mancanza. In questo breve ricordo, il termine autentico è ricorso più volte, forse non a caso: questo raro esempio di spiri- to inquieto e generoso ci lascia soprattutto il dono di un’esistenza vissuta con esem- plare autenticità umana e spirituale.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 127

Quando il cattolico democratico ci inflisse la scomunica*

di Giuliano Ferrara

Ne abbiamo parlato sorridendo affettuosamente le due o tre volte che è venuto in tv a discutere di religione e politica, l’anno scorso. Qualche tempo prima Pietro Scoppola aveva dichiarato eretiche le posizioni de «Il Foglio» sul diritto del cristiane- simo e della Chiesa alla presenza e all’influenza sulla vita pubblica, spacciandole per un cinico tentativo di abuso politico della fede, e le aveva scomunicate citando la tragica parabola di Charles Maurras, a sua volta oggetto di scomunica papale. Maur- ras era un grandiloquente, immaginifico e confuso letterato, ideologo e giornalista che abbracciò, da posizioni personali di spiritualismo agnostico, quasi tutte le opi- nioni censurabili o ignobili della cultura europea della prima metà del Novecento: fu antidreyfusardo, antisemita, nazionalista, xenofobo-germanofobo, monarchico- legittimista, salazarista, franchista, integrista cattolico, populista e non so cos’altro. “È in quanto ebreo che bisogna capire, combattere e abbattere Léon Blum”, è una delle sue tipiche espressioni sanguinarie. Se si tenga conto del fatto che Maurras, ac- cademico di Francia, finì i suoi giorni scontando una condanna all’ergastolo nella Francia del secondo dopoguerra, per essere poi condannato all’oblio multipartisan della République e a un culto solforoso di pochi fedeli, bisogna dire che la polemica di Scoppola contro «Il Foglio», ospitata da «la Repubblica» con una replica il giorno successivo, non fu esente da una certa concitazione. Ma quello scatto di nervi fu su- bito acqua passata, nonostante un dissenso rimasto integro, però senza rancori. A me oltre tutto il paradosso civile del cattolico democratico, e Scoppola fu campione militante di quella cultura, è sempre piaciuto. Che da un mondo laico e non confessionale, con la trovata degli atei devoti e una guerra culturale non occa- sionale né effimera, arrivasse un segno di contraddizione alla vulgata di sinistra, po- st-conciliare, laicista del cattolicesimo democratico, era obiettivamente un affron- to: umanamente perdonato ma intellettualmente imperdonabile. Avere scoperto con qualche anticipo, e averlo predicato come una buona novella laica, che la poli- tica secolare non aveva riassorbito nel conformismo e nello stato etico la autonoma e inquietante bellezza della religione, fino ad esaurirla in un culto radicalmente pri- vato, era il nostro crimine maurrasiste. Ma il vecchio e saggio professore, saggio perché dotato anche di un cattivo ca- rattere, sapeva in cuor suo che qualcosa di nuovo era successo, che tempi e papi e

* «Il Foglio», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 129 Giuliano Ferrara idee e processi sociali si erano succeduti in un turbine di mutamento, dai tempi in cui il divorzio e l’aborto avevano trionfato spaccando la chiesa e secolarizzando con violenza perfino il ricordo di un cattolicesimo effettivamente sentito e praticato e predicato senza costrizioni, umilmente o orgogliosamente ma liberamente. Capiva con il sorriso, la conversazione, quel che non accettava con i nervi, da studioso e pubblicista legato alla propria identità: che l’ipotesi illuminista di un radicale smantellamento dello spirito religioso in favore del positivismo scientista o di altri profetismi era fallita.



130 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 L’amore di Pietro per la storia*

di Francesco Malgeri

Il 25 ottobre 2007 ci ha lasciato Pietro Scoppola, un’intellettuale cattolico che ha marcato con un segno profondo la cultura storica e politica del nostro paese. Era nato nel 1926. Giovanissimo lo troviamo tra i collaboratori del periodico «Adesso» di don Primo Mazzolari, fu, poi, funzionario del Senato, collaboratore e direttore della rivi- sta «Il Mulino», dalla metà degli anni Sessanta intraprese la carriera universitaria, in- segnando nelle Università di Lecce, di Trento e di Roma ‘La Sapienza’. Ha fatto parte della Commissione nazionale dell’Unesco e della Giunta centrale degli studi storici. Pietro Scoppola è lo storico che, tra i primi, in Italia, assieme a Fausto Fonzi e Gabriele De Rosa, avviò, negli anni Cinquanta, gli studi sulla storia, sino ad allora quasi sconosciuta, del cattolicesimo politico italiano tra Ottocento e Novecento. I suoi libri hanno formato intere generazioni di studiosi, ad essi hanno attinto politi- ci, giornalisti, studenti e tutti coloro che andavano alla ricerca delle radici lontane della nostra storia nazionale e del partito politico che in quegli anni aveva assunto saldamente la guida del paese.

Al suo primo libro, pubblicato nel 1957 presso le edizioni Studium con il tito- lo Dal neoguelfismo alla Democrazia cristiana, efficace sintesi delle vicende del mo- vimento politico e sociale dei cattolici italiani, seguì una delle sue opere più signifi- cative, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia (il Mulino, 1961). Con questa opera, Scoppola offriva un approfondito e documentato quadro delle cor- renti politiche e culturali del cattolicesimo italiano, con particolare attenzione al movimento modernista. Il volume, uscito negli anni più vivaci della svolta conci- liare, riproponeva all’attenzione degli studiosi il delicato problema del rapporto tra gerarchia ecclesiastica e istanze di rinnovamento religioso e culturale, che maturano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Un tema sempre caro a Pietro Scoppola, per quella attenzione, che mai venne meno, ai processi di cambiamento e alle novità che maturano nel pensiero e nella vita interna della Chiesa, ai rapporti della fede con la modernità, con la società civile e con lo Stato.

Questi temi trovarono una ulteriore attenzione nel volume pubblicato nel 1966, sempre per i tipi del Mulino, con il titolo Coscienza religiosa e democrazia nel-

* «Coscienza», nn. 4-6, 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 131 Francesco Malgeri l’Italia contemporanea, ove gli aspetti dedicati alle correnti e ai problemi del rinno- vamento religioso si arricchivano di una penetrante riflessione sul cattolicesimo po- litico italiano, con particolare riguardo al rapporto tra cattolicesimo e democrazia. Negli stessi anni Scoppola si è interessato, con saggi ed interventi vari, della po- litica scolastica italiana, del pensiero di Maret e dei cattolici democratici europei, del pensiero di Cavour e Croce, e della politica ecclesiastica italiana, pubblicando nel 1967, presso l’editore Laterza, una ricca antologia di documenti, con introdu- zione e note critiche, sul tema Chiesa e Stato nella storia d’Italia, a cui seguì nel 1971 La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni.

A partire dagli anni Settanta l’attenzione di Pietro Scoppola si è orientata preva- lentemente verso i temi e i problemi dell’Italia del secondo dopoguerra. Fu tra i primi a studiare la figura, il pensiero e l’opera di . Con il volume La pro- posta politica di De Gasperi, pubblicato nel 1977 dal Mulino, Scoppola suscitava un vivace dibattito storiografico, proponendo una rilettura del ruolo svolto da De Ga- speri nella vita politica italiana, dalla crisi del regime fascista sino agli anni Cinquan- ta, soffermandosi in particolare sul delicato problema del rapporto tra Democrazia cristiana, mondo cattolico e quadro politico nazionale, sottolineando l’orientamento democratico-liberale che animò il progetto degasperiano, anche in contrasto con le spinte più conservatrici presenti nel cattolicesimo italiano, che De Gasperi ebbe il merito di convogliare e ricondurre all’interno del sistema democratico. Emerge, in questa opera, l’immagine di un De Gasperi non tanto erede della tradizione del cattolicesimo sociale ottocentesco, né tanto meno delle istanze cor- porativistiche clerico-fasciste – come ha ipotizzato Baget Bozzo – bensì, soprattutto “partecipe della grande tradizione democratico-liberale europea”. Scoppola indivi- dua nel pensiero di De Gasperi “l’affermazione della libertà individuale e degli or- dinamenti rappresentativi”, assieme all’idea, sulla linea del Tocqueville, “di una de- mocrazia pluralistica, che esprime una società articolata, in cui individuo e stato non sono più entità astratte e contrapposte”. Una visione che De Gasperi riuscì fe- licemente a conciliare “con le esigenze più profonde del cristianesimo”.

Parve a molti, nel 1977, quando uscì questo volume di Pietro Scoppola, che il suo lavoro fosse in qualche modo funzionale all’ipotesi, allora dibattuta, del com- promesso storico. Il dibattito attorno a questo libro divenne a volte aspro e serrato. È indubbio che i riflessi della vita politica e sociale non sono mai del tutto estranei nel lavoro dello storico, che ne vive e ne subisce i condizionamenti. Per Scoppola, poi, il lavoro dello storico non era mai fine a se stesso ma intriso di una intensa pas- sione etica, civile e democratica, che ne rappresentava una sorta di nutrimento.

Gli interessi e l’attenzione all’Italia del secondo dopoguerra hanno trovato ulte- riori sviluppi negli anni successivi, con i volumi Gli anni della Costituente tra politi-

132 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Francesco Malgeri ca e storia (il Mulino, 1980) e La nuova cristianità perduta (Studium, 1985), ma so- prattutto con la pubblicazione nel 1991 della prima edizione del volume La Repub- blica dei partiti (il Mulino), una ampia e organica riflessione sulla storia dell’Italia repubblicana e sul problema della democrazia italiana. Si tratta di un’opera che mette a fuoco i nodi più importanti e delicati sul piano politico, sociale e istituzio- nale, che segnano la storia dell’Italia repubblicana, ripercorsi anche con l’attenzione a cogliere le cause che, a partire dagli anni Ottanta, hanno bloccato il sistema poli- tico, mettendo in crisi i partiti e le istituzioni del paese.

Questa riflessione sull’Italia del secondo dopoguerra portava Scoppola ad af- frontare anche la questione dell’identità nazionale e della formazione e sviluppo del senso della cittadinanza nel nostro paese, inserendosi in un vivace dibattito storio- grafico e dedicando all’argomento alcuni significativi saggi (25 aprile. Liberazione, Einaudi 1995 e La Costituzione contesa, Einaudi 1998), nei quali si evidenzia il pe- so e il ruolo che le forze politiche uscite dalla Resistenza hanno svolto nella fonda- zione della Repubblica, in un comune patrimonio di valori e di principi, che hanno trovato nella Carta costituzionale la loro più significativa realizzazione. Un patri- monio che, a suo avviso, andava custodito e conservato, rivendicando anche una sorta di “patriottismo costituzionale”, come risposta alla crisi dell’identità naziona- le italiana.

Con Pietro Scoppola scompare una delle più rappresentative figure – forse l’ultima – di quel pensiero che da Rosmini, Manzoni e Tommaseo, attraverso per- sonalità come Jacini, Fogazzaro e Gallarati Scotti, giunge sino ad Arturo Carlo Je- molo, che fu tra i suoi maestri. Un pensiero che si ispirava a quel filone cattolico-li- berale, che intendeva coniugare le istanze culturali della tradizione democratica e risorgimentale del liberalismo, con un cattolicesimo ispirato alla tolleranza e lonta- no dalle tentazioni integraliste, attento a cogliere il segno dei tempi e i valori delle moderne conquiste civili e sociali. Scoppola si misurò anche con l’impegno politico vissuto non soltanto attraver- so i suoi scritti e le sue ricerche storiche, ma in prima persona, ricoprendo cariche di particolare rilievo. Basti ricordare che fu fondatore ed esponente di primo piano della “Lega democratica” tra gli anni ’70 e gli anni ’80; fu parte attiva, il 17 febbraio 1974, nella stesura dell’Appello dei cattolici democratici per il no nel referendum, che ebbe il sostegno di personalità e di intellettuali cattolici come Francesco Traniello, Ettore Passerin d’Entreves, Luigi Pedrazzi, Paolo Brezzi, Giuseppe Alberigo, Pierre Carniti, Giancarlo Zizola, Ruggero Orfei ed altri; fu senatore, eletto nelle liste del- la Dc, dal 1983 al 1987; fece parte dei movimenti referendari all’inizio degli anni ’90, con l’obiettivo di accelerare la riforma del sistema politico italiano; fu parte at- tiva in seno all’Ulivo e nella recente preparazione e realizzazione del Partito demo- cratico.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 133 Francesco Malgeri

Questa esperienza la visse con una straordinaria passione civile e con una forte tensione etica, mantenendosi sempre ben ancorato a quei valori e a quelle istanze del cattolicesimo democratico che avevano nutrito la sua formazione e la sua fisio- nomia culturale e intellettuale, ma anche riaffermando, con convinzione profonda, la dimensione laica e l’autonomia politica del cristiano, pur nel rispetto del magi- stero della Chiesa e delle sue indicazioni morali.

Chi ha avuto modo di conoscerlo e frequentarlo non potrà dimenticare il suo tratto gentile, il suo garbo, la sua signorilità, la sua sensibilità, il rispetto e la tolle- ranza nei confronti dei suoi interlocutori, anche dei giovani e degli studenti, e so- prattutto la sua personalità di intellettuale e di cristiano ben saldo nella sua fede, ma attento e disponibile al dialogo e sempre pronto a misurarsi con la complessità della vita e della storia.



134 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Scoppola, l’etica come religione*

di Alberto Melloni

“La democrazia dei cristiani oggi coincide con la democrazia di tutti; in sostan- za è un impegno a tener viva , anche con la fede, una speranza di democrazia per il nuovo millennio”. Finiva così l’intervento di Pietro Scoppola sul cattolicesimo po- litico dell’Italia unita uscita quasi due anni fa e che sembra un epitaffio, posto a si- gillo di una vita chiusasi ieri a Roma tra l’affetto dei suoi cari, dopo aver combattu- to da cristiano, a mani nude, una lunga battaglia con la malattia. Scoppola è stato non solo maestro di studiosi e di studenti, ma una figura che ha lavorato intensamente per dare alla storia politica dei cattolici italiani una fon- dazione culturale che era per alcuni un vezzo surrogabile con l’anticomunismo o con l’integrismo. Una passione civile, borghese nel senso alto del termine, coltivata fin dalle prime apparizioni del suo nome sulle colonne delle «Cronache sociali» di Rossetti e nei «Quaderni di storia e cultura sociale» di Livorno. È del 1957 il suo li- bro (“schiettamente divulgativo”, dichiara l’understatement dell’autore) Dal neo- guelfismo alla democrazia cristiana, che cerca e trova nei fallimenti di quelle genera- zioni che avevano sognato una vita politica democratica per i cattolici le ragioni di una speranza. Ascoltiamo quello Scoppola trentenne tirare le fila della utopia di Murri: “È co- sì che le encicliche sociali dei papi e le affermazioni stesse del Vangelo, là dove indi- cano un ideale di fraternità e di carità, sono concepite come programma compiuto di partito da contrapporre a qualche altro partito; come se nell’azione politica le oneste intenzioni e i sani propositi morali potessero per sé soli attuare miracolose trasformazioni, senza una laboriosa e rischiosa opera di incarnazione nella realtà storica che tenga conto realisticamente delle sue leggi di sviluppo e delle forze che in essa operano”. Questa linea insieme storica e politica passa nel volume sulla crisi modernista e il rinnovamento cattolico (1961), per approdare dopo altri libri a Chiesa e fascismo del 1971. Libro antologico, ma capitale, di cui tutti speravamo che Scoppola potes- se fare una riedizione ora che gli archivi di Pio XI s’erano aperti: perché nel nodo clerico-fascista, nell’illusione che una retorica moralistica potesse legare popolo e Stato egli intuiva una trappola di lungo periodo per un cattolicesimo culturalmen- te desertificato dall’antimodernismo.

* «Corriere della Sera», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 135 Alberto Melloni

Per questa via Scoppola arrivava agli studi su La proposta politica di De Gasperi (1977) e su Gli anni della Costituente fra politica e storia (1980): lo storico romano – nel frattempo espostosi politicamente a più riprese, senza ricevere in cambio nul- la – confida che almeno la laica mediazione degasperiana profumi di futuro. Anco- ra una citazione: “I valori non possono essere maneggiati come un metro con cui misurare gli eventi dall’esterno: vanno scoperti dentro gli eventi stessi (…)”. Non credo giovi il rimpianto per momenti di libertà che non si sono compiuta- mente espressi o per alternative che non si sono realizzate. La comprensione critica di quello che è realmente accaduto, così come è accaduto, è ancora, forse la premes- sa migliore per una più ampia libertà nel presente”. E fra le opzioni c’è quella de La “nuova cristianità” perduta (1985): lo studio dedicato al mito di una riconquista pa- pale sconfitta dalla guerra, al di là della quale si proponeva intonso ai cattolici ita- liani il compito di far crescere la democrazia prima e più di qualsiasi punto confes- sionale. Compito che Scoppola fece suo anche dalle colonne de «la Repubblica» e che gli costò qualche diffidenza, diventata denigrazione dell’«Avvenire» nei lustri prima di Bagnasco. Scoppola, però, non ha mai rinunciato all’idea che la comprensione dell’insieme della parabola storica dei cattolici in politica fosse l’unica premessa possibile e necessaria all’azione: e anche all’indomani del naufragio democristiano, con La repubblica dei partiti (1991 e 1997), è tornato dire che la capacità del catto- licesimo di dare radicamento popolare a una democrazia resa debole dalla sua origi- ne costitutiva un servizio al Paese e alla verità. Un servizio più forte perché storica- mente più fondato della illusione di fare della Chiesa un sindacato dei valori (una “lobby” diceva nell’introduzione agli articoli recentissimamente raccolti in La co- scienza e il potere) alla corte di qualche destra. Per Scoppola questa non è una posi- zione ideologica, ma il compito e il frutto del sapere storico. “Le occasioni perdute rimangono tali anche quando si sono capite e studiate. Ignorarle o rimuoverle è sempre la premessa di una irresistibile coazione a ripetere”, scriveva meno di un mese fa Scoppola. È la consegna di cui – non credo mi facciano velo la riconoscen- za e l’amicizia – si sente già la mancanza.



136 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Gentiluomo laico, di fede*

di Emma Fattorini

Pietro Scoppola (morto giovedì all’età di 81 anni) era un uomo che “ci crede- va”. Come si diceva un tempo, quando si voleva parlare di una persona cui si rico- nosceva coerenza e affidabilità. Credeva alla presenza di Dio nella vita degli uomi- ni, prima di tutto; alla politica democratica, come il modo più idoneo per miglio- rarne la convivenza nel Novecento. Ma soprattutto alla profonda coerenza tra le convinzioni e le azioni. In questo semplice e profondo assioma sta il cuore della sua laicità, della sua fede e della sua etica. E della sua profonda anomalia nel panorama della nostra cultura attuale. Un’integrità che si è sviluppata negli studi come nella politica, ma disgiunti in un motivarsi reciproco e continuo. Un senso di unitarietà (così evidente nella sua vita privata) che era quanto di più lontano da ogni doppiezza politica, da ogni ni- chilismo, da ogni astrattezza accademica. L’unico vero faro morale, la sua etica, era in definitiva la coerenza dei comportamenti. Ma più che in un senso protestante – come spesso gli è stato ingiustamente rimproverato – direi proprio di una certa spi- ritualità francese che univa un po’ Bernanos e molto Maritain, fondendo stretta- mente interiorità, coscienza e azione, politica e studio. Per questo l’ultima sua polemica, condotta sempre con quel suo fare di genti- luomo, che non bastava a risparmiargli una profonda amarezza – soprattutto per le polemiche mossegli dall’«Avvenire» – era contro chi pensava di poter utilizzare la religione ai fini politici senza esperire e testimoniare un vero cambiamento interio- re. L’accostamento del pensiero teo-con con l’Action française non nasceva in primo luogo da una preoccupazione politica quanto dal vedere ridotta la religione a un uso solo e spregiudicatamente politico e cioè a una forma di idolatria. Prima dell’e- state aveva cercato nelle carte dell’Archivio Segreto vaticano relativo al fondo di Pio XI le argomentazioni con le quali Papa Ratti aveva inflitto la scomunica a Maurras (1925). E, in un suo ultimo lavoro, ancora inedito, sottolinea proprio il carattere religioso che motiva questa scomunica. Ma prono e subalterno alla modernità, Scoppola è riuscito invece a cogliere l’importanza fondativa che la presenza cattolica avrebbe dovuto e potuto avere nel consolidarne gli aspetti più positivi. Primo fra tutti la democrazia: tutto il suo lavo- ro di storico propone il difficile e lungo percorso dei cattolici verso la democrazia

* «Il Sole 24 Ore», 26 ottobre 2007.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 137 Emma Fattorini come la strada maestra per la testimonianza cristiana nel Novecento. Fu acuto nel cogliere gli effetti della secolarizzazione (La “nuova cristianità” perduta, 1985), i re- ferendum sul divorzio e sull’aborto – soleva ripetere – hanno avuto un effetto defla- grante più del 1968 e della stessa fine dei partiti. E i cui esiti si giocheranno anche in quel partito democratico da lui tanto voluto ma in ben altre forme da come si sta ora realizzando. Una figura del tutto anomala nel panorama del cattolicesimo della cultura e della politica italiana: che esprimeva molto più un pensiero liberale inner- vato di passione sociale che quel così detto cattolicesimo democratico in cui posi- zioni della sinistra democristiana si sono confusi con i vari catto-comunismi. In questi ultimi giorni agli amici che andavano a trovarlo e che ringraziava con infinita dolcezza creando subito un clima di intesa confidenza, sgranava gli occhi divenuti più grandi e ancora più curiosi, desiderosi di comunicare. Più stupore che non ansia, non paura e molta attesa come i bambini di fronte a qualcosa che li col- pisce e li sorprende: “Non ho angoscia sai, ho solo molta curiosità”. Come a inter- rogarsi: “Anche dopo la morte vivrete”. Finalmente dopo tanti anni capirò cosa vuol dire. Come Pascal. Sto aspettando. La mia unica preghiera è questa: “Eccomi, Signore”. Poi mi chiedo cosa fare nell’attesa, come dare speranza e fiducia. Ma devo essere più umile e “sapermi fermare”. Nessun eroismo ma neppure nessun affanno compulsivo per accettare o rifiutare: solo un largo intimo senso della vita e della sua positività.



138 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Rubriche

POLITICA INTERNA a cura di Nicola Graziani 141

POLITICA INTERNAZIONALE a cura di Mario Giro 146

RICERCHE a cura di Andrea Bixio 152

RELIGIONI E CIVILTÀ a cura di Agostino Giovagnoli 155

LIBERA OPINIONE a cura di Giorgio Tupini 160

NOVITÀ IN LIBRERIA a cura di Valerio De Cesaris 164

Politica interna

a cura di Nicola Graziani

• La caduta del governo di centrosinistra segna, al di là persino della superfi- cialità di alcuni titoli della stampa internazionale, la fine di una stagione politica, iniziata con le convulsioni seguite alla fine della cosiddetta Prima Repubblica e cul- minata in un lungo duello, vissuto talvolta in maniera anche troppo personalistica, tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi.

• Il centrosinistra conclude in anticipo una stagione di governo che si augura- va ben più lunga. Per il centrodestra non si tratta di un esito non del tutto inaspet- tato, visto che il rendere molto difficile l’azione del governo era lo scopo dichiarato della legge elettorale da esso varata nell’ultima fase della legislatura 2001-2006. Ma il fatto stesso che, per riuscire a tornare protagonista, il Polo abbia dovuto ricorrere ad un sotterfugio (altrimenti denominato “porcata” dallo stesso Roberto Caldero- ni, autore della legge elettorale), così come l’incapacità del centrosinistra di elabo- rare comunque una autentica politica di riforme, dimostrano il fallimento di una intera fase della politica nazionale. Scegliendo una immagine particolarmente viva negli occhi dell’opinione pubblica non solo nazionale, il «Corriere della Sera» ha definito l’emergenza rifiuti della Campania l’emblema del fallimento non tanto di una parte politica, ma di un’intera classe dirigente. La semplificazione, in quanto tale, è parziale, ma non priva di efficacia. Persino i numerosi, quanti spesso ingene- rosi e poco condivisibili, articoli del «New York Times», del« Times» di Londra, del «Wall Street Journal» o del «Financial Times» sono, nella loro indubbia parzialità, spia di una sensazione generale di sfilacciamento delle tensioni ideali di una fase iniziata (proprio quando le stesse testate condannavano la Prima Repubblica para- gonandola al Tardo Impero) tra promesse di rinnovamento e di rilancio. Il fatto che entrambi i poli abbiano mostrato il fiato corto viene confermato dalle fasi politiche che si sono avvicendate prima del gennaio 2008. Vale a dire il varo della Finanziaria, la nascita del Partito Democratico, il tentativo berlusconia- no di dar vita ad un Partito delle Libertà.

• Il governo Prodi, al contrario di quanto avvenuto 12 mesi prima, nel dicem- bre del 2007 è riuscito a varare una Finanziaria che non ha dato l’impressione di

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 141 far pagare al ceto medio il costo del necessario risanamento delle casse pubbliche. Al termine di un anno in buona parte dedicato al dibattito su cosa fare del “Teso- retto” proveniente dall’extragettito fiscale, l’esecutivo ha portato ad approvazione una Finanziaria in cui il peso della stretta appariva sostanzialmente ben distribuito tra le componenti sociali. Purtroppo, però, questo innegabile sforzo di equità è an- dato a coincidere con una fase in cui, per effetto di una serie di fattori anche endo- geni, il ceto medio italiano ha dovuto fare i conti con un’ulteriore diminuzione del potere d’acquisto dei salari. Il quadro tracciato a riguardo dall’Eurispes tra dicem- bre e gennaio è, oggettivamente, allarmante. Tanto più se si considera l’essenzia lità, per il buon funzionamento e la prosecuzione di ogni regime autenticamente de- mocratico, di un ceto medio in grado di poter guardare al futuro senza patemi d’animo. La situazione economica generale, poi, non ha potuto che risentire nega- tivamente dell’incipiente recessione proveniente dagli Stati Uniti, dove la crisi dei mutui sub-prime ha fatto da detonatore ad una spirale negativa peggiore di quella seguita all’implosione della New Economy dell’inizio del decennio.

• Dal punto di vista politico, poi, la Finanziaria ha mostrato una volta di più le carenze strutturali della coalizione di governo emersa dalle elezioni del 2006. Una maggioranza a suo tempo definita “sexy” dallo stesso premier ha avuto modo di varare il provvedimento, come nel 2007, a colpi di fiducia. Una circostanza che le ha attirato gli strali dello stesso Capo dello Stato. , ancor pri- ma della votazione finale, aveva fatto trapelare il suo malumore per un sistema che aveva condannato già nel 2006 e che, gli era stato promesso, non sarebbe stato se- guito nel 2007. Tanto che, nel discorso pronunciato di fronte alle Alte magistratu- re della Repubblica alla fine dell’anno, Napolitano ha dovuto constatare: “Anche quest’anno, in misura solo lievemente attenuata rispetto allo scorso anno, l’appro- va zione della legge Finanziaria e’ stata in ultima istanza affidata a congegni di ab- norme accorpamento – con conseguenti voti di fiducia – di norme accresciutesi senza misura nel corso del dibattito parlamentare”. Nel corso dello stesso messaggio, peraltro, il Capo dello Stato ha dovuto anche richiamare l’attenzione su altri punti. Primo tra tutto l’esistenza di un “dibattito politico soffocato dalla partigianeria” che ha impedito ai poli di dialogare. Poi, lo- gica conseguenza del punto precedente, il mancato avvio delle riforme. Terzo: tra le riforme non varate spicca quella della legge elettorale. Quarto: il deterioramento dei rapporti tra istituzioni e magistratura. Considerando che, nel febbraio 2007, sempre Napolitano aveva rinviato il governo Prodi alle Camere proprio con l’indicazione di avviare le riforme cominciando dalla legge elettorale, il bilancio tracciato dal Quirinale dieci mesi dopo difficilmente può essere considerato soddi- sfacente. Senza considerare poi che la pietra su cui è infine inciampato il governo riguarda proprio i rapporti tra magistratura e istituzioni. Gli arresti domiciliari per Sandra Lonardo Mastella, e la fase che si è conseguentemente aperta per chiudersi con l’uscita dell’Udeur di Clemente Mastella, sono da considerare solo un fattore episodico di una crisi politica che si andava dipanando da diversi mesi. Né la tenu-

142 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 ta del governo è emersa come rafforzata dal lancio della formula politica che, inve- ce, avrebbe dovuto renderlo stabile e duraturo.

• Il Partito Democratico nasce come la logica e necessaria conseguenza di un percorso politico avviato dopo il 1992, con l’introduzione del bipolarismo (in gra- do di reggere al ritorno di una legge elettorale similproporzionale come quella del 2006). Il Pd, probabilmente, ha segnato anche qualcosa di più profondo, come il momento finale di un cammino politico avviato da forze cattoliche all’indomani del Concilio, le quali (erroneamente comprese nel mondo ben più vasto e com- plesso della Sinistra Democristiana) hanno lavorato per anni ad una nuova fase della Repubblica, in cui cadesse la dicotomia cattolici-sinistra. Perdendo lungo il percorso anche non trascurabili schegge del loro mondo di provenienza, queste forze (certo non trascurabili dal punto di vista intellettuale e morale) hanno scelto non come compagni di viaggio, e nemmeno come semplici conviventi, ma si di- rebbe come elementi a loro consustanziali esponenti di una cultura originariamen- te di sinistra, poi sempre più spostata al centro fino ad essere tacciata, in qualche caso, di liberismo. Anche perché il modello di sviluppo economico da essa scelto negli ultimi anni non è stata l’economia sociale di mercato sull’esempio renano, ma il New Labour di Tony Blair.

• La presenza ai vertici del partito del ticket Veltroni-Franceschini è la rappre- sentazione materiale di questo nuovo tipo di unione, il quale viene da lontano e probabilmente sopravviverà alle tempeste dell’attualità politica: l’uno da segretario dei Ds scrisse su «La Stampa»: “Noi non siamo mai stati comunisti”. L’altro, prove- niente dalle fila del Movimento giovanile della Democrazia Cristiana, entrò nel Partito Popolare dopo un passaggio nei Cristiano-Sociali. Le prime uscite del Partito Democratico, però, non hanno coinciso con una fa- se fortunata per il centrosinistra. Il suo stesso varo, l’investitura del segretario (Vel- troni) attraverso le primarie del 16 ottobre 2007 ed il successivo dibattito hanno avuto l’effetto immediato di far apparire la premiership di Prodi come una fase ap- partenente al passato. Nonostante le rassicurazioni in senso contrario, dichiarazio- ni come quelle rese da Walter Veltroni ancor prima dell’apertura della crisi di go- verno sull’intenzione del Pd di avere liste autonome alle politiche hanno fatto ap- parire come imminente una nuova fase elettorale. Il partito, poi, porta con sé il se- gno, non positivo, dell’assenza di un processo di formazione dal basso che lo rafforzi nella società civile, a meno che non si voglia ritenere che una cosiddetta “primaria” possa supplire alla mancanza di una vera e propria fase congressuale.

• Per quanto riguarda lo strumento delle primarie, non può sfuggire una con- siderazione imposta dall’attualità del processo elettorale americano, in pieno svol- gimento in questi mesi. Le primarie americane consistono, nella loro essenza, in una serie di votazioni su territori diversi, in momenti diversi, per l’elezione su base proporzionale dei delegati ad una convention, vale a dire un congresso, che poi

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 143 sceglie il candidato alla Presidenza. Non è esattamente il processo seguito dal cen- trosinistra italiano per scegliere la candidatura Prodi prima e la segreteria Veltroni poi. La nascita del Pd, comunque, ha messo in luce anche una contraddizione in- trinseca del centrodestra. Non è un caso, infatti, che immediatamente dopo le pri- marie del Pd Silvio Berlusconi abbia lanciato un nuovo partito unitario, il Partito del Popolo delle Libertà. Non è un caso, nemmeno, che l’offerta abbia incontrato il disincanto dei partner del Polo (anche perché andata a coincidere con una fase di temporaneo rafforzamento del governo Prodi, dovuta al passaggio al Senato in pri- ma lettura della Finanziaria). Se il Pd, nel centrosinistra, segna la logica evoluzione del bipolarismo, lo stesso dovrebbe avvenire con il partito unitario cui Silvio Berlusconi va pensando ormai da anni. I no di e Pier Ferdinando Casini appaiono, al tempo stes- so, fuori del tempo quanto necessari a preservare le rispettive anime culturali: quel- la di una destra ancora in bilico e quella di un conservatorismo cattolico che guar- da al centro ma è incapace di liberarsi dall’abbraccio del centrodestra.

• La posizione del Polo, innegabilmente migliore rispetto a quella del centrosi- nistra al momento della fine dell’esecutivo Prodi, presenta quindi le sue non tra- scurabili contraddizioni. Al suo interno, infatti, sopravvivono gli unici due partiti strutturati del panorama politico. Al tempo stesso il partito più consistente, vale a dire Forza Italia, rappresenta la quintessenza di quel leaderismo da molti indicati come la più precipua caratteristica della lunga fase politica avviata nel ’92. Alte le possibilità di cortocircuito politico, dunque, soprattutto in base ad una lettura dei rapporti di forza fatta sui canoni stabiliti dalla legge elettorale del 2006. Anche il centrodestra, non va dimenticato, nel corso della legislatura avviata nel 2001 con una maggioranza parlamentare schiacciante (la più netta nella storia repubblicana), fu costretto ad un passaggio al Quirinale a metà percorso.

• Un altro elemento di novità degli ultimi mesi del 2007, infine, è stata la co- siddetta “Cosa Bianca”, in sé il primo serio tentativo da parte di esponenti del mondo cattolico di ricostruire un momento di unità. Il nome non rende giustizia alla chiarezza: in effetti sotto la dizione “Cosa Bianca” (dal punto di vista del marketing, nome infelice come pochi: a metà strada tra la “Cosa” di Achille Oc- chetto del 1989-91 e la “Balena Bianca” di forlaniana memoria) vanno ricadendo una serie di esperienze e di iniziative non ancora caratterizzate dall’unità. La prin- cipale tra queste è “Officina 2007”, movimento di Savino Pezzotta che punta uffi- cialmente ad una fase costituente di natura culturale ancor prima che politica. Non a caso lo slogan scelto da Pezzotta è “In movimento per la buona politica”. L’ex se- gretario della Cisl è andato comunque muovendosi molto nella seconda metà dello scorso anno, tessendo una rete di relazioni con numerose realtà del mondo cattoli- co, alcune delle quali non hanno voluto aderire al Pd ritenendolo – come prima di esso la Margherita – un contenitore di voti privo di anima ed identità culturali e

144 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 politiche; altre sempre meno felici del modello di presenza dei cattolici nel centro- destra. Una seconda esperienza significativa, tra le altre, il movimento a chiara im- pronta politica fondato da tempo da Gerardo Bianco, Alberto Monticone e Lino Duilio, Italia Popolare. Questo movimento, apertamente di natura politica, ha aderito federandosi a “Officina 2007”, rispetto alla quale mantiene unità d’intenti e autonomia di azione. Una situazione che svincola gli uni dagli obblighi degli altri (Italia Popolare è fortemente caratterizzata sul centrosinistra, pur considerando in maniera non certo positiva il Partito Democratico, “Officina 2007” ha un caratte- re più trasversale). “Non credo che nascerà mai la ‘Cosa Bianca’”, è stato detto lo scorso dicembre da autorevoli esponenti del centrosinistra. Il fatto stesso che la si citi ai massimi livelli, proprio per negarle possibilità di successo, indica che le pro- spettive di sviluppo esistono. La crisi del governo Prodi, infatti, è la crisi della Se- conda Repubblica.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 145 Politica internazionale

a cura di Mario Giro

 Il Belgio in crisi

• Il 10 giugno 2007 le elezioni politiche hanno prodotto risultati diversi nelle Fiandre e in Vallonia. Nelle Fiandre il grande vincitore è stato il partito democris- tiano CD&V di Yves Leterme, alleato in un cartello elettorale assieme alla N-VA (nazionalisti fiamminghi). Il liberali del Primo Ministro uscente Guy Verhofstadt, subiscono un certo calo mentre i socialisti (SP.A) vanno incontro a pesanti perdite. In Vallonia il vincitore è invece il MR (Liberali francofoni) di Didier Reynders che, per la prima volta riesce a diventare il primo partito francofono superando i sociali- sti di Di Rupo. I democristiani del CDH restano stabili.

È chiaro subito a tutti gli osservatori che l’alleanza liberali-socialisti non potrà essere riedita. I risultati disegnano invece una possibile alleanza «Orange bleue» (arancio-blu, dai colori dei democristiani e liberali rispettivamente), cioè una inedita coalizione tra democristiani e liberali, guidata da Leterme (che ha preso 800.000 vo- ti, un’enormità in Belgio). Dopo molto tempo i socialisti sono costretti all’opposi- zione. La stampa saluta il ritrovarsi insieme delle due tradizioni che vollero la na- scita del Belgio nel XIX secolo. Tuttavia fin dall’inizio dei negoziati per la formazione del governo emergono i primi problemi. Il CDH (democristiani francofoni), guidato dalla presidente del partito Joëlle Milquet, non aveva previsto i risultati del voto e si era posizionato su una campagna elettorale di futura alleanza con i socialisti. D’altra parte lo stesso CDH governa la Vallonia con il PS. Milquet preferirebbe non rompere tale allean- za ma i liberali si oppongono a tale eventualità. In realtà il CDH si sente politica- mente più vicino ai socialisti e ha un programma spiccatamente progressista, a dif- ferenza dei democristiani fiamminghi.

• C’è però un problema più complesso. Durante le discussioni la famiglia de- mocristiana scopre di non avere più quei legami che la univano al di sopra della frontiera linguistica. I democristiani francofoni hanno da qualche tempo addirit- tura cambiato il loro nome (ora si chiamano centro democratico umanista, CDH

146 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 appunto) e si configurano come un partito più laico e di centrosinistra dei cristia- no-sociali di una volta. L’alleanza con i socialisti in Vallonia non è estranea a tale cambiamento. Milquet assieme alla giovane dirigenza del CDH, sembrano non amare i riferimenti alla storia e alle radici del partito e preferiscono l’etichetta “umanista” a quella democristiana o social cristiana. Da parte loro i democristiani fiamminghi hanno anch’essi cambiato tutta la dirigenza, ora molto più giovane. Il problema del CD&V non è tanto legato alle radici o alla storia del partito, quanto al- la spinta separatista che nelle Fiandre è rappresentata dal successo del Vlaamse Be- lang (interesse fiammingo), una “lega” separatista che influenza da tempo pesante- mente il dibattito culturale e politico della regione. Per non lasciare l’argomento re- gionalista della riforma del bilinguismo e delle istituzioni federali solo in mano al Be- lang, il CD&V ha accettato di costruire il cartello elettorale con il N-VA (anch’esso “fiammingante”) e ne ha assunto alcuni dei temi polemici. Così oggi il CD&V è di- ventato un partito “confederalista” che vuole più devolution. In particolare accusa i francofoni per il continuo rinvio di ogni soluzione a proposito della circoscrizione elettorale della regione di Bruxelles (Bruxelles Hal Vilvorde BHV) i cui elettori go- dono di uno statuto speciale che non piace ai fiamminghi, anche perché tale area si trova (geograficamente e linguisticamente) nelle Fiandre.

• Dalle schermaglie polemiche delle trattative emerge il fatto che le due giova- ni generazioni che dirigono i rispettivi partiti di centro, si sono formate distanti l’una dall’altra, non si conoscono, né si frequentano. Psicologicamente e politica- mente non riescono a creare un clima adatto a un vero negoziato. Molti dei giovani dirigenti fiamminghi inoltre subiscono il cambiamento culturale avvenuto negli ultimi 15 anni nelle Fiandre, dove il sentimento separatista è montato e il ripiega- mento identitario è molto forte. Rimane pur vero in effetti che quasi nessuno in Vallonia parla il fiammingo. Ciò crea dei forti risentimenti e ha provocato una rea- zione generalizzata con il non utilizzo del francese nelle Fiandre a vantaggio dell’in- glese. Il Belgio non si scopre non un paese bilingue ma un paese dove si parlano due lingue, senza comunicazione. I media francofoni rimangono più chiusi alle notizie fiamminghe che viceversa. Nelle zone miste di Bruxelles il francese la fa da padrone, complice anche la vocazione internazionale della città (vedi la presenza delle istituzioni europee). I francofoni dal canto loro, non sembrano avvedersi completamente di tale mutazione avvenuta nelle Fiandre, e demonizzano tutti i di- scorsi “fiamminganti” o confederalisti, bollandoli come scissionisti senza fare di- stinzione tra partiti, posizioni e sensibilità. La trasmissione “Bye Bye Belgium” mandata in onda l’anno scorso dalla TV francofona e in cui si annunciava la parti- zione del Belgio per causa fiamminga, è il sintomo di un atteggiamento diffuso.

• I negoziati politici intanto si trascinano per settimane senza esito. Davanti alle ripetute interruzioni delle conversazioni, il Re Alberto II fa ricorso a numerose figure di mediazione per tentare di riannodare il fili del dialogo. Vengono di volta in volta incaricati due “informatori” (il liberale francofono Didier Reynders e l’ex

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 147 primo ministro fiammingo Jean-Luc Dehaene del CD&V), un “esploratore” (il presidente della camera Herman Van Rompuy del CD&V), due “riconciliatori” (ancora Van Rompuy con Armand De Decker liberale francofono).

I facilitatori giungono con una relativa rapidità ad ottenere tra CD&V e CDH accordi nei campi socio-economico, della giustizia e delle relazioni esterne. Rima- ne però per mesi impossibile trovare il consenso sulla questione cruciale della rifor- ma dello Stato. Su tale esigenza di parte fiamminga, c’é un accordo trasversale fra CD&V e N-VA anche con liberali e socialisti della regione. L’idea è che sia necessa- rio migliorare il funzionamento dello Stato devolvendo maggiori competenze alle regioni, in particolare nell’ambito fiscale, della sicurezza sociale e dell’impiego. I francofoni su questo rifiutano ogni ipotesi di riforma. Lo scontro è frontale.

• In realtà i partiti fiamminghi che dovrebbero dar vita alla coalizione sono in- trappolati dalla loro stessa campagna elettorale: per contrastare il separatismo del Belang hanno chiesto il voto con la promessa di riformare lo Stato e hanno vinto. Ma ora non hanno i numeri per imporlo. Va ricordato infatti che per cambiare le istituzioni ci vuole una maggioranza dei due terzi alla Camera. Siccome nessuno (per ora) vuole utilizzare i voti del Belang, la situazione è in stallo e basta l’opposizione del CDH o del MR francofoni per bloccare tutto. Il CD&V inoltre è ostaggio del suo alleato di cartello, la N-VA, e di conseguenza si va radicalizzando durante i lunghi mesi di negoziati inutili.

La situazione si aggrava ulteriormente in novembre con il voto della commis- sione della Camera sulla fine dello statuto speciale della regione di Bruxelles (BHV). I partiti fiamminghi votano in blocco a favore, rompendo un gentlemen’s agreement che per anni aveva sconsigliato alla maggioranza fiamminga di utilizzare il suo peso numerico contro la minoranza francofona (i fiamminghi sono 6 milioni e i francofoni 4). Quest’ultima ha subito fatto ricorso a una procedura costituzio- nale che blocca ogni decisione per alcuni mesi.

• Tuttavia tale choc sembra essere stato salutare: i partiti francofoni hanno ab- bandonato la loro posizione oltranzista e oggi accettano di discutere sulla riforma dello Stato. Ma la situazione non migliora e alla fine lo stesso Leterme getta la spu- gna. Il CDH ha voluto la sua testa dopo aver dovuto indietreggiare sulla riforma. Il Re, ormai alle strette e con l’opinione pubblica stanca dopo 5 mesi senza governo, incarica in dicembre il primo ministro dimissionario Verhofstadt di formare un ga- binetto provvisorio per tre mesi in cui oltre ai partiti che stanno negoziando entra- no anche i socialisti francofoni, come richiesto dal CDH. Tale governo dovrebbe lasciare il 23 marzo per far spazio ancora a Yves Leterme (CD&V), sempre che si siano risolti i contenziosi pendenti. Intanto a Verhofstadt viene chiesto di redigere un progetto preliminare di riforma dello Stato. Allo stesso tempo una commissio- ne di 12 saggi (chiamata octopus) parallelamente deve fare altrettanto.

148 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 • La crisi belga giunge sulle pagine dei giornali europei solo dopo l’estate. L’in - teresse rimane comunque sempre assai basso, e solo alcune testate danno conto dei vari passaggi. Certamente decifrare il dibattito belga è complesso per chi non ha esperienza delle alchimie biregionali della costituzione belga. Resta il fatto che una grave crisi, che rischia di mettere in discussione la tenuta di uno dei paesi fondatori dell’UE, non appassiona gli stanchi europei, tutti ripiegati sulle questioni di casa e assai poco interessati del futuro dell’Unione. Un’altra lezione che si coglie dagli av- venimenti di Bruxelles è la forza acquista dal credo localista e separatista. “Nazione felice, non ha storia” continuano a ripetere coloro che ad Anversa o Gent vedono di buon occhio la fine del Belgio per rispondere a chi li accusa di provincialismo miope davanti alle grandi sfide della globalizzazione. D’altra parte la frustrazione fiamminga non viene compresa nella parte francofona del paese né in Europa. La comunicazione langue e i dirigenti fiamminghi non sembrano preoccupati di spie- garsi a un pubblico più largo che quello di casa propria. La Chiesa stessa rifiuta di intervenire nel dibattito e non prende posizione. Come luogo di contatto restano solo i sindacati e le casse di risparmio, di antica tradizione social cristiana che resta- no tra le poche entità unitarie in un paese ormai rigidamente diviso su basi etno- linguistiche. Sarà questo il futuro del nostro continente?

 Obama o Hillary?

• La diversità delle attuali primarie americane risiede nel fatto che dal 1928 mai si era vista un’elezione in cui non è presente tra i candidati un presidente o un vicepresidente. La battaglia è apertissima tra i repubblicani dove in vari sembrano avere delle chances. Ma anche tra i democratici la cavalcata solitaria di Hillary Clinton è stata stoppata dall’emergere di Obama Barack, il giovane senatore dell’Il- linois di origine africana. Obama piace a tutti meno che ai neri afroamericani che non lo considerano dei loro. In effetti Obama è figlio di un Keniota e di una ame- ricana bianca del Kansas trapiantata nelle Hawaay. Inoltre da bambino ha vissuto in Indonesia e ha avuto un patrigno indonesiano. Da questo alcuni lo accusano di essere stato musulmano ma senza prove. Obama piace invece per il suo “nuovi- smo”: lontano dall’apparato del partito e dall’establishment di Washington (così come Huckabee tra i repubblicani), porta un discorso di cambiamento senza speci- ficarne i contenuti. Tanto basta per sollevare gli entusiasmi soprattutto de giovani americani, anch’essi colpiti dalla sindrome dell’anti-politica e diffidenti per tutto ciò che viene dal mondo della politica di professione. Ma la forza di Hillary non sta solo negli apparati: la Clinton – sostenuta dal marito – rappresenta anche una formidabile macchina politica che ha dato già più volte prova di saper adattare il proprio discorso, di essere flessibile davanti alle emozioni dell’opinione e di una pervicace capacità di resistenza alle critiche e ai fallimenti. La battaglia sarà lunga e dura. Anche in campo repubblicano le sorprese non potranno mancare: la presenza di un candidato religioso ma anti-establishment come Huckabee sta dando filo da

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 149 torcere al preferito dalle strutture del partito dell’elefante, il mormone Romney, e crea delle brecce anche per gli outsiders come Giuliani e McCain, anche se la deci- sione di Giuliani di snobbare i primi caucus e di concentrasi solo sulle primarie in Florida potrebbe rivelarsi un boomerang. Sta di fatto che la politica americana dimostra una vitalità eccezionale e una ca- pacità di rinnovamento da far impallidire gli scenari europei.

 Medio Oriente: forse alcune buone notizie

• La conferenza di Annapolis, preceduta da alcuni passi di avvicinamento im- portanti tra i quali l’incontro tra il ministro D’Alema, il suo collega dell’interno israeliano Meir Shitrit e il rappresentante palestinese Jamal Zakout durante il Mee- ting di Sant’Egidio a Napoli in ottobre 2007, assieme al viaggio del presidente Bu- sh in Medio Oriente, rilanciano la possibilità di una pace tra israeliani e palestinesi. Nell’ultimo anno della sua presidenza George Bush tenta il tutto per tutto e com- pie un viaggio che può rappresentare un punto di svolta.

Il quadro dell’area rimane fosco e complesso, anche se si registrano alcuni mi- glioramenti dal punto di vista della sicurezza in Iraq, dovuti al cambio di strategia sul terreno da parte delle truppe americane, poste sotto il comando del generale Paetreus. L’Afghanistan dal canto suo sembra restare in una situazione di stallo po- litico e militare mentre il Pakistan è sconvolto dai sussulti di una crisi che non ac- cenna a finire e il cui punto culminante è stato l’assassinio di Benazir Buttho in di- cembre 2007. L’Iran rimane minaccioso, mantiene il suo programma nucleare co- me atteggiamento di sfida all’Occidente, e continua a interferire negativamente in Libano attraverso l’alleanza con Siria e Hezbollah.

• In questo quadro difficile gli esperti si interrogano sulla strategia fin qui se- guita dall’Occidente mediante la “guerra globale contro il terrorismo” che non pa- re essere riuscita ad ottenere i risultati promessi. Tuttavia, nella ricerca di nuove idee, è necessario ammettere che la nuova politica seguita dopo il 2001, ha avuto inizialmente un largo sostegno nelle opinioni e nei governi occidentali, a iniziare dalle operazioni in Afghanistan poste sotto il sigillo dell’ONU e volte a privare al Qaeda della sua base territoriale. Si è forse persa subito dopo l’occasione di tornare a sistemi diplomatici tradizionali e alla lotta antiterrorismo classica. Invece il con- cetto di “guerra globale” ha trascinato verso l’avventura irakena, malgrado le con- nessioni tra il regime di Saddam e il terrorismo internazionale non fossero vera- mente mai provate. È seguita una fuga in avanti in cui l’identificazione del “nemi- co” è divenuta sempre più vaga e ideologica, confondendo il fronte interno con quello esterno e mettendo a dura prova ogni strumento di azione reale sul terreno. Uno dei risultati peggiori è stato il progressivo allontanamento (psicologico e poli- tico) del mondo arabo-musulmano nei suoi legami con l’Occidente e segnatamen-

150 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 te con l’Europa. Il dibattito infinito e tutto americano su quante truppe fosse ne- cessario mandare in Iraq, rappresenta la dimostrazione di quanta confusione ci sia stata tra i responsabili e gli esperti, e di conseguenza nell’opinione pubblica mon- diale, quanto alla strategia da seguire. La promozione di regimi democratici, filo- occidentali e stabili in Medio Oriente è divento un rompicapo per tutti, di cui tro- viamo traccia nei dibattiti politici in Europa e nelle primarie Usa.

• Ecco allora che la conferenza di Annapolis, se darà luogo a un accordo, può rappresentare la fine di fumose ossessioni e di dibattiti troppo teorici (e ideologici), per riportare, almeno in questo conflitto, la discussione su temi pratici e concreti. Non che la fine – pur auspicata – del conflitto israelo-palestinese rappresenti la quadratura del cerchio in Medio Oriente. Tuttavia il suo valore simbolico per le masse arabe e per la Umma musulmana, dà alla augurabile fine di questo conflitto, un valore specifico molto importante. In molti lo sperano anche perché i seguiti di Annapolis vogliono svolgersi nel senso di un accordo e non di un processo, come avvenne dopo Oslo. E questo offre alla pace maggiori possibilità.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 151 Ricerche

a cura di Andrea Bixio

Una lettura etico-politica del pensiero di Luigi Sturzo di Diego Forestieri

• Negli ultimi tempi vi è un forte ritorno nell’attualità del pensiero sturziano non soltanto perché se ne ravvede il fulcro ispiratore e fondativo di certi movimenti che poi faranno la storia d’Italia fino ai nostri giorni ma anche perché in tempi in- certi, risulta prezioso rivolgersi ad un’autorità intellettuale che riesca a diradare le nebbie che troppo spesso avvolgono le menti e le coscienze; quanto meno secondo la lezione di Machiavelli che, durante il suo esilio di San Casciano, narrato nella fa- mosa Lettera a Francesco Vettori, pur immerso in un mondo che non è il suo, trivia- le e litigioso, eppure la sera, nel suo studio, dialoga con i grandi Autori del passato. Di ciò appare convinto Giuseppe Acocella che nella sua ricerca su Legge natura- le e legge morale nello storicismo vichiano di Luigi Sturzo (in G. Acocella, Per una fi- losofia politica dell’Italia civile, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 2004) attua- lizza e dà nuova voce agli echi di un dibattito sullo storicismo “vichiano” di Sturzo e su come ordine giuridico ed ordine etico prendano vigore da un dinamismo so- ciale che è sempre in via di formazione, un ordine “relativo” mai del tutto compiu- to con una forte aspirazione a divenire un ordine ideale. Acocella ricorda come l’incidenza del vichismo sul pensiero sturziano è aperta- mente dichiarata dallo stesso Sturzo nella prolusione tenuta per l’inaugurazione del- l’anno accademico del corso di sociologia storicista 1958-59 (L. Sturzo, La sociolo- gia storicista, in «Sociologia», ottobre-dicembre 1958, pp. 365-375.) e come Sturzo riprenda la lezione vichiana nel volume La società, sua natura e leggi. Sociologia stori- cista e in La vera vita. Sociologia del soprannaturale in cui secondo il nostro autore è fondamentale il contributo che Sturzo riconosce a Vico per lo sviluppo e per la defi- nizione delle scienze sociali, asserendo vichianamente che vero e fatto trovano nella storia la verifica della loro conversione. La società intesa da Sturzo non è una costru- zione immobile, ma piuttosto un processo e l’apporto, l’opera che ogni individuo può realizzare è rilevante ai fini dell’evoluzione o dell’involuzione della stessa. Luigi Sturzo ha difatti lavorato per educare la persona ad uno sviluppo pieno, spirituale e materiale. Quel “pieno sviluppo” previsto anche dalla Costituzione.

152 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 • Non a caso natura e scienza sotto l’egida della storia sono espressamente ri- chiamate e interrelate nel vichismo di Sturzo e non a caso Sturzo pone la centralità dell’uomo come soggetto di diritti naturali inalienabili ed ha individuato la sede dei diritti nella persona umana in sintonia con il pensiero della dottrina sociale del- la Chiesa cattolica. Lo Stato, in questa prospettiva, non è l’assegnatario di diritti naturali, ma è la persona che li possiede e li esercita nell’ambito delle leggi e delle garanzie che lo Stato ha l’obbligo di assicurargli. Dunque, Sturzo si colloca certamente al centro del dibattito contemporaneo come fulcro di una necessaria mediazione fra un principio individualistico, che ri- fiuta la società come aspetto necessario della persona, e il comunitarismo sfrenato che porta all’alienazione totale e all’annientamento. Egli ritiene infatti che “il fine effettivo di ogni società (stato compreso) è la persona umana in concreto, ovvero ciascun individuo” (L. Sturzo, Politica e morale) e che la base della giustizia natura- le è insita nei diritti e nella reciprocità di doveri. In tal senso la personalità umana è non solo soggetto di diritto, ma anche sorgente del diritto. L’ordine sociale, gene- rato dalla persona, a sua volta genera un diritto sociale (o civile), che determina i diritti e i doveri dei singoli soci e i diritti e i doveri del “governo” della società, e ri- spettivamente quelli dei soci e della società verso il “governo”. Vi è una inseparabile relazione tra responsabilità individuale e bene comune; ed esso risulta essere caratterizzante per la concezione formulata da Sturzo per il quale la lotta per l’ordine etico, prima ancora che giuridico, costituisce lo scopo storico da perseguire. L’ambiente, la tradizione, la regola sociale sono il fatto per Vico ed il punto di partenza a cui guardare per la costruzione e la vivificazione con- tinua di un preciso bene comune, un ordine etico personale e poi collettivo sia per Sturzo, quanto meno secondo l’interpretazione vichiana che ne fa Acocella. Delle tre esigenze fondamentali che sono proprie dell’uomo e che rappresenta- no per Sturzo il fondamento antropologico, a cui corrispondono tre forme sociali primarie: a) l’affettività e la famiglia, b) l’esigenza di garanzia di ordine e difesa, c) la finalità etico-religiosa, Acocella sceglie di considerare l’istituto familiare come esemplare e, come fa Sturzo, considera la famiglia come crocevia essenziale nel fati- coso processo storico che conduce alla maturità le società umane. Sottolinea anco- ra come Sturzo abbia indagato senza pregiudizi le radici della formazione della so- cietà familiare già nel 1935 col saggio La società sua natura e leggi e come la ragione storica costituisca l’unico fondamento individuabile dell’istituto familiare, il quale si evolve verso la monogamia, essendo il processo storico in moto verso la raziona- lità. Nel saggio La vera vita. Sociologia del soprannaturale il processo storico che conduce alla maturità le società umane viene direttamente connesso alla centralità dell’istituto familiare, che – aggiunge Acocella – risulta elemento fondamentale per la comprensione della storia; ed è attraverso un’originale interpretazione della for- mazione del mondo e delle cose in senso vichiano che Sturzo dirà anche che il pri- mo nucleo naturale è la famiglia pur non creando una coscienza storica, ma solo una coscienza di interessi morali e materiali, si forma nella consistenza solidale di più famiglie unite da un vincolo soprannaturale.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 153 In tal modo tutti gli istituti giuridici nascono da una progressiva ricerca di una razionalità che va plasmandosi al fuoco della realtà sociale, e che per Sturzo ha un riferimento prima al diritto naturale poi a quello soprannaturale. Un ordinamento giuridico per essere davvero reale deve pertanto riferirsi all’etica.

• È dall’uomo persona che potrà nascere la partecipazione per un nuovo svi- luppo. E per dirla con Sturzo: “Siccome non c’è società senza individui, né indivi- dui senza società, non abbiamo bisogno di fabbricare una entità a sé stante. La co- munità esiste in seguito ad una serie di rapporti tra individui viventi insieme, in forma organica e permanente, per fini naturali e necessari. La famiglia, la classe so- ciale, il Comune, lo Stato, la Chiesa, altrettante comunità esistenti e coesistenti che prendono un carattere giuridico nell’organizzazione specifica di ognuna sulla base della libertà (coexistentia multorum) e dell’autorità (reductio ad unum). In questo modo, noi sfuggiamo al determinismo soggiacente alla formazione dei miti: Stato, nazione, razza, classe, che si sono insinuati dalla politica nella so- ciologia e da questa nell’etica, e si introducono così nella fraseologia di certi oratori sacri e di moralisti sentimentali che parlano volentieri del culto della nazione, del- l’obbedienza allo Stato e di altre simili cose. Grande merito dello storiscismo vi- chiano di Sturzo sarebbe dunque quello di aver saputo individuare la storicità co- me principio metodologico della ricerca sociologica: “Per noi il vero storicismo è la concezione sistematica della storia come processo umano, realizzantesi per forze immanenti, unificate nella razionalità, da un principio e verso un fine trascenden- tale assoluto” (Del metodo sociologico, p. 95). In tal senso lo storicismo vichiano, o meglio ancora la sociologia storicista di Sturzo, si configura come scienza che è autonoma in quanto ha un suo sogget- to/oggetto specifico, la società in concreto, ma che avendo come suo interesse principale l’uomo deve aprirsi anche alle istanze degli interessi economici e politici, dei valori, principi morali, sentimenti e passioni. Una scienza, dunque, come com- mistione di discipline differenti: dall’etica al diritto, alla storia, una sociologia che non ha per oggetto il fatto sociale inteso in senso volgare, ma il senso che gli uomi- ni attribuiscono ai loro rapporti intersoggettivi. La partecipazione ad una struttura collettiva solo così diviene una reale forma di cooperazione; il punto è di verificare se questa sia fruttuosa per tutti o solo per alcuni degli individui presenti nell’orga- nizzazione so ciale. Così l’uomo trova il suo scopo nella formazione sociale ed av- verte sempre più profondamente l’esi genza di ritrovare se stesso nel groviglio di co- se che egli stesso produce.



154 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Religioni e Civiltà

a cura di Agostino Giovagnoli

Liberalismo, democrazia, multiculturalismo

• I diritti di libertà elaborati nel contesto dello Stato liberale hanno costituito la base anche dei più moderni Stati democratici: la continuità fra liberalismo e de- mocrazia è, in questo senso, evidente. Ma gli Stati democratici sono andati oltre il liberalismo, identificando anche altri diritti e, soprattutto, cercando di promuover- li in modo concreto. Com’è noto, le libertà liberali sono prevalentemente “libertà da” o “libertà negative” nel senso che scaturiscono da una limitazione del potere dello Stato nei confronti del cittadino: il liberalismo, cioè, incorpora una carica di antistatalismo, che è stata tra l’altro molto enfatizzata dopo il 1989. Oggi qualcuno definisce le libertà liberali anche come “libertà minimali”, cui vengono contrappo- ste le liberà democratiche intese come “libertà di” o “libertà positive”. Negli ultimi decenni, è diventata corrente l’espressione “diritti di cittadinanza” per indicare l’insieme dei diritti – o dei “beni politici” – che gli Stati democratici garantiscono ai loro cittadini. Libertà positive e diritti di cittadinanza presuppongo ovviamente uno Stato in grado di sostenerle: per questo, in democrazia l’antistatalismo è diver- so e meno evidente di quello liberale.

• La parabola della libertà religiosa è in questo senso emblematica. Tale libertà, infatti, ha costituito indubbiamente uno dei primi diritti riconosciuti dal pensiero liberale. Si può anzi dire che, l’approccio liberale al tema dei diritti si è sviluppato in Europa a partire proprio dalla libertà religiosa e anche oggi, alcuni degli espo- nenti più noti di questa tradizione, lo assumono come base e modello di tutte le al- tre libertà. Ma successivamente, quando gli Stati democratici si sono posti il pro- blema di una concreta attuazione dei principi di libertà astrattamente riconosciuti, sono state introdotte condizioni e limitazioni. La Costituzione italiana, ad esem- pio, prevede esplicitamente un solo limite alla libertà religiosa – quello imposto dal rispetto del buon costume – ma è noto che nell’insieme gli articoli 3, 7, 8, 19, 20 configurano un quadro complesso entro cui attuare concretamente il principio della libertà religiosa, anche in considerazione del ruolo particolare della Chiesa cattolica nel contesto italiano. Limiti e condizioni, però, non sono presenti solo nel

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 155 caso italiano. Nella Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, si prevedono re- strizioni della libertà religiosa “per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Ma questa convenzione, pur introducendo limitazioni della libertà religiosa e di altri diritti, ha istituito una Corte di giustizia per garantirne in concreto l’esercizio più ampio pos- sibile: è il segno evidente della volontà di stabilire uno stretto rapporto tra parole e fatti, attraverso l’azione degli Stati democratici o di organismi internazionali da que- sti promossi e sostenuti. Sulla stessa linea si è mosso successivamente il Patto Inter- nazionale sui diritti civili e politici, stipulato nel 1976 e promulgato nel 1976, con cui ci si proponeva l’attuazione concreta della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: questo patto introduce il principio per cui la libertà di religio- ne può essere limitata in certe situazioni per motivi di sicurezza pubblica, di salute o di libertà fondamentale di altri. In teoria, dunque, con la democrazia la libertà reli- giosa subisce limitazioni sconosciute allo Stato liberale; in pratica, queste limitazioni servono ad estendere sempre di più nella realtà concreta questa ed altre libertà.

• Nel corso del XX secolo, il terreno su cui maggiormente si sono sviluppate la democrazia e le sue istituzioni è stato indubbiamente quello economico-sociale. Anche a causa della sfida rappresentata dal comunismo, gli Stati democratici han- no cercato soprattutto di affrontare il problema – per usare il linguaggio marxista – di affiancare la “libertà sostanziale” alla “libertà formale”, contrastando le condizio- ni economiche e sociali che di fatto impediscono qualunque esercizio di autentica libertà, come avviene per il proletariato e cioè per quella classe sociale la cui unica ricchezza è costituita, come dice la parola, dalla prole. Ai diritti civili e politici, si sono gradualmente affiancati quelli economico-sociali e, a partire dalla Repubblica di Weimar, si è sviluppata una nuova stagione costituzionale che prevede un ruolo attivo dello Stato in questo campo. Anche nella Costituzione italiana – che da po- co tempo ha compiuto sessant’anni – è incluso il principio che lo Stato deve pro- muovere migliori condizioni di vita per i meno abbienti, rimuovendo le cause che impediscono la piena dignità della persona e, in molti paesi occidentali, dopo la se- conda guerra mondiale si sono sviluppate forme diverse di Welfare State.

• A partire dall’ultimo scorcio del novecento, invece, la spinta verso l’ugua - glian za è stata gradualmente sostituita da una crescente attenzione verso le diffe- renze. Non si tratta necessariamente di prospettive del tutto contraddittorie, ma questo passaggio non coincide neanche con una semplice sostituzione di vocaboli: è piuttosto il segno di una profonda trasformazione storica. Premessa di questo passaggio, infatti, sono state, da un lato, le grandi trasformazioni dell’economia mondiale, l’avvento della globalizzazione e della post-modernità, la “dissoluzione” della classe operaia con le sue caratteristiche tradizionali; e, dall’altra, la diffusione di problematiche nuove, come quelle legate all’identità di genere o alle specificità etniche, e cioè, in una parola, alle diversità culturali. Sul piano economico e socia-

156 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 le, rispettare le differenze ha significato di fatto accettare sempre più facilmente le disuguaglianze di ricchezza e status sociale, mentre sul terreno culturale, il ricono- scimento delle differenze ha alimentato la ricerca di un nuovo modo e più profon- do di interpretare l’ideale di uguaglianza.

• Com’è noto, il crollo del comunismo in Europa ha accentuato questi proces- si, aprendo la strada ad una sorta di “ritorno” ai principi liberali quali criteri fonda- mentali per orientarsi dopo la fine del secolo breve. Questo clima ha favorito, ad esempio, il ritorno al sistema elettorale uninominale, già prevalente in Italia fino alla prima guerra mondiale, prima cioè dell’avvento della società di massa che ha suggerito nel 1919 l’introduzione del sistema proporzionale. In questo contesto, si è intensificata anche la critica ad un ideale di uguaglianza ritenuto “massificante” e, perciò, limitatore della libertà individuale o addirittura oppressivo nei confronti della persona. Si è molto insistito in questo senso sul mercato, la concorrenza e la “meritocrazia”, in contrasto con una forte resistenza ad accettare i cambiamenti dell’economia mondiale. È stato largamente sottolineato che la cultura politica ita- liana – ma qualcosa di simile è accaduto anche in altri paesi europei – ha fatto fati- ca a comprendere le conseguenze di tali cambiamenti per quanto riguarda il mer- cato del lavoro e le stratificazioni sociali. A lungo, partiti e sindacati non sono riu- sciti ad abbandonare l’idea di una società divisa in classi chiaramente identificabili e il riferimento al modello del lavoro dipendente a tempo indeterminato tipico dell’“operaio-massa”. Si è continuato a pensare alla fabbrica anche quando la fab- brica non c’era più e a ragionare in termini fordistici anche in epoca post-fordista, a privilegiare, insomma, l’orizzonte della società di massa anche quando questa si era ormai dissolta.

• Tuttavia, anche una certa vulgata cosiddetta “liberale” ha offerto spesso una rappresentazione ideologica e deformante della realtà. C’è stato ad esempio chi ha avvicinato democrazia e totalitarismo fin quasi a sovrapporli, perché entrambi sa- rebbero stati analogamente segnati dalla “massificazione” della politica, ma è evi- dente che sotto altri e decisivi profili si è trattato di modelli politici opposti e in- conciliabili. In Italia si è giunti a stravolgere battaglie come quelle condotte da don Milani contro la selezione classista nella scuola dell’obbligo e quindi per una effet- tiva “democratizzazione” dell’istruzione pubblica, interpretandola come premessa di un lassismo educativo antimeritocratico che in realtà è agli antipodi dei metodi praticati dal priore di Barbiana. Se negli ultimi decenni, gli orientamenti neolibe- rali sono apparsi indubbiamente fondati su indiscutibili trasformazioni dell’econo- mia mondiale, la loro trasposizione meccanica sul piano dei diritti o della sintesi politica complessiva appare più problematica e, nel tempo, si è rivelata non piena- mente adeguata per affrontare i problemi emergenti.

• L’attenzione alle differenze, infatti, ha aperto la strada ad una nuova stagione di diritti che faticano a trovare piena sistemazione nel quadro sia delle “libertà libe-

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 157 rali” sia delle “libertà democratiche” tradizionali: si tratta dei diritti culturali, che si sono aggiunti alle precedenti stratificazioni dei diritti civili e politici, economici e sociali. Sul terreno della sessualità, ad esempio, è oggi diffusa una forte sensibilità non solo per la libertà di opinione ma anche per la libertà di comportamenti, pur- ché ovviamente non lesivi di diritti altrui, ed altrettanto diffuso appare il consenso intorno all’obiettivo delle “pari opportunità” tra uomo e donna. Non è bastato dunque distogliere l’attenzione dalle disuguaglianze economico-sociali – che in molte situazioni, proprio per questo, si sono nel frattempo aggravate: l’improvvisa scoperta di una “questione salariale” in Italia è in questo senso emblematica – per rendere superato l’impianto di uno Stato democratico che si impegna a rimuovere gli ostacoli concreti alla piena espressione della dignità umana. Lo testimoniano tra l’altro il fiorire di provvedimenti antidiscriminatori o l’introduzione di correttivi in grado di tradurre in fatti concreti una astratta uguaglianza di diritti, come le “quo- te rose” nelle commissioni pubbliche o nelle liste di partito. Più problematica ap- pare la questione dei diritti dei migranti che entrano nel territorio di Stati diversi da quello di origine e per cui si configurano situazioni molto diverse (immigrati ir- regolari, richiedenti asilo, residenti con permesso di soggiorno etc.) ma anche in questo campo, è in corso un intenso dibattito su come si possano applicare concre- tamente principi di libertà e di uguaglianza che, per loro natura, tendono sempre ad avere validità universale.

• La tematica delle differenze si incontra infine con l’esigenza di definire nuovi diritti che scaturisce dall’attenzione rivolta soprattutto dai credenti – ma non solo da loro – intorno al tema della vita e della sua tutela. Com’è noto, non mancano su questo terreno problemi e conflitti, fino a configurare interpretazioni persino op- poste: è il caso, ad esempio, della discussione in corso su accanimento terapeutico, testamento biologico, eutanasia etc. È però comunque rilevante – sotto il profilo storico – che diverse “zone” dell’esistenza umana tradizionalmente in ombra siano oggi investite dall’esigenza di fare chiarezza, nell’ottica di offrire maggiori garanzie a soggetti non pienamente in grado di far valere direttamente i loro diritti. Il cam- biamento è tanto profondo da investire persino la definizione del soggetto stesso dei diritti, tradizionalmente identificato con l’uomo e il cittadino, mentre prevale oggi una sorta di ampliamento e, insieme, di “frammentazione” di tale soggetto, attraverso l’attenzione all’identità di genere, ai diversi gradi di “estraneità” rispetto alla piena cittadinanza nel paese di accoglienza, alla condizione di chi non può go- dere di piena capacità giuridica in quanto nascituro, disabile, anziano etc. L’esclusione dalla polis di donne e stranieri, largamente accettata fino a pochi decenni fa, agli occhi di molti appare oggi simile a quella di schiavi e meteci nel- l’antica democrazia greca che, giudicata con i parametri di oggi, ci appare molto lontana dalla nostra idea di democrazia. Non è un caso perciò che il loro “ingresso” nella polis metta in discussione i principi politico istituzionali liberali che presup- ponevano la loro esclusione e il loro “assalto” alla cittadella democratica dove i di- ritti sono davvero garantiti venga letto da molti come un pericoloso attacco a privi-

158 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 legi consolidati. Tutto ciò spinge verso un “di più” e non un “di meno” di demo- crazia che, come si è detto, si è sempre sviluppata sotto la pressione di problemi posti da un progressivo allargamento della cittadella dei diritti e da un costante ac- crescimento dei suoi abitanti.

• I problemi, tuttavia, non mancano e non riguardano solo l’adattamento di istituzioni e procedure democratiche alle nuove sfide. Ancora una volta, il caso del- la libertà religiosa, appare eloquente. Nel dibattito internazionale degli ultimi de- cenni, la libertà religiosa è stata interpretata in senso sempre più ampio: da una re- ligious freedom intesa come mera libertà di credo religioso ci si è spostati sempre più verso una freedom of religion inclusiva della libertà di culto, di propaganda reli- giosa, di conversione ad una religione diversa etc. Ma contemporaneamente, in molti paesi del mondo tra cui quelli europei, l’immigrazione di milioni di lavorato- ri extracomunitari di religione diversa da quella dei paesi di accoglienza ha posto, anche su questo terreno, molti nuovi problemi concreti. La questione della libertà religiosa, infatti, è apparsa sempre più – specie per immigrati di fede islamica – una questione anche di comportamenti individuali e collettivi legati al rispetto di tradi- zioni particolari, celebrazioni di festività, costumi e abbigliamento, regole etiche relative alla sfera sessuale e familiare etc. In molti casi, i problemi posti da tali com- portamenti non sono insuperabili e l’esperienza ha mostrato che spesso è possibile trovare soluzioni concrete, effettivamente praticabili e consone alla tradizione giu- ridica europea (o alle specifiche varianti nazionali di tale tradizione: la normativa sul velo islamico in Francia è in questo senso emblematica). Malgrado la capacità di adattamento dimostrata delle istituzioni pubbliche e delle regole democratiche, però, davanti a queste sfide sembra crescere sempre di più anche un rifiuto dell’al- tro che fa sorgere in molti luoghi nuovi muri di pregiudizio, diffidenza, ostilità, odio e xenofobia. Il legame con la propria identità religiosa di molti immigrati e, soprattutto, le manifestazioni non solo individuali ma anche comunitarie della lo- ro religiosità è apparso, infatti, a molti incompatibile con il pieno inserimento nel- la comunità nazionale di accoglienza. Si deve intendere che accanto ai diritti indi- viduali debbano essere riconosciuti anche diritti comunitari? Si deve pensare a isti- tuzioni politiche non più collegate ad una comunità nazionale, relativamente omogenea sotto il profilo etnico, culturale e religioso, ma ad una società sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa? O si deve pensare invece alla for- mazione di una “comunità di comunità”, unite su alcuni valori fondamentali ma significativamente diversificate su altri valori importanti? È una problematica rile- vante per lo Stato nazionale di tipo tradizionale che meriterebbe una discussione più attenta di quella abitualmente riservata a questi argomenti.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 159 Libera Opinione

a cura di Giorgio Tupini

Attualità della Democrazia Cristiana

 La sentenza di Martinazzoli

• In una recente intervista, Mino Martinazzoli ha affermato che il nuovo Par- tito democratico è “la liquidazione di ciò che resta della tradizione cattolico-demo- cratica. È un’idea corrente: andare oltre, cancellare, abiurare, un’idea compulsiva del nuovo. Con il rischio di tornare indietro di un secolo”. Aveva detto poco prima che le primarie del Pd “sono la definizione di una base molto larga per una cupola molto stretta”. Martinazzoli è stato l’ultimo Segretario della Dc e il primo Segretario dell’effi- mero Partito Popolare del 1994. Uomo della sinistra Dc, Martinazzoli pone dun- que un suggello competente alla “liquidazione” di un disegno perseguito da una corrente di politici cattolici, che hanno scelto di confluire nel partito di Veltroni. L’argomento merita una riflessione. A suo tempo, la debolezza di carattere e di convinzioni aveva condotto, nel periodo confuso ed oscuro di Mani Pulite, molti dirigenti Dc a un “rompete le righe” non necessario. Il timore della persecuzione giudiziaria e la pressione mediatica per il finanziamento dei partiti – che colpì an- che il Psi ma non il Pci nonostante le cospicue rimesse da Mosca – impedirono di lasciare in piedi la Dc sia pur depurata e rigenerata. Come avrebbero potuto e do- vuto fare i dirigenti di esperienza e tradizione, rappresentanti di quella politica di centro, che aveva costituito il nerbo centrale e il successo della Dc. Cedettero invece le armi. Fu scelta una opzione: barra a sinistra e alleanza con i successori del Pci, che dal Pci avevano ereditato la forza organizzativa di base, la ca- pacità di guida e di propaganda, la rete ben collaudata di fiancheggiatori inseriti negli organi di informazione e in poteri forti. Che erano, insomma, e sono, le forze capaci di fare da cassa di risonanza a quanti si uniscono a loro e di assicurare ap- poggio elettorale a morti (Garibaldi, Nitti, etc.) e a vivi, fin quando ne esiste la convenienza. Martinazzoli ha chiarito, per parte sua, “dove vanno i cattolici”, questi cattolici.

160 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007  La prospettiva dell’emarginazione “cattolica” nell’Unione

• Non è difficile prevedere che la componente “cattolica” sarà gradualmente diluita ed emarginata nell’Unione. Già oggi la sua influenza è tenue, com’è tenue la sua resistenza a episodi e a tendenze anticattoliche astiose. Mai vi è stata nel dopo- guerra in Italia una così grave e dilagante ondata contro i valori cristiani, contro le istituzioni cattoliche. Sembra rilevante che i “cattolici” dell’attuale maggioranza abbiano accettato, per una pura operazione di potere, di entrare in una coalizione che accoglie correnti radicali dichiaratamente opposte a quei valori e a quelle isti- tuzioni e che danno luogo a manifestazioni sguaiate (gay con mitrie episcopali, pubblico lesbismo, etc.), cui il nostro popolo non era avvezzo e che fanno impalli- dire le ottocentesche pagine dell’«Asino» di Podrecca. Qui ha ragione Martinazzoli, si torna indietro di un secolo! E sembrano altrettanto rilevanti, sia l’insofferenza a suo tempo manifestata per gli “interventi di Ruini” sia il sotterfugio davvero povero con cui si è giustificato il voto del noto articolo della legge sulla sicurezza, che configura un reato di opinio- ne a carico di chi dissente da determinate manifestazioni omosessuali, reato che potrebbe essere invocato da qualche procuratore zelante contro Papi e catechisti. È grave dire – ecco il sotterfugio – che si sarebbe rimediato a Montecitorio dove i “cattolici” dell’Unione sono sovrastati da un gruppo parlamentare ingrossato dal premio di maggioranza e non votare al Senato dove il loro intervento ne avrebbe impedito l’approvazione. Notiamo di passata che la senatrice Binetti, che ha espresso il suo dissenso, è stata minacciata di espulsione dal Pd e che il “capofila della componente popolare” ha dovuto dire al «Corriere della Sera» che “se viene meno il reciproco rispetto viene meno anche il Partito democratico”. Sembrano più che fondate le autorevoli preoccupazioni del Cardinal Bertone: “i cattolici non siano mortificati nel nascente Pd”.

 Che direbbe De Gasperi?

• Di fronte a questa situazione, a questa “liquidazione”, che fare? Che direbbe De Gasperi? Non è un interrogativo bizzarro dal momento che tanti si dichiarano suoi eredi con una pretesa, che pur indebita, riconosce la validità della sua figura e l’attualità del suo insegnamento. Riconosce la matrice e l’origine della grande vi- cenda vittoriosa del movimento politico dei cattolici nel dopoguerra. Affiorano nella memoria la sua direttiva unitaria, il suo continuo impegno pe- dagogico verso le sinistre interne, quella gronchiana, ma soprattutto quella dosset- tiana, alla quale si riferiscono molti cattolici presenti nelle considerazioni di Marti- nazzoli. Non è storia del tutto archiviata. Dissentirono sulle decisioni di porre i co- munisti fuori dal governo, espressero riserve sull’adesione al patto atlantico, sulla politica delle alleanze con i partiti di centro liberali, socialdemocratici, repubblica- ni, sull’interclassismo, etc.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 161 Quando è scoppiata la tempesta di Mani pulite, da molti di loro è partito il re- frain che ormai il tempo della Dc era finito, che con la caduta del muro di Berlino la situazione era radicalmente mutata, che un’improvvisa conversione aveva messo in stato di grazia democratica la vecchia opposizione marxista e che retrogradi e su- perati erano quanti non si rendevano conto delle grandi novità. Molta precipitazione. Ancora qualche riflessione. Innanzitutto la Democrazia cristiana, è viva e vegeta in Europa sotto varie denominazioni. Così è in Germania, dove esprime il Cancelliere, in Austria, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Svizzera. In se- condo luogo, se il muro non fosse caduto sotto la pressione della politica america- na e del fallimento economico-sociale sovietico, è da escludere che molti dirigenti del Pci sarebbero tuttora ossequienti a quel regime, con l’appendice del suo colo- nialismo all’esterno, dei suoi gulag all’interno e della più lunga e tenace campagna ateista della Storia? È pertanto almeno discutibile affermare che siano venute meno catarticamente tutte le caratteristiche, che informavano la classe dirigente del Pci oggi più che mai inserita nelle istituzioni ed egemone nel Pd. Tra queste caratteri- stiche sono le antiche riserve verso il mondo cattolico oggi inespresse (quando si ri- corda ai cattolici che Togliatti votò l’art. 7 della Costituzione, che recepiva il Con- cordato laternanense con la Chiesa, bisognerebbe aggiungere che quella fu una de- cisione accortamente leninista nei confronti di una nazione a prevalenza cattolica e di una democrazia cristiana forte e determinante).

 Dc in Europa e in Italia

• Proprio l’assalto condotto in molte forme da movimenti ausiliari di rivendi- cazione o rifondazione comunista e da movimenti radicali contro la cultura e le ra- dici cristiane del nostro popolo dovrebbe far riflettere seriamente sulla opportunità di risvegliare la Democrazia cristiana in Italia e di presentarla al suo naturale eletto- rato. E non una “nuova” Democrazia cristiana simile alle formazioni che con bre- vetti o accorgimenti amministrativi e giudiziari si sono appropriati di insegne, scu- di e sedi varie, ma la Democrazia cristiana storica, quella che gli italiani votavano a milioni, quella di De Gasperi. Il disagio nazionale induce a ritenere oggi che la maggioranza dei cattolici, che è la maggioranza del Paese, non si senta rappresentata né dall’attuale centro-sini- stra, assemblato sostanzialmente sull’antiberlusconismo, né dall’attuale centro-de- stra, così ondivago, diviso e più motivato dal ritorno al potere che da un coerente programma di governo. Anche le sue componenti minori, con la loro preminente insistenza sulle modalità delle leggi elettorali sembrano evidenziare più l’interesse ad assicurarsi porzioni di potere. Né esse sembrano godere della fiducia sicura del mondo cattolico. Si dirà che stiamo riproponendo un’esperienza esaurita, che la Democrazia cri- stiana appartiene alla storia. Insistiamo: chiedetelo ad Angela Merkel, ai cristiano- democratici dei Paesi Bassi, al partito popolare del governo austriaco, ai cristiano- sociali belgi di Martens, al Partito Popolare europeo.

162 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007  La specificità anticlericale continentale

• Non basta appellarsi agli esempi di Kennedy o di Blair, com’è trendy fare. L’Italia non è un paese anglosassone, dove i capi di stato invocano la benedizione di Dio e i valori cristiani sono un dato comunemente accettato. La storia dell’Europa continentale ha conosciuto le più sanguinose esplosioni di anticlericalismo con uc- cisioni incredibili di vescovi, sacerdoti, suore, laici cattolici. La rivoluzione francese e la massoneria istituzionalizzata da Napoleone produssero i noti scempi. La Spagna non fu da meno in corsi e ricorsi storici dolorosi, l’ultimo dei quali negli anni non lontani del Frente Popular. In Italia, il filo rosso massonico e anticlericale non mancò purtroppo all’epopea risorgimentale e ispirò non soltanto l’inno a Satana di Carducci, ma una tenace vena di rancore, tuttora attiva, verso la Chiesa e i cattolici. Un partito di centro, di chiara ispirazione cristiana ha dunque la sua ragion d’essere anche per questo. E non soltanto per la delusione sempre più diffusa verso i “cattolici adulti” (a loro si rivolgeva «Famiglia cristiana» rimproverandoli di ab- bandonare i Dico per rilanciare i Cus a favore di una battaglia ideologica di po- chi… “Quale distanza tra politica e Paese reale!”. La delusione apre grandi spazi a una Dc autorevole, che non sia la Cosa bianca di cui si parla, ma una forza che origini situazioni nuove. Al di là, infatti, di quella delusione vi è la necessità di un nuovo equilibrio tra le contrapposizioni finora ste- rili dei poli, la necessità di una formazione politica moderna, centrale e determi- nante. Certo, l’impresa non sarebbe facile. Occorrerebbero uomini disposti a una bat- taglia di rottura, attorno a un leader di forte carattere, di dignitosa vita privata, nel vigore degli anni, con esperienze amministrative e politiche alle spalle, di chiara provenienza cattolica. Con un programma antidemagogico di ristabilimento del- l’ordine democratico, dei meriti e dei doveri, accanto ai diritti, di risanamento mo- rale, civico e finanziario del Paese, di contrasto al cancro del parassitismo clientela- re; un programma che alienerebbe ristretti gruppi di pressione, ma sarebbe premia- to dal consenso della generalità dei cittadini. Con proposte concrete di soluzioni moderne dei soliti problemi nazionali della sicurezza, dell’istruzione, dell’ammini- strazione della giustizia, della sanità e del lavoro. Il ruolo del leader è centrale (a proposito della sua esperienza di consulente di Sarkozy, l’ex ministro della Funzione pubblica Franco Balanini osservava: “certe riforme funzionano quando se ne fanno carico leaders forti”). Il partito popolare esordì nel 1919 come partito minoritario, ma aveva a capo Strurzo. La Dc esordì nel dopoguerra come uno dei sei partiti del C.L.N., ma ave- va a capo De Gasperi. Entrambi avevano solide convinzioni, temperamento deci- so, provenivano da esperienze pubbliche, da lungo impegno democratico e cristia- no, erano aperti all’orizzonte internazionale. A questo punto Diogene di Sinope si metterebbe alla ricerca dell’uomo.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 163 Novità in libreria

a cura di Valerio De Cesaris

I cattolici e la politica in Italia

«Novità in libreria» propone per questo numero di «Civitas» un breve percorso bi- bliografico su “cattolici e politica in Italia”, attraverso alcune schede di libri di recente pubblicazione.

P. Scoppola, P. Consorti (a cura di), Fede religiosa e fede laica in dialogo, Guerini e Associati, Milano 2007, 142 pp., € 14,50

Fede religiosa e fede laica in dialogo non tratta direttamente la questione del- l’impegno dei cattolici in politica. La decisione di aprire la rubrica Novità in li- breria con questo libro – oltre ad essere un doveroso omaggio alla memoria di Pietro Scoppola – nasce dalla convinzione che il tema del dialogo tra laici e cre- denti sia oggi, in Italia, di primaria importanza, anche per quel che riguarda la vita politica del paese. Il confronto tra laici e credenti è serrato, e talvolta aspro, su questioni riguardanti la vita e la bioetica, il rapporto tra religione e politica, il ruolo della Chiesa in Italia. Pietro Scoppola e Pierluigi Consorti hanno curato questo libro “polifonico”, in cui, come sfondo di tutti gli interventi, pur diversi tra loro, è sottolineata la necessità di un dialogo franco e costruttivo tra «fede religiosa e fede laica». Il volume è frutto delle attività della “Fondazione Remo Orseri per la collaborazione culturale fra i popoli”, di cui Scoppola è stato a lungo presidente e di cui Consorti è segretario generale. È anche un modo per fare memoria di un uomo, Remo Orseri, sconosciuto ai più, che visse l’ideale dell’incontro e del dialogo tra culture e religioni diverse, e ne fece un motivo di vita. Il volume contiene contributi di Arrigo Levi, Vincenzo Paglia, Andrea Ric- cardi, Tullia Zevi, , Dario Antiseri, Walter Veltroni, Dalil Boubakeur, José da Cruz Policarpo, Samuel Levy, Mario Soares, Francesco Pao- lo Casavola.

164 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 S. Pezzotta, I cattolici e la politica, Editrice La Scuola, Brescia 2007, 128 pp., € 8,50

Il libro è un’intervista di Fabio Zavattaro a Savino Pezzotta, in cui l’ex leader della Cisl descrive in modo appassionato come immagina oggi il ruolo dei cattolici nella società e nella politica italiana. Si tratta di un testo ovviamente importante perché Pezzotta, con il ruolo avuto nel Family day e con il progetto dell’“Officina 2007”, che mira a una nuova aggregazione dei cattolici in politica, rappresenta una novità che – nuova legge elettorale permettendo – potrebbe divenire rilevante. La sua è peraltro un’analisi che abbraccia molti temi, dal discorso di una “nuova lai- cità”, in cui i cattolici, seppure in minoranza, debbono essere in grado di difendere in modo dialogico la propria storia e la propria identità, alla questione del “metic- ciato culturale”, che rappresenta un interrogativo ineludibile per il futuro dell’Ita- lia e dell’Europa, fino alle problematiche della criminalità e della sicurezza, molto percepite dalla popolazione italiana e quindi che richiedono risposte concrete, che non siano però strumentali a fini politici di parte. Attraverso questa intervista di Zavattaro, Pezzotta delinea la sua risposta al problema della presenza dei cattolici nel dibattito pubblico in Italia dopo la fine della Dc.

L. Bobba, Il posto dei cattolici, Einaudi, Torino 2007, 152 pp., € 8,00

Luigi Bobba pone al centro della sua analisi sul “posto dei cattolici” in Italia i laici credenti. Non soltanto per quel che riguarda l’attività politica dei cattolici, ne- cessariamente riservata ai laici, ma anche per quel che concerne l’impegno sociale e la dimensione culturale. La capillare presenza dei cattolici nella società italiana è una risorsa e andrebbe valorizzata, senza creare o acuire divisioni tra diverse “ani- me” del paese. I cattolici hanno “un posto” in Italia, negarlo sarebbe come falsifica- re la storia del nostro paese. E ci sono tanti cattolici che operano in maniera onesta, incisiva, creativa, in molti ambiti della vita nazionale. Un certo laicismo – presente sia a destra che a sinistra, ma più evidente o più percepito dall’opinione pubblica nella sinistra radicale – vorrebbe relegare i valori morali nella sfera del privato. Bobba, eletto al Senato nelle liste dell’Ulivo, risponde citando Barack Obama: “Dire che uomini e donne non dovrebbero far rifluire la loro morale personale nei dibattiti pubblici è un assurdo pratico”. I cattolici che lavorano nella sfera della po- litica possono avere un duplice ruolo: da una parte hanno il compito di difendere in maniera ferma i valori cristiani nelle discussioni parlamentari, dall’altra hanno la responsabilità di stemperare i toni di un dibattito politico che è stato incentrato, negli ultimi quindici anni, sulla demonizzazione e la distruzione dell’avversario. Si tratta per Bobba di compiti che tutti i cattolici impegnati in politica, in entrambi gli schieramenti, dovrebbero assumere. Il posto dei cattolici è un libro piccolo ma intelligente, una riflessione non banale sul futuro dei cattolici nella vita politica e sociale italiana.

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 165 M. Griffo, Dimenticare la Dc, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, 96 pp., € 9,00

Alla base della riflessione di Maurizio Griffo c’è l’esigenza di comprendere qua- le sia l’origine del corto circuito in cui è finito il sistema politico italiano, che appa- re incapace di garantire governabilità al paese. Nella prima parte del volume l’autore ripercorre brevemente le vicende politiche italiane dal secondo dopoguerra al 1994, data della fondazione di Forza Italia e della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. L’analisi di questo lungo periodo è incentrata su un dato: la sostanziale inamovibilità della maggioranza parlamentare centrista. In tal senso, la storia poli- tica italiana è stata a lungo caratterizzata, nella cosiddetta “prima Repubblica” dal- l’esclusione delle “ali” politiche e da immobilismo. Griffo non risparmia critiche alla gestione democristiana del potere e, con la formula “dimenticare la Dc”, inten- de esprimere un concetto ben chiaro: il sistema politico italiano sarà realmente rin- novato se saprà tradursi in una vera e funzionante democrazia dell’alternanza. L’autore si schiera nettamente per un bipolarismo all’inglese, scongiurando l’ipo - tesi di una “restaurazione neocentrista” che – a suo parere – avrebbe l’effetto di bloccare ancora una volta il paese. Il libro è senz’altro un’utile riflessione, anche se alcuni giudizi generali – come il richiamo a una “democrazia immediata”, espres- sione forse troppo demagogica e quantomeno astratta, perché presuppone maggio- re capacità decisionale di un sistema politico in cui diminuisce il potere dei partiti e si afferma un poco definito “governo del popolo” – e su singole personalità politi- che sono piuttosto opinabili.

M. Damilano, Il partito di Dio. La nuova galassia dei cattolici italiani, Einaudi, To- rino 2006, 217 pp., € 14,50

Marco Damilano, giornalista de «L’Espresso» esperto di questioni politico-reli- giose, descrive un cattolicesimo “alla conquista” di spazi nella politica, nei media, nella società. Alla conquista, per dirla in breve, del potere. La tesi – che vede in atto una vera «guerra culturale» avviata dalla Chiesa di Benedetto XVI contro il relativi- smo etico – appare forzata. La Chiesa italiana sarebbe infatti, in questa ricostruzio- ne, una sorta di avanguardia – o di “laboratorio” – per una più ampia offensiva a li- vello mondiale sui temi della bioetica, della famiglia, dei rapporti Stato-Chiesa. Sa- rebbe ormai in atto uno «scontro di civiltà» tra credenti e non credenti, nel cuore dell’Occidente. La figura centrale in questa sorta di reconquista della società è per Damilano il cardinale Ruini. Nel suo più che ventennale governo della Chiesa ita- liana Ruini avrebbe condotto una «controffensiva culturale» nei confronti sia del laicismo che del relativismo, passando infine all’offensiva con l’organizzazione di tutte le sue “truppe”: clero, associazioni, movimenti ecclesiali. Con un’attenzione costante al rapporto con i leader politici e alle loro posizioni rispetto ai temi sensi- bili per la Chiesa. Al di là del fatto che il libro sembri un po’ troppo “a tesi”, Dami- lano affronta una questione delicata: l’utilizzo della Chiesa in campo politico e la

166 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 riduzione del cristianesimo a elemento di identità di fronte alle minacce del tempo presente, siano quelle del relativismo etico, siano quelle dell’aggressività di parte del mondo islamico.

G. Filoramo, La Chiesa e le sfide della modernità, Laterza, Roma-Bari 2007, 189 pp., € 16,00

Giovanni Filoramo, storico del cristianesimo e delle religioni, parla di un «rin- novato scontro tra Chiesa cattolica e modernità» in Italia. Questo scontro diviene sempre più nocivo alla convivenza civile in Italia, perché rischia di spaccare in due il paese. Quali ne sono i motivi? Come ricomporre un dissidio che appare quasi in- sanabile tra credenti e non credenti? Filoramo tenta di rispondere, per quanto pos- sibile, a questi quesiti. La sua analisi è vasta e tocca le questioni etiche, il plurali- smo religioso, i temi della guerra e della pace, oltre che le diverse posizioni esistenti in Italia sulla laicità dello Stato. La questione riguardante il ruolo dei cattolici nella vita politica del paese, pur non essendo al centro del libro, ne costituisce, in un cer- to senso, la premessa, anche tenendo conto del fatto che il nesso tra politica ed eti- ca torna oggi di «impellente attualità». Il capitolo dedicato a «Chiesa, democrazia, laicità» contiene un’analisi storica dei rapporti tra cristianesimo e politica, sino ai giorni nostri in cui – avverte l’autore – c’è la tendenza a un «neotemporalismo in- coraggiato dal magistero in Italia». La riflessione di Filoramo, non priva di critiche nei confronti del magistero della Chiesa, si articola in un’analisi di lungo periodo e non è schiacciata sull’attualità politica.



Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 167 Nomi citati

Alberigo G., 133 Croce B., 132 Aznar J.M., 38 Dahl R., 56 Bachelet V., 30 Dalla Costa E., 23 Badoglio P., 18 Dante, 84 Bartoletti E., 26, 125 De Gasperi A., 22, 23, 46, 70, 76, 77, 84, Bauman Z., 84, 107 118, 126, 132, 136, 161, 162, 163 Benedetto XVI, 9, 12, 13, 31, 53, 80, 81, De Lubac H., 18 122, 166 De Marco, 23 Benigni U., 18 De Rita G., 42, 69 Berlinguer E., 50 De Rosa G., 117, 131 Berlusconi S., 75, 76, 77, 141, 144, 166 Dossetti G., 23, 65, 77 Bernanos G., 137 Dunn J., 56 Bernareggi D., 22 Bertone T., 14, 15, 161 Fanfani A., 70, 77 Bianco G., 45, 145 Ferrara G., 54 Blair T., 38, 143, 163 Fogazzaro A., 133 Bloch M., 126 Fonzi F., 131, Blum L., 129 Fukuyama F., 71 Böckenförde E.W., 56 Borzomati P., 29 Gallarati Scotti T., 133 Brezzi P., 133 Galli della Loggia E., 53, 82 Gemelli A., 21, 22 Campanini G., 55 Gentiloni V.O., 20, 21 Caracciolo L., 29 Giobbe, 114 Carniti P., 133 Giolitti G., 84 Casini P., 77, 144 Giordani I., 15 Caterina da Siena, 30 Giovanni Paolo II, 11, 12, 13, 27, 28, 29, Cavour C.B., 84, 132 80, 91, 92, 99, 118 Chabod F., 9, 50 Giuntella V.E., 119 Clinton B., 38, 149 Gramsci A., 14 Colombo G., 26 Gregorio Di Nissa, 57 Congar Y., 25 Cordovani R., 21 Hirst P., 103 Craxi B., 65, 75 Hobsbawn E., 71

168 Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 Jacini S., 133 Pertini S., 29 Jemolo A.C., 133 Pio X, 20 Pio XI, 21, 135, 137 La Pira G., 15, 22, 23, 70, 77 Pio XII, 22, 23, 24, 30, 70 Lamennais H.R., 19 Poma A., 26 Lazzati G., 77 Prodi R., 77, 141, 142, 143, 144, 145 Lenin V., 71 Puglisi P., 30 Leone XIII, 18, 19, 20, 65 Lubich C., 97, 102 Ratti A., 137 Reagan R., 38 Manziana C., 26 Richelieu A.J., 60 Manzoni A., 122, 133 Ricoeur P., 105 Marchionne S., 52 Rigol i Roig J., 101 Maret H., 132 Rosmini A., 122, 133 Maritain J., 137 Rossetti G., 135 Marrou H., 117, 126 Ruini C., 10, 11, 12, 25, 53, 60, 65, 78, 107, Martinazzoli F.M., 160, 161 161, 166 Marx K., 19, Maurras C., 129, 137 Scalfari E., 59 Mazzolari P., 131 Schiavone A., 52 Messineo A., 23 Siri G., 24 Miccoli G., 27, Spadolini G., 19 Milani L., 59, 85, 86, 157 Sturzo L., 21, 49, 76, 126, 152, 153, 154 Minoretti C.D., 20 Monterisi N., 18 Tabacci B., 82 Montini G.B., 22, 125 Tacito, 74 Montini L., 23, 26, 28, 70 Tardini D., 23, 70 Moro A., 24, 25, 30, 76, 77, 118, 126, 127 Tocqueville A. C., 79, 132 Mosè, 113 Togliatti P., 50, 65, 77, 83, 162 Murri R., 135 Tommaseo N., 133 Toniolo G., 19, 20, 30, 92 Naro C., 29 Traniello F., 133 Nicodemo E., 24 Nozik R., 102 Urbani G., 26

Orfei R., 133 Veltroni W., 36, 55, 84, 85, 143, 144, 160, 164 Paolo VI, 11, 18, 25, 26, 30, 115, 118, 125, 126 Wojtyla K., 27, 28, 29, 121 Pascal B., 138 Passerin d’Entreves E., 133 Yunus M., 107 Pedrazzi L., 133 Peguy C., 54 Zaccagnini B., 127 Pera M., 82 Zagrebelsky G., 122 Pergolesi F., 23 Zizola G., 13

Civitas / Anno IV - n. 3 - Settembre-Dicembre 2007 169 ASSOCIAZIONE PER LA VALORIZZAZIONE DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA - ONLUS CIVITAS

NUMERI PRECEDENTI

ANNO I - N. 1/2004

EUROPA SENZA CONFINI Gabriele De Rosa - Achille Silvestrini - Franco Nobili - Luigi Giraldi - Giorgio Tupini - Jean Dominique Durand - Roberto Morozzo della Rocca - Gorgio Bosco - Agostino Gio- vagnoli - Paola Pizzo - Marisa Ferrari Occhionero - Simona Andrini - Stefano Trinchese

ANNO II

N. 1/2005

LA DEMOCRAZIA MALATA Agostino Giovagnoli - Rudolf Lill - Jean Marie Mayeur - Pietro Scoppola - Carlo Mon- gardini - Savino Pezzotta - Andrea Bonaccorsi - Paolo Musso - Carlo Giunipero - Marco Impagliazzo - Ruggero Orfei - Giuseppe Merisi - Giovanni Pitruzzella - Leopoldo Elia -

N. 2/2005

LA LUNGA STAGIONE DELLA LIBERAZIONE - Franco Nobili - Alfredo Canavero - Raoul Pupo - Corrado Belci - Agostino Giovagnoli

RELIGIONI, MULTICULTURALISMO, LAICITÀ Milena Santerini - Renè Remond - Paolo Branca - Vincenzo Cesareo - Carlo Cardia

N. 3/2005

ECONOMIA E DEMOCRAZIA Piero Barucci - Andrea Bixio - Giampiero Cantoni - Innocenzo Cipoletta - Emmanuele Emanuele - Piero Giarda - Giovanni Marseguerra - Franco Nobili - Giuseppe Sangiorgi - Mario Sarcinelli - Bruno Tabacci - Antonio Zurzolo

ANNO III

N. 1/2006

CHIESA E STATO IN ITALIA - IERI E OGGI Franco Nobili - Andrea Riccardi - Romeo Astorri - Maurizio Punzo - Giuseppe Dalla Torre - Francesca Margiotta Broglio - Giovanni Battista Varnier - Carlo Cardia - Camillo Ruini - Pietro Scoppola - Agostino Giovagnoli - Silvio Ferrari - Stefano Semplici - Fran- cesco Totaro - Luciano Eusebi NUMERO SPECIALE – AFRICA: UN CONTINENTE TRA ABBANDONO E SPERANZA Franco Nobili - Mario Giro - Jean Leonard Touadi - Jean Mbarga - Stefano Picciaredda - Gianpaolo Cadalanu - Leonardo Palombi - Daniela Pompei - Robert Sarah - Boniface Mongo Mboussa - Éloi Messi Metodo - Robert Dussey

N. 2-3/2006

BIPOLARISMO IMPERFETTO Antonio Agosta - Andrea Bixio - Fedele Cuculo - Gianfranco D’Alessio - Giuseppe De Rita - Emmanuele F.M. Emanuele - - Enrico Letta - Franco Nobili - An- drea Riccardi - Mario Rusciano - Giuseppe Sangiorgi - Paolo Segatti - Pietro Scoppola - Bruno Tabacci

N. 1/2007

OLTRE IL WELFARE: LA SFIDA DELLE NUOVE POVERTÀ Card. Tarcisio Bertone - Stefano Bartolini - Leonardo Becchetti - Corrado Beguinot - Luigino Bruni - Giuseppe De Rita - Franco Nobili - Renato Palma - Pierluigi Porta - Franco Riva - Giuseppe Sangiorgi - Silvio Scanagatta

N. 2/2007

ISLAM Lahouari Addi - Mustapha Cherif - Bahey El-Din Hassan - Mohamed Haddad - Hassan Hanafi - Kone Idriss Koudouss - Ahmad Syafii Maarif - Chandra Muzaffar - Paul Matar Mohammad Sammak - Ghassan Tueni - Mohamed Tozy - Abdul Magid - A. Karim Vakil

Richieste e informazioni a: Fax. 06.45471753 E-mail: [email protected] Finito di stampare nel mese di dicembre 2007 dalla Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali per conto di Rubbettino Editore Srl 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)