Carlo Alberto Biggini: il custode degli ultimi “segreti” di Mussolini. Dalla Basilica del Santo di Padova alla clinica milanese “San Camillo“ (26 luglio – 19 novembre 1945)

Pubblicato su 1 giugno 2011 , rinomato professore di diritto costituzionale, nacque a Sarzana – un paese in provincia di La Spezia – il 9 dicembre 1902, da Maria Accorsi e da Ugo, un avvocato di estrazione socialista. Dopo aver conseguito brillantemente, nel novembre del 1928, la laurea in Legge presso l’ateneo di Genova, l’anno seguente si laureò a Torino anche in scienze politiche riportando la prestigiosa votazione di 110, lode e dignità di stampa. Il suo cursus studiorum si concluse nell’ottobre del 1930 con il conseguimento di un altro titolo accademico, quello in scienze corporative, stavolta presso l’università di Pisa. Inoltre, proprio nell’aprile di quell’anno, aveva coronato anche il suo sogno d’amore impalmando a La Spezia

Maria Bianca Mariotti. Durante i suoi anni giovanili seguì le orme paterne abbracciando gli ideali socialisti finché, nel maggio del 1928, si verificò una repentina conversione al fascismo che lo indusse a chiedere perfino la tessera del P.N.F. Questa fase importante della sua vita, inoltre, coincise anche con la sua definitiva consacrazione sia a livello accademico e sia nell’ambito dell’establishment fascista, dove ricoprì varie cariche di un certo prestigio. Difatti a suggellare la sua affermazione giunse, il 6 febbraio del 1943, la nomina a ministro dell’Educazione Nazionale in sostituzione di , che gli fu conferita dal in persona[1]. Nel corso della famigerata riunione del Gran Consiglio che si svolse nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943, votò contro l’ordine del giorno di sfiducia a Mussolini presentato da , tentando finanche di ricucire lo “strappo” che si era prodotto, redigendo un pro-memoria per il duce che avrebbe dovuto consegnare al sovrano allo scopo di far rilevare che il voto espresso dal Gran Consiglio era da considerarsi a tutti gli effetti nullo perché viziato da alcune infrazioni regolamentari.

Proprio per questo motivo nell’agosto successivo fu persino ricevuto dal re, ma non se ne fece nulla. La fiducia incondizionata che Mussolini nutriva nei suoi confronti non si affievolì neanche all’indomani della costituzione della Repubblica Sociale Italiana allorquando, varando il governo, lo riconfermò alla guida del dicastero dell’Educazione Nazionale, che Biggini decise di collocare nel palazzo Papafava dei Carraresi a Padova fin dall’ottobre successivo, dove si trasferì insieme alla propria famiglia. In questo periodo si distinse per alcuni provvedimenti di una certa importanza ripristinando, nel novembre del 1943, il metodo democratico nelle università ed esentando dal giuramento gli insegnanti. Per questa “grave” infrazione, il 12 settembre dell’anno successivo, rimediò perfino una denuncia al servizio disciplina del Partito Fascista Repubblicano ad opera del segretario . Ciò nonostante, nel maggio di quello stesso anno, non esitò ad interporre i suoi buoni uffici per salvare 44 professori dell’Università di Genova, tra cui vi erano anche alcuni suoi vecchi maestri. Come ha affermato in merito Luciano Garibaldi nel corso del recente convegno di studi su Carlo

Alberto Biggini tenutosi a Sarzana:

Senza limiti i suoi sforzi – sempre riusciti, in unità d’intenti con Gentile – per proteggere colleghi, scrittori, professori, salvarli prima dal confino e poi dalla deportazione in Germania, dar loro da lavorare e da mangiare, non stroncare le loro carriere. E soprattutto per cercare di evitare il sanguinoso epilogo della guerra civile, in una gara di nobili sforzi che videro, dall’altra parte della barricata, il suo amico Corrado Bonfantini, capo delle formazioni partigiane socialiste, e, da quest’altra, accanto a lui, [2] Giorgio Pini, Edmondo Cione [e] Carlo Silvestri […] . Del resto la fiducia senza riserve che il duce riponeva nei suoi confronti è suffragata dal fatto che, nel corso del Consiglio dei Ministri del 24 novembre 1943, decise di affidargli persino il compito di redigere il progetto della nuova Carta costituzionale del nuovo Stato repubblicano, che Biggini mise a punto in soli quindici giorni. Tuttavia, considerata la piega decisamente negativa che stavano prendendo gli eventi bellici, a partire dal luglio del 1944, il ministro Biggini, per motivi di sicurezza, ritenne più opportuno trasferire la propria famiglia nella “Villa Gemma” nei pressi di Maderno, dove, suo malgrado, restò soltanto per poco tempo, fino all’ottobre successivo poiché, come tutti i gerarchi, ob torto collo fu costretto a portare i suoi familiari nella località di Zurs, da dove andò a prelevarli nel marzo dell’anno successivo. A quel punto, considerato che a partire dal febbraio del 1945 era stato sottoposto finanche ad una rigida sorveglianza da parte della banda Carità[3], per sfuggire ai suoi aguzzini, il 23 aprile successivo, alle 5 del mattino, abbandonò precipitosamente la residenza di villa Gemma a Maderno sul Garda, dopodiché, sul far della sera del 25 aprile, decise di rifugiarsi nella Basilica del Santo a Padova, contando sul fatto che questa struttura ecclesiastica godeva del diritto di extraterritorialità. Difatti, avendo mantenuto in passato i collegamenti tra Stato e Chiesa e, conoscendo il ministro provinciale dei francescani patavini, padre Andrea Eccher[4], nonché il rettore della Basilica, padre Lino Brentari, riuscì ad ottenere agevolmente l’autorizzazione dal vescovo diocesano, mons. Carlo Agostini, per rifugiarsi nel convento attiguo, dove restò nascosto senza adoperare alcun nome fittizio e tanto meno indossare l’abito talare. Appena giunto sul luogo, immediatamente, fu preso sotto la custodia di padre Eccher, il quale subito si preoccupò di mettere il suo nuovo ospite a suo agio. Tuttavia, nella concitazione della fuga, poiché era braccato e minacciato dai partigiani, Biggini aveva ritenuto opportuno non portare con sé la copia del carteggio tra il primo ministro inglese Winston Churchill e il duce del fascismo italiano, lasciandola sulla scrivania del suo studio a Maderno in una cartella di marocchino rosso. Evidentemente Biggini aveva ricevuto da Mussolini questi importanti documenti proprio in virtù della fiducia smisurata che riponeva nei suoi confronti, e poi perché era persuaso che sarebbe stato risparmiato dalla vendetta partigiana, in virtù dei suoi legami che aveva allacciato in tempi non sospetti con alcuni antifascisti come Corrado Bonfanti.

Difatti, i partigiani avevano ricevuto l’ordine di non aprire il fuoco sulla sua “Aprilia” che quotidianamente percorreva la strada che da Padova lo conduceva alla residenza di Mussolini sul Lago di Garda, ben sapendo che spesso e volentieri il ministro si recava dal duce con una lista di persone da salvare che erano finite nel mirino dei nazi-fascisti. Senza contare, poi, i numerosi rapporti che aveva intrecciato anche con altri esponenti della Resistenza, i quali avevano con lui un debito di riconoscenza per essere riusciti a sfuggire all’arresto grazie proprio ad un suo provvidenziale intervento. Difatti, come sostiene giustamente lo storico Roberto Festorazzi nella sua relazione che ha svolto in occasione del recente convegno di studi sulla figura di Carlo Alberto Biggini tenutosi a Sarzana: Mussolini aveva scelto bene, affidandogli le carte che avrebbero dovuto scrivere la storia di domani. Biggini rappresentava, ai suoi occhi, una risorsa ideale da spendere quando tutto era ormai perduto. L’ex ministro dell’Educazione Nazionale, con ogni probabilità, sarebbe sopravvissuto al bagno di sangue del passaggio storico che Mussolini stesso immaginava cruento, dominato da furore collerico e da un’esplosione di isteria collettiva contro i vinti. Biggini era un galantuomo, un pacificatore, un intellettuale illuminato. […] Le sue benemerenze presso gli antifascisti gli sarebbero valse a guadagnarsi la salvezza. Se dunque il candidato prescelto per l’Operazione Verità aveva grandi possibilità di portare a termine la sua missione, qualche cosa tuttavia intervenne a sconvolgere i piani. E quel qualche cosa era un fattore imponderabile, non [5] controllabile da nessuno . Del resto, proprio per questi motivi, Mussolini non aveva esitato ad affidargli persino la copia di tutti gli atti dei rapporti che aveva con gli inglesi. Si spiegherebbe così il motivo per cui il ministro Biggini sarebbe venuto in possesso anche dei famigerati carteggi tra Mussolini e Churchill[6]. Ad ogni modo, stando ad un’intervista rilascita l’11 settembre 1964 dall’allora ministro provinciale dei francescani conventuali padre Andrea Eccher al professor Fantelli, si afferma esplicitamente che in seguito, sempre con la sua approvazione, Biggini si rifugiò presso il Seminario Teologico patavino di “S. Antonio Dottore”, retto dai Frati Minori Conventuali della Provincia di S. Antonio, dove sarebbe rimasto nascosto per alcuni mesi, sotto mentite spoglie, insieme all’ex segretario del P.N.F., ed al responsabile dell’Alto Commissariato fascista per il Veneto

Giuseppe Pizzirani.

Circa i ricoverati politici – dichiara p. Eccher –: nel convento non fu accettato nessuno per evitare complicazioni diplomatiche per la S. Sede. Furono invece ospitati alcuni partigiani (e dopo la liberazione fascisti in numero ancora maggiore) nella tipografia del Messaggero di S. Antonio e in altri istituti dei frati in città.

[Il padre Eccher] conobbe in quell’epoca molte persone protagoniste degli avvenimenti sia partigiani che fascisti, anche per opera del p. Fulgenzio Campello (un frate del convento, cappellano delle carceri) che agiva con molta prudenza, intelligenza, specialmente tra i carcerati che egli soccorreva con viveri, sigarette e denaro [...] P. Eccher era anche in relazione con l’Alto Commissariato fascista per il Veneto diretto da Giuseppe Pizzirani e con Cesare Rossi (tenente aiutante di Pizzirani) e Pozzo presso i quali intervenne a favore di carcerati o di altri e li trovò sempre comprensivi e gentili. Permise [padre Eccher] che nel loro Collegio Teologico di via S. Massimo fossero ricoverati Pizzirani, Scorza e Biggini, ma rifiutò di accogliere il Menna [prefetto di Padova, che poi fuggì in Argentina, n.d.a.] [7] perchè responsabile di azioni delittuose . Tuttavia, padre Tito Magnani, sembra confutare recisamente queste affermazioni al punto che in una chiosa trascritta di proprio pugno in calce a questo testo, sottolinea che Biggini, Scorza e Pizzirani «Secondo testimonianza dei frati del Santo, erano accolti al Santo [ovvero nel convento attiguo alla Basilica, n.d.a.]. A S. Massimo [cioè presso il Seminario Teologico “S. Antonio Dottore”, n.d.a.] con le suore c’era la moglie di Scorza»[8]. Difatti, anche padre Alberto dell’omonimo Collegio, sembra propendere decisamente a favore della tesi avanzata da padre Magnani, in quanto riferisce a chi scrive che:

Parlando […] con qualche frate anziano che è stato testimone all’epoca, posso dirle che francamente ci risulta davvero strano che il nostro Seminario (meglio: Collegio Teologico, come veniva chiamato a quei tempi) sia stato un rifugio per perseguitati politici… Uno dei frati più anziani mi ha detto che, per quanto lui si ricorda, non si è data ospitalità ad alcuno in quel lasso di tempo. Forse, ma è un forse molto forzato, durante il periodo di sfollamento del collegio, quando Padova era presa di mira dai bombardamenti e tutti i frati, i fratini seminaristi sono stati sfollati in una parrocchia dell’hinterland padovano. Si è trattato di un [9] periodo molto breve, comunque . Questa apparente incongruenza, tuttavia, è comprensibile se si pensa che quando padre Eccher rilasciò questa intervista al prof. Fantelli già erano trascorsi parecchi anni dal verificarsi di tali eventi; ragion per cui non è affatto da escludere che gli sia potuto sfuggire qualche particolare oppure, come dichiara fr. Luciano

Bertazzo: avendo dichiarato nella stessa intervista che non si voleva coinvolgere la S. Sede, proprietaria della Basilica, abbia voluto formalmente escludere la presenza di persone compromesse. Con difficoltà, ma ho potuto avere la testimonianza di un frate allora presente (e tutt’ora lucidissimo e che fu il verbalista nella riunione fatta nel convento che portò alla resa del fascismo nella città di Padova), che mi ha confermato che Scorza e Biggini erano nascosti nelle cantine sottostanti alla cucina del convento. Non ricorda se c’era anche Pizzirani. Chi lo sapeva era stato vincolato [10] al segreto . Ad ogni modo, sta di fatto che, a distanza di alcuni mesi, per la precisione il 15 agosto, il ministro Biggini, dopo aver accusato un malore accompagnato da forti dolori addominali, fu subito visitato dal prof. Bastoni il quale gli diagnosticò un cancro. Ma a quel punto, non pago della diagnosi formulata dal medico, chiese di essere trasportato in una clinica di Milano allo scopo di ricevere cure più adeguate. Questa richiesta, naturalmente, fu subito accolta dal rettore della Basilica del Santo, padre Lino Brentari, il quale non esitò a mettere a sua disposizione un’automobile per il trasferimento presso la clinica “San Camillo” di Milano, scelta perché fin dal 1933 era gestita dalla Provincia Lombardo- Veneta dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi – meglio noti come Camilliani – con i quali i francescani patavini avevano allacciato da tempo una solida amicizia. Di conseguenza padre Eccher, insieme alla signora Cargnello e al prof. Faggiotto, col favore delle tenebre, a bordo di questa automobile, accompagnarono Biggini nel capoluogo lombardo dove fu accolto dai Frati del San Camillo che, per precauzione, prima di ricoverarlo – su suggerimento di padre Agostino Gemelli – provvidero a falsificare i suoi dati anagrafici, facendolo passare per un tal professore Mario De Carli, dal momento che era attivamente ricercato quale membro autorevole della R.S.I.

Qui fu subito sottoposto ad alcuni accertamenti clinici e, dopo vari giorni di degenza, gli fu diagnosticato un tumore al pancreas, sebbene dal referto stilato successivamente dal medico e amico del ministro, padre Agostino Gemelli – che visitò Biggini di nascosto nell’estate del 1945 –, solo di recente venuto alla luce, fu escluso categoricamente che il gerarca fascista fosse affetto da questa neoplasia. Scrive, infatti, l’allora rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in data 6 settembre 1945:

Caro Paolo, rientrando a Milano trovo la tua lettera. […]

Quella persona [Carlo Alberto Biggini, n.d.a.], esaminata accuratamente, non ha per nulla il carcinoma, né alcuna neoformazione come si era diagnosticato in precedenza. Si tratta [11] di fenomeni nervosi e non più . Tuttavia, in questa clinica la degenza del gerarca fascista fu immediatamente circonfusa da un alone di mistero, tant’è che fu tenuto scrupolosamente lontano da occhi indiscreti, non consentendo a nessuno, neanche alla moglie, di fargli visita. Soltanto il suo fidato segretario, Dino Campini, riuscì ad avvicinarlo. Pertanto, proprio a quest’ultimo, l’ex ministro dell’Educazione Nazionale confidò la grande preoccupazione che nutriva per la documentazione contenuta nella cartella di marocchino rosso, quella definita della “linea d’ombra”, che aveva lasciato nella sua villa a Maderno prima di trasferirsi nella Basilica di Sant’Antonio di Padova la sera del 25 aprile 1945. Fino all’ultimo Biggini sperò che la moglie e la cognata fossero riuscite a portarla con loro nel momento in cui, in preda al panico, decisero di abbandonare rapidamente villa Gemma per rifugiarsi presso il vescovo di Brescia, mons. Giacinto Tredici. Fino a quel momento, infatti, nessuno era al corrente dell’enorme importanza che avevano quei documenti affidati a Biggini dal duce in persona con la promessa solenne di rivelarne il contenuto soltanto nel caso in cui fosse finito nelle mani dei suoi aguzzini e non fosse stato in grado di potersi difendere adeguatamente. Difatti, a quanto pare Biggini non ne aveva accennato neanche ai suoi familiari, mentre sicuramente ne parlò ai suoi collaboratori più stretti, come si evince ad esempio dalle dichiarazioni del suo segretario particolare, Dino Campini, riportate nel libro scritto da quest’ultimo agli inizi degli anni settanta dal titolo “”, nel quale si fa esplicito riferimento al famoso carteggio ed al fatto che una copia dello stesso era in possesso proprio di [12] Biggini .

Ad ogni modo, sta di fatto che la sua morte, sopraggiunta improvvisamente a distanza di pochi mesi, il 19 novembre del 1945, apparentemente a causa di un misterioso cancro, resta ancora avvolta nel più fitto mistero, considerato che da più parti è stata avanzata un’ipotesi suggestiva, tutt’altro che peregrina, secondo la quale avrebbero giocato un ruolo determinante in tal senso i fantomatici carteggi ricevuti da Mussolini che questi aveva avuto con il primo ministro inglese Winston Churchill, meticolosamente raccolti in una cartella di marocchino rosso e depositati con cura in una delle due valigie sequestrate al duce dalla 52ª Brigata Garibaldi proprio perché, evidentemente, costituiva un vero e proprio “tesoro politico”[13]. Ecco cosa scriveva, ad esempio, tra il 1945 e il 1946 il genero di Arnaldo Mussolini, Vanni Teodorani nel suo diario che, all’indomani della costituzione della R.S.I. ricoprì la carica di capo della Segreteria Militare del Capo dello Stato: Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacché il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia. […] Sembra che sia morto di cancro. Così anche lui che la violenza aveva risparmiato oggi raggiunto il suo Capo che l’aveva particolarmente caro e che si intratteneva lungamente con lui di tutto e su tutto per lunghe ore come un preferito discepolo. Forse il Mussolini degli ultimi tempi si fidava e confidava con lui come con nessun altro. Comunque, poiché quando morì Biggini era in incognito, da Padova fu condotto nel capoluogo lombardo il prof. Anti per effettuare il riconoscimento ufficiale della salma. Inoltre bisogna rilevare che, proprio prima di essere trasferito a Milano, il ministro Biggini, a quanto pare, si era premurato di affidare ai Padri francescani del Santo di Padova tutto il materiale che aveva trovato nelle casse da lui depositate presso il collegio Gonzaga di Milano[14]. Erano i documenti della Repubblica di Salò che egli voleva fossero conservati nella biblioteca del Santo. Tuttavia, come sottolinea anche Luciano Garibaldi, i bagagli di Biggini inviati al Gonzaga sempre per intercessione di padre Gemelli, poco dopo furono ampiamente saccheggiati da un esponente partigiano che si era installato in questura con il grado di vicequestore. Difatti, dopo la sua morte i padri del Santo di Padova trovarono le casse già manomesse e i documenti ivi contenuti erano spariti, né si sa ancora oggi che fine abbiano fatto, lasciando dietro [15] di sé un inquietante alone di mistero .

Ecco cosa scriveva Biggini, presagendo il pericolo che incombeva su di lui e sull’importante documentazione cartacea in suo possesso, nell’ultima lettera alla moglie il 10 giugno 1945:

Spero che l’amico P., cui sarò grato tutta la vita, possa farti avere questa mia. Cerca di stare tranquilla: non far mancare nulla a Carlo. […] Potrai farmi avere un tuo scritto? Avete tutto con voi?

E quelle mie carte?

Quando avrò notizie di voi potrò forse stare più tranquillo.

Vogliatemi bene: anche un po’ solo di quanto ve ne voglio io. ti stringo forte forte al mio petto insieme al nostro adorato Carlo e ti bacio a lungo insieme ai tuoi, con il più vivo affetto, tuo Carlo.

L’elemento imponderabile che impedì a Biggini di adempiere al compito storico assegnatogli – sostiene al riguardo Roberto Festorazzi – fu un’oscura forza del destino. Il caso volle che, nella concitazione che contrassegnò i giorni dell’epilogo dell’aprile 1945, il carteggio Churchill-Mussolini, ricevuto in copia fotografica, restasse a Villa Gemma, la residenza di Biggini a Toscolano Maderno. La precipitosa fuga dal Garda dei famigliari di Biggini determinò da sé il fatto che, per una fatale noncuranza, quelle carte rimanessero incustodite nello studio del ministro dell’Educazione Nazionale.

Non fu più possibile recuperarle in seguito. Con ogni probabilità, quel ghiotto dossier – conservato in una cartella di cuoio marocchino rosso –, rimasto nella disponibilità del proprietario della Villa, l’antiquario Triboldi, finì preda degli uomini dei servizi inglesi. Biggini, nel frattempo ammalatosi, non si capacitava di quel grave infortunio. Il segretario del ministro, Dino Campini, fu testimone dell’inquietudine di Biggini, che ripetutamente, in ogni occasione, tornava sull’argomento chiedendo notizie sulla sorte delle carte ormai sparite. Campini dovette probabilmente nascondere la sua pena, trovandosi [16] nell’impossibilità di fornire la risposta che Biggini attendeva . Viceversa, nel recente libro scritto da Baima Bollone, viene avanzata un’altra ipotesi secondo la quale

[Biggini si rifugiò] nella basilica di Sant’Antonio a Padova portando i diari con sé e fu nascosto dai monaci compiacenti. Presto si ammalò seriamente e fu costretto a lasciare tutto il materiale al convento per essere trasportato sotto falso nome in una clinica privata di Milano. Tuttavia, il biografo di Biggini, Luciano Garibaldi, si mostra alquanto scettico e tende a smentire questa ipotesi formulata da

Baima Bollone, sostenendo che Biggini purtroppo non poté portare con sé l’incartamento nella Basilica di Sant’Antonio di Padova, dove trovò rifugio la sera del 25 aprile 1945. Lo custodiva nella sua abitazione privata, Villa Gemma, sul Garda […]. L’ipotesi più verosimile è che la preziosa «cartella di marocchino rosso» di cui parla Campini sia finita nelle mani della prima persona che mise piede nella villa. E questa persona fu il pedagogo Michele Tumminelli, vicino di casa e amico del ministro, che, nell’immediato dopoguerra, divenne senatore democristiano, strettamente legato a De Gasperi. Non è azzardato ipotizzare – conclude, dunque, Garibaldi – che, per quella via, cioè De Gasperi, anche la copia [17] in possesso di Biggini sia tornata nelle mani di Churchill . In effetti tutti gli indizi portano a concludere che, probabilmente, una copia del famigerato carteggio fu consegnata anche a Carlo Alberto Biggini, ma scomparve misteriosamente subito dopo insieme al personaggio in questione. In seguito furono avanzate due ipotesi suggestive secondo le quali questi preziosi documenti sarebbero finiti in Vaticano, oppure affidati al conte Vittorio Cini, che era un grande benefattore della basilica di Sant’Antonio di Padova[18]. Da allora in poi, comunque, vennero sguinzagliati numerosi agenti segreti ai quali fu affidato l’oneroso incarico di rinvenire questo carteggio segreto tra Churchill e Mussolini.

Tra questi spiccano due figure interessanti, alludiamo all’agente segreto della Regia Marina italiana, Aristide Tabasso che, a partire dal 1945, in qualità di capo della Polizia partigiana di Verona, aveva iniziato a collaborare con il controspionaggio americano insieme all’agente speciale del Counter Intelligence Corps Sam Forman, con il quale provvide a setacciare in lungo e in largo il lago di Garda e l’intero Veneto. Alla fine, nel marzo del 1946, riuscì a rinvenire un’altra copia di questo epistolario che immediatamente fu portato presso la sede del C.I.C. di Verona in via Bezzecca 3, dove l’agente Forman procedette a fotografarlo e ad inviarlo negli Stati Uniti.

Inoltre, bisogna anche rilevare che, perfino il primo ministro britannico Winston Churchill, nei primi anni del dopoguerra, compì vari viaggi sul lago di Como – diciamo così di “piacere”, tanto per usare un eufemismo – col pretesto di dipingere qualche paesaggio lacustre, mentre in realtà il suo obiettivo era ben altro: quello cioè di recuperare il compromettente carteggio segreto con Mussolini. Difatti, in una di queste numerose visite, il 25 luglio del 1949, soggiornò sul lago di Garda, al Grand Hotel di Gardone Riviera, dopodiché, con l’ausilio di alcuni agenti dei servizi segreti di sua Maestà britannica, perlustrò meticolosamente anche la residenza del ministro Carlo Alberto Biggini a Maderno. Proprio in questa circostanza sembra che abbia incontrato anche la vedova del ministro, la signora Maria Bianca Mariotti che, tuttavia, per lungo tempo preferì mantenere il più stretto riserbo su tale vicenda e non rivelare le motivazioni di questa improvvisa visita, lasciando aperto un inquietante interrogativo a cui la comunità scientifica non è ancora riuscita a dare una risposta esauriente e definitiva. © Giovanni Preziosi, 2011

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[1] Per un maggior approfondimento sulla figura di Carlo Alberto Biggini si rimanda al saggio di L. Garibaldi, Mussolini e il professore. Vita e diari di Carlo Alberto Biggini, Mursia, Milano 1983.

[2] Cfr. la relazione su “Carlo Alberto Biggini”, tenuta da Luciano Garibaldi nel corso del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è svolto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.

[3] Il maggiore Mario Carità nacque a Milano il 3 maggio 1904. Allo scoppio della seconda guerra mondiale partecipò attivamente, anche se soltanto per breve lasso di tempo, alla campagna di Grecia venendo arruolato, come volontario, nella 92ª legione “Camicie Nere”, con il grado di centurione (cfr. M. Griner, La “pupilla del duce”. La Legione autonoma mobile , Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 129). Poi, il 17 settembre 1943, a Firenze, fu messo a capo dell’Ufficio politico investigativo di Polizia denominato in seguito “Reparto servizi speciali” (R.S.S.), alle dirette dipendenze della 92ª legione della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, che in seguito passerà tristemente alla storia col nome di “banda Carità”. Nel gennaio del 1944, infatti, questa formazione fu incorporata nella neonata Guardia Nazionale Repubblicana, di cui Carità divenne uno dei massimi dirigenti nel capoluogo fiorentino. Era una di quelle unità speciali autonome di Polizia più malvagie dello stato fantoccio della R.S.I., al punto che giunse a reclutare al suo interno finanche delinquenti comuni già condannati per furti, rapine, scassi e altri delitti, intraprendendo una spietata campagna di repressione contro ebrei ed oppositori del regime fascista. Naturalmente anche questo reparto si avvalse del contributo di alcuni collaborazionisti italiani fra i quali spiccano, in qualità di ufficiali di collegamento, il capitano Remo Del Sole e il tenente Giovanni Castaldelli, un ex sacerdote affiancato da due monaci benedettini: Padre Ildefonso, al secolo Alfredo Epaminonda Troya e don Gregorio Baccolini, cappellano della “29ª Waffen-Grenadier- Division der SS Italienische Nr.1” e fanatico propagandista del Partito fascista repubblicano. A Padova, invece, il quartier generale fu allestito soltanto ai primi di novembre del 1944 all’interno del magnifico Palazzo Giusti. Il trasferimento nel capoluogo patavino, in realtà, si deve alle pressanti richieste del Capo della provincia Federico Menna (3 agosto 1944 – 27 aprile 1945), il quale intendeva avvalersi dei servigi del Reparto servizi speciali per sdradicare il nucleo politico della Resistenza veneta (cfr. in merito Archivio di Stato Padova, Fondo Questura, b. 235, fasc. A, sottofasc. Allegro A., Benetollo D., Prisco D., Allegro V., interrogatorio per istruttoria CAS di Alfredo Allegro, 28 giugno 1945). Al termine del conflitto il maggiore Carità, insieme alle sue due figlie, riuscì a trovare un provvidenziale rifugio presso l’abitazione di alcuni contadini di Siusi, una frazione del comune di Castelrotto in provincia di Bolzano. Tuttavia, proprio mentre pensava di essere al sicuro, nella notte del 19 maggio 1945, lui e la sua convivente – Emilia Chiani – furono sorpresi da una pattuglia della Polizia militare alleata, e rimasero uccisi nello scontro a fuoco che ne scaturì. Per un ulteriore approfondimento sulle vicende relative al maggiore Mario Carità ed alla ‘banda’ dai lui comandata, si rimanda alle seguenti opere: A. Mugnai, La “banda Carità”. Ora che l’innocenza reclama almeno un’eco, Becocci, Firenze, 1995; P. De Lazzari, Le SS italiane, introduzione di Arrigo Boldrini, 2ª ed., Teti editore, Milano 2002; Istituto Storico per la Resistenza e l’età contemporanea di , Processo Carità ed altri, fald. 2, fasc. Imputati da Accomanni a De Santis, memoriale difensivo di Castaldelli Giovanni del 28 giugno 1950; M. Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma, 1999; R. Caporale, La Banda Carita: storia del Reparto servizi speciali, 1943-45, prefazione di Dianella Gagliani, S. Marco litotipo, Lucca 2005.

[4] P. Andrea Eccher ricoprì la carica di ministro provinciale dal 1940 al 1952.

[5] Cfr. la relazione “Biggini e il mistero del carteggio Churchill-Mussolini”, svolta da Roberto Festorazzi nel corso del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è tenuto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.

[6] Cfr. in merito L. Garibaldi, Mussolini e il professore, cit.. Garibaldi in questo volume descrive appunto quelle che, a suo parere, sarebbero state le vicende del presunto carteggio Mussolini-Churchill, di cui Biggini fu per un breve periodo depositario. Ad ogni modo per approfondire questa controversa vicenda del carteggio tra il duce del fascismo italiano ed il primo ministro britannico, si rimanda alle seguenti opere: M. Viganò, Il carteggio Mussolini-Churchill: una precisazione e una testimonianza, in “Nuova Storia Contemporanea”, Anno VIII, n. 5, Settembre-ottobre 2004; N. D’Aroma, Vite parallele: Churchill e Mussolini, Roma, 1962; A. Petacco, Dear Benito, caro Winston, Mondadori, 1985; G. Cavalleri, Dal carteggio Churchill-Mussolini all’oro del P.C.I., Piemme, Casale Monferrato, 1995; R. Festorazzi, I veleni di Dongo, Il minotauro, Roma 2004; Id., Mussolini-Churchill: le carte segrete: la straordinaria vicenda dell’uomo che ha salvato l’epistolario piu scottante del ventesimo secolo, Datanews, Roma 1998; Id., Tutti i segreti del carteggio fantasma. Con una testimonianza di Luigi Carissimi-Priori sul carteggio Churchill-Mussolini, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 1, gennaio-febbraio 2000, pp. 115-124; P. Carradori, Vita con il Duce, Milano, 2001.

[7] Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice postulazione, Testimonianza-intervista rilasciata nel 1964 dal Ministro Provinciale dell’Ordine dei Francescani Minori Conventuali della Provincia Patavina, P. Andrea Eccher, al Prof. Giorgio Erminio Fantelli in data 11 settembre 1964, trascritta dal figlio e inviata il 29 settembre 2000 a p. Tito Magnani vicepostulatore della causa di beatificazione di p. Placido Cortese, pp. 1531-1535. Il prof. Fantelli fa riferimento a della documentazione ricevuta in consultazione: si tratta fondamentalmente della raccolta di ritagli di giornali, conservati a tutt’oggi nell’Archivio del Centro Studi Antoniani della Basilica del Santo. [8] Nota in calce all’intervista rilasciata da p. Andrea Eccher al Prof. G. Fantelli di p. Tito Magnani, vicepostulatore della causa di beatificazione di p. Placido Cortese, conservata nell’Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice Postulazione, pp. 1531-1535.

[9] Testimonianza rilasciata all’autore da padre Alberto F. dell’Istituto Teologico “S. Antonio Dottore”, in data 9 novembre 2004.

[10] Testimonianza rilasciata all’autore dal direttore del “Centro Studi Antoniani”, fr. Luciano Bertazzo, in data 23 novembre 2004.

[11]Lettera del rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Padre Agostino Gemelli, 6 settembre 1945. Evidentemente il rettore dell’Università Cattolica di Milano aveva contratto da tempo un debito di riconoscenza con il ministro Carlo Alberto Biggini considerato che, il 4 dicembre 1944, quest’ultimo non aveva esitato ad interporre i suoi buoni uffici presso le autorità tedesche allo scopo di impedire l’arresto del religioso.

[12] Per un maggior approfondimento su questa vicenda si rimanda ai seguenti volumi: D. Campini, Piazzale Loreto, Edizioni del Conciliatore, Milano 1972; Id., Strano gioco di Mussolini, PG, Milano 1952; Id., Mussolini, Churchill: i carteggi, Italpress, Milano 1952.

[13] Per una comprensione più esaustiva di questo argomento si rimanda ai seguenti saggi: G. Cavalleri, Ombre sul lago. Dal carteggio Churchill-Mussolini all’oro del P.C.I., cit.; L. Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares, Milano 2002; F. Andriola, Mussolini-Churchill. Carteggio segreto, Piemme, Casale Monferrato, 1996; Id., Appuntamento sul lago, Sugarco, 1990; R. Mussolini, Ultimo atto. Le verità nascoste sulla fine, Rizzoli, Milano 2005; P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano 2005; A. Ercolani, Gli ultimi giorni di Mussolini nei documenti inglesi e francesi, prefazione di Francesco Leoni, Editrice Apes, Roma, 1989.

[14] Tuttavia, dopo aver effettuato accurate ricerche nell’archivio della Provincia d’Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, ha riferito a chi scrive che, purtroppo, «non [è stato rinvenuto] alcuno scritto riguardante i documenti in oggetto [e] documentazione di tale passaggio» (Corrispondenza con l’autore dell’archivista della Provincia d’Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, in data 4 ottobre 2005).

[15] Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice postulazione, Testimonianza-intervista rilasciata nel 1964 dal Ministro Provinciale dell’Ordine dei Francescani Minori Conventuali della Provincia Patavina, P. Andrea Eccher al Prof. Giorgio Erminio Fantelli (1911-1975, a suo tempo partigiano nella brigata “Guido Negri”, nonché membro del direttivo della Federazione volontari della Libertà). Nel 1997 lo storico Giorgio Cavalleri ha svelato il nome del prete che, stando alle sue ricerche, avrebbe nascosto il carteggio Mussolini-Churchill, si tratterebbe dell’allora parroco di Gera Lario, un paesino alle porte di Como, don Carlo Gusmeroli (cfr. G. Cavalleri, Il custode del carteggio, Casale Monferrato, 1997). Secondo quanto riferì, infatti, nell’immediato dopoguerra la staffetta partigiana ‘Gianna’ (Giuseppina Tuissi), il suo compagno, il capitano ‘Neri’ (Luigi Canali), capo di stato maggiore della 52ª Brigata Garibaldi, subito dopo aver confiscato la borsa con i preziosi documenti a Mussolini, con la complicità del parroco don Carlo Gusmeroli, provvide ad occultarla sotto l’altare della chiesa di Gera Lario. Viceversa, stando alla testimonianza fornita dal partigiano ‘Bill’ (Urbano Lazzaro), la famigerata borsa di Mussolini contenente, tra le altre cose, anche il carteggio con il primo ministro britannico, fu affidata dal partigiano ‘Pedro’ (Pier Bellini delle Stelle), comandante della 52ª brigata partigiana, alla guardia di finanza Antonio Scappin – nome in codice ‘Carlo’ – con l’ordine perentorio di nascondere tutti quei documenti in luogo sicuro. Pertanto, il 3 o 4 maggio 1945, furono portati presso l’abitazione del parroco di Gera Lario, don Carlo Gusmeroli, dove Pedro, Bill e Scappin andarono ad esaminarli una decina di giorni dopo. La testimonianza rilasciata dal sacerdote risulta di un certo interesse, in quanto dichiarò che questi tre personaggi, appena si resero conto del contenuto di questi documenti, subito provvidero ad avvolgerli in un unico pacco portandolo via con loro. A quanto pare sembra che Pedro abbia affidato queste misteriose borse a Scappin con l’ordine di consegnarle al quartier generale del Comando generale del Corpo volontari della Libertà di Milano (cfr. L. Regolo, Il Re Signore: tutto il racconto della vita di Umberto di Savoia, terza e ultima parte, Simonelli Editore, Milano 1998). Tuttavia, mentre Scappin si stava accingendo ad eseguire l’incarico che gli era stato affidato, fu tempestivamente bloccato dal partigiano comunista Pietro Gatti (alias Michele Moretti) che, con un’arma spianata, gli ordinò l’immediata consegna di tutta la documentazione. Ad ogni modo è bene precisare che, almeno allo stato attuale delle ricerche, la vexata quaestio relativa a questo fantomatico carteggio tra il lider maximo del fascismo ed il primo ministro inglese Winston Churchill, si riducono soltanto a vaghi ‘si dice’, considerato che non c’è ancora un pronunciamento ufficiale da parte della comunità scientifica, in quanto non è stata prodotta ancora alcuna prova concreta a sostegno di questa tesi. Tuttavia, le allusioni di Mussolini nella sua ultima intervista che rilasciò a Cabella, farebbero propendere per questa ipotesi soprattutto allorché, indicando una grande borsa di cuoio, sostenne con una certa convinzione: «Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia. [...] Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno» (G.G. Cabella, L’ultima intervista a , in “Popolo di Alessandria”, 22 aprile 1945). Inoltre, per un maggior approfondimento in merito al contributo fornito dal clero patavino durante la resistenza, si rimanda ai seguenti saggi: G.E. Fantelli, La resistenza dei Cattolici nel Padovano, Federazione italiana volontari della liberta, Padova 1965; P. Gios, Resistenza, parrocchia e società nella diocesi di Padova (26 luglio 1943 – 2 maggio 1945), Venezia, 1981, pp. 232-285; Id., Un vescovo tra nazifascisti e partigiani. Mons. Carlo Agostini vescovo di Padova (25 luglio 1943-2 maggio 1945), Padova, 1986; Id., Il clero padovano durante la guerra e la lotta di liberazione, in “I cattolici e la resistenza nelle Venezie”, a cura di G. De Rosa, Bologna, 1997, pp. 17-123; S. Tramontin, La lotta partigiana nel Veneto e il contributo dei cattolici, Giunta regionale del Veneto, Venezia 1995, pp. 19-25 e V. Marangon, Il movimento cattolico padovano. Parte I (1875-1945), Centro Studi Ettore Luccini, Padova 1997, pp. 99-114; G. Lenci e G. Segato (a cura di), Padova nel 1943. Dalla crisi del regime fascista alla Resistenza, Il poligrafo, Padova 1996.

[16] Cfr. la citata relazione “Biggini e il mistero del carteggio Churchill-Mussolini”, tenuta da Roberto Festorazzi nel corso del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è svolto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.

[17] Cfr. la relazione su “Carlo Alberto Biggini”, svolta da Luciano Garibaldi nel corso del recente convegno di studi organizzato dall’Istituto “Carlo Alberto Biggini”, dal titolo Carlo Alberto Biggini nel 60° anniversario. L’uomo, il professore, il politico, che si è tenuto a Sarzana dal 19 al 20 novembre 2005.

[18] P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, cit.