Carlo Alberto Biggini: Il Custode Degli Ultimi “Segreti” Di Mussolini. Dalla
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Carlo Alberto Biggini: il custode degli ultimi “segreti” di Mussolini. Dalla Basilica del Santo di Padova alla clinica milanese “San Camillo“ (26 luglio – 19 novembre 1945) Pubblicato su 1 giugno 2011 Carlo Alberto Biggini, rinomato professore di diritto costituzionale, nacque a Sarzana – un paese in provincia di La Spezia – il 9 dicembre 1902, da Maria Accorsi e da Ugo, un avvocato di estrazione socialista. Dopo aver conseguito brillantemente, nel novembre del 1928, la laurea in Legge presso l’ateneo di Genova, l’anno seguente si laureò a Torino anche in scienze politiche riportando la prestigiosa votazione di 110, lode e dignità di stampa. Il suo cursus studiorum si concluse nell’ottobre del 1930 con il conseguimento di un altro titolo accademico, quello in scienze corporative, stavolta presso l’università di Pisa. Inoltre, proprio nell’aprile di quell’anno, aveva coronato anche il suo sogno d’amore impalmando a La Spezia Maria Bianca Mariotti. Durante i suoi anni giovanili seguì le orme paterne abbracciando gli ideali socialisti finché, nel maggio del 1928, si verificò una repentina conversione al fascismo che lo indusse a chiedere perfino la tessera del P.N.F. Questa fase importante della sua vita, inoltre, coincise anche con la sua definitiva consacrazione sia a livello accademico e sia nell’ambito dell’establishment fascista, dove ricoprì varie cariche di un certo prestigio. Difatti a suggellare la sua affermazione giunse, il 6 febbraio del 1943, la nomina a ministro dell’Educazione Nazionale in sostituzione di Giuseppe Bottai, che gli fu conferita dal duce in persona[1]. Nel corso della famigerata riunione del Gran Consiglio che si svolse nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943, votò contro l’ordine del giorno di sfiducia a Mussolini presentato da Dino Grandi, tentando finanche di ricucire lo “strappo” che si era prodotto, redigendo un pro-memoria per il duce che avrebbe dovuto consegnare al sovrano allo scopo di far rilevare che il voto espresso dal Gran Consiglio era da considerarsi a tutti gli effetti nullo perché viziato da alcune infrazioni regolamentari. Proprio per questo motivo nell’agosto successivo fu persino ricevuto dal re, ma non se ne fece nulla. La fiducia incondizionata che Mussolini nutriva nei suoi confronti non si affievolì neanche all’indomani della costituzione della Repubblica Sociale Italiana allorquando, varando il governo, lo riconfermò alla guida del dicastero dell’Educazione Nazionale, che Biggini decise di collocare nel palazzo Papafava dei Carraresi a Padova fin dall’ottobre successivo, dove si trasferì insieme alla propria famiglia. In questo periodo si distinse per alcuni provvedimenti di una certa importanza ripristinando, nel novembre del 1943, il metodo democratico nelle università ed esentando dal giuramento gli insegnanti. Per questa “grave” infrazione, il 12 settembre dell’anno successivo, rimediò perfino una denuncia al servizio disciplina del Partito Fascista Repubblicano ad opera del segretario Alessandro Pavolini. Ciò nonostante, nel maggio di quello stesso anno, non esitò ad interporre i suoi buoni uffici per salvare 44 professori dell’Università di Genova, tra cui vi erano anche alcuni suoi vecchi maestri. Come ha affermato in merito Luciano Garibaldi nel corso del recente convegno di studi su Carlo Alberto Biggini tenutosi a Sarzana: Senza limiti i suoi sforzi – sempre riusciti, in unità d’intenti con Gentile – per proteggere colleghi, scrittori, professori, salvarli prima dal confino e poi dalla deportazione in Germania, dar loro da lavorare e da mangiare, non stroncare le loro carriere. E soprattutto per cercare di evitare il sanguinoso epilogo della guerra civile, in una gara di nobili sforzi che videro, dall’altra parte della barricata, il suo amico Corrado Bonfantini, capo delle formazioni partigiane socialiste, e, da quest’altra, accanto a lui, [2] Giorgio Pini, Edmondo Cione [e] Carlo Silvestri […] . Del resto la fiducia senza riserve che il duce riponeva nei suoi confronti è suffragata dal fatto che, nel corso del Consiglio dei Ministri del 24 novembre 1943, decise di affidargli persino il compito di redigere il progetto della nuova Carta costituzionale del nuovo Stato repubblicano, che Biggini mise a punto in soli quindici giorni. Tuttavia, considerata la piega decisamente negativa che stavano prendendo gli eventi bellici, a partire dal luglio del 1944, il ministro Biggini, per motivi di sicurezza, ritenne più opportuno trasferire la propria famiglia nella “Villa Gemma” nei pressi di Maderno, dove, suo malgrado, restò soltanto per poco tempo, fino all’ottobre successivo poiché, come tutti i gerarchi, ob torto collo fu costretto a portare i suoi familiari nella località di Zurs, da dove andò a prelevarli nel marzo dell’anno successivo. A quel punto, considerato che a partire dal febbraio del 1945 era stato sottoposto finanche ad una rigida sorveglianza da parte della banda Carità[3], per sfuggire ai suoi aguzzini, il 23 aprile successivo, alle 5 del mattino, abbandonò precipitosamente la residenza di villa Gemma a Maderno sul Garda, dopodiché, sul far della sera del 25 aprile, decise di rifugiarsi nella Basilica del Santo a Padova, contando sul fatto che questa struttura ecclesiastica godeva del diritto di extraterritorialità. Difatti, avendo mantenuto in passato i collegamenti tra Stato e Chiesa e, conoscendo il ministro provinciale dei francescani patavini, padre Andrea Eccher[4], nonché il rettore della Basilica, padre Lino Brentari, riuscì ad ottenere agevolmente l’autorizzazione dal vescovo diocesano, mons. Carlo Agostini, per rifugiarsi nel convento attiguo, dove restò nascosto senza adoperare alcun nome fittizio e tanto meno indossare l’abito talare. Appena giunto sul luogo, immediatamente, fu preso sotto la custodia di padre Eccher, il quale subito si preoccupò di mettere il suo nuovo ospite a suo agio. Tuttavia, nella concitazione della fuga, poiché era braccato e minacciato dai partigiani, Biggini aveva ritenuto opportuno non portare con sé la copia del carteggio tra il primo ministro inglese Winston Churchill e il duce del fascismo italiano, lasciandola sulla scrivania del suo studio a Maderno in una cartella di marocchino rosso. Evidentemente Biggini aveva ricevuto da Mussolini questi importanti documenti proprio in virtù della fiducia smisurata che riponeva nei suoi confronti, e poi perché era persuaso che sarebbe stato risparmiato dalla vendetta partigiana, in virtù dei suoi legami che aveva allacciato in tempi non sospetti con alcuni antifascisti come Corrado Bonfanti. Difatti, i partigiani avevano ricevuto l’ordine di non aprire il fuoco sulla sua “Aprilia” che quotidianamente percorreva la strada che da Padova lo conduceva alla residenza di Mussolini sul Lago di Garda, ben sapendo che spesso e volentieri il ministro si recava dal duce con una lista di persone da salvare che erano finite nel mirino dei nazi-fascisti. Senza contare, poi, i numerosi rapporti che aveva intrecciato anche con altri esponenti della Resistenza, i quali avevano con lui un debito di riconoscenza per essere riusciti a sfuggire all’arresto grazie proprio ad un suo provvidenziale intervento. Difatti, come sostiene giustamente lo storico Roberto Festorazzi nella sua relazione che ha svolto in occasione del recente convegno di studi sulla figura di Carlo Alberto Biggini tenutosi a Sarzana: Mussolini aveva scelto bene, affidandogli le carte che avrebbero dovuto scrivere la storia di domani. Biggini rappresentava, ai suoi occhi, una risorsa ideale da spendere quando tutto era ormai perduto. L’ex ministro dell’Educazione Nazionale, con ogni probabilità, sarebbe sopravvissuto al bagno di sangue del passaggio storico che Mussolini stesso immaginava cruento, dominato da furore collerico e da un’esplosione di isteria collettiva contro i vinti. Biggini era un galantuomo, un pacificatore, un intellettuale illuminato. […] Le sue benemerenze presso gli antifascisti gli sarebbero valse a guadagnarsi la salvezza. Se dunque il candidato prescelto per l’Operazione Verità aveva grandi possibilità di portare a termine la sua missione, qualche cosa tuttavia intervenne a sconvolgere i piani. E quel qualche cosa era un fattore imponderabile, non [5] controllabile da nessuno . Del resto, proprio per questi motivi, Mussolini non aveva esitato ad affidargli persino la copia di tutti gli atti dei rapporti che aveva con gli inglesi. Si spiegherebbe così il motivo per cui il ministro Biggini sarebbe venuto in possesso anche dei famigerati carteggi tra Mussolini e Churchill[6]. Ad ogni modo, stando ad un’intervista rilascita l’11 settembre 1964 dall’allora ministro provinciale dei francescani conventuali padre Andrea Eccher al professor Fantelli, si afferma esplicitamente che in seguito, sempre con la sua approvazione, Biggini si rifugiò presso il Seminario Teologico patavino di “S. Antonio Dottore”, retto dai Frati Minori Conventuali della Provincia di S. Antonio, dove sarebbe rimasto nascosto per alcuni mesi, sotto mentite spoglie, insieme all’ex segretario del P.N.F., Carlo Scorza ed al responsabile dell’Alto Commissariato fascista per il Veneto Giuseppe Pizzirani. Circa i ricoverati politici – dichiara p. Eccher –: nel convento non fu accettato nessuno per evitare complicazioni diplomatiche per la S. Sede. Furono invece ospitati alcuni partigiani (e dopo la liberazione fascisti in numero ancora maggiore) nella tipografia del Messaggero di S. Antonio e in altri istituti dei frati in città. [Il padre Eccher] conobbe in quell’epoca molte persone protagoniste degli avvenimenti sia partigiani che fascisti,