22. Il “ridotto” della

«... Le milizie fasciste di Petain si avvicinano, punteranno su Grosio per farne terra bruciata...». Giuseppe Rinaldi, Ribelli in Valgrosina

Quanto ci può essere stato di serio e quanto invece di farneticante nel progetto relativo al “Ridotto alpino repubblicano” della Valtellina, ideato dal capo delle Brigate Nere Alessandro Pavolini in collaborazione con il generale Rodolfo Graziani, l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn e il generale delle SS Karl Wolff su... istigazione dello stesso del fascismo ? L’ultima spiaggia alle pendici del Bernina e dell’Ortles-Cevedale, verrebbe da dire avvalendoci di un burlesco ossimoro. Sonia Residori, comunque, mostra di crederci: «Negli ultimi mesi di guerra parve prendere corpo l’“ultimo ridotto”, localizzato già nell’estate del 1944 nella Valtellina e ideato da Alessandro Pavolini, nel quale condurre l’estrema battaglia dell’onore, o meglio una resistenza a oltranza alle Armate Alleate. Si trattava di un progetto che prevedeva la distruzione di strade, ponti, dighe e ferrovie, un progetto ambizioso e delirante, per creare l’“Alcazar del fascismo” di cui parla anche Vincenzo Costa, l’ultimo federale di Milano, nelle sue memorie, un progetto di cui egli avrebbe continuato a seguire 1 Sonia Residori, Una legione in armi, lo sviluppo durante l’autunno».1 Cierre edizioni Istrevi, pag. 100. 2 Joseph Darnand (Coligny, 19 mar- zo 1897 – Châtillon, 10 ottobre Ed a maggior ragione ci devono credere i partigiani della Valtellina, come 1945), già pluridecorato sul fronte leggiamo sulle pagine biografiche di Giuseppe Rinaldi: «Da alcuni giorni si attende franco-tedesco, nel primo conflitto in alta Valtellina un nuovo massiccio rastrellamento. Si è a conoscenza che un mondiale nell’agosto del 1943, dopo aver prestato giuramento ad Hitler, grosso contingente di truppe fasciste, forse 2.000 unità, è concentrato a Tirano. diventa Sturmbannführer della Waf- Sono per la maggior parte collaborazionisti francesi al comando del colonnello fen SS e, in tale nuova veste, verrà Darnand (Miliziani di Petain).2 Sappiamo che il governo di Salò intende riparare inviato in Italia del nord per com- battere i partigiani. Rimarrà a presi- in Valtellina, come prevede il progetto del “ridotto fascista valtellinese”, e diare l’alta Valtellina fino al 29 apri- siccome i partigiani rappresentano un ostacolo, devono essere eliminati.3 le del 1945, quando i partigiani lo Ma c’è di più. Da un «documento inedito della Fondazione Torti pervenuto costringeranno alla resa. all’Istituto Storico per il movimento di Liberazione», infatti, secondo Rinaldi emer- 3 Giuseppe Rinaldi, Ribelli in Val- grosina, pag. 186. gerebbero informazioni sufficienti a sostenere che «stava per essere eseguito un

163 lancio di truppe naziste specializzate alle spalle delle formazioni partigiane nel- l’area territoriale Valgrosina-Verva-Livigno». Come a dire che «i nazisti stavano quindi organizzando un’operazione a tenaglia per assestare un colpo micidiale alle formazioni partigiane».4 In quei luoghi impervi fra Grosio e Grosotto, attorno alla centrale dell’Aem, si scatenerà una durissima battaglia – alla quale daranno il loro importante contributo anche le Fiamme Verdi scese dal Mortirolo – tra la Divisione alpina “Valtellina” ed i miliziani francesi al comando del colonnello Darnand. Battaglia di cui parleremo in uno specifico capitolo nella parte riservata alle “azioni”.

Tornando a Sonia Residori, anche il famigerato comandante della Tagliamento, Merico Zuccari, pare coltivasse un progetto inerente l’ultima spiaggia (alle pendici bresciane del Mortirolo, in questo caso). Vediamo come e dove: «Il 15 febbraio 1945 il comandante Zuccari scrisse a Mussolini, “Duce del Fascismo” proponendogli un piano nel caso il destino si fosse mostrato “a noi particolarmente avverso”, poiché tutta la Legione era “decisa a combattere fino all’ultimo uomo, fino all’ultima cartuccia”, in quanto “la bandiera della Repub- blica Sociale Italiana ed il labaro glorioso della Tagliamento non saranno mai ammainati”. L’ipotesi prospettata dallo Zuccari era di trasformare “l’ultimo lembo settentrionale dell’Italia, la zona Edolo-Aprica, in un fortilizio”, dal quale avrebbe dovuto essere difeso “l’onore dell’Italia Fascista e Repubblicana” e da dove sarebbe dovuta partire la “scintilla della riscossa”. Il piano prevedeva la dislocazione dei reparti dei legionari a sbarramento delle tre valli della zona: Val Camonica, Valtellina e la Valle dell’Oglio [?] al passo del Tonale». Non conosciamo nel dettaglio la risposta del Duce a tale proposta – continua la Residori – anche se è apposto un “Sì” sul documento con la sigla di Mussolini. D’altra parte egli, un paio di mesi prima, si era complimentato anche con il federale Costa per il piano approntato nel costruire un ridotto in Valtellina».5

In realtà, scrive ancora l’autrice della “Legione in armi” «alcune carte inserite da don Comensoli in uno dei suoi Diari, gettano una luce curiosa più che sinistra, sulle reali intenzioni di Mussolini negli ultimi mesi di guerra. Il documento consiste 4 Giuseppe Rinaldi, Ribelli in Val- in un rapporto in brutta copia, battuto a macchina e corretto a penna, firmato da grosina, pag. 186. Clappe, il tenente Enzo Stravaggi, l’ufficiale italiano che un aereo americano 5 Sonia Residori, Una legione in armi, aveva paracadutato sul Mortirolo l’11 febbraio 1945, assieme al capitano Sandro Cierre edizioni Istrevi, pag. 100.

164 e a Gigi, Vittorio Maracchioni, radiotelegrafista della Marina Militare italiana. Si trattava della prima Missione italiana, che gli alleati designarono con il nome convenzionale di Missione Franconia. La relazione molto dettagliata, datata 7 marzo 1945, fornisce nella prima parte la struttura, consistenza e armamento della divisione Monterosa, nella seconda, invece, l’attività politica che stava svolgendo in quei giorni un amico personale di Mussolini, il colonnello Policarpo Clerici, comandante del 2º Reggimento Alpini della Monterosa, assieme al figlio...».6 E allora andiamo a vedere qualche altro particolare sul ruolo di questo colonnello Clerici, attraverso il racconto di Gianni Guaini (Giorgio) che lo ricorda come «un avvenimento di particolare interesse», ma lo colloca «nel mese di dicembre 1944 (o fine novembre», ben prima, dunque del ritorno del capitano Sandro: «... il Comando mi diede l’incarico di andare a un incontro richiesto dal colon- nello Clerici, che comandava gli alpini che erano tornati dalla Germania e che aveva chiesto al Comando un incontro con qualcheduno responsabile per esporre un suo piano. Nello stesso tempo il Comando mi precisava anche con chi dovevo prendere contatto: con il signor Cerqui, a Breno. Presi contatto, attraverso il solito canale che passava per un impiegato della Tassara (il Cerqui lavorava pure alla Tassara), precisando il giorno nel quale l’incontro doveva avvenire, in località Astrio, presso l’osteria di uno che era soprannominato “Il Guerra”. Di stare però attenti: loro dovevano arrivare ad una certa ora, quando era chiaro; io avrei sorvegliato se avevano portato con sé qualche cosa e, quando fossi stato sicuro che non c’era nessuno, sarei entrato anch’io in paese, e poi all’osteria. Così avvenne. Ci incontrammo nell’osteria, e il colonnello Clerici ci espose quale era il suo piano. Ci disse chiaramente che ormai la Repubblica Sociale Italiana era finita, che la guerra nel breve tempo sarebbe finita, che ormai anche loro, quelli della brigata alpina che aveva aderito alla Rsi, si erano convinti, almeno quella parte che lui rappresentava, e che quindi era necessario arrivare a un accordo con i partigiani per salvare quantomeno gli impianti della Valle, e per impedire la distruzione delle centrali e dei ponti... Assieme al colonnello Clerici vi era, oltre al Cerqui, anche il capitano Gheza, anche lui in divisa degli alpini, perché anche lui era nella Repubblica Sociale come alpino. All’inizio dell’incontro avvenne un fatto abbastanza singolare: il mio vice comandante, nel vedere il colonnello Clerici, che era stato il suo comandante degli alpini in Russia, si mise sull’attenti e lo salutò militarmente. Io immediata- mente intervenni, rimproverando al mio vice questo fatto, in quanto a quel 6 Sonia Residori, Una legione in armi, livello non era più il colonnello della Russia ma era un traditore del Paese. Cierre edizioni Istrevi, pag. 100.

165 Ci sedemmo, discutemmo a lungo, io più volte risposi che era difficile per noi accettare questa proposta, perché eravamo convinti che loro non contassero molto e non ci fidavamo. Nel frattempo l’oste ci portò pane, salame e vino. La riunione durò parecchie ore. Alla fine io, battendo cordialmente la mano sulla spalla al colonnello gli dissi: “Senta colonnello, lei sa cosa deve fare? Ha una sola cosa da fare, venire con noi. Questo è l’unica cosa che a voi resta. Noi siamo disposti a chiudere un occhio e accettarvi.” L’incontro finì lì, e io, il vice comandante e un altro partigiano ripartimmo da Astrio, sopra Breno, per arrivare di notte in quel di Ceto.

Qualche giorno dopo Guaini viene ricontattato dal colonnello Clerici: «Io e il comandante del gruppo di Corteno gli fissiamo un appuntamento nella parte bassa di Guspessa, nella parte boscata. Ci incontriamo, riceviamo le stesse comunicazioni e le stesse esortazioni, diamo praticamente le stesse risposte, dicendo che l’unica strada che loro possono percorrere è quella di aggregarsi a noi. Allora c’erano solo due ufficiali: il colonnello Clerici e il capitano Gheza... Ci lasciamo. Noi risaliamo per andare alle nostre cascine e loro si spostano verso le pendici più basse del Monte Padrio e scendono. Siccome erano vestiti da Alpini e avevano la penna, uno peraltro, il colonnello, bianca, sono avvistati da quelli della “Tagliamento” che erano venuti sul Monte Padrio a recuperare i loro morti. Vengono presi a raffiche di fucilerie e di mitra, ma per loro fortuna la distanza era tale che non vengono colpiti».7

Ma non abbiamo ancora visto la «luce curiosa più che sinistra» intravista da Sonia Residori nelle «carte inserite da don Comensoli in uno dei suoi diari». Eccola, la “luce sinistra” (grottesca, diremmo noi): «Il colonnello Clerici era stato “comandato [...] con il figlio di un giro propagan- distico, zona del Bresciano il padre, zona del Bergamasco il figlio”. Il 4 gennaio 1945 il colonnello Clerici aveva tenuto una prima riunione con alcune persona- lità della zona come il maggiore Spadini, comandante della Gnr della Val Camo- nica, Cerqui Serafino, commissario prefettizio, Filippo Tassara, figlio di Carlo, importante industriale proprietario di stabilimenti elettrosiderurgici a Breno, Di Martino segretario del Fascio, Carlo Franzoni, segretario comunale ed altre personalità minori, ed aveva illustrato loro “le direttive date personalmente da Mussolini e riguardanti la eliminazione delle Brigate Nere dei battaglioni M della Gnr e dei loro rispettivi comandanti: Farinacci, Pavolini, Buffarini e la 7 Gianni Guaini (Giorgio), La mia costituzione di un nuovo partito fascista e di un nuovo esercito combattente a guerra partigiana, Circolo culturale Ghislandi, pagg. 48 e seguenti.

166 fianco dei tedeschi. La costituzione del nuovo partito sarebbe stata caratteriz- zata dalla selezione dei migliori elementi della nazione e della loro valutazione preventiva: mentre il nucleo dell’esercito, da 4 a 5 divisioni, sarebbe stato costituito da elementi partigiani. Tutte le armi sarebbero state fornite dalla Germania. Il frutto di questa prima riunione fu negativo, anzi suscitò una reazione fra gli stessi elementi partecipanti in quanto una parte di essi sarebbe stata spodestata dalle funzioni di comando, mentre l’altra parte non credeva nella possibilità di realizzare lo strano progetto. A capo di questo novello partito ed esercito sarebbe stato sempre Mussolini».8

Ed ecco una circostanziata conferma – anche nelle date, sembra di capire – di quanto già scritto da Gianni Guaini: «Nei giorni successivi, e fino alla fine di febbraio, il colonnello Clerici tenne delle riunioni e organizzò degli incontri con personalità della Rsi di altre zone, ma anche con le brigate delle Fiamme Verdi, esponendo sempre il fantasioso progetto di Mussolini e ottenendo immancabilmente dei rifiuti. Nell’incontro del 24 febbraio 1945 con Tino, comandante la Brigata Fiamme Verdi “Antonio Schivardi”, avvenuto nelle vicinanze di Guspessa, il colonnello Clerici parlò solo “della costituzione di reparti per salvaguardare il patrimonio nazionale, garantire il libero transito ai mezzi ed alle truppe tedesche, lottando sempre contro le Brigate Nere M e le Gnr. Ha fatto velatamente intendere che il capo sarebbe sempre Mussolini. Durante la conversazione ha espresso il suo giudi- zio sulla prossima fine della Germania, mentre durante le due riunioni di Breno ha affermato categoricamente la vittoria nazista. Si acclude una lettera in origi- nale del figlio e convalidata dal colonnello Clerici tendente ad un colloquio ed un trafiletto alle [sic] due prime riunioni di Breno [Archivio storico bresciano della Resistenza].” Sull’autenticità del documento e del suo contenuto non ci sono dubbi, molti invece sulle reali finalità di quegli incontri, anche se il fantomatico progetto dà la misura dell’atmosfera ormai allucinata nella quale vivevano quegli uomini dopo cinque lunghi anni di guerra».9

A questo punto sarebbe sicuramente comprensibile la curiosità su cosa possano aver pensato i tedeschi del “ridotto alpino” e di un alleato intenzionato ad eliminare «gli uomini più in vista della Rsi, insieme alle Brigate Nere», vale a dire i collaboratori più 8 Sonia Residori, Una legione in armi, fidati dell’occupante. Ma è assai probabile che agli alleati tedeschi non importasse Cierre edizioni Istrevi, pag. 101. molto del “ridotto”, dell’onore degli italiani e dei tentativi maldestri dei fascisti repubbli- 9 Ibidem, pagg. 101-102. cani di cercare una via d’uscita al disastro imminente, nel senso che «senza il benestare 10 Ibidem, pag. 102. del loro alleato, i fascisti avrebbero potuto progettare solo sulla carta».10

167 I tedeschi, in quegli ultimi giorni di guerra, sono sicuramente ben più interessati alla funzione logistica della Valtellina e della Valcamonica, quali importanti vie di collegamento con il nord che «dovevano essere ripulite dalle forze partigiane per mantenere efficiente il sistema della Blau Linie e permettere un facile transito alle truppe tedesche in una eventuale ritirata».11 In tal senso, il 7 aprile il Comando Germanico, dal quale dipendeva per l’impiego tattico la Legione Tagliamento, diede al comandante Zuccari l’ordine dell’Operazione Mughetto che consisteva nel distruggere le forti formazioni partigiane delle Fiamme Verdi, «un forte gruppo di banditi» che si era sistemato «a difesa nel paese di Mortirolo e nelle baite che fanno corona al passo stesso». Nel frattempo, però, continua Sonia Residori attingendo anche all’Archivio Storico bresciano della Resistenza, «rispetto a febbraio, le Fiamme Verdi si erano rafforzate diventando “più pericolose ed attive”. Il loro numero era aumentato sia “per l’abbandono del lavoro da parte di molti operai”, sia “a seguito del rientro in Italia di molti fuorusciti dalla Svizzera passati nelle loro file; i banditi avevano raggiunto il numero approssimativo di 400. Detta cifra è stata più che raddoppiata in seguito al passaggio dalla Valtellina di più di 400 banditi che il giorno 4 c.m. sono 11 Sonia Residori, Una legione in armi, transitati per Stazzona ed hanno raggiunto la strada Aprica Col Carette che li ha Cierre edizioni Istrevi, pag. 102. portati al Mortirolo”. In seguito ai numerosi lanci alleati, ottenuti nel mese di marzo, 12 Ibidem, pagg. 102-103. il loro armamento era diventato nettamente superiore, “costituito da pezzi da 47/32, 13 Giose Rimanelli, Tiro al piccione, mortai da 81, mitragliatrici e fucili mitragliatori in numero rilevante oltre a moschet- Einaudi, pag. 203. ti automatici e a ripetizione ordinaria [...]. I banditi, come l’esperienza di questi ultimi giorni ha insegnato, hanno dovizia di munizioni che sperperano addirittura, creando davanti alle fortificazioni una barriera di fuoco superabile solo da un attaccante deciso e risoluto”...».12 «... si diceva che alla testa degli uomini c’era il Duce in persona. Balle, il Duce a quell’ora stava scappando verso la Svizzera dentro un’autoblinda tedesca. Ma io e gli altri non potevamo saperlo, perciò sparavamo sempre come matti e presto volevamo finirla col cocomero e con quelli che lo difendevano, che avremmo visto il Duce, poi...».13

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