Verde pubblico e paesaggio urbano nel piano di Cesare Beruto per il circondario esterno. Maurizio Boriani
Il sistema del verde pubblico e dei viali alberati assume nel piano regolatore e nel dibattito urbanistico milanese un ruolo importante. Pur nella consapevolezza della funzione igienico- sanitaria svolta dalla vegetazione in una grande città, ad essa è soprattutto assegnato il compito di connotare gli spazi e i percorsi urbani, di definire gerarchie e punti di interesse. Molto puntualmente, Antoine Grumbach definisce la pratica della progettazione degli spazi verdi nella Parigi del barone Haussmann (1) come "arte di ordinare il disordine", "arte di sistemare i resti"(2). Il "disordine" della città della prima rivoluzione industriale trova nella realizzazione di parchi pubblici e viali alberati una delle principali risposte dei movimenti igienisti che per primi sollevarono il problema del grave peggioramento delle condizioni di vita delle grandi metropoli in formazione. Gli aspetti igienico-sanitari non sono però mai disgiunti da quelli del decoro. Così il verde, visto come polmone in grado di far respirare la congestionata città industriale ma anche come elemento ordinatore dei tessuti urbani, diventa uno dei più essenziali servizi pubblici, dove gli artigiani e gli operai "ridotti [a lavorare] per tutta la settimana... e spesso rinchiusi in fabbriche surriscaldate" possano "nei giorni di riposo godere dell'aria pura e poter camminare (fuori dalla polvere e dalla sporcizia delle strade pubbliche) in decorosa comodità con le loro famiglie" (3). Non è a caso che a Frederick Howe, in visita per motivi di studio in Germania, che si meravigliava della larghezza con cui erano previsti spazi per servizi pubblici e per il decoro urbano ed obiettava sull'elevato costo economico di tali opere, venisse risposto: "può darsi ma è un buon affare" (4). La scelta per una città più ordinata e efficiente non deve infatti essere fatta risalire solo a motivazioni di carattere sociale, bensì va colta in tutto il suo significato economico di investimento per incrementare la produttività media attraverso un miglioramento delle condizioni di salute dei lavoratori, l'ottenimento di un livello minimo di consenso sociale ed una più regolare organizzazione della produzione e dei traffici. Non va dimenticato come, per l'urbanistica ottocentesca e non solo per i singoli operatori privati, ma anche e in primo luogo per gli operatori pubblici, la pianificazione della città deve soprattutto essere un buon affare, realizzato quindi sulla base di un bilancio di costi e benefici predisposto con cura e contrattato a lungo tra le parti. Così, l'utilizzo per spazi verdi dei "resti" inedificabili della città (siano essi strade e piazze, zone insalubri per l'abitazione, aree di risulta di forme o localizzazioni improprie, terreni inedificabili, ecc.) diventa effettivamente un'arte: come trarre vantaggi sociali, economici e di decoro urbano anche da spazi inutilizzabili per l'edificazione. Osserva ancora Grumbach come gran parte degli spazi verdi di Parigi progettati da Adolphe Alphand, a partire dal 1854 su incarico del prefetto Haussmann, rappresentino "sistemazioni di spazi residui" e "situazioni nelle quali il mantenimento delle tracce della città [cioè delle preesistenze] determina la composizione" (5). Lo stesso parco delle Buttes-Chaumont, forse il capolavoro artistico e tecnologico assieme di Alphand, sorge così sull'area di una vecchia cava abbandonata, successivamente trasformata in maleodorante deposito di immondizie, ma trova proprio nella forma tormentata dell'area l'occasione per un progetto grandioso che si misura con i problemi dell'adattamento alla natura del terreno, utilizzato non come limite bensì come risorsa da impiegare per la buona riuscita dell'opera. Alphand raccoglie tutte le sue esperienze parigine in due monumentali volumi dal titolo Les Promenades de Paris (6). Allo stesso modo, quella che oggi chiameremmo "Ripartizione verde e tempo libero", a Parigi aveva preso il nome di "Service des Promenades et Plantations de la Ville de Paris". <Porta Venezia e la Piazza d'armi alle spalle del Castello costituivano ampi spazi di verde pubblico. La cerchia dei Bastioni, per lunghi tratti alberata, garantiva inoltre un luogo di passeggio molto frequentato. Infine, i campi esterni alla mura erano facilmente accessibili anche pedonalmente, ampiamente alberati, come ricorda Stendhal (8). In realtà, la realizzazione dei Giardini pubblici ed il sistema dei Bastioni alberati contigui ad essi soddisfaceva in modo adeguato le esigenze del passeggio della borghesia cittadina, pur essendovi ammesse anche attività "popolari" come spettacoli comici, fuochi di artificio, gioco del pallone, ecc. (9). Al contempo, la zona della Piazza d'armi, con i suoi annessi, praticata dagli sportivi (equitazione, bocce) ed utilizzata come parco dei divertimenti (il Tivoli) e zona per manifestazioni pubbliche (l'Arena), rispondeva in buona misura alle necessità dei giovani e dei ceti popolari. E' sintomatico di questa situazione il fatto che, ancora dopo l'unità, al momento della discussione sull'opportunità di alberare alcune piazze interne della città (S. Marta, S.Eufemia, Borromeo, Fontana), la proposta della Giunta non solo non era stata accolta con particolare entusiasmo, ma addirittura era stata criticata da alcuni in quanto il verde "non anima a fabbriche di cittadini palazzi che si troverebbero in luoghi foggiati alla campestre... con aspetto desolante di sfrondati alberi di poco valore nella stagione dei freddi, per tacere che in qualche situazione si menoma la sicurezza de' passeggeri porgendo pei tempi delle nebbie invernali nascondiglio ad agguati" (10). Il verde urbano non appariva dunque ancora come una necessità imprescindibile: evidentemente, il sistema di aree verdi della Piazza d'Armi, dei Bastioni e dei Giardini di Porta Venezia, completati dal Balzaretto nel 1865, era giudicato più che sufficiente per le dimensioni e le caratteristiche urbanistiche della città. Notevole attenzione è peraltro riscontrabile per la salvaguardia di alcuni impianti vegetali giudicati pregiati, in particolare la passeggiata lungo i Bastioni: per essa era stato realizzato un sottopassaggio che ne garantiva la continuità in corrispondenza dell' accesso alla stazione Centrale (11), mentre un ampio dibattito aveva accompagnato l'apertura della nuova Porta Volta, con una soluzione finale attenta ad integrarsi con le alberature esistenti (12). Se è pur vero che l'Esposizione Nazionale del 1881, svoltasi sull'area dei Giardini e dei Boschetti, ne aveva determinato un sensibile degrado, occorre anche rilevare come essi furono tempestivamente restaurati, per opera dell'Alemagna, il futuro progettista del parco Sempione (13). Con il piano Beruto l'atteggiamento cambia radicalmente: l'attenzione per le preesistenze si fa molto minore (in particolare per i Bastioni), mentre è sui nuovi quartieri che si viene via via concentrando l'interesse dei tecnici e degli amministratori. Se si analizzano con attenzione le diverse versioni successivamente predisposte dal tecnico milanese e dalla Commissione Pirelli, si coglie con evidenza l'importanza sempre maggiore assegnata al sistema del verde pubblico come elemento ordinatore della città, ma anche come materia risolutrice di alcuni nodi di maggiore attrito delle zone di espansione. Nella versione del 1884, l'impianto complessivo è ancora, molto impacciato: una circonvallazione esterna di 40 metri di ampiezza, scandita da filari di alberi (14), circonda tutta la zona di nuova edificazione, separando la città dalla campagna, richiamo e al contempo povero risarcimento alla prevista demolizione dei bastioni , sacrificata al miglioramento dei collegamenti tra circondario interno ed esterno. Lo stradone, sul modello berlinese di Hobrecht, è scandito da un vero campionario di piazze allo sbocco delle principali arterie, ora circolari, ora quadrate, ora rettangolari, ora trapezoidali, talvolta definite da alberature, talaltra semplici slarghi del viale. Al posto dei bastioni (con l'eccezione della zona dei giardini pubblici, dove il terrapieno alberato viene conservato, ad estendere lo spazio verde originario), è previsto un doppio anello stradale con un'edificazione regolata da una apposita normativa che prevedeva giardini privati. A sud, un parco di non grandi dimensioni, disegnato all'inglese, in una zona che il Beruto descrive come inadatta all'edificazione perché esposta ad insalubri "nebbie di speciale natura" (occorre ricordare che la malaria è ancora diffusa alla fine del XIX secolo nelle zone ricche d'acqua della campagna della Bassa Milanese). Questa area, il futuro parco Ravizza, è collegata tramite due viali alberati, ad uno slargo interno alle mura, ad ovest del riformatorio di via Quadronno, anch'esso destinato a verde. Alcune piazze alberate sono destinate a sedi di mercati, mentre pochi altri spazi verdi occupano isolati di forma quadrangolare o triangolare, con al centro specchi d'acqua ed altre costruzioni di servizio. Verde di rispetto è previsto attorno al Cimitero Monumentale, pochi e miseri viali alberati collegano le due circonvallazioni. Ma è a tre progetti più precisi che Cesare Beruto dedica, in questa prima versione, la sua attenzione, registrando fedelmente, ma senza esporsi, il dibattito politico e tecnico in atto in città: l'edificazione della zona del Castello e della vecchia piazza d'Armi, le nuove zone dei quartieri militari, il quartiere della Società edificatrice abitazioni operaie fuori porta Vittoria. Mentre per quest'ultimo si limita ad assumere il progetto presentato dalla Società (curiosamente l'unica parte della zona di espansione per cui la carta del 1884 disegna nel dettaglio tipi edilizi, sistema del verde privato e strade di servizio) (15), per la zona del Castello il Beruto prevede, come si è già detto, quattro versioni, tutte tese all'edificazione della ex piazza d'Armi, destinata a zona residenziale alto- borghese, nella quale gli spazi verdi (in misura maggiore o minore a seconda delle soluzioni) assolvono il ruolo di elemento di decoro urbano, ma sono troppo limitati per poter essere definiti parco pubblico. Rifiutate le proposte presentate agli inizi degli anni '80 per salvare con l'integrità del Castello la destinazione a verde pubblico dell'area (16), il Beruto opta invece per una serie di soluzioni di edificazione, parte a villini con giardino, parte a case da reddito, abbellite da viali alberati o giardinetti. Anche alle spalle della vecchia piazza d'Armi, per il corso Sempione, è prevista un'edificazione a villini con giardino, tendente a mascherare con il verde privato e con una fascia di verde pubblico lungo il corso il grave stato di compromissione dell'area, solcata dalle due linee ferroviarie in uscita dalla Stazione Nord Milano e dal nuovo scalo merci. Anche in questo caso il verde sembra più usato come spazio cuscinetto tra ferrovia e residenza piuttosto che come elemento ordinatore della città. Il terzo punto studiato con cura dal Beruto in questa prima versione è quello dei quartieri militari oltre lo scalo merci. Qui il disegno si fa più preciso, i viali alberati e le aiuole si infittiscono, vengono ricercate simmetrie e regole compositive che altrove appaiono più trascurate o quasi inesistenti: la strada del Sempione serve come asse di simmetria tra Cimitero Monumentale e nuova piazza d'Armi, connessi da un sistema stradale avente perno nel punto di incontro: un rondò tra il corso Sempione e la circonvallazione esterna; sistema che crea a sua volta non pochi problemi di raccordo con la rete viaria minore, ruotata di 45 gradi rispetto ad esso (17). Quello che sorprende in questo caso è la grande cura del disegno per una parte di città in fondo riservata a funzioni di tipo utilitario come quelle militari e per di più segregata al di là del vasto ostacolo del nuovo scalo merci: non a caso nelle successive versioni l'impianto urbano a sud della nuova piazza d'Armi, più consono ad un grande edificio pubblico che ad una caserma, sarà radicalmente ridimensionato. Sembra così emergere con tutta evidenza da questa prima versione il vizio d'origine del Piano: più pretesto per mandare in porto l'operazione con la Società Fondiaria e strumento per tacitare le opposizioni e le rimostranze dei proprietari esclusi dall'operazione che vero piano organico per tutta la città. L'attenzione dedicata alla zona nord-ovest a fronte della povertà delle soluzioni proposte per il resto dell'espansione sembra testimoniare a favore di una tale tesi. Un'impostazione del tutto diversa appare dalla lettura della seconda versione (quella della commissione Pirelli), spesso troppo frettolosamente assimilata alla prima al punto da considerarla un'unica soluzione. Mentre l'impianto stradale complessivo resta praticamente immutato, mantenendosi l'ampia dimensione degli isolati, il sistema del verde risulta radicalmente trasformato e migliorato. Puntualmente, la commissione nominata dal Collegio degli Ingegneri ed Architetti per esaminare le proposte del Beruto per il Circondario esterno, aveva ampiamente criticato la mancanza di "giardini pubblici, spazii, aree aperte che nel progetto... soverchiamente difettano" (18). Il voto finale del Collegio aveva pertanto richiesto che si provvedesse "ad una conveniente distribuzione di pubblici giardini e spazi aperti... destinandone la loro ubicazione e la loro estensione nei singoli quartieri ed in quelle località che a miglior igiene e decoro della città possono rendersi necessari" (19). Si proponeva cioè una diversa utilizzazione del sistema del verde, inteso qui come elemento ordinatore dell'espansione dei nuovi quartieri. La commissione Pirelli accoglie tali indicazioni: per quanto riguarda "giardini o spazi aperti arborati e prativi" essa "ha creduto bene di non tenersi in limiti ristretti, considerandoli come assolutamente necessari alla bene intesa igiene della nuova città, ed anche della città antica, la quale non potendo avere ormai dei nuovi spazi dentro di sè potrà godere di questi che le faranno corona a non troppo grandi distanze" (20). Nel nuovo progetto, il grande viale della circonvallazione esterna è ora scandito da piazze alberate di molto maggiore dimensione, connesse a loro volta ad un sistema di viali alberati e giardini che si sviluppa in senso radiale a collegamento tra il circondario interno e la nuova arteria anulare esterna. Soprattutto nel settore est della città (la zona tra gli attuali corso Buenos Aires e corso Lodi), il Piano acquista una nuova e superiore qualità, segno che il dibattito cittadino svoltosi presso il Collegio degli ingegneri e registrato dalla Commissione Pirelli non si era svolto invano. Così, un sistema di accessi particolarmente studiato è previsto in corrispondenza dell'attuale piazzale Loreto dal quale si dipartono due piccoli parchi pubblici contornati da villini che a loro volta si innestano in due larghi viali alberati paralleli al corso Buenos Aires; altrettanto è disegnato in corrispondenza dell'attuale corso Indipendenza, dove un vasto spazio verde (anch'esso contornato da villini) connette la circonvallazione con il percorso radiale; così come sul luogo dell'attuale piazzale Libia, dove è disegnata una grande piazza quadrata sulla quale si innesta un'importante radiale a giardini e filari d'alberi. La zona est della città, ampiamente trascurata nella prima versione, viene quindi totalmente ridisegnata e valorizzata dal nuovo sistema di spazi verdi, distribuiti a regolare distanza l'uno dall'altro a supporto dei nuovi quartieri residenziali, segno evidente di un'attenzione che era mancata nella prima versione. Ad ovest un giardino all'italiana va ad occupare una cospicua parte dell'ex piazza d'Armi, mentre un nuovo viale a villini, l'attuale via XX Settembre, si innesta su di esso perpendicolarmente all'Arena. Scompaiono i terreni a villini con giardino lungo il corso Sempione, così come è ridimensionato l'impianto a sud del nuovo quartiere militare, risolto ora brillantemente con una piazza (l'attuale piazza Piemonte), che si raccorda all'edificazione preesistente del borgo di porta Vercellina, dalla quale si diparte un sistema di vie a tridente (le attuali vie Sardegna, Washington e Elba), tutte alberate, a supporto dei nuovi quartieri borghesi previsti in continuazione della zona Magenta. Il disegno della città viene così perfettamente a denunciare le scelte, peraltro dichiarate, di localizzazione preferenziale delle classi sociali e delle attività: ad est e nel settore di ovest-nord ovest i quartieri residenziali borghesi; a nord, a sud e a ovest-sud ovest le zone produttive e i quartieri popolari. Puntualmente, in queste ultime zone, il disegno si fa più frammentario e meno curato: gli spazi verdi si riducono alle fasce di rispetto lungo le ferrovie ed attorno al cimitero, unici spazi destinati a verde pubblico, oltre alla zona insalubre del futuro parco Ravizza (ampliata e modificata nel disegno rispetto alla prima versione, destinata a caserma l'area interna alle mura) e ad un improbabile parco triangolare, tutto circondato dalla ferrovia, nell'infelice settore di sud-ovest, ad alta specializzazione industriale. Le vicende della terza e definitiva versione sono già state descritte precedentemente: quello che qui merita di essere sottolineato è la ancor più precisa organizzazione del sistema del verde, così come appare nella mappa dell'89. Ridotti di dimensione per "l'insormontabile" opposizione dei proprietari privati (21), gli spazi verdi però appaiono qui ancora più organici che nella versione precedente, soprattutto nel settore est divenuto ormai luogo delle maggiori attenzioni nel disegno complessivo, probabilmente anche a causa della ridotta presenza della rete ferroviaria. Mentre infatti i piccoli parchi a supporto dei quartieri residenziali si ridimensionano sino a raggiungere un punto di equilibrio tra presenza di spazi verdi atti a valorizzare le aree circonvicine e ridotta dimensione di questi onde evitare "eccessivi" costi al Comune o ai proprietari delle medesime, una terza circonvallazione alberata intermedia tra quella dei bastioni e quella più esterna, viene tracciata, con il compito di collegare tra loro i diversi spazi verdi di quartiere. Interrotta qua e là in corrispondenza di ostacoli preesistenti, la nuova arteria connette così il sistema ai lati del corso Buenos Aires, l'asse di corso Indipendenza, il viale previsto per corso XXII Marzo, la crociera di piazzale Libia, l'accesso alberato alla stazione di porta Romana, il futuro parco Ravizza (ridisegnato "all'italiana"), uno spiazzo di verde attrezzato a sud del Naviglio Grande, un curioso (e problematico) parco circolare all'intersezione tra i due tronchi ferroviari a sud di piazza Piemonte, il complesso della nuova piazza d'Armi e la sua simmetrica connessione con il corso Sempione ed il Cimitero Monumentale, la fascia di verde di rispetto ai lati della ferrovia per Monza. Anche in questo caso è evidente la specializzazione del sistema del verde nei quattro quadranti dell'espansione esterna. Ad est e ad ovest spazi destinati al decoro urbano ed alla valorizzazione dei terreni delle grandi proprietà immobiliari: si noti la sorprendente coincidenza tra le "aree attraverso le quali i rispettivi proprietari si accordarono o richiesero di accordarsi col Comune per l'aprimento delle strade del Piano" (22) e le zone attrezzate a verde (così in piazzale Loreto, in corso Indipendenza, nelle zone attorno alla nuova piazza d'Armi, ecc.) previste in certi casi addirittura ai margini delle grandi proprietà, onde godere dei vantaggi di un'organizzazione urbana di buona qualità senza dover rinunciare a terreni proprio per questo estremamente preziosi. A nord, a sud ed a sud-ovest, al contrario, gli spazi verdi sono previsti in misura minore, talvolta, puri simboli grafici, intersecati come sono dalle linee ferroviarie e dei canali i cui tracciati ne frammentano irreparabilmente lo spazio fruibile, talmente improbabili che non saranno realizzati che in minima parte e solo a seguito di profonde trasformazioni del sistema ferroviario e della conseguente natura dei quartieri in questione. Contropartita al nuovo sistema di verde previsto è il sacrificio dei Bastioni, conservati ed integrati al verde preesistente solo nella zona dei Giardini Pubblici, ma via via abbattuti ed edificati con costruzioni ad alta densità in quasi tutto il resto del loro tracciato, senza che venissero sollevate particolari resistenze. Significativa da questo punto di vista l'accettazione dell'abbattimento da parte di Tullo Massarani (che in altre occasioni aveva difeso il pubblico passeggio), giudicato "fatalmente prevedibile" e tollerato a condizione che si provvedesse a sostituirvi "altre aree a diporto e comodo pubblico" (23). La proposta demolizione dei bastioni fu peraltro accompagnata dal varo di un regolamento edilizio speciale per le costruzioni al loro piede, regolamento poi abrogato per l'opposizione dei proprietari delle aree (24). La questione della demolizione dei bastioni non fu però mai pienamente accettata: nel 1902 si decise di limitarla ai tratti tra Porta Venezia-Porta Vittoria e tra Porta Lodovica-Porta Ticinese, ormai compromessi dall'intensa edificazione in atto, tornando "...ripugnante [ alla popolazione] il distruggere gli ombrosi passeggi che recingono con geniale anello la nostra città" (25). Occorre quindi riconoscere almeno un ripensamento nel merito di questa improvvida decisione, che sarà riproposta ed attuata successivamente, la cui responsabilità solo in parte può essere attribuita all'urbanistica ottocentesca. Un discorso a parte deve essere fatto per il parco Sempione: abbiamo visto che il Beruto aveva proposto nella sua prima versione diverse soluzioni, ognuna delle quali, in misura maggiore o minore, prevedeva una edificazione dell'area dell'ex piazza d'Armi. Sul tema della progettazione di un parco pubblico sull'area della vecchia piazza d'armi o sui terreni contigui si era esercitato un grande dibattito, come è noto, in occasione delle polemiche connesse all'operazione della Fondiaria. Il primo progetto per una consistente area verde sui terreni dell'attuale parco è di Giuseppe Murnigotti (26) che, in una proposta alternativa al progetto della Fondiaria, adotta un impianto a carattere paesistico prolungando i vecchi giardini del Canonica al di là del Castello, ridotto ai soli corpi della Rocchetta e della Corte ducale. Il progetto definitivo presentato dal Beruto, contenuto nella tavola generale della versione del 1885 del piano regolatore, assumendo le decisioni della commissione Pirelli che si era accordata per la destinazione a verde pubblico di buona parte dell'area della piazza d'armi, adottava una soluzione incentrata su di un complesso sistema di aiuole disposte simmetricamente lungo l'asse ideale che andava dal Castello all'Arco del Sempione, con una estensione ad est, verso l'Arena. L'indicazione del piano aveva però valore solo nell'indicare che quei terreni avrebbero dovuto essere destinati a verde pubblico, ma senza però ancora definire la soluzione architettonica da adottare (27). Come è noto, il parco fu poi disegnato dall'Alemagna (1888) a seguito di convenzioni con le società immobiliari proprietarie dei terreni circostanti, e addirittura ampliato poco dopo (1891) in conseguenza della grave crisi edilizia di fine secolo che aveva scoraggiato l'edificazione dell'area. Contestualmente alla definizione del progetto per il parco si era poi sviluppata una iniziativa per realizzare, alla periferia nord-ovest della città, un ippodromo (28). Il progetto presentato dall'Alemagna prevedeva una soluzione alquanto infelice, collocando un altro parco a nord della nuova piazza d'armi, tra l'ippodromo e il corso Sempione, che avrebbe determinato la completa segregazione dalla città di quanto rimaneva del quartiere previsto in quella località dal piano regolatore, già danneggiato dalla presenza dello scalo merci e del tracciato della ferrovia Nord sul suo lato ovest (29). Ne erano derivate due controproposte. Una, redatta da Luigi Broggi, riprendeva il progetto Alemagna raccordando però i nuovi quartieri mediante un viale alberato che veniva così definendo un sistema di spazi verdi chiaramente riferito al modello parigino Tuileries-Champs Elysèes-Bois de Boulogne, esplicitamente citato in una tavola che raffrontava i due impianti (30). Una seconda proposta, di Giovanni Ceruti, prevedeva invece una diversa soluzione, a nord del piazzale Loreto, tra gli attuali viale Monza e via Padova (31). Beruto si oppose esplicitamente al progetto Alemagna e, implicitamente, ad ogni modifica del piano appena approvato. In un opuscolo appositamente dato alle stampe egli motivava come segue le sue ragioni: "...per imperiose ragioni, quelle del vero ben essere materiale della città, eccomi divenuto contrario, almeno per il momento, al progetto del Parco comunque e dovunque lo si voglia effettuare, soprattutto se vi abbia a concorrere il Comune". I motivi di tale opposizione erano molteplici: in primo luogo la segregazione del quartiere, al di là delle ferrovie, sarebbe stata aumentata dalla cesura indotta dalla nuova area verde; in secondo luogo questa avrebbe scompaginato il disegno della trama viaria prevista dal piano regolatore, "...una mirabile rete stradale, uno dei più regolari quartieri che si siano potuti combinare..."; in terzo luogo esso avrebbe valorizzato a spese pubbliche le aree vicine, facendo gli interessi dei pochi proprietari, ma non quello dei cittadini. Ma un'ultima ed ancora più significativa motivazione veniva addotta: "Principalissimo motivo che mi muove alla opposizione del Parco si è, che esso verrebbe a battere in breccia l'istituzione di quei giardini, squares, larghi alberati del Piano Regolatore che, tanto opportunamente ed in conveniente numero vennero disseminati specialmente nella zona di ampliamento della città a scopo di abbellimento e di igiene...Concentrati tutti gli sforzi ed i mezzi sul Parco, ben poca volontà e minori risorse potranno rimanere per l'attivazione d'ogni altro congenere provvedimento. Se già fin d'ora, anche senza la concorrenza del parco, ma per puro spirito di economia...vennero...eliminati i giardini del Rondò di Loreto e di Porta Magenta ed immiserito alle dimensioni di un semplice viale l'altro di Monforte, qual sorte...preso a prestito il nuovo Parco, potranno attendersi i giardini superstiti, se non quella di un completo abbandono?...In ogni caso, prima il più utile che il meno: prima i giardini che il Parco...Proseguire con amore alla graduale esecuzione del Piano Regolatore, cercando di migliorarlo anzichè comprometterlo, non dimenticando che si tratta dell'impianto di una nuova città" (32). Appare quindi evidente la piena coscienza che il Beruto aveva del problema del verde all'interno della città: rifiuto di scelte di localizzazione eccessivamente concentrate, che avrebbero favorito solo alcune aree e quindi alcuni proprietari; diffusione delle aree verdi, se pur di piccole dimensioni, tra tutti i quartieri, per ragioni di igiene, di decoro e di qualità spaziale complessiva della città e non di una sua specifica parte. Nell'analisi delle diverse versioni del piano si assiste pertanto ad una sempre maggiore presa di coscienza del ruolo del verde urbano: da una fase di gestazione che vede una prima versione piuttosto modesta per disegno pur se ricca di intenzioni interessanti, si passa ad una seconda versione meglio definita nel sistema degli spazi pubblici, soprattutto nelle zone per le quali si era nel frattempo decisa una espansione residenziale borghese, ad un terzo e conclusivo progetto che, pur con i gravi limiti imposti dalla riduzione della dimensione degli isolati e dal contenimento degli spazi verdi, appare ancora più unitario ed ordinato. E' sintomatico che, di fronte alla crisi del modello berutiano dell'isolato di grandi dimensioni, la soluzione adottata dalla Commissione municipale sia stata quella dell'allargamento e dell'alberatura di alcune sedi stradali: dare "quell'aria e quella luce che sono indispensabili per il supremo bene della salute" (33) attraverso il sistema degli spazi pubblici, in primo luogo le vie, vie dove sarà realizzata quella trama di viali alberati che è ancor oggi uno dei pregi più importanti (accanto ai numerosi difetti) della città berutiana. E' infatti questa trama verde che assolve il compito di offrire una visione unitaria della città ottocentesca, unico elemento in cui il disegno del piano regolatore, anche nelle parti non monumentali, va al di là dell'organizzazione del puro supporto tecnico all'espansione territoriale, ma si pone anche problemi di forma urbana. E' interessante notare come il rifiuto di regole "estetiche" per le costruzioni private teorizzato dagli urbanisti del XIX secolo (34) (il singolo costruttore deve essere libero di concorrere con il proprio edificio sul mercato edilizio, controllato sul piano tecnico-costruttivo ed igienico-sanitario, ma libero da vincoli di carattere morfologico) ha nel viale, nel boulevard, nello square e nelle loro relative varianti la sua contropartita unificante, nella quale la forma della città borghese è espressa e messa in mostra con tutta la sua chiarezza programmatica. La rete degli spazi verdi, con i suoi gangli costituiti da piazze e slarghi e, nei casi migliori, da parchi anche di grandi dimensioni è infatti il luogo dove più appariscentemente è svolto di doppio compito educativo che la città riformata si è assunta nei confronti delle masse inurbate. Da un lato si tratta di "moralizzare" il loro comportamento sociale indirizzandone l'uso del tempo libero lontano dalle bettole dove si "sperperano i mezzi delle... famiglie e troppo spesso si [distrugge] la loro salute " (35); dall'altro di "educare" il popolo alla superiorità della tecnica nel controllo della natura e della società. Così il pubblico passeggio è luogo dove il controllo sociale è massimo, dove si osserva e si è osservati e, per questo, costretti ad un comportamento "civile" ed autoregolato, prefigurazione ed addestramento del comportamento sociale in fabbrica ed in tutti i rapporti subordinati e di classe. Ma, al contempo, negli spazi verdi, luoghi pubblici per eccellenza della città industriale, è esibita l'ideologia positivista della fede nel progresso della scienza e della tecnica: così flora e fauna tendono ad essere presentate come un campionario, vera collezione urbana di natura non più naturale, dove alberi e rocce, raggruppate per luoghi d'origine come all'Humboldthain di Berlino (36) (ma anche al "giardino alpino" ai Giardini pubblici milanesi), vanno a costituire veri musei all'aperto per l'istruzione ed il divertimento dei cittadini. Allo stesso modo, i monumenti ai cittadini illustri e i pezzi dell'arredo urbano, particolarmente diffusi nei parchi e lungo i viali della città, mostrano al pubblico i modelli politici di riferimento, la capillarità del controllo municipale sugli spazi collettivi, l'"ordine" della città pubblica rispetto al "disordine" della città privata. Ancora esibito è il dominio tecnologico sul paesaggio, non più "educato ad essere naturale" ma educante alla superiorità della tecnica sul mondo naturale e quindi sulla società, garante della risoluzione delle contraddizioni tra capitale e lavoro e tra lavoro e non-lavoro. Nella Parigi di Alphand questo nuovo rapporto tecnica-natura è il tema dominante, come è stato messo in rilievo da Maria Luisa Marceca (37); si tratta di un processo di tecnologizzazione dello spazio, tale per cui è la macchina che direttamente ed indirettamente domina il paesaggio; indirettamente perché è grazie ad essa che è possibile la produzione e la manutenzione del verde nella città, anche in condizioni innaturali: così le tavole delle Promenades non illustrano solo parchi e viali, ma anche tutto il complesso supporto tecnologico che li permette (si vedano le reti di irrigazione predisposte per il Bois de Boulogne ed il Bois de Vincennes, ma anche le macchine per piantare, curare, riprodurre piante ed arbusti). Ma, al contempo, anche direttamente la macchina è coinvolta negli spazi verdi, come protagonista diretta del paesaggio naturale: ferrovie, arredi ed attrezzi artificiali, macchine per il sollevamento dell'acqua, oggetti industriali esposti nelle grandi e piccole fiere del XIX secolo, popolano i parchi delle grandi città europee. Così, a Milano, rocce artificiali movimentano i Giardini ed il Parco; rogge sono deviate per alimentare fontane, cascate e laghetti; ascensori risalgono la torre panoramica dell'Esposizione del 1881, una monorotaia percorre l'Esposizione al Parco Sempione del 1906. Così, lo spazio verde acquista, nella città ottocentesca, un ruolo che è ben diverso da quello di portare la natura nella città: si tratta infatti di esprimere, attraverso strumenti e materiali naturali, il controllo totale della città sulla natura, dell'artificiale sul naturale, della tecnica sul paesaggio. Non è un caso che, a Milano, il disegno del Piano si interrompa bruscamente ai confini dell'area di cui è prevista l'urbanizzazione: gli stessi viali alberati non si prolungano nella campagna, anzi si sfumano appena al di là della nuova circonvallazione, specie di "ferri di ripresa" di una futura espansione, ma per nulla elementi di raccordo tra città e campagna, di varco per l'ingresso della campagna nella città. Paradossalmente, il verde è, in questo caso, materia "artificiale" allo stesso modo delle altre, utilizzata per la costruzione della città, materia distribuita a rete sul suo territorio, costretta a convivere con il resto delle materie di cui la città è costruita. Il sottile equilibrio predisposto alla fine del secolo tra verde urbano, edificazioni e flusso di traffico si romperà con l'allora non previsto sviluppo della motorizzazione privata e con il sovraccarico di uso dei pochi spazi verdi realizzati: i "pubblici passeggi" ridotti ad aiuole spartitraffico, a "pubblici parcheggi", a corsie riservate di mezzi pubblici, mentre il parco, nato con l'intento di moralizzare il popolo, venuto meno un controllo di tipo autoritario dello spazio urbano, diventa sempre più il luogo dei "devianti", dei vandali, di coloro che sfuggono al controllo sociale. Il riformismo interessato del XIX secolo rischia così di diventare l'utopia del XX, l'utopia di una città ancora progettabile unitariamente come quella del principe, se pur con la rinuncia a controllare tutta quella gran parte dei componenti della città riservati, quasi senza alcuna contropartita, agli operatori privati. Nella crisi di progettabilità e di immagine unitaria della città contemporanea, il sistema del verde ottocentesco, se pur risultato di un compromesso perdente tra operatori pubblici e speculatori privati, è ancor oggi comunque un elemento di riferimento e di coesione, che è sempre più urgente difendere pena la distruzione di un'importante componente di quella città del XIX secolo che, una volta moderna, si avvia a diventare storica.
( 1) Georges Eugene Haussmann, prefetto della Senna dal 1853 al 1869 per incarico di Napoleone III, elaborò e diresse i grandi lavori di ristrutturazione urbana della città di Parigi che servirono d'esempio agli interventi dell'urbanistica ottocentesca di gran parte delle città europee. Jean Charles Adolphe Alphand, ingegnere dell'Ecole des Ponts et Chaussées, dirige dal 1857, con vari incarichi, la realizzazione di tutti i grandi parchi, delle altre aree verdi e dell'arredo urbano della città.
( 2) A. Grumbach, Les Promenades de Paris, in "L'Architecture d'aujourd'hui", n; 185, 1976, pp. 97- 107. ( 3) Cfr.: Report from the Select Committee on Public Walks, 1833, traduzione in P. Sica, Storia dell'urbanistica, Laterza, Bari, 1977, vol. II, L'Ottocento, tomo I, p. 83.
( 4) F. Howe, The German and the American City, 1911, citato in F. Mancuso, Le vicende dello zoning, Il Saggiatore, Milano, 1978, p. 94.
( 5) A. Grumbach, op. cit., p. 99.
( 6) J.C.A. Alphand, Les Promenades de Paris. Histoire. Description des embellissements, dépenses de création et d'entretien des Bois de Boulogne et de Vincennes, Champs-Elysées, parcs, squares, boulevards et places plantées. Etude sur l'art des jardins et Arboretum, Rothschild ed., Parigi, 1867-1873, 2 voll.
( 7) A Milano almeno a partire dal progetto settecentesco per i Giardini pubblici. Il termine è anche espressamente usato dal Beruto (Cfr.: C.Beruto, op. cit., p. 10).
(8) "...La campagna circostante vista da quell'altezza [i bastioni] sembra una foresta impenetrabile, ma al di là di essa si scorgono le Alpi dalle cime coperte di neve...". In: M.de Stendhal, Rome, Naples, Florence, Delaunay, Paris, 1826 (III ed.). La citazione è tratta dall'edizione italiana a cura di G.Vettori, F.lli Melita, Roma, 1982, pag.77.
(9) Lo spalto tra porta orientale e porta nuova era stato spianato ed alberato intorno al 1750. Il "pubblico passeggio" era stato piantato a gelsi, successivamente sostituiti da ippocastani. I giardini pubblici furono realizzati sui terreni ove sorgevano l'antica abbazia di San Dionigi, soppressa nel 1774, ed il convento delle Carcanine, soppresso nel 1782. Già nello stesso anno fu decisa la realizzazione di "un giardino per passeggio pubblico, di cui la Città di Milano n'è interamente priva...una cosa molto desiderata dal Pubblico cogliendo un'occasione unica attesa la sua situazione vicino et lateralmente al già più frequentato et bello Corso della Città..." (cfr.: Relazione generale sull'operazione di abolizione dei Monasteri delle Monache e dell'uso da farsi dei claustri secondo l'uso voluto da S.A.R., 17.12.1782, Archivio di Stato di Milano, Fondo Culto p.a., Cart.1825). All'anno successivo risale il primo progetto per il quale un imprenditore milanese, G.A.Crippa, si impegnava a realizzare i lavori nel giro di 18 mesi e ad eseguire le opere di manutenzione in cambio della disponibilità dei caseggiati che ancora sorgevano sull'area. (cfr.: Archivio Storico Civico di Milano, Loc.Mil., Cart. 179). In questo documento non compare ancora il nome del Piermarini, comunemente considerato come il primo progettista del giardino di Porta Venezia. Su questo e sulle vicende successive dei Giardini pubblici rimando a: L.Fabris , E.Magliocco, I Giardini pubblici di Milano (1783). Un'idea di progetto conservativo manutentivo per uno spazio verde storico metropolitano, Tesi di laurea presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, A.A. 1989/90, rel. M.Boriani.
(10) AMM 1863-64, seduta del 27.11.1863, pagg. 18-19, intervento del consigliere Antonio Mosca.
(11) Cfr.: Progetto pel sottopassaggio del bastione di fronte alla stazione centrale ferroviaria (AMM 1864, seduta n.11, tratt.XXXV, pagg.163-164).
(12) AMM 1875-76, sedute dell'11.9.1876 pagg. 253-257 e del 26.12.1879 pagg. 105-115. Sul dibattito relativo alla conservazione dei bastioni in quanto "pubblico passeggio" si veda lo specifico regesto. (13) Cfr.: Relazione sui lavori di riordinamento dei pubblici Giardini, e conseguenti proposte (AMM 1882-83, seduta n.13, tratt.86, pagg. 233-254).
(14) La mappa del 1884 indica, curiosamente, un doppio filare d'alberi in alcuni tratti, un solo filare in altri, senza che sia possibile ricostruire una regola precisa.
(15) Cfr. Cento anni di lavoro della Società cooperativa edificatrice abitazioni operaie di Milano, 1879- 1979, Milano, 1979.
(16) Sulle proposte relative alla sistemazione dell'ex piazza d'Armi e della zona del Castello si vedano, oltre ai saggi pubblicati in questa occasione: M.G.Folli, D.Samsa (a cura di), Milano Parco Sempione. Spazio pubblico, progetto, architettura 1796-1980, Clup, Milano, 1980, in particolare D. Samsa, L'area del Sempione e lo sviluppo di Milano nell'800, p.8 e segg.; E. Luna, L'architetto Emilio Alemagna e le vicende del Parco Sempione di Milano, in: Casabella n.455, febb.1980, pagg.54-59; V.Vercelloni (con contributi di A.Balzani, G.B.Mascher, S.Pierini, M.Schiavone, M.Vercelloni), Una storia del giardino europeo e il giardino a Milano, per pochi e per tutti, 1288-1945, Ed. L'Archivolto, Milano, 1986; D.Samsa, Il parco Sempione a Milano, in: O.Selvafolta (a cura di), Costruire in Lombardia 1880-1980. Impianti sportivi. Parchi e giardini, Electa, Milano, 1990, pagg.218-235.
(17) Cfr.G. De Finetti, Milano. Costruzione di una città, Etas Kompass, Milano, 1969 (a cura di G. Cislaghi, M. De Benedetti, P.G. Marabelli), pp 202-3.
(18) Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano, op. cit., pag. 58.
(19) Ivi, pag. 62.
(20) Cfr.: Consiglio Comunale di Milano, Piano Regolatore del Comune. Relazione e proposte della Commissione nominata dal Consiglio comunale nella tornata del 25 febbraio 1885, Tipografia Bernardoni di C. Rebeschini e C., Milano, 1885, pagg. 32-33.
(21) La relazione annessa al Piano parla di "insormontabile ostacolo nella mania di guadagno e di speculazione" e di "coazione imposta dagli speculatori". Cfr. Comune di Milano, Piano regolatore edilizio..., op. cit., pagg. 5-6.
(22) Cfr. la legenda alla mappa del Piano del 1888.
(23) AMM 1885-86, seduta del 13.1.1886, pagg. 220-224. Lo stesso Collegio degli Ingegneri ed Architetti nel dibattito relativo ai Bastioni tenutosi nel 1885 aveva concluso come ammissibile lo "spianamento" proposto dal Beruto, chiedendo però che la zona al piede esterno dei Bastioni fosse nella maggior parte acquisita ad uso pubblico e le nuove ediificazioni fossero controllate da un apposito regolamento edilizio (Cfr.: Collegio degli Ingegneri..., op.cit., pag.37).
(24) Si veda il regesto dedicato alle vicende dei Bastioni. (25) Cfr.: Adozione di varie modificazioni parziali al piano regolatore pel Circondario esterno, 11 luglio 1889 (AMM, seduta del 4 luglio 1902, n.22, tratt. 300, pagg. 340-342 e seduta del 24 novembre 1902, n.6, tratt.54, pagg.71-79).
(26) G. Murnigotti, Primo progetto di Piano Regolatore di un nuovo quartiere tra l'Arco del Sempione e Porta Magenta, Milano, 1883, Società Storica Lombarda. Giuseppe Murnigotti intervenne con diverse proposte alternative ai progetti della Fondiaria, via via adattandole alle scelte di conservazione integrale del Castello e di utilizzazione a verde pubblico di parte dell'area della Piazza d'Armi. Per questo si veda, in particolare: D.Samsa, Il parco Sempione..., op.cit., pagg.220-225.
(27) "A riguardo della disposizione del giardino, quale è rappresentata nel tipo, è da avvertire che essa è semplicemente indicativa e che non fa parte sostanziale del progetto e venne data solo come norma degli spazi che si possono destinare a prati ed a piantagioni. Lo studio di tale particolare va naturalmente lasciato agli specialisti in questa materia..." (AMM., seduta VIII del 8 gennaio 1886, n.45, pag. 144).
(28) Cfr.: O.Selvafolta, San Siro: la "città dello sport", in: S.Sermisoni (a cura di), San Siro, storia di uno stadio, Electa, Milano, 1989.
(29) E. Alemagna, Progetto di massima per un parco o pubblico passeggio per la città di Milano, 1890, Raccolta Bertarelli, Milano.
(30) L.Broggi, Il nuovo Parco a Milano: viali d'accesso ai Parchi di Milano e Parigi, 1890, Raccolta Bertarelli, Milano. Anche in: L.Broggi, Il nuovo Parco di Milano, tip. Bernardoni di C.Rebeschini, Milano, 1890.
(31) G.Ceruti, Progetto per un Parco nella località di Loreto, 1890, Raccolta Bertarelli, Milano.
(32) C.Beruto, Sul progetto del nuovo Parco, lettera aperta ai Consiglieri del Comune di Milano, Tip.Rechiedei, Milano, 8 giugno 1890, passim. A risarcimento di Cesare Beruto va ricordato che l'opposizione al parco di cui parla il Reggiori in Milano 1800- 1943 non si riferisce al parco Sempione ma al parco previsto dall'Alemagna oltre la nuova Piazza d'Armi, in connessione al progettato ippodromo.
(33) Cfr. Comune di Milano, Piano regolatore edilizio..., op. cit. pag. 6.
(34) Cfr: Criteri fondamentali per la progettazione di un ampliamento urbano dal punto di vista tecnico, economico e giuridico. (Atti Assemblea generale dell'Ordine degli architetti e ingegneri tedeschi, Berlino, 25 settembre 1874). Relatore R. Baumeister, art. 4: "Compito della Polizia edilizia (Baupolizie) è la tutela degli interessi degli abitanti, dei vicini e della collettività nei confronti dei proprietari degli immobili. Tali interessi concernono: la prevenzione contro gli incendi, la libertà di circolazione, la salute (ivi compresa la statica degli edifici). Tutte le norme relative alla valorizzazione estetica degli edifici sono invece da rifiutare" (corsivo mio), citato in G. Piccinato, op. cit., p. 531. E ancora: "Le norme relative all'estetica hanno lo svantaggio notevole di scoraggiare i costruttori", in R. Baumeister, L'espansione urbana nei suoi aspetti tecnici, legislativi ed economici, Berlino, 1876, traduzione in G. Piccinato, op. cit., p. 245. Oppure: "Il compito più importante dell'urbanistica dal punto di vista artistico consiste nella disposizione e nella conformazione delle piazze pubbliche", in J. Stübben, L'urbanistica, manuale d'architettura,IV parte, Progettazione, localizzazione e regolamentazione degli edifici, vol. IX, Darmstadt, 1890, traduzione in G. Piccinato, op. cit., p. 312. (35) Cfr. Report from the Select..., cit., in P. Sica, op. cit., p. 83.
(36) fr. H. Schmidt, Propositi di abbellimento. La progettazione del verde a Berlino nel secolo XIX,in "Lotus", n. 30, I, 1981, p. 86.
(37) M.L. Marceca, Serbatoio, circolazione, residuo. J.C. Alphand, il bello tecnologico e la città verde,in "Lotus", n. 30, i, 1981, pp. 57-80.(nota a pag.3)