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Verde pubblico e paesaggio urbano nel piano di Cesare Beruto per il circondario esterno. Maurizio Boriani Il sistema del verde pubblico e dei viali alberati assume nel piano regolatore e nel dibattito urbanistico milanese un ruolo importante. Pur nella consapevolezza della funzione igienico- sanitaria svolta dalla vegetazione in una grande città, ad essa è soprattutto assegnato il compito di connotare gli spazi e i percorsi urbani, di definire gerarchie e punti di interesse. Molto puntualmente, Antoine Grumbach definisce la pratica della progettazione degli spazi verdi nella Parigi del barone Haussmann (1) come "arte di ordinare il disordine", "arte di sistemare i resti"(2). Il "disordine" della città della prima rivoluzione industriale trova nella realizzazione di parchi pubblici e viali alberati una delle principali risposte dei movimenti igienisti che per primi sollevarono il problema del grave peggioramento delle condizioni di vita delle grandi metropoli in formazione. Gli aspetti igienico-sanitari non sono però mai disgiunti da quelli del decoro. Così il verde, visto come polmone in grado di far respirare la congestionata città industriale ma anche come elemento ordinatore dei tessuti urbani, diventa uno dei più essenziali servizi pubblici, dove gli artigiani e gli operai "ridotti [a lavorare] per tutta la settimana... e spesso rinchiusi in fabbriche surriscaldate" possano "nei giorni di riposo godere dell'aria pura e poter camminare (fuori dalla polvere e dalla sporcizia delle strade pubbliche) in decorosa comodità con le loro famiglie" (3). Non è a caso che a Frederick Howe, in visita per motivi di studio in Germania, che si meravigliava della larghezza con cui erano previsti spazi per servizi pubblici e per il decoro urbano ed obiettava sull'elevato costo economico di tali opere, venisse risposto: "può darsi ma è un buon affare" (4). La scelta per una città più ordinata e efficiente non deve infatti essere fatta risalire solo a motivazioni di carattere sociale, bensì va colta in tutto il suo significato economico di investimento per incrementare la produttività media attraverso un miglioramento delle condizioni di salute dei lavoratori, l'ottenimento di un livello minimo di consenso sociale ed una più regolare organizzazione della produzione e dei traffici. Non va dimenticato come, per l'urbanistica ottocentesca e non solo per i singoli operatori privati, ma anche e in primo luogo per gli operatori pubblici, la pianificazione della città deve soprattutto essere un buon affare, realizzato quindi sulla base di un bilancio di costi e benefici predisposto con cura e contrattato a lungo tra le parti. Così, l'utilizzo per spazi verdi dei "resti" inedificabili della città (siano essi strade e piazze, zone insalubri per l'abitazione, aree di risulta di forme o localizzazioni improprie, terreni inedificabili, ecc.) diventa effettivamente un'arte: come trarre vantaggi sociali, economici e di decoro urbano anche da spazi inutilizzabili per l'edificazione. Osserva ancora Grumbach come gran parte degli spazi verdi di Parigi progettati da Adolphe Alphand, a partire dal 1854 su incarico del prefetto Haussmann, rappresentino "sistemazioni di spazi residui" e "situazioni nelle quali il mantenimento delle tracce della città [cioè delle preesistenze] determina la composizione" (5). Lo stesso parco delle Buttes-Chaumont, forse il capolavoro artistico e tecnologico assieme di Alphand, sorge così sull'area di una vecchia cava abbandonata, successivamente trasformata in maleodorante deposito di immondizie, ma trova proprio nella forma tormentata dell'area l'occasione per un progetto grandioso che si misura con i problemi dell'adattamento alla natura del terreno, utilizzato non come limite bensì come risorsa da impiegare per la buona riuscita dell'opera. Alphand raccoglie tutte le sue esperienze parigine in due monumentali volumi dal titolo Les Promenades de Paris (6). Allo stesso modo, quella che oggi chiameremmo "Ripartizione verde e tempo libero", a Parigi aveva preso il nome di "Service des Promenades et Plantations de la Ville de Paris". <<da queste denominazioni appare chiara la singolare coincidenza ottocentesca tra l'idea di verde pubblico e l'idea di passeggiata: anche in Inghilterra la denominazione più ricorrente è quella di "Public Walks", così come di pubblici passeggi si parla in Italia (7). Lo scopo di parchi e viali è così essenzialmente quello di permettere il passeggio delle grandi masse urbane, passeggio al contempo risanatore del fisico e costruttore di una identità di appartenenza alla città intesa come flusso di messaggi e di relazioni. Non è un caso che, contemporaneamente al sistema del verde, la città ottocentesca vada dotandosi di un complesso di opere a rete (strade, acque, elettricità, fognature, trasporti pubblici, ecc.) costituenti al contempo il supporto fisico dell'espansione urbana (e della materializzazione delle rendite) ma anche il tipo teorico dell'urbanistica del tempo. Così, la strada, spazio pubblico per eccellenza, tendenzialmente l'unico che i proprietari immobiliari sono disposti a sacrificare in quanto condizione indispensabile per l'edificabilità dei suoli, appare sempre più come la sede di un sistema di impianti a rete, dei quali il viale alberato, distribuito con parsimonia per creare delle gerarchie spaziali ed economiche, si mostra come l'elemento più appariscente, garante del decoro urbano e dell'unitarietà del progetto di espansione della città. I parchi pubblici, anche quelli di più grandi dimensioni, non possono essere pienamente compresi se non inseriti all'interno della complesse rete dei viali alberati e degli squares. I due volumi delle Promenades, pubblicati tra il 1867 e il 1873, furono inviati quasi ovunque nel mondo industrializzato del tempo: così in Italia, come risulta dall'elenco stampato ad introduzione dell'opera, essi furono ricevuti dalle amministrazioni comunali di Torino, di Genova, di Trieste (allora austriaca), ma anche da librai (Hoepli, Dumolard) e da personaggi pubblici milanesi (il marchese Stampa Soncino, Gerolamo Ponti, il conte Cicogna). Non è improbabile che Cesare Beruto avesse avuto modo di consultarli una decina di anni dopo mentre si accingeva a disegnare la mappa del piano per Milano, dal momento che frequentemente egli cita esempi stranieri a supporto delle sue idee. Per comprendere appieno la questione del verde pubblico nella Milano del tempo occorre però far mente locale alla situazione urbanistica della città al momento della discussione del piano. E' pur vero che all'interno della cerchia dei Navigli si addensavano quartieri malsani e pressoché totalmente edificati (con qualche eccezione per i giardini di alcuni palazzi privati, soprattutto nella zona nord est), ma è anche vero che la fascia tra i Navigli e le mura spagnole era ancora ampiamente inedificata e che i Giardini di Porta Venezia e la Piazza d'armi alle spalle del Castello costituivano ampi spazi di verde pubblico. La cerchia dei Bastioni, per lunghi tratti alberata, garantiva inoltre un luogo di passeggio molto frequentato. Infine, i campi esterni alla mura erano facilmente accessibili anche pedonalmente, ampiamente alberati, come ricorda Stendhal (8). In realtà, la realizzazione dei Giardini pubblici ed il sistema dei Bastioni alberati contigui ad essi soddisfaceva in modo adeguato le esigenze del passeggio della borghesia cittadina, pur essendovi ammesse anche attività "popolari" come spettacoli comici, fuochi di artificio, gioco del pallone, ecc. (9). Al contempo, la zona della Piazza d'armi, con i suoi annessi, praticata dagli sportivi (equitazione, bocce) ed utilizzata come parco dei divertimenti (il Tivoli) e zona per manifestazioni pubbliche (l'Arena), rispondeva in buona misura alle necessità dei giovani e dei ceti popolari. E' sintomatico di questa situazione il fatto che, ancora dopo l'unità, al momento della discussione sull'opportunità di alberare alcune piazze interne della città (S. Marta, S.Eufemia, Borromeo, Fontana), la proposta della Giunta non solo non era stata accolta con particolare entusiasmo, ma addirittura era stata criticata da alcuni in quanto il verde "non anima a fabbriche di cittadini palazzi che si troverebbero in luoghi foggiati alla campestre... con aspetto desolante di sfrondati alberi di poco valore nella stagione dei freddi, per tacere che in qualche situazione si menoma la sicurezza de' passeggeri porgendo pei tempi delle nebbie invernali nascondiglio ad agguati" (10). Il verde urbano non appariva dunque ancora come una necessità imprescindibile: evidentemente, il sistema di aree verdi della Piazza d'Armi, dei Bastioni e dei Giardini di Porta Venezia, completati dal Balzaretto nel 1865, era giudicato più che sufficiente per le dimensioni e le caratteristiche urbanistiche della città. Notevole attenzione è peraltro riscontrabile per la salvaguardia di alcuni impianti vegetali giudicati pregiati, in particolare la passeggiata lungo i Bastioni: per essa era stato realizzato un sottopassaggio che ne garantiva la continuità in corrispondenza dell' accesso alla stazione Centrale (11), mentre un ampio dibattito aveva accompagnato l'apertura della nuova Porta Volta, con una soluzione finale attenta ad integrarsi con le alberature esistenti (12). Se è pur vero che l'Esposizione Nazionale del 1881, svoltasi sull'area dei Giardini e dei Boschetti, ne aveva determinato un sensibile degrado, occorre anche rilevare come essi furono tempestivamente restaurati, per opera dell'Alemagna, il futuro progettista del parco Sempione (13). Con il piano Beruto l'atteggiamento