Viaggio a Gerusalemme Di Pietro Casola

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Viaggio a Gerusalemme Di Pietro Casola VIAGGIO A GERUSALEMME DI PIETRO CASOLA a cura di Anna Paoletti Edizioni dell'Orso Opera pubblicata, con il contributo del Dipartimento di Scienze letterarie e filologiche dell'Università degli Studi di Torino. © 2001 Copyright by Edizioni dell'Orso S.r.l. 15100 Alessandria, via Rattazzi 47 Tel. 0131. 25.23.49 – Fax 0131.25.75.67 E-mail: [email protected] http: //www.ediorso.it Impaginazione a cura di CDR, Torino È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L'illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941 ISBN 88-7694-530-X Prefazione di Jeannine Guérin Dalle Mese 1494: Pietro Casola, milanese, intraprende dopo tanti altri il viaggio a Gerusalemme. Mentre si va esplorando vie oceaniche ignote e scoprendo un nuovo mondo, molti continuano a solcare il Mediterraneo, ripetendo viaggi compiuti da secoli, ma sempre avventurosi, verso una meta sacra, la Terra Santa. Scoprono se stessi e le vere componenti della natura umana confrontata ai vari pericoli che si presentano loro, in una prova di eccezionale importanza, quella della fede. Così appare il viaggio ai Luoghi santi del Casola sul finire del Quattrocento. Non si tratta più, nella sua relazione, di ribadire quello che è stato scritto tantissime volte a proposito del pellegrinaggio a Gerusalemme e delle sue tappe obbligate, anche se si serve - come ovvio - di guide anteriori per riportare talvolta alcune informazioni. Le lunghe liste d’indulgenze, le preghiere da recitare, le reliquie sante da visitare non fanno parte del suo proposito: molti altri le hanno menzionate come, ad esempio, solo quattordici anni prima, il suo concittadino Santo Brasca. A chi potrebbe stupirsi di tale mancanza, soprattutto venendo da un sacerdote quale egli è, Casola risponde in più luoghi che i frati non dissero tali orazioni per mancanza di tempo. Il suo vero proposito sta nel trascrivere fedelmente, giorno dopo giorno, il «suo» viaggio con tutte le peripezie come un’avventura totale, vissuta dall’interno. La fede, se è presente e sincera, è solo una parte dell’uomo. La 7 PREFAZIONE vita quotidiana e i suoi vari aspetti, talvolta anche prosaici, occupano l’altra parte. Insomma, si delinea l’uomo intero, nella sua grandezza senza ostentazione, nelle sue paure e debolezze, nella sua curiosità sempre sveglia. Questo spiega lo spazio piuttosto limitato riservato alla Terra Santa nella relazione, che si trova così in rapporto con il tempo ridotto passato lì dal pellegrino: più di cinque mesi di viaggio, meno di tre settimane tra lo sbarco vero e proprio e la partenza da Gerusalemme. Quello che stupisce di più è l’ampio spazio dedicato a Venezia, che rappresenta la metà di quello consacrato ai Luoghi Santi. Anche qui corrisponde più o meno al tempo relativo di permanenza del pellegrino, ma con una profusione di descrizioni, d’informazioni, che supera l’ipotetico equilibrio di un diario. Il narratore stesso previene le eventuali critiche, a proposito di Venezia, e più ancora alla fine del suo scritto: «Se a notare questo viagio fosse stato tropo longo, prego li lectori me habiano per excusato, imperò che quili me ne hano pregato l’hano voluto cossì». La mancanza dell’inizio del manoscritto non permette di conoscere i suoi primi dedicatari, e neppure i suoi intenti. Nel presentare l’«Itinerario» di Capodilista per la stampa del 1475, Paolo Boncambio scrive: «[...] conforto ciascun fedele legere, imitari et exequire la infrascripta preciosa et venerabile opera onde innumeri fructi perpetui et excellentissimi doni consequirà»1, e Santo Brasca, nel suo incipit, dichiara in par- ticolare di voler notare per «le devote persone che desiderano fare questo sanctissimo viagio, el modo che se ha ad tenere in 1 Viaggio in Terrasanta di Santo Brasca, 1480, con l'«Itinerario» di Gabriele Capodilista, 1458, a cura di A.L. Momigliano Lepschy, Milano, Longanesi, 1968, p. 161. 8 PREFAZIONE quelo, et tuta la spesa a loro necessaria, sì de l’andare, stare et tornare, sì del nolo di galea, como de ogni datio imposto tam per fideli quam per infideli»2. Le intenzioni del Casola, che si manifestano implicitamente nel corso della relazione, e vengono dichiarate in stretta corrispondenza con il suo pubblico, sono diverse: non più limitarsi al ruolo di guida ma testimoniare nei minimi particolari un’avventura eccezionale e multiforme. Come ogni viaggiatore che si presenta in qualità di testimone degno di fiducia, egli insiste sulla visione diretta delle cose riferite, e da buon «inviato speciale» vuol vedere tutto. Colpisce la ricorrenza continua di questo verbo, in particolare a Venezia. Però questa volontà di riferire solo ciò che ha visto non lo limita prosaicamente nella descrizione del concreto perché, accanto al piacere di vedere, c’è quello di nominare, di dire, cioè il piacere di trasmettere attraverso la scrittura. Se ricorda che parecchie volte è stato chiamato a fare da scrivano al Patrono della nave, i suoi talenti vanno molto aldilà. Così dalla Venezia descritta minutamente sorge il mito di quella città all’apogeo della sua potenza e ricchezza, vista come modello d’organizzazione, in cui bellezza e lusso suscitano lo stupore. Aiutano i topoi dell’«ineffabile», del «rincarare» la preterizione «sarebbe un lungo dire...», «...impossibile descrivere tutto», «lasso stare...», «lassarò ancora ad un altro che dire, salvo che non me posso contenire a replicare...». Questa lode della Serenissima — la sua condizione gli permette tale libertà, impensabile per uomini troppo legati negli anni dei loro pellegrinaggi al potere politico di Milano quale Roberto da Sanseverino, nipote di Fran- 2 Ibid., p. 45. 9 PREFAZIONE cesco Sforza, o Santo Brasca, questore della città —, se non è fetta, com’egli scrive, «per captare da Veneziani benevolentia», gli serve a stabilire un confronto con la sua Milano, di cui conosce bene le carenze, e che vorrebbe riscuotere a migliore stato, per quanto riguarda, ad esempio, la pompa delle cerimonie, gli ornamenti delle chiese, la nobiltà degli atteggiamenti e del vestire. Descrizione minuta ancora, e tecnica si direbbe, del concreto per quanto concerne la galea, le soste che punteggiano il percorso, ecc.; ed accanto a questa «autopsia», un’evocazione dello spazio marittimo e delle sue insidie, che supera i topoi abituali: intrepido, egli sale sul ponte superiore per «contemplare la rabia del mare che è maiore che non se po’ dare ad intendere a chi non l’ha veduta» (c. 149) ma che egli evoca superbamente. Lì e altrove, con gli elementi scatenati, le forze telluriche (terremoto) e cosmogoniche (evocazione della nascita di un vulcano) in azione, questo spazio sembra riportare al caos originale. Mancano ad un certo punto i riferimenti, la galea è persa in mare» non servono le carte da navigare, ognuno ha il suo parere; e ancora, gli ordini del patrono non sono più seguiti, i pellegrini si rivoltano (gli oltramontani e «la furia francese» vengono più volte stigmatizzati dal narratore), la nave diventa quella dei pazzi: «A me pariva che quela galea fosse piena de ogni iniquità, venendo da quili loghi unde venevamo e che meritassimo molto pegio che non havevamo [...]» (c. 132). In contrasto a queste ipotiposi, i numerosi fili che ricon- giungono i naviganti con la loro patria, le notizie che vengono scambiate da una galea all’altra riportano ad una realtà di altro tipo; si viene a sapere che il 16 di agosto si aspettava il re di Francia a Milano, si discute, alla sosta di Modone, delle 10 PREFAZIONE cose di Ponente, «del Papa, del re de Franza e del nostro signore Ludovico» (c. 147), a Venezia Casola si trova in compagnia dell’oratore del Papa e dell’oratore del Re di Francia, Commynes, il celebre cronista di cui condivide l’entusiasmo ammirativo per la città3. Al suo ritorno a Milano, poi, il pellegrino arriva proprio poche ore dopo l’entrata del «novo duca de Milano», Ludovico il Moro. Il pellegrinaggio si àncora alla storia politica che coinvolgerà tutta Italia e gli Stati europei. Guicciardini, incolpando Ludovico Sforza come responsabile degli eventi che seguirono, per la sua chiamata di Carlo VIII, scriverà: «[Il Re] entrò in Asti il dì nono di settembre dell'anno millequattrocentonovantaquattro, conducendo seco in Italia i semi d’innumerabili calamità, e d’orribilissimi accidenti, e variazioni di quasi tutte le cose. Perché dalla passata sua non solo ebbero principio mutazioni di Stati, sovversione di regni, desolazione di paesi, eccidi di città, crudelissime uccisioni; ma eziandio nuovi abiti, nuovi costumi, nuovi e sanguinosi <modi di guereggiare; infermità insino a quel dì non conosciute; e si disordinarono di maniera gl’instrumenti della quiete e concordia italiana, che non si essendo mai più potuti riordinare, hanno avuto facultà altre nazioni straniere ed eserciti barbari di conculcarla miserabilmente e devastarla» (Storia d’Italia, I, 1). Casola, che sta 3 Cfr. Philippe de commymes, seigneur d’Argenson, Mémoires, Paris, N.R.F., 1938, in particolare quando descrive il Canal Grande, «la plus belle rue que Je crois qui soit en tout le monde, et la mieux maisonnée», o l’interno dei palazzi: «Au-dedans ont pour le moins, pour la pluspart, deux chambres qui ont les planchés dorés, riches manteaux de cheminées de marbre taillé, les chaslits des lits dorés, et les oste-vents peints et dorés, et fon bien meublés dedans. C’est la plus triomphante citè que j’aye jamais vue, et qui fait plus d’honneurs à ambassadeurs et estrangers, et qui plus sagement se gouverne, et où le service de Dieu est le plus solemnellement fait» (pp. 864-865). 11 PREFAZIONE vivendo l’inizio di questi eventi, si mantiene molto prudente (scrive la relazione subito dopo il suo ritorno a Milano, avvenuto il l4 novembre del 1494, e prima della fine dell’anno, da quanto si può dedurre dal testo) e non formula giudizi.
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