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E suo CIRCONDARIO

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NOTIZIE

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DAL Pr. BRAMBILLA LUIGI

VOLUME PRIMO.

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NOTIZIE

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PR. LUIGI BRAMBILLA

VOLUME PRIMO.

VARESE

T IP O G RAFI A U B I C IN I 1874, i -

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Proprietà letteraria DELL'ORFANoTRoFIo FEMMINILE in Varese CAPITOLO I.

Esposizione Agricola-Industriale 1871. - Istituzione del Museo Patrio. - Origine e scopo del presente libro.

Espressione viva del nuovo vigore infuso all' Italia dalla ricostituzione delle sparse sue membra in un corpo solo, furono le svariate e molteplici esposizioni, che, in pochi mesi, alle ridenti prealpi si aprirono al pubblico, prima che l'anno 1871 volgesse al termine. Quasi ad insaputa l'uno dagli altri, molti dei centri principali della Penisola s'avvisarono di chiamare a profittevole convegno le industrie loro, e dei circondari limitrofi. Milano, Monza, Torino, Vicenza, Forli, Bolo gna, Napoli, quali con un intendimento, quali con un altro, inaugurarono e condussero, in parte, a termine la nobile gara nelle loro mura aperta ai frutti del la voro e dell'ingegno. In tale concorrenza aveasi ragione di dubitare seriamente che la Mostra varesina, fissata anch'essa in quel tempo, potesse fallire; ma il successo coronò i lodevoli sforzi di chi, non volendo mancare alla parola detta, si adoprò con attività indefessa a far sì che riuscisse degna di Varese e dell'Italia. È da ricordarsi infatti, con vera compiacenza di orgoglio nazionale, il giorno 23 settembre 1871, in cui furono 6 VARESE E SUO CIRCONDARIO inaugurati, per la prima volta, in Varese l'Esposizione Agricola Industriale e il Congresso agrario. Con quel l'Esposizione l'ospitale Varese non fu solamente, come d'ordinario in autunno, centro di gentile convegno della società elegante che è l'anima e il brio della bella Milano; ma seppe offrire importanza ed interesse vivis simo ai ricercatori del semplice diletto e agli studiosi. « Alle sue mille attrattive « scriveva la Perseve ranza » Varese ha in questi giorni voluto unirne un'altra. E chi fuggendo dalla città, me fa sospirata meta e ricerca in questo incantevole soggiorno, nella cerchiante catena de' suoi colli, ingemmati da ville superbe, ove l'ospitalità più squisita, la bellezza, il brio dominano semza tema di raffronti, il vagheggiato soggiorno che lo trasporti in un mondo migliore, ove là vita scorra facile, serena, beata, non può non ri maner meravigliato nello scorgere bellamente disposti tanti e sì svariati oggetti che abbracciano, quasi sa remo per dire, l'intero scibile umano nelle varie sue estrinsicazioni. » Alla solenne apertura della mostra parlò dapprima il Sindaco, Cav. Francesco Magatti, esprimendo la gra titudine dei Varesini verso gli espositori non solo, ma ben anco verso i promotori e cooperatori; poscia parlò il Cav. Margarita, Presidente dell'Esposizione, e, dopo lui, il Cav. Emanuele Bonzanini, rappresentante la So cietà agraria di Lombardia. Ultimo disse brevi, ma adatte parole, l'egregiò Comm. Senatore Antonio Beretta, che venne ad onorare la festa industriale in rappre sentanza del Ministro d'Agricoltura e Commercio. In quella circostanza si distribuì agli intervenuti un Immo d'occasione, composto dal Prof. Contini in cui accon ciamente ricorda le glorie varesine. CAPIToLo PRIMo 7

0 dolce Terra d'amor, d'incanto Cui bacia Olona, cerchiano i monti Cui fa natura ghirlanda e manto. In Te son d'oro l'alba, i tramonti, In te sfavilla pur vago e terso L' amabil riso dell' Universo.

L'allor guerresco t'ornò le chiome Nel memorando dì del conflitto, E di splendore cinto il tuo nome Nei patri fasti rimase scritto: L'Agricoltura, l'Industria e l'Arte Oggi la più vera gloria t'imparte.

Oggi con gioia ricorda e scrivi Il nome illustre de' tuoi più cari: Dandolo e Sacco richiama ai vivi, E gli altri figli per virtù chiari: Con questi Sommi splenda la storia Del tuo trionfo, della tua gloria.

Sede dell'Esposizione fu un vasto caseggiato muni cipale (caserma), all'ingresso della città, dove furono accolti oggetti presentati da più di 500 espositori, ap partenenti alla provincia di Como, e ai circondari di Gallarate e di Pallanza. Tutti i visitatori si rallegrarono al veder quella corte, quei portici, quei corridoi, che già servirono e ancora serviranno ai nostri soldati , trasformati in un vago giardino temporario con fontana; convertiti in un tempio del lavoro; abbelliti dalla mano intelligente dei nostri giardinieri; adorni de'trofei dell'industria e dell'arte. Devesi ai gentili villeggianti e principalmente ai signori Oldofredi, Pullè, Castelbarco, Cicogna, se la disposizione del luogo corrispose all'importanza della festa ; essi, che seppero, non solo colle offerte in danaro, contri buire al miglior esito dell'esposizione, ma eziandio ap 8 , VARESE E SUO CIRCONDARIO portarvi il loro intelligente consiglio e la loro attività personale. Davvero la penna più capace mal saprebbe ripro durre le soavi impressioni, che uscendo da quel recinto, innondavano l'animo. I fiori e le piante da serre erano rappresentati in modo tale quale, neppure alle esposi zioni della benemerita Società orticola a Milano, si vede, Chi conosce gli stupendi e ricchi giardini, che ador nano le ville del Circondario Varesino, non maravi glierà di questo fatto, che, a tutta prima, può sembrare quasi incredibile. Dalle felci arboree al garofano dop pio, un vero regno di Flora. Le frutta e l'uva pareva ci riconducessero ai leggendari tempi della terra pro messa. L'agraria, avendo un posto distinto nel pro gramma dell'Esposizione, lo tenne anche nelle aperte sale, e le industrie, nel senso più ristretto della pa rola, inviarono una raccolta di oggetti, che attestavano quanto e come esse fioriscono in codesti luoghi monta mini. A queste fu opportunamente aggiunta la sezione Di dattica, compresivi i lavori femminili, a provare i pro gressi dell'istruzione nelle nostre scuole a cui attin gono il loro sapere i figli dell' operaio e del contadino. Ma una caratteristica speciale dell'Esposizione Vare sina fu la Sezione storico-archeologica e di paleontologia, aperta, con felicissimo pensiero, a confronto dell'indu stria odierna con quella antica e preistorica di questa regione. Il pensiero di opera sì bella, e la meglio riu scita, lo si deve al Cav. Andrea Apostolo, Presidente del Tribunale, e premuroso cultore di memorie patrie. Il paese corrispose degnamente al suo invito, ed a lui furono rese meritate pubbliche lodi dal Giury e da scienziati distinti. Questa sezione, bene ideata, e savia mente ordinata dal signor Alfonso Garovaglio, riusci CAPITOLO PRIMO 9 una delle parti più pregevoli della Mostra ; un vero museo di oggetti, per la maggior parte trovati nel Cir condario, od almeno appartenenti alla storia del mede simo. Quegli oggetti, avanzi preziosi della vita e delle arti di tanti popoli succeduti gli uni agli altri, eramo la vera storia dell'industria nostra, dall'epoca preisto rica al''medio evo, ed al XVIII secolo. Il pubblico, sem pre stipato, accorreva a visitare questa parte sì im portante della Mostra varesina. I dotti ammiravano l'ordine, la copia, la preziosità scientifica della colle zione, ed il popolo maravigliava come, in quegli oggetti rozzi e di poco valore materiale, potevasi capire il modo di vita de' primi abitatori della nostra zona. Tutti poi lamentavano come per l'addietro nulla si curasse, anzi si distruggesse quanto nelle torbiere, nel lago, nelle campagne, trovavasi meritevole di es sere conservato, a ricordo de' popoli antecessori. Face vansi voti, perchè, dopo sì bell'esempio, si raccoglies sero in un sol luogo e si studiassero tutti gli oggetti ritrovati nel Circondario, aventi un valore per la

scienza ). - Colla Classe d'Archeologia e Storia, e in generale di Illustrazione scientifica e artistica del Circondario, forse il meno atteso e più ammirato ornamento del l'Esposizione, era stata data a ciò la prima spinta, e non occorreva che rendere il moto regolare e continuo. A tale scopo così scriveva il Cav. E. Zanzi al Cav. Am drea Apostolo. « – Colpa (se l'amor e del paese e dell'argomento non mi tradisce) sarebbe, ove tempo ancora si attendesse a rintracciare, riunire e conservare le memorie ed i monumenti patrii, ed arrossirei di pu dore nell'udire a ripetere, che non sarebbe prezzo del l'opera l'occupazione. In territorio come il nostro, il 10 VARESE E SUO CIRCONDARIO quale la scienza prova abitato fin dall'epoca preisto rica, e dove non fanno difetto tradizioni e vestigia romane, – in un paese il quale, la posizione, le vicende ed i superstiti monumenti attestano esser stato un com battuto antimurale delle Alpi – che nei nomi delle varie località e nei dialetti rivela traccie molteplici di popolazioni svariate e commiste – che nell'evo medio si frantumò in tanti ordinamenti diversi, sicchè anche piccoli Comuni ebbero catasti, regole ed istituzioni particolari, ed una vita quasi automoma, – in tal paese, io credo, che scienza e patriottismo insieme, confor tino ed incoraggino a raccolta di elementi storici a studi ed illustrazioni. Sorga adunque, dacchè è tanto bene auspicata, la Società per raccogliere e conservare le memorie storiche e le notizie naturali e civili di Varese e del suo territorio : essa sarà la efficace coo peratrice di quei benemeriti che, come il Biondelli, il Peluso, il Berlan, il Garovaglio, studiano, illustrano, o pubblicano le antichità nostre, ed inoltre diverrà continuatrice fortunata dei lavori modesti e pur pre ziosi degli Adamollo, Orrigone, Perabò, Moriggia, Big giogero, Sormani, Ghirlanda, Castiglioni, Grossi e de gli altri scrittori di cronache e memorie varesine, i cui nomi, la gratitudine pubblica dovrebbe togliere dall' oblivione, anche a scansare la non nuova umilia zione di vederceli insegnati da dotti stranieri *). – » Ed ecco infatti che, col giormo 16 ottobre dello stesso anno, si costitui, in Varese, la Società del Museo Patrio, distinta nelle tre classi di Archeologia e Storia, di Sto ria Naturale, di Arti e Lettere; la quale non conta ancora tre anni di esistenza, e già raccolse buona messe di libri, di documenti, di oggetti, e fece vari studi, commendevoli sotto ogni rapporto. CAPITOLO PRIMO - 11 Una circolare del Presidente della stessa, 28 ottobre

successivo, ne spiegava il concetto così: - « – E perchè la nascente istituzione abbia avve nire rispondente al concetto, onde nacque, e riesca a reale giovamento pubblico, si pensò raccomandarla a molteplici e particolari attività; ad azionisti, che le diano base e sostegno finanziario ; a soci effettivi, che la fecondino col lavoro e collo studio; a cittadini ed amici della scienza e del paese, che le sieno generosi di doni, di consigli e di premure. Per tal guisa, ad ogni specie di attitudini, di attività e di buon volere è data occasione e fatto invito di nobile gara, per dar vita al desiderato Museo Patrio; il quale, obbligandoci a studiare ed a meglio conoscere e rivelare la storia e le condizioni naturali e civili del paese, ci crescerà l'amore per questo e la potenza a giovargli. Diamoci dunque fraternamente la mano a pegno di fede corag giosa e di propositi costanti, ed accingiamoci a met tere le prime fondamenta del Museo Patrio, il quale, essendo istituzione di cui si onorano ed avvantaggiano zone di questa meno importanti e fiorenti , dobbiamo riescire a fondare anche noi. Raduneremo in esso gli avanzi e le memorie utili d'ogni antichità locale, – le preziose vestigia di epoche preistoriche, le quali vanno ogni di scoprendosi tra le rive dei nostri laghi – i saggi ordinati e copiosi delle manifestazioni della na tura, dell'arte e del pensiero, in un territorio e fra popolazioni ove la vita si svolse e si feconda con tanta varietà e produttività – i ricordi infine degli uomini e delle istituzioni che giovarono ed illustrarono quest'an golo, a noi doppiamente caro, di patria; – e tutto ciò mella fede, che le onorande tradizioni impegnano per l'avvenire, e tengono desto ed elevato il culto d'ogni I2 vAREsE E suo cIRcoNDARIo buono e d'ogni bello. Così avvenga, che il Museo Pa trio, rintracciando e riunendo a pubblico uso, docu menti, cronache , lapidi, memorie quà e là disperse, renda possibile, in giorno non lontano, un racconto delle vicende e della vita intima e laboriosa delle ge nerazioni che qui ci precedettero; – ordinando e con servando gli avanzi preistorici e gli oggetti di storia naturale riguardanti il territorio, concorra ad appre stare fatti nei quali possano la scienza trovar elementi a progredire, le scuole mezzi di esperienze e di istru zioni, e fonti novelle di attività il paese; – al quale il Museo Patrio faccia ognor più viva la coscienza di quello che desso è e può essere, e del dovere di se condare per ogni via le felici predisposizioni anche nell' ordine dell'intelligenza e dell'arte, col mostrargli riuniti, nel maggior numero possibile, gli scritti d'au tori nostrali o che trattino di cose nostre, i bozzetti , le fotografie, le incisioni, e in genere le riproduzioni, per quanto medeste, delle opere degli artisti, che il Varesotto ha dato e dà, alcuni dei quali sommi 3). – » Ammessa la verità del proverbio, che dice: Meglio tardi che mai, pure è a lamentare che, prima d'allora, non sorgesse in Varese una simile istituzione; cosicchè, di fronte alla ricca congerie di fatti e di cose, al con tinuo avvicendarsi di persone, anche insigni, che il Va resotto ebbe nel giro dei secoli, puossi asserire, non es servi paese come questo, il quale sia tanto povero di cimeli, di memorie, di documenti. Quel poco che al cuni privati, e archivi pubblici, ci hanno conservato fa rimpiangere l' incredibile sperpero, la perdita e la distruzione di tanti manoscritti, di vetuste reliquie, di memorie importanti per la scienza; sperpero avvenuto per incuria di cittadini e di governi, per ire popolari CAPITOLO PRIMO 13 e ancora per casi involontari. In mezzo a tanto vuoto è presunzione il voler una completa illustrazione del nostro Paese. Solo colla cooperazione di molti, col progresso delle scienze, collo scoprire nuova materia a nuove indagini, verrassi a formare un concetto sod disfacente del passato. Intanto però gli è un fatto che, col risveglio attuale degli studi storici ed affini, anche il popolo sente vivo il bisogno di conoscere dove nac que, e dove fu educato, ed impaziente, come sempre, vorrebbe presto ammirare, adunati in opportuno locale, gli oggetti raccolti, vorrebbe leggere gli studi fatti a sua educazione. Finora son pochi quelli, che nutrono piena fiducia nell' eseguimento del fine, propostosi dalla Società del Museo Patrio, perchè sono pochi, che hanno compreso il vasto compito assegnato alla Società stessa, la quale è l'unica, che possa far paghi i voti espressi varie volte da persone illustri e da corpi scientifici. Da ultimo quei voti furono compendiati in una lettera di C. Cantù, scritta al Municipio varesino, quando questo spedi a Milano gli Statuti Originali del 1347, con queste parole : «Converrebbe pure, che alla città di Varese non mancasse quello che altri paesi di minor conto già ebbero; una storia municipale fatta cogli intendimenti che l'età richiede 4). » - Per vero, merita considerazione il fatto, che, in Lom bardia, tutti i paesi di qualche importanza hanno la loro illustrazione storica più o meno completa: sole le città di Varese e di Lecco, che pur ebbero tanta parte nelle vicende dei Comuni Lombardi, ancor non l'hanno, se togli, per Lecco i cenni sparsi ne'vari autori delle vicende lombarde, ed un opuscolo illustrativo del suo Castello, del signor Andrea Apostolo; e per Varese, 14 VARESE E SUO CIRCONDARIO oltre poche notizie me' vari libri di storia patria, i troppo compendiosi opuscoli, copiati e ricopiati, del Ghirlanda, e del P. C. Castiglioni, pubblicati, il primo nel 1817, e il secondo nel 1837. Solamente, nel 1864, il Prof. Berlan mandò alle stampe gli Statuti Originali sopracitati ed ebbe meritata lode. A supplire, pertanto, alla deplorata mancanza, a dar pascolo di lettura al popolo Varesino, che con avidità cerca di conoscere le cronache locali, e più, ad ecci tare altri nel perfezionare e nel rifare l'utile lavoro, pubblico le presenti notizie ordinate alla meglio e in modo di inuzzolire il lettore a miglior libro. Non dissimulo le mende, che verranno scoperte in queste pagine, non ostante la diligenza usata nel va gliar notizie, nel cerziorar date, nel correggere nomi, nello spogliar il vero dalle fiabe, l'utile dalle futilità. Alcune mende non le poterono scansare in opere si mili anche egregi ingegni, sebbene coadjuvati da altri, e provvisti di forti studi e di copiosi mezzi. In men di due anni, usufruendo dell'ozio nelle ore libere, col soccorso di scarzi mezzi, di pochi cortesi, cui ringra zio grandemente, raccolsi notizie, e composi questo li bro tutt'affatto di interesse locale; cosicchè se la po chezza mia non iscusa, sarà almeno accetta ai Varesini l'intenzione. Trascrissi quanto fu già esposto da altri; citai ac curatamente le fonti, a cui attinsi le notizie per ren der così noti i documenti conosciuti, e perchè altri in seguito ne metta in luce, o ne dia comunicazione alla Società del Museo Patrio, affinchè, quegli egregi cit tadini, che onorano sè stessi e la patria col culto delle lettere e delle scienze, possano riescire a completo lavoro, e con esso insegnare non esser gettato il CAPITOLO PRIMO 15 tempo nel meditare gli uomini e i costumi del passato, per cavarne ammaestramenti alla vita futura. Specialmente i giovani, trovando segnati così i punti principali della via, senza rifar faticoso cammino, fa ranno lodevole opera a raccogliere messe di vetusti fatti per cavarne buon costrutto, 'a sceverare le favole dalla storia, a illuminare la storia con saldi docu menti, ad abbellire il racconto con piacevole erudizione ed accurate indagini di archeologia, di statistica, di industria, di commercio, di arti e d'ogni altra nozione che giovi allo scopo; a vendicare, con cenni biografici, dalla incomportabile sconoscenza dei posteri, gli uomini che hanno ben meritato della patria, a far conoscere al popolo l'eredità delle avite glorie dimentiche, e così mantener viva a beneficio pubblico la relazione che passa tra le idee e gli sforzi dei passati, e i doveri e le possibilità dei venturi.

CAPITOL0 II.

Una lettera. - Spigolatura di notizie descrittive,

Era quasi a metà il settembre dell'anno 1872, quando, inaspettata, ma carissima, mi giungeva una lettera di un amico, il quale, con gentili espressioni, richiedevami, tra le altre cose, che gli parlassi di Varese e de' suoi contorni, per poter far decidere la famiglia sua a pas sare alcuni giorni di feria autunnale in questa città. Allora, sapendo io quanto il padre dell' amico fosse dotto e la famiglia sua educata e colta, nè potendo presumere di cavare dalla mia penna, espressioni ba stevoli a dar grazia e forza allo scritto; nè volendo cadere in esagerazioni, raccolsi, in una lunga lettera, quello che trovai in vari libri narrato o descritto. Quella lettera, riformata alquanto, ora ripresento; perchè, in un caso consimile, possa servire a qualche dun altro, od almeno diventi pascolo, di amena ed eru dita lettura. « – Tu mi richiedi che di Varese ti parli e di que sti amenissimi contorni, che, a malgrado de'miei voti e de'miei eccitamenti, non ancora hai visitati (e fac cia il cielo che questa mia descrizione, inspirandoti curiosità, giovi al conseguimento di quella mia brama). Varese e su0 Circ0nd, - Vol. I, 18 VARESE E SUO CIRCONDARIO Più aggradevol richiesta tu far non mi potevi, nè più gentile argomento offerirmi a trattare. L'averti col pensiero a compagno delle mie gite (e tu ben sai che il pensiero di te è uno de' più cari ch'io mi abbia) oh ! quanto non aggiungerà d'attrattiva alle medesime! La sensazione che in noi produce una vista pittoresca, non è molto dissimile da quella che la lettura d'una pagina eloquente risveglia. Esse perdono entrambe la metà della loro forza, se, chiuse nel nostro petto, vi giacciono indivise ). » Tu sei, o meglio, la tua famiglia è indecisa a sce gliere in quest'anno un luogo per villeggiare; ebbene, sappi che una simile indecisione non è nuova: anzi è naturale in chi, non avendo una villa propria, non sa tra tante e variate attrattive, che presenta l'alta Lom bardia, a qual dare la preferenza. Anche il Nipote del Vesta Verde, di buona memoria, anni sono si trovò in tali incertezze. Bramoso di una boccata d'aria campa gnuola, si recò al velocifero (allora non c'era la fer rovia) a far notare il suo nome tra i viaggiatori, che partivano all'indomani, ed il commesso postale gli do mandò : per dove? Dove ? « Frugai nella mia mente per risovvenirmi d'un ar tistico rifugio campestre, che si attagliasse a'miei de sideri. Posi a parallelo le diverse località, ove noi milanesi siam usi a villeggiare. Andrò io sulle ridenti rive del Lario, o alle più severe e maestose del Ver bano ? Passeggerò gli ameni colli della Brianza, o mi caccerò per le vallate Bresciane o Bergamasche? Tutti i siti venivano innanzi alla mia fantasia adorni di ogni seducenza; tutti si offrivano quasi in atto vezzoso a provocare la mia scelta. E ognuno mi parlava il suo CAPITOLO SECONDO 19 linguaggio, e pareva raddoppiare d'eloquenza, tentando di svolgere in suo vantaggio la mia incertezzza. E l'uno: ove troverai la purezza della mia aria, il bal samo de' miei profumi, il verde de' miei prati ? E l'al tro: ove lo specchio delle mie onde, la carezza della breva, le sponde seminate di paesi, di ville, di giar dini, di vigne e d'uliveti ? – E l'altro : Ove mai l'on deggiamento del terreno, il declivio de'colli, ne'fianchi de'quali freme il torrente, e balza l'acqua in mivei spruzzi ? A migliaia a migliaia, come in vortice, mi si affacciavano, mi circuivano, mi premevano le belle im magini. Stava quasi per rimproverare la natura d'es sere stata si prodiga a favore della Lombardia. Alla fine mi risolvetti per Varese. E non se l'abbiano a male le altre delizie lombarde; la mia preferenza per Varese non è per nessun verso un'offesa al loro amor proprio; io so vivere, e mi guardo bene dall'istituire paragoni. Poi le cose belle davvero non debbono mai essere rivali fra loro, ma sempre alleate. Io predilessi Varese per due ragioni; la prima perchè il cielo è d'un azzurro più azzurro che altrove, e questo può essere anche un effetto de' miei occhi; la seconda perchè là avevo degli amici. *). » Molte sono le descrizioni che si hanno di Varese e de' suoi dintorni, dalla più antica del Morigia a quelle che leggonsi nelle più recenti Corografie dell'Italia; ma inutile io credo il trascriverle, perchè fatte con troppo diversi intendimenti ; e però mi limito a dar questa, che trovai in una geografia dell'Italia, compi lata da una società di dotti, e stampata nel 1866.

« – Varese è piccola città, che siede tra il lago di Como, il lago di Lugano e il lago Maggiore. E distante 20 VARESE E SUO CIRCONDARIO da Como 16 miglia, da Lugano 14, da Laveno, che trovasi sulla sponda del Verbano, 12, e 27 da Milano, alla cui diocesi è sottoposta. Non molto è lontano dalla riva destra dell'Olona, nonchè da un laghetto, cui esso dà il nome. - » ......

Varese è città floridissima per com mercio e per industria, possedendo molti filatoi e tor citoi per le sete. Ottimi vini producono i vigneti de'suoi colli, e vi fu un tempo in cui, per cura del Senatore Dandolo, venne introdotto l'allevamento dei merinos di Spagna. Bellissimi palazzi si veggono nell'interno, ed eleganti villeggiature ne'dintorni. Fra i primi spicca il palazzo Veratti, già proprietà di Francesco III; fra le seconde, ove si gode tutto l'incanto delle campestri e montanine bellezze, si additano quelle che apparten gono alle famiglie De-Cristoforis, Berra, Mozzoni, Ar pegiani, Resta, Maestri, Taccioli, Litta, Ponti e Poggi. Dal giardino e dalle facciate di alcune di esse si pre sentano allo sguardo svariatissime scene. Là sorge un boscato monticello, e sopra il vertice ha un gruppo di rustici casolari, e, più oltre, una bella catena di poggi stendesi in peregrina vaghezza, a foggia di luna cre scente. Se inchini lo sguardo, vedi il lago allargantesi, come i desideri dell'innocenza, e vagamente luccicarti dinanzi un raggio di sole, che, all'improvviso spun tando, novella vita infonde al paese, col creare novelli riflessi di luce, e il pittoresco allungarsi dell' ombre. Al di là dell'onda del lago v'è dolce rilevarsi di col linette, poi salire di monti, indi torreggiare nell'estre mità delle vetustissime Alpi. Qui, uno spazioso declive seminato di boschi, di vigneti, di contadineschi abituri e, nel fondo, la via che mette al monte, sul vertice del CAPITOI,O SECONDO eI quale biancheggiano il Santuario e le cappelle, che la costeggiano. Da un'altra villa contempli un prospetto di forma affatto diversa. Il ridente della natura abbel lita dalla mano liberale della ricchezza, dalla mano industriosa dell'arte. Quante magnifiche ville su quella pendice a rincontro, e al disopra un monte, che ai due estremi lati s'avvalla, onde concedere all'occhio il varco a discernere altre lontanissime valli, il cui fosco az zurro confina, ma senza confondersi, col lucido azzurro del cielo. Quando hai gustato l'amenità di queste vedute, se brami di goderne altre, ti rechi ad una villa diversa, e nuovo spettacolo ti lusinga lo sguardo. Indescrivi bile è lo spettacolo che puoi godere dal terrazzo della medesima. Laghetti che si distendono come lucido spec chio fra collicelli di graziosa forma, ed in fondo il maestoso Verbano, la cui vista, intercettata più volte, ti ritorna a comparire in lunghissima striscia. Belgi rate, sull'opposto suo lido, con altri paesetti, apparisce a compiere l'amenità della scena. A diritta, la cresta del Sacro Monte co' suoi edifizi rammenta all'osser vatore l'acropoli delle antiche città di Grecia. A si nistra, un'immensa circolare catena di colli, che, di tratto in tratto inclinandosi, lasciano all'occhio la fa coltà di errare nella più lontana pianura. E nel fondo finalmente le Alpi, quelle grandi ossa della terra, con finanti col cielo, chiudono con severa maestà l'oriz zonte *). In passato e fino al principio del secolo presente non eravi principe che, visitando la Lombardia e i suoi laghi, non visitasse anche Varese; e gli alberghi del Borgo si facevano belli di ciò, come era costume d'al lora, coll'appendere ai muri gli stemmi gentilizi de 22 VARESE E SUO CIRCONDARIO gli illustri visitatori 4). Alcune guide forestiere, pur oggidi, lodando questa parte di Lombardia, distolgono i viaggiatori d'oltralpe, che numerosi discendono in Italia, dal visitare Varese, come quello che non ha al berghi di lusso e di comodi, quali si richiedono dal progresso de'tempi nostri. Ma ecco riparato anche a questo difetto col grandioso albergo Excelsior, che sorge nella Castellanza di Casbenno, e con altri minori che si apriranno in seguito. Però Varese non ha mai cessato di essere meta predi letta alle scampagnate dei Milanesi, i quali, villeggiando nelle Castellanze e nei vari paesi del Circondario va resino, dove vengono a respirare l'aria balsamica della campagna, fanno di Varese il centro di lieto convegno. « Milano è pur sì infelicemente posto, quanto al l'amenità, chè più d'ogni altra città sente il bisogno di sfogo, e per avventura di tutte quelle che la cir condano, nessuna par che sia più adatta di Varese a soddisfargliela. « Monza è troppo accosto, sente troppo della pia nura; Como e Lecco hanno presso il lago, che assorbe i passeggeri allo scender dagli omnibus, e, assorbiti che siano, non son più per loro: la Brianza manca d'un centro abbastanza popoloso per le agevolezze cit tadine che non si dimenticano mai. « Nessuno più smanioso d'un buon milanese mel de siderare a' giorni estivi un po' d'aria di campagna; ma nessuno più annoiato di lui in capo a tre dì, se non ha chi gli rammenti la vita cittadina. Ei vuol far, le visite, andar al caffè, leggervi i giornali, udire un po' di musica, se occorre, cose tutte che non si ponno avere se non dove una popolazione numerosa se ne fa un obbligo. oAPIToLo sEcoNDo . 23 « La mostra città ha, sopra le vicine, questo di buono che può offrire ai neofiti della natura l'aspetto vago della campagna, le gite piacevoli, con una tal quale continuazione delle vecchie abitudini *). » E qui, tacendo di quello che sia per divenire Varese col crescere de'comodi, di abbellimenti o di altro influente sulla sua futura prosperità ecco che colla ferrovia in due ore da Milano si giunge a Varese. Il viaggiatore, oltrapassata di poco l'ultima stazione di Gazzada, guardando dallo sportello, meravigliato, ammira il bel panorama del Lago nostro, gli ameni colli, i biancheg gianti casini, ed in fondo le Alpi nevose. Quella vista dura poco, chè la locomotiva fuggente non da tempo di contemplarla, e, di lì a pochi minuti, si discende alla stazione di Varese. E per primo: ecco il poetico colpo d'occhio, che pre senta la città, accovacciata nella valle formata dalle colline circostanti; ecco l'alto campanile; ecco ville e palazzi d'un aspetto pittoresco indescrivibile. Ma il viag giatore neppure qui si ferma. Ei discende frettoloso e s'avvia per godere, a suo bell'agio, le bellezze del luogo. Durante tutto l'autunno, e specialmente ne' dì di mer eato, incontra un insolito movimento di gente, di carri, di carrozze, di cavalli, di buoi. « Per la città vedesi un affollarsi di contadini e di signori, una felice mesco lanza della società più raffinata colla semplice e na turale. » Nè credasi che solo in autunno sia bello il pano rama del Varesotto ; desso è bello anche nel verno, quando il cielo sereno e le piante spogliate lasciano ve dere ogni casolare anche in lontananza º). Chi rileva ogni bellezza e varietà dei dintorni di Varese è il cacciatore, il quale pedestre s'arrampica 24 vAREsE E suo cIRcoNDARIo su pei monti, discende nelle valli, e, ad ogni breve tratto, contempla le nuove vedute, i deliziosi boschi, i roman tici panorami, i pittoreschi paeselli. Non v'è alcuno poi, anche di poco censo, che, fermandosi alcuni giorni a Varese, non visiti il Sacro Monte, le cave di Viggiù, la Fontana degli ammalati, od almeno qualcuno dei rinomati giardini, che ornano il Varesotto, dove i ricchi spendono ogni anno ingenti somme, approfittando dell'opera di valenti giardinieri, la più parte dei quali vantano buon numero di medaglie d'oro, d'argento e di bronzo, conseguite in diverse esposizioni agricole e di floricoltura. Ma tralasciamo per ora la descrizioni, e passiamo a fare un utile confronto del Varese vec chio, col Varese nuovo 7). CAPITOLO III.

Varese qual'era. - Varese qual'è.

Etimologia. – Voglio, in prima, rispondere ad una dimanda, che un giovinetto fece al suo papà, leggendo un avviso del Municipio: domanda a cui pochi sanno rispondere, come non seppe rispondere quel babbo. Perchè, chiese quel ragazzo curioso, perchè Varese lo chiamano Varese ed unite Castellanze ? I nomi dei paesi sono i documenti più antichi delle lingue: perchè i meno mutevoli, e aventi quasi sempre relazione con un fatto speciale, che merita di essere conosciuto. È disgrazia, però, che di molti nomi locali non si conosca l'origine, a rintracciar la quale è di retto lo sforzo dei recenti studi, con cui cercasi di rigettare, con giusto criterio, le assurde interpretazioni, che ne' secoli scorsi usavansi per boria; e procurasi inoltre di gettar nuova luce sulla storia delle diverse regioni prese in esame. Sull'etimologia del nome Varese variano gli scrit tori: chi lo deriva dal greco, chi dal latino, chi dal celtico. Intorno ad esso scrissero il Giovio, il Merula il Bonav. Castiglione, il Giulini ed altri. Vogliono che anticamente si chiamasse Vosisium, Baretium, Vicus Varonis, Vallexium, Vallexitum. 26 VARESE E SUO CIRCONDARIO Il denominarono : Vicus Varonis – perchè, giusta una tradizione, Varone qui aveva la sua villa ; e vi fu benanco alcuno che asserì , non so con qual fonda mento, esser quella villa posta sul colle Monte Albano a Bosto; e Vallexcitum – dall'uscita delle valli, che qui mettono foce, di Laveno, di Cuvio, di Marchirolo, di Ganna, di Arcisate, di Stabio, di Malnate e di Vedano. Il Giulini poi, riportando quelle denominazioni, os serva come il nome Varese si trova così citato, senza variazione , in una pergamena della nostra Basilica del 1032, e soggiunge: « Per me credo che, per ac certare la vera etimologia di un tal nome, converrebbe, più che della greca e della latina, aver pratica del l'antica lingua teutonica ). » Ecco infatti che C. Cantù, nella sua Storia di Mi lano, edita nel 187l, in una nota, mette Varese qual parola di derivazione celtica, e precisamente dalla ra dice var, che significa acqua. Ma il Cantù nulla dice della desinenza latina ese, la quale, pare, abbia deciso il Corbellini, ne' suoi Cenni sopra il Castel Seprio, a ritenerlo derivante dal latino. In mezzo a tanta discrepanza di opinioni, mi sia lecito dire anche la mia ; evitando però una lunga disquisi zione scientifica. Gli è un fatto, che tra noi sonvi nomi locali di di verse origini, e tra questi i più sono derivati dal la tino ; essendochè la dominazione romana, la più re cente, la più duratura, fece sentire, più profondo, il suo influsso, a segno che latinizzò anche i nomi di origine celtica. Quando vuolsi conoscere l'origine di un nome locale, abbisogna por mente, non solo alla radice, ma ben anche alla terminazione, che spesso vien modificata CAPITOLO TERZO 27 dal genere della radice stessa. Quando poi trovasi un fatto, che spiega tutto il nome facilmente, devesi at tenersi più a questo, che alle difficili supposizioni. Ora la terminazione ese è suffisso di appartenenza, come usasi tuttodì, dicendo milanese, pavese, ecc., e deriva dal suffisso latino ensis, come mediolanensis, papien sis, ecc. In Italia due sono i Varese ; quel ligure, ed il nostro. Il primo è facile capire da che derivi, stando esso a cavaliere del torrente Vare, che lo biparte. Ma quale acqua diede nome al nostro? Molti nomi locali hanno per radice var, ma non tutti, certamente, derivano dal var celtico, acqua, stando anzi alcuni su culmini asciutti. Che Varano, vicino al nostro lago, derivi da var, acqua, è ammissibile; ma per il nostro Varese non mi par probabile; a meno che vogliasi tener conto del piccolo torrente Vellone, che pare deviato appositamente , ed, in tal caso, il nome Varese sarebbe di recente data: ciò che non è. Come in Brianza evvi Albese e Vill'Albese, ossia paese o villa della famiglia Alba, (rus albense); così il Varese nostro è probabile derivi dal nome di una

famiglia romana. Quale ? - Impossibil cosa è imaginarla, ma facile asserirlo, quando si sa che gli scrittori delle antichità del nostro paese, col testimonio di lapidi romane, trovate nel con tado di Seprio e ne'dintorni di Varese, affermano, tra le famiglie romane stabilite su questi colli deliziosi, es servi stata la famiglia Varia. Dunque sbaglio a dire, che Varese significa villa, castello, borgo, luogo abitato dai Varii ? Il vicus va riensis, il rus, il castrum variense latino, con facile e comune passaggio, in italiano diventò Varese, scompa 23 VARESE E SUO CIRCONDARIO rendo, come sempre, la lettera n, e la lettera i, prece dente la e, come da Mediolanensis si fece Milanese, da Sienensis, Senensis, Senese, e con maggior trasfor- mazione da Papiensis, Pavese. In questa ipotesi conviene il vicus Varonis, non certo nuovo; notando infatti che Varone apparteneva alla fa miglia Varia, e con tal nome è citato da Virgilio e da Orazio. Se si potesse stabilire, con certezza, tale as serto, qual vanto pei Varesini l'avere avuto a concit tadino il celebre poeta, l' amico di Cesare, di Augusto, di Virgilio, di Orazio ! CASTELLANzE. – Questo nome trae origine dai vari castelli, che nel medio evo sorgevano, ad ogni tratto, specialmente sulle nostre alture, alcune de' quali di ori gine antichissima. Nei decreti, con cui gli ultimi Visconti distribuirono le rendite delle varie terre del Milanese, sonvi citati diversi nomi di borghi colle relative castellanze, come Brebbia, Angera, Varese. Da quel tempo, scomparendo il regime feudale, quei borghi perdettero e importanza, e giurisdizione sulle terre o castellanze, a loro dipen denti. Solo Varese, unico in Italia, ritenme quel nome sto rico, per il fatto, che, avendo le sue castellanze cir convicine, formò sempre con esse un sol Comune. Le castellanze sono : BIUMO SUPERIORE BIUMo INFERIORE } nelle pergamene dette Bimi. Il Morigia vuole, che alcuni baroni boemi, qui sta bilitisi, anticamente dessero il nome a queste due ca stellanze, ed alla loro prosapia di gran lustro per Va rese. Ma sta sempre il dubbio che quei signori, anzichè aver dato il nome alle due castellanze, abbiano da esse ricevuto il cognome loro. CAPITOI,O TERZO 29 BosTo. – Finora nessuno, che io mi sappia, inter pretò questo nome. Osservando quindi, che nelle per gamene più vecchie è detto Busto, ed in alcune per distinguerlo dagli altri omonimi, v' è aggiunto prope Varisium, non sembra inverosimile, che que sto nome sia di origine latina, e che debba dedursi da cremazione. I Romani, che qui stanziarono, avranno pur cremato i loro cadaveri, come è provato dalle ne cropoli scoperte: e siccome le loro necropoli usavano col locarle in luoghi appartati, fuori dal centro abitato, e possibilmente in luoghi elevati; così è facile supporre, che abbiano scelto all'uopo questo vicino colle, e su esso collocati i loro tumuli o sepolcri. Infatti gli scrittori classici latini usano tal parola per indicare pira, rogo, sepolcro, tumulo; e, per prova, citerò il seguente verso di Ovidio Ducitur ad tumulum, diroque it hostia busto, e il Bustum, ossia recinto apposito eretto in Roma per la cremazione de' cadaveri, ai tempi d'Augusto; e, più che tutto, il fatto, che appunto, sul detto colle, diverse volte trovaronsi sepolcreti. Di quei sepolcreti nulla ci resta; ma gli indizi, e la descrizione fatta dai vecchi contadini fanno sì, che si debbano ritenere dell'epoca romana. GIUBIANo – nelle pergamene Zoblanum. Pur questo nome è di origine latina, e deriva da Jovianus: forse per un bosco sacro a Giove, o per qual che sacello speciale, dedicato a quel dio in quel luogo; od anche per la via, che conduceva al tempio di Giove, eretto lì vicino, e precisamente sull'area dell'attuale Basilica di S. Vittore. Alcuno volle, che Giubiano fosse un composto di 30) VARESE E SUO CIRCONDARIO Jovis e Janus; ma ciò non può essere, essendochè i Romani non usavano adorare Giove e Giano in uno stesso luogo. Il primo era deità latina, il secondo deità italica; e ben diverso era lo scopo del loro culto. Inoltre jovianus è aggettivo derivato naturale da jovis, ed in ciò concorda anche il Flechia per altri Giubiani *). CAsBENNo. – Nelle pergamene castrum blenum, blennum, blinnum. La prima parte di questa parola suona castello, ma niun indizio o nota abbiamo di fortificazioni ivi esi stenti. Può essere, che sia usato nelle pergamene, le quali non risalgono al di là del mille, ad indicare luogo abitato, come rilevasi di altri consimili ; ma, ac cettando il castro per castello, riman sempre a spie gare la seconda parte; la quale, volendo fare ipotesi ardite, si potrebbe derivare da brin celtico, castello capo, alludendo al complesso delle fortificazioni, che cingevano Varese, e che formavano il centro princi pale di esse in questa regione prealpina. Un esempio di brin, volto in blen, l'abbiamo nella vicina Svizzera, dove trovasi Blenio, detto da alcuni Blennio, od anche Brenno.

origine. – Nulla sappiamo intorno alla fondazione di Varese, che si perde nell'oscurità de' remoti tempi; e neppur puossi precisare il luogo, dove venne fondato in principio: cosicchè chi asserisse, essere la cerchia dell'abitato odierno la derivazione delle prime capanne, sparse quà e là, o raccolte in recinto ; ovvero soste nesse sorgere Varese d' oggidì al medesimo posto , ove stava il Varese a' tempi romani, costui affer merebbe cosa impossibile a constatarsi, ed avrebbe contrari due fatti. L'uno, di altri paesi, anche del CAPITOLO TERZO 3l nostro circondario, conservanti tuttora l'antico nome, ma rifabbricati, per vari motivi, non lungi, dal luogo primitivo; l'altro della tradizione costante regi strata in vari libri, e tuttora ripetuta da qualche vec chio, dell'esistenza di centri popolosi, di grandi città, come dicono, a Belforte , a Velate, dal Nifontano a Schianno, da Velmaio a Stabio, e non mai nella val letta, dove sta l'attuale città. Noi però, senza perderci in inutili ed incerte induzioni; anzi, trascurando le minuziose notizie, di cui son pieni i libri e le cronache, procuriamo, con brevi e distinti cenni intorno ai principali elementi della vita pubblica, di rilevare qual fosse Varese in passato , e le sue ma teriali vicende, per far utile confronto col presente, e benedire i frutti della civiltà.

Religione. – Qual fosse il culto de' primi abitatori di questa nostra regione, nessuno lo sa: qualora non vogliansi considerare, e gli avanzi di animali accumu lati presso le palafitte, come resti di pasti funerei, e le grosse pietre grezze rinvenute, addossate le une, alle altre, in vario modo , ed in varie località, quali mo numenti druidici: reliquie del culto delle celtiche tribù calate dal Settentrione ad occupare questa contrada. Abbiamo però innumerevoli memorie del culto poli teistico dei Romani dalle epigrafi ritrovate, in cui sono citate deità, non solo latine, ma anche altre, che ere ditarono dagli altri popoli. La tradizione ci apprende, che sul vicino monte fu rono combattute le ultime battaglie tra Ariani e Cat tolici, e che nelle vicinanze, fu ben presto predicata la religione cristiana. Con sicurezza quindi si può ar guire, che, verso la fine del secolo V, quel culto fosse 32 VARESE E SUO CIRCONDARI( universale. In seguito di tempo, anche qui vediamo aggiogarsi la croce alla spada, confondersi i diritti ec clesiastici coi politici, unirsi feudi con opere di pietà, società di lavoro con società di preghiera, avvicendarsi guerre, ribellioni e scomuniche. Per lungo corso di anni la religione si impone talmente, che tenta assor bire e dirigere tutto colla sua influenza tutelare, colle sue immunità e privilegi, e colle sue cerimonie. Tolto qualche periodo, in cui il Comune comprende la sua indipendenza, e cerca esercitarla, anche avversando persone e diritti ecclestiastici, fino al principio del se colo XVIII, è più facile trovar registrato nelle cro nache la predica di un frate, la festa di un santo e tutto ciò, che la fede o la superstizione teneva per miracoloso, di quello che sia conoscere qual fosse la vita materiale del popolo. Arrivava un prelato, e tutto il Borgo era in moto per riceverlo ; eravi funzione re ligiosa in chiesa, e la Reggenza facevasi dovere di in tervenirvi. Nel secolo XIII la superiorità dei borghi derivavasi dal maggior numero di chiese e di altari posseduti: e Varese, nel 1288, si vanta superiore allo stesso Seprio, da cui dipendeva, perchè la Pieve Varesina contava 55 chiese e 70 altari; mentre la Sepriana non aveva che 48 chiese, e 60 altari. Dal XVI secolo fino allo scorcio del secolo passato, le feste religiose, che a brevi in tervalli si celebravano con grandi apparati, erano gli avvenimenti, a cui il popolo prendeva maggior inte resse, e per l'indole de'tempi e pel commercio, che quelle pompe promuovevano. In alcune circostanze il concorso a quelle feste fu tale, che non solo molti dovettero dormire sotto i por tici e per le piazze, ma anche la Reggenza fu impen sierita per la penuria dei viveri, CAPITOLO TERZO 33 Colla rivoluzione francese si trascorre ad esagera zioni contrarie; indi col dominio austriaco ritorna do minante la religione cattolica, e come religione di Stato, osservata con legalità dai pubblici funzionari. Final mente, nella rivoluzione del 1848, la bandiera tricolore si benedice in chiesa, e la religione consacra il grido di libertà. Col risorgere, da ultimo, dell'Italia a nuova vita, la Chiesa vien dichiarata distinta e libera nello Stato, e la religione si elimina onninamente dall'am ministrazione civile, proclamandosi la libertà dei culti. Varese ebbe pure i suoi santi. Sant'Imero, della fa miglia Piccinelli, martirizzato con San Gemolo nella Valgana, l'anno 1047; il Beato Cristoforo Piccinelli, fondatore del convento dell'Annunziata; il Beato Raf faele Griffi, minor osservante, morto nel 1483; i due padri minori riformati, Gaspare Daverio e Samuele Marzorati, martirizzati, il primo, in Praga, il secondo nell'Etiopia. *). - storia. – È solo in questi ultimi anni, che i co piosi avanzi dell'uomo preistorico, trovati nelle nostre torbiere e nel lago, vennero a gettare qualche sprazzo di luce nelle tenebre, che avvolgevano il periodo, in cui vissero i primi abitatori di questa regione, ai quali susseguirono le tribù dei Celti e dei Galli, come lo provano alcuni oggetti scoperti di recente. Indi i Romani qui stabilirono stazioni principali delle loro legioni, le quali, qui svernando od agguerrendosi, movevano poi alla volta della Gallia e della Germania. Ben presto le alture furono munite di fortificazioni, e nel medio evo si contavano a centinaia 4). Qual sorte fu serbata a Varese nelle continue irruzioni dei bar bari , da nessun ci venne tramandata. Nelle guerre Varese e suo Circond. – VoL. I. 3 34 VARESE E SUO CIRCONDARIO contro il Barbarossa, Varese figura fra i suoi alleati, Nelle fazioni, che dividevano i Lombardi, ora tenne d'una parte, ora d'un'altra. Fece danno ai Milanesi ed ai Comaschi, e ne ricevette. Per alcun tempo si resse a repubblica, usando degli Statuti di Milano, indi ne compilò di propri. Nel 1310 cadde sotto la totale si gnoria degli Arcivescovi di Milano. Filippo , Lodrisio Visconti, Facino Cane si succedettero nel possesso di questa terra; e final mente, dopo tante vicende, fu occupata dagli Svizzeri, guidati dal Cardinale di Sion. Passò sotto il dominio de'vari duchi di Milano; sostenne con ogni sacrificio il privilegio, avuto dai sovrani spagnuoli, allora domi nanti in Italia, di non essere infeudato, fin quando Maria Teresa costituì Varese in Signoria di France sco III duca di Modena. Nel 1796 innalzò il grido di libertà, e fece parte della repubblica cisalpina; poscia seguì le sorti comuni di tutta la Lombadia, e dall'Im peratore Francesco I fu insignito del grado di città. Nel 1859 accoglieva festosa Garibaldi, che, insieme ai suoi prodi, moveva a rivendicare i diritti degli Italiani. Gli abitanti secondarono i generosi sforzi di quei bat taglieri, il Generale Urban fu cacciato, ed a Varese fu esercitato il primo atto di sovranità, per la Lom bardia, a nome di Vittorio Emanuele.

Scuole. – Sono assai scarse le notizie, che si hanno intorno alle Scuole di Varese dei passati tempi; offro tuttavia quanto ho potuto raccogliere in ordine cro nologico, giacchè le sono notizie, che, unite ad altre più estese da assumere, interessar ponno per uno studio sulla coltura e sull'educazione della nostra città. Sebbene la universale ignoranza, in cui giacque som CAPITOLO TERZO 35 mersa l'Italia ne' secoli di mezzo, e nella quale erano avvolti eziandio gli ecclesiastici, qui pure facesse ri sentire le sue tristi conseguenze, non vuolsi perciò credere, che, mancante al tutto di uominir dotti, fosse stata Varese in quell'epoca. Non è dubbio , che in quei tempi eranvi, presso il Capitolo, Scuole di lettere latine per l'istruzione dei chierici, i quali avevano scuola propria diretta dal Magister Scolarum, come ne fanno fede le pergamene della Chiesa, pel corso di più di due secoli, dall'anno 1145 in avanti. È proba bile, che quelle scuole sieno durate, come altrove, fin verso il 1500. Il locale era chiamato Secretarium Cle ricorum, e perchè i chierici facevano vita comune, essendo iniziati agli ordini ecclesiastici, sembra aves sero in comune coi canonici anche il refettorio. Da una pianta dell'antica chiesa, del 1450 circa, esi stente nell'archivio della fabbriceria, rilevasi come, in una stanza superiore della vicina chiesa di San Lo renzo, vi si tenesse la scuola dei puttini. Forse prima idea di un asilo infantile. Nel 1616, eletto prevosto il Sac. Nob. Andrea Dralli, questi fondò, del proprio, una scuola per gli adulti, in cui egli stesso insegnava, e che dotò di un'annua ren dita, istituendo un legato a favore di essa. Nel 1659, a spese della Comunità, si aprono Scuole pubbliche nel locale dell'Ospedale, e all'uopo sono chia mati quattro maestri, essendo quelle scuole divise in quattro classi: cioè, di Grammatica, di Umanità infe riore e superiore, e di Rettorica. Queste scuole termi narono nel 1664, « e la causa fu, che alcuni princi pali del Borgo reclamarono, perchè fossero di troppa spesa, ed anche perchè li paesani e l'altra gente bassa, che doveva allevare i figliuoli al lavorerio della terra 36 vARESE E SUO CIRCONDARIO ed alle arti meccaniche, li mandavano a scuola, atteso il comodo, che avevano di non pagare li maestri ; e però dette scuole hanno continuato solamente per cinque anni, dal 1659 fino alla vendemmia di quest'anno (1664); e dalle scritture della Comunità appare, che solo erano terminate nell' anno 1666, perchè vi è l'ordine 4 marzo, d'anno stesso, nel quale si ordina di levare dette scuole, e ciò attesi li riclami, specialmente della squadra di Biumo Superiore e Inferiore, che fecero le loro pro teste per Istromento ». (Cronaca Adamollo). Il Moriggia, nella sua descrizione di Varese, tra le opere pie, cita la scolastica – « dei Sigg. Orrigoni, in stituita per ammaestrare 25 figliuoli di gentiluomi, di Casa Orrigona, Biuma e Mozzona. » – « Appresso in Pavia v'è il Collegio dei Griffi, a perpetua memoria di casa Griffi di Varese. Siccome anco del legato del signor Ettore Orrigoni, fisico, a uno della famiglia Or rigona, ovvero Biuma, che studia in pubblico studio. E il Dott. Giovanni Battista Biumo, protofisico di Roma, lasciò un legato di 100 lire l'anno imperiali, per aiutare un povero figliuolo di casa Biuma, che studia in pub blico studio. » Nel 1737 i Padri Gesuiti aprono, presso alla chiesa di S. Antonio, un pubblico ginnasio, che nel 1743 tra sportano in piazza S. Antonino, e per tale ufficio eb bero in eredità ingenti somme, loro lasciate da alcuni benefattori, pel fine che aprissero scuola in Varese. Soppressi i Gesuiti, il Governo avocò a sè i beni dei medesimi; e Francesco III, facendo ragione ai di ritti della Reggenza sull'asse ex-gesuitico per le scuole, apre un nuovo ginnasio, ed assegna ai maestri sti pendi fissi così distribuiti : Al lettore di filosofia, L, 900, oltre l'abitazione; al CAPITOI,O TERZO , 37 maestro di rettorica, L. 900; a quello di gramma tica superiore, L. 950; a quello di grammatica infe riore, L. 800; e L. 1,500 da ripartirsi tra due mae stri di aritmetica e conteggio mercantile; al direttore, L. 3000 ; al bidello, L. 300. Oltre tali assegni, che importavano la spesa d; L. 11,920, essendo l'asse ex-gesuitico di L. 16293, ne avanzavano L. 4373, che eramo riservate pel paga mento delle pensioni, col cessar delle quali, dovevano essere erogate per una scuola di disegno *). Nell'anno 1758, le pensioni ai maestri ginnasiali fu rono così ridotte : Al direttore Marchese Roberto Orrigoni, L. 2900; al Padre Ippolito Bianchi, nominato maestro in Filo sofia e Rettorica, L. 870; al Padre Carlo Francesco Parravicini, maestro di Umanità e Grammatica, L.9187; ai fratelli Grassini, maestri di Aritmetica, L. 1,450; ed al Bidello, L. 290; ed il resto al compimento di L. 7,000 da usarsi per le altre occorrenti spese. Cessate quelle scuole, per vari motivi, e più per mancanza di fondi, con decreto 15 settembre 1790 dell'Imp. Regio Governo, le pubbliche scuole furono in parte di nuovo attivate coi seguenti maestri: Carlo Grassini per l'Aritmetica, con L. 1,050; Dome nico Pagani, con L. 459. 3. 6. per la Grammatica; Gras sini Antonio per la Calligrafia, L. 500; Frate Giulio Ronchellio, maestro normale, con L. 75; Frate Gia cinto Zerbi, gratuito; Ballemari Gaetano, maestro nor male, L. 500; Angelo Bonazzola e Prudenza Sirtori, L. 100. Con istromento 5 ottrobre dell'anno l79l , il Go verno, sull'asse ex-gesuitico, all'oggetto delle Pub bliche Scuole in Varese, assegnò 200.000 lire, in due 38 v ARESE E SUO CIRCONDARIO cartelle, una di L. 131,000, sul Monte di Santa Teresa, fruttante il 3 , p.ºlo, e l'altra di L. 69000, sopra la Ducal Camera di Milano, coll'interesse del 3 le p.º. – Queste due cartelle furono rilasciate nell'anno seguente, una in data 21, e l' altra 3l luglio. Il Regio Ginnasio in Varese fu ristabilito nel 1793 coi seguenti maestri : Padre Ippolito Bianchi, maestro di Rettorica e Geo metria, con L. 1,000; Carlo Grassini, maestro d'Arit metica superiore, con L. 1,100; P. Ercole Castiglioni, maestro di Grammatica superiore, con L. 459. 3. 6; Balenari Gaetano maestro normale con, L.500; P. Giulio Ronchellio, maestro normale, con L.75; Grassini Antonio, maestro d'Aritmetica inferiore, con L.500, Prudenza Sir tori, maestra normale con L. 100; P. Giacinto Zerbi, car melitano, maestro normale gratuito. Oltre gli stipendi suddetti, eranvi quelli del Rag. Tesoriere, del Bidello, del fitto dei locali, della legna, dei premi, non che L. 330 accordate al P. Bianchi, nel 1791 , per pensione vi talizia. Durante il periodo della repubblica cisalpina e del primo regno italico, le Scuole Varesine subirono diverse modificazioni, e per qualche anno il ginnasio pubblico venne incorporato nel Collegio di Varese, che era un convitto, aperto dal cittadino Melli, nel locale dell'ex monastero di S. Martino. I convittori di quel collegio vestivano marsina verde col colletto cremisi. Il col legio durò fino al 1813, ed ogni anno usava dar sag gio del profitto degli allievi con una Accademia Let teraria, in cui leggevansi componimenti in italiano, in latino ed in francese, recitavansi sonetti pedanteschi, e burleschi, odi saffiche, e tuttochè poteva dare l'Ar cadia, i tempi eroici, le repubbliche antiche, e la vena bernesca; il tutto framezzato con sinfonie. CAPITOLO TERZO 39 Nel 1801, ossia nel nono anno repubblicano, al 10 pratile, fu stabilito un nuovo piano organico per le scuole, ove, alle solite istruzioni, vennero aggiunte il Diritto sociale, la Morale repubblicana, e l'esercizio nel maneggio delle armi repubblicane, tutti i quinti di. Fu esclusa l'istruzione religiosa, dicendosi, che, per l'istruzione morale, i giovanetti avevano i loro rispet tivi Parrochi; solo si ritenne la Messa, perchè pagata dall'apposito legato Orelli. Quest'ultima disposizione si osservò anche nella ri forma, che fece il Consiglio Comunale, nel 1804, ot temperando alla legge 4 settembre 1802. Quella riforma venne proposta, affinchè venissero le scuole pubbliche ad essere di nuovo staccate dal Collegio Melli, per avere vita a sè, e dar veri frutti di educazione, stan techè in quel collegio, fondato per mera speculazione, erano più le lustre della educazione, che la realtà. In quell'occasione il Consiglio sollecitò il Governo a pagare gli interessi annuali, e gli arretrati delle due Cartelle del Monte di Santa Teresa, assegnate all'istru zione di Varese, e reclamò il pagamento di esse, come debito nazionale dovuto al Comune, e non come sussidio alle scuole, ciò che allegava il Governo per non più pagarle , avendo dichiarate le scuole tutte a carico dei singoli Comuni. Allora si provvide a rego lare anche le scuole elementari, e si nominò una mae stra, certa Serafina Cabiati, per le femmine; mentre prima gli elementi del leggere e scrivere alle femmine venivano insegnati dal maestro Corti Gio. Battista. Dopo il 1814, il Ginnasio diventò ben poca cosa, sic- chè il Podestà Robbioni fece un legato di lire 8000 per ripristinare le classi terza e quarta ginnasiali, siccome venne fatto nel 1822. 40 VARESE E SUO CIRCONDARIO Nel giugno 1822, l'I. R. Ispettore delle Scuole Ele mentari, in occasione di una visita, istituì la Scuola maggiore di 3 classi, assegnando: L. 100 al direttore, Sac, Parravicini; L. 400 al catechista, signor Sacer dote Francesco Magatti; al signor Simonetta, maestro di terza classe, L. 700; al Sac. Molina, maestro di se conda classe, L. 650; ad Angelo Colombo, maestro di prima classe, L. 600; il resto come in addietro. Nel 1825, il Consiglio Comunale ridiede assetto alle scuole comunali, nominando maestro il signor Gio vanni Antonio Colombo. Durante il cessato dominio austriaco, le scuole ele mentari furono regolate dalla legge comune, sotto la direzione del Prevosto locale. Le scuole maschili si tenevano nella distrutta Chiesa di San Lorenzo, e quella per le ragazze, divisa in due classi, nelle sale della vicina casa del Teatro. Nel 1840, si aprì un Collegio convitto maschile, pri vato, nel locale dell'ex monastero di Santa Teresa, e di venuto poi proprietà del Prof. Sac. Prina, questi as sunse l'istruzione gratuita di 4 alunni esterni, all'epoca della soppressione del pubblico ginnasio. Soppresso il ginnasio pubblico, perchè, dicesi, il Co mune non volle sobbarcarsi alla spesa di provvedere al numero di maestri, prescritto dal Governo, si aperse, nel 1853, una Scuola Reale di tre classi, come quella, che era richiesta dalla tendenza dei cittadini, i quali inclinavano avviare i loro figli alla cariera del com mercio. Nel 1855, la sede delle pubbliche scuole, tanto pri marie, che regie, si stabilì nell'ampio edificio, eretto dal Comune, nella piazza di S. Martino; ma i loro or dinamenti non ebbero modificazione alcuna fino al 1859, V CAPITOLO TERZO 41 in cui le Scuole Elementari furono accresciute di una classe, la quarta ; e le Reali, per decreto 7 giugno del R. Comissario Provvisorio Sardo, vennero trasformati in Iscuole Tecniche, ed a queste si aggiunse un Isti tuto Tecnico. Nessun documento o nota mi ha dato indizio, che vi fossero scuole speciali per le femmine prima del 1790, essendo queste istruite ed educate, o privatamente, o nei monasteri. Quello che dedicavasi specialmente al l'educazione delle fanciulle, era il monastero di S. Mar tino, come si desume dal seguente documento : SACRA MAESTÀ REGIA IMPERIALE APOSTOLICA. Nel Regio Borgo di Varese, altre volte eretto in prin cipato dall'Augusta ava di V. M. R. I. A. Maria Te resa, e ceduto vita sua natural durante al fu Duca di Modena, Francesco III, sussisteva, già presso a sei se coli, un monastero di Monache Benedettine Umiliate, dette di S. Martino, il quale si distingueva per l'esem plarità e per l'educazione gratuita alle fanciulle. In vista della pubblica utilità derivante da cosi pia ordinazione, Giuseppe II Vostro Zio, di sempre gloriosa memoria, nell'abolizione di altri due monasteri, che esiste vano in detto Borgo, ha conservato quello di S. Martino. Nessuno di codesti riguardi fecero senso ad un certo Vincenzo Dandolo. Questi, abbandonata Venezia, sua patria, al momento, che fu ceduta a V. M. R., I. A., ed incorporato al così detto Consiglio Legislativo, vestì gli stessi sentimenti di cui quello era agitato e, prima che fosse abolito il Monastero di S. Martino, lo azionò, con il circondario ed altri stabili, ed ottenne quindi subito la soppressione con non ordinario cordoglio di tutti i fedelissimi sudditi di V. M., che deplorano la perdita di una educazione tanto proficua alle zitelle bisognose di civile e cristiana religione. Dopo il feli cissimo ingresso delle gloriose armate di V. M. nella Lombardia, essendosi sottratto colla fuga l'acquirente 42 VARESE E SUO CIRCONDARIO Dandolo, il Regio Fisco prese possesso di tutti gli sta bili di detto emigrato Dandolo, ed anche del circondario del Monastero di S. Martino. I sottoscritti quindi implorano la ripristinazione di detto convento. GIov ANNI BATTISTA PERABò Dott. LUIGI MoLINA, GEROLAMo ToRNIAMENTI tutti deputati dell'estimo º). Nel 1826 si aprirono le scuole Elementari femminili, ed all'uopo si presero in affitto due sale della casa annessa al Teatro. Nel 1869 le scuole femminili furono portate a quattro classi elementari con tre maestre, e collocate nell'edi ficio dell' Ospedale, dove ora sta la Cassa di Rispar mio. Aumentandosi in seguito il numero delle allieve, si aumentò anche il numero delle maestre, e le scuole furono trasferite nel locale dell'Asilo, e ordinate coi nuovi regolamenti.

Scienze ed Arti. – Una nota in calce ad un panegi rico dell'Addolorata, stampato in Varese nel 1793, dà elenco di alcuni personaggi varesini, che si distin sero per sapere, o per cariche, o per virtù. Fra i prin cipali scrittori trovo ricordati: Tullio Marliani, Serafino Portabò, Cristoforo Riva, Enrico De Savia, Anton Maria Masnago, e Lodovico Masnago, minor conventuale ; l'abate Gerolamo Martignone, il Sopramonte, Carlo Francesco Faido, minor riformato, Vescovo d'Amelia, Presidente dell'Aula Pontificia, sotto Clemente XI, ono rato con funerali cardinalizi ; Giambattista Guenzati, Vescovo di Polemnio, ed altri, Il dottor Grossi poi all'elenco di alcuni Varesini distinti nelle scienze e nelle arti, premette le seguenti parole: CAPITOLO TERZO 43 « Non solo Varese pregiasi dell'antica libertà e do minazione repubblicana , dei vetusti e recenti cesarei principeschi titoli e privilegi, ma ben anco si gloria di aver dati all'Italia uomini distinti in ogni grado di scienze ed arti, ed insigni per onorevoli cariche e di gnità sostenute. Vedasi intorno a ciò la Biblioteca dell'Argellati, le opere di Niccolò Sormani, di Castoldo Crespi, ecc. « Nelle arti meccaniche furono infiniti coloro che si resero distinti e degni di ammirazione. A Varese non vi fu mai deficenza di distinti idraulici, di fabbri ferrai valentissimi, capaci di lavorare gli strumenti chirur gici in modo da gareggiare, per la finezza del lavoro, coi manifattori inglesi ; falegnami ed intarsiatori non al dissotto degli stessi francesi ; fabbricatori di cem bali esimi, e molti ben anco inventori di macchine utili, sì nell'economia domestica, che nelle arti ; fon ditori di campane assai stimati; fabbricatori di stoffe di seta, di cotone, di lana assai pregiate; conciatori e lavoratori di pelli, ecc. Nè vi mancarono valenti nella topografia, perchè fin dal 1498, era distintissimo ed esperto in quell'arte un Gio. Luigi da Varese. » Il Castiglioni poi, accennando alle arti belle, così scrive : « Non meno queste arti del bello, che piace in ogni età e di presente, con lode furono dai nostri esercitate, avendo tra noi nome nella pittura il Cav. Del Cairo per stile morbido ed unito della scuola veneziana; il maestro Balbino, che seguì la scuola di Leonardo; Francesco Tatti per antica maniera, il Morazzone per stile forte e grande; il Cav. Magatti per esattezza di disegno, ma viziato per una tinta verdastra, che campeggia nelle sue opere; Del-Sole Gio. Battista; Carlo Zavattone; 44 VARESE E SUO CIRCONDARIO Bianchi Federico e Bianchi Isidoro per buone figure; i fratelli Giovannini; Grandi Gio. Battista e Gerolamo; Baroffio Giuseppe per architettura e per prospettiva. Nell'arte poi d'intagliare cammei, acquistarono fama, presso l'Imperatore Rodolfo II., Magnaghi Gio. Antonio ed Alessandro, di miniare il Cappuccino Borbone, di scolpire Daverio Pietro Antonio, e d'intagliare il legno Bernardino Castelli ed in altre, ben altri senza fine, che per la solita brevità tralascio. » Il Ghirlanda pure, nelle sue Notizie, riferisce 120 nomi di Varesini, che si distinsero per sapere, o per cariche sostenute, o per virtù; ma quell'elenco oltreche essere, come gli altri, incompleto, dovrebbe venir accresciuto di quelli po steriori al 1817. Io tralascio l'elenco dei Varesini che si distinsero nelle scienze e nelle arti perchè non mi venne fatto di trovare notizie opportune per completarlo a dovere, ri servandomi però di far cenno d'alcuni, man mano si pre senti l'occasione. – Aggiungo invece, che non inter rotta per vari secoli fu l'arte dell'intagliare nel legno: e testimoni; di essa sono molte statue ed altri lavori pregevoli, che si conservano nelle Chiese di Varese e dei dintorni. I lavori in terra cotta, degni di lode, che si ammiravano alla Cavedra, opera del XIII se colo, ed alla Caserma vecchia, ora distrutta, del 1400 circa; la finestra dell'ex casa Perabò, ed altri avanzi, che si vedono tuttora qua e là, danno indizio del come tra noi fosse curata l'arte della plastica. – Per conchiudere dirò pure, che, in principio del corrente secolo, s'era progettato di raccogliere, nel locale del Municipio, i ritratti dei Varesini, che si distinsero nelle scienze, lettere ed arti; e la nota di essi risultò di ben più che 200, opera che si tralasciò come impossibile, CAPITOLO TERZO 45 perchè di molti non solo mancavano le effigie, ma ezian dio esatte notizie.

Agricoltura, Industria, Commercio. – Ammesso per vero, che questi dintorni ospitali, riparati da monti e da colli, temperati di clima, allietati da ridente cielo, furono abitazione di antichissime selvaggie tribù, degli uomini detti preistorici, devesi inferire, che ben presto tra noi cominciò la coltivazione dei campi. Senza tema poi di errore, si può assicurare, che lo sviluppo dell'agricol tura data dal tempo in cui i Romani qui fondaron co lonie e noi attenendoci a quanto ci narrano gli scrittori latini della Gallia Cisalpina, quali sono Polibio, Plinio ed altri, possiam dire che qui fiorivano la vite, le piante pomifere, l'ulivo ecc. Con ciò si spiega come il mercato di Varese è tra quei pochi, che, datando prima del mille, si conservarono sempre fiorenti fino ai dì nostri. Una per gamena, del l 148, appartenente alla Basilica nostra, e copiata dal Giulini; parla del Mercato della Motta e da essa si conosce, come il Mercato di Varese, fosse tanto importante, che i Conso del Seprio venivano appositamente a piantarvi tribunale; da essa si sa, che fin d'allora il mercato si teneva al lunedì. Altre pergamene della Basilica parlano per lunga serie d'anni di decime e di canoni di segale, di panico, d'olio, di cera; parlano di vendite e di permute di campi, di vigne, di prati. È degno d'osservazione, che, solamente verso il 1200, si incominci a parlare di frumento. Dal l'Agosto 1525 fino a tutto gennajo 1620, abbiamo, nella cronaca Tatto la nota ufficiale dei prezzi delle derrate vendute sul mercato, e del valore delle monete in corso; nota, che fu continuata privatamente da altri cronisti. Il granturco, o maiz, non si vendeva sul mercato, perchè 46 VARESE E SUO CIRCONDARIO si coltivava solamente nei giardini; e nella cronaca Tatto si nota la prima vendita di esso sul mercato, al 4 marzo 1620. È notevole poi il lamento, che in pro posito fanno i cronisti dicendo: « dopo che si coltiva il melgone, si raccoglie poca uva perchè vi fa danno. » Riconoscevano così, per pratica, ciò che approva og gidi la scienza. Famoso era altresì Varese per la gran quantità di buoi e di cavalli, che per la maggior parte traeva da Francoforte, sul Meno, e da altri paesi Nordici. Alle fiere ed ai mercati varesini affluivano a comperare gli abitanti di buona parte della Lombardia. Era tale la concorrenza, tra i mercati varesini e quei di Germania, che nel 1590, per effetto del Calendario Gregoriano, non accettato dagli Alemanni, risultò, la coincidenza della fiera d'Ottobre di Varese con quella di Germania. Laonde i mercanti della prima, vedendovi diminuita l'affluenza dei forestieri, domandarono ed ottennero, che fosse diferita d'una settimana 7). E tanto eran grossi i guadagni nel commercio dei cavalli, che in quegli anni in cui verificavasi scarsità od assoluta deficienza, i borghigiani, riconoscendo di molto pregiudicati i loro interessi, si rammaricavano. I Cronisti fedeli ripetono que' lagni. Di questo mercato cavallino tanto proficuo, ora non rimangono che poche vestigia nelle due fiere annuali di primavera e di autunno. Di ogni sorta di bestiami abbondavano i nostri din torni, e numerose mandre pascolavano, d'estate, sui monti. Le medesime, ne' tempi perversi, quando passa vano per il Borgo, venivano ricoverate, mediante tenue pagamento, in vasti recinti, chiamati Stalloni, appo sitamente costrutti, CAPITOI, O TERZO 47 In Varese gli Umiliati avevano stabilito per la lavo ratura della lana, una casa, che era come il centro, e da cui dipendevano, ed erano retribuiti i prodotti delle figliali, stabilite nel circondario, a Masnago, cioè, a Castiglione, alla Gazzada, a Tradate e in altri paesi. In questa casa riposavano le merci provenienti da Mi lano e dirette in Francia. Non bisogna dimenticare poi che Varese fu continuamente, fino al principio del se colo presente, un gran centro di passaggio per la Fran cia e per la Germania. Le merci, la posta ed i viaggiatori, provenienti da Milano e diretti per la Francia, percorrevano la via di Cislagò, Varese, Domodossola fino al Sempione ; di retti per la Germania e le Fiandre, prendevano le vie, che da Varese conducevano al Lago di Lugano, ed alle Alpi svizzere. Sono questi gli itinerari descritti in alcuni vecchi libri, che parlano di viaggio e di commercio: Alcune strade erano considerate dagli Spagnuoli, quali vie militari; come ad esempio quella che da Val Sorda, saliva al Lazzaretto ed a Giubiano, e quella che per Fraschirolo e Valganna metteva a Ponte Tresa; le medesime battute dai Romani, e denominate tuttodì da' contadini strade Romane. Tali strade erano mantenute a spese dell'Erario. Nel 1606 fu costrutto il ponte sotto Fraschirolo, ora detto Ponte rotto. Dai pochi avanzi di queste strade, che si vedono ancora qua e là, possiamo arguire quanto difficili fossero in quel tempo le comunicazioni. Ma, se non erano facili e comode, erano però diritte e molto frequentate ; e Varese ebbe a provarne gli effetti, quando fu prima ad essere infestata dalla lue venerea o peste marsigliese importata dalla Francia. 48 VARESE E SUO CIRCONDARIO Infine l'affluenza dei carrettieri, che transitavano per Varese, concorse talvolta ad impedire l'apertura tra noi di un Ufficio Postale, che erasi tentato d'aprire fin dal 1723, essendo meno dispendioso l' affidare ad essi le lettere. Appena Lodovico Sforza, Duca di Milano, introdusse in Lombardia i gelsi ed i bachi da seta, dicono le cro nache, Varese tosto primeggiò in tal ramo d'industria. Dovunque spacciava le pregiate sue sete, i suoi vel luti e le sue stoffe, mantenendo in questo genere grande commercio colla Francia e specialmente con Lione e Marsiglia. " Nel secolo XVI., in conseguenza del florido stato del suo commercio , Varese era popolato solo da cit tadini ricchi e benestanti, i quali si mantennero lon tani dalle funeste ed incessanti lotte, che fervevano in quel tempo, e tutto dediti. al loro pacifico traffico. Questo bello stato di cose cessò ne' primi anni del se colo passato, e ci volle la splendida generosità del Duca di Modena per rifarlo alquanto. Qui giova trascrivere alcune linee della cronaca Ada mollo, a comprovare il mio asserto: 1723 – « Con mio gran dispiacimento devo far memoria, che questo borgo di Varese, si ricco e mer cantile che era , si è reso povero e di poco traffico, mentre altre volte vi erano le fabbriche di velluti... mercanti di seta, che negoziavano capitali grossissimi, facendo lavorare ciascun mercante molte balle di seta. che mandavano poi a Lione in Francia e comperavano seta sul Mantovano, sul Bolognese. « Vi erano poi in questo Borgo molte belle botteghe e fondachi di buoni panni ed altri drappi e più non vi sono . . . e li bottegai erano quasi tutti benestanti CAPITOLO TERZO 49 e comode persone. ora un sol bottegaro di quel tempo potrebbe comperare tutto il mercimonio dei presenti... « Altre volte in Varese con facilità si poteva trovare cavalli per una cavalcata per far onore a qualche

personaggio. - « E 50 anni fa niun forestiere veniva a Varese nel giorno di mercato a vender tele, pannine, drappi, ecc. ora detto mercato lo fanno que'di Gallarate. È poi così angustiato questo paese dai commissari delle ga belle e gli Impresari sono temuti anche dalli signori principali. « Anche il mercato di ogni lunedì va diminuendo an che per le bestie bovine, perchè la dogana di Varese è di 20 soldi per bestia ed a Gavirate di soli 4. Quello poi, che finisce di rovinare il paese, è la grande am bizione e il gran lusso. » Quindi la cronaca passa a dar la lista di coloro, che più non negoziavano in seta, e di quelli che vi continuavano, e conchiude: « Dio non voglia che il negozio della seta, che è l'unico, che presentemente dà da lavorare alla povera gente, non vadi maggiormente deteriorando. » Narra poi il danno immenso, patito dai Varesini, per la perdita di grandi capitali, che avevano a Lione, quando il Reggente d'Orleans ritirò tutto il numerario per dar corso alla carta moneta; e quell' atto il cro nista lo dice un vero assassinamento , e soggiunge, che i Varesini, per quanti ricorsi abbiano fatti, inte ressando anche l'Imperatore, non poterono mai otte- ner nulla, e dovettero perdere il 90 º, sul valore della carta, ossia dei loro capitali. Ebbe Varese danni e vantaggi molti dalle immense falangi di soldati di varie nazioni; tedeschi, francesi, Varese e suo Circond. - Vol. I. . A 50) vARESE E sUo CIRcoNDARIo svizzeri, spagnuoli, che qui dimoravano alquanto, e per di qui passavano. E le cronache danno contezza di tutto, come pure accuratamente notano i danni avven tizi di grandine, di perturbazioni atmosferiche, di inon dazioni e pestilenze *).

Censimento della popolazione. – Sarebbe bella cosa co noscere la popolazione di Varese nei secoli scorsi, stantechè Flavio Blondo, al principiare del secolo XV, chiamava Varese, nella sua Italia Illustrata, Tomo I., Libro V. R. 7: Varesium oppidum populi frequentis simum ; ma è difficile farlo, sia per la scarsezza dei documenti, sia perchè quei pochi, che rimangono, non distinguono Varese dalle Castellanze. Il più antico dato trovasi nell'Archivio di Stato in Milano (Cartella 1275– Censo Comuni – Varese) tra le carte, che riguar dano il censimento fatto dal 1530 al 1540, e che è così segnato : Descriptio bonorum et animarum vi ventium in plebe Varisi facta per me Christophorum Cribellium commissarium Ducalem ad hoc deputatum. Tal censimento però è cosi mal disposto, che non è possibile rilevare quale sia la somma complessiva delle famiglie e degli abitanti notati. Un'altra cartella (anno 1751–Culti) ci dice, che, secondo il ruolo, eranvi in Varese 5938 anime, e il Perticato del territorio di Varese e Castellanze era di Pert. 29. 367. 00. Il Sormani, al 1728, nota: «Il numero dei borghesi ascende a 7000 entro i muri e le porte , esenti da rusticani esercizi, con decoro e culto urbano. » – La cronaca Grossi, sotto l'anno 1840, scrive « Varese, nel 1500, faceva circa 5800 anime, e, nel 1740, era aumentato a circa 7000. In quest'anno risulta, dai ruoli personali, essere la popolazione aumentata al vistoso numero di 9460 ). CAPITOLO TERZO 5l

Patriziato, Amministrazione e Privilegi. – Contava Va rese un numero straordinario di famiglie nobili, alcune delle quali antichissime, e forse di origine romana , come gli Albuzzi, altre venute d'altrove a stabilirsi in Varese, come i Dralli ed i Biumi, oriondi, i primi dalla Romagna, gli ultimi dalla Boemia. Nella relazione del Convocato della Comunità del l570, al 6 febbraio, in rogito Perrucchetti, si veggono no tate 50 e più persone di diverse famiglie distinte, tutte nobili. Questi patrizi avevano in sommo onore l' occu parsi dell' azienda comunale e civile, alla quale dedi cavansi sapientemente e con amore, per quella tradi zionale fedeltà, da cui erano legati alla loro terra. Ad essi erano principalmente riservate le cariche ecclesiastiche; essi assumevano l'amministrazione gra- tuita delle pie fondazioni, e le tante missioni a cui dava luogo la vita comunale. Essi erano l'anima, l'or namento, la tutela del municipio; essi in cosiffatte man sioni trovavano bastevole occupazione al loro grado; sen tivano l'importanza del loro ufficio, godevano della docilità dei dipendenti o dei protetti, ed insieme della compia cenza d'adoperarsi in vantaggio della patria, del paese, dove, contenti di appartenere al Consiglio dei Reggenti, o al Collegio dei Dottori, avevano antica clientela, palazzo avito, annesso alla storia del paese stesso. – Vivevano e morivano nelle condizioni e nelle idee in cui erano vissuti e morti i loro antenati, e, se forza di avvenimenti non fosse venuta a trarli dalle idee af fatto locali, dalle gelosie anguste, dai piccoli disegni, noi non saremmo venuti a poco a poco alle idee ge nerali, alla cura di interessi universali, che suscitano, incoraggiano e allargano lo spirito. Epperò conoscere 52 VARESE E SUO CIRCONDARIO il lento, successivo sviluppo del movimento rigenera tore, il poter radunare, per utile confronto, tutti gli sta tuti, gli ordinamenti e le gride pubblicati, sia speciali pel Comune, sia per applicazione delle leggi generali allo Stato di Milano a cui Varese fu sempre unito, sarebbe opera pregevole e desiderata. (Vi fu un tempo in cui Varese era considerato parte dei Corpi Santi di Mi lano, e come tale aggregato alla Porta Cumana.) Da un simile confronto risulterebbero i motivi, le oppor tunità, le convenienze, gli effetti dell'avvicendarsi di Reggenti, di Decurioni, di Giudici delle vettovaglie, di Tribunali di provvisione , di Consoli di giustizia, di Podestà: confronto che ci chiarirebbe dello spirito dei tempi, ce ne metterebbe in luce gli assennati giudizi, e le provvide leggi. – Fatto è che il Senato di Milano ebbe più volte, dal 1566 in avanti, a lodare l'operato dei Reggitori di Varese in quelle lettere (citate nella selva, o manoscritto di Francesco Antonio Frotta), dove li appella Prudenti Decurioni, Nobili Consoli e Deputati. Non è a credere però, che le cose passassero sem pre liscie, come parrebbe a prima vista, perchè l'istessa breve cerchia degli affari comunali, non lasciando campo a vastità di idee, dava luogo a discrepanze di vedute, a dissidi, a conflitti di giurisdizione, i quali sorgevano ogni tanto con grave danno della pubblica amministrazione. Così, a mo' d'esempio, nel 1233, poco dopo che Varese erasi costituita in repubblica « al cune vertenze e gelosie di potere avevano ingenerato non pochi dissidi tra i Varesini, » dissidi, che ripeten dosi in seguito, fecero varie volte rinnovare gli ordi namenti della Comunità. Nel 1663, Varese è sì aggravata di debiti che deve - CAPITOLO TERZO 53 ricorrere alla misura straordinaria di imporre il dazio di macina, che, sebbene concesso per 25 anni, venne levato dopo un quinquennio per sollevare i cittadini impoveriti dalla peste e dalla fame. I debiti si aggravarono ancora più, e nel 1678 era così esausto l'erario comunale, che mon contava denari sufficienti a pagare i suoi impie gati. Un documento di quell'epoca prova che per tale deficienza di denaro al Cassiere del Comune venne ri tardato il pagamento del suo stipendio per un intiero novennio. E aggiunger poi si deve, che la Comunità, per vari secoli, dovette sborsare grosse somme per il mante nimento delle diverse truppe di qui passanti e per le esecuzioni di giustizia. Spendeva poi senza risparmio per le feste dei vari governatori od altri personaggi, che venivano da noi a villeggiare, o a dar passo a qualche incombenza di loro carica. Non è molto tempo, che la Comunità riesci a pagare il debito, incontrato colla Fabbriceria di S. Vittore, mediante un mutuo, per le feste fatte in onore del Card. Arciv. Pozzobo nelli, che venne nel maggio del 1755 in visita pa storale. Nel 1715, il Dottor Bernasconi, in nome anche dei primi estimati di Varese, fa umà supplica al sig. Conte Don Giulio Visconti Borromeo Arese, protettore del Borgo, « perchè il governo si degni far cessare i di sordini amministrativi fatti dai Reggenti, e voler per mettere la convocazione delle squadre per una nuova elezione dei Reggenti in luogo degli esistenti, che abu sivamente esercitano il potere, e cosi rendere la quiete al pubblico di Varese diviso e discorde 1°). » Tanto basti per far conoscere lo stato dell'ammi nistrazione nostra nei tempi andati, chè, a volere un 54 VARESE E SUO CIRCONDARIO esatto ragguaglio di tutto, bisognerebbe un lungo stu dio sulle tasse, sia speciali, sia generali, nei diversi tempi in uso, quali il terradigo, la stadera del fieno , la pioda del pesce, ecc. sugli ordini per la pulizia del Borgo, per il macello, per il mercato, e ogni altra notizia giovevole a darci un'esatta idea della gestione della Comunità di Varese. Il quale, pei titoli dianzi accennati, più che per imprese guerresche, ottenne molti appel lativi onorifici; e nei libri, nei diplomi, nei decreti go vernativi lo si vede sempre contraddistinto coll'appel lativo di nobile, celebre, celeberrimo. Gio. Maria Sforza, nei suoi diplomi, l'intitola Muni cipiorum caput et Princeps; Castoldo Crespi, nel suo manoscritto, conservato nell'Archivio di Busto, fa questo elogio di Varese: — Varesium, magnificentia AEdium, famigliarum nobilitate, emporio celeberrimo mercimo niarum varietate intercetera Oppida maximum. Maria Teresa, nei suoi decreti, lo distingue sempre col titolo di insigne. – E in verità il Borgo di Varese, per ispeciali circostanze, si elevò sopra gli altri borghi della Lom bardia, da godere sempre i privilegi concessi alle sole città; e il Senato di Milano per tal motivo con sua sentenza (Doudeo Consult. 28 n. 8) gli accordò il diritto di lautamente fabbricare.

Edilizia. – Quest'ultimo diritto, ed altre espressioni consimili , non ci illudano intorno allo stato edilizio antico del Borgo, chè impossibile riesce il far confronto tra il vecchio Varese, ed il nuovo. Se noi colle poche vestigia, che ci rimangono, sor volando alle varie trasformazioni operate dal tempo, e dal progresso, procuriamo di rifare colla nostra im maginazione la struttura di Varese, prima e dopo CAPITOLO TERZO 55 il 1500, troveremo con meraviglia uno stato di cose ben diverso dal presente, tale che, da qui a pochi anni, i nostri nipoti non saranno capaci di pensare, come fossero i borghi del medio evo, in causa delle continue riforme imposte dall'odierna civiltà. Varese aveva sei porte, ed era cinto da una cer chia di mura, girate quasi tutte da una piccola fossa, in cui scorreva il torrente Vellone. La porta a Rez zano guardava l'attuale via dell'Indipendenza, e da quella uscivasi per andare alla Madonna del Monte , a cui metteva, per un tratto, una via angusta, ora convertita in rigagnolo. Su questa porta stette esposto, in una nicchia, per più di un secolo e mezzo, il capo di Filippino da Cugliate. Dalla porta Rezzano le mura correvano dietro il convento della Casa Vetera, ed appena oltrepassatolo, si volgevano, con un angolo, verso la porta Regondello, come ancora ne abbiamo un segno nella roggia sotterranea, che, partendo dalla Pesa pubblica, in casa Parravicini, attraversa la via di S. Martino. Presso la chiesa di S. Martino eravi un'altra porta, che metteva ai due Biumi. Il mona stero di S. Martino era fuori delle mura, ed apparte neva a Biumo Inferiore, come lo provano le pergamene di detto monastero, in cui si appella « Domus de vir ginibus o Domus humiliatarum Sancti Martini de Bimio inferiori. » La porta di Regondello stava vicina all'attuale porta dell'Ospedale, che guarda appunto la via detta di Re gondello. Questa porta fu chiusa nel settembre del 1774,

come appare dal passo seguente: - « Essendo stati obbligati per i frequenti alluvioni occorsi negli anni addietro a spazzare il fosso de'giar dini (appena spazzato 15 anni prima), il che fu ese 56 VARESE E SUO CIRCONDARIO guito; – vedendo gli utenti, che alcuni di nottetempo lo otturavano con materiali, rubando li frutti de’ giar dini, e commettendo le persone scandalose mille osce nità, quindi hanno stimato di far otturare la porta vicino al ponte di Regondello, alla quale spesa sotto scrivendosi tutti, lasciarono in quella un uscio della larghezza di Braccia due con chiave da consegnare a ciascun utente. » (Cronaca Marliani). La Reggenza lo concesse a patto che le fosse consegnato una chiave dell'uscio per ogni occorrenza. Dalla porta di Regondello le mura correvano diritte fino alla porta Milano, in fondo alla via Pozzovaghetto. Il confine di questa mura era segnato da una viuzza, che divideva il chioso prepositurale, la quale non ha molto venne soppressa. La porta Milano, atterrata nel 1839, era stata ricostrutta in arenaria nel 1599 per l'ingresso dell'arciduca Alberto d'Austria e del l'Infante Isabella, sua sposa, sorella di Filippo III. Fuori di essa stava il Dazio, ossia l'ufficio della Dogana. Dalla porta Milano la mura correva in linea curva, fino alla porta della Motta, e poi da questa si con giungeva alla porta Campagna, ed indi quasi in linea retta, alla porta Rezzano. La porta Campagna era così detta, perchè al difuori di essa non eranvi case, e perchè metteva ad alcuni fondi chiamati Campagna e Campagnuola. Questa cerchia, così ristretta, subì infinite variazioni, le quali terminarono al principio del presente secolo coll'abbattersi delle porte. Le mura erano nè alte, nè grosse ; le porte strette, e basse sì che quelle di Milano e della Motta, nel 1673, si dovettero alzare, affinchè vi potesse passare il bal dacchino nelle processioni. Molte erano le case del Borgo, quasi tutte ad un

----- CAPITOLO TERZO 57 sol piano, piccole ed addossate le une alle altre. Ogni famiglia benestante, e gli ecclesiastici, abitavano case proprie, senza inquilini. La massa poi era agglomerata in case comuni, e frequentemente avveniva, che parte di essa patisse di scrofola o di rachitide. Dovunque vedevansi ballatoi di legno, tanto posti all'interno , quanto all'esterno, alcuni de'quali durarono fino al principio del secolo presente, sebbene gli ordini della Comunità, che comandavano di levarli , datino fino dal 1590. Le facciate delle case erano per lo più a muri ruvidi, senza intonaco, fatti di sassi commisti a qualche mattone; le porte larghe e basse, le fine stre piccole e quadre, contornate da una fascia di calce, e qualche volta da ornamento in terra cotta. Solo le finestre dei ricchi erano a vetri; le altre co perte di carta, detta stamegna. Sui tetti elevavansi, qua e là, solaj aperti e altane di diverse foggie, dette dal popolo gloriette. Le piazze erano piuttosto vani irre golari, che non piazze vere. Oltre i portici del corso, trovavansi sparsi altri portichetti nelle vie minori e nelle piazze del Borgo. Fra le colonne dei portici sta vano panche tanto fisse, che mobili, su cui espone vano la loro merce i bottegaj, e le quali scomparvero per ordine municipale solamente nel 1850. Le botteghe poi al di fuori erano tutte ingombre di mercanzie e dalle rispettive imposte, che in parte si ripiegavano su sè stesse, e in parte si sospendevano al soffitto dei portici, mediante gancio di ferro. I macellaj ed i pizzi cagnoli tenevano costantemente all'esterno un ceppo per tagliare la carne. E qui faccio punto, per lasciar posto all'avviso 12 novembre 1777. Quest'avviso meglio di me può dare un'idea chiara del come si presentava Varese in allora e prima d'allora; imperocchè fu l'ul 58 vAREsE E sUo CIRcoNDARIo timo pubblicato per ordine di Francesco III, inteso, a levare quegli sconci, che duravano ancora, non ostante gli avvisi antecedenti, e tutte le gride pubblicate nei due secoli anteriori. Avv 1so. Perchè in nessuna maniera possa da alcuno alle garsi tolleranza contraria al prescritto dall'Editto del ll aprile 1768 , stato in allora pubblicato in questa Signoria d'Ordine di S. A. S. riguardante la polizia, di cui, essendone in esso, commessa la esecuzione alla Reggenza, ecc. Perciò ad ogni buon fine, e per assoluta diffidazione dal giorno dell' affissione, di questo in poi, ecc. D'ordine della Nobile Reggenza medesima, si rinova a notizia di chiunque il contenuto in quello sotto le rispettive pene, in esso cominate, e prescritte, cioè, ecc. I. Nessuno ardisca gettare, o far gettar acque pu tride, o immonde, o altra materia fettente nelle con trade di quella Signoria, sotto pena di Scudi 10 II. Sarà proibito a Macellari, e Cervellari, get tar nelle Strade le inmondezze cavate dalle Bestie, ma dovranno trasportarle in siti remotti, altrimenti incor reranno nella pena irremissibile di Scudi 25, ecc. III. Non dovrà tollerarsi alli Tintori spander per le contrade acque avanzi delle Tinture, e quant'altro provviene dall'Arte loro, sotto pena di Scudi 10, ecc. IV. Incorrerà nella stessa pena di Scudi 10, chi terrà nelle contrade mucchj di lettame, benchè in mi nima quantità, ecc. V. Non sarà lecito macerar Lino, o Canape, se non in distanza di mezzo miglia dal Caseggiato sotto pena di Scudi 10, ecc. VI. Non potranno li Salsamentarj abitanti sotto Portici dalla parte della Collegiata di San Vittore te nere apese fuori delle loro Case, e Botteghe, carne sì fresche, come salate, luganiche d'ogni sorta, candele, cervellato, e simili, ecc., che oltre alla deformità cag CAPITOI,O TERZO 59 gionano, danno grave alli abiti di chi passegia, e tran sita li Portici, saranno li contraventori castigati col l'irremissibil pena di Scudi 10 oltre il rifacimento dei danni, ecc. VII. Nessuno ardisca sotto la pena di Scudi 4 ed anco maggiore a nostro arbitrio, occupare li Portici, con banchi , scagni, Tellari, Molinelli, ed altre cose inpedienti il libero transito, e passeggio de' mede S1ml, eCC. VIII. Saranno alla stessa pena soggetti que'Bot tegai, che non contenti di esporre le loro merci sopra Banchi murati nelle Botteghe, vogliono a questi atta care altre tavole, e stenderle sotto Portici con inco modo de' Passaggieri, e non dovranno onninamente oltre passare in modo alcuno la linea de' Banchi murati. IX. Non si potrà da veruno filar Seta, che non abbia il comodo di gettar quelle fettenti acque in ci sterne, o luoghi ove subito consumino, di modo, che non possino neppur in menoma parte trammandar nelle contrade, sotto pena di Scudi, 25, e sarà cura della Reggenza d'invigilare, se, chi vuol filar Seta, abbia il comodo di ricevere dette putride acque. X. Si dovranno in forma lodevole tosto sotterare que'vermi, che rimangono gussoli, purgarsi diligente mente in acque correnti ad aria aperta fuori dell'abi tato, dove rimarranno, finchè siano a perfezione asciutti, ed abian dimesso l' odore tanto pernicioso sotto l'irre missibil pena di Scudi 25, e maggiore ad arbitrio di S. A. S. La Reggenza incaricata da S. A. S. procederà asso lutamente contro de'Contravventori, nessuna tolleranza admessa. Varese, 12 novembre l'777. Dott. ORRIGoNE Cancelliere di Reggenza. Aggiungete poi a tutto questo: i selciati grossolani, gli stillicidi dei tetti pioventi nelle vie, il letame am monticchiato nelle corti, alcuni pozzi pubblici qua e là, l'aspetto tetro dei conventi e di due o tre castelli sui 60 VARESE E SUO CIRCONDARIO colli vicini, le molte chiese; richiamate i costumi d'al lora, il popolo frequente, i polli e i pulcini che vaga vano per le vie, i gentiluomini a cavallo, i preti ed i frati numerosi, le tenebre notturne rotte soltanto dai lumicini, che ardevano davanti alle non poche ima gini sacre dipinte sulle case ; la campana del pretorio che a due ore di notte faceva chiudere le osterie, e dite se Varese d'oggidì può confrontarsi al Varese d'una volta, ove non vi fossero ancora le vie tortuose, l'addossamento delle case nel centro, i portici della via di mezzo colle loro colonne vecchie e disuguali, e gli altri avanzi, che ci danno tuttora qualche idea del Borgo che fu. Oltre il progresso generale, che spin geva i paesi italiani a rendersi degni de' nuovi tempi, Varese ebbe in particolare tre punti della sua vita politica, che gli procurarono nuovo sviluppo ed incre mento, e furono : la signoria di Francesco III, l'ere zione del Borgo in Città, ed il recente risorgimento na zionale.

Varese qual'è. – Varese è tuttodì il magazzino na turale, che provvede agli abitanti della vasta zona circondariale ed aspetta un florido avvenire, cui pre parano que' molti progetti che di questi dì si son fatti per favorire il suo commercio, le sue industrie, il suo benessere materiale e quello del circondario. Varese si allarga quasi ad essere unito alle Castel lanze, e tra poco, coll'innalzarsi di nuove case e colla copertura del Vellone, scompariranno e lo spazio verde di prati e di campagne, che un tempo staccava il Borgo dalle Castellanze ed il segno della ristretta cerchia ond'era chiúso il Borgo stesso. Varese si abbella al continuo di ville , di giardini, CAPITOLO TERZO 61 di negozi, e di vie rischiarate, la notte, da copiosa illuminazione a gas. Oltre il mercato del lunedì, e le fiere di primavera e di autunno, che continuano fiorenti, la nostra città mantiene ancor viva la tradizione delle sue antiche industrie, e cerca di farle rifiorire. Ecco infatti i si gnori fratelli Mentasti-Belia, distintissimi e premiati più volte, per la fabbricazione di cornici lavorati a macchina, e di mobili imitanti a perfezione i lavori di Maggiolini; altri cinque fabbricatori di mobili, ed i si gnori fratelli Mina, distinti nell'arte del falegname; i quattro fabbricatori di organi per chiesa, le armonie de' quali risuonano fino in America, continuano l'opera per cui si resero celebri i signori Eugenio Biroldi e Luigi Maroni; i signori Bizzozero, premiati per il loro speciale sistema di fondere campane ; i signori Tasca, che procurano lo sviluppo della tessitura della seta e del velluto; la cartiera dei signori Molina, che, come fu la prima ad introdurre le macchine per la fabbri cazione della carta in Lombardia, procura di sempre più perfezionarle, dando lavoro a circa 300 operai ; il grandioso filatoio de'signori Tallachini; la filanda, con 80 fornelli, del signor Cova; cinque fiorenti con cerie di pellami; le rinomate fabbriche di carrozze dei si gnori fratelli Macchi e di Belli Cesare ; una buona fabbrica di cera;. Ma qui ci vorrebbe troppo spazio per avere un quadro esatto delle industrie dei Vare sini, le quali s'estesero pel nuovo crescente com mercio bancario, ed a cui s'aggiunse, l'anno scorso, la Banca di Varese, fondata col capitale di un milione 6 IleZZO, Varese, Capoluogo di circondario, è sede degli Uf fici di R. Sotto-Prefettura e del R. Tribunale, e degli 62 VARESE E SUO CIRCONDARIO altri Uffici governativi, voluti dalle leggi, tutti ben regolati. Varese è lieta di possedere un'amministrazione Co munale oculata e previdente, che provvede al benes sere dei cittadini con savi ed ottimi Regolamenti, con solerti Commissioni per ciascun ramo dell'Azienda civica. Essa tende ad ottenere, alla città, pulizia, sa lubrità, bellezza; ai cittadini, benessere. Ogni anno rende conto esatto di sua gestione col mezzo della stampa. Un nuovo piano regolatore è stabilito debba togliere, a poco a poco, i difetti edilizi antichi, e promovere l'erezione di nuovi comodi fabbricati. Varese conta Scuole Elementari ben dirette, distinte in urbane e rurali; una Scuola tecnica ed un Istituto tecnico; ottime Scuole femminili; una numerosa Scuola maschile serale per gli adulti; una Scuola domenicale di disegno; un Asilo infantile ; un Orfanotrofio fem minile, e diversi Istituti privati di educazione, tanto femminili, che maschili. Evvi una Società del Casino ; un Circolo Sociale dei commercianti ed operai; una Camera di Commercio ; un Comizio Agrario; due Tipografie; un grazioso Tea tro Sociale ; un C)spedale vasto ed ordinatissimo; una Banca Popolare; una Cassa di Risparmio, figliale a quella di Milano, col giro di cassa annuo di circa 8 milioni una Società di Mutuo Soccorso per gli operai, divisa nelle due sezioni maschile e femminile; due Uffici te legrafici aperti al pubblico di cui, il solo Regio, annual mente dà corso a circa 9000 dispacci; un Museo Patrio. Non è quindi meraviglia che tale sviluppo faccia na scere ne' cittadini il desiderio di altre opere reclamate dalla necessità e dal decoro. CAPITOLO TERZO 63 Varese sente il bisogno di un Cimitero, che corri sponda alle esigenze moderne; e che sia provveduto al ritiro de' suoi poveri in un Ricovero di mendicità. Come pure è nei voti del pubblico, che presto si eri gano le nuove carceri; qualche fontana pubblica, già da molti anni deliberata; un pubblico macello, ed altri edifizi richiesti da gentilezza d'animo e dal progresso della civiltà. Ora il capitolo presente, già troppo lungo, non mi permette di estendermi in maggiori notizie. Chi ne vuole di più, prosegua la lettura, e consulti le note ).

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CAPITOLO IV.

In giro per Varese.

Per tenere un certo ordine nel richiamare le vec chie memorie, incomincieremo il nostro giro dalla via Dandolo. Entrando da qui in Varese, s'incontra a sinistra la casa Speroni, entro la quale fu racchiuso l'Oratorio di S. Carlo, già dei confratelli omonimi. Della famiglia Speroni, stabilita in Varese a non ricordanza d'uomini, meritano di essere ricordati: GIovANNI ANToNIo, che, sui primordi dello scorso secolo, fu architetto di corte. La chiesa parrocchiale di Cannobio fu, su disegno del medesimo, riadornata e fornita di sontuosa fronte, sormontata da sculti fregi e statue. Due suoi figli si fecero frati nell' ordine de'Minori Conventuali , ed entrando in religione, si scambiarono il nome. Ambidue insegnarono matematica nell'Univer sità di Pavia. Uno di costoro fu FERDINANDo SPERoNI, che, nel 1787, diede alle stampe, in due grossi volumi, Le Istituzioni del calcolo diffe renziale di Eulero, opera dedicata a Giuseppe De Varese e suo Circond, - VoL. I. 5 66 VARESE E SUO CIRCONDARIO Wilzeck, il quale, con lettera 12 giugno, si dimostrò grato all'autore, osservandogli però che, tra i titoli onorifici suoi nella dedica accennati, « converrebbe aggiungere quella di Commissario Plenipotenziario Imperiale in Italia. » Il padre Ferdinando fu compa gno dell'esimio astronomo Oriani nel rilievo e nella sistemazione dei punti, trigonometrici, che servir do vevano di base alla successiva compilazione delle carte geografiche della Provincia o Stato di Milano. Nei comizi, tenutisi a Lione, nel 1802, per la nomina del presidente della Repubblica Cisalpina, fu uno dei com ponenti il Collegio dei Dotti. – Morì a Vimercate. Esternamente a casa Speroni esisteva un buon af fresco del pittore Magatti, che per incuria, guasto e rovinato, è quasi tutto scomparso. Tale affresco, rap presentante la Sacra Famiglia, stava di contro alla porta dell' antico convento delle Umiliate. Nella casa che segue, dei signori Mentasti-Belia, ve desi un affresco del pittor varesino Ronchelli, raffigu rante Venere e Marte. Esso è forse un'allusione a persone viventi in quel tempo ; ma è certamente l'unico avanzo di pittura profana in Varese, tra le tante di soggetto sacro. Il convento delle Umiliate di San Martino possedeva un archivio di antichi documenti, da cui risultava la origine di esse prima del secolo XII, e come appar tenessero alla seconda classe degli Umiliati, cioè, alla celibe claustrale, occupata nel lanificio. Tale convento era una casa di lavoro, riservata alle donne, cui, nel secolo XVI, furono aggregate le monache della casa professa della SS. Trinità di Castiglione. – Sormani afferma che quel chiostro conteneva 80 monache. – Attendevano all'educazione gratuita delle fanciulle; CAPITOLO QUARTO 67 sicchè Giuseppe II, per tale motivo, non le soppresse, sebbene avesse prosciolte molte corporazioni religiose. La loro soppressione avvenne solo nell' anno 1798. Unico avanzo di questo Convento, tolto il coro, che fu atterrato, è l'attuale

Chiesa di S. Martino. – Rimodernata questa ed am pliata, tra il 1596 e il 1600, fu dipinta nel 1722-23 con un unico altare in marmo di esatto disegno. Le fi gure sono del Magatti, meno i due grandi affreschi sulle pareti laterali, disegnati da Francesco Maria, figlio di Salvadeo Bianchi, di Fogliaro. L'architettura è dei fratelli Giovannini di Varese. Però, nel 1855, es sendo stata questa Chiesa convertita per necessità in temporaneo deposito di fieno ad uso militare, prese fuoco a cagione della fermentazione del fieno, e patì danni gravissimi. Essa venne poscia ristaurata per ze lante iniziativa dell'in allora proposto Sac. Benedetto Crespi, coadiuvato dal locale Municipio, il quale no minò a comporre la commissione ristauratrice i si gnori Speroni Ing. Giovanni, Cremona Sac. Giuseppe, e Gioachimo Mentasti-Belia. Questi ottimi cittadini, mediante il fondo di 2.000 lire elargite dal generoso Crespi, ed una colletta (praticata presso le famiglie, cui più davvicino interessava il riaprimento della sus sidiaria) coi necessari ristauri, nel 1858 richiamarono questa Chiesa all'onore del culto. – Sull'altare eravi una tavola rappresentante il Santo Titolare, opera pregiata del Lanzani, che costò alle Monache mille zecchini, e fu poi sostituita da un' altra, pure prege vole, su cui era dipinto il Cristo colle mani legate, detta Pietà. Quest'ultima venne tolta dalla vicina Casa Vetera, ed ebbe a soffrire danni irreparabili nel suc (68 VARESE E SUO CIRCONDARIO citato incendio insieme ad una statua di stucco di santa Caterina d'Alessandria : opere che furono so stituite e dalle statue in legno che ora si vedono, e da una duplice tavoletta coll' effigie della Madonna e di una Pietà. I quattro ritratti di Santi, che stanno ai fianchi dell'altare, sono di ignoti pennelli. Sulla fac ciata sonvi ancora due affreschi molto guasti, l'uno rappresentante S. Cristoforo ); l'altro la figura eque stre di S. Martino. Gli ornati di quest'ultima, ed al cune sue parti, provano che doveva esser molto bello.

Il Monumento ai Cacciatori delle Alpi. – Facile è com prendere la nobile ambizione d'ogni terra italiana di erigere e lasciare a' venturi una degna ricordanza delle gesta in essa compiute a beneficio della patria indi- pendenza, e della parte presa al nazionale riscatto ; epperò Varese, la vaghissima città lombarda, era cer tamente nel suo diritto di rammemorare, con dicevole monumento, la gloriosa giornata del 26 maggio 1859, nella quale seguiva quello splendido combattimento, che, incominciando presso le mura di Biumo Inferiore, dai Volontari Italiani, designati col nome di Cacciatori delle Alpi, capitanati da Giuseppe Garibaldi contro gli Austriaci, comandati da Urban, veniva poi coro nato dalla vittoria gloriosa. Questo fatto d'armi com piuto da semplici volontari contro milizie ben agguer rite e ordinate, è nobilissimo episodio, onde qualsiasi città se ne terrebbe superba, e ben fu giusto pensiero quello del Municipio di Varese di elevare in memoria di esso, e dei prodi combattenti, questa duratura me moria. Veniva all'uopo indetto un concorso perchè gli ar tisti, che aspirassero a scolpirla in marmo, produces CAPITOLO QUARTO 69 sero un proprio progetto; e fra i parecchi valentissimi che accettarono il nobile invito, e furono nientemeno che ventotto, venne accordata di preferenza la scelta allo scultore Luigi Buzzi Leone di Viggiù, stabilito da gran tempo nella città di Milano, già noto per egregie opere. La Commissione, che aggiudicava siffatta scelta al Buzzi Leone, componevasi di quei due sommi, che sono lo scultore Vela ed il pittore Bertini, e dell'architetto Cattaneo di Varese stessa. Il 26 maggio 1867, giorno anniversario del gran fatto d'arme, che doveva perpetuare, seguì sulla piazza di Varese, che è sul lembo estremo di quella leggiadra città dalla parte che scorge alla castellanza di Biumo, e che si volle appunto denominare de' Cacciatori delle Alpi, la inaugurazione della bella opera del Buzzi Leone. Ci proveremo a descriverla. Fedele al pubbli cato programma, che esigeva che il monumento ricor dasse la vittoria dei Cacciatori delle Alpi sulle armi austriache, l'autore personificò opportunamente la vit toria in un Volontario italiano , che par muova dal campo e con grido di gioia marziale, alta tendendo colla destra mano la tricolore bandiera, tiene colla, manca abbassato il fucile, come in atto di inseguir il nemico, sul quale egli avrà ad accogliere nuovi trionfi a S. Fermo e a Como. Ad aggiungere solidità alla statua fu necessità all'artista immaginare presso al suo ga ribaldino un tronco di castano a rami spezzati. A meglio chiarire l'avvenimento, e ad eternare ezian dio i nomi dei prodi, caduti nella battaglia di Varese, si valse eziandio del piedestallo. Nella fronte di esso lasciò un vasto spazio per l'iscrizione commemorativa, che suona così: 70 VARESE E SUO CIRCONDARIO

AI

CACCIATORI DELLE ALPI

CHIE NEL MATTINo DEL 26 MAGGIo 1859 DUCE GARIBALDI «oMBATTERoNo E vINSERo

ACCLAMANDO ALL'ITALIA E AL RE

EROI CADUTI

NUOVI EROI SUSCITATE. Seguono di poi scolpiti i nomi delle vittime gloriose: Baldi Pietro – Baratta Lucardo – Bassi France sco – Bianchi Vincenzo – Bignami Enea – Bossi Carlo – Biraghi Guglielmo Emanuele – Botti Fede rico – Braun Bruto – Cairoli Ernesto – Ciampolini Demetrio – Colla Antonio – Crescini . . . . – Grassi Pietro – Magenta Pietro – Martinelli Guerrino – Manghini Luigi – Morelli – Mozzetti Giovanni – Ottini Leopoldo – Pantiacchi – Pavesi . . . . – Ponti Ferdinando – Bollero Antonio – Sartorio Fe lice – Sforzini Luigi – Verati Francesco. Al di sopra dell'epigrafe evvi in profilo il ritratto dell'immortale condottiero, e dissotto, nel basamento, lo scultore pose sulle modanature una corona con testa di quercia e d'alloro, a significare il trionfo congiunto

colla forza. - Nello specchio della parte posteriore, sotto stemma del Comune di Varese, leggesi quest'altra iscrizione :

DECRETATO DAL CoNSIGLIo CoMUNALE

E DAI, POPOLO NEI, coMIZIo 10 GIUGNo 1859. CAPITOLO QUARTO 71 Ne'due spazi laterali figurano appesi due trofei: le spoglie del nemico raccolte dal vincitore. A miglior robustezza del basamento veggonsi sporgere agli an goli quattro pilastri, sormontati da un proiettile nemico. . Le dimensioni del monumento sono : altezza com plessiva della statua 3.90; altezzaudel piedestallo 4.20, largo al piede M. 3. – Dire parte a parte dell'ese cuzione non vale, dacchè il valore di essa, in quanto all'invenzione, è mallevato dalla preferenza accordata dalla Commissione e dal giudizio riassunto da essa in quelle parole commendevole sotto ogni rapporto, e in quanto alla traduzione in marmo, è attestato da quella valentia e coscienziosità, di che fan fede le opere pub bliche del Buzzi-Leone e quelle pure, che si videro esposte alle mostre delle sale di Brera e che giusta mente gli aggiunsero tanto nome fra noi *).

Scuole Pubbliche Maschili. – L'edificio che qui ve diamo fu dal Comune eretto nell'anno 1853 e doveva servire a sede di Pubblici Uffici e del mercato del grano. Ma per miglior consiglio fu destinato a sede delle pubbliche Scuole, ed ora vi stanno raccolte le Scuole primarie-rurali, le primarie-urbane divise in quattro classi, le Scuole tecniche di tre classi, pareg giate alle governative con Decreto 17 febbraio 1862, nel qual anno vi fu aggiunto l'Istituto tecnico, che nel 1866 fu completato a sezione di Commercio, Am ministrazione e Ragioneria, divisa in tre corsi infino al 1871, ed in cinque da quest'epoca in avvenire. Alle scuole diurne si unì la Scuola festiva di disegno per gli operai istituita dal Comune , nell'anno 1870, e quella serale fondata dalla Società Operaja Varesina, nell'anno 1863, ed avocata dal Comune nel 1868. 72 VARESE E SUO CIRCONDARIO In questo edificio sta ora la libreria civica, fondata per privata iniziativa dai signori Cav. Carlo Carcano, Cav. Ing. Giovanni Speroni e Cav. Sac. Pietro Cru gnola, nell' anno 1858, ed aperta al pubblico nel gio vedì e domenica. – Essa contiene circa 4000 volumi.

Cavedra o Casa Vetera. – Nel 1233, il signor Fran cesco Del-Fossato, « uomo sotto ogni rapporto stima bile e verso Varese sua patria oltremodo generoso, diede la propria casa per l'erezione del gran Mona stero a S. Martino che doveva servire ad ambedue i sessi. » Il Monastero venne ritardato nel suo compi mento fino al 1236 per il bisogno di comperare alcuni caseggiati allo scopo di avere gli opportuni comodi. Come già dissi, questa casa era la principale o Pre vostura degli Umiliati di tutto il Varesotto. Sulla porta di essa eravi l'effigie di un frate in semplice tonaca cinto di fune, cui pendeva una fascia col lemma spero in Deo. Riformati che furono gli Umiliati da Pio V, nel 1569, e di lì a poco soppressi, la Cavedra fu eretta in Abazia Commendataria, della quale fu investito, per primo, il cardinale Scotti, e da esso eb bero licenza i frati 3). È in questo convento che Francesco Pusterla si rifugiò insieme col figlio per opera di fra Buonvicino. « A Varese il carro dei panni doveva far capo alla Cavedra, casa degli umiliati di colà. Quivi il Pusterla mutato abito, si separò col figliuolo da Buonvicino. « Addio » esclamava quasi intenerito « vedi le parole scolpite sovra la porta del nostro convento ? Spera in Dio, e tu le scolpirai in cuore 4). »

Piazza Beccaria. – Così fu di recente appellata, cioè, dopo il meeting, 1865, tenuto in Varese a sostenere l'abo CAPITOLO QUARTO 73 lizione della pena di morte per il contrapposto, che in quella esisteva la casa del boia, ossia casa dove si serbavano gli utensili occorrenti per le esecuzioni di sentenze capitali. Su quella casa il signor Ioldi , con disegno dell'Ing. Arcellazzi Attilio, eresse un co modo casino nel 1836. Al di là della antica porta eravi il pubblico maccello, gli scoli del quale affluivano nel torrente Vellone. In quel luogo detto appunto delle beccherie vecchie fu fabbricata (1826) la casa Grossi, ora Maroni, la facciata della quale è disegno dell'ar chitetto Gaetano Besia di Milano. Della famiglia GRossi vanno ricordati i due Dottori fisici: FRANCEsco, uomo lepido e caritatevole, il quale fu Protomedico in Varese, Capo della Delegazione Medica Provinciale, Giudice delle vettovaglie, Direttore dello Spedale per 42 anni; morì nel 1796; e LUIGI, distinto per amor patrio, noto alle lettere per alcuni suoi libri stampati e per la Cronaca di Varese, manoscritta, compilata su altre più antiche e su do cumenti. Nel 1813 egli fu chiamato alla Corte di Na poli, per organizzare alcuni stabilimenti rurali di Sua Maestà. In quell'occasione venne nominato Membro dell'Istituto di Scienze e Lettere. Nel 1824, inventò la macchina a sega e pignone per turare le bottiglie, la quale, esposta due anni dopo all'esposizione di Brera in Milano, fu ammirata e coronata di un grande smercio. Questa piazza era prima detta del Cappello, ed in essa eravi l'antico albergo dell'istesso nome, vicino al quale, nel 1830, si fabbricò, su disegno dell'architetto Pestagalli, la casa della signora Felicina Parravicini, ora Poretti.

Piazza Sant'Antonino. – Era così detta per la Chiesa ivi esistente ed annessa al Monastero omonimo, dove 74 VARESE E SUO CIRCONDARIO S. Carlo riunì le Francescane di Bosto e le Bene dettine di Luvinate. Si vedono tuttora l'ampio cortile con vasto porticato e gli avanzi di alcuni dipinti. Il loro refettorio, ancora conservato con non ispregevoli pitture, servì per alcun tempo di prima sede all'Asilo Infantile. Nella chiesa vi avevano affreschi del Cav. Gi lardi, quadri di diversi ottimi autori ed uno di Camillo Procaccini. Al convento fu unito il fondo detto la Cam pagnola, ereditato dal Marchese Biumi. Nel primo fascetto della Cartella N. 1974 – Varese Culto-Monache (Archivio di Stato in Milano) sonvi carte risguardanti affitti di terreni appartenenti a que sto Monastero. Le monache avevano tanta paura di tali affitti, loro imposti, dubitando avessero a soffrire altri pesi, che in qualità di donne fecero un pettego lezzo, come i passeri in nido. Spedirono ricorsi sopra ricorsi al Governo ed a Francesco III per impedire tali affitti. Si divisero in due partiti; una parte era contenta degli affitti, l'altra parte non voleva rasse gnare le notifiche. Di qui ciarle e discussioni, che ven nero troncate coll'ordine superiore di affittare. Il Con vento fu soppresso da Giuseppe II nel 1789.

Gesuiti. – Di fianco alla distrutta Chiesa di Sant'An tonino, che diede il nome alla piazza, nella casa dove ora sta l'Ufficio del Registro, era il Collegio dei Ge suiti; i quali aprirono in Varese la prima Scuola di tGrammatica latina inferiore e superiore, nel 1737. La prima loro abitazione era in via Monte d'oro, vicino a Sant'Antonio ; ma, per causa del rumore del mer cato, vennero , nel 1743, ad abitare in questa casa. Dimorando colà, non poterono mai ufficiare nella chiesa di Sant'Antonio, perchè i confratelli di detta chiesa CAPITOLO QUARTO 75 non glielo permisero; epperciò dovettero per grazia contentarsi della chiesa di S. Giuseppe. Essendo le loro scuole dichiarate pubbliche, usarono delle campane del Comune per convocare gli scolari, finchè non ne ebbero una propria. Venuti nella nuova abitazione, eressero un oratorio per loro uso e pel pubblico, e lo dedicarono al Santo di Lojola, loro fondatore. In Varese accrebbero di molto il loro patrimonio, otte mendo varie pingui eredità; e intendevano aprire un nuovo collegio, e nuove case, come rilevasi dagli atti di un'inchiesta eseguita in quel tempo, esistenti nell'Archivio Governativo di Milano, quando venne loro intimata la soppressione. La relazione di tale inchiesta fu presentata, da non so chi, a Francesco III, ed in essa, dopo un lungo ragionamento, si conclude per di chiarare di assoluta necessità la chiusura del Convento. Ecco alcune particolarità, tolte testualmente dalla citata relazione : « Nel 1631 , il Preposto Orrigoni fa una donazione ai Gesuiti di Brera, coll' obbligo di aprire una Chiesa nella sua casa in Biumo Superiore. « Nel - 1646, il Dottor Matteo Biumi, Senatore, lascia un legato ai Gesuiti di Milano, coll' obbligo di erigere una Chiesa ed un Collegio in Varese. « Nel 1698, Il Prevosto di Marchirolo, Carlo Maria Orelli, dona una somma ai Gesuiti, perchè aprano una Chiesa ed un Collegio con cinque scuole in Varese. « Nel 1731 , il Fisico Francesco Antonio Guenzati instituisce erede il futuro Collegio dei Gesuiti di Va rese coll' obbligo di aprire le scuole tre anni dopo la sua morte. « Nel 1737, i Gesuiti sono stabiliti in Varese; ma però non hanno aperto un Collegio, ma solo un ospi 76 VARESE E SUO CIRCONDARIO zio o residenza, e anche questa senza beneplacito so vrano, solo con lettere apostoliche. « Nel 1752, i Gesuiti incominciarono a comperare dei possedimenti privati in Varese clandestinamente senza regolare permesso ed intervento dell'autorità a ciò delegate ; cercavano fondare altre case, altri conventi. Gli altri frati di Varese, per non essere da meno dei Gesuiti, essi pure incominciarono ad accapar rarsi clandestinamente dei beni immobili e ad estendersi. Questo era contrario alle disposizioni legali del Fisco, per le quali non era lecito ad una casa fratesca il fon dare altre case se non dietro ragioni di pubblica uti lità, che venissero confermate dal regio exequatur. Tutte queste cose mancavano ai Gesuiti di Varese, i quali fra le altre cose, avendo comperato dei fondi spettanti alla Parrocchiale di Arcisate, non volevano pagarne le decime ; onde vi fu causa tra il Prevosto di Arcisate e i Gesuiti; i quali scoperti nei loro clan destini contratti, fatti talvolta per mezzo di terzi onde eludere la legge, furono condannati a pagar le decime arretrate non solo , ma anche le spese di processo. Opposero i Gesuiti la loro ignoranza e buona fede per essersi stabiliti in Varese senza Regio Benepla cito, sull'esempio di quello praticato anche da altre religioni. Ma, dice la relazione, sono teoremi generali, che non si ponno ignorare dai Gesuiti, dopo l'inter- detto di Venezia, ricevuto da tutte le Nazioni Cattoli che, – che non ostante gli sforzi fatti in contrario dal Cardinal Bellarmino, e dopo la Pastorale del presen taneo Arcivescovo di Parigi in loro difesa, la erezione di nuovi monasteri dipende dalla ragione civile di Stato: – che l'ordine religioso riconosce la sua Costituzione Canonica dalla Podestà Spirituale, ma non ottiene il le gale stabilimento se non che dalla temporale Podestà CAPITOLO QUARTO « In merito alla decisione Fiscale non vi ha nessuna utilità e necessità di stabilire un nuovo Collegio dei P. Gesuiti in Varese, e di aprire colà le scuole. So prabbonda quella terra di Persone Ecclesiastiche del l'uno, e dell'altro Clero per l'incumbenza del Sacerdozio. « L'Ospitale mantiene un Maestro per insegnare li primi rudimenti grammaticali a 15 fanciulli. « Le altre scuole dei Gesuiti, anzichè essere proficue, sono dannose alla campagna. Richiamano gente dalle terre circonvicine per toglierla all'agricoltura, a cui è nata, per educarla la maggior parte al clericato o fratismo. « Non è nuova l'osservazione, ma sempre continua, e giornaliero è il pregiudizio che « les Gesuites se van » tent d'etre, pour ainsi parler, les Peres de la plus » part des autres Religieux , et ne manquent pas se » mettre cette fecundité au rang de leur titre le plus » glorieux. C'est par elle sortout qu'ils se erigent » les reparateurs, et les soutiens de l'Eglise. » Continua la relazione dicendo che « essi studiano il latino è vero, ma solo per le cose ecclesiastiche e che i giovani educati dai Gesuiti riescono per lo Stato cattivi soggetti. » Infine dichiara il referente, che è assolutamente dan noso permettere ai Gesuiti di rimanere in Varese, ove sono già tanti frati , e che sarebbe bene, anzi è ne cessario, il sopprimerli. I Gesuiti alla loro volta ser vendosi di Francesco III, sul cui animo erano prima riusciti a far pressione, si rivolgono a S. M. per im petrare la sanatoria delle irregolarità commesse nello stabilirsi in Varese. Francesco III, che si trova fra l'incudine e il martello, cioè , tra le decisioni fiscali che vogliono espulsi i Gesuiti, e le moine di costoro, 78 VARESE E SUO CIRCONDARIO ne scrive al Conte di Firmian domandando consiglio, e nello stesso tempo suggerisce a S. M. che sarebbe bene, invece di decidere in favore dei Gesuiti o del Fisco, a pubblicare una dilatoria, la quale salvi la massima di politica di impedire una soverchia mol tiplicazione delle case di frati , ed insieme sospenda l'azione fiscale fino a tempo più opportuno. France sco III barcamenò, si lasciò lisciare dai Gesuiti , che avevano fondate in lui grandi speranze: il Governo assecondava il procedere del Duca, ma, quando venne l' occasione e l'esempio di Francia e Spagna, decretò la confisca. I Gesuiti alla lor volta, sicuri della pro tezione che speravano di aver ottenuta specialmente da Francesco III, fecero una contro petizione, doman dando che fossero caducati dalle irregolarità com messe, e fosse loro concesso di poter aprire il Collegio in Varese. Le ragioni addotte sono abbastanza leg giere, perchè difficilmente si possa loro concedere il richiesto. E nella relazione governativa e nella peti zione dei Gesuiti si fa pomposo sfoggio di erudizione nella citazione di testi e passi di legislatori per soste nere ciascuno le proprie tesi. Ma, come dissi, si cercò un mezzo termine finchè gli atti del Governo di Spa gna e di Francia contro i Gesuiti, risolvettero la que stione in odio a questi, e non solo fu loro interdetta l' apertura del Collegio in Varese, ma anche furono soppressi nel 1773, e la sostanza convertita in uso di scuole, per mantenere ed aumentare quelle che già i Gesuiti avevano aperte dal 1737 in Varese 5). Notevole è il modo con cui fu loro intimata la sop

pressione. - Il 20 settembre alle ore 7 pomeridiane si recarono alla Casa de'Gesuiti il Prevosto di Varese, delegato cAPIToLo QUARTo v 79 dall'Arcivescovo, col suo Cancelliere, un Abate, Segre tario del Governo di Milano, il Segretario del Duca, certo Del-Re, il Dott. Ottavio Castiglioni, Attuario civile, e due preti quali testimoni. Ivi, in presenza di tutti i reli giosi, si lesse il Breve Pontificio, indi il Prevosto intimò a que'Religiosi che, entro 10 giorni, dimettessero l'abito del loro ordine, inibendo loro ogni funzione religiosa, eccetto la Messa privata. Furono dipoi nominati ammi nistratori, per le cose di religione, il Teologo Sormani, per gli interessi civili, compresi nella Signoria del Duca, il signor Francesco Parravicino, e per quelli fuori della Signoria, il signor Giovanni Antonio Elena, Regio Can celliere. Costoro fecero inventario di tutto, suggellarono ogni cosa, e permisero ai Religiosi di abitare per 10 mesi nel loro Convento. In questo frattempo i Gesuiti dovevano presentare i conti di tutta la loro gestione; dai quali risultò, se sono giusti i calcoli riferiti da una cronaca, che possedevano circa 900.000 lire in ista bili, e, dedotte le spese di culto, di istruzione, di vitto, ecc., avanzavano ogni anno circa 15.000 lire. I Padri Gesuiti residenti in Varese non furono mai più di sei. Di essi le cronache locali parlano con ogni lode, sia perchè benemeriti dell'istruzione, sia perchè davano larghe elemosine ai poveri.

Piazza Podestà. – Questa piazza fu ingrandita nel 1599, mediante atterramento di parte della casa Biumi. – Era in questa piazza che ordinariamente avevano luogo le esecuzioni capitali e infliggevansi le altre pene cor porali, usate ne' secoli di mezzo, fino al termine del secolo scorso º). Reliquie di tal costume erano i grossi anelli infissi nelle colonne del Palazzo, da poco tempo levati, e la colonna con sovrappostavi la croce, tra 80 VARESE E SUO CIRCONDARIO sportata poi nel Cimitero. In questa piazza, nel secolo passato, solevasi inoltre ergere un palco, dal quale predicavano i Padri Missionari, quando venivano ogni 7 od 8 anni a dar la Missione al popolo, e sul quale riz zavasi un altare. Quando la piazza non era sufficiente a contenere il popolo, che accorreva in folla, specialmente alla be nedizione papale, allora questa la impartivano in un prato o selva più ampia. Quelle missioni erano pa gate dalla Comunità, o con qualche legato, od anche dai Principi, come fu quella del 1718, spesata dal Gran Duca di Firenze. Nel marzo del 1814 la piazza formicolava di popolo che, in odio all'antico governo, dopo avere scacciati gli Ufficiali di giustizia, che vi abitavano, metteva a soqquadro gli Archivi Governativi e Comunali, e, con ignorante e maligno desiderio di vendetta, dava alle

fiamme le carte tutte. -

Il palazzo municipale, già detto del Pretorio, decretato dalla Comunità nel 1566, venne eretto nel 1570 ad impresa. Questa è la prima opera pubblica fatta per appalto, di cui si abbia memoria in Varese. Nel 1590 vi si pose la campana per le riunioni comunali, mentre prima si usava delle campane della Chiesa. Le adu nanze popolari si tenevano o in piazza, o nella chiesa

di S. Giovanni. - Nell'atrio della scala di esso ora vedesi la lapide commemorativa dei generosi varesini caduti nelle di verse battaglie per la nazionale indipendenza, che porta : CAPITOLO QUARTo 81

ONORE AI CITTADINI CADUTI PUGNANDo PER L'ITALIA.

1848 – Cattaneo Francesco, Sorio – Macchi Pa squale , Morazzone – Zerboni Giovanni, Venezia – Macchi Ambrogio, Mestre. 1849 – Morosini Emilio, Roma – Dandolo Enrico, Roma – Maffei Daniele, Padova – Maffei Carlo, Ve nezia – Cova Giovanni, Brescia. 1859 – Ossola Ferdinando, S. Martino – Girola Giuseppe, S. Martino – Ambrosini Achille, Solferino. 1860 – Martignoni Luigi, Calatafimi – Bottini Cor rado, Milazzo – Pavesi Carlo, Milazzo – Pavesi An tonio, Milazzo – Taschieri Luigi, Volturno – Valli Paolo, Capua. 1863 – Rota de' Rossi Giuseppe, Santa Croce di Magliano – Brusa Rocco, Santa Croce di Magliano. 1866 – Nicora Clemente, Valleggio – Mercandalli Filippo, Monzambano – Walder Vincenzo, Monte-Croce – Stoppani Ambrogio, Lissa – Brusa Giuseppe, Cu stoza. 1867 — Buzzi Antonio, Mentana. Sulle pareti dello scalone sono appesi due dipinti ad olio, uno de'quali si attribuisce al Morazzone. Inaugurata la nuova era di libertà, il Consiglio Co munale di Varese fu il primo che diede il bell'esempio di rendere pubbliche le sue adunanze ”).

Stemma. – Le insegne municipali di Varese furono, con decreto Imperiale Austriaco del 17 novembre 1820, fissate a questo modo. « Scudo spaccato di rosso e d'argento, ed incassato di argento nel rosso nella parte superiore. Lo scudo

Varese e suo Circond, - VOL. I. 6 82 VARESE E SUO CIRCONDARIO è cimato da una corona marchionale a cinque fioroni e quattro palle, coll'effigie di S. Vittore, nascente, in abito militare, che ha nella destra una bandiera di bianco caricata di una croce rossa, e nella sinistra una palma. » Una supplica del comune di Varese, del 29 maggio 1812, diretta al Duca di Lodi, Cancel liere, Guarda-sigilli della Corona, Presidente del Con siglio del Sigillo dei Titoli, chiedeva gli fosse concesso lo stemma di conte colle relative livree. Un progetto di arme per lo stesso Comune, ma secondo le idee di quel Consiglio, leggesi nelle carte degli Archivi Gene rali di S. Fedele in Milano, e dice: Varese, Comune di seconda classe, di un reddito maggiore di L. 10,000, appartiene alle Comuni che pagano una tassa simile a quella dei Baroni. (Dunque corona di barone, e non di conte). Scudo di porpora con tre quarti di croce d'argento e il canton franco sinistro di verde, ca ricato della lettera N (in onore di Napoleone), sor montato da un nastro, il tutto d'argento. – Ornati esteriori: come per Sassuolo. – Livree; porpora e bianco. Un altro documento degli stessi Archivi ci fa sa pere, che « il Comune di Varese ha sempre usato, per antichissimo possesso, del proprio stemma, tanto per decorarne i principali luoghi del paese, che per uso del proprio Ufficio. Lo stemma consiste in uno scudo ovale (segno di grande antichità), diviso in due campi, bianco l'inferiore, rosso il superiore, e questo separato in due parti uguali da una fascia verticale dal campo bianco (cioè da un palo bianco); sormontato da una corona e dall'effigie di S. Vittore, e fregiato nella circonferenza da alcuni ornamenti. Tale possesso è dimostrato dal vedersi impresso lo stesso stemma in cAPIToLo QUARTo 83 molti atti vetusti, fra' quali in un mandato del 24 gen naio 1697, e dal rilevarsi esistente per antico manu fatto sulle due porte d'ingresso verso Milano e verso Laveno, e sopra alcuni edifizi pubblici. » Altri documenti del 1820soggiungono, che uno stemma, conforme al descritto « esiste dipinto nel coro di questa Chiesa Prepositurale, sino dall'anno 1500; un'altro sull'atrio della Porta, detta di campagna, dipinto nel 1600; un'altro ancora sopra l'arcata del così detto Portone, che conduce alla piazza della Chiesa sud detta; e finalmente, sulla Porta di Pozzovaghetto, che dicesi dipinto nel 1756 *). » Intorno, o sotto gli stemmi antichi, stava la leg genda: Oppidi Varisii Communitas, o semplicemente Comunitas Varisii. Lo Stemma di Varese figura sulla corazzata della ma rina italiana, cui la nostra simpatica città ebbe l'onore di dare il nome, e che fu varata all'aprirsi della guerra 1866. I Varesini donarono ad essa una bandiera di seta, collo stemma reale, la cravatta di velluto azzurro, colle parole ricamatevi in argento : Corazzata Varese – la Città di Varese. Fece parte della squadra che prese possesso del porto di Venezia, dopo che questa città fu liberata dagli Austriaci. Il 22 marzo 1868 tumulandosi in Venezia le ceneri di Manin, Varese alla pietosa e patriottica cerimonia fu rappresentata dal Sindaco, al quale fu associato dal Con siglio Comunale, il Consigliere Luigi Cortelezzi, per ri cordarvi la prima Compagnia dei Bersaglieri Lombardi, di cui era luogotenente, composta in massima parte di Varesini. - Gl'inviati dalla nostra città furono incaricati di re care e deporre colà un marmo, che rammentasse i no stri concittadini caduti nel glorioso assedio del 1848-49 84 VARESE E SUO CIRCONDARIO La lapide fu collocata nella chiesa di santa Maria Gloriosa, detta dei Frari, e porta lo stemma di Va rese, È lavoro semplice, ma ben inteso e gentile del distinto scultore Buzzi-Leone di Viggiù.

Stemma del Vicariato. – Sull'ultimo dei tredici fogli del codice membranaceo degli Statuti di Varese, conser vato nell'Archivio Comunale, trovasi, su carta comune, sovrapposta alla pergamena, colla data 1588, la descri zione dello stemma del Vicariato, il quale rappresenta uno scudo ovale, diviso in due campi: l'uno, superiore e piccolo, di color bianco, contiene un'aquila con co rona d'oro; l'altro, grande e inferiore, di color rosso, ha una torre bianca, contenente una pianta di pino, le radici della quale sporgono dalla porta della torre, e le frondi dai merli. Lo stemma del Vicariato e quello del Comune stavano dipinti sul Palazzo Pretorio; e quando arrivava a Varese un Governatore, per ono rarlo, si dipingeva accanto ad essi il suo proprio, o da solo, od anche unitamente a quello del Ducato di Milano.

Prigioni. – Annesse al Pretorio erano le prigioni, l'abitazione del barigello e degli ufficiali di giustizia. Queste prigioni, ora divenute Carceri del Tribunale di Circondario, contando vari secoli d' esistenza, sono an guste, trasandate, insalubri e disadatte; e sensi di umanità vogliono che si provveda a ricostruirle. Per vero dire si ebbero già ordini ministeriali per l'erezione di un nuovo carcere; ma finora nulla s'è fatto. Molte volte i prigionieri, quì rinchiusi, tentarono di evadere; e qualche volta il tentativo riuscì felicemente. Io qui narrerò di due evasioni, che destarono stupore. La prima avvenne nel 1741 , al 30 ottobre. I pri gionieri abbruciarono il pavimento di legno della stanza, CAPITOLO QUARTO 85 in cui erano rinchiusi, il quale formava il soffitto del salone del consiglio. Dalle finestre del salone calarono, mediante lenzuola, nella piazza. Il primo a discendere fu il Barigello, detto Luvino, il quale, impigliatosi nei lenzuoli, cadde mezzo morto al suolo, e fu dai com pagni portato nel campanile, dove dopo sei giorni mori. (Cronaca Marliani). La seconda, al giovedì grasso del 1865. Trovavasi in carcere, assieme a quattro altri detenuti, certo Ta loni Carlo di Milano, giovinetto di ancor fresca età, biondo, imberbe, di figura gracile e dilicata, di aspetto gentile, e di modi insinuanti. Egli era indiziato quale complice del misfatto, avvenuto tre anni prima, in casa del Parroco di Mesenzana, ma, mancandone le prove, subiva lunga prigionia di prevenzione. S'ac corse che un muro dello stanzone comunicava col so laio di una casa vicina, abitata da un oste. Il muro vecchio potevasi facilmente forare, e quindi pensò ap profittarne per evadere ; e ne aspettò l'occasione, che non tardò a presentarsi. Era la sera del giovedì grasso. I guardiani avevano fatta la visita d'uso alle carceri, e qualche ora doveva passare prima che altra visita avesse luogo. Fuori, per le contrade della città, domi nava lo schiamazzo dell' allegria carnevalesca, e nel l' osteria della casa, che sopra indicammo, echeggia vano i suoni, fervevano le danze, chiassava la gioia. Il Taloni s'avvide che il momento non poteva essere più opportuno per effettuare il suo disegno, e s'ac cinse all' opera. Da un secchiello, che trovavasi nel carcere, estrasse un chiodo, lo assicurò con un legac cio al manico del proprio cucchiaio di legno, colla massima facilità praticò con quel povero arnese un buco nel muro, ed in meno di un'ora di lavoro fu nel solaio della casa vicina, discese la scala, passò fra la 86 v ARESE E SUO CIRCONDARIO molta gente che divertivasi nell'osteria, si trovò nella strada, e buona notte. Ciò avveniva dalle 7 alle 8 ore. Verso le 9 i guardiani entrarono nel carcere per la visita, e conobbero la grave realtà dell'avvenuto. Gli altri detenuti non avevano seguito il compagno, e se ne stavano sui loro giacigliº).

Broletto. – Attigua al palazzo municipale sta un'ampia casa, denominata comunemente Broletto, perchè vi si tiene il mercato dei grani. Questa casa, coll'unito al bergo della Madonna del Monte, formava l'antica casa Biumi, dove ospitò l'Imperatore Sigismondo, nel 1413 come desumesi dalle carte di detta famiglia. Nel 1846, furibondo il popolo saccheggiava i magazzini delle granaglie nel Broletto, gridando morte ai proprietari ed ai ricchi, cui egli credeva cagione del caro dei viveri. Nel cortile del Broletto trovansi le seguenti iscrizioni:

I.

AMPLIFICATA PLATEA

EXTRUI JUSSIT Io. PETRUS BIMIUS EQUES ET COMES AC COLLEGII MEDIOI,..

JURIS CONSULTISSIMIUS

II.

AD PATRIAE DECUS AD ANTIQUUMI FAMILIAE SPLENDOREMI

AD PRINCIPUMI LIBERALE

HIOSPITIUM

HIAS . PRIMAS AEDIUM

PARTES CAPITOLO QUARTO 87 Piazza della Basilica. – Di contro al palazzo del Mu nicipio havvi l'Arco Mera, che dà passaggio alla piazza della Basilica. Quest' arco fu costruito nel 1850, in so stituzione ad un altro angusto e sconveniente che esi steva, con ingente somma donata all'uopo dal Cano nico Paolo Mera, come è ricordato nella lapide a destra sotto l'arco stesso. L'altra lapide, a sinistra, ricorda certo Antonio Garoni uomo bizzarro e faceto, che dopo aver approfittato dell'oscurità della notte per fare scherzi anche pericolosi, procacciò il beneficio della pub blica illuminazione notturna, legando le sue sostanze, nel 1833, alla città. La piazza della Basilica venne ampliata, e ridotta come presentasi oggidì, nel 1614. Dove ora sta l'uf ficio della Posta era un tempo la chiesuola di S. Do menico, di proprietà de' confratelli del Rosario. Vol gendo poi per un breve tratto di via, a sinistra, si riesce nella piazzetta di S. Rocco, così detta per l'antica chiesa dei confratelli dello stesso nome, della quale non rimase che qualche avanzo e qualche affresco, tra cui uno del Buttinone di Treviglio, che trovasi ancora in una bottega. A settentrione della Basilica innalzavasi la chiesetta del Capitolo, dedicata a S. Lorenzo, eretta nel 1442, e ora convertita in casa civile. È a lamentarsi che siano scomparse alcune rozzissime statue de'bassi se coli, e probabilmente del XII, le quali ritenevansi avanzo dell'antica rovinata Basilica e qui erano state collocate durante la ricostruzione della medesima. In questa chiesa convenivano le monache terziarie di S. Francesco, alcune delle quali vivevamo nelle loro case proprie, mentre altre convivevano in comunità in una casa , che fu dappoi incorporata con quella dell'attuale Teatro. 88 VARESE E SUO CIRCONDARIO

Teatro. – Ottavio Torelli di Varese ne diede il di segno, ed una società lo eresse nel 1791, spendendo la somma di circa 80.000 lire milanesi. Possiede al cune tele pregiate del Gonzaga e del Sanquirico. Da pochi anni fu riabbellito, ed ultimamente si provvide all'illuminazione a gas. La cronaca Grossi dà l'elenco di tutte le opere musicali rappresentatevi.

Ospedale. — Il primo ospedale di Varese fu eretto da frate Alberto da Brignano al luogo ancor detto Nifon tano, in territorio di Bosto; il secondo sussisteva in Varese, fin dal 1523, presso la chiesa di S. Cristoforo, in vicinanza alla quale era pure il forno pubblico lº) Questo Ospedale era amministrato dai confratelli di S. Giovanni Evangelista. – S. Carlo, con istromento ro gato dal Notaio Pietro Scotti, 19 novembre 1567, li incorporò in un solo, unendovi altre rendite, e fab bricandovi una nuova casa presso la detta chiesa di S. Cristoforo. Il regolamento dato da S. Carlo era così fatto. Do dici deputati dovevano amministrare l'ospitale, ed erano mominati dalle quattro squadre di Varese. Ogni anno si rinnovavano per metà, cosicchè ciascuno durava in carica due anni. Da dodici furono poi ridotti ad otto. Ogni anno ciascuna squadra ne nominava due, e, dagli otto nominati, il Preposto ne sceglieva quattro a suo arbitrio, uno per isquadra. Il dì dell'elezione, deman data al Preposto, era fissato alla vigilia di Sant'Am brogio. Alle deliberazioni dei deputati assistevano sempre il Preposto e l'Assistente regio, ma senza voto delibe rativo. Tutte queste ordinazioni e mutazioni avven CAPITOLO QUARTO 89 nero in seguito alle visite pastorali del ll novembre 1657, 9 ottobre 1574, ll febbraio 1582. Nell'anno 1657, l'Amministrazione cedè la vecchia casa, per un cambio, al Canonico Angelo Maria Casti glioni, ed acquistò poi, per trapiantarvi l'ospitale, al prezzo di L. 15,000, la Casa delle Vergini di Sant'Orsola. Nel 1831 si atterrarono alcune casupole per aprire uma piazza conveniente ad un nuovo edificio, che si riedificò in quell'anno stesso su disegno dell'ingegnere Gilardoni. Il palazzo non è tuttavia terminato, e la parte da costruirsi sarebbe destinata ad una Casa di Ricovero pei mendichi. Nella chiesuola, annessa all'ospedale, vedonsi i due quadri la flagellazione di Cristo e S. Carlo che visita gli appestati. Il primo è creduto lavoro di Luini , il secondo d'un Procaccino. Nell'anno 1808, furono delegati ad amministrare l' ospedale due impiegati regii, ai quali subentrò poi l'Amministrazione della Carità, fino al 1822. A questa successe in appresso un solo Amministratore; e cogli ultimi ordinamenti pubblici l' azienda di questo Luogo Pio fu affidata alla Congregazione di Carità. All'ospedale v'è pure unito il Monte di Pietà. Lo fondò Giovanni Battista Sessa, nel 1576, collo sborso di scudi d'oro duecento, che da altri furono poi au mentati. Nel 1796, venne, come gli altri di Lombardia, spogliato dalla violenza degli emissari francesi, ed ebbe nuovo risorgimento, nel 1817, col deposito di 3000 lire, donate da Pasquale Ventura 11).

Le Vergini di Sant'Orsola, a Regondello, ebbero prin cipio nel 1584, ed eressero casa propria nel 1587. Non si sa bene che cosa fossero, nè che facessero ; meri 90 VARESE E SUO CIRCONDARIO tano però di essere conosciuti alcuni particolari che le risguardano. Nella cartella, N. 1974 Culti e Monache (R. Archivio di Stato) trovo: «Sul finire del 1500, Caterina Perabò, coi propri denari e con quelli di altre persone, fondò una Casa in Varese, puramente secolare e laicale, per uso di quelle vergini, che vorranno insieme e comu nemente abitare, e che serva per luogo di persone, le quali, non volendo obbligarsi a stato religioso, ma ri manere colla libertà di secolare, vogliano però vivere ritiratamente e più lontane dalle occasioni di peccato. - Tuttochè avessero una regola, nondimeno non ne sono obbligate all'osservanza ; e il suo titolo stesso dice come sia laicale la fondazione, chiamandosi essa Regola da osservarsi dalle Vergini stando nel secolo. Anzi una vergine, che facesse voto, non è più ammessa in quel luogo, il quale è più un honestum vivendi modum, che un Convento. Questa congregazione, governata esternamente da gentiluomini laici, ed internamente da Caterina Perabò, non era soggetta ad alcuna giurisdi zione ecclesiastica. Ma il Vicario di Varese, che ve deva forse di mal' occhio una istituzione, per cui la Chiesa non cavava profitto, volle arbitrariamente fare una visita alla Casa, ed entrava per forza a visitare il Convento, la Chiesa e le Vergini, per metterle sotto la sua protezione. Da qui un guajo interminabile. Il Vicario scomunica la Caterina Perabò, perchè aveva ostato al suo ingresso; le impone di deporre il priorato. Questa obbedisce, ma ricorre protestando al Senato di Milano. Il Vicario è accusato di arrepzione indebita di diritto, e dipinto abbastanza con brutti colori dal l'impiegato mandato a Varese dal Senato per fare l'inchiesta. Il Vicario allora si scolpa, e chiamasi ca CAPITOLO QUARTO 91 lunniato, finchè, per l'intercessione dell'Arcivescovo, si decide la questione, salvando capra e cavoli, in questo modo: Le monache chinassero il capo al Vicario per quella sola volta; ma queste avessero il diritto di eleggersi la Priora, e di vivere indipendenti anche dal regio Assistente. Tale decisione spiacque tanto al Pre posto e ai preti di Varese, che, prima di comunicare la risposta del Senato alle monache, come era stato loro ordinato, ardirono cancellare, dalla frase eligerent a se ipsis Priorissam, le parole a se ipsis, preten dendo aver mano anche in ciò. Le monache, saputa la gherminella, protestano di nuovo, ed il Preposto, che assolutamente non poteva soffrire quella società indi pendente dalla sua giurisdizione, tratta coi parenti delle Vergini, e cerca, per vie suggestive, di toglierle tutte dalla Casa. Ma l'opera non riuscì. La cosa venne definita con una buona ramanzina al Preposto di Va rese per parte del Senato, il quale, mentre si aspet tavano le decisioni di Roma, ingiunse a lui di lasciare sussistere la casa di Sant' Orsola sotto l'invocazione di Santa Marcellina, come sempre visse, e di non in gerirsi negli interessi di quelle monache, sotto pena di cadere in disgrazia di Sua Maestà. Ciò fu poi anche confermato da Papa Clemente III, nel 1598, con bolla a stampa. Nel 1618, il Senato di Milano, per togliere il pericolo che si rinnovassero le scene del 1594, scrisse al Pre posto di Varese di invigilare sopra ciò che sarebbe per fare nel Collegio laicale delle Orsoline il Visitatore ecclesiastico, destinato ad una ispezione. Fatto sta che quelle Vergini, interpretando forse li beramente le pie intenzioni dell'Istitutrice, comporta vansi in maniera non troppo dicevole al loro stato. 92 VARESE F SUO CIRCONDARIO Infine il loro numero assai rilevante, e, più ancora, il loro tenor di vita valsero a provocare dal Sindica tore Apostolico la chiusura dell'Istituto. Ma esse op posero il braccio secolare ; del che indignato il Sindi catore, fulminò l'Interdetto, e, come conchiude il Ripa monti nella vita del Card. , iis aqua et igni interdictum est, tutte si rifugiarono nelle loro case paterne, salvo poche, che si ridussero a convi vere nella casa del Capitano Carcano in Biumo infe riore (1656), coll'intenzione di condurre vita migliore. Due anni dopo esse con altre fondarono il monastero di Santa Teresa, seguendo la regola agostiniana.

Asilo d'infanzia. – La prima origine dell'Asilo di Varese si ripete dall' offerta di 8000 lire austriache fatta dalla signora Anna Maria Pestoni-Galli e dal legato disposto dalla signora Lucia Borsotti. A queste si aggiunsero altri cittadini con ispontanee oblazioni. Il clero parrocchiale, e specialmente il curato Filippo Sessa, patrocinò la filantropica istituzione, che fu inau gurata nel 13 giugno 1851. Il vantaggio apportato al paese dalla nuova istituzione fece sentire il bisogno di un apposito locale proprio, per poter estendere il beneficio ai numerosi figli del povero. Devesi all'opera del Sac. Cav. Vittore Veratti, che di assidue cure pre dilesse questo Asilo, se, in breve, sorse il comodo edi ficio, dove presentemente sono ricoverati ed istruiti oltre 180 bambini. Gli ammiratori di lui, per sottoscri zioni, collocarono in una delle sale il busto di marmo, scolpito da Vela, a ricordo di gratitudine e ricono scenza. Il Governo dichiarò legale la fondazione del l'Asilo, e ne approvò lo Statuto, con decreto 30 gen naio 1862. CAPITOLO QUARTO - 93

Piazza del Mercato. – La via Cavour sbocca nella nuova piazza del Mercato, per far la quale si distrusse la Caserma Vecchia, unica casa che nell' abolizione di tanti chiostri, erasi riservata il Comune. Fu monastero dei Gerolimini, i quali vennero ad abitarvi nel 1737, avendo comperato quella casa, che era dei signori Be sozzi, l' osteria dell'Angelo ed altre vicine. In quell'anno era Generale dell' ordine un Marliani varesino. Vi abitarono fino al 1774, in cui, per ordine sovrano, furono aboliti, essendo meno di dodici. Tra costoro contavansi due Padri Abati Mitrati. Del Mo nastero si impossessò il Duca di Modena, che lo cedè, insieme all'osteria dell'Angelo, all'ospitale di Varese, facendone livello con Gerolamo Minola, mastro di posta, salve sempre le ragioni di fidecommesso, nel caso venissero riconosciute, pretese dal signor Griffi, giacchè quel chiostro era proprietà ed abitazione dei signori Griffi. Di questa famiglia sono da ricordarsi i seguenti: ALBERTo, professore nella Università di Pavia alla metà del secolo XV. RAFFAELE, Beato, compi i giorni suoi colla morte de' giusti, a'24 novembre 1483. LEoNARDo, buon poeta, vescovo di Gubbio, e, nel 1482, da Sisto IV innalzato all'Arcivescovado di Benevento. AMBRoGIo, fisico eccellente e collegiato, matematico, teologo, protonotario apostolico, abate commendatario di S. Pietro di Lodi, archiatro, consigliere ducale, ca valiere, conte palatino, senatore, e fondatore del Col legio in Pavia, che da lui prese il titolo. Nel demolire (1868) la Caserma vecchia furono os servati alcune cornici di cotto d'ottimo gusto, che por 94 v ARESE E SUO CIRCONDARIO tavano in rilievo l'antica impresa, forse del casato cui apparteneva, e sulla quale in parte leggevasi Dro... t semper; ed alcuni stemmi, capitelli, e fregi di fine stroni che, a detta degli intelligenti, risalirebbero al 1400 o lì presso. Sulla porta stava scolpito il motto benefacere et laetari. Procedendo per la via di Pozzovaghetto, prima del l' antico ponte, eravi il palazzo Alemagna (ora casa Bizzozero) nella quale trovavasi una buona raccolta di quadri dei nostri lombardi, e specialmente del Mo razzone, del Cairo, del Magatti, del Bonino, del Ron chelli, del Procaccino, e di altri. Nell'albergo della Stella, il più antico in Varese, il celebre astronomo Oriani constatò con esperimenti che Varese elevasi sopra il mare metri 398 o piedi 1226. Passando davanti alla casa Magatti, devesi ricordare il valente pittore PIETRo ANToNIo. Lasciò tanti dipinti a fresco e ad olio , quasi tutti di soggetto sacro, che sono prova della sua straordinaria operosità. Negli ultimi anni di sua vita, causa una malattia d' occhi, stemperò i suoi quadri con troppo color ceruleo. Il miglior suo lavoro ritiensi dagli intelligenti il Figliuol Prodigo, posseduto dall'attual Sindaco di lui nipote. Fu creato Cavaliere e Conte Lateranense da Clemente XII, con diploma 27 giugno 1731. Ebbe distinti scolari tra cui il Ron chelli ed il Martelli. Volgendo a destra, andiamo a visitare la

Chiesa di S. Giuseppe. – Questo antico oratorio venne rinnovato, ingrandito, ed abbellito dal 1589 al 1617, e va distinto fra le Chiese sussidiarie per tutto che concorre a decorarlo. È ricco di ornati a stucco, di CAPITOLO QUARTO 95 indorature, e di non ispregievoli statue in plastica, rappresentanti, nel coro, S. Gioachimo e S. Giuseppe, e, nella navata, i più distinti Dottori, che parlarono della Concezione di Maria. Ha un unico altare in legno, dove inverniciato e dove indorato, fregiato con lavori d'intaglio e con sta tuine di angioli che intorniano quella piuttosto colos sale dell'Immacolata, la quale sta nel mezzo, in atto di calpestare il capo del comune nemico, con sotto scrittovi il biblico motto ipsa conteret caput tuum. Essa data dal 1617. Le pareti della Chiesa sono dipinte da certo Ran cati, che effigiò i nostri Progenitori nello stato di Innocenza e in quello di Colpa. Sono da rimarcarsi i puttini della volta, sortiti dal pennello del Cav. Del-Sole. Lo sposalizio di Maria Vergine, il sospetto di S. Giu seppe, la sua fuga, il riposo in Egitto, e la sua morte, affreschi sulle pareti del coro, vennero coloriti dal Ronchelli. I fatti, rappresentati sulla volta dello stesso coro, sono di Melchiorre Gherardini, come ne fa cenno un'iscrizione in un angolo, ivi apposta. Giulio Cesare Procaccini lavorò la bella tela del coro, che rappresenta la Vergine in mezzo agli An gioli. Il piccolo S. Giuseppe col Bambino, altra tela sottoposta alla citata, si vorrebbe della scuola di Guido Reni. L'Agar nel deserto, quadro di faccia all'organo, è della scuola di Magatti, e probabilmente del Ron chelli. La facciata costrutta nel 1593, e rifatta nel 1725, su disegno del capomastro Giovanni Antonio Speroni di Varese, presenta nel mezzo la figura del Titolare, affresco del Magatti.

Piazza della Motta. – Da Pozzovaghetto si passa alla 96 VARESE E SUO CIRCONDARIO Motta, che trae il suo nome da Mota del Mercato. Diffatti qui, fin dal 1000 circa, tenevasi il mercato e venivano i giudici del Seprio a sentenziare pro-tribu nali. Il luogo, ove si radunavano i Giudici, era un rialzo di terra fatto ad arte, circondato da fosse e bastioni, ed era detta la Motta. Vi si aggiunse del Mercato, per chè appunto all'intorno tenevasi mercato, ed era fuori del Borgo *).

Chiesa di Sant'Antonio. - Questa chiesa, la più ampia fra le sussidiarie, ha due altari di cui il mag giore ricco di pregiati marmi. Restaurata e ingrandita, nel 1593, per opera di Giuseppe Bernasconi, presenta sulla sua volta e sulle pareti uno dei più grandiosi dipinti architettonici, lavoratovi a fresco, nel 1756, da Giuseppe Baroffio, concittadino pittore. Le figure delle due medaglie, la gloria del titolare e l'esaltazione di Santa Croce sulla volta della navata e del coro, non che le altre delle pareti, sono fatture di Giambattista Ronchelli. Gli stalli del coro vennero fatti, nel 1604, su disegno del falegname Marc'Antonio Bernasconi. La statua in legno di Sant'Antonio Abate, che ve desi sulla parete di mezzo al coro, è intaglio di un Sessa di Velate ; e si vogliono di Francesco Silva i Santi Anacoreti Paolo , Onofrio, Ilarione e Macario, statue in plastica, che si presentano ai quattro angoli della navata in corrispondenti nicchie. È costume antico de'nostri campagnoli visitare questa chiesa nel giorno della festa del Titolare (17 gennajo), accompagnando le coppie de' loro sposi novelli, vestiti degli abiti nuziali. Le spose si fanno belle di vezzi, collane, spilloni e anelli appariscenti sotto mitene CAPITOLO QUARTO 97 di refe, quantunque talvolta spiri una brezza ghiac ciata, o fiocchi la neve. - In quel dì il sagrato è convertito in fiera, e suolsi, come caratteristica della festività, porre in vendita dei pesciolini essiccati e salsi. Di fianco alla chiesa di Sant'Antonio si innalza il colle Mirabello, su cui s' erge l'elegante

Villa Taccioli, imitante lo stile delle case svizzere. Essa ha unito un grazioso giardino, avente singolari parterre di fiori, un grande esemplare di Cupressus macrocarpa, e, nelle serre, ricca scelta di piante con foglie disegnate a diversi colori. Nel vicino oratorio vedesi una bellissima statua di marmo bianco, rappresentante la Madonna col Bam bino, del celebre Busti, detto il Bambaja, e la quale credesi dovesse appartenere al monumento di Gastone di Foix. In questa villa alloggiò il Re Vittorio Emanuele, quando, nel 1859, venne a visitare Varese. Passeggiando in quell' ameno giardino, e nel vicino di Casa Veratti, unito a questo in quell'occasione con ponte provvisorio, nell'ammirare il bellissimo panorama, che si gode da quell'altura, il Re disse al Ministro della sua Casa : « Non mi avete mai comperato una villa come questa. » Ed il Ministro rispose : « Maestà, finora non foste che Re di Piemonte. »

Piazza Porcari, prima detta Padella, prese tal nome dalla famiglia Porcari , che ivi abitava e che la ampliò, ed alla quale appartenne il venerabile Porcara Giovanni Battista, Minore osservante , dipartitosi da questa vita nel 1469. La casa Porcari passò in

Varese e suo Circond. – Vol. I. 7 98 VARESE E SUO CIRCONDARIO seguito ai signori Carentani, famiglia illustre, che diede un Podestà a Como, negli anni. 1208 e 1211, di nome Amizzone, ed un altro a Milano, nel 1311, di nome Felicino. Questa piazza era un tempo tutta a pozzanghere; e la cronaca Adamollo nota che, dopo la peste del 1630, vi gracidavano le rane. In principio della via Luigi Sacco vedesi la casa già di quei nobili Ghirlanda, cui appartiene Don Ga spare, autore delle compendiose notizie di Varese. Altri membri di quella casa, meritevoli di ricordo, sono : FILIPPo, Primate del Seprio nel 1285; NICoLò, Questore del Magistrato straordinario nel 1507 ; e FRANCEsco MARIA, cappuccino, rinomato oratore, pre dicatore apostolico, destinato alla tiara, che cambiò colla immortale corona, prima del 1666. I signori Ghirlanda possedevano una buona raccolta di dipinti della scuola Lombarda , ed una ricca colle zione di lapidi romane, ricordanti Giove, Nettuno, Sil vano, Antonino Pio ed altri, rinvenute nel Circondario. Tali lapidi vennero disperse, ed ora non ne rimangono che due nel Museo Patrio di Varese. In questa casa nacque LUIGI SAcco da Carlo Giuseppe e da Maddalena Guaita. Ebbe la prima educazione dai modesti genitori, e, com piti i primi studi di grammatica e di rettorica in Va rese, passò all'Università di Pavia, dove fu ammesso alunno gratuito nel collegio Ghislieri. Alla scuola di una pleiade di Professori illustri, alcuni dei quali di fama più che europea, educò il suo vasto ingegno; e nel 1792 ottenne la laurea in medicina e chirurgia. Trasferitosi a Milano, trovò largo campo a' suoi studi e alle sue indagini nel massimo tempio della CAPITOLO QUARTO 99 beneficenza lombarda, l'Ospedale Maggiore. Nell'eser cizio del suo ministero si guadagnò la stima e l'affetto dei più reputati colleghi della città e del territorio, e l'intima amicizia del celebre Moscati. Come primo saggio de' suoi studi presentò alla Società Patriottica delle Scienze in Milano la memoria : Sopra una nuova maniera di preparare gli insetti, che fu premiata. Sul punto di partire per l'America fu trattenuto da prin cipesca preghiera, che lo salvò dal naufragio toccato al vascello, su cui doveva navigare. In seguito si diede con ardore a nuove ricerche; accolse con trasporto l'introduzione dell'ago-puntura ; studiò la potenza dell'jodio ; additò il cloro come mezzo anticontagioso preventivo, ed anche come rimedio pel tifo petecchiale; e, nel 1820, sviluppatosi questo morbo nell'istesso no stro circondario, a Venegono, vi accorse, vi aprì ap posito Ospedale, divenendone Direttore e curante, ed ebbe la fortuna, dopo solo un mese e mezzo, di chiu dere quella casa di dolore, riportandone la fede che il cloro aveva fatto miracoli. Di 106 ammalati e 25 so spetti, 5 soli erano morti. Ma il merito più grande del Sacco si è quello di avere scoperto, nel 1800, il pus-vaccino indigeno nelle giovenche di un fittaiuolo cremonese, provenienti dalla fiera di Lugano, mentre esse trovavansi in Varese, pascolando, come di solito per il passato, nei prati comuni. Egli subito ne esperimenta l'inoculazione su sè stesso prima e poscia sui figli del contadino Giulio Paccini, di Casbenno, che volonteroso li sottopose alla prova; e d'allora in poi si fa l'apostolo della vac cinazione. Scrive varie opere, moltiplica le opera zioni, che divengono generali in Italia. Il pus-vaccino dall'Italia vien mandato in tutto l'Oriente ; sicchè lo 100 VARESE E SUO CIRCONDARIO stesso Sacco potè scrivere : che l' Europa ha omai pagato il debito all'Asia, la quale prima aveva inse gnata la inoculazione del vaiuolo umano. Prima del 1809 erano già più di 500000 gl'individui, che il Sacco aveva vaccinato di sua mano. Per tanto ben meritò il titolo di – mio grande emulo – col quale chiamavalo l'immortale Jenner, e l'onore di me daglie d'oro, coniate per lui dalle città di e Brescia. Nel 1811, quando Napoleone, per nuocere all'Inghil terra, privò i popoli de' suoi stati delle straniere pro duzioni, e specialmente dei coloniali, il Sacco fondò in Italia la prima fabbrica di zucchero di barbabietole, ed in quella vi introdusse sì ottimi perfezionamenti nelle macchine e nella confezione, che l'Istituto di Scienze ed Arti lo dichiarava degno di encomio, e l'Imperatore gli decretava solennemente una medaglia d' oro. Nel 1815, si associò e corse in aiuto a Giacomo Rousselin nel bonificare l'estesa palude, detta Piano di Colico o di Spagna. Vi riescì, e fu onorato col l'insegne di cavaliere della Corona di Ferro. Nel 1820, inventò e mise in azione una macchina acconcia a preparare il lino e la canape senza mace razione, ed in appresso un'altra per lavorare a filo ed a tela il lino di Russia. Anche per queste ottenne me daglie d'argento. Fino agli ultimi suoi dì fu appassionato floricultore, e riuscì ad educare e riunire 120 nuove varietà di camelie. Scoprì, nel giardino di casa Andreani, in Mi lano, il così detto Morus morettiana o nuova specie di gelso, che moltiplicò con ricchi vivai nel Piano di Colico, e la cui coltivazione seppe il Professore Mo retti introdurre ed estendere in Italia e all'estero. CAPITOLO QUARTO 101 Il Sacco morì in Milano, a 67 anni, nel 1836, e le sue ceneri riposano nel cimitero di S. Gregorio. Fu per otto anni Direttore Generale della vaccinazione nel Regno d'Italia; per dieci anni Medico Consulente nel Magistrato Centrale di Sanità; per più di trenta Medico primario nell'Ospitale Maggiore e nell'annesso Ospizio de'Trovatelli; e per quattro anni Direttore di fatto del l'Ospitale stesso, sotto i portici del quale l'Accademia Fisio-Medico-Statistica poneva, nel 1858, un bel monu mento a ricordo del medico insigne, del riparatore di tante vite. Nel basso rilievo centrale di quel monu mento, opera dei distinti fratelli Pandiani di Milano, è riprodotta la facciata della casa, dove nacque Luigi Sacco. O Varesini, ricordate soventi il vostro concittadino, il Grande Benefattore dell'umanità, che onora l' Italia tutta, e che fu detto mcritamente il Jenner lombardo 1). La Corte. – È così detta, perchè già sede del Duca Fran cesco III, ora proprietà del signor Cesare Veratti. Il palazzo, quantunque grandioso, non può certamente es sere segnalato per eleganza di stile architettonico, ch'è il barocco; ma l'annesso giardino va annoverato tra i più belli di questi dintorni, e s'accosta assai, nel complesso della sua prospettiva, a ripetere in piccolo il disegno di quello maestosissimo del palazzo impe riale di Schönbrunn a Vienna. Dall'alto di un suo poggio si gode d'uno stupendo panorama. In questo giardino si danno lieto convegno Varesini e Villeg gianti ne'tepidi giorni dell'autunno, in cui è aperto al pubblico, e, per cortese disposizione del proprietario, rallegrato da concenti di scelta banda musicale. « Il giardino incomincia appiè del palazzo, verso la 102 VARESE E SUO CIRCONDARIO fronte posteriore, sviluppandosi sopra una collina pa rallela e discosta un dugento passi. Al basso e lun ghesso l'edifizio, stanno le aiuole dei fiori; davanti il corpo centrale, si stende, fin sopra il poggio, una specie di anfiteatro erboso, decorato al piano da un'am pia vasca munita di un forte zampillo d'acqua, a metà costa da una statua dell'Italia libera, e sulla collina da una rotonda tagliata in una fitta vegetazione di carpini; e due porticati simmetrici, tagliati pure in una cresciuta delle stesse piante girano i due lati del l'anfiteatro con una salita agevole, fresca ed ombrosa. Il resto del giardino è quasi tutto imboscato di abeti verdeggianti, da pini nostrani ed esotici, di faggi, di quercie e di cento varietà di piante. L'arancaria em bricata, la vellintonia, la sequoia, il ginepro della Vir ginia, il cedro del Libano, il Larice, le Tuje, vegetano prosperosi sopra densi ingombri di Sabine, e l'ellera, che invade tutto, s'atteggia ad albero d'alto fusto ove riuscì a soffocare un abete nelle spire fatali dei suoi abbracciamenti. Un teatro agreste, ottenuto con una ridente disposizione di faggi, una torre dalla cui cima si discopre tutta l'alta valle del Po, un bosco nero, fresco, tappezzato d'ellera lustrante, ed entro al quale non penetra raggio di sole, grotte, pelaghetti e prati, s'alternano a vicenda a rendere veramente delizioso il soggiorno di questa villa *). » CAPITOLO V.

La Basilica e la Torre,

Basilica. – La Basilica è dedicata al martire S. Vit tore, e ciò è una delle prove di sua antichità. In vero le chiese erette in onore di quel Santo sono tutte di vecchia data, ed alcune di esse si riferiscono perfino ai primi tempi cristiani. La cronaca Grossi fissa la costruzione della Basilica varesina al secolo VII, e dice che, per erigerla, fu distrutto un tempio sacrato a Giove, sul frontone del quale era infissa la lapide se guente : I O V I O. M. H. T. S. BAR. Cotali lettere sono così interpretate: A Giove ottimo massimo questo tempio consacrò Varese. La cronaca, per dar fede al suo asserto, accenna ad antiche perga mene della Chiesa, senza però riportarle, nè dire quali fossero. Il Sormani pure accenna a tali pergamene, da lui stesso anzi registrate, e, a proposito dell'antichità della Basilica, soggiunge « sortì ella assieme colla Porziana, prima cattedrale di Milano, il nome di S. Vit 104 VARESE E SUO CIRCONDARIO tore. » Ma se è difficile fissare l' epoca precisa del l' erezione della vecchia Basilica, tuttavolta il fatto che la Canonica di S. Vittore fu una delle prime istituite in Lombardia; che ad essa apparteneva il clero della Madonna del Monte, dove già fin dal 900 esisteva un Arciprete ; che l'Arcivescovo Ariberto fece alcune do mazioni alla Canonica di Varese, già costituita nel 1032, si può conseguentemente dedurre che l'erezione della Basilica avvenne gran tempo prima del 1000. Da un disegno, esistente nell'Archivio della Fabbri. ceria, rilevasi com'era la vecchia Basilica. Essa avea un pronao. Non aveva cupola, e le volte delle tre na vate erano sostenute da quattro pilastroni. La navata di mezzo misurava 30 cubiti di altezza, le laterali 18, e la maggiore larghezza del tempio era di 45. Sei mo deste cappelle l' adornavano. Negli spazi, correnti tra la Basilica e le chiese di S. Lorenzo e di S. Giovanni, e davanti a quest'ultima, si seppellivano i cadaveri ; sicchè i nostri padri, unendo il principio e la fine della vita, fecero che una medesima via conducesse al Bat tesimo e alla Sepoltura. I cadaveri de' sacerdoti, de' no bili, de' confratelli e de' personaggi distinti si seppelli vano in Chiesa in diversi sepolcreti. A togliere poi l' inconveniente di tumukare i cadaveri in que' luoghi di passaggio, si costrui, in seguito di tempo, un sepolcro comune nella chiesa di S. Lorenzo ). FACCIATA. « Nell'anno 1785, i frati Minori Conven tuali di S. Francesco in Varese donarono alla Colle giata di S. Vittore la facciata della Chiesa del sop presso loro Convento, a condizione che questa venisse sostituita a condecorare il rustico ed indecente este riore della Basilica, e che venisse liberata la Religione francescana dall'annua prestazione, cui era obbligata, CAPITOLO QUINTO 105 di corrispondere al Venerando Capitolo della Colle giata predetta *). » Gli amministratori del Tempio accettarono e die dero incarico del disegno al varesino Giuseppe Veratti, per poter adattare la facciata della demolenda Chiesa di S. Francesco al nuovo uso. Il Veratti, dopo accurati studi, presentò il disegno (conservasi in fabbriceria), che poco dopo venne criticato da uno scritto anonimo dettato dall'invidia. Allora il disegno fu dato a giu dicare a certo prof. Felice Soave, il quale credè bene di presentare egli stesso un suo proprio progetto, perchè su quello si conducessero i lavori, trascurando quello del Veratti. Quest'ultimo, offeso da un simil procedere, con buone ragioni d'arte criticò il disegno del Soave. In tal contrasto il Veratti ebbe nuovamente incarico dai fabbricieri di fornire un altro disegno con norme prestabilite, alle quali doveva attenervisi. Dopo un paziente lavoro il Veratti presentò il nuovo disegno, ma men bello del primo, perchè inceppato il volo del suo ingegno. Quel progetto non ebbe esecuzione. Di lì a pochi anni, per ordine ricevuto, disegnò l'attuale fac ciata il tedesco Leopoldo Pollak, la quale fu aggiunta nel 1795, e certamente non corrisponde alla fama di tanto architetto, che si distinse nell'erezione di vari palazzi e ville. La bassezza della facciata attuale viene da alcuni scusata col dire, l'architetto aver ciò fatto appositamente per lasciar libera la vista della cupola

anche dalla piazza. - INTERNo. Rovinata l'antica Basilica, venne eretta l'attuale, tra il 1580 ed il 1615, dall' architetto Giu seppe Bernascone, detto il Mancino di Varese, su di segno di Pellegrino Pellegrini, ad eccezione del coro e dell'anticoro, che sono avanzi della chiesa antica, e 106 VARESE E SUO CIRCONDARIO che si vollero conservati. La sua forma è una croce latina a tre navate, con elegante cupola ottagonale. Facendoci a considerare brevemente quanto in essa può interessare l'occhio intelligente del visitatore, e in cominciando dall' entrata a destra vedesi: il quadro della presentazione di M. V. al Tempio dipinto dal Carlone, in cui si nota vivacità di colorito. Nella cap pella che segue, detta di S. Gregorio, ammirasi un quadro di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, dal luogo di sua nascita sul Novarese. È un bellissimo dipinto, non abbastanza apprezzato, e che fu guasto dal fulmine. Questo quadro ritrae un concetto difficile, perchè discorre i campi della gioia e del dolore. Sono peccatori che sperando soffrono. L'Angelo del per dono guida, per via di luce, le anime che dal dolore e pel sacrificio offerto da S. Gregorio sono rigenerate. L'esattezza dei contorni, la morbidezza dell'impasto, e l'espressione delle teste fanno credere ad alcuni esser questo il miglior lavoro del Cerano. Dello stesso è pure l'effigie del Santo Titolare in piccolo quadro, sovrapposto al citato. Gli affreschi sotto le finestre (rovinati dal nitro de' muri e dai ritocchi di un pittorino) e gli angeli della volta sono del cavaliere Giovanni Ghisolfi, mila nese, allievo di Salvator Rosa, prospettico eccellente, che lasciò molti affreschi nella Certosa di Pavia. Il secondo quadro della navata, Labano che riprende Giobbe pel furto degli idoli, e per la segreta partenza con Lia e Rachele, vuolsi dipinto da Luca Giordano di Napoli, nato nel 1632, morto nel 1705, soprannomi mato Luca Fapresto. La cappella dell'Addolorata fu edificata dal patrizio Varesino D, Giuseppe Dralli, nel 1611, ed era dedicata 'CAPIToLo QUINTo 107 a Santa Maria della Speranza ed a S. Carlo. Venne riedificata ed ingrandita per collocarvi degnamente il Simulacro dell'Addolorata, che dalla divozione del po polo fu detto: Onorificientia Populi Varisiensis. Questa cappella era pure, come le altre, a stucchi ed a dipinti; ma nel 1839 scomparve il tutto sotto l'attuale gretto adattamento, e non vi resta che il dipinto in alto del Magatti. Dinanzi a questo Simulacro effondevano i Varesini i loro sentimenti di gratitudine, quando venivano libe rati da qualche sciagura o calamità, ed entusiastiche riuscirono le feste che celebrarono la redenzione del popolo dalla schiavitù straniera nel 1848 e nel 1859. Le Cronache sono piene delle descrizioni di tali feste, che si succedevano ad intervalli di pochi anni, e per le quali veniva messo a contributo tutto che potesse condecorarle splendidamente: apparati suntuosi nell'interno e nell'esterno del tempio, luminarie, poesie, oratori famosi, sinfonie. Spesso usavasi portare il Si mulacro in processione, e allora tutto il popolo e le autorità, ricchi e nobili vi partecipavano. La divozione di questo Simulacro era sì grande in passato che, quando lo si esponeva per qualsiasi pubblica calamità, la notizia veniva sparsa con gioia per tutta la Lombardia, quale di un avvenimento straordinario, efficace a scon giurarne la gravezza. In principio dell'anno 1583, essendo Sindicatore del Borgo di Varese Don Carlo Francesco Durante, uno dei Vicari generali dello Stato di Milano, chiese notizie del l'origine di un culto sì solenne, e di una divozione sì ge nerale. Gli rispose il Priore della Fabbriceria di S. Vit tore, il signor Canonico Giulio Felice Pallavicino con una lettera, dalla quale si ha contezza, che dapprima 108 VARESE E SUO CIRCONDARIO il Simulacro stava abbasso nel coro della Basilica, e che, collocato poi in alto, per ordine di S. Carlo, in apposita nicchia nel coro medesimo, stette fino al 23 no vembre 1591, nel qual giorno la chiesa rovinò. Il coro però fu salvo, nè persona alcuna offesa: ciò che si ritenne dai fedeli un miracolo dell'Addolorata. Ad essa poi ne vennero attribuiti parecchi altri, che ne accrebbero la venerazione , e cioè: nel 1670, quando, ai 28 di luglio, cadde un fulmine in chiesa, mentre celebravansi i divini offici, senza lasciar vittime; e, nel 1678, quando, volendosi riporre il Simulacro nella chiesa di S. Lorenzo, e facendosene la solenne traslazione, a' 30 di maggio, si videro scintillare di pieno giorno in cielo tre splendide stelle. Quest'ultimo avvenimento entusiasmò talmente il popolo che volle unanime fosse il Simulacro collocato, in perpetuo, nella Basilica. Il Simulacro della Vergine è lavoro di grande pre gio, come pure, tolto qualche diffetto, è stimabile il Cro cifisso sovrapposto. Il quadro in alto, in cui sono effigiati Maria col Bambino, S. Giuseppe e S. Carlo, è del Cav. Gio vanni Lanfranco, distinto scolare del Caracci. Ma proseguiamo la nostra rassegna. Il terzo quadro della navata è la strage degli Inno centi, dipinta dal cavaliere Francesco Del-Cairo di Va rese, scolare del Morazzone. Studiò assai felicemente i lavori del Tiziano, sicchè alcuni de' suoi quadri, di cesi, gli fanno tenere fra i pittori un grado distinto, abbenchè non ischivi la taccia di tenebroso, che pare la si debba attribuire infatti ai due quadri, che quivi fortunatamente possediamo. Siamo alla cappella di Santa Marta. Questa che CAPITOLO QUINTO 109 vuolsi per architettura la migliore, è senza dubbio la meglio conservata ne' suoi affreschi e nelle decora zioni di cui va ricca a profusione. L'altare di marmo è di stile meglio purgato degli altri. La deposizione di Cristo, dipinta sulla tavola dell' altare, è del veneto Simone Pedrazzano. Non saprebbesi dire se questo sia l'originale o la copia del l'altro simile, che trovasi in S. Fedele di Milano. La vivacità del colore, l'esattezza del disegno e la deli catezza delle ombre del nostro, sorpassa in qualche parte quello di S. Fedele, il quale poi non cede nelle espressioni. Il nostro è anche più grande di quello e conta qualche mezza figura di più. Gli affreschi delle pareti, che ricordano i fatti della Santa Titolare, sono del 1680, lavorati sulla parete cornu Evangelii dal cavaliere Giovanni Battista Del-Sole, patrizio di Va rese, e sull'altra dal cavaliere Federico Bianchi, oriundo di Masnago, scolaro di Giulio Cesare Procaccini. La volta è di ambedue assieme. Le due statue in legno, sulle pareti laterali, rap presentano S. Valentino Martire e Sant'Antonio di Padova, ambedue Protettori eletti del Borgo in oc casione di pestilenze. La statua di Sant'Antonio venne fatta a spese della Comunità per esser posto sull'altare di una cappella nella ora distrutta chiesa de' Francescani, ed in quell' oc casione, 1652, la Comunità, e per essa i Reggenti, fece voto di assistere ogni anno, il dì 13 giugno, alle fun zioni religiose in detta Chiesa e di offrire al Santo sei ceri di due libbre cadauno. Istrumento rogato Francesco Origoni, al 30 gennaio, detto anno. Prima di passare all'altare maggiore osserviamo i pulpiti e le cantorie lavorati da Bernardino Castelli di 110 VARESE E SUO CIRCONDARIO Varese, i primi nel 1675, per un legato di L. 2000 fatto da Gerolamo Cremona di Varese; le seconde, due anni dopo, per oblazioni de' Varesini , le quali ascesero a L. 4842. BERNARDINo CASTELLI, di Varese, fu artista virtuoso terminò la vita modesta ed operosa in età di 70 anni, nel 1725. Sprone e ricompensa a lavorare era l'affetto che i concittadini gli portavano ; l' arte, sua missione, lo faceva instancabile. Lasciò, nobile tradizione della scoltura in legno ne' molteplici lavori di lui, che tuttora abbiamo, quali sono il Crocifisso e gli Angeli in alto; il palliotto dell'altare del Rosario, rappresentante la battaglia di Lepanto, l'altare di Biumo superiore, e molti altri sparsi ne' dintorni. I pulpiti e le cantorie furono ristaurati nel 185l , dall'architetto Maciacchini di Induno, che li ebbe nel loro complesso migliorati, non solo col rifare i pezzi guasti dal tempo, ma col togliervi altresì alcune mo struosità, difetto dell'epoca, sostituendovi ornamenti e figure più razionali, correggendo senza punto allonta narsi dallo stile. Sono pure dello stesso Maciacchini gli schenali dei pulpiti in cui sono intagliati, con arte maestra, alcuni religiosi emblemi. L'organo è opera di Eugenio Biroldi, celebre a' suoi tempi in tutta Lombardia. Fu messo nel 1814, ed ancora conservasi per forza di suono, per stabilità di mec canismo e per un ripieno, che difficilmente si trova in altri. Ultimamente fu restaurato ed accresciuto dai fratelli Pietro e Lorenzo Bernasconi di Varese 3). L'altare maggiore di stile barocco costò circa cento mila lire, e fu eretto tra il 1737 ed il 1742. L'architet tura è disegno del Quadrio, ingegnere milanese, e se CAPIToLo QUINTo 11 l condo altri di Bartolomeo Bollo, pure ingegnere mi lanese. Le figure vennero disegnate dal pittor Magatti. L' esecuzione veniva affidata per la parte statuaria ad Elia Buzzi di Viggiù, tra i migliori scultori di quel tempo, pel resto a' suoi fratelli Carlo e Gerolamo, detti gli storni di Viggiù. La mensa fu consacrata da S. Carlo il 22 settembre 1574. La gloria del Titolare S. Vittore e gli angeli nella volta del Coro ed anticoro, sono affreschi del citato Ghisolfi (1674). I fregi e gli ornati sono del Racchetti, ma hanno mulla di bello, sebbene fosse nipote del Ghisolfi stesso, e seguisse lo zio nella prospettiva. I quadri a fresco delle pareti posteriori, rappresentanti, il martirio di S. Vittore, furono disegnati, nel 1692, da Salvator Bianchi di Fogliaro, pittore di merito mediocre. Eccoci alla cappella del Rosario. Da qui si incominciò la riedificazione del Tempio, e la prima pietra fu posta il 23 maggio 1580). È decorata, giusto l'uso dei tempi in cui fu adornata, di abbondanti stucchi, ed è dipinta dal Morazzone. Il tutto però è guasto da molti ritoccamenti e lavature seguite per opera inconsulta. La Madonna che sta sull'altare è un antico affresco di ignoto autore, una volta festeggiata moltissimo sotto il titolo di Madonna delle Grazie o dei Miracoli. È circondata da 15 quadretti, rappresentanti i Misteri del Rosario, dipinti dal Morazzone, che furono ristau rati in Milano nello studio di Palagi. Il Morazzone lavorò in questa cappella dal 1615 al 1617. Il quadro di S. Domenico sopra l'altare è del Magatti. Il quadro della navata, che fa seguito alla cappella raffigurante l'Adorazione dei Magi, è del cavaliere Del-Cairo. Il quadro della cappella di Santa Caterina fu do 1]2 VARESE E SUO CIRCONDARIO nato dal Sacerdote Giuseppe Cremona ed è del cava liere Giovanni Battista Trotti, detto il Malosso di Casalmaggiore. I due piccoli quadri, che racchiudono la suddetta tavola, raffiguranti la Titolare Santa Caterina tra sportata sul Sinai, ed il di lei sposalizio spirituale con Cristo, sono di Antonio Mondini, scolare del Mo I'àZZOll0. Segue nella navata altro quadro ad olio in cui ve diamo Lot, che, separatosi da Abramo, parte per la terra che si scelse, dipinto dal Cav. Francesco Nuvo lone, detto il Panfilo, chiamato il Guido della Lom bardia. Siamo giunti all'ultima cappella, sacra a Santa Maria Maddalena, patronato della famiglia patrizia varesina Perabò, a spese della quale fu eretta. L'altare in legno dorato dàta dal 1611. La Santa Penitente, effigiata sulla tela dell'altare, in atto di essere trasportata dagli angeli in Cielo, l'Eterno Padre, che vi sta sopra, ed al di sotto il Cristo morto, che appare alla Santa stessa, sono tre lavori ad olio del Morazzone. Da alcuni si vorrebbero dello stesso pennello gli affreschi, la Risurrezione di Lazzaro, ed il Cristo in casa di Fariseo, posti sotto le finestre; ma pare meglio si apponga chi li attribuisce ad un Bo mini, forse scolaro del Mazzucchelli. Di chiunque sieno, ormai hanno perduto pregio, essendo stati ritoccati da un pittorino negli ultimi ristauri della Chiesa. L'ultimo quadro della navata è una Carità, dipinto dal Cav. Federico Bianchi. Passando alla navata di mezzo, abbiamo, laterali alla porta maggiore, la scala di Giobbe, ed il sacrificio di Isacco, dipinti ad olio di Giulio Cesare Procaccini. CAPITOLO QUINTO 113 Le volte della navata maggiore e delle minori furono dipinte a fresco nel 1846. Le figure rappresentano i Santi Patroni della Parrocchia, e sono del pittore Giovanni Battista Zali di Varallo, come pure del me desimo sono gli Apostoli, i quattro Profeti maggiori e gli Evangelisti della cupola. Gli ornati sono dei pit tori Fontana e Gobbi; ma si addicono più ad una sala che ad una Chiesa. Di miglior gusto riuscirono per consiglio del sacerdote Cremona gli ornati della cupola *). Il vetro colorato, nella mezzaluna sopra la porta maggiore, è dono del canonico Ambrogio Mera, e fu dipinto dal commendatore Bertini. Venne collocato nel 1871. Il pavimento in marmo ad esagoni bianchi e neri, fu costruito, nel 1868, per legato del sacerdote Cremona e con oblazioni private, alle quali partecipò quasi tutta la popolazione varesina. In quell' occasione si do vettero rifare, in parte, i fondamenti ed i muri delle innumerevoli tombe sotterranee, guaste dal putridume e dalla umida terra da cui erano circondati. Dei molti cittadini, che si resero benemeriti per opera di religione, per legato di culto, per zelo del decoro del Tempio, e per scienza, pochi sono ricordati con qualche segno. Nell'interno della Basilica sonvi due iscrizioni che ricordano Ippolito Frotta, medico, filosofo, esimio cultore di lettere greche e latine; ed il Preposto Crespi. Nell'esterno due altre, collocate nel 1864, che ricordano Antonio Orrigoni, ed il curato Pasquale Tor niamenti. A questi piacemi aggiungere il più volte citato sacerdote Giuseppe Cremona. Buon patriota, dilettante pittore, prestò per molti anni l' opera sua gratuita

l'arese e suo Circond. – Vol. I. 8 114 VARESE E SUO CIRCONDARIO mente ne' ristauri delle chiese di Varese, e nelle cap pelle del Sacro Monte. Morì nel 1862.

La Torre. – Di fianco alla Basilica si innalza, iso lato e maestoso, il Campanile, che vien ritenuto una fra le più elevate, e le meglio disegnate torri di Lom bardia, sebbene di stile barocco. Per costruire questa torre si demolì appositamente la casa del Canonico Antonio Zeno, maestro di coro. La prima pietra fu messa con grande solennità il giorno di Domenica 5 marzo 1617, dal fratello del "Preposto, sig. Giovanni Pietro nob. Dralli, che in quell'ocasione regalò alla fab brica 9 ducatoni. La Comunità di Varese offri L. 1200. Chi fece d' assistente ai lavoratori con grande solerzia ed attività fu il canonico Paolo Gerolamo Bodio. Era tanta la smania dei Varesini per quest'opera che, du bitando di vederla condotta a termine, ritenevano come cosa miracolosa e provvidenziale se qualche offerta veniva fatta ad accelerarne i lavori, oppure qualche accidente fortuito sorgeva a renderli meno costosi. Così è segnato nelle cronache qual cosa meravigliosa l'avere, ne'ristauri della piazza di Sant'Antonio, ora della Motta, il 1619, trovato un masso, che fu trascinato dai ragazzi sul carro matto in piazza di S. Vittore, da cui ricavarono quindici grossi pezzi. Per avere tutti i sassi occorrenti alla fabbrica non si oltrepassò il giro di tre chilometri. Dopo qualche anno i lavori vennero interrotti e furono ripresi nel 163l; interrotti di nuovo, ripigliaronsi nel 1688 per L. 81,547. 18, e si giunse fino alla guglia: interrotti per la terza volta, il campanile non venne ultimato che nel 1774. L' ap palto delle pietre per terminare l'opera, fu concesso mediante istrumento 27 agosto 1773, in rogito Giu CAPITOLO QUINTO 115 seppe Antonio Grassini, a certi signori Imperiali e Cattò di Clivio per il prezzo di L. 11,164, e ciò dopo rotto un precedente contratto col signor Giuseppe Adamo di Baveno, perchè si conobbe aver egli fatto una frode nel suo contratto di L. 13975. Il disegno di questa torre è di quello stesso architetto Giuseppe Ber nascone di Varese, che fece i progetti per le variate cappelle del Sacro Monte. Però trattandosi di termi nare l'ultima parte della torre, i pittori architetti, Giulio e Giuseppe Baroffio, pure di Varese, stabilirono di alzare alquanto l'impiantito sul disegno del Berna scone, ciò che fu fatto. Nel disegno in fabbriceria tro vasi notata l'altezza, dalla base alla sommità, in braccia milanesi « in tutto brazza 120. » Sulla porta fu messa a ricordanza della grandiosa opera, e tuttora si legge, la seguente iscrizione :

D . O . M .

INvIcTo VICTORI MARTYRI

TURRIS TEMPLUMI AERE VOCE SONAT RESONATQUE UTRUMQ PARI GLORIA AC PIETATE oPTIMO PATRoNo VARISIENSEs P.

ANNO SAL. MDCXVII. Il vecchio campanile era alto Br. 70, e stava sul l'angolo della Chiesa, dove ora si trova la lapide del curato Torniamenti. Nel giorno 13 maggio 1581 , a ore 4 di notte, un vento fortissimo ne gettò parte a terra; ciò che diede occasione, anzichè a rifabbricare il vecchio malconcio, a costruire il nuovo. Sul vecchio campanile v'era l'orologio, e perchè suonava una sol volta le ore, fu, nel 1585, riattato a ribatterle. Por tava sei campane, le quali, durante la demolizione del 116 VARESE E SUO CIRCONDARIO vecchio e la costruzione del nuovo campanile, furono riposte, in modo che ancora si potessero suonare, sopra la cappella di Santa Marta. Era tanta l'importanza che il popolo ammetteva alle sue campane, che nelle cronache trovasi notata ogni circostanza, la più minuta, di offerte, di spese, di patro nato, di contrasti per esse. Con compiacenza ricor dano, che don Ortensio Frasconi, abate , nativo di Varese, con mitra e bastone pastorale, benedì il cam panone ed altre campane, nel dì 7 ottobre 1600. Negli - anni l66l e 1662, le campane furono rifuse di nuovo, e si accrebbero di peso e numero. Secondo il costume d'allora, i canonici varesini Francesco Bosco ed Ercole Dralli andarono, nel 1659, a Lione appositamente per prendere un pezzetto di me tallo di S. Teodolo, e lo ottennero come un gran fa vore, e fu posto nella seconda campana, detta perciò la campana santa. La prima venne fatta a spese della Comunità, la quale volendola di sua proprietà, ebbe contrasti col popolo; e la sesta dai confratelli del Ro sario. Nel 23 maggio 1664, quelle otto campane, col locate nel piano inferiore dell'attuale campanile, furono benedette pontificalmente dall'abate di S. Simpliciano in Milano, don Pietro Cavarino, ottenutane licenza dall'Arcivescovo, che era in Varese. In quella fun zione era assistito da quattro Canonici ordinari della Metropolitana, venuti appositamente da Milano con molti musici. Quest'ultimi cantarono in piazza du rante la funzione. Nel 1750, essendosi rotta una cam pana, e le altre trovandosi in disaccordo, la fabbriceria di S. Vittore fa contratto col sig. Bartolomeo Bozzo di Milano, perchè le rifondesse tutte, obbligandosi questi a tutte le spese, eccettuato il vitto, col compenso di CAPITOLO QUINTO 117 Filippi 4 per rubbo, ed a lui riservate le schiume del metallo. Desso sig. Bozzo costrusse la fornace in casa Martignoni (ex Castiglioni), avendo questa la porta di contro al cantone della chiesa di S. Giovanni. Le cam pane portavano analoghe iscrizioni latine. Secondo i patti, non essendo riuscite le campane nella buona voce, il fabbricatore le dovette rifondere tutte, a sue spese, l'anno seguente. Nel 1825, il signor Giuseppe Bizzozero di Varese rifuse, accrescendone il peso, le otto campane, le quali, tutto compreso, fattura di fusione, aumento di metallo, opere di fabbro e di falegname, costarono lire austria che 16410. 24. A tale scopo si fece una questua, che diede L. 8837. 36. Il Preposto donó L. 1570; l'Ospedale L. 1200; il marchese Litta Modignani L. 264.83; e la restante somma fu pagata dalla fabbriceria. Le nuove campane, in concerto di la bemolle , sono del peso seguente : Prima ...... Rubbi 417

Seconda ...... )) 289

Terza ...... ) 209

Quarta ...... ) 178 Quinta ...... 120) Sesta ...... 84 Settima ...... » 59

Ottava ...... )) 50

Totale 1406 pari a quasi 130 quintali metrici. Questo concerto di campane è forse il più bello di tutta Lombardia, e riesce di piacevole armonia a qualche lontananza. Terminato che sarà il castello in ferro e ghisa, che ora si sta costruendo dal signor Bianchi ] 18 vARESE E SUO CIRCONDARIO Angelo di Sant'Ambrogio Olona, distinto con premio per tali opere, riuscirà più gradevole il suono di quelle otto campane aventi intero giro di ruota, e ben mi surata cadenza. Nel 17 maggio 1771 sul campanile avvenne un grand'incendio così descritto nella cronaca Marliani. « Nella Novena del Natale, morto essendo il suo natore delle campane di festa a sbalzo, Antonio Maria Frattino, detto Timinidanda; il cui merito più non si trovò che sapesse sonare, onde la congregazione di fabbrica, ordinò un nuovo ordigno con tastature a guisa degli organi, che fatto da Giovanni Battista Bi roldi, vennero suonate dal maestro di cappella Dome nico Zucchinetti, e dal suo fratello Giovanni, maestro in Monza; ma essendo di grave incomodo alli maestri della cappella si allevarono basse persone. Ma accadendo che furono cambiate le lingue delle campane, e per con seguenza li ordigni non arrivavano al sito loro prima destinato, si dovette allungarli, onde addì 17 mag gio 1771 ad ore 11 italiane, fu, da un lavorante di ferramenti, portato sul campanile una padella di carbone acceso per l'operazione e la pose sul pavi mento d'asse ponendosi a giuocare con un altro ra gazzo, finchè appiccatosi il fuoco per esser caduta : cercarono con orina di estinguerlo, ma non fu possi bile, onde cheti discesi dal campanile, andarono a casa senza dire niente: quando ad ore 1l ), italiane es sendo veduto fumo a sortire, accorsero con vasi d'acqua, ma non poterono adoperarla; ad ore 14 e 15 si vide ridotto il castello in cenere, e le campane cadute al suolo. Tosto si traportò, da preti la Vergine Addolo rata nella chiesa di S. Lorenzo, e tutti gli arredi nella casa Prepositurale: il fuoco portossi nella cupola del CAPITOLO QUINTO l 19 campanile, ed abbruciò tetto e cupolino, sì che tutto era abbruciato : a mezzo giorno cadettero alcuni sassi sui canali della cappella della Beata Vergine Addo lorata, si frantumarono grossi sassi e colonne, le chiave degli archi roventi, le campane si rovesciarono più abbasso. Il campanone cadette sopra una testa di chiave che lo sforò e così lo rattenne; la campana santa e due piccole si posero in luogo giudicato impossibile di poterle ivi rattenere senza miracolo, e di che si fece istrumento dal signor Dott. Giovanni Evangelista Ca biati, e così le altre campane. Il dì seguente, ceduto il fumo, salirono sul campanile i Paratori, che con acqua tirata su, ammorzarono parte del carbone ac ceso, ed indi li muratori e falegnami tutto l' ammor zarono e si fece, con travi fattisi trasportare, un gran ponte, e per ordine di fabbrica si posero in luogo sicuro anche le campane senza che alcuno si facesse male. » Dopo quell'incendio il castello e le campane dovet tero subire delle modificazioni, e la cronaca citata nota: « il 13 settembre 1771, si è finito il castello e i ceppi delle campane, che si posero a ruota e non più a sbalzo, com'erano prima, si ridussero a sei, e si spese L. 6000.» Frequenti volte il campanile fu visitato dal fulmine con più o meno danno. E nel 1756 rovinò tutto l'orologio, sicchè si dovette rifarlo. Il cordone metallico del pa rafulmine servì di paracadute, nel 1808, a certo Carlo Carabelli. Trovandosi costui, non so per qual lavoro, aggrappato alla croce, impensatamente si staccò, e cadendo dalla parte della Chiesa, andò a battere sul cordone del parafulmine, che colla violenta scossa lo rimbalzò sulla sottoposta ringhiera non senza spavento, pel quale ebbe a soffrire lunga malattia, seguita poi dalla morte. 120 VARESE E SUO CIRCONDARIO Nel combattimento, 26 maggio 1859, lo scampanio a stormo seguì concitato ed incalzante come incalzata e concitata cresceva la pugna, ingenerò timore e con fusione al nemico, infuse coraggio ai prodi Cacciatori delle Alpi, e così i sacri bronzi dovettero fare contro gli Austriaci le veci dei bronzi micidiali, che manca vano ai nostri, e che essi manovravano inutilmente. Nel secondo bombardamento del 31 maggio, i colpi di cannone scagliati contro Varese dalle alture di S. Pedrino, di Pero e di Monte Albano furono circa 250. Vennero diretti specialmente al campanile, che si vo leva forse castigare, perchè fu suonato, a stormo, la mattina in cui gli Austriaci furono battuti a Biumo inferiore, ed a festa, il dì in cui si inaugurò il governo Costituzionale ed Italiano di Vittorio Emanuele º). Dall' alto del campanile, a cui si giunge per una scala di 286 gradini di vivo, si gode lo stupendo spet tacolo dei monti e dei colli, che cingono Varese. Ve donsi le Alpi, le prealpi, il lago Maggiore , il lago di Varese, e buon tratto della pianura lombarda, all'estremo lembo della quale, nei dì di limpido sereno, scorgesi distintamente il monte Viso, ed in isfumato orizzonte, le prime pendici degli Appennini di Genova e del Piacentino. CAPITOLO VI.

I Canonici.

Fra le molteplici istituzioni di carattere religioso, che sorsero nel medio evo e che possedevano, oltre a estese proprietà, anche diritti e privilegi speciali, certamente devesi annoverare il Capitolo della Basilica varisiense. L'importanza di esso si può dedurre dal semplice fatto che novecento e più pergamene riman gono tuttavia ad offrirci un concetto sufficiente della sua peculiare costituzione; e tali pergamene forse sono una poca parte dei molti atti, che doveano esistere di certo nel suo archivio. Ed invero, il Sormani ci assicura che molti docu menti furono dispersi nella Curia Romana, in causa dei litigi, e che i rimasti sono i residui da lui medesimo ordinati, e messi a registro. Altre carte appartenenti al Capitolo, si trovano nell'archivio della Curia di Mi lano, nell'archivio di Stato, ed altre ancora presso pri vati. Alcune delle pergamene conservate sono preziose, alcune di nessun valore. Le più importanti furono com mentate benissimo dal Giulini, e da quelle ricavò no tizie particolari risguardanti la Lombardia in vari tempi. Quando abbia avuto principio la Collegiata di S. Vit 122 VARESE E SUO CIRCONDARIO tore non si sa precisamente, ma senza dubbio prima del 1000; poichè l'arcivescovo Ariberto, con sua dona zione 1032, prescrisse la recita dell'Officio e della Messa in perpetuo per l'anima sua, inducendo con ciò i Ca nonici a una regolare residenza. Quella carta incomincia così: In Christi nomine.... Churadus gratia Dei Im perator, ecc. ed è sottoscritta di mano propria dell'in ventore del Carroccio. I Canonici erano detti Nobili Cavalieri del Contado Sepriese, e chiamati Ordi marii per l'ordine gerarchico di preti, diaconi, suddia coni e chierici in cui erano costituiti. Una pergamena, del 1599, parla di ventiquattro Canonici maggiori, ed una, del 1288, ne nomina ventotto. Dalle pergamene si ha notizia altresì di alcune dignità capitolari antiche, tra cui il Praepositus, il Magister Scholarum, il Vice Domino, il Caneparius. Il Caneparius era il Cassiere, il Vice-Do mino, il rappresentante dell'Arcivescovo, ed il Magi ster Scholarum era un Canonico maggiore, che fungeva da maestro dei chierici minori. I chierici minori ave vano una scuola propria, in cui venivano instruiti ed iniziati agli Ordini maggiori, convivendo in una casa comune, chiamata Secretarium Clericorum. Fra essi ve n'erano de' ricchi, figli di doviziose famiglie va resine, cui era di sommo onore l'avere almeno uno de' propri figli inscritti nel clero de ordine Ecclesiae S. Victoris, per fruire de' relativi privilegi, e percor rere la carriera della prelatura, affine di essere im messi in possesso de' molti feudi ai chierici riservati. Il Capo del Capitolo, nel 1096, è detto Arciprete, e, nel 1120, assume quello di Preposto. Il Preposto veniva eletto dal Capitolo stesso, ed ap provato dall'Arcivescovo. Nel 1289, in novembre, tro vandosi l' arcivescovo Ottone nella Rocca d'Angera, CAPITOI,O SESTO 123 delegò il Capitolo della Metropolitana a confermare la elezione del Preposto, che fu un Tixio viro discreto de Bimio... litteraturae sufficientis... ad praeposituram obtinendam.... – Durante la Signoria di Francesco III, il Preposto venne eletto, mediante concorso, dal Pon tefice, ed approvato dal Duca. Sotto la Repubblica Ci salpina venne invece eletto a voti di popolo, radunato in chiesa. Dopo che fu soppresso il Capitolo, la ele zione del Preposto passò in concorso ordinario, come per tutte le altre parrocchie. Dalle cronache rilevo che il Preposto, nel prendere possesso della sua carica, distri buiva ai Canonici, guanti, fazzoletti o calze di seta, e confetti: uso che durò per più secoli. Il Preposto aveva molti privilegi, tra cui quello di conferire la prima tonsura e gli ordini minori. Nel 1120, trovasi designato col titolo di Prelato: titolo che tenne sempre in seguito, ed a cui più e più volte veniva ag giunto anche quello di Protonotaro Apostolico. Questo ultimo titolo venne conferito eziandio anche ad altri Canonici, e specialmente al canonico Teologo. Siccome la Basilica di Varese era la prima della Diocesi, fuori delle mura della Metropoli, così in alcune lettere, di- rette da S. Carlo al Capitolo di S. Lorenzo in Cannobio, per alcune vertenze insorte tra i due Capitoli, si trova imposto al primo di aver deferenza al Preposto di Va rese, siccome prima dignità dopo l'Arcivescovo (Pri mam dignitatem post Archiepiscopatum) Al tempo di quel Santo il Capitolo contava un Preposto, due Ci miliarchi, e trentadue Canonici cui ridusse poi a di ciotto, sopprimendone otto maggiori, e sei minori. Pio IV voleva creare in Varese una sede episcopale, come si rileva dagli atti di Visita Pastorale del 1567, e da una lettera di S. Carlo stesso, citata dal Sormani, in cui 124 VARESE R SUO CIRCONDARIO sta scritto « Varese è luogo tale, che il nostro Signore di felice memoria, ebbe animo di erigerlo in Cattedrale. » Urbano VIII, nel 1638, concedendo l'almuzia ai Ca monici, approvò pure l'uso della mitra e de' pontificali al Preposto; ciò che non ebbe effetto, perchè tal pri vilegio, essendo rimesso al placito dell'Arcivescovo, questi non volle mai acconsentirvi. (In quel tempo era Arcivescovo di Milano il Cardinale Monti.) Il Preposto di Varese ebbe però vari distintivi pre latizi, alcuni de' quali li gode tuttodi, quand'egli pon tifica solennemente ). In antico i Canonici, delegati alla cura delle anime, erano detti preti Officiali. – Il Capitolo di Varese non solo nominava i preti Officiali di vari paesi della Pieve, ma da esso dipendevano anzi le Canoniche con arcipre tura, o diacomie, della Madonna del Monte, di Schianno, di Clivio e di Castiglione. Il Capitolo di Varese era collocato tra gli insigni. Degli Ecclesiastici ragguardevoli di altre chiese dio cesane avevano talvolta l' ambito onore d'esservi ag gregati; e tutti poi que' canonici del Capitolo stesso, i quali venivano chiamati ad occupare qualche grado gerarchico più cospicuo, non cessavano di considerarsi ascritti tuttavia al clero di S. Vittore. Ciascun Canonico abitava un casino proprio, contrad distinto col nome del Santo Patrono del beneficio, onde era investito. Di quelle abitazioni abbiamo un avanzo nell' attual piazza della Canonica, e nel vicolo Cano nichetta. La piazza della Canonica era un luogo, non di passaggio come ora, ma chiuso; e notevole è il Co pertum Canonicae, tante volte menzionato nelle perga mene, che doveva essere una specie di porticato, o qualche cosa di simile, con solaio, da quanto puossi CAPITOLO SESTO 125 desumere da alcuni contratti d'appigionamento del me desimo a canonici per riporvi il grano. E di passaggio noterò che il Preposto Grato De Mar liani minacciò, una volta, la pena di un mese di resi denza a quei canonici che giuocavano, o permettevano di giuocare, sotto quel coperto. Il Capitolo di Varese, a cagione di feudo, aveva di ritto a percezioni da più chiese della Pieve, la quale allora constava di un numero di parrocchie superiore a quello delle altre Pievi diocesane. È singolarissimo il tributo che l'investito della chiesa di Santa Maria e S. Giorgio in Biumo superiore do veva, per ragion di feudo, al Capitolo. Esso consisteva in una refezione apprestata nel refettorio della Ca nonica panis frumentini boni et bene cocti et albi, et vini boni et puri ad sufficientiam, et caponorum videlicet unus inter duos plenum, et carnium bovis et porci, cum bonis piperatis videlicet frustum unum sive pe tium bovis competentem et bonum inter duos etc. *). Il Capitolo aveva inoltre il diritto alla sudditanza , o come allora dicevasi, all'obbedienza di molti Mona steri. Infatti quello di Sant'Apollinare in Crosio, che ap parteneva all'antico ordine di S. Benedetto, era sot toposto alla Prepositura di Varese « in potestate , defensione atque obediemtia. » La pergamena, che ne fa cenno, è del ll 19, octobre indictione XIII, ed in comincia : In nomine Domini... nos Isabella prior et Ermengarda seu concordia atque Frasia sive ermel lina et Otta ac Febronia monachae Ecclesiae S. Apol linaris quae est constructa in loco Crosii. Finisce coll'obbligo dell'annuo censo di quattro denari e cera per la chiesa di S. Vittore. Il convento di Voltorre dipendeva pure dal Capitolo, N 126 VARESE E SUO CIRCONDARIO a cui doveva, per dichiarazione esplicita di que' reli giosi, fatta nel 1308, l' annuo tributo di 18 centenari di fieno. E così dicasi dello Spedale di S. Ambrogio in Molina, frazione di Barasso ; il quale, abbenchè fosse stato fon dato sotto l'immediata Signoria dell'Arcivescovo, e costui avesse preso a proteggere Alberico, maestro di quell' ordine, e tutti i suoi confratelli, tuttavolta l'ob bligò ad accettare, rispetto ai diritti parrocchiali, la dipendenza dall'ecclesiastico sedente in Barasso, cui dovea pagare, nel giorno di S. Martino, cinque soldi, e a professare obbedienza e reverenza al Capitolo di Va rese, dandogli, nella festa di Sant'Ambrogio, un lauto pranzo, accompagnato dall' offerta di ceri. Anche i frati ospitalieri delle Novefonti dovevano , per patto principale di convenzione, dipendere in tutto dal Capitolo. Quest'ultimo diritto del Preposto e del Capitolo pare fosse ben fortemente custodito con sanzioni pe nali, perchè, nel 1343, trovo imprigionati due di quei frati che gli negavano obbedienza; e, sotto il medesimo anno, un Precetto di Giovanni Visconti, Duca e Arci vesco, relaxandi quosdam fratres Hospitalis de novem fontibus in carceribus in Canonica detentos, col rela tivo atto di rilascio. Le prigioni del Capitolo esistevano nella Canonica, e, pare, servissero anche per gli altri sudditi che prestar dovendo obedientiam, si rendevano invece ribelli. Può anche congetturarsi che queste pri gioni stessero in un vero Castello, esistente nella Ca nonica, e menzionato nelle pergamene di proprietà forse del Capitolo stesso. Alcuni muri grossi con barbacani, che alcuni anni sono si vedevano presso la Casa Co lombo, ora sede dell'Orfanotrofio, si ritennero gli avanzi di quel castello. CAPITOLO SESTO 127 Il Capitolo, e per esso il Preposto Algisio, in un cambio fatto l'anno 1179, cedè all'arcivescovo di Mi lano, Algisio, il palazzo presso S. Giovanni; il quale aveva un Brolo, un'amministrazione propria, serviva di villeggiatura all'Arcivescovo, che vi sbrigava tal volta i suoi affari ecclesiastici, avendo seco a tal uopo i notari, detti del Sacro Palazzo. Per tal motivo quel l'edificio chiamavasi anche Curia varisiense. Che più? L'Arcivescovo stesso, sebbene Signore di Varese, doveva pagare alcuni carichi al Capitolo : ca richi che cercò, in seguito di tempo, di redimere o diniegare, ma che alle rimostranze Capitolari, dovette pur riconoscere. Esistono varie pergamene di ricevuta di questi ca richi, e quella dell'anno 1098, illustrata dal Giulini, merita di essere ricordata. « Anselmo IV arcivescovo spedisce un diploma ai Preti di Varese. Egli aveva saputo che i suoi prede cessori avevano osato appropriarsi i frutti de' beni spettanti alla Pieve di Varese. per darli ai militi, come più ad essi piaceva. Ordina che in avvenire ciò più non abbia a seguire, ma che tutti quei beni ser vano all'uso ed al vitto di que' chierici. senza alcuna

molestia. » - Degna di nota è pure una Protesta, del 1287, con cui il Preposto di Varese, Anrico De-Savia, spiega ed enu mera all'arcivescovo Ottone alcuni oneri reciproci esistenti tra il Capitolo e l'Arcivescovo stesso. Il primo dovea, con altri pesi, offrire all'Arcivescovo ogni anno un limone, una libbra di cera, ed una libbra di pepe. Di rimpatto, l'Arcivescovo dovea al Capitolo, in ogni singola vigilia del Natale, una stuoia (faxa) di buona lisca, da porsi in coro durante l'inverno; una 128 VARESE E SUO CIRCONDARIO mina di vino per l'olio delle lampade, specialmente per le dieci grandi usate quando qui risiedeva l'Arcive scovo ; tutte le funi necessarie alle campane; uno staio di sale, ecc., più, alcuni pasti con vino, nelle feste di Pasqua, di S. Marco ed in altri giorni, in regalo agli uomini che portavano le olive, che lavavano le pile dell'acqua santa, ecc. Il Capitolo di Varese aveva poi diritti importanti sulla Chiesa Insigne di Santa Maria del Monte ed annesso Monastero; diritti che diedero luogo a molte plici liti e giudicati. Quei diritti furono concessi dal l'arcivescovo Robaldo (1140), riconosciuti dagli Arci vescovi successivi, tra i quali S. Galdino, e confermati poi dai Papi Alessandro III (1171) e Celestino III (1197). I principali di questi diritti erano: che l'Arciprete di quel Clero fosse sempre scelto tra i canonici di S. Vittore ; che in certe solennità il Capitolo potesse funzionare in Santa Maria, partecipando alla più parte delle limosine ivi raccolte, col godimento di un pranzo con sei vivande, apprestato dalle monache; che l'Ar ciprete ed il Diacono di quella chiesa pagassero annui censi per ragione dei loro benefici. E tanto era geloso il Capitolo di Varese di siffatti diritti, che S. Galdino, quando volle elevare, per fini suoi politici, ad Arciprete della Madonna del Monte un prete estraneo al Capitolo varesino, ma tolto dal gremio de' Canonici della Metropolitana, dovette fare una specie di ammenda, e riconoscere in modo solenne i diritti del Capitolo varesino, colla promessa di non tentarne in avvenire la violazione. E a proposito di ciò giova qui trascrivere un brano del Giulini. « Il diploma è diretto al Preposto di Varese ed ai CAPITOLO SESTO 129 suoi frati, i quali si erano lagnati coll'Arcivescovo, perchè avesse eletto per Arciprete di Santa Maria del Monte Pietro di Bussero, Diacono della Chiesa Mag giore di Milano, contro il privilegio conceduto al Clero di Varese dalla buona memoria dell'arcivescovo Ro baldo. Gli assicura dunque Galdino che egli si era ri dotto ad una tale scelta non per pregiudicare i diritti loro, ma per pura necessità: considerando che gli Ec clesiastici di Varese erano delle mobili famiglie di Seprio, e che i Sepriesi erano stati fautori a tutto loro potere dei Tedeschi per distruggere la Città e la Chiesa Mi “lanese. Dagli stessi Sepriesi aveva tratto l'origine il pazzo scismatico Arciprete Landolfo, il quale, a danno dei nostri, aveva consegnato il detto Monte di Santa Maria in mano dei Tedeschi; per la qual cosa i cittadini milanesi non avevano voluto che quel monte tornasse al presente di nuovo in potere di alcuno appartenente a Seprio, Considerantes scilicet etc. »

“ ------Sebbene il buon Arcivescovo non avesse potuto per questa volta compiacere il desiderio del Clero di Varese, con eleggere all'Arcipretura di Santa Maria del Monte uno de' suoi ecclesiastici, aveva per altro supplito collo scegliere per quel Beneficio un Perso naggio molto ragguardevole, Diacono Ordinario, Nobile cittadino Milanese, uomo prudente, ecclesiastico lette rato ed onesto, suo famigliare, protestando che una tale elezione non doveva per l'avvenire recare alcun pregiudizio ai legittimi diritti della Chiesa di Varese. » È da notarsi l'Atto fatto nel Palazzo arcivescovile di Varese, alla presenza dell'arcivescovo Algisio (11 mag gio 1182), per metter fine alle continue discordie. In esso il Capitolo di Varese rinunciò all'esazione di di ciotto staia di frumento, e a tre vivande del solito pranzo

Varese e suo Circond. - VoL. I. 0 130 VARESE E SUO CIRCONDARIO riservandosi però la terza parte delle limosine di tutto l'anno, mentre prima godeva di quelle solo delle so lennità in cui andava a funzionare nel Santuario del Monte. Poscia sorsero nuove liti sulle limosine, intorno a cui si hanno due pergamene, l'una del 1576, l'altra del 1690, ed anche un libro appositamente stampato nel 1750, che porta per titolo: Ragioni del Venerando Capitolo dell'Insigne Chiesa Collegiata di Varese e Risposte alle pretensioni delle RR. Madri del Sacro Monte, dai quali emerge che quelle liti durarono fino alla metà del secolo passato. Il Capitolo fra le sue antiche prebende ne con tava pure una musicale, e una teologale. Non andò immune da scomuniche, che, talvolta, colpirono l'in tiero Borgo, tal'altra, solo alcuni canonici, per non adempite soluzioni di pagamenti, di oneri, di censi o per pretese ingiuste. Egli stesso talora, per concessione pontificia, usava della scomunica, quale mezzo per farsi pagare le de cime, che percepiva in vari paesi su tanti prodotti e perfino su quello delle api, sugli asini e sui cavalli. Da un minuto e particolare studio di tutte quelle pergamene Capitolari si possono ricavare moltissime notizie interessanti e curiose, come appellativi di campi, di vigne, usi e formole legali, modi di decider liti per mezzo di consoli e di prelati anche di altre giurisdi zioni, cenni di carichi, di tasse imposte dai pontefici e dai duchi, ed altre. Io noterò che il Capitolo aveva pure i suoi Statuti, compilati nel 1373, e che una quantità di beni e di censi li ebbe per legati diversi, i più dei quali pre scrivevano Preci Anniversarie pel donatore , dette Annuali. CAPITOLO SESTO 131 Singolare poi era il costume d'allora in chi inten deva aver gli Annuali di prescrivere una refezione a favore dei chierici, o canonici della Basilica, nel giorno stesso dell'anniversario del defunto: refezione a cui dovevano partecipare, di solito, due parenti del dona tore. In quelle refezioni, e nelle altre che, i Canonici ricevevano per diritto quando andavano a funzionare nelle diverse chiese della Pieve, eravi sempre il lusso, straordinario allora, del pepe: lusso che si avverte di leggieri per le continue ripetizioni di carnis bene pipe ratis, cum bona piperata, etc. Originale poi è il dono che certo Ottone fa di alcune terre sue al Capitolo, nel 1232, coll' obbligo a questo di pascerlo onorifica mente, vita sua natural durante, dalla quaresima fino all'ottava di Pasqua, e di accendere un lume, in per petuo, all'altare della B. V. Maria in S. Vittore. Inutile poi sarebbe il dire come i Canonici avessero il diritto del foro ecclesiastico: diritto custodito si ge losamente, che, nel 1750, ebbero a fare rimostranze e domande di riparazione al Podestà e ai fanti, i quali, secondo loro, mancarono di rispetto ad un Canonico, che, travestito da secolare, fu arrestato per avere ba stonato un fante, che gli chiedeva dell'esser suo. Il Capitolo venne soppresso nel 1798. Sotto il cessato Governo Austriaco si tentò di ricostituirlo con un Preposto mitrato ; ma le pratiche, per molte ragioni, rimasero senza effetto. Infine a rendere meno incompleti questi cenni, ag giungerò qui l' elenco dei Preposti, compilato col sus sidio delle pergamene e delle cronache, con poche notizie biografiche, le sole che mi venne fatto di

trovare. - 132 VARESE E SUO CIRCONDARIO 1016 – ADA 1044 – Preti officiali. 1060 – AMIzzo 1096 – DoRDo, Arciprete. 1120 – BRUNo, di Bosto . . Preposto e Prelato. ll40 – ALBERICUS . . . . idem idem l 157 -– LANFRANCUs . . . idem idem ll58 – ALBERICUS . . . . idem idem l 169 – ALGISIUs . . . . . idem idem l 193 – OBERTUs . . . . . idem idem 1198 – UGo ...... idem idem 1206 – ALBERTUs, De Daveriis idem idem 1229 – JAcoBUs DE LUvATIs, di Malnate . . . . . idem idem 1243? – CACCIAGUERRA DE BA sILICA PETRI . . . idem idem 1246? – PETRUs BLANCUs . . idem idem 1260 – ARDIzoNUs BossIUs . idem idem 1265 – ANRIcUs DESAPIA vEL SAvIA ...... idem idem 1287 – JAcoBUM FERRARIUM. idem idem 1290 – TIxIUs, De Bimio Sup. idem idem 1337 – GUGLIELMUs, di Bizzo zero, detto SCARsINUs. idem idem 1344? – GUGLIELMUs DE PE 1355? RIGMACHo . . . . idem idem 1365 – GRATUs DE MARLIANIs idem idem

– PRIMOLUS DE ZENo . idem idem

1396 – ANTONIUS DE GIRAMIS. idem idem 1401 – PETRUs DE BARBERIis. idem idem 1413 – PETRUs DE CAsATIIs. idem idem l422 – HIERoMINUs DE CoR TEXELLA . . . . . idem idem CAPITOLO SESTO 133 1440 – JAcoBUs DE CASATIIs. Preposto e Prelato. 1445? – ANToNIUs BLANCUS, di 1455? Massenago . . . . . idem idem 1459 – GABRIEL DE CARA BELLIs . . . . . idem idem 1474 – BERToLA ORIGoNUs. Passa ad abitare la casa prepositurale tuttora esistente in Canonica, e la casa del Preposto diventa abitazione del canonico Teo logo (ora Orfanotrofio Femminile, in Canonichetta). 1495? – JoANNEs GUIDo DE ORIGoNIBUs. 1505? 1549? – BApTIST A DE PUTEo. 547? 1572 – CESARE PoRTo, amico di S. Carlo, il quale venendo a Varese, si compiaceva di intrattenersi seco lui lunghe ore ed anco lasciare l'abitazione de'Con venti per abitare insieme. Era uomo di grandi virtù; morì, il 23 settembre 1615, in odore di santità, a settanta quattro anni. Gli si fecero splendidi funerali e fu il primo calato nel sepolcreto dei preposti da lui fatto costruire. Quel sepolcreto esisteva sotto la cupola della Basilica e fu riempiuto, anzi distrutto, nella recente pavimenta zione. In essa si trovò quasi nulla, fuori che pezzi di stole e una lapidina, con inciso il nome del Preposto Dralli, ora infissa nel muro esterno della Sagristia. Qualche anno prima di morire rinunciò, per dopo morte, la prepositura al Sacerdote Dralli, che la as sunse in età di 25 anni. 1516 – JoAN ANDREAs DRALLUs. Protonotaro Apo stolico , Vicario Foraneo, Dottore in ambe le leggi. Morì in agosto del 1633, d'anni 41 e mesi 11. Fece molto bene; unì alla casa prepositurale il chioso ; era dotto; faceva la scuola per gli adulti, e morendo lasciò 134 VARESE E SUO CIRCONDARIO appunto un legato per dette scuole. Arricchì la Basi lica di molte reliquie di Santi. 1634 – GIovANNI MARIA MARINoNE. Si portò a Roma egli stesso per ottenere la Prepostura. Il 19 gennaio 1644, fu ucciso proditoriamente in età d'anni 34. « Nell' elenco dei Preposti di Varese, esistente nel l'Archivio dell'Insigne Chiesa collegiata di S. Vittore, trovasi : Johannus Maria a satellite occisus anno 1644. Nel libro dei morti poi sta scritto : « morto violente mente in età d' anni 34. » Nessuno credette di anno tare nè il nome, nè il perchè fu ucciso ; forse perchè era indecente e sconveniente l' accennarne i titoli, trat tandosi di un prelato e Capo della Chiesa. Per tra dizione però si ha che detto Preposto, avendo odio im placabile verso certo Porcari varesino, di lui rivale, ha convenuto con un famigerato scherano, perchè am mazzasse il di lui nemico, ma che il Porcari, accorto e diffidente, avendo fiutata la trama, concertò col sicario stesso la morte del Preposto contro doppio pagamento di quello che il Marinone aveva offerto (200 pezzi di Spagna) per cui appostatosi colui nel viottolo dietro il giardino della Casa Prepositurale, ed aspettando che quello, come era solito prima di coricarsi, passasse una ringhiera per accedere alla latrina guardante il giar dino, da colà gli tirò un archibugiata, per la quale poche ore dopo mori. » (Cronaca Grossi). Ecco com'è raccontato il tragico caso da Ignazio Cantù. « Filippino giunto a Varese, che già eran due ore di notte, praticissimo del luogo dove aveva passata la fanciullezza, pigliò per un certo viottolo, che riusciva dietro il giardino del Preposto in un luogo abbando V CAPITOI,O SESTO 135 mato, ingombro di sassi e di rovi, e , postosi nel sito che gli parve più opportuno, stette in una silenziosa aspettazione. « Il Sacerdote, uomo di natura gaja, e sul fior dei trentadue anni, amava la buona compagnia, onde ogni sera tiravasi in casa un crocchietto d'altri allegroni al pari di lui, a giuocar a tresette, a tarocchi, e qual che volta anche a giuochi di zara, quantunque vietati dalle costituzioni e dagli ordini. « La sera indicata per la sua uccisione, che era il 19 gennaio 1644, il Preposto giuocò appunto a zara coi dadi, suo divertimento prediletto, e tra perchè si sentiva molto bene in salute, tra perchè la fortuna lo aveva favorito, era, fra i tanti, il più in buon umore. « Come la conversazione fu sciolta, il Preposto se condo il suo consueto d'ogni sera, data di mano a una lucernetta, passò dalla sala sopra un ballatojo che gui dava ad un ripostiglio e che guardava il giardino. Ma non appena ebbe messo piede sul loggiato di legno, colto nel petto da una palla, precipitò, nè restògli a vivere che il tempo di confessarsi e di perdonare all'uc cisore *). 1644 – CARLo RHo. Nel 1648, fu nominato Cano nico Ordinario della Metropolitana e Cancelliere Arci vescovile, perciò rinunziò al beneficio Prepositurale. 1649. – BALDAssARE PozzoLo. Mori, l agosto 1668, lasciando eredi i frati Carmelitani di S. Giovanni in Conca in Milano. 1650, 5 novembre – fu eletto Preposto Coadjutore Carlo Rancati, con diritto di successione al beneficio Prepositurale, che assunse il 31 luglio 1668. Portava pure la cappa. 1668 – CARLo RANCATI, Protonotaro Apostolico. -- 36 VARESE E SUO CIRCONDARIo Predicatore insigne. Poeta e prosatore lodato a suoi tempi. 705, 14 novembre – FABRIZIo CASTIGLIoNI, di Lozza, Morì nel 1734 in dicembre, in età d'anni 78. Era umile, caritatevole e amante della pace. Fu sepolto al Sacro Monte. l735, l maggio – NATALE MENEFoGLIo, di Marzio. Prese possesso al 29 settembre. Fu per molti anni Ca nonico Coadjutore. Eletto dal Sommo Pontefice tra i concorrenti. Nell'esame di concorso si distinsero i va resini, Alemagna, Preposto di Arcisate, ed il Teologo Giovanni Maria Sormani – Morì il 13 gennaio 1767; fu sepolto in Chiesa. 1767 – GAETANo FÈ. Era oblato di S. Sepolcro in Milano. Fu eletto dal Sommo Pontefice e confermato dal Duca Francesco III Fece prendere possesso dal Ca nonico Frotta, al 25 agosto, avendo fatto prima distri buire ai Canonici i soliti guanti, fazzoletti di seta e dolci. Rinunciò per malattia; morì a Milano nel 1797. 1792, 21 novembre – fu nominato Preposto di Va rese FELICE LATTUADA. Così le cronache. I documenti però dell'archivio di Stato riguardanti la nomina del Lat tuada portano la data del 1793. Di questo repubblicano, fanatico tra i fanatici, fa d'uopo dare un cenno. Alunno dell'economato ecclesiastico, poi avvocato della curia arcivescovile, indi prete a Corbetta si fece detestare, finchè traslato dalla Prepositura di Magenta, nel 1793, passò ad occupare quella di Varese, dove, stando alla testimonianza del Verri « era in abbominazione alla

sua parrocchia. » ------Nel 1794, si costituì in Varese un Comitato Repub blicano segreto, del quale, il Lattuada, se non era il capo, certamente ne era l' anima, Alcuni membri di CAPITOLO SESTO 137 quella Società avevano a lungo soggiornato in varie parti di Europa e più in Francia, altri qui venivano col pre testo d'affari o di villeggiatura. Sul principio le adu nanze di quel Comitato tenevansi in un casolare di Val di Mario, paesello detto comunemente Valmè, a pochi passi dal confine svizzero; poi nelle stanze di due bot tegucce di caffè in Varese stesso, e qualche volta nella chiesa di S. Martino. Tre soci più attivi andavano a Genova e Nizza per concertarsi cogli agenti e coi ge nerali repubblicani; gli altri tenevano la corrispondenza col club di Milano, che, secondo alcune memorie, era una ramificazione del loro; e il servo poi di uno dei caporioni, probabilmente del Lattuada, varcava di con tinuo la mal custodita frontiera, portando gazzette e lettere da Lugano. Appena entrati i Francesi in Milano, lo vediamo pre siedere, con altri, le tumultuose adunanze, che la So cietà popolare tenne colà nel palazzo Kwenhùller. Quella società, già da tempo ordinata, si pose a capo del mo vimento democratico ed era composta di quanti mal contenti e birbanti avea la città di Milano. Il Lattuada è così descritto da un cronista: « Lattuada è un preticino d'aspetto piuttosto ridicolo e mal vestito, che pazzamente si muove, e quando parla lo fa male e sempre col tuono di catechismo: in fondo uomo da nulla, senza principi, e smanioso di far par lare di se. » Una domenica dopo aver fatto l'Omelia, discese dal pulpito e andò in casa a dimettere per sempre l'abito ecclesiastico, per comparire in piazza, vestito di verde, suscitando grande stupore nelle donniciuole e nei di voti. Rinunziò al beneficio prepositurale il 21 novembre 1797, avendo già prima diffuso un indirizzo ultra de 138 VARESE E SUO CIRCONDARIO mocratico, ma affettuoso, al popolo varesino colla data 22 brumale, anno VI (12 novembre 1797), in cui tra le altre cose dice : « Quando ho cimentati i maggiori pericoli nello spin gere la nostra grande rivoluzione, quando alcuni im becilli tra voi disapprovavano la mia condotta, io con costante interessamento mi faceva un impegno, valen domi di quelli di voi, che mi giungevano opportuni ecc. » (L'indirizzo è a stampa.) Fu quindi nominato Membro del Corpo Legislativo, quale Rappresentante del Dipartimento del Verbano, ed in quella qualità si fece difensore di teorie le più spinte, ed in lui trovarono appoggio tanti demagoghi. « Chiesto e non ottenuto dal gran consiglio il per messo di ammogliarsi, presentò uno schema di legge che aboliva gli impedimenti, meno fra gli ascendenti e discendenti e i fratelli. Dichiarò che i minori potessero contrar matrimonio, senza l'assenso dei parenti, dei tutori, del giudice; e, in sostegno di tale opinione, non vergognossi dire che gli animali, per legge di natura, sono liberi di accoppiarsi. In altra seduta impugnò la pensione accordata ai religiosi, che si sopprimevano. Domanderò, proruppe, qual diritto abbiano agli ali menti, individui che servirono l'impostura a danno della nazione. Non debbonsi provvedere se non che coloro senza congiunti e senza mestiere. Questa in giusta ed inumana proposta venne respinta: nel maggio e nel giugno 1798 alle monache ed ai religiosi soppressi fu data una pensione, è giustizia il dirlo, sufficiente a vivere, tenuto conto del valore che aveva allora il nu merario. » (Cusani Storia di Milano) Nella cartella 1402. Culto – Comuni – Chiese – Varese dell'Archivio di Stato v' è la lettera di un CAPITOLO SESTO 139 prete svizzero, che si raccomanda al Preposto Felice Lattuada , rappresentante della Repubblica Cisalpina in Varese, perchè possa ottenere un impiego laico. Dopo di aver detto come alcuni sparlino di lui, e dopo averlo chiamato vero patriota e democratico sin cero, quel prete soggiunse : « Io sono nativo svizzero di Morcote, e già da molti anni abito nella Repubblica Cisalpina; emigrai da Morcote, mia patria, per gittarmi fra le armi, onde poter unire quel territorio alla Re pubblica Cisalpina. La mia situazione è assai misera bile, la sola Messa è il solo sostentamento, la mia di mora è in Bregazzana, cerco di avere impiego laico, onde potere avere maggior sostentamento, e prender moglie per crescere gli individui alla Repubblica, onde abbiatemi in qualche contemplazione. » Indi passa a

a proporgli i seguenti progetti: - « Progetto I. Nella nostra repubblica sarebbe neces saria la facoltà ai preti, frati e monache di prender moglie. II. Si dovrebbero espellere le monache del Sacro Monte di Varese perchè ricche. III. I Parrochi dovrebbero ve stire l'abito verde non solo in pubblico, ma anche nelle Chiese : IV. Dovrebbonsi fare altra requisizione degli argenti. V. Le campane dovrebbonsi levare. VI. Le dimissorie per i preti sarebbe bene che fossero dispen sate dal Ministero dell'Interno e non dai Vescovi. – Il così detto prete Marco Masciotti. » Quando a Massena sottentrò, come generale in capo, Brune, che favoreggiava i democratici, il Lattuada ot tenne un impiego pubblico. Pei rigori di Bonaparte dovette poi fuoruscire cogli altri caporioni, 'ed appena il Bonaparte abbandonò l'Italia, il Lattuada ritornò a Milano, dove di nuovo, coi reduci delle prigioni di Dalmazia e d'Ungheria, fece rinnovarsi le orgie e i soprusi del triennio. 140 VARESE E SUO CIRCONDARIO Di lui si narrano vari aneddoti. A Varese fu il primo a saltare intorno all'Albero della Libertà. A Milano fu lui che s'adoprò più che tutti perchè andasse in iscena il famoso Ballo del Papa. A Roma fu uno dei principali sommovitori. Mandato una volta ad Arcore, in Brianza, con un picchetto di soldati per castigare que' contadini, che non avevano voluto sottomettersi al nuovo ordine di cose, dovette venir via colle pive nel sacco. Dopo aver egli fatto un discorso in Chiesa, per indurre i conta dini a lasciarsi castigare, si mise ad ammanettare i principali di essi. Ma i contadini, accortisi del poco numero dei soldati, li batterono ben bene insieme al capitano Lattuada, e l' obbligarono a lasciar liberi quelli che avevano legati. Dopo una lunga carriera di vicende fortunose , de luso ne' suoi sogni, si stabili a Milano ad esercitare la professione di Avvocato de' poveri, ed in quell' of ficio operò molto bene. Prima di morire volle cingere ancora la stola per ricevere gli ultimi sacramenti; e spedi al Preposto di Varese una lettera di ritrattazione, perchè la leggesse sul pulpito. Il Preposto, credè bene di non leggerla pubblicamente, ma solo di farla circolare tra il Clero. Morì in età di 54 anni. Del Lattuada parla il Rovani ne' Cento Anni, ed il Marchese Francesco Cusani, nella sua Storia di Mi lano ci da molte notizie interessanti e sicure perchè cavate da documenti. Memorie curiose, manoscritte, intorno al Lattuada conservansi pure nella Biblioteca Ambrosiana. l'798, 22 novembre – GIULIo VERATTI. Nominato dal popolo, riunito in Chiesa di S. Vittore, a pluralità di CAPITOLO SESTO - l4l voti. Il 3 gennaio 1799, ottenne dall'arcivescovo Fi lippo Visconti l'ecclesiastica collazione, ed il 20 feb braio prese possesso. Ritolse alla rapina francese, con molte spese ed incomodi, la casa prepositurale, che abitò il 5 maggio successivo. Nato a Biumo inferiore, il 9 dicembre 1759 – Morì il 22 febbraio 1814. 1814 – BENEDETTo CREsPI. Nobile milanese, dell'or dine de' frati Predicatori, Dottore in Teologia. Alla sua nomina fu calunniato da alcuni frati, ed egli generosa mente perdonò loro. Dal libro Varese, Garibaldi ed Urban tolgo la se guente nota: « Benedetto Crespi nasceva in Milano il 10 luglio 1772 da nobili e distinti genitori. Dotato di sommo ingegno, fornito di ricca educazione, discepolo di Parini, egli avrebbe potuto percorrere una carriera luminosa e bril lante, se non avesse invece preferita l'oscurità del chio stro. A venti anni si recò a Roma, ed entrò in un con vento di Domenicani, ove attese con sommo amore agli studi teologici, ne' quali era stato laureato, e dove spe cialmente si distinse nella predicazione. Costretto dalle politiche vicende di quei tempi a lasciare suo malgrado il prediletto suo ritiro, egli fece ritorno a Milano e mosso dal zelante desiderio suo di essere utile a' suoi simili, e dal bisogno vivissimo che provava in cuore di adoperarsi pel bene spirituale de' suoi fratelli, si of ferse a disposizione di chi in allora reggeva la Diocesi Milanese, il quale lo mandò dapprima a Civenna, sito alpestre del Lario, per supplire ad un vecchio curato, quindi coadiutore a Robecco, e da ultimo lo destinò Preposto a Varese.... « Io non dirò delle virtù e delle doti di quest'uomo, sia che esercitasse le incombenze del suo ministero, 142 VARESE E SUO CIRCONDARIO nelle quali erangli di norma i principii veri della Re ligione e della coscienza, indipendenti sempre, da fri volezze o da esagerazioni di pregiudizi, o dalle mene di consorterie; sia che diffondesse dal pergamo la pa rola del Vangelo, esclusivamente quella del Vangelo, poichè egli non la prostituiva giammai a secondi fini, e non la bistrattava per intemperanza di polemiche in tempestive e biliose; sia che nell'esercizio della carità, della quale era sì esuberantemente pieno l'ottimo e sen sibile suo cuore, o si portasse al letto dell'infermo, o soccorresse all' indigente fino a spogliarsi del neces sario, o rasciugasse le lagrime degli sventurati, o com ponesse dissensioni e disunioni di famiglia, o sostenesse e baciasse in fronte a' piedi del patibolo il condannato a morte; sia che in opere di pubblico vantaggio con corresse fino ad offrire lo stesso suo patrimonio; sia che in tempi difficilissimi e pericolosi di politiche vi cende, si mostrasse fermo ed imponente dinanzi all'op pressore della Patria, o resistendo alle minaccie od ac cusando all'ingiustizia, o rimproverando alla violenza. Il limite ristretto d'una nota non mi acconsente di estendermi in particolari, che basterebbero per un vo lume. A provare chi fosse il Preposto Crespi, e come amato, rispettato, benedetto, onorato dal suo popolo Varesino, basti accennare essere stata la notizia della sua morte sentita e pianta come una disgrazia comune, essere stato generale il lutto de' cittadini, che il dì delle esequie del loro Padre e Pastore vestirono le case a gramaglie, le officine ed i negozi socchiusero, ed intorno al feretro si riunirono in massa, senza distin zione nè di opinioni, nè di classe, ed infine essere stato per concorso di larghe e spontanee oblazioni, innalzato nella patria Basilica un sontuoso monumento in me moria di lui ). » CAPITOLO SESTO 143 1858 – CELso CATTANEo. Nato a Dairago il 21 luglio 1810. Fu dalla Prepositura di Melegnano trasferito a quella di Varese, di cui prese possesso il 2 gen naio 1859. Fu buon pastore, dotato di molta scienza; ebbe però contrari i tempi. Morì il 20 luglio 1865 fra dolori atroci, per un polipo in volto ed in gola. 1869 – CosTANTINo BRANCA. Già Vice Rettore e Prof. di Storia Ecclesiastica nel Seminario Maggiore di Milano.

CAPITOLO) VII.

Chiesa o Battistero di S. Giovanni.

Nel primo fascicolo della Rivista, pubblicata dalla Commissione Archeologica della Provincia di Como, fra i monumenti più insigni per ricordo storico e per pregi artistici meritevoli di conservazione, descritti nell'elenco spedito da quella Commissione al R. Ministero della Pubblica Istruzione, è compresa la Chiesa o Battistero di S. Giovanni. Lasciando che altri di me più abili e competenti, giovandosi de' lumi della scienza e dell'arte, comple tino una ordinata illustrazione del nostro S. Giovanni, credo opportuno ripresentare le poche notizie, che rac colsi intorno al medesimo, decorandole colle autorevoli osservazioni dell' Illustre Presidente di detta Commis sione, il Canonico Barelli. A ciò mi spinge il desiderio di far cosa grata ai Varesini, perchè apprezzino, come si merita, il patrio monumento. Guardando la chiesa di S. Giovanni, facilmente vi si scorgono due epoche ben distinte. In antico doveva esistere un Battistero di forma ottagona o forse deca gona, del quale ora non rimane che il lato sinistro; forma che appare dalle sporgenze angolose di esso lato,

Varese e suo Circond. - VoL. I. 10 146 VARESE E SUO CIRCONDARIO la cui struttura è evidentemente anteriore al mille. Ma a qual secolo esso rimonti, nessuno il saprebbe con cer tezza precisare. Le cronache notano che il tempio di S. Vittore fu costrutto nel secolo VII sur un antico tempio dedicato a Giove, allorchè la Chiesa di S. Giovanni si vide non bastare a capire la popolazione di Varese. Questa adunque, secondo le medesime, sarebbe la prima chiesa aperta al culto cristiano tra noi; ciò che verrebbe anche convalidato dalla dedica al Battista, del qual Santo ab immemorabili veniva solennizzato il di della festa in modo singolare dal Capitolo, perchè la tradizione indi cavalo come primo patrono titolare di Varese: tradizione che venne rispettata eziandio nella compilazione degli Statuti del 1347, ove il nome di lui trovasi anteposto a quello di S. Vittore; tradizione che venne sempre conservata nella denominazione dei vari quartieri in cui era diviso anticamente il Borgo, poichè il quartiere interno fu sempre nominato pel primo e designato col titolo di S. Giovanni, non mai di S. Vittore. Ciò prova che in Varese si avevano particolari ragioni di culto verso S. Gio. Battista e che non lo si invocava pel solo costume generale di considerarlo qual Patrono di tutti i Longobardi. Fin dai Secoli IV e V stanziava in questi dintorni buon numero di adoratori del Cristo co' loro sacerdoti; era quindi naturale che essi nel centro po poloso di Varese erigessero, appena poterono, una chiesa. Il trovarsi memorie gentilesche sul luogo, dove stanno chiese, è prova dell'antichità delle medesime, tenuta in conto come quella che serve a congiungere i tempi antichi alle età del nascente cristianesimo. Usavano in fatti i primi cristiani innalzare le chiese ne' luoghi, ove esistevano templi sacrati agli Dei; anzi di questi CAPITOLO SETTIMO 147 talvolta si servivano trasformandoli per cancellarne il culto e la memoria. Ora argomenti non contraddetti ci danno a credere che vicino alla chiesa di S. Giovanni vi fosse un tempio sacro a Giove. Non si può ammet tere, come alcuni vorrebbero, che il S. Giovanni sia di data più recente, ossia del 900 o del 1000, perchè in questo caso sarebbe contemporaneo alla vecchia Basi lica di S. Vittore, l'erezione della quale prima del mille è accertata storicamente. ll nome stesso di chiesa, con cui vien sempre distinta nelle pergamene capitolari, ci porta a credere alla sua maggiore antichità. L'appel lativo di battesimale si trova solamente a' tempi di S. Carlo e del cardinale Federico. Alcuni vogliono che il S. Giovanni sia stato eretto per comandamento della regina Teodolinda e da Agi lulfo, e questa asserzione passò poi in tradizione po polare; tradizione che io non mi perito di unire a quel l'altra erronea di Sant'Ambrogio, che collo staffile in mano abbia inseguito fino sul monte di Velate gli Ariani, e li abbia vinti. Tale opinione, come altre, nacque, sia per vezzo di nobilitare ogni cosa col nome di famosi personaggi, sia per una mala interpretazione di tempo, volendosi precisare un'epoca, di troppo indeterminata, ne' pochissimi cenni sparsi in manoscritti ed in libri a stampa di varia data, in cui detta chiesa vien sempre designata coll'appellativo di antica e di anti chissima. Accettando poi l'opinione, più comune, che ascrive ai secoli VIII e IX il lato sinistro, il quale ac cenna co' suoi angoli al poligono primitivo, onde sa rebbe l'unico avanzo, non si diminuisce in chi lo ri guarda quel senso di venerazione, che infonde il ri chiamo dei mille anni su di esso trascorsi, e dello scopo per cui fu innalzato. 148 VARESE E SUO CIRCONDARIO Mi colse curiosità di sapere, perchè quel muro sia stato rispettato e rimasto nella sua rozza struttura. Tenuto calcolo, che i cristiani degli antichi tempi, per grande amore nutrito alle cose sacre, non demolivano quasi mai le loro chiese, e, quando essi crescevano in numero o le ampliavano fino ad aggregare chiesa a chiesa, o ve ne erigevano altre poco discoste; tenuto conto del durissimo cemento di cui è formato; del suo spessore e del fabbricato, che vi si addossava, abbiamo buoni argomenti, che ci spiegano come sia uscito il leso dalla totale distruzione. Che ivi esistesse poi un fabbricato, vien provato e dalla pianta della vecchia Basilica di S. Vittore, in cui v' ha una sola entrata laterale dalla piazzetta attuale di S. Lorenzo, e da una pergamena del 1286, in cui Mafeo Visconti, podestà di Varese, chiede per precario al Capitolo di poter aprire un uscio nel palazzo arcivescovile (ora casa Ba roffio) verso la piazza della Canonica: ciò che verrebbe inoltre a provare non esservi stato alcun passaggio dalla Canonica alla piazza di S. Giovanni, in allora ci mitero. Più che tutto, lo provò il fatto dell'essersi, cioè, un vent'anni sono, in occasione di riparazioni, trovato circa un metro sotto il suolo stradale, un pavimento, che tuttora si può vedere scavando il terreno. Notisi anche la singolarità di espressione usata nelle cronache e ne' libri, i quali, parlando del S. Vittore, dicono ri costruzioni, e parlando invece del S. Giovanni dicono ristauri. Da tutto questo si può conchiudere essere quel lato sinistro ancora il primitivo; ed il pensiero vien portato a passar la rassegna delle tante generazioni, che furono battezzate nel sacro recinto, di cui è pre ziosa reliquia. Giova ora tener parola di alcuno di que' molti ristauri, CAPITOLO SETTIMO 149 o rabberciamenti che si vogliono chiamare, effettuati

sul S. Giovanni. - - - Il primo ristauro, di cui abbiamo notizia, venne fatto dall'arcivescovo Uberto. Di ciò ci assicura il Profes sor C. Castiglioni in un suo manoscritto, al quale dob biamo piena fede, e perchè aveva fatto studi appositi ed ispezionati molti documenti per completare la sua Storia Fisica e Politica di Varese, e perchè si mostra sempre esatto ed insieme peritoso nel riferire notizie e nell'accettare osservazioni qualsiansi. Ma non cono scendo noi da qual documento egli abbia cavato tale affermazione, non possiamo sapere quale fosse l'Uberto di cui parla, e che cosa questi abbia fatto, mentre nella serie degli Arcivescovi, dall'anno 1146 al 1206, ne ab biamo quattro di tal nome. A me piace ritenere che fosse l'Uberto (1185) successore di quell'Algisio stesso, che acquistò dai Canonici il palazzo a fianco del S. Gio- vanni per propria residenza e per i suoi successori. Vo lendo forse il detto Uberto migliorare l'entrata del pa lazzo, avrà ridotto all'attual forma il S. Giovanni, ot tenendo il rettifilo dal lato destro. Nè è fuor di ragione credere, che a tutte spese dell'Arcivescovò venisse così ridotto ed adornato il S. Giovanni, perchè le ingenti ricchezze in allora possedute dal Presule Ambrosiano, il facevano capace di spese le più grandiose; ed essendo egli anche Signore di Varese, avesse voluto, come sap piamo di altri, guadagnarsi così la stima dei Varesini con atto di munificenza. Se notizie precise ci informas sero di quel ristauro, forse avremmo dati preziosi per la storia dell'Arte; ma rimanendo noi all'oscuro, dob biamo attenerci al giudizio posteriore degli studiosi de' progressi artistici. Dobbiamo dunque dire, coll'esimio sig. Barelli, che la facciata, il lato destro, il prolun 150 VARESE E SUO CIRCONDARIO gamento del quadrato, formante quasi un presbiterio più ristretto, e le volte sono contemporanei. Conviene quindi arguire che, minacciando caduta l'antico edi ficio, si pensasse a riedificarlo sotto altra forma, con servando la parte meno esposta allo sguardo o rimasta più solida, che è appunto il lato sinistro. Indizi sul l'epoca relativamente moderna delle altre parti sono: l'archivolto della porta maggiore, le lesene sui fianchi col loro finimento, la configurazione delle due finestre della facciata, e più la porta sul lato destro, che fi nisce a sesto acuto. Il sesto acuto fu introdotto nel l'architettura lombarda in principio del 1200. Più, la statua di S. Giovanni, a sommo della facciata rivela un'arte più progredita di quella della vasca ottagonale interna. Da tutti questi indizi argomentasi che l'at tuale S. Giovanni (meno il lato sinistro) possa essere dei primordi del secolo XIII. Giunti a questo punto, prima di entrarvi a vedere quanto si trovi meritevole d'attenzione, lasciando ai periti il giudicare se le linee architettoniche colle loro variazioni sieno frutto del nostro stile classico, od ef fetto di importazioni straniere, noi diamo un rapido sguardo alle singole parti. Ecco la bella porta a sti pite composto di colonnette, le quali ornano i lati ed il contorno semicircolare, variata di diversi rabeschi e fregi, tra cui l'agnello simbolico ; il semplice tondo sopra la porta; i pilastrini lisci, che dal terreno sal gono alla cima ne' fianchi della facciata, in alto della quale stà, poggiante su mensola, bizzarramente lavo rata, la non ispregevole statua del Precursore, nelle cui mani vedesi spiegata una scritta a cifre bizantine indicanti il motto : Vox clamantis in deserto: parate viam Domini ; il fregio a piccoli archi, talvolta disu CAPITOLO SETTIMO 15] guali, che corre come cornice intorno al tetto ; i ca pitelli a foggie non simmetriche ; gli ornati per tutto diversi ; gli avanzi degli affreschi che coprivano il lato destro; le finestre di fronte e laterali, una più piccola dell'altra; la facciata a forma piramidale col vertice non corrispondente al mezzo della base; l'irregolarità dell'asse principale, del perpendicolo de' muri, e di al cune parti accessorie ; il troppo danneggiato affresco sulla porta, giudicato del secolo XIV ecc. Il suo com plesso esteriore, contemplato in direzione dell'angolo destro della facciata, ci presenta un quadro prospet tico, in cui l' occhio non senza compiacenza si riposa. Quando i Varesini costrussero presso il S. Giovanni la Basilica a tre navate, secondo il costume universale, il primo, sebbene designato a Battistero per que'di tutta la Pieve, fu tuttavia ritenuto, come oggidì, nel suo uso antico di chiesa. Infatti ebbe il proprio prete officiante o cappellano; servì di chiesa jemale al Capitolo, a diverse funzioni ecclesiastiche, ed anche a riunioni politiche. Tra queste merita di essere ricordata quella dell'anno 1570, che fu una generale assemblea de' Varesini, convocata dalla Reggenza, perchè nominassero i procuratori presso il Re Filippo II a sostenere e far valere i titoli, diritti ed i privilegi loro accordati da Carlo V. sul non poter essere infeudati. E questa era la sola libertà cui aspirassero i Lombardi nei secoli XVI e XVII! L'atto steso in quell' adunanza è rogato da Peruc chetti, e contiene il nome delle principali famiglie esi stenti in Varese. Fu l'ultimo comizio popolare tenuto in chiesa, poichè in quell' anno stesso si diè opera a costruire il Pretorio. Entriamo. Ecco la vasca monolitica ottagona di pietra di Viggiù. Il suo perimetro di metri 6.80, la sua forma, 152 VARESE E SUO CIRCONDARIO le grossolane figure a rilievo ivi scolpite su cinque lati e negli altri appena sbozzate, meritano un ricordo, come dice C. Cantù, perchè se disingannano coloro che il vorrebbero opera fin de' Longobardi, mostra in che modo i nostri lavorassero nel 1200. Il Canonico Ba relli però dichiara che è opera evidentemente del 1300; desumendo le prove dalle figure e dalle riquadrature a basso rilievo, e più dai caratteri che vi sono scol piti. Le parole a cifre bizantine, tra cui spicca un S. Tomaacius, un'aureola ed una mitra, sono certo in dizii di non assai remota antichità. Si osservino le belle volte cordonate a crociera ; gli affreschi di di verse epoche, or ora in parte scoperti, sui muri late rali del presbitero e che sarebbe bene liberare intera mente dall'intonaco, onde sono imbrattati, e quello be nissimo conservato, che si trova sul muro posteriore, reputato del Giovenone. Il coperchio dell'avello, che era l'esemplare della parte superiore della vicina torre giusta il primo di segno dell'architetto Bernascone, il confessionale in fisso nel muro, che gli sta di contro, l'altare ed i due tabernacoli dorati, le statue del Cristo morto, deposto sotto l'altare, ed altre che si conservano nella stanza superiore ed in diversi armadi, sono documenti di varie epoche, che provano come bella tra noi siasi sempre conservata l' arte dello scolpire in legno. Tra queste una ve n' ha rappresentante S. Lorenzo, che dagli intelligenti vien molto apprezzata come opera del 1400 circa, e desiderasi messa in pubblica vista. È pure di tutta convenienza che si levi il muro sopra l' arco del presbitero, in modo che stando in chiesa si possa vedere l'interno della stanza superiore com'era manifesto intendimento del valente architetto. Con ciò cAPIToLo sETTIMo 153 l'interno della chiesa presenterebbe ai riguardanti un aspetto assai gradevole. Nell' anno 1612, il Cardinale Federico Borromeo, tro vandosi a Varese in visita pastorale, diede opportune prescrizioni pel ristauro della chiesa battesimale di S. Giovanni. Visto che i muri minacciavano rovina pel soverchio peso della volta, ordinò che vi si appo nessero delle chiavi di ferro a collegarli ; espresse desiderio che un perito pittore tentasse rinfrescare i dipinti in modo da farli risaltare nella loro primiera antichità; comandò che l'avello, il quale stava contro la porta chiusa a sesto acuto, si trasportasse nel mezzo, che venisse levata la scala interna ) e posta all'esterno, perchè non ad altro servisse questa chiesa o sacello che a Battistero. Era poi tanto preso dal gusto dicon servare lo stile, anzi di restituirlo ad speciem anti quam , che ordinando di rifar le porte di legno, dice « il falegname nel ristaurarle si guardi bene di allon tanarsi dall'antico tipo. Volle si completassero vitreo opere et artibus le finestre. A compier tutto ciò infine permise che in detta chiesa si ponesse una cassetta per le elemosine, aggiungendo queste bellissime parole: Universitas Varisi cui hoc insigne antiquitatis Ec clesiae baptismalis testimonium restat, quae de isto instaurando et pulchro reddendo sancivimus ea qua solet liberalitate suis impensis et libenti animo proestet. Il Cardinale fu obbedito ? In minima parte sì, e forse non secondo il suo pensiero ; ma nella maggiore e più importante no. Rincresce il dirlo, ma tant'è. Gli Atti delle susseguenti visite ripetono in tutto od in parte simili prescrizioni. Se poi guardasi allo stato attuale, bisogna pur confessare che tutto s'è fatto per allontanarsi dallo stile primitivo senza introdurre ab ]54 v' ARESE E SUO CIRCONDARIO bellimento alcuno. Oltre le inconvenienze sopraccitate, vediamo le finestre a fianco della porta mezzo murate; l'avello, anzichè nel mezzo, collocato a settentrione, luogo tutt'altro che primitivo; i muri trascurati che minacciano di cadere; appesivi quadri che hanno niente a che fare colla chiesa; e financo nelle ultime neces sarie riparazioni, si tolse da una parte per aggiustare da un'altra. Eppure non si doveva fare così! E quale altra mai trasformazione gli è riservata? Ora non deve subire altra trasformazione fuori di quella consigliata da un perito architetto, che lo richiami alle severe e naturali forme primitive. O Varesini, amore vi prenda pel vostro decoro patrio. Gloriatevi del vostro S. Giovanni, e più fate di glo riarvi ponendo opera efficace a che sia conveniente mente ristaurato e rimosso il pericolo ond'è minacciato. La vostra generosità, già invocata dal Cardinale Fe derico, ne assecondi l'impresa. Pochi anni sono, per commissione della Fabbriceria, l'egregio architetto Colla fece un progetto per un conveniente ristauro di sì prezioso monumento; ma disgraziatamente non ebbe esecuzione. Non più indugi, e tutti che amano patria, religione ed arti facciano che il progetto diventi alfine una realtà. CAPITOLO VIII

Le Confraternite.

Molteplici furono le Confraternite in Varese, cosic chè ogni chiesa od oratorio ne aveva una propria ed anche di più. Ognuna vantava diritti e privilegi, come tutte le istituzioni di simil genere ne' passati tempi, fino alla soppressione di esse ordinata da Giuseppe II, ampliata sotto il governo francese e rinnovata dal ces sato dominio austriaco, che le ridusse ad una sola per ciascuna parrocchia. La Confraternita, che emergeva sopra ogni altra in Varese, era l'Arciconfraternita di Santa Marta. Le carte relative ad essa, esistenti nell'archivio della chiesa di S. Vittore, provano l'antichissima sua origine, di cui non si può precisare l'epoca. Un istromento, del 1400, la dice fin d'allora antica. Essa possedeva molti beni e legati, coi quali faceva celebrare solenni feste alla cappella di S. Marta, che era di sua proprietà e pa tronato. Detta cappella, nella Chiesa vecchia, era vi cina alla porta d'ingresso, dalla parte destra entrando, e, nella ricostruzione della Basilica, fu eretta dove si trova attualmente, e abbellita a tutte spese dalla me desima Arciconfraternita. Il Capitolo della Basilica era 156 VARESE E SUO CIRCONDARIO obbligato a prestarsi alle molte funzioni che essa vi faceva celebrare, ricevendone, in certe solennità, larga somministrazione di cera, di addobbi, e di denaro in compenso. Tra le altre funzioni, merita ricordo una processione strepitosa, detta dell'Entierro, incominciata nel 1699, che si faceva nel Venerdì Santo, in cui si portavano tutti gli emblemi della Passione di Cristo, vari Santi, la Vergine Addolorata, e si rappresentavano perso naggi storici relativi, quali Erode, Caifas, ecc. Il Cristo morto veniva portato, sotto baldacchino, da quattro sacerdoti in tuniche nere, e nel ritorno era sepolto in apposito sarcofago. A questa processione interveni vano i nobili, tutte le fraterie, le confraternite di Va rese e dintorni. Quella funzione, modificata in parte, durò fino a che l' arcivescovo Gaisruk, nel 1834, con un ordine generale, proibì tutte le funzioni di notte, e le sinfonie in chiesa. Nell'anno 1761, trovandosi quella Confraternita senza Priore, si pensò di fare la pro cessione dell'Entierro, solo ogni tre anni. E per ti more di perdere alcuni legati la si fece senza invitare la nobiltà e le sinfonie per minore spesa, invitando invece, per mezzo di certo Frascone Bernardo orolo giaro, 90 artisti miserabili con torchie. Da quel tempo decadde dall' antico splendore. L'Arciconfraternita di santa Marta aveva l'ammini strazione dei beni della Fabbrica di S. Vittore, e il luogo primitivo di sue radunanze era la parte supe riore dell'atrio della Basilica. S. Carlo, nella visita pa storale che fece il 28 ottobre 1574 tolse ai confratelli di S. Marta l'amministrazione della Fabbrica per darla alla Compagnia del Crocifisso, da lui stesso istituita. Ai Confratelli di santa Marta lasciò tutte le incom CAPITOLO OTTAVO 157 benze di pura religione e i legati propri, tra cui è notevole un antico per la cappella musicale, fatto da un certo Albani: prebenda che, nel 1669, godeva il Cano nico Panzanelli, il quale, al dire di una cronaca, can tava sopra l'organo con meraviglia del popolo. Ridotta così a fervore nelle divote pratiche portate dalla sua istituzione, S. Carlo l'aggregò all'Arcicon fraternita di S. Giovanni Decollato istituita in Roma nella Chiesa de' Firentini, colla partecipazione di tutti i pri vilegi di quella, e tra gli altri quello speciale del l'assistenza ai poveri giustiziati. Indi, nel 1698, fu ag gregata anche alla Confraternita di S. Giovanni alle Case Rotte in Milano, che vantava diritti sovrani e con tava, come suoi membri, quasi tutti i principali patrizi della città. Fu in quell'occasione che si fece celebrare a Varese una festa solenne, come usavano quei di Milano, nel dì della Decollazione di S. Giovanni Bat tista, e ciò, sempre, alla cappella propria di santa Marta. Nel secolo passato (1755) trovandosi nelle carceri di Cuvio un tale, che pe' suoi delitti doveva forse venir condannato a morte, e avendo i confratelli di Cuvio espresso desiderio di accompagnarlo al patibolo, quei di santa Marta in Varese aprirono un vero processo, con deposizioni di testimoni, per aver essi già assistito, nel 1697, un' altro in Gavirate, Pieve di Brebbia ; e provocarono dall'Eccellen. Senato una sentenza a loro favorevole, che riconosceva il loro diritto di assistere quel di Cuvio, nel caso di sua condanna a morte, perchè essi avevano jurisdictione non solo in Varese, ma in tutto il territorio. E pensare che era più spirito di puntiglio, di curio sità, vaghezza di dare spettacolo di sè quello che li moveva, anzichè vera carità! 158 vARESE E sUo CIRCoNDARIo Infatti non in tutti i casi di supplizio potevano in tervenire, ma solo in quelli pubblici e civili. Fra i vari supplizi, a cui assistettero, mi piace raccontar di uno, che può dar l'idea di quei tempi in cui avvenne, e lo ricavo da un rendiconto molto esatto di una cronaca manoscritta. Nell'anno l731, era Podestà di Varese, il sig. Eu genio Della Fuente, il quale aveva trasmesso all'Ec cellen. Senato la relazione definitiva sopra i delitti com messi da Pietro Francesco Trinchinetti, di Carnago, figlio di Giacomo. Il Senato, al 15 dicembre, emana la sentenza di condanna cui trasmette al nuovo Podestà, essendo il citato già scaduto, per l'esecuzione da farsi sotto gli ordini e responsabilità del Capitano di Giu

stizia. - Il Trinchinetti era condannato : « ad essere tirato a coda di cavallo al luogo del supplizio ; ivi appiccato stando appeso tutto il giorno, e di poi troncatogli la testa fosse posta in una gabbia di ferro sopra colonna di legno sulla pubblica strada presso al luogo del com messo barbaro delitto, e ciò per il pubblico esempio. » Il delitto poi, o per meglio dire, i delitti erano: « Furto di lire 7 incirca con rottura, fatta nel giorno 16 luglio 1728, nella cassetta della chiesa Prepositu rale di Carnago ; « Retenzione e delazione di una pistola di once 4, bresciane, per lo spazio di due anni; delazione di col tello di punta; omicidio tirannico, commesso l'8 set tembre scorso, nella persona di Giacomo Cattaneo, suo parente, in territorio di Carnago, con ventisei ferite fattegli parte di punta, parte di taglio, e parte con arma da fuoco, omicidio seguito dalla roberia di L. 87 circa e mezza libbra di formaggio; CAPIToLo oTTAvo 159 «Essendogli poi stata data la corda, confessò due altri omicidi, l'uno di sua sorellina di otto mesi, strozzata da lui, perchè in letto ammalato lo disturbava col piangere ; l'altro di un fabbro ferraio di Castronno sulla strada, e di notte-tempo. « Dopo che gli fu denunziata la sentenza, fu conse gnato alla scuola di Santa Marta e S. Giovanni De collato, perchè lo preparassero a ben morire, e la ca mera per essi fissata era quella vicino alle prigioni nuove, fatta fare da questa Comunità, pochi anni sono, per comodo dei galantuomini del Borgo. Alla mattina del dì fissato per l' esecuzione ricevette i SS. Sacra menti e, assistito dai Padri Capuccini e dal sig. Cano nico Menefoglio, con gran concorso di popolo, fu tra scinato per la via più breve a coda di cavallo sulla piazza del Podestà. La forca era piantata dinanzi la porta del Pretorio, in vicinanza del corso, perchè non solo quelli della piazza, ma anche quelli del corso lo potessero vedere. Intorno alla forca erasi eretta una sbarra pei confratelli di Santa Marta che assistevano. Il Canonico era in cotta e stola, e aspergeva il con dannato coll' acqua benedetta. « Per tale esecuzione le spese fatte dal Borgo furono di L. 900 circa, di cui 50 filippi furono dati al carne fice, e L. 35 al garzone, il resto per gli utensili e per pagare un Barigello e quattro campagnoli venuti da Milano : eh ! sì, che si sono avute molte cortesie, perchè il carnefice pretendeva di più, ma il capitano di giustizia lo fece accontentato del ricevuto e mandò pochi campagnoli, e fece altri risparmi. Il carnefice alloggiò nello stallino del Pretorio, che serve al Ba rigello. Il Borgo però venne rimborsato per la maggior parte delle spese , perchè il Senato decise che detta 160 VARESE E SUO CIRCONDARIO esecuzione doveva farsi a spese della Pieve di Varese e di Castel-Seprio. » La Compagnia del Suffragio dei morti fu, nel 1613, istituita dal padre Matteo Landriani, cappuccino guar diano del convento di Varese. Cominciò essa a celebrare le sue funzioni ed offizi nella chiesa della Cavedra; nel l'anno seguente passò in S. Vittore alla cappella di santa Caterina, per la quale ottenne un'indulgenza grande di tutta particolare applicazione ai defunti. Terminata che fu la sua cappella di S. Gregorio, 1615, passò ad essa, detta perciò ancora oggidì dei morti, e dove ogni anno, la seconda domenica di luglio, s' im partisce una solenne benedizione papale agli ascritti del Consorzio, i quali, non essendo ora più di 5 o 6, e tutti vecchi, tra breve saranno pur essi nel novero dei più, ed il Consorzio diventerà veramente dei morti. Dal rito di quella benedizione pare, che questo Con sorzio fosse come un ramo dell'Ordine della SS. Tri nità, di cui godeva ogni privilegio ed indulgenza riser vata all'Opera della Redenzione degli schiavi. Posseditrice di molti beni, censi, livelli e legati era pure l'antica Congregazione di Sant'Antonio, che por tava anche il titolo del SS. Sacramento e di Miseri cordia. Non si capisce se essa fosse una sol cosa con quella del Crocifisso istituita da S. Carlo, ovvero una società a parte. Se anche distinte per poco, si unirono presto. Anche questa aveva l'uso della Di sciplina, com'era costume allora di quasi tutte le con fraternite. Da essa fu riedificato il campanile della vecchia chiesa di Sant'Antonio nel 1513, e fu eretta la chiesa attuale, che dal 1684 al 1894 arricchì dell'organo e del coro. I pochi diritti di essa, ancora rimasti, pas sarono, in parte, alla Fabbriceria e, in parte, all'odierna CAPITOLO OTTAVO 161 Confraternita del SS. Sacramento. Alla medesima ap parteneva il pittore varesino Giuseppe Baroffio, quello appunto che dipinse gli ornati della citata Chiesa. Conservansi lettere del medesimo con cui, ringraziando l'Amministrazione della Confraternita per i favori a lui concessi, dimostra e la sua cristiana pietà e il beneficio del mutuo soccorso. All'anno 1609, la cronaca Adamollo narra che « la Giobia Santa si fece una processione dagli scolari di Sant' Antonio di Varese con una rappresentazione di nostro Signore con la Coce, e li due ladroni con sol dati, e vi erano Caifas, Erode ed altri ministri, e se guitava la Madonna con le Marie che facevano un vedere bellissimo, e vi erano ancora quaranta torchie accese, di circa libbre 6 per cadauna, e si battevano quei disciplini grandemente ed andarono a S. Francesco di Varese. » I Confratelli di S. Rocco nacquero per voto e per divozione a detto Santo, perchè tenesse lontano la peste, della quale si ebbero segni incancellabili e me morandi ai tempi di S. Carlo e di Federico Borromeo. A S. Rocco aggiunsero anche S. Sebastiano, dopo il voto fatto dai Milanesi di erigere a suo onore la bella Rotonda, che ancora ammirasi. Dall'anno 1588 in avanti, Varese ebbe tanto a sof frire per ripetute pestilenze, per innondazioni, per danni arrecati dai Francesi che, nel 1652, non sapendo più a qual Santo votarsi, elegge a Patrono del Borgo Sant'Antonio il Taumaturgo, fa voto di erigergli una statua, e di festeggiarlo con offerta di ceri, e denari. Nell'anno istesso istituisce la Confraternita di S. Carlo, altro protettore degli appeslati, e fabbrica un Oratorio in onore del Santo di cui portava il nome : Oratorio

Varese e suo Circond. - VoL. I. 11 162 VARESE E SUO CIRCONDARIO che fu poi incluso in casa Speroni, e destinato ad uso domestico. Arroge la Compagnia della Dottrina Cristiana, la quale, nell'anno 1748, ricevette in dono dall'Ospitale la chiesa di S. Cristoforo, che fu da essa riedificata a proprie spese. La Confraternita della beata Concezione o del Gon falone ebbe origine nella chiesa dei Padri Riformati dell'Annunciata, l'anno 1502. Nel 1504, fabbricò la Chiesa di S. Giuseppe ad esglusivo suo servizio, dove si radunava a funzionare secondo il rito romano. Nelle solennità della Immacolata e di S. Giuseppe, in quella Chiesa offiziavano i frati Riformati, nè mai fu che il Preposto col Capitolo vi potessero portar piede. Nel 1709, il dì 8 dicembre, il Preposto col Ca pitolo si recarono processionalmente alla chiesa di S. Giuseppe per celebrarvi una messa di divozione ; ma bravamente que' confratelli chiusero loro la porta in faccia, e da qui una lunga lite, agitata davanti a Monsignor Vicario della Curia Arcivescovile. – S. Carlo, nella visita fatta nel 1563, approvandone le regole , istituì canonicamente questa Confraternita, che fu poi, nel 1589 al 3 dicembre, aggregata all'Arciconfrater- nita di simil nome eretta in Roma. Ebbe varie indulgenze, appositamente accordatele con Bolla, da Gregorio VIII, da S. Carlo e dall'Arcive scovo con lettere date in Varese, la prima nel 24 novembre 1567, e la seconda nel 25 ago sto 1586. Notisi per incidente, che la indulgenza, ac cordata da S. Carlo, era solo a favore di quei Con fratelli che si davano la disciplina, e che perciò pren devano nome di disciplinanti. Anche a costoro Sisto V (Bolla 21 marzo 1586) accordò i privilegi ecclesiastici CAPITOLO OTTAVO 163 concessi a quelli, che si adoperavano per la reden zione degli schiavi. Frate Pasquale di Varese fatto Generale della famiglia dei Francescani, nel 1571, li dichiarò partecipi di tutto il bene operato dai frati di S. Francesco, come da lettera conservata nella chiesa di S. Giuseppe. Un'altra delle Confraternite era la Compagnia del SS. Rosario, a cui si pregiavano di appartenere tutti i nobili patrizi e primati del Borgo. Aveva la proprietà della cappella del Rosario nella Basilica. Celebrava splen dide feste. Di questa Confraternita trovo scritto in una cronaca quanto segue: «La cappella del SS. Rosario, dal 1588 retro, era amministrata da una Congregazione, chia mata del Rosario, la quale era composta dal sig. Pre posto pro tempore, da diversi Canonici, e dai Signori Principali del Borgo, cioè di Casa Griffi, Castigliona, e Marinona, e per tradizione si ha che si congregavano in S. Lorenzo. « Nel 1615, però si radunarono nella Sagrestia di S. Vittore per eleggere gli officiali. « Nel 1588, il Padre Bartolomeo Miranda dell'Ordine dei Predicatori, Procuratore e Vicario generale, con cesse facoltà al M. R. Preposto di Varese d' erigere una Confraternita del SS. Rosario col patto, da inse rirsi nell' istromento di fondazione, che quando si costruisse un convento di Domenicani, anche due miglia discosto da Varese, in tal caso si dovesse, nella Chiesa del medesimo, trasferirsi la Confraternita con tutte le sue sostanze. « Nel 1604, attesa detta erezione e istromento col vo luto patto fu aggregata con approvazione pontificia a quella di Santa Maria sopra Minerva in Roma, colle relative indulgenze e privilegi. » 1(54 VARESE E SUO CIRCONDARIO Questa Confraternita fu quella che eresse , a sue spese, nel 1654, la Chiesa di S. Domenico, in piazza di S. Vittore. Alle nominate va aggiunto, come meritevole di ri cordo, anche la Confraternita di S. Giovanni Evange lista. I membri di essa erano quelli che amministra vano l'Ospitale dei Poveri in Varese, eretto presso alla Chiesa di S. Cristoforo. Aggiungetevi poi anche tutte quelle altre molteplici Compagnie di Terziari e Terziarie, di S. Francesco, di S. Anna, del Cordone, instituite , favorite e pro tette dai frati, che abitavano i molti conventi qui sta biliti, e le Confraternite di tutte le castellanze, e non vi pare che il numero diventi grande ? Che volete, i tempi erano fatti così: e i tempi per conoscerli bisogna pure che siano studiati in ogni loro parte. Un distintivo di religione, allora, valeva più di quel che adesso; il por tare un grosso Crocifisso in una processione lunga valeva il cancellare ogni peccato segreto o palese ; e così si tranquillava la coscienza, e si aveva ancora il diritto al titolo di galantuomo dal pubblico; anzi, colla pratica costante di simili opere di pietà si arrivava al punto di aver quasi un salvacondotto per qualunque iniquità dinanzi agli uomini. È per tal causa che la storia registra alcuni ribaldi, anche alto locati , co perti di medaglie, abitini e corone ; simboli delle varie Congregazioni pie, cui erano inscritti. Le intestine discordie, che ad ogni tratto sorgevano in seno alle diverse Confraternite, e qualche volta i tu multi popolari, suscitati da esse, sono una prova che non tutti i confratelli erano fior di galatuomini. Le cronache registrano diversi scandali, in cui dovettero intervenire le Autorità civili ed ecclesiastiche. cAPIToLo oTTAvo - 165 Era premura dei borghigiani di inscriversi almeno in uno di quei religiosi Consorzi, sia per godere dei molti privilegi loro concessi dalle pubbliche Autorità, tra i quali, non era ultimo, quello della sepoltura distinta nella Cappella o Chiesa della loro congregazione; sia per formare aderenze, per ottenere sussidi e soccorsi, e anche per divertirsi, facendo delle passeggiate in processione. Le processioni d' allora, erano mica passeggiate brevi e di poco conto, no: figuratevi che da Varese si andava al Sacro Monte, a Sant'Elia sopra Viggiù, a S. Salvatore, in Svizzera. Trovo anzi notato che qualche volta tutte insieme le Confraternite di Varese anda rono a Milano. In prova di ciò, ecco come narra la cronaca Adamollo una di quelle processioni. « 1605, l l settembre, in domenica. Furono in pro cessione a Milano tutte le scole di Varese e sue Ca stellanze per la devozione del beato Carlo Borromeo; e vi erano tutti li Canonici di Varese e Curati della Pieve, che erano in numero di quaranta, e quasi tutti gli gentili uomini di Varese, che erano molti, con tanto bell'ordine, che è stata cosa grande, portando per of ferta 300 scudi in un bacile, oltre un quadro d'ar gento e laudabile, essendovi musiche in tutte le scole con li suoi stendardi, e cinque trombette che face vano un sentir bellissimo, ed entrarono in Duomo circa le ore 14, e teneva la Processione dal Ponte Vetro sino in Duomo ; e vi erano li signori Podestà e Fiscale Spa gnuolo, e vi concorse quasi tutto Milano, e per le contrade non si poteva passare, ed il Duomo tutto pieno; e dopo l'offerta il Cardinale Borromeo, Arcivescovo di Milano, gli diede la benedizione, ed il quadro donato era di valore di Scudi 200 veramente cosa bellissima. »

-- --- 66 vAREsE E sUo cIRcoNDARIo Nel 1828, invece facendosi la prima festa al Sacro Monte delle BB. Caterina e Giuliana, i Confratelli di S. Carlo di Milano vennero a Varese, ricevuti dai Confratelli di qui con banda musicale ed allegria. Che passeggiate ! Di esse i confratelli sapevano usufruire talvolta pei loro interessi. Volete un fatto ? I Confratelli di Biumo inferiore usavano andare a S. Salvatore in Svizzera. Seppero ben essi approffit tare del passaggio del confine italiano-svizzero, col far servire di coperta ai loro contrabbandi gli stessi loro abiti religiosi. Ma alla fine (1756) ci cascarono; chè le guardie di finanza insospettite se ne presero in mezzo tredici, li condussero a Varese, fecero pagar loro la multa, e poi li lasciarono in libertà. Tutti gli altri avevano, appena si accorsero del tranello, gettato la merce di contrabbando; e così si pose fine alla solita processione. E quì finisco anch'io! CAPITOLO IX.

In giro per le Castellanze.

BIUM o sUPER 1o RE.

Prima di salire a Biumo superiore, chi ama le spe cialità botaniche, volga a sinistra della via del Moraz zone, ed entri nel giardino Della Chiesa a vedere una pianta, ancor rara in Italia, cioè, un grande esemplare di araucaria imbricatq. Le piante più alte di questa specie d' albero trovansi in Inghilterra nel parco Drop more. Chi invece predilige l'archeologia, diriga i suoi passi fino alla villa Speroni, a Pravello, per conoscere il luogo, dove, nel 1871, venne scoperta una tomba romana, probabilmente di una donna. Quel sepolcro conteneva un ampio vaso d'argilla, racchiudente ossa bruciate e ceneri; due piattelli di terra cotta di varia dimensione, ed una fusaruola. Esternamente si trova rono due anfore, l'una meno capace dell'altra, ed un orciuolo di vetro. In capo alla via del Morazzone s'affaccia il giardino e, volgendo per poco a mano manca, la

Villa Mozzoni, costrutta, nel 1810, sulla Chiesa e Chiostro dei frati Francescani Conventuali, dal Conte 168 VARESE E SUO CIRCONDARO Giorgio Clerici, il quale vi spese enormi somme, e morendo la consacrò all'amicizia, legandola ad una si gnora Mozzoni. Il giardino è ritenuto per il meglio di segnato dei dintorni. Il disegno è di certo Villoresi, giardiniere della R. Villa di Monza.

I Francescani furono chiamati a Varese dalla Comu nità, e il loro Convento fu eretto nel 1224. La tradi zione lo diceva fondato da Sant'Antonio dà Padova, e tra le altre prove citava una campana, che portava il suo nome, ed una colonna esistente presso un pozzo, che sarebbe stato dal medesimo benedetto ed espresso dall'arida terra. Su quel marmo, che si vede tuttora, sta scolpito: Fontem Varisii ab Antonio lustratum, hunc esse oegri fama et ratio docet. Ma ciò pare in verosimile, perchè si confuse col detto Santo un Pietro da Padova, spedito dall'arcivescovo Leone da Perego. Ecco che cosa dice il Giulini in proposito. « Poichè Frate Leone da Perego ebbe ottenuto l'Ar civescovato, si prese particolar cura di ampliare nella diocesi l'Ordine dei Frati Minori a cui egli era ascritto. Già alcuni di quei religiosi erano stati ricettati anche nel Nobile Borgo di Varese; e trovandosi in istato d'er gere presso al loro ricetto una nuova Chiesa, ne ave vano domandato la permissione al nostro Arcivescovo, che non era ancora consacrato. Egli non tardò molto a compiacere alla loro richiesta; e con sua lettera elesse un certo Frate Pietro da Padova dello stesso Ordine, imponendogli di portarsi in persona a Varese, per mettere in sua vece la prima pietra nella Fabbrica del nuovo Tempio, che colà doveva ergersi ad onore di Dio e del Beato confessore Francesco. Non furono sco noscenti al beneficio i Francescani di Varese, che, ad CAPITOLO NONO 169 eterna memoria di quello, fecero scolpire in pietra la mentovata lettera, e la inserirono nel muro del loro Chiostro, dove ancor si conserva. « Il nominato Frate Pietro da Padova forse venne poi confuso con Sant'Antonio da Padova, a cui già da gran tempo si attribuisce la fondazione di quel Con vento, non senza il racconto di un miracolo ivi ope rato dal Signore per sua intercessione. Io non ne par lerò di vantaggio, perchè non ho argomenti che bastino a rendermi verisimile nè il prodigio, nè la venuta di Sant'Antonio nel nostro Paese in questi tempi. Quan tunque nella data della riferita lettera non vi sia l'anno, ma solo il giorno 1 di ottobre; ciò nonostante l'ag giunta di Eletto data al nostro Arcivescovo ci addita che ella fu scritta nel primo giorno d'ottobre del pre sente anno 1241; o dei due seguenti, giacchè di poi abbiamo sicure notizie che egli era stato consacrato. » La Chiesa, dedicata a S. Francesco, era bella per ampiezza, ricchezza di dipinti, e per architettura; opere dei più valenti artisti varesini. In essa predicò, es sendo ancora frate, Papa Ganganelli. Degna di essere visitata è l'ex Ducale

Casa Litta, già del Marchese Menefoglio. In quelle magnifiche sale, in quel triclinio, in quel giardino, il DUCA ANToNIo LITTA VIscoNTI ARESE, nell'autunnale stagione, raccoglieva eletta schiera di dame e di ca valieri a laute mense, a festivi balli , a brillanti con versazioni, ad accademie di lettere e di musica. Ma più che di questo, merita di essere ricordato quel Pa trizio generoso che non fece risparmio di sacrifizi a pro della causa italiana. Cittadino sincero e leale, che con tutti si mantenne ognora affabile e dolce, uomo 170 VARESE E SUO CIRCONDARIO benefico, che tante miserie sollevò, che rasciugò tante lagrime, che fu sempre largamente prodigo per le utili e filantropiche Istituzioni. Nel giardino ammiransi qualche specie di quercie sempre verdi, grossi alberi di cedri del Libano, una pianta di Juniperus sabina, assai rigogliosa, ed alti cipressi. A proposito di quercie e di cipressi, il Pro fessor Castiglioni narra che egli non poteva trovare riposo in quel giardino, perchè gli parea di veder an cora passeggiare l' ombra irrequieta del primo Signore, che, le lunghe notti dell'inverno, per gelosia, avvolto in nera veste, armato di pugnale, errava tra quegli alberi; parvenza, che gli fa esclamare: « Ombra ge merosa e fortunata, sebbene straniera terra ricopra le tue ossa, abbi finalmente pace. » Chi era costui ? Di contro casa Litta, innalzavasi la sede dei Carme litani, di cui il Sormani disse « per vedere questa sola, Varese merita d'essere veduto. » Su quella fu costrutta la villa Arpegiani, con disegno di Leopoldo Pollak, la facciata della quale misurava ottanta braccia, e aveva, dinnanzi a sè, un' ampia gra dinata, avanzo della distrutta chiesa. Ora ammirasi il sontuoso

Palazzo Ponti, edificato su disegno dell'architetto Cav. Giuseppe Balzaretti. È circondato da un ampio parco, che, sebbene di recente fattura, già presenta verdi prati, odorati boschetti, rocce romantiche, ameni poggi, tra cui eminente s'eleva il Poggio Garibaldi, così detto, perchè da quivi l'Eroe popolare dirigeva la pugna, che rese celebre Varese nella storia dell' ita liano riscatto. Qui trovi molte colture speciali in masse, un albero di canfora in piena terra, l' albero parasole del Giap CAPITOLO NONO 171 pone (sciadopitys verticillata) e ricche collezioni di piante tropicali nelle serre. Vuoi descrizione del palazzo ? « L'edificio, che da un'alta spianata domina tutta la contrada per lontanissimo tratto di paese e col più esteso orizzonte, s'alza isolato a tre piani con quattro facciate, ha del bizzarro benchè non offra che degli elementi castigati delle più ragionevoli maniere architettoniche, ed è, a mio avviso, un esemplare poco favorevole alle dottrine d'eccletismo che gli han dato forma e figura, benchè , in fin de' conti, non manchi di un non so che di grandioso, e di ampio. Il palazzo presenta, come elemento dominante, la bifora a tutto sesto, coll' occhio circolare al frontone dell' arco, come quello del palazzo Vendramin ; ha delle colonne con basi e capitelli di finto bronzo ; il finimento con una cornice molto sporgente e sottile ; un attico alto a balaustri, tutto piantato all'intorno di bassi obelischi sormontati da sfere che finiscono in punta; un ordine di finestre colla soprassoglia ad angoli smussati; una fila d' occhi circolari sotto la cornice ; un tutto insieme che pare piaccia a pochi, ed una scala che ho sen tito criticar molto, senza trovare una parola per di fenderla. Però parmi che i proprietari di questo pa lazzo possano, senza lagnarsi della loro sorte, lasciare al pubblico la soddisfazione delle critiche, godendosi essi la beatitudine di occuparne gli appartamenti, che certo non si poteano desiderare più deliziosi per am piezza di sfogate aperture, aria, luce, spazio, eleganza squisita di decorazioni , e buon gusto. « Il cav. Bertini sta ora decorando a fresco la sala che serve da vestibolo ; alla parete di sinistra ha già dipinte in altrettanti tondi a fondo d' oro le figure 172 VARESE E SUO CIRCONDARIO allegoriche della Chimica, della Fisica e della Mec canica, ed una composizione storica rappresentante Volta che spiega la sua Pila al generale Bonaparte. Sulla parete di fronte l'artista sta ora terminando un altro soggetto storico con Galileo Galilei, che fa provare il suo cannocchiale al Doge Leonardo Donati. Fra gli astanti si riconoscono Fra Paolo Sarpi, e l'architetto Balzaretti che, colla sua tanto caratteristica fisonomia, trovasi perfettamente in famiglia, vestito da senatore veneziano, fra quei personaggi del secolo decimosesto. A questo quadro farà riscontro sulla stessa parete un tratto della vita di Cristoforo Colombo e , fra le due composizioni, una Fama. Al soffitto, in un elegantis simo insenamento incorniciato di stucchi e dorature è rappresentata la Scienza che abbraccia la Verità; dipinto succoso, d' indole e luce Tiepolesca. Senza dilungarsi si può dire di questi lavori a fresco, che il Bertini vi fa mostra di tutte le qualità che lo col locarono fra i migliori artisti contemporanei italiani , e che lo resero forse il migliore di tutti nel trattare l'affresco, o nel sentimento degli accessori decorativi, pel buon gusto inappuntabile degli ornati misti d'oro, stucchi e falsi rilievi, coi quali scomparte i campi dei soffitti e delle pareti, trovando modo d'esser ricco senza sfarzo eccessivo, abbondante senza ingombro, e lumi noso senzas prazzi offuscanti e volgari. « Nella magnifica sala da bigliardo sono due succo sissimi dipinti del Cremona, che hanno tutti i vari pregi di colore della sua ricca tavolozza, e tutte le biz zarre fantasticaggini del suo pennello saltellante. Nella stessa sala, una parete va decorata del noto dipinto del Focosi, rappresentante non mi rammento qual duca di Savoia che discaccia l'ambasciatore di Spagna ). » CAPITOLO NONO - I73 L'affresco Alessandro Volta che presenta la sua pila a Napoleone Bonaparte, al dire del noto Jorik, è « l'opera più stupenda, più ricca di altissimi pregi, più scevra di mende e più degna di onorata memoria che mai sia uscita dal pennello del Bertini. La diffi coltà di riempiere con una composizione di molte figure, tutte ritte in piedi intorno ad un tavolo, la lunga e stretta pala destinata a contenere il dipinto, fu vinta con una facilità che toglie quasi ogni idea dello sforzo d'ingegno necessario a riuscir nella prova. La figura del Volta, la faccia del Primo Console che fissa sullo scienziato quei suoi due occhi di aquila in cui brilla una intelligenza e un affetto vivissimi, i volti dei cir costanti, la luce che irraggia la scena, l'aria che cir cola nel dipinto, l'armonia. dei colori, la giustezza dei rapporti, il magico giuoco delle ombre, la finitezza d' ogni particolare congiunta alla vigoria e alla lar ghezza di tocco dell'insieme, fanno di quel quadro una rarissima gemma. » (Dalla Cronaca Varesina). Dove sta la villa Ponti avean Chiesa e Convento i

Carmelitani Scalzi. – Vennero a Varese, nel 1676, raccomandati con lettere di ragguardevoli personaggi, quali un Ferdinando Baldes, castellano di Milano, il Presidente del Senato, il Conte di Melgar ed altri, che loro ottennero il permesso dalla Comunità (istrumento rogato da Antonio Francesco Monti, Cancelliere della stessa) di innalzare la loro Chiesa, che era maestosa e ben architettata, dovuta alla munificenza del Mar chese Menefoglio, e di fabbricare il loro Convento coi beni della Contessa Taverna-Arcimboldi. Da questo Convento dipendeva il Claustro a Cuasso, detto ancora il Deserto. Vicino alla villa Ponti sorge la 174 VARESE E SUO CIRCONDARIO

Villa Mozzoni, detta delle quaranta colonne, perchè appunto tante sono le colonne, che si vedono al suo ingresso. Della Famiglia Mozzoni meritano di essere ricordati: AscANIo, poeta nel secolo XVI; BARToLoMEo, autore classico, morto nel 1692; ed ANDREA, professore di fisica nell'Università di Pavia, in principio del secolo presente. Il cocuzzolo della collina è occupato dalla Chiesa Par rocchiale e dalla Casa Biumi.

La Chiesa fu ricostrutta, nel 1725, su una più antica che sussisteva prima del secolo XI., e nel 1248 era beneficio feudale di un Pozzobonelli, e del Capitolo di Varese. (Vedi.) – I dipinti sono del Magatti, e l'archi tettura del Baroffio, ma segnano decadimento. L'altare maggiore è intaglio di B. Castelli. L'antica immagine della Vergine, qui dipinta, si ritiene del Fiammenghino. L' attigua

Casa Biumi, con avanzo di vecchia torre, è l'unico ricordo, che ci rimanga, insieme col nome di due Ca stellanze, dell' antica Famiglia, che illustrò Varese, di cui meritano un cenno i seguenti: PAoLo, poeta, oratore, lettore nella Università di Pa dova, Governatore di Verona, Vicario Imperiale, Legato al Pontefice Martino V, e famigliare dell'Imperatore Sigismondo. L'anno 1422 fu l'ultimo di sua vita. BENEDETTA, distinta per santità nel monastero del Sacro Monte, sopra Varese, volò al Cielo a' 10 gen naio 1519, ed è dichiarata venerabile. GIo. MARIA, Questore del Magistrato straordinario nel 1525. CAPITOLO NoNo , 175 CoNTE GIo. BATTISTA, protofisico cesareo, ed Ar chiatro pontificio, scrittore di varie opere ; mancò di vita nel 1566. GIo. PIETRo G. C. C., poeta, avvocato celebre, ed autore di accreditatissimi consigli legali da lui dati alla luce nel 1621. MATTEo MARCHEsE G. C. C. Questore del Magistrato straordinario, Senatore ed eletto Reggente al Consiglio d'Italia, dotò, ed ornò magnificamente una cappella nella Basilica di S. Vittore in Milano, fondò il convento dei Cappuccini in Tradate, e chiamò colla dote di 26.000 scudi i Gesuiti in Varese, perchè vi aprissero le pub bliche Scuole di umanità, logica e morale; di soli anni cin quantasei compì una sì luminosa carriera a' 16 settem bre del 1646. PAoLo GERoLAMo, dotto, fisico, colto scrittore di ven tiquattro opere, quasi tutte mediche; dieci ne pubblicò esso, dal 1696 al 1728, le altre sono inedite.

B IU MI O IN FERI O R E.

Discendendo da Biumo superiore, per avviarsi all'In feriore, dalla via di Santa Teresa, primieramente si incontra la

Villa Berra. La costruì il conte Vincenzo Dandolo, e “ fu architettata da Leopoldo Polak. Ha perduto il pri mitivo aspetto, perchè i Signori, che dopo ne fecero l'acquisto, l'hanno alzata d'un piano, e sconvolta nella sua euritmia verso il giardino, avendovi continuati a curva prativa i fioriti ripiani che vi esistevano. Com servasi ancora, ma riabbellita, l'ampia sala mediana. 76 vAREsE so cIRcoNDARIo VINCENzo DANDoLo nacque a Venezia nel 1758. Fu uno dei primi che propagò in Italia le scoperte e le dottrine chimiche dei più celebri stranieri del secolo passato. Al cadere della decrepita Signoria di S. Marco fu dal voto popolare acclamato capo del Governo Prov visorio. In un giorno di supremo pericolo gli venne af fidata una missione, dall' esito della quale dipendeva la libertà di Venezia. Andato al campo francese, v' ebbe sentore della clausola del trattato di Campoformio, con cui la capitale ed il territorio di terra ferma dell' an tica repubblica di S. Marco venivano ceduti all'Austria; partì subitamente per Parigi onde protestare al Diret torio Francese contro la iniqua violazione del diritto delle genti, e della buona fede nazionale che minac ciava l'indipendenza della sua patria. Fatto inseguire da Bonaparte, ed arrestato fra Torino e Novara, venne tradotto a Milano, dove ebbe poi un colloquio collo stesso Bonaparte, in cui questi, all'eloquenza di Dandolo deposta l'ira, pianse e non fiatò. Caduta Venezia in potere degli Austriaci, andò in cerca di un'altra pa tria, e fermossi a Varese, Le sconfitte tocche ai Fran cesi e l'avanzarsi delle truppe Austro-Russe lo costrin sero a novella emigrazione e non potè ritornarvi che dopo la battaglia di Marengo. Col suo ingegno si elevò alle più alte dignità del primo regno italico, e fu uno dei quaranta membri della Società Italiana di scienze, Commendatore della Corona di Ferro, Cavaliere della - Legion d'Onore e dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ag gregata la Dalmazia al Regno d'Italia, un dì, verso sera, ricevè un dispaccio da Parigi che gli annunziava averlo Napoleone nominato Provveditore Generale di quella Provincia. Sulle prime rifiutò; ma poi, costretto, accettò il difficilissimo incarico. Vi andò nel giugno del CAPITOLO NONO 177 1806, e nei tre anni, in cui vi dimorò, fece tanto bene che e Napoleone stesso lo rimunerò, nominandolo Senatore, e quelle popolazioni ancora ai giorni nostri lo ricor dano con venerazione e riconoscenza; sentimenti questi che espressero con grandi feste sei anni or sono quando recossi in Dalmazia il di lui figlio Tullio. Egli prese parte attiva nel Corpo Legislativo, ed era legato da sincera amicizia al ministro Prina. Dopo l'orribile morte di costui, e precisamente il 22 aprile 1814, un branco di predoni recossi a Varese per toglier di vita lo stesso Dandolo, e per saccheggiargli la casa. L'impresa di quei ribaldi fallì; perchè non trovarono appoggio alcuno in Varese, dove il Senatore era amato e stimato. La vita del Dandolo e la sua casa furono salve per le premure e per la difesa degli amici suoi. Pubblicò varie opere, tra cui la più celebre l'arte di governare i bachi da seta; introdusse in Italia i merinos spagnuoli per migliorare le razze pecorine no strali, e scrisse del governo delle pecore spagnuole ed italiane. Dimostrò l'utilità della coltivazione dei pomi di terra, che trasse dalla vicina Svizzera; li col tivò in grandissima quantità, e con essi sottrasse alla fame più volte molti poverelli del nostro Comune e dei vicini, particolarmente nella carestia del 1816- 17. Nel 1816, ridusse parte di un suo fondo, lungo la strada che da Varese mette alla Madonnina, a passeggio pub blico con piante, donandolo al Comune. Gli ultimi anni di sua vita li passò sempre occu pato negli studi agrari. La sua casa era lieto con-

vegno di dotti e di alti dignitari italiani. -. Si piaceva di dare ogni tratto accademie letterarie e musicali nelle sue sale, e feste popolari nel suo giar dino. In una di quelle accademie cantò la celebre Gras

Varese c suo Circond. - VOL. I. 12 178 VARESE E SUO CIRCONDARIO sini alla presenza dell'arcivescovo Gaisruk ). Possedeva una ricchissima biblioteca, che volontieri lasciava aperta agli studiosi di ogni ceto. Morì improvvisamente il 19 dicembre 1819. È desiderio che sorga presto in Varese un monu mento a ricordo di un tanto uomo: monumento per il quale la Società Agraria di Milano ha testè donato L. 500. La casa seguente (ora Convitto Castiglioni) venne fabbricata dal conte Emanuele Kewenhüler, il quale qui chiamava a godere di quest'aria, ed ospitava splen didamente, molti de' suoi connazionali , fino ad avere più di 60 ufficiali austriaci in una sola volta. Attigua ad essa sta un'altra (Pensione Clivio) che è un avanzo del

Convento di Santa Teresa. – L'anno 1658, ebbe ori gine questo convento colla professione di diciassette monache, che elessero vita claustrale sotto la regola agostiniana. Tale cerimonia fu solennemente celebrata dall'arcivescovo Litta coll' assistenza del Preposto di Varese. La Chiesa la dedicarono a Santa Teresa. In progresso di tempo Chiesa e Convento, furono ingran diti a spese di alcuni privati. Soppresso il Convento nel 1789, le poche monache rimaste si ritirarono nel chio stro di S. Martino. Un giorno, or sono tanti anni, dovevasi professare una novizia, figlia della nobile famiglia varesina C. Una sorella di lei invece dovea salire l'altare per unirsi in matrimonio col suo fidanzato. Per desiderio dei parenti , venne fissato che in un istesso dì si celebrassero ambedue le cerimonie. Così dopo lo spo salizio di una sorella, parenti ed amici si sarebbero CAPITOLO NONO 179 recati, cogli sposi, al Monastero per assistere alla pro fessione dell'altra. Infatti così fu. Celebrato il matrimonio nella Basi lica, tutta la comitiva si reca al Monastero, e là giunti si dà principio alla cerimonia. Le monache vanno alla cella della novizia per condurla processionalmente in Chiesa, e la trovarono appiccata. Immaginate voi lo scom piglio e la desolazione di tutti! Il padre della fanciulla ritorna a casa, prende un cavallo, e, montatovi sopra, volge verso Casciago come per distrarsi. Ma che sia stato di lui, non si seppe. Solo dopo qualche di fu trovato sfracellato lui ed il cavallo giù da un'alta ripa. A capo di Biumo vedesi il maestoso

3alazzo Litta Modignani, che costrusse il senatore Gia cinto Orrigoni. Il palazzo fu terminato su disegno dell'ingegnere Simone Cantoni, ed in esso lavorarono i fratelli Grandi, il Ghisolfi, il Cav. Del-Cairo, Fede rico Bianchi, e Carlo Pusterla, dipingendovi a fresco fatti della religione e della mitologia. La famiglia ORRIGoNI istituì scuole in Pavia, fa vorì le scuole dei Gesuiti in Varese, e salvò più volte col denaro e col consiglio il Borgo dall'infeudazione. Di essa le sole memorie che restano sono alcuni stemmi e qualche iscrizione. Il Ghirlanda ricorda i seguenti: GUIDo, fondatore del Monastero di Ceredo, nel 1136; fu uomo distinto, e coprì onorifiche cariche. Altro ORRIGoNI, Condottiero dei milanesi sotto Bal dovino IV, Re di Gerusalemme, che per le sue esimie gesta prima nell'Oriente, contro i Saraceni, poscia in patria, a fronte del Barbarossa, venne da' suoi concit tadini coronato di quercia e condotto in trionfo. ToMAso, Generale comandante le truppe dell'Arcive scovo e Signore di Milano Ottone Visconte. 180 VARESE E SUO CIRCONDARIO FRANCEsco, uomo dotto e prudente, Legato di Lodovico il Moro presso ai Tedeschi. BARToLoMEo, detto Calcagno, Capitano di Francesco Sforza nell'impresa contro Torno. GIovANNI, Milite e Consigliere Ducale nel 1469. LUIGI, Commissario e Consigliere Ducale, Pretore di Como, nel 1484. FRANCESCo, Governatore di Como e Generale della milizia del Lario sotto Gio. Galeazzo Sforza, Duca di Milano. Altro ToMAso, Vicario generale de' conventuali, morto nel 1590. CARLo GIUSEPPE, poeta, che pubblicò varie sue pro duzioni dal 1634 al 1637. GIACINTo, Giureconsulto, Lettore nelle scuole palatine di Milano, Vicario di provvisione, Questore del Magi strato ordinario e Senatore; nel 1662, aì 22 ottobre, rese in Varese l'anima al Creatore. FRANCEsco, fratello di Giacinto, esso pure Giurecon sulto e Vicario di provvisione in Milano. Marchese GIo. PIETRo, figlio del predetto Senatore, Giureconsulto, ed eletto nel 1676, Questore del Magi strato straordinario.

Chiesa Parrocchiale. – È dedicata a S. Pietro, e rico strutta, nel 1701, su disegno di Giovanni Battista Orri goni di Biumo. Gli affreschi del Presbiterio sono di Giacomo Pallavicino; la medaglia della volta principale del Porta; la tela nella cappella cornu evangelii fu dipinta, nel 1621, dal Fiammenghino; i dipinti della cappella, che vi sta dirimpetto, sono di Carlo Lampu gnani , primo maestro del Magatti ; la statua della Madonna, in marmo di Carrara, l'effigiò il valente CAPITOLO NONO 181 Luigi Marchesi di Saltrio, copiandola dal vivo, il quale ebbe a dire che il bambino, per averlo quieto, gli costò tanti confetti. Dietro il Coro v'è un Oratorio, ove si conserva una tela rappresentante S. Pietro, dipinto da Giulio Cesare Procaccino. Havvi pure un bell'Osten sorio di bronzo dorato, opera recente dell' insigne cesellatore Bellezza di Milano.

La piazza s'intitola del 26 Maggio a ricordare la bat taglia di quel dì, nel 1859, quì incominciata, e preci samente nella parte posteriore della villa Garibaldi de' signori Merini. A metà la via Garibaldi, sta la Casa Mozzoni-Fra sconi, in cui vi sono alcuni dipinti di Francesco Malla, detto Pietrino, di Lugano. Ricordiamo con riconoscenza AMBRoGIo FRAscoNI, fondatore della causa Pia, tuttora esistente, istituita nel 167 l. A questi aggiungansi: FRAscoNI FERDINANDo e PA sqUALE, Minori Riformati. Il primo pubblicò un classico trattato morale, nel 1735; il secondo fu Generale di tutto l'ordine Francescano. Era preconizzato Cardinale, quando morì addì 5 giugno 1791.

Chiesa della Madonnina o Santa Maria in Prato. – Questa graziosa Chiesuola, arricchita tra il 1678 e il 1686 dell'attuale appariscente facciata, tutta di pietra arenaria, costata lire 15,000, moneta di quei tempi, (tutte limosine di divoti) venne, nel 1730, allungata dalla parte del coro. Nel rimuovere l'Altare si rinvenne un'urna di sasso, vasi, ossa, e fors'anche monete; ma il tutto venne frantumato o disperso. Il Cav. Antonio Rusca, allievo di Carlo Francesco 182 VARESE E SUO CIRCONDARIO Nuvolone, nel 1666 vi rappresentò a fresco sulla cu pola l'Assunzione di Maria, e nella cappella dei Magi la Strage degli Innocenti. L' iscrizione : Hic Camilli Procaccini manus in clitae ceciderunt, posta in calce al quadro dell'Adora zione dei Magi, ci designa in esso l'ultimo lavoro del bravo Procaccino, ch'ebbe a soccombere prima di ter minare il soggetto principale, cioè la Vergine col Bambino. Dal Morazzone vennero eseguite a olio le medaglie sotto il quadro dell'ancona, dove veggonsi rappresen tati, nell'una S. Carlo che istituisce le scuole di Dot trina Cristiana; in altra il Santo Pontefice che esercita opere di carità; nella terza il Santo Borromeo che adora l'immagine di Cristo morto. – Gli altri dipinti sono del Lampugnani. Siccome vicino a questa Chiesa, in capo alla via, eravi una porta, che metteva a Biumo inferiore, è bene notare, che questo sobborgo era chiuso da tre porte; che oltre a contare diverse famiglie nobili , vantava alcuni privilegi; che fu qualche volta esente da tasse ; che ottenne regolamenti particolari; e infine che fece sforzi per avere un'autonomia tutta affatto indipendente da Varese, col quale fu in guerra per tre anni, dal 15l l al 1514.

GIU B I A N O.

È Giubiano altro dei colli che circondano Varese all'est. Da pochi anni subì una radicale innovazione dalla parte che prospetta la città, essendovisi edificata la stazione della ferrovia Gallarate - Varese. CAPITOLO NO NO 183 Per una strada, che gira intorno a questa, passando vicino al Cimitero, si giunge alla Castellanza, in prin cipio della quale vedesi

L'Ospitale Del Ponte.–Filippo Del Ponte, da Milano, di sponeva con suo testamento che la sua villa di Giubiano fosse convertita in un Ospedale a favore dei poveri di Varese, sotto la direzione dei RR. PP. Fatebenefratelli; e, nel caso che costoro cessassero, vi fossero invece ac colti i poveri vecchi.

La Chiesa era sussidiaria della Parrocchia di Bosto, e venne eretta in cura a sè nel 1741. L'Annunciazione e l'Eterno padre, affreschi del coro, sono d'un Bonini. Nella cappella del Crocifisso, il Cristo fu modellato in pastello da un Religioso Francescano; il S. Francesco d'Assisi e la Santa Margherita da Cortona, che gli stanno allato, sono di un Giudici da Viggiù. Nella cappella della Madonna i quadri sono d'ignoti autori. Il Salvatore, la Vergine, e i dodici Apostoli, tele collocate nella Chiesa, si attribuiscono al Panfilo.

La villa Pero, ora del sig. Piccinini Rossari di Milano, era prima dei signori Albuzzi, estinta famiglia vare sina di origine romana. Questa villa fu eretta, nel 1731, da FELICE ALBUzzI, Senatore ed espertissimo giurecon sulto. Occupò varie cariche di Stato, morì nel 1792, lasciando erede l'Ospedale di Varese, e fu sepolto nel l'Oratorio dell' istessa sua villa, in cui ammirasi il quadro della Visitazione di Maria Vergine a Santa Elisabetta, d'ignoto, ma di buon pennello. Gli affreschi architettonici sono di Giulio Baroffio. 184 VARESE E SUO CIRCONDARIO « A Giubiano eranvi i Frati Minimi di S. Francesco da Paola. Il loro Oratorio fu eretto, nel 1728, dal si gnor Carl'Antonio Biumi, detto Albino, e que' Frati ne vennero in possesso dopo l'eredità fatta da Carlo Gerolamo Rossi Gino. » (Cronaca Adamollo.) La corporazione de' Minimi costituiva un Ospizio di pendente da quello della Fontana presso Milano; ed entrambi furono soppressi contemporaneamente. Quasi di contro alla nuova caserma municipale v'è la villa Dandolo, detta

L'Annunziata, per essere stata già un convento dei Padri Francescani Riformati della stretta osservanza di S. Pietro d'Alcantara. Il fondatore del primo con vento fu il Beato Cristoforo Piccinelli (1468) come era ricordato nel coro della Chiesa dalle seguenti parole: Christophorus Pizzin. RR. Fundator Monasteri An nunt. Varisi. I Riformati però vennero formalmente dalla Comunità, nel 1598, chiamati a stabilirsi in Va rese, e abitarono l'Annunziata nel maggio dell'anno seguente. Credesi che sul campanile dell'Annunziata sia stato collocato il primo orologio che in Varese suo nasse le ore. La Chiesa di detto Convento, secondo alcuni scrittori, vuolsi eretta dai Varesini per amore di S. Bernardino da Siena, al quale attribuiscono la fondazione, o meglio, la perfezione del regolamento di sciplinare di que' religiosi. Anzi si narra di lui un mi racolo, quivi avvenuto. Mentre esortava alla pace i Varesini, divisi in varie fazioni, certi importuni co lombi sulla Cavedra disturbavano l'uditorio. Egli, col segno della croce, comandò agli uccelli che si toglies sero di là; ed all'istante tutti volaron via, nè mai più, come notò Marco di Lisbona, « videsi uccello alcuno CAPITOLO NONO 185 su quel tetto, benchè ne volassero d'ogm' intorno nella vicina campagna. » Nella Chiesa, smantellata per il decreto di soppressione, 2 giugno 1810, datato da Com piegne, eranvi pitture a fresco di Magatti, di Ron chelli, una del Procaccino e di altri distinti. In essa vedevasi il sepolcro in cui erano racchiuse le spoglie di Paolo da Brescia, oratore distinto, con altri di al

cune nobili famiglie di Varese. - Que' religiosi possedevano profonda dottrina, ed edi ficavano il popolo coll'esempio della loro vita. Presso di loro tenevasi una Cronaca locale, in cui raccoglie vano le notizie più importanti, sia antiche che contem poranee, risguardanti il Borgo, nè si sa dove sia an data a finire. Il Convento fu comperato da Vincenzo Dandolo ed « ivi diede, negli ultimi anni di sua vita, delle utili lezioni d'agricoltura a' suoi concittadini; e pubblicando, con indefesso zelo, le proprie esperienze, ad accoglien dovi gratuitamente de' giovani alunni che avessero poi a diffonder nelle altre provincie i lumi quivi acquistati, ogni arte egli adoperò perchè i suoi concittadini aves sero a trovare ne' campi, dall'avita negligenza ed igno ranza trascurati, quella sorgente di ricchezza, che a lui stesso in brevi anni creato aveano un ampio pa trimonio. » (Una State a Varese, pag. 25) Nel giardino un piccolo monumento, che la pietà del figlio pose, ricorda, colle sue quattro iscrizioni, le virtù del grande Chimico, Politico, Agronomo. Il CoNTE TULLIo DANDoLo nacque in Varese, l'anno 180l; e, dopo aver venduta la casa paterna, si ritirò a vivere in questa villa, dove, ad imitazione del padre, raccoglieva ingegni eletti, tra cui, Giacomo Leopardi, che chiamò Varese il Versailles di Milano (lettera alla sorella Paolina, 7 settembre 1825). « I molti viaggi 186 VARESE E SUO CIRCONDARIO fatti, o per desiderio di istruzione o per ristoro di do mestiche amarezze, apprestarongli ampia materia per esercitare la sua penna. Molte sono le opere che ha stampato ; alcune conosciutissime, altre anonime. In esse accoppia descrizioni e storia, letteratura e costumi, belle arti e religione. Ardente cattolico, amò la patria senza scendere a patti con coloro, che avrebbero vo lontieri comperata l'aurea sua penna. Fu scrittor terso e purgato, quanto drammatico ed istruttivo, onorato in patria e fuori con diplomi accademici e con caval leresche decorazioni. Tutto negli studi, era nel vigore della mente, benchè prossimo al settantesimo anno, quando, inviato ad Urbino dalla Congregazione del Panteon di Roma, latore del gesso del cranio del divino Raffaello, in occasione della festa anniversaria dell'Urbinate, appena giunto nella patria del sommo dipintore , mori per subitaneo colpo d' apoplessia, il 6 aprile 1870, La morte sua tornò dolorosissima a quanti amano la religione, non meno che le lettere. » (Enciclopedia universale. Supp. 1869-70) Figli di Tullio Dandolo furono EMILIo ed ENRIco. La morte del primo commosse tutta Milano, ed i suoi funerali diedero occasione ad una solenne, imponente dimostrazione de' Milanesi contro gli Austriaci: dimo strazione spontanea, calma e severa, dinnanzi alla quale la tirannide venne meno a se stessa! La biografia di Emilio Dandolo venne scritta, con affetto di fratello e splendido magistero di stile, dal l' illustre Giulio Carcano. La giovinezza di Enrico Dandolo fu narrata dal gio vine Luigi Zanzi (Varese Tip. Ubicini 1872); e la morte di lui dallo stesso suo fratello Emilio, nell'opuscolo I Bersaglieri. Emilio amava d'immenso affetto il fratello Enrico, CAPITOLO NONO 187 ed il suo cuore fu trafitto da indicibile dolore, quando a Roma , combattendo esso pure , il 3 giugno 1849, alla villa Corsini, seppe che Enrico non era più. « Non vedendo più il fratello Enrico, temendo fosse ferito o prigioniero, penetrò colla spada alla mano nella villa Corsini. Frammezzo al fuoco continuava a chia mare suo fratello, a cercarlo tra i morti e tra i feriti. « Fu colpito da una palla alla coscia e cadde. Tra sportato all'ambulanza fu medicato : appena finita la fasciatura, preso un bastone , debole e zoppicando si avviò di nuovo sul luogo del combattimento : cercava sempre suo fratello. Arrivò dove il cadavere d'Enrico giaceva disteso; il capitano Ferrari, che pure in quel di aveva fatto miracoli di valore ed avea non poco contribuito ai successi delle armi repubblicane, mosso da pietà grande, onde risparmiargli uno scoppio peri coloso di dolore, gettò un mantello sul morto. « Emilio interrogò, insistè : tutti risposero che En rico Dandolo era stato ferito, che, secondo ogni pro babilità, era prigioniero: nessuno osava dire che era morto. « Infine, come pure bisognava che Emilio lo sapesse, si decise Manara a farglielo conoscere : « – Non cercare più a lungo tuo fratello, mio po vero Emilio, — gli disse il colonnello, serrandogli la mano – sono io che d'ora in poi sarò tuo fratello. » Anche quel fratello di affetto e di spontanea offerta gli dovea esser tolto di lì a pochi giorni. « , verso le due ore del mattino del 30 giugno, rientrò nella villa Spada, dopo aver messo a posto i suoi bersaglieri. In quella villa trova vasi pure Emilio assai inquieto sul conto di Enrico Morosini, che si diceva prigioniero. « Nè l'uno nè l' altro sapevano la verità.

V 188 VARESE E SUO CIRCONDARIO « In quel momento una palla colpi Dandolo al braccio. « – In fede mia, disse Manara, sembra proprio che per me non ve ne sia. « Poi staccato il centurone e deposta la spada, prese un binocolo e si avvicinò alla finestra per osservare dei soldati francesi che puntavano un cannone. « Al medesimo istante, un colpo di carabina partì: la palla passò tra due sacchetti di terra ed andò a colpirlo al ventre, proprio al posto della placca del centurone che avea deposto. « Dandolo lo vide vacillare, e benchè ferito, gli si accostò per sostenerlo. « – Sono morto! – gridò Manara cadendo – ti raccomando i miei figli. » In seguito alla risposta del Dott. Bertani che Ma mara aveva un' ora di vita, il Dandolo piegatosi al l' orecchio dell' amico morente, disse : « – Pensa al Signore. « – Oh vi penso e molto! – rispose commosso Manara. - « Fece segno ad un cappuccino di accostarsegli, si confessò e ricevette l'assoluzione. « Poi chiese il viatico. « Dandolo cercava di consolarlo, il meglio che po tesse, parlandogli di Dio. « Egli l'interruppe per parlargli dei suoi figli. « – Allevali nell'amore di Dio e della patria. « Poi aggiunse : « - Porta a Milano il mio corpo con quello di tuo fratello. Ti rincresce che io muoia, povero amico. ma anch'io rimpiango la vita. Chiamò poscia la sua ordinanza e che molte volte avea fatto arrabbiare. CAPITOLO NONO 189 « – Tu mi perdoni non è vero ? – gli disse con un sorriso. « Poi chiese a Dandolo se aveansi novelle di Mo

rosini. - - « Dicevasi che fosse prigioniero, « Poco prima di morire Manara si cavò un anello dal dito e lo mise in quello di Dandolo e disse: « – Saluterò tuo fratello per te.

B (O S T' (O) .

Appena fuori di Varese, sulla strada provinciale che mette a Milano, per un lungo viale fiancheggiato da carpini, i quali a destra formano un pergolato a ri paro de' cocenti raggi del sole, ascendesi alla

Villa S. Pietro.–Fu eretta ed abbellita, nella metà del secolo passato, dai sigg. De Cristoforis, la famiglia dei quali diede a Milano alcuni uomini benemeriti. Ad essa apparteneva il Capitano Carlo De Cristoforis, il quale, venuto a Varese con Garibaldi, nel 1859, dopo lunga emigrazione, rivedendo dall'alto di Biumo superiore la villa di suo zio, pianse di gioia. In quell'occasione, fe dele alla sua consegna, non potè riposare nella casa dello zio, ma sperava di presto ritornarvi, dopo che Lombardia tutta fosse libera. Chi gli avrebbe detto al lora, che non sarebbe più ritornato! Ei moriva com battendo a S. Fermo! Sulle rovine di una vecchia fortificazione fu innal zata questa villa, e nell'erigerla trovaronsi sarcofaghi ed armature antiche. Nei secoli di mezzo, questo luogo 190 VARESE E SUO CIRCONDARIO era proprietà dell'Arcivescovo di Milano, e, nel 1061, venne dall'arcivescovo Guido Castiglioni dato per un cambio a Landolfo, Diacono Ordinario di S. Vittore. Quì eravi un antico sacello, dedicato a S. Pietro, nel quale venivano ogni anno, nella festa del Titolare, a funzio nare i Canonici di Castiglione, i quali per ciò aveano diritto alla percezione di una decima, da poco tempo cessata. Tale villa fu saccheggiata dai Croati nel 1848. In essa vennero rinchiusi gli ostaggi, fatti dal Generale Urban, nel 1859, in garanzia del pagamento della con tribuzione di guerra da lui imposta alla città di Varese. In Bosto si vede la

Chiesa di S. Michele, la quale è antichissima, e vuolsi una delle prime Chiese aperte al culto in Varese; e qui, fin dal 1417, veniva il Capitolo di S. Vittore a celebrare la festa di Sant'Imerio, che fu martirizzato da queste parti, nel 1047. Apparteneva questo Santo alla nobile famiglia Piccinelli, la quale annovera pure FRANCEsco, erudito nelle belle lettere, ed autore di al cuni pregiati lavori, editi nel 1617; FILIPPo, Abate lateranense, che scrisse diverse opere, tra le quali l'Ateneo dei letterati Milanesi, pubblicato nel 1670. Era una volta questa chiesa la Parrocchiale. La sua forma semplice, la sua bassezza, le anguste dimensioni, e il suo titolo concorrono a dichiararla antichissima. Nell'ancona dell'altare maggiore esisteva il più an tico quadro dei dintorni, contenente in dieci tavole le immagini di vari Santi, coll'iscrizione « 1417, Franc.us pictor Tactorum ex semine natus dipinacit C. M. suo hoc opus ingenio. » Nel 1858, esso fu venduto per CAPITOLO NONO 19I circa 2000 lire ad un rigattiere milanese, il quale, dice la fama, per renderne possibile ed utile a sè l'ac quisto, lo volle e lo seppe far credere opera più re cente, interpretando per 1517 le cifre succitate. Eppure questo Tatti Francesco, gloria varesina, visse appunto, giusta quanto ne dice il Ghirlanda, sul principio del secolo XV. Nella cappella al lato del vangelo, v'ha una Trinità in tela e pochi affreschi di non so quali autori. La cappella, di fronte alla suddetta, è intitolata alla Madonna del pilastro, per un dipinto a fresco antico, che si trovava sur un pilastro esterno della chiesa.

La Chiesa Parrocchiale era delle Monache di Santa Chiara, ed è ora dedicata alla SS. Trinità. Sorse rinnovata ed ingrandita nel 1846 su bel disegno di Pestagalli, ar chitetto milanese, e sotto gli auspici del Parroco Don Giu seppe Nob. Castiglioni di Bosto. Nella sagristia vedesi l'effigie di Carlo De Cristoforis, benemerito per filan tropia verso i terrieri di Bosto. Nel 1630, infierendo la peste, furono erette delle capanne di legno nella selva di Giubiano (boscaccio) a ricovero degli infermi, i quali furono ricettati, durante la stagione jemale, nel convento di Santa Chiara. « Nel 1632, rinnovandosi la peste, furono di nuovo ritirati gli ammalali in quel chiostro, ma poi per re clamo di quelli di Bosto, e per sentenza del magistrato della Sanità, fu il Lazzaretto trasportato alla Cascina Pero (Cronaca Adamollo). Discendendo di tergo alla Parrocchiale, si riesce alla cascina

Nifontano, o delle Nove fonti, già Ospedale nel 1173 192 VARESE E SUO CIRCONDARIO « Frate Alberto da Brignano ( così scrive il Giulini) con alcuni altri frati suoi compagni Spedalieri deliberò di ergere una chiesa ed uno Spedale presso Varese, in un luogo detto le nove fontane; per la qual cosa prima venne ad una convenzione con Algisio, Preposto della Chiesa Pievana di S. Vittore, e con Arderico, Arciprete di Schianno, e Guifredo, Arciprete di Clivio, ed altri Preti ed ecclesiastici suoi fratelli; e ne fu formato pubblico istromento nel martedì, giorno 15 di maggio del 1 l73. I patti principali sono che il nuovo Spedale debba essere soggetto alla Pieve di Varese, e che il Maestro di esso debba, secondo la frase di quei tempi, dare la mano di obbedienza al Preposto, e nella festa di S. Vittore dare due libbre di cera, le quali libbre siano di once 12 per ciascuna. Che nella vi gilia di quel Santo, a cui sarà dedicata la Chiesa dello Spedale, il Preposto con tre altri dei suoi fratelli si porterà ad officiarla e gli sarà data onorevolmente una bevanda di puro vino. Lo stesso poi farà nel giorno della festa, ed allora avrà dal Maestro, e dai suoi frati, una onesta refezione di cibo e di bevanda secondo converrà quel giorno. Non era stato ancora eletto il Santo a cui doveva essere dedicata la nuova Chiesa. Vi sono per altro molte antiche notizie da cui si vede che fu poi scelto Titolare di essa S. To maso Arcivescovo di Cantorberì che in quest' anno appunto fu canonizzato da P. Ales. III. Fu inoltre sta bilito che quando il Maestro ed i frati dello Spedale vogliano avere un Prete, il quale celebri i Divini Officii nella loro Chiesa debbano ricercarlo dal Preposto. Questi sceglierà uno del Clero di Varese, il quale prometta obbedienza a lui, e voglia vestire l'abito e abbracciare il tenor di vita che usano i Frati Spedalieri, e sia disposto CAPITOLO NONO 193 a stare colà un anno in prova, dentro del quale, se non piacerà agli Spedalieri, sia lecito licenziarlo e riceverne un altro nella stessa guisa. Che se nella Pieve di Varese non si trovasse tale Ecclesiastico, nè gli Spe dalieri lo potessero avere dal Preposto, potranno essi ricercarne uno anche altrove, il quale per altro si sot toponga a quel Capo della Pieve di Varese. Il Maestro dello Spedale, quando fosse tale che per la sua prodi galità, o per altro suo vizio, dispiacesse alla maggior parte dei Frati e non convenisse a quella Santa Abi tazione, col parere del Preposto, della più gran parte dei Frati dello Spedale, e dei Vicini di Va rese, sia licenziato, e se ne cerchi un altro migliore, a cui i Frati siano tenuti ad obbedire regolarmente e canonicamente. La descritta convenzione fu approvata dall'Arcivescovo, e fu sottoscritta a suo nome da un certo Guiscardo. » 1313 – « L'Ospedale delle Nove Fonti, istituito come retro si vide, ebbe ad essere accresciuto ed ampliato per molti lasciti e donazioni. Pel miglior servizio furono ammessi conversi e consorelle, che assister dovevano i degenti dell'Ospedale dei rispettivi sessi, ed allorchè rimaneva a loro tempo, dovevano lavorare la terra. Chi però alla direzione ed all'amministrazione di quello stabilimento subentrò ai fondatori, non ebbe lo stesso zelo e principi, motivo per cui trascurarono l'interesse dello Spedale, non pensarono che a fruirne, ed assai lo depauperarono. I conversi poi e le sorelle, poco cu ravansi della coltivazione della terra a loro incumbente. La vita oziosa, il buon nutrimento, l'aria campestre, fecero sì che fra queste e quelli nacquero troppo in time relazioni, e disordini tali, che i Consoli e la Curia dovettero porvi riparo. L'Arcivescovo di Milano su Varese e suo Circond. - VOL. I. 3 194 VARESE E SUO CIRCONDARIO tale oggetto scrisse due lettere al Vicario e Consoli di Varese, i quali dietro sua licenza diedero in con segna ed affitto tutti i mobili e stabili rimasti a quello Spedale a Zannino Sopore di Varese, e come diffusa mente si vede nell'istr. 13 agosto 1347, rogato Mar tinello Grillo, Notaio di Varese, e figlio del fu Ottone. In detto documento vi è accluso l'inventario, non che la nota dei fondi tutti a quello spettanti, colle qualità particolari e coerenze ; tra i patti poi ingiunti al fitta bile Zannino Sopore vi sono i seguenti, cioè : di pascere i frati, non che vestirli nei modi e come è loro devo luto; che ritornando alcuno dei frati professi allo Spe dale con licenza dell'Arcivescovo o de' suoi Vicari , o del Consiglio di Varese, si debbano pascere e vestire; che debba riconoscere il Capitolo di S. Vittore nelle sue ragioni; che al prete che serve all'Ospedale in divinis si dia un carro di vino, e tutto si faccia con lode; potestà ai Consoli di correggere, emendare, condan IlàIO 6CC, - » Di quest' Ospedale oggidì non rimane che qualche rudero. Ne' suoi dintorni si rinvennero alcune monete di Federico Barbarossa.

Villa Poggi. – È collocata sopra un colle a cavaliere del lago e della città. Dei 'due casini, ora uniti per via sotterranea, quello a levante apparteneva, tempo fa, ad un conte Pertusati, che, come dilettante di filo sofia, fece scolpire sul medesimo questa sentenza: ExCIPE JACTATAE QUE ExTANT LUDIBRIA vITAE INSIDIIs HoMINUM NoN ADEUNDA DoMUS e quello, a ponente, ai signori Soresi. « Quei casini, che non offrono nulla di notevole in cAPIToLo NoNo 195 architettura, stando sopra un bosco di conifere deli ziosamente distribuito, nel quale, l'alternarsi di varie specie d' abeti di tinta cupa, con una ricca varietà di pini finamente screziati di verde grigio, presenta delle armonie di contrasto delicatissime, e sentite istintiva mente anco da chi non può rendersi conto dell'effetto dei colori, nell' impressione prodotta da un paesaggio che si potrebbe dire monotono per il genere di piante del quale si riveste. » (Corriere di Milano). Il botanico vi ammira : rari esemplari di Cedrus Deodara, le magnifiche piante Sterculia Platanifolia; e nelle serre, tanto temperate che calde, tenute con amore, svariate specie di piante esotiche, una ricca collezione di felci, una splendida raccolta di begonie, e piante rare, e vecchie in vegetazione vigorosissima.

C AS B E NN O.

Per avviarsi alla Castellanza di Casbenno, prima si incontra

La Villa Bellotti, ove soggiornò il poeta FELICE BEL LoTTI, celebre traduttore dei tragici greci, autore della lodatissima tragedia Jefe, e parente all'attuale pro prietario, il distinto naturalista Cristoforo Bellotti. Viene in seguito il

Palazzo Cräwen. – Questo edificio, di stile olandese, è tuttodi designato col soprannome di villa Molinara dal suo fondatore il Marchese Antonio Molinari. Il pa lazzo, col tetto a padiglione, è sì bene internamente l96 VARESE E SUO CIRCONDARIO disposto, da offrire ogni comodità possibile, accoppiata al buon gusto, nel suo limitato quadrato. Dai balconi superiori godesi di una vista sì bella, che D. Bertolotti scriveva: « Il valente paesista, che ha delineato con sì pere grina finezza di gusto il colle di Richmont, la foresta di Windsor, e i più bei punti del paese per cui volge le lucide sue acque il Tamigi, potrebbe, a mio credere, trarre da questo sito un disegno di magico effetto. » Però chi è vago di più amena veduta salga sulla vetta del colle vicino, e godrà del più delizioso e vasto orizzonte, che Varese presenti.

La Quiete. – È l'ex convento de' Cappuccini, che soppresso con altri molti nel triennio repubblicano, venne comperato dal signor Giovanni Battista Sanvito, il quale, nel 1798, l' acconciò a villa. In questa villa ebbe splendida accoglienza ed al loggio, nel 1837, l'Arcivescovo di Milano, Cardinale Gaisruk, il quale assistette una sera, dal giardino, allo spettacolo incantevole di una splendida illuminazione de' paeselli attornianti il lago, apprestata in suo onore.

I Cappuccini vennero a Varese nel 1526, ed abita rono una casa vicino alla villa Bellotti, nel luogo tuttora soprannominato Monastero Vecchio : monastero che rifabbricarono nel 1582. Nel 1689 , cedettero il loro antico Convento ad un signor Martignoni, in com penso della donazione avuta da lui dell'area su cui eressero un nuovo chiostro, il quale riuscì il secondo di Lombardia per ampiezza e importanza. Nella chiesa del convento, dedicata alla Vergine ed ai SS. Fran cesco e Felice, si conservavano le spoglie del Padre Al CAPITOLO NONO 197 fonso di Valdugia, e, nel 1780, vi si tumularono quelle di Francesco III. La chiesa aveva molti dipinti a fresco, alcuni assai pregiati di Baroffio, di Magatti, e di autori incerti. La cappella di S. Felice era stata dipinta dal Cav. Del Cairo, allorchè si trovava in questo convento relegato per certo crimine da lui commesso. Da questo convento dipendeva l'Ospizio, alla prima cappella, del Sacro Monte. Il padre cappuccino Aguggiari, di Monza, da qui salendo spesso per gli uffici di ministero e di predicazione al Santuario del Monte, fu quegli che ideò l'erezione delle Cappelle. Proseguendo il cammino, incontrasi la villa, che fu prima dei signori Recalcati, poi de' signori Morosini, ed ora, ampliata di molto, si convertì nell'

Albergo Varese. – Il quale, con parco e giardini, pa lazzine e grotte, fontane e viali, col lusso di ogni sorta di agi, saprà dare nuova vita ed ornamento al paese, ricetto splendido a quante famiglie, anche d'oltralpe, vorranno godere un po' di vita rusticana in un aria così pura e balsamica, e sotto un cielo così ridente e bello. La villa Recalcati fu eretta dal l756 al 1775, du rante la Signoria di Francesco III; nel qual tempo era divenuta geniale ritrovo di tanti dignitari dello Stato, e delle più ricche dame. L' ornavano varietà di prege voli stucchi e di dipinti, quelli nei fregi, del Magatti, e quelli nelle vòlte, del Ronchelli e del Bonino. In una delle sale, ancora conservata, vedesi la consolle su cui il Maestro Verdi compose il famoso terzetto dell'opera I Lombardi. In un sotterraneo giacevano quattro cippi ed un avello con iscrizioni, antichi monumenti del l'epoca romana, che quasi tutti andarono dispersi *). 198 VARESE E SUO CIRCONDARIO La famiglia RECALCATI conta vari personaggi illustri, tra cui debbonsi citare - ANToNIo e CARLo, Senatori, ed il venerabile GIovANNI PIETRo AMBRoGIo , Prolegato del papa

Paolo III, e --- FRANCEsco, segretario di Lodovico M. Sforza. Nella vicina chiesa parrocchiale (che conta un secolo e mezzo) vedesi un'imagine, assai veridica, del marchese Carlo Antonio Recalcati, con una com movente epigrafe latina, postavi dalla madre Giustina Lambertenga, ultima della famiglia, nobile dama, pis sima e caritatevole. Le ossa degli ultimi Recalcati ri posano nel Cimitero posto sulla via, che da Casbenno mena a Bobbiate. Nel giardino poi la famiglia MoRosINI, con religione d'amore, poneva un cippo, a simiglianza del monu mento che s'eleva in Soletta al prode Polacco Kosciusko Taddeo, accenna, colle semplici parole cor Kosciuska, che esso è custode del cuore di quel grande sventu- rato, che qui passò alcuni giorni del suo esiglio. Onore a lui, che fu l'aiutante di campo di Washington , coraggioso capitano, illustre per virtù civili e militari, fedele di Poniatowski , speranza della Polonia ; a lui che ebbe l'ordine di Cincinnato e la spada di Sobieski in testimonianza d' onore ; a lui che non servì all'am bizione de' potenti; a lui che, liberatosi dai Prussiani, impavido cadde sotto il peso delle forze formidabili di Suwarow e di Fersen, gridando: Finis Poloniae ! ! Oh! quante volte, ne' chiassosi trastulli di una gaia innocenza, ENRIco MoRosINI ed ENRIco DANDoLo si sa ranno soffermati dinnanzi a quel cippo, e, stretti l'uno l'altro al seno, muti, quasi presaghi del loro destino, n' avranno avuto l'animo compreso da mestizia! Com CAPITOLO NONO 199 pagni nell'infanzia, negli studi, nei pericoli, lo furono nella morte; fratelli di affetto e di virtù, lo furono anche nella sventura ! Cresciuti insieme, distinti per reli giosa soavità, per isvegliatezza d'ingegno, accorsero e batterono vicini nella rivoluzione di Milano. Milita rono poscia tra i primi nella colonna Manara; poi, volendo più ordinatamente attendere allo studio del l' armi , tornarono a Milano come aiutanti di campo del generale Perrone. Fecero uniti la campagna del 1848. Ufficiali nel battaglione Bersaglieri Manara, studiarono, faticarono, si resero ambedue amati dai soldati e dai compagni. Dandolo cadde a Roma, il 3 giugno, mentre guidava all'attacco di Villa Corsini la sua compagnia, e Morosini lo assistè a morire e dell' onorato cadavere ebbe pietosissima cura. Morosini nel difendere la brec-. cia, il 30 giugno, cadde mortalmente ferito nelle mani dei Francesi. Morì il giorno dopo sì soavemente rasse gnato, che gli ufficiali ed i soldati nemici accorrevano a vederlo per meraviglia. Dandolo aveva ventidue anni; Morosini non ancora diciotto. Erano ambedue additati da ognuno come esempio rarissimo di religione, di purezza e di coraggio.

CAPITOLO) X.

Cronistoria.

Nessuno scrittore ci ha lasciato precise notizie dei primi abitatori del nostro territorio, delle loro origini, dei loro costumi; e sola la scienza paleoetnografica, da pochi anni, ha diradato le tenebre, che coprivano la buia età dell'epoca preistorica. Quello sprazzo di luce, che v'è ora penetrato, se non lascia scorgere minuta mente cronologia e storia, permette nullameno di poter largamente distinguere, per un lungo corso di secoli, popoli e tribù, alieni da civiltà, muoversi, vivere, cac ciare, lottare, associarsi in villaggi, per respingere dalle rive dei nostri laghi le fiere e i nemici, che tendevano insidie alle loro capanne costrutte sull' acqua. Quel raggio di luce illumina la più rimota pagina della no stra storia, ove possiam leggere, che quei popoli, di scesi dalle vicine Alpi, più che in altri luoghi dell' alta Lombardia, ebbero dimora nel territorio dei nostri laghi e delle nostre torbiere; che da selvaggi affatto, o per comunicazioni, o per invasioni, dal primissimo stadio della rozza pietra, incivilitisi man mano, levigarono le loro selci lavorate, trattarono il bronzo, il rame, e colle loro palafitte lasciati i feroci costumi, si ridussero a 202 VARESE E SUO CIRCONDARIO coltivare i campi della terra ferma. La natura poteva dirsi vinta, e assicurato il progressivo sviluppo della civiltà; perchè quei popoli erano giunti ad arricchirsi del ferro. Quella pagina sta scritta sul fondo degli ameni laghi, che fanno sì lieta la nostra zona, e su quello delle torbiere, che ci apportano tanta ricchezza. E il caso, che in brevi anni ce l'aperse, per descriverci l'infanzia dell'uman genere, ancora verrà a sorreggere, ad aiu tare la scienza mella ricerca e nella spiegazione di nuovi segreti, di più oscuri misteri, di quei reconditi giorni, rendendoci sempre più famigliari gli usi di quei pri missimi avi. La cronologia delle varie epoche ci vien quasi data dalle stesse stratificazioni geologiche; poichè, sovrappo sti gli uni agli altri, vi troviamo i resti dei diversi stadi percorsi da quei primissimi uomini. Sul fondo delle tor biere rinveniamo le azze, le frecce di selce rozza, poi, in uno strato superiore, la selce levigata, indi il bronzo, indi il ferro, e finalmente gli indizi di un'età già entrata nel dominio della Storia. Ma chi sa dire quanti secoli tra scorsero, prima che la vita civile, per quanto almeno lo comportassero i tempi, lasciasse fra noi i monumenti effigiati e scolpiti, che formano la delizia e insieme il rompicapo dei dotti? Certo è, che non quei primi abi tatori continuarono inalterata la loro progenie; ma altri popoli dopo averli soggiogati, si mischiarono con loro, cambiando costumi, introducendo nuove idee religiose, nuove istituzioni. I Celti e i Galli che, venuti dall'Asia, occuparono l'Europa, varcarono l'Alpi, scesero nelle no stre valli, e vi si fermarono; e le traccie, a noi pervenute, del loro soggiorno, se sono alquanto scarse, non sono però incerte. Gli avanzi, pressochè sempre funebri, dei CAPITOLO DECIMO 203 nuovi venuti ci attestano che già un gentile sentimento faceva parte delle loro idee, vogliam dire la religione dei morti, accuratamente da essi conservata con vasi e cogli oggetti cari al defunto, i quali concorrono mirabilmente a darci un non vano criterio della loro civiltà. La quale esce dall'oscurità storica, onde sono involte le prime invasioni, quando, que' popoli venuti a contatto, o in lotta, con altri già assai progrediti, da costoro impa rarono come eternare il loro ricordo coi monumenti religiosi, e colle lapidi votive, sacrate alle deità loro. Tali sono le epigrafi alle Matrone, a proposito delle quali così s'esprime l'egregio Prof. Biondelli: « Nè meno esteso nella provincia nostra era il culto alle Matrone, del quale è singolar monumento un'iscrizione della Casa Castiglioni, sulla piazza d'Angera. Abbastanza è ormai provato dalle molte dimostrazioni dei moderni eruditi, che le Matrone erano divinità celtiche epicorie, distinte dalle Giunoni, specialmente venerate nelle Gallie ed in Germania, ove furono venerate quali tutrici dei pagi, dei vici e dei poderi . . . . » Il prof. Biondelli, avvertito della scoperta, fatta a Sesto Calende, d'una tomba, ebbe per risultato delle sue osservazioni, che trattavasi di un sepolcro, forse ap partenente ad un condottiero dei Galli Insubri, il quale cadde combattendo a difesa della indipendenza nazio nale contro le romane legioni, nelle estreme lotte tra gli anni 562 e 567 di Roma, dopo le quali tutta l'In subria fu ridotta a Romana provincia. Sarebbe questo un ricordo degli ultimi tempi dei Galli fra noi; ma pre cedenti testimoni abbiamo, oltre che nei numerosi vasi ed oggetti dei loro sepolcreti, anco nei nomi di alcuni vil laggi fino a noi pervenuti, quasi detriti fossili del loro linguaggio. 204 vARESE E SUO CIRCONDARIo Prima del contatto romano, la nostra contrada ebbe relazione con altra gente, che fattasi grande per arti e istituzioni, in tempi che Roma era tuttora bambina, estese la sua influenza fino all'estremo lembo delle prealpi. Già s'è ben compreso che intendo dire degli Etruschi. Gli avanzi delle Necropoli di Malgesso, di Robarello, e di Gemonio, hanno troppa analogia con quelli degli scavi di Sesto Calende, Somma-lombardo e Golasecca, per non credere che, se non sono proprio contempo ranee, non intercede però fra loro differenza di secoli. Ond'è che sebbene il dotto Marinoni, nelle sue disser tazioni, attribuisca le scoperte di Golasecca ai primordi dell'età del ferro, è tratto tuttavia a credere ad una certa influenza etrusca: influenza che le iscrizioni della vicina Svizzera, illustrate dal Fabretti, in ispecial modo nel suo Corpus Inscrip. Italicarum, confermano essere penetrata nell'industria di quei popoli primitivi. Non che gli Etruschi medesimi siano venuti ad imporre co stumi, religione, ed a perfezionar lavori; ma è certo pure, che il dominio da essi esercitato nella regione transpadana, non ostanti le tardissime e difficili comu micazioni, doveva far sentire i suoi benefici effetti anche tra i popoli Cispadani, i quali, da poco usciti dalla bar barie, ed avviati all'epoca del bronzo, erano avidi di sempre più ingentilirsi. E certo l'elemento civilizzatore non tardò molto a giungere fino alle Alpi, e a portar buoni frutti: nè altrimenti poteva essere, poichè un popolo può rimanere dei secoli allo stato rozzo pri mitivo; ma se vi accetta e comprende il progresso , s'avanza con incredibile celerità fino a raggiungere, e talora a superare, intempo assai breve, quel popolo che gli fu maestro. Ma l'influenza etrusca, se lasciò CAPITOLO DECIMO 205 traccie di sè, non ebbe agio però a radicarsi profon damnente tra le popolazioni delle prealpi, poichè vedemmo come, in epoca quasi ancora preistorica, tutta l'Insu bria venisse occupata dai Romani. Giunti alla qual'epoca, più non ci è necessario ri correre alle analogie per ispiegare le cose di casa nostra, più non iscarseggiando i monumenti, le epigrafi fune rarie e votive, le are, gli avanzi di fortificazioni, di necropoli, le tradizioni, i nomi anche personali di non dubbio carattere romano, le monete di vari tempi e copiose, insomma tutta quella congerie di cimeli d'una età passata, i quali valgono al dotto ed allo storico quanto il più chiaro libro, potendo dirvi, colla scorta di quelli, e gli anni e le condizioni delle più impor tanti vicende. Lo studio di tante fonti è cosa nè breve, nè facile; e a noi basterà accennarne la vasta impor tanza, perchè altri, di maggior scienza ed ingegno for nito, s'accinga all'opera, e ne tragga utile risultato. Le nostre lapidi, già notate da scrittori antichi, quali il Castiglioni Bonaventura, l'Alciato, il Morigia, sono ancora isolate e sparse nei vari libri di epigrafia. Ne hanno l'Orelli, ed il Fabretti; e il Ch.º Mommsen ora le ricercò, per unirle al suo gran libro delle iscrizioni della Gallia Cisalpina. Colpa le condizioni e i tempi se, di tante lapidi serbate dai citati autori, di pochissime soltanto ci rimangono gli esemplari. Alcuni di questi sono conservati nel Museo Archeologico di Milano, alcuni trovansi in raccolte private, e qualche altro esiste sul luogo, ove le vicende lo trasportarono, esposto così agli insulti del tempo e degli uomini. Epperò sa rebbe opera pregiata e proficua, che que' monumenti si raccogliessero in un sol tutto, si ordinassero, si stu diassero con confronti, per cavarne quel tanto di storia 206 VARESE - E SUO CIRCONDARIO del nostro paese che s'accorda alla storia generale, e indurne quindi quanta parte vi prese. La mitologia non vuol essere trascurata in tali ri cerche, poichè ogni mito risponde ad un fatto. Il fre- quente ripetersi del nome d'una deità, dà infatti indi zio del suo maggior culto. Nelle nostre lapidi per lo più troviamo voti al nome di Giove, Mercurio, Ercole, di divinità silvestre ed altre. Servirebbero d'aiuto le numerose Necropoli venute all'aperto in vari luoghi del nostro Circondario, come quelle di Pravello, di Induno, e più che tutte, quella di Ligurno, ove gli uten sili della vita domestica ed agricola, son tali e tanti, da poterci formare un concetto quasi sicuro de' costumi d' allora. Finalmente le molte monete della Repubblica, dell'Impero, e degli ultimi tempi romani, sono pure come pietre miliari nel cammino della Storia; le mol teplici monete delle legioni, rinvenute nel nostro ter ritorio, ci dicono quali militi, quali capitani si fermarono, o passarono, per le nostre campagne. Del che possiamo avere una guida nell'accertare fatti, nel collegarli per descriverli e per istudiarne gli effetti; tanto più che molti di quelli, svisati o confusi, vivono nella patria tradizione anche oggidì, e potrebbero essere, con un po' di sana critica, facilmente sottratti dal buio fitto che li circonda. Lungo e difficile in vero n'è il cammino a chi corag gioso voglia intraprenderlo, grandissime le difficoltà, scarsi i compensi; ma grande però il vantaggio che ne trarrebbe. Ora non basta più fermarsi alle semplici induzioni. Il territorio nostro, che può offrire in seguito molti e nuovi documenti d'antichità, esige che venga illu strato, e ne siano le vetuste memorie anzitutto rispet tate e conservate. CAPITOLO DECIMO 207 In verità di quest'ultime non si fece tesoro per l'addietro o niun conto, e molte di esse, andarono perdute, rimanendocene solo qualche vaga notizia. E in propo sito piacemi trascrivere qui alcuni brani di manoscritto del Farmacista Borri, di Marchirolo. « Il Signor Borri (è lui stesso che parla) aveva due case in Marchirolo, attraversate da una via, e co municanti fra loro per mezzo di sotterraneo. Nel 1823, facendo egli alcune variazioni alla scala, per cui si di scende a detto sotterraneo, trovò molte ossa antiche ed un cadavere ancora intiero, di statura molto alta. Tali cadaveri possono credersi stati sepolti nei tempi delle guerre, che devono essere state frequenti in quei dintorni, come fanno supporre molti luoghi che tuttodi sono chiamati col nome di Castello, Pian di Castello, Pian d'arme, Guerriccio ecc. Ivi trovò pure un coltello, che donò alla Biblioteca Ambrosiana. « Nella riattazione della strada, che da Marchirolo va a Cugliate, dove vien intersecata dalla via di Gag gio, nel 1820, si rinvennero alcune monete di rame entro una cassa (?) formata di sassi misti a carbone, in alcune delle quali osservavasi la figura della Regina Teodolinda (?). « Tra Ardena e Brusimpiano, si rinvennero ossa cre dute di giganti, come quelle che si rinvennero sul Cre masco; e quantunque fossero di una grossezza non ordinaria, e per ciò credute dai contadini di giganti, non eran tali però, perchè trovate racchiuse in lastre a guisa di sepolcri; e credesi appartenessero ai corpi stati colà sepolti, nel tempo in cui trovavasi in quel luogo un castello, che fu preso e distrutto, nel 1249, dai Milanesi, e che era signoreggiato da Guido Cane. In quest'anno nel demolire le fondamenta si trovarono delle frecce. » 208 VARESE E SUO CIRCQNDARIO Non il solo signor Borri ricorda oggetti preziosi per la storia o per l'archeologia, che si perdettero irre parabilmente; ma ancora trovai notizie scritte di altre dispersioni, che qui stimo inutile parlarne, trattandosi di cimeli sì male descritti, da non potersene cavare costrutto alcuno, se non se quello che, nella loro specialità, dovevano essere importanti. Il versante orien tale dell'alto Ticino era tutto ripieno di oggetti antichi, dei quali, quelli scoperti dall'Abate Giani, non sono che pochissima parte. La lunga plaga, che da Arcisate si estende sino a Saltrio ed a Stabio, è ricca pure di avanzi di Necro poli , i quali, meno di quelli di Ligurno, ultimamente scoperti e ora adunati nel Museo Patrio di Varese, furono dai contadini distrutti, rimanendone tuttavia, negli abituri di que' coloni, qualche lucernetta di creta, o qualche rozzo recipiente. Se le vestigia di tutte quelle Necropoli fossero state rispettate e conservate, agevol mente sarebbesi potuto tracciare il cammino che le varie prische genti tennero nell' opera della coloniz zazione di questa zona prealpina. Ora dal complesso degli argomenti qui adotti, e da quanto ci riferiscono gli storici, appare che la prima immigrazione, di cui ci resti meno confusa memoria, si è quella dei Celti-Umbri. I quali calati dalle Alpi invasero l'Italia e segna tamente gli Ins-Umbri (una delle tre genti ond'erasi divisa quella nazione) occupano la pianura posta tra il Ticino e l'Adda. Costoro, e quelli in ispecie che avean loro stanza ne' dintorni di Castel Seprio, sanno, per lungo tratto di tempo, mantenersi indipendenti, non ostante che, per successive immigrazioni di nuove genti, gli antichi abi CAPITOLO DECIMO 209 tatori del restante dell'Italia settentrionale ne siano sog giogati; ma all'invasione dei Galli, venuti d'oltralpe sotto la guida di Belloveso, impotenti a opporre una resistenza vigorosa, sopraffatti dal numero, sgomenti dalla ferocia di que' barbari, essi sono vinti da costoro, che ne occupano le terre, e alla regione, che giace fra il Po e le Alpi, danno nome di Gallia Cisalpina. E qui, per digressione, dirò, che se piace a Ignazio Cantù il supporre che le tribù celtiche, stanziate nella Brianza, si partivano in due divisioni, aventi ciascuna una Capitale nelle terre di Brenno-Cantù, e di Brenno Erba; a me piace pure il dire, che Capoluogo della grande tribù celtiche, che qui avea sede, ovvero delle varie tribù celtica de' dintornì, era Brenno d'Arcisate ; centro tanto più importante, in quanto che, nelle suc cessive lotte dei Romani, troviamo Arcisate, designato dalla tradizione, quale campo d'una gran battaglia contro i Cimbri, frutto della quale si fu la totale som messione de' popoli prealpini alle legioni di Mario prima, e di Cesare poi. I Galli, guidati dal loro Brenno o Capo, si erano spinti contro Roma; e Roma dopo alcun tempo, per riaversi delle sconfitte toccate, e per trarre a rovina un popolo formidabile, manda, nel secolo V dalla sua fondazione, essendo Consoli, L. Furio Filone e Caio Fla minio, un esercito poderoso verso Milano. All'Adda si dà battaglia ai Galli, ivi radunati, per contrastarne loro il passo. I Galli sfondano le schiere romane; ma queste, col sopraggiunger dei Cenomani, accorsi loro in aiuto dalle terre Bresciane, mettono in piena rotta i Galli, i quali sono costretti a rinculare e a ripararsi sui monti. Da qui incomincia la denominazione romana (nell'Insubria), che però non si estendeva fino ai monti Varese e su0 Circond. - VOL. I. ] 210 VARESE E SUO CIRCONDARIO verso l'Elvezia e la Rezia. Anzi da quei monti discen dono ogni tratto le tribù celtiche a depredare le pia nure più vicine; e circa 180 anni av. Cristo, i Rezi si spingono fino a Como, e ne incendiano la colonia, ivi stanziata. In seguito all'invasione dei Cimbri (100 anni av. Cristo) i Romani vennero ad aggrandire la loro conquista verso le sorgenti del Ticino; imperocchè i Cimbri, vinti da Mario, e spinti a trovare uno scampo sui nostri monti, fecero lega coi Galli-Celti, che qui dimoravano, per combattere il comune nemico. Ma ne furono di nuovo debellati. Da tutto ciò parrebbe non destituito di fondamento il ritenere, che Mario abbia stabilito il suo campo ne' din torni del Brenno, o capoluogo de' Gallo-Celti, e precisa memte in una valle da esso non molto discosta che tutto dì si noma Val di Mario; e che vi abbia fondata una colonia, per assicurarsi l'acquistato dominio, im pedire ulteriori irruzioni, e popolare la deserta contrada. A Mario succede Cesare , il quale termina di sot tomettere la Gallia Cisalpina, facendola diventare la provincia più vicina a Roma. Quivi stabilisce le Sta zioni dell'esercito che preparava per la conquista della Gallia transalpina, la quale offriva vasto campo al suo ingegno militare. E qual altro luogo più opportuno dei dintorni di Varese, poteva scegliere Cesare per le sue Stazioni ? Qui, senza mai discostarsi dalle falde de' monti, com'era costume de' Romani, si trovava a capo delle vie, che conducevano alla Germania ed alle Gallie: pei gioghi delle Alpi Pennine e delle Alpi Retiche. Fu così che anche nel territorio Varesino si stabili la dominazione romana; fu cosi che, dopo le continue cAPIToLo DEcIMo 21 l resistenze dei Celto-Galli, qui stanziati, si passò ad una vera fusione; perchè, in un non breve periodo di tempo, alla lingua ed ai costumi celtici si sostituirono nomi e costumi romani, e dall' indipendenza primiera, pas sando per una sommissione mal sopportata, si venne fino al privilegio di essere ascritti alla tribù Oufentina. Le armate romane, sotto Cesare Augusto, da qui s'avanzarono nell'interno delle Alpi per sottomettere quei popoli, che il grande Dittatore non aveva ancora ridotti all'obbedienza di Roma. Plinio riporta i nomi dei ventiquattro popoli soggiogati d'Augusto. Una volta qui stanziate le legioni romane, con esse si stabilirono i costumi, le leggi, la religione di Roma. La famiglia e la proprietà furono protette e regolate dalla legge del diritto romano; il commercio e gli studi favoriti; l'edilizia sviluppata con ponti, strade, argini, templi e case; e l'agricoltura progredita in modo, che erano coltivati prati, alberi fruttiferi, casta gneti, vigne e oliveti, per opera specialmente di agri coltori greci, mandativi da Cesare stesso. Bisogna pur dire che l'agricoltura fiorisse proprio in modo singolare, se leggiamo in Plinio una magni fica descrizione della flora di que' tempi, dei vini, del miele del Lario (sua delizia ), e vediamo ricordata eziandio un' industria di vasi di pietra verde, lavorati dagli Alpigiani. La moltitudine poi delle lapidi, delle are votive a Giove, a Bacco, a Saturno, a Mercurio, agli Dei tutti, qui trovate insieme ad altre cristiane, se provano quanto vi fosse diffuso il culto pagano, attestano in pari tempo come il cristianesimo, facendo i suoi primi proseliti tra file dei soldati e del popolo, sapesse so vrapporsi all' antico. 212 VARESE E SUO CIRCONDARIO Ne sono prova irrefragabile le varie lapidi cristiane rinvenute ad Arcisate, ad Azzate, a Velate, senza dire di molte altre. Giova poi notare l'antichità di alcune chiese. Varese non poteva non sentire l'influenza del l'evangelizzazione, fatta dalla parte del Lago Maggiore, dai due fratelli muratori S. Giulio e S. Giuliano, che si spinsero fino a Brebbia per distruggere i bagni, dedicati a Pallade; e dalla parte di Como, dai Messi evangelici spediti su quel di Mendrisio e luoghi vicini dai Vescovi di quella città S. Felice e Sant'Abbondio. Troviamo poi Sant'Ambrogio intento a spedire in diverse parti sacerdoti e vescovi per la cura dei fedeli dovunque moltiplicati, ed egli stesso, secondo la tra dizione, che viene anche da queste parti, dove manda Sant'Agostino a prepararsi per ricevere il battesimo. Dopo la dissoluzione del romano Impero, nel 402, Varese soggiacque ad Attila, condottiero degli Unni, e, seguendo i destini d'Italia, ebbe dappoi a passare sotto il dominio e di Odoacre (476), re degli Eruli; e di Teodorico (488), re dei Goti; e dei Longobardi, nel 568. Nel 493, Papa Gelasio I concesse al beato Teodoro, Arcivescovo di Milano, tra le altre facoltà, quella di ri scuoter decime su Varese (Corio). Quando poi Carlo Magno, vinto Desiderio, ultimo re longobardo, convocò in Milano la prima Dieta per la sua elezione a re d'Italia, i Varesini coi Sepriesi vi intervennero. Nel 96l, assistettero poi all'incoronazione di Ot tone I, fatta dall' arcivescovo Valperto. Il feudalismo che, durante il regno longobardico, si era consolidato in Italia, nel secolo decimo lo ve diamo governare lo Stato milanese per mezzo dei Conti, ognuno de' quali aveva giurisdizione sur un Contado, CAPITOI,O DECIMO 213 diviso in Pievi. I Contadi , che occuparono il primo posto nelle vicende politiche di allora, sono quello della Martesana, di cui non si conosce il capoluogo, e quello della Sepriana, il cui capo era Castel-Seprio. Varese era la Pieve principale del Contado sepriese , e con Seprio si trovò sempre unito fino alla distruzione di questo: distruzione che segnò il suo fiorire. Essendo per tanto la storia di Varese compresa in quella del Seprio, giova apprendere da essa le vicende nostre, e qui riferire solamente quelli avvenimenti, che riguar dano in modo speciale il Borgo varesino. L'arcivescovo Ariberto, prima della lotta che do vette sostenere contro i plebei milanesi, ed indi contro i Lodigiani, conoscendo l'importanza di quei di Varese, credè bene amicarseli col donare, nel 1032, molti dei suoi beni al Capitolo di S. Vittore, pretestando di provvedere al bene dell' anima sua, mediante l'obbligo, imposto ai Canonici, di recitar messa ed officio in perpetuo, ma in realtà per far sì che gli abitanti del ricco e popo loso Borgo non favorissero i Valvassori suoi nemici. L'effetto desiderato pare non l' ottenesse ; perchè i Varesini ed i Sepriesi, fatta lega coi Lodigiani, coi plebei milanesi nella fazione, detta della Motta, e con quelli della Martesana, volentieri insorsero animosi, favorendo i nemici di Milano, e procurando con ogni mezzo la distruzione, non solo dell'autorità arcivesco vile e de' nobili, ma quella pure della loro città. Dopo nove anni circa dalla morte di Ariberto, av venuta in Monza, nel 17 gennaio 1045, divampa la terribile guerra dei Preti. 214 VARESE E SUO cioNDARIo

LA GUERRA DEI PRETI

Nel secolo XI, Milano fu travagliata da tre terribili, guerre intestine : la guerra, cioè, tra nobili e nobili, in cui primeggiò l'arcivescovo Ariberto ; la guerra tra i nobili ed i plebei; e quella infine detta' dei preti, che fu cagione di stragi, di incendi, di odi, di scan dali, che desolarono non solo la città , ma ben anco la campagna di Milano. Tristi avvenimenti!: la memoria de' quali dovrebbe venir cancellata, se essi non aves sero servito di preludio alla lotta tra la Chiesa e l'Im pero. Noi, senza entrare in discussioni troppo difficili intorno a quel periodo storico tanto oscuro, procuriamo di conoscerne solo, e brevemente, i fatti principali. E ciò per due motivi: l'uno, perchè alcuni personaggi, ch'ebbero parte attiva nella guerra dei preti, furono va resini; l'altro, perchè vari di quegli avvenimenti ebbero per teatro il nostro paese. Non dimentichiamoci però di richiamare costantemente al pensiero la condizione de'tempi, in cui quelle gravi questioni si agitarono e accaddero i fatti dell'ultima guerra; nè di giudicare, colle idee del giorno, i tempi che furono. Nel secolo XI, la Chiesa milanese , potente e indi pendente dalla Sede pontificia, ordinava sacerdoti anche uomini ammogliati. Pretendevano gli ecclesiastici mi lanesi , che tale pratica l'avessero fin dai tempi di Sant'Ambrogio, giusta la lettera prima di S. Paolo a Timoteo. Tal pretesto però non ad altro serviva, che a coprire licenziosi costumi, ed il traffico indegno dei benefici ecclesiastici. Già, nell' anno 102l , erasi da Benedetto VIII, nel CAPITOLO DECIMO 215 Concilio di Pavia, coll' autorità anche del re Ennico, fatta la legge che obbligava i sacerdoti al celibato. Anselmo da Baggio, Ordinario cardinale della santa Chiesa milanese, uomo di merito e di nascita distinta, e che in Milano, sua patria, godeva moltissima consi derazione, fu il primo che disapprovasse il matrimonio dei preti. Sappiamo che gli ecclesiastici erano del par tito dei nobili, perchè nobili comunemente essi stessi. Le dissensioni tra i nobili ed i plebei, che già dura vano da qualche tempo, si suscitarono più vive, quando, morto Ariberto , il re Enrico, per amicarsi i plebei e per vieppiù dominare, elesse, in opposizione alle vec chie consuetudini, arcivescovo Guido de' Bianchi, val vassori di Velate, il quale non era nè nobile, nè del-. l'Ordine de' Cardinali metropolitani. Favorito costui dall'alto clero , perchè di costumi rilassati, ottenne, con astuzia e denaro, di essere consacrato. Ma il po polo ed i Canonici Cardinali furono a lui tanto avversi, da piantarlo un giorno tutto solo all'altare, mentre egli vi celebrava. Anselmo da Baggio, zelatore della disciplina ecclesiastica, e sostenitore del partito dei rigorosi, studiavasi co' suoi discorsi di suscitare l'ira del popolo contro il metropolita e i suoi seguaci. L' arciv. Guido, per isbarazzarsi del temuto avver sario, fece sì che l' imperatore Enrico nominasse An selmo a vescovo di Lucca, sperando così di scongiu rare anche il pericolo d'un tumulto cittadino. Se non che, allontanato Anselmo, altri vi furono, tra cui Arialdo Alciati, che cercarono accendere il popolo contro gli ecclesiastici scostumati. L'Arialdo, nato da Bezo e Beza Alciati, in Cucciago, studiò teologia in Parigi ; e, reduce in patria, si fece notare per austerità di vita. Fu aggregato al clero di 216 VARESE E SUO CIRCONDARIO Varese, ed era Diacono della chiesa di S. Vittore. Nel 1056, cominciò appunto qui la sua predicazione a favore del celibato dei preti ; ma gli ecclesiastici di questi contorni gli rispondevano, dicendo: « Tu fai qui da bravo con noi, perchè siamo igno ranti; va un po' a Milano, se vuoi mostrarti valente dottore. » (Giulini). Ciò udito, egli si portò tosto a Milano, sfidando l'ira di Guido, ardente campione del matrimonio de'preti. E perchè non gli fosse d' ostacolo l'umile origine, pensò di prendersi a compagno Landolfo de' Cotti, ora tore eloquente, d' illustre casato, e Ordinario della Chiesa milanese. Ad essi si unì pure un laico, di nome Nazaro, uomo molto ricco e potente, essendo zecchiere milanese. I primi due usavano la parola, e questi il denaro. Ma di costui gli scrittori non fanno più men zione dopo averlo citato; di modo che a campioni del partito dei buoni, restano solo i primi due. Arnolfo, scrittore contemporaneo, ci lasciò trascritta la prima parlata, che Arialdo fece, in un giorno so lenne, per eccitare la plebe a spregiare i preti ed a saccheggiarne le case, le quali vennero infatti, dalla furia del popolo, messe a ruba e a fuoco. Egli poi, alla testa di una moltitudine di gente, entrato in chiesa, mentre i sacerdoti celebravano i divini of ficii, violentemente ne li scacciò, perseguitandoli per tutti i ripostigli; e infine, presentato loro un editto, in cui si comandava il celibato, li costrinse a sottoscri verlo. L'arcivescovo Guido, visto lo scandalo e questo ec cesso, raduna un Concilio dei Vescovi suffraganei, in Fontaneto novarese. A quel Concilio furono invitati Arialdo e Landolfo a comparire per esporre la loro dot CAPITOLO DECIMO 217 trina, e le querele contro il clero; ma essi non si pre sentarono ed il Concilio li scomunicò. Questo anatema sconcertò i disegni di Arialdo e del socio. Arialdo per ciò abbandona Milano, e si porta a Roma, nel 1057, ove da papa Stefano X viene accolto con molta onorificenza. Landolfo prese la medesima strada; ma per insidie tese contro di lui presso Piacenza, dovette, ferito, ritornare a Milano. Allora sembrava che la quiete fosse tornata in città. Ildebrando, cardinale, che seguiva con occhio attento le vicende ecclesiastiche di Lombardia, non poteva es- ser pago della risoluzione del concilio di Fontaneto; per la quale egli vedeva scaduto nell'opinione del po popolo il partito di Arialdo, da lui protetto, e appro vata la condotta de' suoi avversari. Egli fin d'allora mirava a sottomettere alla dipendenza di Roma la Chiesa di Milano, per togliere non solo la simonia e dare preti migliori alla Chiesa milanese; ma, colla sottomissione di questa al Pontefice, ampliare e consolidare l'auto rità e la potenza del Papato, scemata assai di fronte alla potestà dell'Impero. Ildebrando stesso venne a Mi lano col Vescovo di Lucca, Anselmo, in qualità di Le gati del pontefice Stefano X. L'arrivo di questi due risvegliò più che mai la di scordia. I Legati temendo il furore del popolo, adunati di nascosto quanti cittadini poterono, dichiarano simo niaco Guido arcivescovo, e detestabili tutte le sue ope razioni. Partiti i Legati, la città restò più agitata di prima; ed Arialdo dovette sopportare pubbliche umi liazioni, quale sostenitore di dottrine nuove o patarine. Intanto continuavano le risse, i tumulti ed i saccheggi. Il partito di Arialdo, appoggiato alla sentenza dei Legati, si ingrossava pel concorso dei plebei, intenti sempre 218 VARESE E SUO CIRCONDARIO ad umiliare i mobili, dei quali molti, sentendosi inca paci a sostenere più oltre gli ecclesiastici seguaci di Guido, si erano allontanati dalla città, riparando cer tamente nel Seprio ed a Varese, che sempre avevano trovati a sè devoti. Ora che la sedizione è al colmo, ed il partito di Ildebrando ha depresso gli avversari, è giunto per lui il momento opportuno di assoggettar Milano a Roma. Un' altra legazione si porta a Milano, composta an cora di Anselmo da Baggio e di Pietro Damiano, vescovo d'Ostia (1059). Ildebrando la dirige, come fanno fede le lettere di S. Pier Damiani a lui dirette. Anselmo, appoggiato da' parenti e da' loro clienti, e Pietro, eloquente, dotto, e di pietà celebrata, cercano di otte nere la sommessione. Ma incontrano poi seri ostacoli; perchè la plebe, che, prima inconscia delle mire occulte di Roma, ne secondava i disegni col solo intento di deprimere i nobili, quando s' accorse dell' offesa fatta al suo orgoglio nazionale dalla conseguente perdita dei privilegi della sua Chiesa, si fece ritrosa; ed un dì, vedendo che Pietro, nelle funzioni solenni, volle pre cedere il Metropolita, sdegnata, si fece a tumultuare. Allora i Legati moderaron la pompa, sollecitarono gli affari, imposero varie penitenze ad alcuni cittadini, differirono di giudicarne altri, cambiarono in furia ed in fretta antiche costumanze, fecero leggi nuove, e, spalleggiati dai loro fautori, costrinsero l'Arcivescovo e gli Ordinari a sottoscrivere alle loro prescrizioni. In tale precetto erano stabilite varie pene per gli ecclesiastici simoniaci, tacendosi per altro della que stione del celibato. Appena partiti i Legati, Guido viene chiamato dal Pontefice a Roma, dove, accolto con onori, interviene CAPITOLO DECIMO 219 ad un Sinodo, in cui, gli si fa tenere il primo posto, e dalle mani stesse del papa riceve l'anello col quale fin allora i Re d'Italia erano soliti investirlo; ma gli si fa poi formalmente promettere e giurare sommessione ed obbedienza alla Chiesa romana: ciò che non era mai intervenuto per l'addietro. Milano riposa fino al 106l; anno in cui morì Nicolò II, al quale, per opera di Ildebrando, si fece succedere Anselmo da Baggio, col nome di Alessando II. Questo fatto dimostra il fino accorgimento di Ildebrando, perchè, coll'esaltare al soglio pontificio un milanese, il popolo di Milano, obbedendo al Papa, credesse non obbedire ad un estranio. Alessandro II scrisse in appresso una lettera parti colare a tutti i milanesi, al clero ed al popolo in cui diceva « speriamo in Lui, che si è degnato nascere da una Vergine, perchè nel tempo del nostro ministero sarà esaltata la santa castità dei chierici, e la lussu ria degli incontinenti confusa con tutte le altre heresie » Quella lettera fu il preludio delle nuove imprese contro de' sacerdoti ammogliati, i quali da due anni godevano tranquillità, forse perchè Landolfo aveva perduto la voce, e più non poteva predicare. Il partito di Arialdo sarebbe rimasto inoperoso per la morte di Landolfo, se il papa non avesse destinato il fratello di lui, Erlembaldo, che si trovava a Roma, a farne le veci. Lo armò quindi campione della santa Chiesa, gli consegnò un vessillo in un solenne Conci storo, e gli impose di portarsi a Milano e unirsi ad Arialdo, col quale avesse a combattere sino allo spar- gimento del sangue. Venuto Erlembaldo a Milano, e congiuntosi ad Arialdo, risuscita le fazioni. 220 VARESE E SUO CIRCONDARIO Nel 1063, Arialdo, forte del valido appoggio di Erlem baldo, ripiglia con più calore la predicazione, osando impugnare gli stessi riti ambrosiani. Dalle sue prediche non ritrae in vero quel frutto che aveva sperato, vedendosi dal popolo stesso abban donato; anzi si sarebbe trovato a mal partito, se Erlem baldo non fosse accorso, con altri armati, in suo aiuto, ponendo in fuga gli ammutinati nella chiesa della Ca nonica, fuori di Porta Nuova, ove di solito predicava l'amico. Nè per questo Arialdo si ristette ma pochi giorni dopo, vedendo un prete ammogliato cominciar messa, gli si avventa, strappandogli i paramenti di dosso. Il popolo gli è sopra ; ed egli appena si salva colla preghiera di lasciarlo parlare, prima di ucciderlo. A questi continui tumulti del popolo, succede una tregua di alcuni mesi, della quale Erlembaldo appro fitta per ritornare a Roma a ragguagliar di tutto il Pontefice, quantunque ne avesse già informato Ilde brando con sue lettere. Ritornato Erlembaldo in Milano (1066), la fermenta zione popolare si eleva al colmo, specialmente quando egli presentò all'Arcivescovo la Bolla di scomunica pronunciata dal Papa. L'Arcivescovo, nel dì di Pen tecoste, radunato buon numero di gente, si presenta in chiesa colla Bolla in mano, ed esorta, accende il popolo. a non soffrire l'ingiuria, che si vuol fare alla Chiesa ambrosiana. Il tumulto scoppiò in Chiesa, e vi fu zuffa ai piedi dell'altare. Arialdo, che colà si tro tava, venne assalito, percosso, gettato a terra, e creduto morto. L'Arcivescovo stesso dovette patire violenze ; e la scena terminò colla sentenza dell'interdetto, che ei pronunziò sulla città, proibendo gli offizi divini, finchè non fossero usciti dalla città i novatori. Il Consiglio CAPITOLO DECIMO 221 Pubblico si unì all'Arcivescovo, e proibì, perfino colla morte, il suono delle campane durante l'interdetto. Arialdo ed Erlembaldo si rifugiarono fuori della città. Quegli, cercato dall'arcivescovo Guido, fu da suoi seguaci ricoverato nel castello di Erlembaldo in Le gnano, dove ricevette lettere de' suoi compagni abi tanti in Cantù, colle quali gli narravano non poter essi starsene in quel luogo, e lo pregavano a richia marli presso di lui. Arialdo risponde: « Chi è pronto a dar la vita per Gesù Cristo, venga con me; chi non ha tal coraggio, si nasconda. » Temendo poi egli che col rimanersi a Legnano, nascessero altre disgrazie, prega Erlembaldo a lasciarlo ricoverare presso un prete, suo amico, che reggeva una chiesa lì vicina. Ma sco perto poi, ei fu preso e condotto a Stazzona (Angera) per essere ucciso. Infatti per ordine di Oliva, nipote dell'Arcivescovo, Governatrice di Arona, che lo odiava a morte, gli furono, da due ecclesiastici, su di uno scoglio, mozzate le orecchie, il naso, le labbra, le mani, cavati gli occhi, strappata la lingua, e nell'atto di fi nirlo esclamarono: « Predicatore di castità d'ora in nanzi tu sarai ben casto! » E così in mezzo a tali tormenti cessò di vivere. Erlembaldo, appena seppe che Arialdo era stato condotto sul lago maggiore, per essere ucciso, trave stito, ne andò in cerca per saperne la fine. Ma fu ri conosciuto dai soldati della rocca di Valtravaglia, e messo nel fondo di una torre, dove gli si calava il pane per una fune. Riuscì però ad evadere, e, venuto ad Angera, ebbe notizia per bocca degli stessi esecutori della morte di Arialdo. Appresso, il cadavere di costui, reclamato da Er lembaldo, fu da gran moltitudine di popolo, uscito da 222 VARESE E SUO CIRCONDARIO Milano per riceverlo, solennemente portato alla città, ed ivi esposto in chiesa alla venerazione dei fedeli. Alessandro II, dopo un anno, lo dichiarava Santo. Dopo la morte di Arialdo, il di lui partito si tiene calmo, mentre Erlembaldo, di concerto con Ildebrando, insinua e propugna fra il popolo la necessità di de porre Guido; il quale spossato dalle lotte e dagli anni, prima che ve lo costringesse la violenza del partito a lui contrario, rinuncia alla sede milanese, designando per successore il Suddiacono della Metropolitana, Goto fredo da Castiglione. Il quale va colle insegne vescovili al re di Germania, e con promesse e brighe, ne ottiene l' investitura del l'Arcivescovado in suo favore. Ma ritornato, egli non vien ricevuto in nessun luogo, e scomunicato dal Papa, riesce odioso fino agli stessi villani. Erlembaldo poi nelle ville e nei castelli esigeva giu ramenti contro Gotofredo, onde non potesse percepirvi alcuna rendita. Gotofredo pertanto scacciato da tutti, si rifugia sul Monte della Beata Vergine, presso Va rese, assai bene fortificato. Ma i soldati di Erlembaldo cir condano quel Monte, e Gotofredo riesce invece a fuggire di nottetempo, e sotto mentite spoglie, e a riparare nel castello di Castiglione, che era ben munito, e proprietà (pare) di Gotofredo stesso, il quale vi trova di molti aderenti e seguaci. I milanesi allora si decidono ad espugnare quel castello. Ordinato l'esercito, piantano il campo con una linea di fortificazioni, circondano il castello, obbligano i villici e i terrieri dei dintorni ad unirsi con loro. L'assedio cominciò in gennaio e durò tutto il verno; e l'inclemenza della stagione non valse a smuovere la costanza de' Milanesi. Un di, non precisato dagli scrit CAIPITOLO DECIMO 23 tori, un grande incendio, detto appunto fuoco di Casti glione, ( 107 l), divampa in Milano, distrugge la città, squagliando oro, argento e altri metalli. Molti assedianti abbandonano il campo per rivedere le loro case e famiglie. Erlembaldo ed altri però stanno saldi. Gotofredo da tre mesi assediato , vedendo la debolezza dei ne mici, tiene consiglio e determina una sortita, che effettua vicino a Pasqua, con grande schiamazzo ed impeto straordinario. Erlembaldo si fa banderaio, ed incita i suoi alla battaglia, la quale certamente sarebbe stata per lui l'ultima, se il coraggio dei combattenti non avesse supplito al loro scarso numero. Gli asse diati, vista l'impossibilità di vincere Erlembaldo, pen sano a porre in salvo l'Arcivescovo, sortendo da Ca stiglione. Le schiere di Erlembaldo l'inseguono per più dì, ed avendo ricevuto un buon rinforzo, dopo un con tinuo rincorrersi l'un l'altro, li riducono a necessità di ritornare nell'abbandonato castello, attendendo che Gotofredo venisse alla resa. Ma, o perchè mella sortita quelli di Gotofredo fecero buona provvista, o per altro motivo, dopo qualche mese l'assedio fu levato, ed Er lembaldo co' suoi ritornò in Milano. Intanto Guido, che se ne stava fuori di Milano, viste tutte queste cose, pensa di riprendere la sua dignità arcivescovile;, e affidandosi a Erlembaldo, con questi in cautamente ritorna in città, ove vien dal medesimo tra dito, chiuso in un monastero, e custodito fino alla morte. Allora Erlembaldo di propria autorità crede poter creare l'Arcivescovo, e fa nominare, il 6 gennaio 1072, Attone, Canonico Ordinario della Metropolitana, ma stordito e troppo giovane. Il nuovo eletto apprestò nel palazzo arcivescovile, secondo l'usanza, un gran ban chetto a' suoi elettori. Ma appena postisi a tavola, la 224 VARESE E SUO CIRCONDARIO fazione contraria entra nel palazzo colle armi alla mano, mette tutto sossopra, cerca di Attone, e, trovatolo na scosto in una camera appartata, lo carica di colpi, e lo scaccia dal palazzo. Il meschino si rifugia nella Chiesa, dove pure non si cessa dal malmenarlo. Le grida tu multuose del popolo, che ad alta voce protestava di non volerlo per Arcivescovo, lo costringono a salire sul pul pito a prestar giuramento di rinunziare per sempre alla sua carica; ed esce di città, correndo a rinchiu dersi in un suo castello. Alessandro II convoca allora in Roma un Concilio, in cui scomunica Gotofredo, e convalida l' elezione di Attone, non accettandone la ri nuncia da lui fatta. Gotofredo in quel torno erasi adoperato tanto presso il Re, che questo induce i vescovi suffraganei a con sacrarlo in Novara, e lo scrittore Arnolfo dice, « che Enrico si pentì di quell'atto, ed odiò il messo, che gli era stato spedito per tal facenda. » Dopo la consacra zione, Gotofredo procura occupare qualche castello appartenente all'Arcivescovado, e muove ad assaltare specialmente quello di Lecco, donde però è respinto e battuto. Perduta ogni speranza di guadagnarsi autorità e po tenza colla ragione dell' armi , si rinchiude nel ca stello ( 1073) di Brebbia, l'unico che erasi potuto conservare per resistere contro ai frequenti assalti dei partigiani di Erlembaldo. Fatto Papa Ildebrando col nome di Gregoriò VII, nuovamente scomunica l'arcivescovo Gotofredo , ed anima il Vescovo di Pavia ad unirsi con Erlembaldo per sostenere Attone. Il re Enrico, frammezzo a tutte queste agitazioni, avea nominato arcivescovo Tealdo da Castiglione, il quale fu ricevuto di buon animo; ma CAPITOLO DECIMO 225 avendo egli ricusato di intervenire al Concilio Latera nese, convocato da Gregozio VII, venne da questo sco municato e deposto. A Canossa, dopo aver egli fatto penitenza, ottenne l'assoluzione de' suoi delitti, che eranO : Iº Di aver accettato l'arcivescovado vivente At tone, eletto dal defunto Pontefice. II° D' aver aiutato il re Enrico contro Gre gorio VII, col procurargli gente da guerra. Morì in Arona nel 1085. In mezzo a questo cumulo di miserie i nobili final mente, vedendo i mali giunti all'estremo, si collega rono tra loro e colla plebe, e dalla campagna, ove sta vano ritirati, presero il partito di ritornarsene in città, conducendo seco buona parte dei loro vassalli bene ag guerriti, per abbattere Erlembaldo. Questi, armato di tutto punto, sopra un generoso destriero, preso il Ves sillo Romano, che gli avea consegnato il Papa, si pose alla testa de' suoi, e accettò la battaglia; ma sul campo rimase ucciso. I cittadini vittoriosi, cantando inni a Dio, recaronsi alla chiesa di Sant'Ambrogio a render grazie; come fecero i preti il giorno dopo; e tutti poi fatta confessione pubblica de' passati delitti, e ricevuta l'assoluzione, ritornarono in pace alle case loro, po nendosi così fine ad uno scisma di diciannove anni ).

SEGUE LA CRONISTORIA

(fino all'anno 1762)

Nell'aprile dell'anno 1121, sdegnati i Comaschi per chè i Varesini con quelli del Seprio aveano concorso a rinforzare le milizie di Milano, quando questa città

Vargse e su0 Circond, - VoL, I. 5 226 VARESE E SUO CIRCONDARIO era con essi in guerra, deliberarono occultamentè di depredare Varese. E in una certa ed assegnata notte molti cavalieri e fanti comaschi vennero infatti ad as saltare all'improvviso il nostro Borgo. I Varesini di tanto repentino assalto, oltremodo spaventati, si levano dal letto, prendono le armi, e, scamiciati com' erano, vanno contro a' nemici. Vanamente ognuno di loro com batte, perchè molti ne cadon morti, o son fatti prigioni. Laonde i Comaschi, entrati in Varese, il tutto con ro vina mettono a fuoco, poi con la preda e i prigioni in camicia e colle mani legate a tergo, ritornano a Como. Nel ll40, si dibatte una lite tra il Clero di Varese e l'arcivescovo di Milano, intorno ai privilegi del primo sulla chiesa della Madonna del Monte, resa per molti titoli celebre ed insigne. L'arcivescovo Robaldo è co stretto a dar ragione al Clero varesino. Pongasi mente che tal questione era importante dal lato interesse per i proventi annessi, dal lato civile per i privilegi feudali, dal lato politico per il forte ivi esistente. Dopo pochi anni , nel castello della Madonna del Monte, i Varesini con que' del Seprio, giurano di unirsi all'Imperatore tedesco in rovina della comune patria Milano; giuramento che vien rinnovato solennemente in Monza (1158) unitamente a quelli della Martesana quando Federico, dopo aver preso il castello di Trezzo, si era recato in quella città per procurare di far causa comune coi signori della Martesana, di Lecco, del Se prio, ed altri, e avere amico il terreno su cui combat tere. Per la qual cosa i Varesini, insieme cogli altri, vengono scomunicati da Giovanni d'Agnani, Cardinale Legato di Alessandro III. I Milanesi nel 1160, dopo che ebbero battuto l'Im peratore tedesco nel territorio intorno a Carcano, e CAIPITOLO DIECIMO 227 costui si era ritirato confusamente verso Como, vol lero castigare quei del Seprio, per l'aiuto prestato a Federico. I Milanesi avevano già militi in Mozzate; altri ne posero in Crena ed in Appiano pochi giorni dopo che un grande incendio, detto ignis ciruni , aveva mezzo distrutta Milano. Non curandosi di quell'incendio, lo stesso arcivescovo Oberto entrò in Varese con 100 mi liti, i quali occuparono Arcisate, Induno e Biandronno, e qui stabilirono i loro quartieri d'inverno con molto danno dei Sepriesi. Federico, dopo aver distrutto Milano, il 27 aprile 1162, impose gravezze straordinarie alle città ribelli. I Va resini ed i Sepriesi ne andarono esenti, perchè suoi amici; anzi, come tali, li aveva chiamati ad aver parte allo smantellamento di Milano, assegnando ai loro colpi il quartiere di Porta Nuova. Quei di Belforte e di Seprio entrano dappoi a far parte della Lega Lombarda, e, al 20 marzo l 168, in Pontida, giurano di stare ai comandi dell'arcivescovo Galdino, e dei Consoli di Milano. Da tutti questi fatti, cioè, dalla premura dell'ar civescovo di Milano d'amicarsi i Varesini, dalla spe ciale protezione di Federico enobarbo verso di essi, dall'ira dei Comaschi, sfogata su Varese per tradi mento, dai privilegi della Pieve o chiesa di S. Vittore, si deduce facilmente l'importanza di Varese in quei tempi, alla quale pare accennino gli stessi cronisti, no minando quei di Belforte distintamente e prima di quelli del Seprio, sebbene fossero compresi nello stesso con tado. Il Giulini dice esser probabile che Varese, fin dal 1 100, formasse una regione a sè come oggidì. Certa mente Belforte era uno de' principali castelli di Va 228 VARESE E SUO CIRCONDARIO rese, che diede nome a quelli che lo abitavano, o che vi appartenevano. Varese a que' dì contava con altre molte, le rocche di Velate, e del Sacro Monte, poste a settentrione contro i Rezi, il castello di Belforte, a levante, che lo guardava dai Comaschi, ed altre forti ficazioni minori, a mezzodì ed occidente, coh mura e fossa. L'importanza poi di Varese, e pel mercato già fin d'allora fiorente, e perchè tra i suoi nobili eleggevansi i Consoli, vien anco dimostrata dalla sentenza, del 1148, in favore della chiesa di S. Vittore contro certo Gallia, fatta alla Mota del Mercato dal console Fusco di Biumo, e da suoi colleghi Alberto da Cedrate, Ottone de Blassi, Arderico da Castiglione, Lotario da Velate, Rolando da Solbiate, e Guidone da Daverio. Questa sentenza seguì nel lunedì 30 agosto in Varese, in un sito, detto Mota Mercati. Era naturale che i Consoli sepriesi aprissero tribunale in Varese, trovandosi questo nel contado di Seprio. Ch'eglino poi venissero personal mente qui a decidere le cause, senza obbligare le parti a portarsi a Seprio, è evidente, perchè si sa che fin da quei tempi Varese era Borgo distinto e conside revole. Nel ll73, Varese accolse di nuovo militi di Federico, che per la quinta volta tornava in Lombardia per do marla. Nel medesimo anno si erige, da frate Alberto da Bregnano, l'Ospitale delle Novefonti. Stabilito il trattato, per cui i Cremonesi avevano pace con Federico imperatore, che fu conchiuso poco dopo la distruzione di Castel Manfredo, l'imperatore Federico volle tornarsene in Germania, ed al 22 giu gno 1186, in cui fu rovinata quella fortezza, egli era già a Varese, da dove spedì un Diploma, riferito dal Campi nella sua Storia di Piacenza. CAPITOLO 5EGIMO 229 Nel l 177, Varese viene immondato dal Velone stra ripato per continue pioggie. All' anno l199, nella Cronaca Grossi, si trova : « In questo tempo sonvi le crociate. Nessuno di Varese vi prende parte; ciò che prova essere stati i Varesini buone persone, mentre quelle sante spedizioni ordinate furono per isbarazzare l'Europa di una quan tità di bricconi, che, per ottenere la remissione dei peccati commessi in patria, andavano a commetterne di nuovi in altre regioni. » Nel 1200, Varese si reggeva a Repubblica, e un Giacomo Perabò ne era Capo e Consigliere. Questi era uomo di gran senno, e i savi giudizi da lui pronun ciati nelle Assemblee meritarono di essere conservati e consultati anche ne' secoli posteriori. Dalla Cronaca Perabò, tolgonsi i nomi di alcuni Con soli della Repubblica varesina, quali sono: Mariani, Martiniani, Daveri, Orrigoni ed altri. Bella è l'espressione in essa notata Varisium rei pubblicae nomine et beneficio fruebatur. 1209 – Furono fatti da Alberto Fontana, Podestà di Milano, i primi Statuti di quella città, e che addot tarono pure i Varesini ed i Sepriesi, anche colle ag giunte fattevi due anni dopo. 1233 – Gelosia di poteri ingenerano separazione tra i Varesini e i Sepriesi. Varese si fa amico dei Milanesi, cui somministra tutti i legnami occorrenti per la fab brica del Broletto nuovo (ora Piazza Mercanti) ordinato dal Podestà Oldrado da Tresseno. Varese, per tale sommi istrazione, ha in compenso l' annua mercede ” e rzolè400, che gli furono pagate per lunga serie di a ni. 124l – Il castello di Seprio è assediato dai Torriani. 230) VARESE E SUO CIRCONDARIO Leone da Perego, arcivescovo di Milano, con 300 guer rieri, sa uscirne di nottetempo, e muove su Varese. Vinta la guarnigione, che difendeva il Borgo, vi entra, se ne dichiara padrone, e prende stanza nel suo palazzo. 1246 – Sul principio di quest' anno sorge una grave lite fra l'arcivescovo di Milano ed il Borgo di Varese colle Castellanze. Gli abitanti del Borgo, volendo reg gersi da sè, avevano eletti alcuni Consoli o Rettori; ma l'arcivescovo Leone da Perego, vedendo con ciò offesi i suoi diritti, perchè Signore di Varese , vi si oppone. I Varesini però, non curandosi del veto del l'Arcivescovo, se ne appellano al Papa. Non ostante ciò, Leone intima la scomunica, e sottoponc il Borgo all' interdetto. (Vedi Giulini e Muratori). Stando così le cose, viene la causa portata al Tribunale pontificio, avanti del quale compare un Sindaco per la parte de' Va resini, ed un Procuratore per la parte dell'Arcivescovo. Non essendo riescito il Cardinale, delegato per questa vertenza, ad un componimento fra i litiganti, Papa Innocenzo incarica tre Preposti della Città e diocesi di Novara, di assolvere il Borgo dalla scomunica e dall'interdetto, e prendere le più esatte informazioni e riferirgliene tosto il risultato. Vuolsi notare che il Procuratore, mandato dall'Arcivescovo, era Ottone Vi sconti, probabilmente lo stesso che poi gli fu succes sore. Come terminasse l'affare è incerto. L'Arcivescovo ritenne la Signoria di Varese, e i Borghigiani i loro Consoli e Rettori ; ciò che lascia credere che la lite finisse con qualche accomodamento. 1258. – Fra i sottoscittori della pace, detta di Sant'Ambrogio, in cui si stabilì che il Consiglio di Milano doveva essere composto per una quarta parte di Valvassori e Capitani sepriesi e martesani, dai quali CAPITOLO DECIMO 231 doveva essere aiutato il Podestà di Milano nella ri scossione dei fodri, figurano Bianco da Velate, Beno da Sant'Ambrogio, Corrado da Besozzo, Alberto Cazza da Castiglione. In quest'anno Varese ottiene l'esenzione da ogni aggravio. 1270 circa – I Varesini ed i Sepriesi mandano milizie a piedi ed a cavallo in aiuto dei Rusconi, che si disputano il dominio di Como coi Vitani. In un con flitto i Vitani battono le milizie dei Rusconi, e restano padroni di Como. 127l – I Consoli di Varese vanno a Milano per intervenire al corteggio, che ivi ha luogo per l'entrata di Filippo, Re di Francia. In quest'anno anche a Varese sono promulgate le leggi severe contro i ladri ed i bestemmiatori. In quelle sta scritto, tra le altre cose, che il Podestà doveva ai ladri per il primo furto far cavare un occhio, pel secondo tagliare le mani, e pel terzo farli appiccare. I bestemmiatori poi devono pagare, se militi, L. 100ter zole, se fanti L. 3, e, nel caso di impotenza al paga gamento della multa, esser esposti alla berlina, indi flagellatti. Coloro poi che accolgono in casa ladri, ban diti ed omicidi, avranno la propria casa atterrata. 1277 – Vengono a soggiornare in Varese, per alcun tempo, gli Spagnuoli, venuti in Lombardia per colle garsi coi Cremonesi, Bresciani ed altri a danno di Castel Seprio, cui dovettero abbandonare, dopo averlo preso, a cagione di alleanze di altre città contro di loro. 1285 – I Milanesi assediano Castel Seprio per de bellare i Torriani, ed i Comaschi ivi raccolti, con tremila fanti e mille cavalli. Matteo Visconti viene a Varese con cinquecento cavalli per favorire i Milanesi; 232 VARESE E SUO CIRCONDARIO ma in causa delle mene di Guido da Castiglione cerca ogni mezzo di fare la pace, lasciando allo stesso Guido il Castello di Seprio, cui di li a poco consegna dolo samente ai Torriani ed ai Comaschi. Questi ultimi, per vendicarsi dell' accoglienza fatta dai Varesini a Mat teo Visconti, assediano Varese, però senza alcun frutto, perchè, battuti sotto Belforte, subiscono gravi perdite, e, costretti a ritirarsi a Como, sono inseguiti fin sotto Binago. I soldati varesini e gli altri che avevano preso parte a quella zuffa, furono pagati in Varese stesso dal Pretore di Milano, nel 16 dicembre. I Milanesi ap pena seppero che i Comaschi avevano intenzione di abbattere Varese, raccolsero, in Legnano, milizie sotto il comando del capitano Benzo di Lavello pronte ad accorrere in caso di bisogno. . Distrutto il Seprio, Varese diventa capo della Re gione superiore del Contado e quivi si stabilisce la sede del Vicario, che forma particolari Statuti. Il capo della sezione inferiore si fissa a Gallarate. 1287 – L'arcivescovo Ottone tiene un Concilio in Milano, e l'Atto del medesimo venne redatto da Ro dolfo di Frenegrò, e da Braga di Varese. 1303 – Matteo Visconti, dovendo fuggire da Milano pel ritorno de'Torriani, si reca a Bellinzona, indi di scende con quattromila fanti e trecento cavalli a Va rese, dove viene magnificamente accolto. Di qui si reca poi a Como per assediarlo. In seguito, saputasi a Milano l'accoglienza fatta dai Varesini a Matteo Visconti, il podestà di quella città, Antonio Fisiraga, move cum forestaria Comunis Me diolani per distruggere Varese. Il Borgo si redime dal l'eccidio sborsando 16000 lire, che deve pigliare ad llSll'8, CAPIToLo DECIMo 233 1311 – L'imperatore Enrico di Lussemburgo chia mato dal Papa a restituir l' ordine in Italia, discende da Losanna, Sion, Domodossola e passa per Varese. S'incorona a Monza Re d'Italia e si porta quindi a Roma, dando prima il governo della città di Milano a Matteo Visconti, il quale, trattando della pace colle altre repubbliche lombarde in Asti, stabilisce che Angera con la corte e le castellanze, la castellanza di Brebbia e Varese siano sottoposte alla Chiesa Arcivescovile di Milano, al qual oggetto si reca in quella città il can celliere di Varese, Gasparino Grillo. Fatto Signore di Milano, Matteo Visconti, memore dei servigi resigli dai Varesini, conferma a questi i privilegi che gode Vano anticamente. 1313 – Grande carestia nella Lombardia. In Varese si sente meno per la provvidenza dei ricchi, che spen dono ingenti somme a sollievo dei poveri*). 1328 – Lodovico il Bavaro, venuto in Italia con poderosa armata, dopo essere stato scomunicato da Papa Giovanni XXII, a prendere la coroma di Lombardia, prima d'avviarsi a Roma fa fortificar Varese, che gli era caro. (Così la Cronaca Grossi). C. Cantù scrive invece: « Altre spese il Borgo dovette sostenere per fortificarsi contro Lodovico il Bavaro, quando assediava Milano. » Per tali spese e per estinguere i debiti an tecedenti, si dovette porre in seguito un censo sulle CalS6, 1347 – Sono compilati gli Statuti di Varese, che ci esibiscono qualche tratto a delineare la vita del Mu nicipio varesino da quest' anno fino al 1402. Vedi Berlan, il quale riporta pure per esteso le concessioni fatte in diversi anni da Galeazzo Visconti, Conte di Virtù, Duca di Milano in favore di Varese, lè tasse 234 VARESE E SUO CIRCONDARIO pei Notaj, le ordinazioni per il pagamento delle tasse del Comune, ed i Capitoli del Borgo confermati da Fran cesco Sforza, nel 1448; più vi ha aggiunto altre notizie ed opportuni confronti. 1353 – Cassone della Torre, Arcivescovo di Milano, scomunica Matteo Visconti ed i suoi, perchè avevano occupato molti luoghi, tra cui Brebbia, ed usurpati i redditi di alcune terre, tra le quali Varese e Valle di Marchirolo, appartenenti alla Chiesa arcivescovile di Milano. (Così nel decreto di scomunica.) 1368 — I Consoli di Varese vanno a Milano per le feste dello sposalizio della figlia di Galeazzo. 1402 – Ai funerali magnifici di Giovanni Galeazzo gli ambasciatori di Varese occupano un posto distinto, cioè il secondo. - . 1407 – Facino Cane, per cessione avuta dal Duca Gio. Maria Visconti, si impadronisce di Varese e toglie le onoranze e le buone consuetudini dovute al Borgo ed al Vicariato di Varese dal Comune di Milano, inti tolandosi Principe di Varese. 1410 – Giovanni Maria Visconti, Duca di Milano, con suo decreto 17 dicembre, restituisce le qui sopra ac cennate onoranze e consuetudini. Le prime consistevano : Iº Nel dare al Borgo il duodecimo dell'incanto di tutte le Notarie di Palazzo del Comune di Milano; II° Nel tenere a proprie spese in questo Borgo un Console di Giustizia; III° Nel mandarvi quattro fanti, provvedendoli di vestiario, una volta all'anno. Tali onoranze erano di data antichissima. Le consuetudini riguardavano le fiere, i mercati, il libero trasporto delle biade da e per Milano, le fran CAPITOLO DECIMO 235 chigie accordate a' debitori in certi tempi, la separata giurisdizione in cause che non oltrapassassero una data somma, ecc. 1413 – L'Imperatore Sigismondo, venendo in Italia, abita per lunga pezza in Varese ed in Biumo supe riore, in casa dei signori Biumi, e da Viggiù emana il decreto 30 novembre, per la celebrazioue del Con cilio generale di Costanza. Questo Concilio doveva due anni dopo condannare al rogo Giovanni Huss e Gerolamo da Praga, ambedue promulgatori di nuove riforme ecclesiastiche. 1450 – Nel milanese infierisce la peste. Varese ne va immune, per aver impedito ogni passaggio di merci e di viaggiatori 1477 – Il Capitano Gian Giacomo Trivulzio, dopo aver accomodate le cose di Genova e della Riviera, ai 12 di agosto, si incammina per Milano. I Duchi di Milano, volendogli dare un contrassegno del loro ag gradimento, per le fatiche da lui sostenute con tanto zelo in quelle imprese, e per rinumerazione d'aver soggiogati i Fieschi, gli concessero i dazi del pane, del vino e della carne nel Borgo di Varese. (RosMINI, Vita di G. G. Trivulzio). 1482 – Un Giuliano di Varese, siniscalco di Corte, fu inviato dal Duca Lodovico il Moro, con ampia pro cura, a Roberto Sanseverino, in Castelnuovo, per or dinargli di recarsi a Milano entro due giorni. 149l – Lodovico il Moro fa fiorire l' industria ed il commercio del milanese; e Varese primeggia sulle altre terre per la coltivazione dei gelsi e dei bachi da seta. 1494 – Alcuni corpi di Francesi, discesi in Italia per Luigi XII, attraversano Varese, e vi si rendono odiosi per violenze e vessazioni. 236 VARESE E SUO CIRCONDARIO Partiti essi, il Borgo viene occupato dagli Svizzeri di Lodovico il Moro. 1508 – Altro passaggio di truppe svizzere per le continue contese tra Lodovico il Moro e Luigi XII, il quale entra trionfante in Milano, il 1 luglio 1509, pa drone della Lombardia. 1510 – Il Cardinale di Sion, con diecimila Svizzeri, entra in Lombardia da Ponte Tresa, viene a Varese e fa scorreria fino in Brianza; ma, non avendo forze bastevoli, ritorna in Isvizzera dai monti di Como. Nel l'anno seguente rioccupa Varese, con sedicimila sol dati, s'avvia a Milano, da cui retrocede però devastando ed incendiando molte terre. Di nuovo nell'anno dopo (1512) ritorna con ventimila soldati, i quali, come tor rente, si spargono per la Lombardia. . 1511 – Lotta sanguinosa, che dura tre anni, tra quelli di Varese e quelli di Biumo inferiore, la quale finisce con una sentenza dell'imperatore Carlo V. La Cronaca Grossi all'anno 1514 così scrive: « Nei scorsi tre anni tra i Varesini ed i Biumensi vi furono gravi dissensioni, animosità e zuffe, quasi ogni giorno eranvi ferimenti ed uccisioni. Tra feriti ed ammazzati se ne contarono più di un centinaio. Il Pre tore, il Magistrato ed il Senato presero parte molto attiva in tali trambusti e controversie, e mercè i militi spediti a Varese vi furono molte apprensioni e seque stri di beni, ed anco molti arresti. Buona parte però dei compromessi passarono nel territorio svizzero ove complotavano e mandavano emissari a compiere la loro vendetta. La dolcezza, la prudenza ed i modi popolari del Luogotenente ottennero più che la forza, mentre questi tanto adoperossi, che riusci stabilire tra i Va resini ed i Biumensi una sincera pace e remissione ai CAPITOLO DECIMO 237 passati odi. Ottenne poi dall'Imperatore Carlo V la celebre sentenza portata dalla pergamena 27 ago sto 1514, nella quale stanno descritti gli 'atti tutti legali di remissione per parte delle famiglie ed indi vidui offesi, la grazia dell'Imperatore e le garanzie e fidejussioni portate dai distinti individui a favore degli implicati a tale faccenda. Le somme prestate per cau zione ascendono a 25.000 scudi d' oro e tale malle veria è duratura a cinque anni consecutivi. Della gra zia surriferita non approffittarono i qui sotto notati, perchè evasi ed appartenenti ad altro stato. » 1515 – Gli Svizzeri, vinti da Francesco I colle fa mose battaglie di Marignano e di Vercelli, sono inse guiti fino a Varese, da cui muovevano per la Svizzera, passando da Ponte Tresa. Nelle guerre successive di Francesco I, Varese gode di una grande tranquillità. 1536 – I Varesini prestano giuramento di fedeltà a Carlo V. 1538 – Carlo V concede a Varese il privilegio di non essere mai infeudato. Dalla Cronaca Grossi si toglie quanto segue: « Sua Maestà l'Imperatore Carlo V con procura generale, data nella città di Genova, il 31 giugno 1538, decimo anno del suo Impero, e vigesimo terzo de' suoi Regni, abilitò con ogni più estesa ed ampia facoltà i magnifici signori. Amministratori delle entrate appar tenenti a S. M., nello Stato di Milano, a vendere ai rappresentanti e deputati dell'insigne Borgo e Castel lanze di Varese, che furono gli Ill. Sigg. Don Bernar done Orrigoni, fu Don Paolo, abitante in Biumo infe riore; Don Tomaso Besozzi, fu Francesco, di Varese; Don Francesco Daverio, fu Don Galeazzo di Varese; e Don Gio. Pietro Marliani, fu Don Gio. Antonio, detto 238 VARESE E SUO CIRCONDARIO Menapace, pure di Varese; tutti i Redditi Camerali del Censo e tassa sopra il sale, nonchè quelle del Dazio delle Dogane, spettanti a detto insigne Borgo e sue Castellanze, per il prezzo di L. 8000 imperiali, buona moneta di Milano, e pagabili entro due giorni, sotto patti e condizioni stipulate espresse, e più diffusamente descritte nell'istrum. 19 novembre 1538, rogato da Giuliano Pessina, not. di Milano. « Item, pacto apposito ut. ullo unquam tempore non possit, nec valeant concessionem aliquam feudalem , sive titulo gratuito, sive oneroso, sive aliter quomodo cum. directe, nec per indirectum facere in aliquam personam, sen aliquas personas cujus, etc., gradus et Conditionis Comune Collegium aut universitatem de dicto burgo Varisii et Castellan, ac de restan. plebe locis terris et Cassinis, et juribus ipsius Burgi Varisi, hactenus non alienat nec infeudat. ut dicta Communitas Varisii cum aliis personis, et locis supra connumeratis nullum habeant superiorem mediatum nec immediatum recognoscere nisi sereniss. Imper. » 1570 – Essendo venuto a notizia dei Rettori del Borgo, che taluno brogliava presso Filippo II, onde avere in feudo Varese, essi per non perdere i diritti e privilegi, accordati da Carlo V, sul non poter essere in feudati, convocarono in generale seduta i Varesini, onde nominassero procuratori presso il Re Filippo, per so stenere e far valere i titoli, i diritti e privilegi sopra accennati. L' adunanza fu tenuta in chiesa di S. Gio vanni. L'Atto è rogato da Antonio Maria Perucchetti, e nomina più di cinquanta famiglie varesine nobili, ed alcuni maestri. Filippo II, in vista di quanto esposero i Varesini, mantenne loro il privilegio, accordato da Carlo V. CAPITOLO DECIMO 239 l583 – Ai Consoli ed agli uomini di Provvisione succedono sei Reggenti nell'amministrazione del Borgo. l585 – Si pubblicano gli Ordini relativi al regime del Borgo, e, per le controversie insorte, si stabilisce che i Reggenti stiano in carica due anni, ma rinno vati annualmente per metà, sicchè ne sieno sempre in carica tre vecchi e tre nuovi. Il Borgo vien diviso in sei Squadre, denominate di S. Giovanni, di Santa Maria, di Biumo superiore, di Biumo inferiore, di S. Dionigi, e di S. Martino. I Reggenti, quando erano nominati, ricevevano in regalo uno scudo e un paio di guanti. (Cronache Adamollo e Grossi.) 1586, 19 giugno — Per istemperate pioggie ai monti il Vellone allaga, straripando, le campagne da Velate sino a Varese, che ne rimane innondato. Il danno fu

calcolato di 2000 scudi. - 1588 — L'inverno è si mite, che in gennaio si veg gono mammole nelle siepi e fiorite le piante fruttifere. In luglio poi una febbre acuta pestilenziale miete molte vittime, e in un solo giorno ne caddero colpiti più di trecento. l589 – Si mette la campana al Pretorio per le con vocazioni dei Comizii. 1590 – Un ordine della Reggenza comanda che si levino le lobbie di legno all'esterno delle case. 1591 – In agosto difetta il pane, perchè i mulini sono arenati da straordinaria ghiaia, trasportata da ripe tute alluvioni. 1592 – Varese e dintorni son infestati da lupi, e si stabilisce un premio di 10 scudi per ciascun animale ucciso. 1595 – Lite tra i Reggenti ed i macellai perchè questi non attengonsi alla meta. I Reggenti decretano di dar 240 VARESE E SUO CIRCONDARIO il macello ad un solo beccaio e lo affittano a Luca Mantegazza. Il Senato di Milano conferma la sentenza. 1597 – Viene in settembre il Governatore di Milano, con moglie e figlio a villeggiare in Varese, a spese del Comune. Fu accolto con gran corteo di cavalieri; fu regalato « di lingue salate e sbrinze e dolci e vino, ecc. » Questi inizia la serie dei Governatori Spagnuoli, che, per alcun tempo dell'anno, a Varese godono la buona aria a spese pubbliche e da qui governano Milano. 1598 – In dicembre arriva il Duca di Savoia spe sato dalla Regia Camera, con isplendida Corte. Nel tempo istesso vi sono a Varese tre Vescovi, e più di millecinquecento persone. 1599 – Si è fatto tanto vino che se ne dovette per sino gettar via. Giunge a Varese il signor Contestabile colla moglie. Si fermano due di, accompagnati da sì numeroso se guito, che le case di Varese e Castellanze sono oc cupate tutte. Giunge pure l'Arciduca d'Austria e l'Infante Isa bella di Spagna. In loro onore viene eretta la Porta a Pozzovaghetto. Visitano il Sacro Monte, e sono spe sati della Regia Camera. 1600 – Passano da Varese quattromila e duecento Svizzeri, che vanno in Savoia al servizio del Re. Il Comune li alloggia, ma il vitto è da essi pagato. Gran quantità di lupi girano per le campagne ed uccidono molte persone. Solamente nel territorio di Castronno e Morazzone vi furono più di cento vittime. 1601 – Gran terremoto, che però non reca danni. 1603 – Viene a Varese una compagnia di soldati, mandata per ordine del conte di Fuentes, Governatore di Milano. Per alloggiare i soldati si delibera fabbricare CAPITOLO DECIMO 241 una caserma, e la fabbrica di essa si incomincia que st'anno. Si temono le molte streghe, che il volgo crede esistano. 1604 – Ventitre compagnie di infanteria spagnuola, che debbonsi recare in Fiandra, passano la rivista in Varese. Varese e sua giurisdizione, con grave spesa, manda gua statori a demolire il castello di Fuentes sul lago di Como. 1606 – A cagione del continuo bel tempo, in ot tobre disseccano i pozzi, e si deve far venire l'acqua dalla Madonna del Monte. 1607 e 1609 – Stanziano molte soldatesche Ale manne, colla spesa alla Comunità di circa L. 400 al giorno. 1610 – Quattrocento corazze borgognone alloggiano in Varese per otto giorni. Fanno acquisti per 1500 scudi, e partono senza pagarli. La Comunità ricorre a Milano per l'indennizzazione. 16ll – Seimila Svizzeri, terminato il servizio mi- , litare sotto il re Filippo, ritornano alle loro case, pas sando per Varese, ove fanno spesa di più di 1000 scudi. 1614 – Il signor Gio. Pietro Dralli conduce a Va rese la sposa, con gran corteo di gentiluomini e archi bugieri. Quest'ultimi fanno ripetute salve di moschet teria. Festa popolare, in cui si danno offelle e vino a tutti. 1615 – Stanziano in Varese cinque compagnie d'Alemanni, formate da più di mille soldati. La neve copiosa, caduta nell'inverno, fa crollare i tetti di parecchie case. 1616 – Dall'istromento, in rogito Francesco Orri gone, emerge che la Comunità dava in appalto le con danne sanitarie.

Varg5g e Sll0 Circ0nd. - VOL. I. - 16 242 VARESE E SUO CIRCONDARIO In quest'anno alla fiera si trova nessun cavallo, con meraviglia dei Varesini, che mai non videro cosa

simile. - 1617 – Il Card. Federico Borromeo recasi appo sitamente a Varese per incontrare il Card. Ubaldino, che viene dalla Francia, e va ad abitare alla Cavedra, sua Abbazia. Il Card. Federico visitò soventi volte Varese. 1619 – Arriva il terzogenito del Duca di Mantova, Cardinale a quindici anni, ed alloggia all'osteria della Cerva. Il popolo meravigliato ammira nella notte, verso po nente, una cometa di straordinario splendore, e ne fa i più strani commenti. 1621 – Filippo IV, con Diploma 4 agosto, promette al Borgo di Varese di non infeudarlo. Il Senato di Milano riconobbe poi quel diritto, con decreto 7 lu glio 1645. 1622 – Per ordine superiore, venuto da Milano, il Giudice delle vettovaglie ed il suo Sindicatore, sono obbligati a restituire le multe indebitamente percette. 1630 – Si fabbricano capanne di legno al Boscaccio di Giubiano, per ricoverare gli appestati. Tale con tagio infierì specialmente nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, e si ripetè poi due anni dopo. Il luogo, dove si eressero le capanne, è tuttodì so prannominato il Lazzaretto. 1636 – In giugno i Francesi invadono il Borgo e vi arrecano molti danni. Partiti essi alla fine di luglio, incomincia la peste, che infierisce dall'agosto a tutto dicembre. Erano tanti i morti che non si contavano. Molti cittadini, pel timore de' Francesi e della peste, si allontanarono dal Borgo, e non vi ritornarono che l'anno seguente. CAPITOLO IDECIMO 243 l637 – Gran festa per la traslazione delle Reliquie di Santi, donate dal signor Gio. Pietro Dralli al Pre posto e Reggenza, con istromento rogato da Francesco Annibale Orrigoni. In tale solennità funziona l'Arci vescovo Cardinale Monti, assistito da altri Vescovi. Gran concorso di gente, che molti alla notte devono dormire sotto i portici. Di simili feste religiose con gran concorso di popolo succedono frequenti, e le Cronache ne notano i minimi particolari. 1640. – Si fanno nuovi ordini per la Comunità. Tanto questi ordini, come quelli del 1585, furono stam pati. Meritano di essere letti per conoscere l' ordina mento amministrativo della Comunità *). 164l – Si finisce di riformare l'estimo della Co munità, e perciò vien fatto un nuovo Catasto. 1647 – Il Marchese e Questore Cesare Visconti tenta infeudare Varese e le sue Castellanze. La Co munità offre per la redenzione 6000 scudi, che furono poi pagati per mezzo de'signori Cesare Piccinelli e Carlo Ogogna, procuratori della Comunità. In seguito l'illustrissimo Magistrato Ordinario assi cura il Borgo di Varese, che non verrà mai infeudato, e che sarà sempre sottoposto all'immediato dominio di Sua Maestà e suoi successori. (Istromento 8 aprile, rogato dal Notaio Camerale, Francesco Mercantolo ; istromento che fu poi fatto stampare dalla Comunità, e conservato in un libro, avente per titolo Demanio, unitamente agli altri Decreti e Diplomi dei privilegi anteriormente avuti). Dalle scritture, inserte nel detto istromento, si ri cava che anticamente fu decretata l'infeudazione di Varese in Bernabò Visconti, ma che non ebbe effetto 244 VARESE E SUO CIRCONDARIO per i reclami dei Varesini, come osserva anche il Bossio nelle sue Pratiche, al titolo De Principe ei privilegiis ejus, N. 290. Altre notizie, risultanti da quell'istromento, sono che: Il marchese di Melegnano, conte Annibale d'Altemps, per mezzo di Pio IV, suo zio, il conte Giovanni Anguis sola, e Don Ottavio Gonzaga, generale della cavalleria, procurarono infeudar Varese; ma che non poterono con seguire il loro scopo per la opposizione dei Varesini, come consta dagli atti magistrali; e che il Borgo di Varese era Insigne , e . fu per privilegio incorporato alla stessa Città di Milano, sotto il nome di Corpi Santi. 1650 – Dal luglio a tutto ottobre infierisce una febbre letale , prodotta dai vermi intestinali, che fa morire circa dieci persone al giorno. Cessò coll'uso del vino. Questa malattia aveva già dominato nel 1615. 1654 — Il Tesoriere della Comunità, certo sig. Ogogna si reca a Milano ad esigere dalla Camera Ducale una somma di indennizzazione per gli alloggi militari. In quest' anno si pubblica un editto in istampa del tenor seguente: « Essendo stati fatti molti lamenti a questo Tribu nale delle strade, che in Varese seguono molti disor dini od abusi in materie delle strade, che sono in esso Borgo, e massime dagli riali de' condotti, che di con tinuo scorrono per le piazze, e contrade, e molto di rudo, che in esse si rimpongono cose molto disdicevoli da vedersi in luogo tanto insigne, come è il detto Borgo, oltre fettore e danno ancora al pubblico, che in ciò ne siegue, e così volendo il Signor Pompeo Castiglione Giudice, e Signori Sei Reggenti dell' officio delle strade della Città e Ducato di Milano, per servizio pubblico e per decoro del suddetto Borgo, provvedere a levare CAPITOLO DECIMO 245 li suddetti abusi e disordini, obbligandoli a questo il debito del loro officio, hanno perciò stabilito di far pub blicare la presente grida, inerendo sempre ad un'altra, già pubblicata fin dall'anno 1618 p. p., in simil materia d' ordine del Signor Conte Gio. Batt. Visconte, allora

Giudice di quest' officio delle strade. - « Con la quale comandano, che niuna persona di qual sivoglia stato, grado, condizione, si ardisca per l'avve mire mandare, o lasciar scorrer, alcuna qualità d'acqua, ed altre putredine eccettuata le pluviali delli detti riali o condotti nelle piazze, o contrade di detto Borgo di Varese, nè tenere lettame di sorta alcuna in dette con trade o piazze, sotto pena di Scudi quattro per ogni volta, e per ogni contrafaciente d'essere applicati per la metà al detto officio, e per l'altra metà all'accu satore, ossia officiale qual sarà per quest'effetto eletto da' detti Signori, o suo delegato nel suddetto Borgo, ed al quale si darà piena fede senz'altra prova. « Dall'Ufficio delle strade di Milano, li 8 luglio 1654. « Sottos. PoMPEo CASTIGLIONE GIUDICE. » 1655 – I Reggenti affittano a diversi « la stadera grande del fieno, della calce, della paglia, il terradico, la misura dello staro, la stadera grande delle merci e del vino, e la pioda del pesce. » 1656 – Il Podestà, ad istanza della Reggenza, con ordine 12 giugno, proibisce di impedire il libero pas saggio ne' portici con banchi, di gettar e cumular letame nelle strade, e che gli acquiroli dei tetti sco lino nelle vie. 1657 – Si istituiscono pubbliche scuole di gramma tica latina, umanità minore e maggiore, con quattro maestri. (Durarono per soli cinque anni). 1658 – La Comunità fa misurare tutto il territorio 246 vAREsE E suo cIRcoNDARIo di Varese per un nuovo censimento e catasto. Il nuovo catasto viene perfezionato nel 1661, coll'assistenza del Podestà, Otto Visconti, delegato dal Magistrato. La Co munità stessa, in causa di una grandine devastatrice, venuta il 29 giugno, fa ricorso per aver l'esenzione dei carichi. 1661 – Il Duca di Sermoneta, Governatore di Mi lano, viene a Varese, e si reca al Sacro Monte. Rice vuto con grande festa e musiche e spari, vien regalato di venticinque lingue salate e dodici sbrinze, e di altri doni. 1663 – In agosto fa un gran freddo per la neve copiosa caduta ai monti. Al 20 dicembre, vien affittato il dazio di Macina per cinque anni, al canone annuo di L. 9,000. Si pagano soldi 30 per ciascun moggio di frumento, e soldi 10 per la mistura. Il dazio di Macina fu imposto per pagare i debiti della Comunità, e concesso dal Duca di Feria, Governatore di Milano, per venticinque anni, e ricon cesso dal Governatore Luigi di Ponzaleon per venti anni. Non durò però che cinque anni, perchè fu levato a sollievo dei poveri, a cagione di guerre e peste. Il po polo era renitente a pagare quella tassa, e nell'anno seguente, al 20 maggio, si dovette pubblicare una grida, riguardante appunto il pronto pagamento di detta Ma cina. Per questo succedettero altre contestazioni. Es sendo durata per soli cinque anni, la Comunità non potè pagare con essa i debiti, di cui si era aggravata. 1664 – Il Podestà fa un editto, 20 giugno, con cui proibisce di lasciar girare bestie per il Borgo, sotto pena della perdita della medesima, e di 4 scudi di multa. 1665 – Si affitta a D. Gabrio Carera, come tutore e procuratore dei figli ed eredi del fu Paolo Andrea Re CAPITOLO DECIMO . 247 calcati, i redditi di stadera, terratico ecc. con grazia perpetua di redimerli al prezzo di L. 19472. 10. (Istro mento rogato Ogogna). 1666 – La grande abbondanza d'ogni genere di raccolto solleva il popolo dalla miseria degli anni pre cedenti. Il frumento si paga L. 13 al moggio, ed il vino ordinario L. 3 alla brenta. Arrivano il Principe Teodoro Triulzi, ed il Duca Del Vito colla sua moglie, fermandosi per tre giorni. 1669 – Arriva il Duca del Sesto, Governatore di Milano. Alloggia nel palazzo Biumi a Biumo superiore. Gli si fanno grandi accoglienze e i doni soliti. Tutte le sere si danno feste in casa Biumi. Controversie per la gestione dell'Azienda Comunale, e revisione dei conti dietro ordine superiore. – Ele zione di nuovi Reggenti ed Uomini di Provvisione. 1670 – È nominato protettore del Borgo il signor Conte Pirro Visconte Borromeo. 1671 – Ritornano i signori Principe Triulzi e Duca Del-Vito. 1672, agosto 29 – Scoppia un fulmine in piazza, gettando a terra cinque uomini, uno dei quali muore il dì seguente. 1673 – In marzo arriva il figlio del Re di Marocco, per fermarsi alquanti giorni, ma dopo cinque dì ritorna a Milano, chiamatovi dal Duca d' Ossuna, Governatore di Milano. In luglio sì grande innondazione, che il Borgo pare un lago. 1675 – I Reggenti, con loro Ordinanza del 3 dicembre, stabiliscono che il Reggente della Squadra, alla quale toccava eleggere il Giudice delle Vettovaglie, abbia a presentare tre individui, da cui i Reggenti stessi, a voti segreti, potessero scegliere il Giudice. 248 VARESE E SUO CIRCONDARIO 1676 – Arriva il Principe di Liguè, Governatore di Milano, colla Principessa sposa. Ebbe molti doni dalla Comunità, ed anche dai privati. Dimorò in Casa Orri goni. Diede una sfarzosa festa da ballo, visitò tutti i monasteri, facendo nelle chiese cantare i musici, che aveva con sè. 1680 – Varese è innondato a ciel sereno. 1681 — Il marchese D. Luigi Biumi conduce a Va rese la sua sposa. Si fa una gran festa popolare a sue spese in piazza, dandosi pane, vino e formaggio a tutti. 1682 – Il Governatore di Milano, Conte di Melgar, viene alloggiato in Casa Orrigoni. Solite feste. Ha con sè gli ufficiali di Segreteria per spedire gli affari di Stato del Ducato di Milano. Il Conte di Castelbarco, il generale Loigmy, ed altri personaggi, vennero a Varese a complimentarlo. 1683 – Mille Svizzeri, che vanno al servizio del Re, prima di partire da Varese, danno una rivista militare davanti alla chiesa dell' Annunciata. La Comunità ottiene dal Senato un decreto contro le molestie dei Commissari delle pubbliche gravezze. Dalle carte, custodite nell'Archivio di Stato in Mi lano (Cartella 227, Fiere e Mercati) si leggono i pri vilegi del mercato di Varese; e da esse si apprende, che gli abusi, condannati nel citato decreto, si rinnovarono ogni tratto pel corso di più di un secolo, e cioè fin dopo l'anno 1750. 1686 – L'Ufficio delle strade, ponti ed acque del Du cato di Milano, ad istanza dei Reggenti, fa pubblicare una grida, in data 28 giugno, riguardante la pulizia del Borgo, il regolamento delle siepi, e la spazzatura dei torrenti, in modo particolare quello del Vellone. 1687 – De' ladri, di notte, entrano nella Basilica, e vi rubano oggetti del valore di circa 24.000 lire. CAPITOLO DECIMO 249 1690 – Stanziano per alcun tempo tremilacinque cento Svizzeri, così fetenti, che vennero in gran parte mandati altrove. Alcuni morirono a Varese. Erano un miscuglio di cattolici e luterani. I primi si seppellivano in chiesa, i secondi al Campiglio, per andare a Ma snago. Si vestirono quasi tutti a nuovo in Varese, e ciascuno di essi aveva 20 soldi al giorno di paga. 1696 – Grande carestia. I montanari circonvicini, venendo a Varese per le provviste loro, comperano crusca, e la mangiano per fame. Il frumento costava L. 60 al moggio; il miglio L. 40. Un giorno il popolo prende in mezzo un mercante di grano (biavirolo), perchè si approffittava della ca restia, usando di uno staio di non giusta misura, e lo conduce dal Giudice. Il Giudice delle vettovaglie, sig. Angelo Maria Or rigone, gli fa dare i tratti di corda sulla piazza. Nell'estate, continuando la siccità, si fa una solenne processione generale per lo spargimento dell' acqua di S. Gemolo, ritenuta mezzo potente per impetrare dal cielo la pioggia. , 1698 – Nella settimana santa il popolo accorre a visitare lo scurolo della chiesa di S. Lorenzo, per ve dere alcuni soldatis pagnuoli, i quali, sotto il peso d'un armatura di ferro, immobili e digiuni, vollero stare a guardia del sepolcro, per tutto il tempo dell'esposizione. 1703– I borghigiani sono in apprensione per un certo unto sulle muraglie; ma non ne seguì alcun male. Si sospetta che quell'unto sia sparso da alcuni vagabondi, che girano pel Borgo; epperciò ne vengono arrestati alcuni. Trovati incolpevoli, sono lasciati in libertà. Nel medesimo anno si fanno grandi feste, con sbari e sinfonie, ed eccone il perchè: 250 VARESE E SUO CIRCONDARIO « L'eccell. sig. Don Giov. Luca Spinola, genovese, Duca di S. Pietro e Grande di Spagna, fino dall'anno 1686, aveva supplicato il re Carlo II, affinchè gli concedesse Varese in feudo. Pervenuta una tal notizia in questo Borgo, li principali di esso si adunarono nel Convento dei Cappuccini, ed ivi presero risoluzione di fare in modo che con avesse effetto l'infeudazione. Tale faccenda fu dibattuta lungamente presso il Re, e finalmente, tro vandosi presso il medesimo il Conte di Melgar, che poco prima avea terminato il suo governo di Milano, fu dal re interrogato che luogo fosse Varese, ed avendogli significato che era un luogo ragguardevole per la sua ampiezza, bellezza e situazione, vicino agli Svizzeri, e che esso Conte, nel tempo di sua carica a Governatore di Milano, lo avea scelto per farvi una villeggiatura per essere un luogo delizioso, subito il Re risolse di non concederlo allo Spinola, e perciò sovra un memoriale, che questo Duca aveva presentato circa l'anno 1690, decretò che non v'era luogo alla domanda per Varese, e che chiedesse qualche altro luogo, e così avrebbe visto se poteva graziarlo. » « Dopo tale risposta il Duca procurò di avere Ca salmaggiore, e non avendolo potuto ottenere, per oppo sizione fattagli da quelli abitanti, ne fece ammazzare due. Attribuendosi un tal delitto a lui, venne processato, ed il processo gli costò più di 100.000 scudi. Poi do mandò Sabbionetta, e l' ottenne. » « Nel 1702, Filippo V, essendo venuto a Milano, mentre si trovava in guerra nel campo di Luzzara, il duca Spinola donò Sabbionetta al Re, ottenendo da questi il decreto grazioso, con cui gli si concedeva in sovranità Varese colle Castellanze, e la Pieve d' Ar cisate, eccettuati Besano e Brusimpiano, e tutto colla CApITOLO DECIMO 251 condizione che i popoli ne fossero contenti, e che il Duca pagasse alla ducale Camera di Milano la somma annua di circa L. 40.000. Un tal decreto, sebbene otte nuto assai prima dal Duca, fu palesato in Varese solo in dicembre, perchè nel frattempo aveva lavorato sotto mano a formarsi un forte partito in Varese stesso, e riuscì ad averne dalla sua alcuni, e tra questi i Padri scalzi, che procuravano ottenere dal popolo l'assenso. Ma alcuni lo combattevano, e principalmente i signori marchesi Gio. Battista ed Alessandro Orrigoni, zio e nipote, Don Gabrio Recalcati, Pietro Brazziere, esattore dei carichi, e Pietro Francesco Castiglioni. Tutti questi vennero chiamati a Milano, perchè ritenuti gli influenti nel popolo, e credendo che, lontani loro, il popolo avrebbe dato l'assenso; ma invece le Squadre, eccetto quella di Biumo superiore, fecero procura al detto sig. Orrigoni per sostenere la libertà. Si dibattè di nuovo la quistione, e finalmente il Re decretò, che il Duca dovesse porre perpetuo silenzio sopra Varese, e ciò fu nell'estate del 1703. « Le scritture, in favore ed in difesa della libertà del Borgo di Varese, furono fatte dal sig. Avv. Giorgio Giu lino, e la maggior assistenza, prestata in quell'occasione ai borghigiani, fù quella dei signori marchesi Orrigoni e Recalcati, e dal conte Don Giulio Visconti, Protet tore del Borgo. » (Dalle Cronache, e atti relativi) 1704 – Alcuni lupi giramo la campagna intorno Va rese, ed uccidono sedici persone, senza che di essi ne venga uno preso. 1706, 12 maggio – Ecclisse di sole quasi totale. Il popolino ne è spaventato per la novità di veder le stelle in pieno giorno. 1708 – Negli anni passati le campagne furono de 252 VARESE E SUO CIRCONDARIO vastate da insetti nocivi , detti volgarmente pizzoli, gubelle, carughe, ed altri, che comparvero in quantità straordinaria. Al presentarsi di simile flagello, oltre al solito editto, pubblicato dal Podestà del Borgo, in ese cuzione di lettere dell'Eccellent. Senato di Milano, col quale prescrivevasi ai contadini, sotto pena di scudi 10, di distruggere tali animaletti, facevasi a tal fine una lunga processione pei campi, nella quale, in seguito a speciali concessioni dei pontefici Clemente XI e Inno cenzo X, maledivansi quegl'insetti. In quest'anno, constatata l'inefficacia di tale rimedio, la Reggenza vieta la processione. 1709 – Arriva Don Livio Odescalchi, nipote del fu papa Innocenzo XI, principe di Sirmio, duca di Brec ciano. l710 – Certo Pietro Antonio Braziere, incaricato di riscuotere le tasse, d'accordo col ragioniere della Co munità, fece molte frodi. Conosciutosi il fatto, si mu tarono subito i Reggenti, e i destituiti col Cancelliere, nell'anno seguente, furono imprigionati. Ottennero poi la libertà mediante cauzione. La lite durò più di dieci anni, senza avere un esito favorevole alla Comunità, la quale dovè spendere molte migliaia di lire. Il perchè del nessun esito si fu, che senza permesso superiore l'attuario disuggellò il sacco, dove erano state chiuse le scritture del Braziere; e questi colse occasione di sostenere, che da quel sacco venne levato un libro, che servir dovea a sua difesa. 1710 al 17 18 – I Reggenti sono impegnati a ri spondere, e a fare rimostranze al Tribunale di Milano per provare insussistenti i gravami, che il marchese Luigi Biumi fa a carico di essi in vista del pubblico bene. CAPITOI,O DECIMO 253 1712 – Gran morbo polmonare nei bovini. Dura più di tre anni. 1715 – Il Dott. Bernasconi presenta al signor conte Giulio Visconte Arese la petizione, di cui si parlò nel capitolo III. 1719 – Il mercante Veratti sporge querela contro l'esattore delle imposte, certo Alba. Il governo nomina a revisore dei conti dell' esattoria il rag. Motta, e, ve duta la colpabilità dell'esattore, lo cerca per arrestarlo. L'Alba, alla sua volta, dichiara la sua innocenza con una relazione a stampa, ma vien preso in mala vista. È ignoto l'esito della causa; però da alcune espres sioni dei documenti pare che l'Alba sia stato condan mato. (Archivio di Stato, cartella 1275 – Censo Co muni). In quest'anno le notifiche pel nuovo censimento ca gionano spese e vessazioni. Al 27 luglio, arriva l'arci vescovo Odescalchi. Riceve la sua nomina a Cardinale mentre qui dimorava, e perciò gran festa in chiesa, e dimostrazioni d' onore per parte dei Reggenti. 1720 – Viene il Cancelliere di Milano, Pirro Vi sconti, col maresciallo Annibale, e l'abate Luigi, suoi fratelli. Furono riveriti dal principe Arese e dal conte Archinti. Vennero per divertimento il 7 aprile, e ritor narono a Milano il 19. Visitarono i dimtorni. Lite coi macellai, perchè non vogliono stare alla meta. La reggenza ottiene dal Senato un decreto, con cui si obbligano ad obbedire. Il Tribunale di Sanità in Milano obbliga quei di Va rese a mettere i cancelli intorno alle porte, ed i citta dini a far la guardia, perchè non entrino persone in fette di peste, la quale infieriva a Marsiglia. I borghigiani tentano sulle prime di esimersi dagli 254 VARESE E SUO CIRCONDARIO ordini del Tribunale di Sanità, temendo un grave di scapito pel loro commercio : ma poi devono obbedire, ed usare ogni rigore, che però cessa ben presto. Ven gono sigillate le porticine dei privati, che mettono ai giardini o chiosi, fuori delle mura. Alle entrate del Borgo, agli sbocchi delle vie, che mettono alla cam pagna, si innalzano dei cancelli, ed a guardia dei me desimi stanno un gentiluomo, un bottegaro ed un ar tigiano, armati di schioppo e spada. Quelle guardie mangiano e bevono, e stanno allegri. La spesa d'im pianto di quei cancelli, e rispettive capanne di legno, costò alla Comunità L. 1,500. Furono levati in novem del 1722, ritenuti quali un provvedimento inutile. Al Tribunale di Milano importava che i borghigiani si attenessero a' suoi ordini; perchè ne aveva fatto una speculazione, rilasciando, dietro pagamento di una tassa, la bolletta di libero transito, 172l –- I macellai si obbligano a dichiarare se so riani o mastri, ed a loro si proibisce l'insaccare sa lami e dar per giunta le ossa della testa e delle gambe. Questi ricorrono, ma ottengono solamente di poter in saccare salami. Al l5 settembre, viene il Conte Gerolamo Colloredo, Governatore di Milano, e va ad alloggiare in casa del Marchese Biumi. Gli furono offerti bacili di dolci, coppe salate, fiaschi di vino, e otto pernici vive in una gabbia. l722 – Passa il conte Giulio Visconti Arese Bor romeo, Grande di Spagna, Cav. del Toson d'oro, colla, sua sposa. Era Protettore del Borgo, quindi acco glienza ufficiale e doni. Arriva pure l' oblato Sormani ad ispezionare gli Ar chivi del Capitolo e della Comunità, per fare la storia della Diocesi. CAPITOLO DECIMO 255 l723 – Il commercio è languido in modo straordi mario. Agli altri mali si aggiungono un gran contrab bando, di molte vessazioni, la poca giustizia, e gli impresari dei pubblici carichi despoti e troppo temuti Colle multe inflitte ai macellai si fece spianare la piazza di sant'Antonio, per poter ivi giocare al pal lone, divertimento prediletto in quel tempo. Quel giuoco prima si teneva in piazza di S. Martino; ma le monache di quel Convento, avendone fastidio, infissero sul mu ricello del loro giardino tante punte acute di ferro, perchè, così cadendo sul muricciolo, il pallone si gua stasse. « In quest'anno arriva l'avviso alla Comunità di pa gare la mezz'annata del quindennio. Il quindennio era di L. 600 vecchie, ossia di “900 correnti, calcolato il filippo a L. 5 e 6 soldi. » (Cronaca Grossi) Quanto costava cara quella libertà! Oltre i sacrifici e le spese sostenute più volte, Varese pagava ogni quin dici anni L. 900 per essere sudditi immediati del capo imperante. Dal podestà Crodara si rimette l'usanza di far suo nare a due ore di notte la campana del pretorio, perchè si chiudano le osterie. Per gravi inconvenienti il Podestà chiede, per favore, che nel giovedì santo abbiasi a fare la comunione anche prima della Messa solenne. Si termina di misurare il territorio di Varese per la formazione del nuovo censo. I geometri, delegati per tale operazione, trovarono sempre molti ostacoli ad en trare nei Monasteri, ne' quali non potevano accedere senza uno speciale permesso delle competenti autorità, e guai se mancava una qualche formalità. Per esempio, l' anno passato, i due geometri, monsig. Villette e mon sig. Ghilbert, penetrarono nel convento di Santa Teresa 256 VARESE E SUO CIRCONDARIO per misurare un chioso, col permesso della superiora, ed accompagnati dal Vicario Foraneo. Eppure, perchè en trarono non visti, e ad insaputa delle monache, queste intentarono loro un processo, le carte del quale si spe dirono al Gran Cancelliere di Milano. Certo signor Don Giuseppe Castiglioni, di Lozza, uomo assai prepotente, recavasi più volte a Varese col corteggio di alcuni bravi, e vi commetteva ogni sorta di angherie e di soprusi. Egli era temuto non solo dal popolo, ma anche dalle autorità e dai soldati ; e po teva perfino far mettere in libertà quello de' suoi ca gnotti, che per caso fosse caduto nelle mani della giu stizia. E tanto abusava della sua tracotanza, che un dì l'autorità, per disfarsi di lui, col suono della campana del Pretorio, chiamò il popolo a raccolta, il quale non ardì mettere le mani addosso a quel briccone. Per tal fatto espressamente giunge in Varese, da Milano, il Ca pitano di Giustizia per avere esatte informazioni del l'accaduto, e provocare dal Senato una punizione sul popolo, il quale era rimasto inattivo all'appello del Podestà, e dei Reggenti. Il popolo seppe scolparsene coll'addurre, che nei casi straordinari era astretto a raccogliersi solo al suonar a stormo delle campane di S. Vittore, e non a quello della campana del Pretorio. l'724 e 1725 – Ritorna il conte Colloredo. Alla seconda venuta di lui si diedero caccie e pranzi splendidissimi. Alla mattina si cacciavano i tori, al dopo pranzo le lepri. Un giorno si imbandì un lauto pranzo al Gaggiolo, sotto sette padiglioni, appositamente eretti. Fu visitato in Varese dal Castellano di Milano, dal Presidente della Repubblica di Venezia, da un in viato del Duca di Savoia, dai generali Sartirana e Mar zorati, e da altri. Fece varie grazie ai detenuti. CAPITOLO DECIMO 257 l'728 – Usavasi , negli anni antecedenti, distri buire dai parrochi i biglietti pasquali alle case dei sin goli privati. Quei polizzini si dovevano consegnare al l'atto della comunione pasquale, e servivano a far co noscere i trasgressori di tanto precetto. Quest'anno tale uso vien tolto. 1730 – Arrivano improvvisamente due battaglioni di Francesi (circa mila e cinquecento uomini), reduci dall' assedio del castello di Milano. La Comunità è vi vamente impensierita per la difficoltà di alloggiarli, e spende a tal uopo la somma di 12.000 lire. Stanchi dalle fatiche sopportate, e dal pesante servizio, cui erano astretti, muovono lamentele ai loro superiori, e prendono nel tempo stesso segreti accordi fra loro di disertare in massa. Frattanto più di cento di essi muoiono all' ospedale, e cento fuggono nella vicina Svizzera. l73l – L'ufficio di posta a Varese fu messo più volte, e più volte dovette cessare. In quest'anno il mastro della posta spedisce le lettere a Milano con un cor riere a cavallo. Il prezzo per ogni lettera era di 4 soldi, più un soldo di mancia al procaccino. I Varesini fanno ostacoli, trovando comodo e di minore spesa consegnare ai cavallanti le lettere aperte, ovvero in plico suggellato. l733 – Viene il conte Daun, Governatore di Milano, con moglie e figli. A Varese stanzia un reggimento composto di soldati francesi e piemontesi, molto in disciplinati. Le continue mancanze di essi sono pu mite colla prigionia : se soldati semplici, vengono chiusi nelle carceri pretoriali; se bassi ufficiali, nella casa del Barigello; se alti ufficiali, nelle loro case d'abita zione. 1734 – Arrivano truppe francesi, che in sulle prime Varese e suo Circ0nd. - VoL., I. 17 258 VARESE E SUO CIRCONDARIO sono temute, e che poi, trattenute da rigorosa disci plina, fanno poco danno; anzi gli ufficiali, che erano tutti alloggiati in case private, se la godono con ogni sorta di divertimenti. 1735 – Vengono altri soldati francesi, che recano molti danni specialmente a coloro che aveano allog giati i loro ufficiali. Partiti i Francesi ed i Piemontesi dallo Stato di Mi lano, entrarono in Varese gli Austriaci. La Comunità, trovando che l'appalto del pubblico macello, aperto in tempo di quaresima pei malati, può offrirle un utile, da quest'anno in avanti avoca a sè il diritto dell' aggiudicazione del medesimo, demandata per l'addietro al Preposto, lasciando in facoltà dell'as suntore di accordarsi col Preposto, al quale era d'uso regalare una somma di denaro a pro della chiesa. 1742 – Il macello vien di nuovo appaltato ad un solo macellaio. Gran festa e traslazione del Simulacro dell'Addolo rata. La Comunità vi concorre per 1500 lire. l743 – Per contestazioni insorte tra i macellai e la Comunità, questa, a troncare ogni inconveniente, crede bene assumere essa stessa la macellazione delle bestie. Ma ne deve presto cessare, perchè i macellai unanimi recansi al vicino comune di Masnago ad aprire negozio. 1744 – Nel Circondario sono tre i mercati impor tanti, cioè quello di Varese, di Laveno, e di Angera. A ciascuno di essi era fissato un certo numero di terre a cui dovevano provvedere. Ora essendo invalsa la consuetudine, che le persone di quelle terre andavano a quel mercato che loro più conveniva, un editto, 27 feb braio, richiama in vigore l'antica legge che cioè: va CAPITOLO DECIMO 259) dano a provvedersi grano e riso al mercato di Varese, quelli di Varese e sua Giurisdizione, della Valcuvia, della Val Marchirolo, e della Pieve d'Arcisate ; a La veno, quelli di Laveno, di Cerro, della Pieve di Leggiuno, e della Valtravaglia; ad Angera, quelli d'Angera , Sesto Calende, e Pieve di Brebbia. l751 – I Varesini fanno pratiche coercitive presso il governo, perchè si interponga a che il signor To maso Orrigone, eletto Reggente, si induca ad accet tare la carica. 1752 e 1753— Controversia tra i Reggenti o alcuni cittadini, che li accusano di malversazione del pub . blico denaro. La Reggenza si discolpa con una rela zione a stampa dei redditi e debiti del Borgo contro un libello intitolato: Della poca attenzione di chi governa. In questa controversia è posta in mezzo anche la Fab briceria di S. Vittore, perchè il Comune non voleva più pagarle un certo reddito annuale di L. 3439. 66, che le doveva per istromento del 1674. Il 19 giugno l752, s'aprì in Varese il Congresso per definire i confini tra la Lombardia e la Svizzera italiana, stante le continue liti, alle quali prima quei confini mal determinati davano luogo. Il Congresso durò sei settimane. Al 2 agosto si firmarono gli atti. Gli Svizzeri acquistarono fondi, che prima non avevano, perchè ordini supremi avevano comandato di conceder loro tutto quanto desideravano. Il Congresso si tenne in due sale del Pretorio, una tap pezzata di damasco cremisi, l'altra di damasco limoncino. In quest'ultima eravi appeso il ritratto di S. M. Maria Teresa. Due alabardieri, vestiti di rosso, facevano la guardia al principio dello scalone. Lo Stato di Milano era rappresentato dal Senatore 260 VARESE E SUO CIRCONDARIO conte Verri Gabriele coi segretari ingegneri fiscali; gli Svizzeri avevano per rappresentante Giuseppe Hein rich, ed i deputati di Locarno, Lugano, Tresa e Men drisio. I primi abitarono nelle case Orrigoni e Mozzoni Frasconi a Biumo inferiore; gli altri in casa Alemagna, in casa Biumi Litta. Alle abitazioni di ciascuno eranvi sei soldati di guardia. Alla sera de' gentiluomini re citavano una piacevole operetta. Il consiglio della Reggenza deliberò di porre delle iscrizioni commemorative sulla scala del Pretorio ). Al 14 dicembre 1752, il governo dà istruzioni se grete al Vicario Generale, perchè riferisca sugli abusi del pubblico di Varese, ed il Vicario Durante, risponde con nota 28 dicembre stesso anno. Si danno disposizioni tassative pei mercanti di Gal larate, in merito ad alcune questioni insorte coll'af fittuario del terradigo. Gli Atti relativi citano Statuti latini, propri di Va rese, dell'anno 1389, che andarono perduti.(Vedi Berlan, pag. 103). I Reggenti, visto il sempre crescente spopolarsi del mercato varesino per le tasse imposte contro gli an tichissimi privilegi, tra cui eravi il libero transito di due staia di grano recato sulle spalle, e di quattro staia portate sopra qualsivoglia giumento, fanno un istanza all'Illustr. Tribunale di Milano, perchè prov veda a togliere i disordini. In quell'istanza sono ac cennati gli antecedenti decreti favorevoli al citato pri vilegio. Uno di essi è del 26 giugno 1652, in cui sta scritto : L. Commissarii, & alii Offitiales non molestent adeuntes Mercatum Varisii, & revertentes contra so litum vehendo pedestres Staria duo, equestres Staria quatuor. CAPITOLO DECIMO 261 Un altro è del 23 settembre 1675, così concepito: Entendiendo el Principe mi S., que la Compania de Infanteria Alemana, que se hà enviado à Vares para guardia de esfrosos de granos se haze incomoda à aquellos Vecinos, poniendo estorvo à los, que trahen al Mercado de à quel Burgo dos Estaras de Granos en ombros, y quatro estaras sobre Boricos, en encon trarietad de su permission havviendoles assi mismo contribuir, ordena, y manda S. E. al Capitan de dicha Compania, que attienda, con singolar cuidado à que los Soldados della Compania no cometan la menor desorden, en preguicio de à quellos subditos, ni hagan vegacion, ò molestia à los, que conducieren granos al Mercado de dicho Burgo de Vares, en la forma, que se hà dicho sin pretender, o pedir cosa alguna à los Conducientes de dichos granos, attendiendo solo à que nò los desuien al Pays de Grisones, y que si alguno eontraviniere en algo de quenta à S. E. para que le mande dar el castigo, que reserva en si. à 23 de Settembre 1675. Iuan de Gorioran. 1755 – Il 26 maggio, arrivò incognito al convento dell’ Annunciata il Card. , ed il giorno dopo fece l' entrata solenne in Varese. Le feste in suo onore furono straordinarie, e costa rono gravi spese alla Fabbriceria ed alla Comunità. Quest’ultima a tal uopo, e ad estinguere antecedenti impegni, fece un mutuo di quasi 100,000 lire colla Fabbriceria stessa. Il Cardinale entrò a cavallo, sottorbaldacchino bianco, i cordoni del quale erano sostenuti dai Reggenti. Così pure il seguito del Cardinale era tutto a ca vallo, portante le insegne vescovili e cardinalizie. Oltre 262 VARESE E SUO CIRCONDARIO tutti i religiosi, confratelli, e preti di Varese e Castel lanze, intervennero alla processione cinquecento fanti d'onore, i trombettieri a cavallo del Governo di Milano, varie bande musicali, gran seguito di carrozze dei nobili, alle quali facevano coda cinquecento soldati di fanteria. L'apparato delle vie era straordinario, e vari archi trionfali, con istatue allegoriche, erano posti qua e là. Inscrizioni d'ogni genere allusive. I disegni furono fatti dai migliori ingegni varesini di quel tempo, quali i pittori Ronchelli, e Cav. Bianchi, architetto Giulio Baroffio, il canonico Viglezzi Gio. Batt., il maestro Trin chinetti, ed altri. La chiesa venne tutta addobbata con disegno apposito da quattro apparatori. Notisi costume d'allora: le chiese non si paravano a larghi panni e tapezzerie, bensì a nastri di vario colore riuniti a di segno, che si cambiava ogni volta, e fissati al muro con piccole bullette. Che fatica! È inutile il dire della serale illuminazione dei fuochi artificiali, e d'altri, che si usano in simili circostanze. Qnantità di forestieri venne in quell'occasione a Va rese, e negli stallazzi si dovette far posto a più di mille duecento cavalli, venuti dai dintorni. l'756 – Sono nominati tre deputati pel testatico, per l'estimo, e per le tasse di mercimonio. Essi sono aggiunti all'Amministrazione del Comune, che già con tava sei Reggenti, sei Uomini di Provvisione, un Giu dice delle vettovaglie col rispettivo Sindacatore, ed i Consoli. Si impone la tassa del testatico, che è di Mil. L. 7 per ogni persona, dai quattordici ai sessanta anni, atta al lavoro. Indi si pubblicano gli ordini pel nuovo censimento, e vien con essi comandato, che l'Amministrazione co CAPITOLO DECIMO 263 munale sia d'ora innanzi affidata ai primi tre estimati del Borgo, i quali sono il marchese Recalcati, il si gnor Orrigoni, ed il signor Biumi Litta. Il popolo, che ha diritto di eleggere il Giudice delle vettovaglie e il Console di Giustizia, non vede di buon grado il nuovo opdinamento, stantechè que' Signori, dimorando quasi sempre a Milano, avrebbero dato incarico ai loro agenti di supplirli. Pertanto il popolo adunatosi elegge quattro persone le quali si portano a Milano per presentare una protesta alla R. Giunta del Censimento. l757 – Si canta un solenne Tedeum, e si fa festa per la vittoria dell'Imperatore sui Prussiani. In quest' anno la Reggenza, che prima concorreva a pagare le spese per ogni festa religiosa, in causa di debiti, si rifiuta di contribuire per la Festa dell'Addo lorata. Si riforma il regime della Comunità; si aboliscono le Squadre, e si fa unico centro Varese anche per gli uniti. Si istituisce un convocato, formato da censiti per 600 scudi, che si raduna due volte l'anno, in ot tobre per la resa dei conti, ed in novembre per la nomina de' nuovi ufficiali, e per deliberare sulle mi gliorie da introdurre nell' amministrazione. Il Podestà presiede il convocato, e a lui stanno intorno i Reggenti, e cosi via, come prescriveva la riforma imposta da Maria Teresa alla Lombardia, basata sul censimento ed all'iscrizione degli estimati. Perciò molti affari (e quindi molte carte), che trattano di questo periodo di tempo, riguardano quelle costituzioni. 1759 — Il gennaio è sì bello, che per tutto viole fiorite, e spuntar di pampini. 1760 — Censimento generale per tutta la Lombardia. Il carico prediale è fissato in 25 denari (valuta mil.) 264 vARESE E SUO CIRCONDARIO per ogni scudo d'estimo ciò, che diminuisce di L 22.000 i carichi del Comune. 1761 – Al 2 ottobre il Cardinale Pozzobonelli pub blica un monitorio diretto ai RR. Oblati, Priori, Ar cipreti, Curati, Vice-parrochi, col quale proibisce, sotto pena di scomunica di occultare, usurpare ecc., docu menti, privilegi, scritture appartenenti alla Comunità di Varese, ed aggiunge di restituirli entro nove giorni. Il che vuol dire che fin d' allora v'era uno sperpero grande de' tanti documenti appartenenti agli Archivi della Comunità e della Basilica, la perdita dei quali ora si lamenta pel danno che ne deriva alla storia. 1762 – In agosto arriva il Conte Firmian, ed in settembre Francesco III, Duca di Modena. Ambedue villeggiano in Casa Menefoglio a Biumo superiore. Il Duca, entusiasmato dalla bellezza del luogo, si deter mina a fabbricarvi una villa propria.

FR A N C E S C (O) I I I .

Signore di Varese.

Un fatto, assai importante per la storia municipale di Varese, è la Signoria, qui esercitata, da Francesco III, Duca di Modena, e Governatore della Lombardia; perchè per erigere questa Signoria, non si ebbe riguardo al diritto, che aveva Varese, di non essere giammai in feudato ad alcuno, di reggersi autonomo, e di dipen dere direttamente dall' alto dominio del Principe Re gnante. Con quale accorgimento poi Maria Teresa, infrangendo i patti degli antecedenti Sovrani, scegliesse Varese, CAPITOLO DECIMO 265 piuttosto che un'altra terra, da darsi in Signoria, al Duca di Modena, non sappiamo comprendere. Forse non fu che per soddisfare al desiderio del Duca stesso, e forse anche vi furono motivi, che non si conobbero, se non nelle alte sfere dell'Imperatrice. A noi non resta che accettare il fatto compiuto, e chiederci se dunque Francesco III avesse diritto a sì grande rico noscenza da Maria Teresa, da indurla, per lui, a di struggere un antico privilegio d'un Borgo tanto rag guardevole, come Varese. A tal questione potrebbesi anche rispondere negativamente. Francesco III si trovò, più d'una volta, in urto colla Casa d'Austria; e quando con questa si unì, i meriti, che egli acquistò presso la stessa, sebbene grandi, non furono però tali da in graziargli siffattamente l'animo di Maria Teresa, che questa compiesse un atto apparentemente impolitico. Ben altra causa concorse ad ottenergli Varese; e fu il pro gettato matrimonio di un giovane Arciduca, figlio del l'Imperatrice, con Beatrice d'Este, di lui nipote, nella quale si raccoglievano le eredità dei Malaspina, dei Cibo, dei Pico, degli Estensi di Modena. Ad ottener questo nulla meglio che stuzzicar l'ambizione, e le passioni del Duca di Modena, di Reggio, di Mirandola, del Principe di Coreggio, del Marchese di Concordia, di Rovigo e di Carpi, del Conte di Novellara e di Bagnolo, del Cavaliere del Toson d' Oro, col sepa rare dal Ducato di Milano il Borgo di Varese coa tutte le sue pertinenze e castellanze di Biumo supe riore ed inferiore, di Casbenno, di Cartabbia, di Giu biano, di Bosto e Cascina Mentasti, concedendoglielo in Feudo 5), vita sua naturale durante. Le notizie, che la tradizione ci tramandò intorno a Francesco III, sono assai scarse, e ce lo dipingono 266 VARESE E SUO CIRCONDARIO come un principe « che a questo villaggio, ora per so vrana clemenza fatto città, seppe comunicare le oziose abitudini della sua corte pigmea » (T. Dandolo). La taccia è fiera, e non del tutto ingiusta, nè vo glio difendere il male; ma la memoria del Duca merita in vero più mite sentenza. Per questo non parmi del tutto fuor di proposito il porre innanzi la vita del Duca, in quegli anni che passò lungi da noi; giacchè se ebbe vizi e passioni, non mancarono in lui la ge nerosità, la lealtà, il coraggio, il desiderio al ben fare, di cui ci rimangono tuttora degnissimi testimoni. La mollezza dei costumi, anzi la corruzione, le grette massime sorbite in una falsa educazione, guastarono la sua fede, la vigoria del suo pensiero, ed egli dalla lotta tra gli antichi principi, da cui riluttava, ma che doveva per la condizione sua accettare, e i nuovi sor genti, che lo allettavano, e cui doveva abbandonare, usci incredulo, bilioso e immoderato. Nulla trovò di meglio, che soffocare lo sconforto e l'uggia del dubbio nelle voluttà del senso, e nello sfogo delle passioni. Per tal modo si guastò quell'animo nobile, che poteva aspirare forse al nome di grande. Epperò non tutto il buono in lui fu spento; anzi, ad onta delle passioni, è atto al regno, è principe lodevole, come lo provano il saggio governo, e le molte riforme introdotte ne' suoi Stati, la riabbel lita Modena, e il rimodernato e ringiovanito Varese. Così, esaminandone la vita, vedremo come egli non meritasse in tutto il troppo severo giudizio, e la condanna che di lui tramandarono gli uomini della rivoluzione, troppo accesi dallo spirito di parte. Noi già siamo ab bastanza lontani da quel tempo per poter, sine amore et studio, più rettamente giudicare. « Francesco III nacque, al 2 luglio del 1698, dal CATITO I,O) DECIMO 267 Duca Rinaldo d'Este. Questi era dapprima Cardinale; ma alla morte del Duca Francesco II, suo nipote, decesso senza prole, gettò il cappello cardinalizio , sposò la figlia del Duca di Brunschvich-Luneburg, riunendo i due rami di casa d'Este, divisi nel 1070, e assunse le redini del governo. Il giovine Francesco cresciuto non potè trovarsi in buona armonia colle idee del padre; sicchè, appena fu ammogliato, si ritirò in Reggio a vivere separatamente dalla casa paterna. E perchè anche gli autunnali divertimenti si godessero in discomunione col padre, fabbricò, nei dintorni di Reggio, la magni fica villa di Rivalta, posta in amenissima posizione, e fatta su disegno dell'esimio architetto Ferraroni, detto il Brighi; villa che venne distrutta verso la fine del secolo scorso, quando sorsero le piccole rivoluzioni d'Italia a scimmieggiare la gigantesca di Francia. Nel 1731 , Francesco è insignito del Toson d' oro. Due anni dopo scoppia la terribile guerra di succes sione al regno di Polonia ; e Francesco, forse per tenersi estraneo alle mene politiche ed alle guerre, si ritira a Genova. Suo padre frattanto, per non compro mettere il buon ordine e la quiete de' suoi Stati, stimò prudenza il dichiararsi neutrale, e passa a Bologna. Mal per lui che i Francesi, per tale ritirata, accusano il Duca d'Este di simpatie per la Casa d'Austria, e, calpestando ogni diritto politico, entrano ad occupare gli Stati del Duca Rinaldo. Qui tutto mettono a soqquadro, sperperando ric chezze, imponendo taglie e contribuzioni, e commet tendo infine delitti degni di barbari. A tale giunsero i maltrattamenti e le vessazioni in quei malconci paesi, che Francesco III, più non reggendo allo strazio dei suoi popoli, pensò portarne reclamo a Luigi XV. Ma 268 VARESE E SUO CIRCONDARIO la storia non dice quale fosse il risultato di tale mis sione. Da Parigi passa a Londra, ove si ferma sino alla conclusione della pace nel 1736; e, un anno dopo, si porta a Vienna, per rimanervi alcun tempo. In quel mentre scoppia la guerra tra la Turchia e l'Ungheria, ed il Duca, bramoso di combattere e d' acquistarsi il nome di valoroso, si pone ai servigi di Carlo VI di Ungheria , in qualità di semplice volontario. Si trovò alla presa di Nissa, e all' assedio di Uditza; dimostrò grande valore, e, alla fine della campagna, fu nominato generale d'artiglieria. In mezzo a queste vicende, ebbe notizia che il padre gli era morto; ed egli corse tosto in Italia. Qui giunto, dimostrò quanto valente principe sarebbe riuscito; giacchè provvide ai suoi Stati, costituendo un saggio consiglio di ministri pel buon governo del suo paese, all' amministrazione del quale si gettò con tutte le cure. Ma nel l740, morendo Carlo VI, sorse nuova causa di guerra. Maria Teresa voleva che Casa d'Este, ad esempio della Casa di Savoia, abbracciasse i suoi interessi ; e Francesco, seguendo invece la politica pa terna, si dichiarò neutrale. Allora si ebbe un fatto consimile a quello avvenuto, regnando l'ex-Cardinale Rinaldo. Gli Austriaci, van tando diritti ingiusti, insieme coi Sardi, occupano il territorio Estense, e il Duca, più che ritirarsi, fugge a Venezia. Francesco, che in tal frangente pur bisognava entrasse a far parte delle mosse politiche, si dichiarò allora in favore della Casa di Borbone, per il che , nel 1743, vien nominato Generalissimo degli eserciti spagnuoli in Italia, e assume dappoi il comando della piazza forte di Rimini. Dovette accettare uno scontro cogli Austriaci, comandati dal generale Lobkowitz, ce CAPITOLO DECIMO 269 dette all'urto, ed incalzato dai vincitori , fu costretto a sgombrare le Romagne, e toccare il suolo napoletano. Però, memore del suo valore e delle tante vittorie ri portate, Francesco raccolse tutto l'esercito suo, ed eludendo per un istante il nemico, venne ad incon trarlo a Velletri, ove, con brillante battaglia, non solo lo vinse, ma l'inseguì, e l'incalzò tanto, che riuscì a penetrare in Garfagnana. Di qui , con buona mossa strategica, discese dall' Appennino, ed entrò nei pro pri Stati ; ma non vi si fermò; ripiegò verso il Pie monte, ove gli fu dato ottenere molti vantaggi. Poco dopo, nel 1746, moriva Filippo V di Spagna, e gli suc cedeva Ferdinando ; il quale, senza togliere diretta mente il comando al Duca, pose alla testa dell'esercito spagnuolo il marchese di Los Minas, sotto pretesto che questi avesse a condurre l'esercito in Provenza. S'ac corse Francesco del delicato tranello, con cui veniva spogliato della sua autorità, ma non se ne lamentò; si piegò anzi all' ordine di Madrid, e, non potendo por tarsi ne' propri Stati, perchè tuttora occupati dagli Austriaci, aspettò che la pace di Aquisgrana fosse conchiusa per essere ripristinato nell'avito potere, sod disfacendo intanto al suo speciale amore per i viaggi. « Dopo che ebbe ricuperato, per la pace di Aqui sgrana, il possesso de' suoi stati, cominciarono per lui le simpatie di Casa d'Austria. Erasi in quel tempo, dall'accorto ministro Cristiani Beltrame, progettato il matrimonio tra Beatrice Ricciarda d'Este, nipote del Duca, con un giovane Arciduca, figlio dell'Imperatrice, e gli bisognava ottenere l' assenso dell'avo. Il Duca, e per una certa riconoscenza al ministro Cristiani, che gli era beneviso per la saggia amministrazione dei suoi stati, durante l' occupazione austriaca, e per as 270 VARESE E SUO CIRCONDARIO secondare la propria ambizione, assentì al matrimonio, ed accettò la carica di Governatore della Lombardia, durante la minorità dello sposo. Ed ecco come. « Francesco, avvezzo al tumulto dei campi, al lusso ed ai piaceri delle grandi capitali, per le ripetute di more a-Vienna, Parigi, Londra, Venezia, detestò Mo dena. Giuocatore, femminiero, non era amato dai sud diti e dalla famiglia pei dissapori col figlio Ercole Ri naldo, il quale viveva diviso dalla moglie Maria Teresa Cibo, erede dei Ducati di Massa e Carrara. « Cristiani, profondo conoscitore degli uomini, usu fruendo delle debolezze e delle ambizioni di Francesco, gli propose di fidanzare l'unica erede della sua stirpe, ancora bambina, ad un Arciduca bambino esso pure, il quale verrebbe eletto Governatore della Lombardia. Frattanto egli ne fungesse le veci, qual Amministra tore e Capitano generale, venendo a stabilirsi a Milano, durante l'età minore dell'Arciduca medesimo. « Gradita la lusinghiera offerta, Francesco non esitò ad abbandonare i Borboni per darsi in braccio all'Austria, contro la quale aveva combattuto. Nol trattenne il ri flesso, che il neonato sposo, ed altro dei fratelli, e la nipote sua non si convenissero dopo un lungo corso d'anni; non la deferenza al figlio Ercole Rinaldo, che, dato il caso di muove nozze, aver potesse eredi maschi al ducato. Nessun motivo di savia politica, con tante eventualità future, lo consigliavano a fidanzare l'erede bambina, alienando dominio e sudditi a potente Casa straniera, la cui preponderanza in Italia avversavano principi e repubbliche della penisola, e più assai Francia e Spagna. Per coonestare l'improvvida risoluzione, il Duca si rivolse a Giorgio II, re d'Inghilterra, che diceva, giusta antiche genealogie, capostipite della CAPITOLO DECIMO 271 Casa d'Este. Egli, lieto di bilanciare l'influenza dei Borboni, cui la politica inglese, allora e poi, fu sempre ostile, approvando il partito, incaricò di appoggiarlo lord Keith , suo ambasciatore a Vienna. Ivi trattando per l'Austria, i conti Colloredo e Ulfeld, pel Duca, l'inviato straordinario, conte Montecuccoli, e l'abate Grossatesta, suo rappresentante a Londra, coll'inter vento del Keith si stipularono i due trattati di matri monio e della futura successione, addì 11 maggio 1753, che entrambi vennero ratificati dal Duca ventitrè giorni dopo, nella sua città di Reggio. Proemiavasi, che, ad evitare nuove turbolenze in Italia, qualora, o presto o tardi, si spegnesse la linea maschile estense, Francesco III, Duca di Modena, aveva deciso nominare un successore per fare vieppiù risplendere l'antica gloria d'Este. Da ciò mosso, accordava in isposa Bea trice all'Arciduca Leopoldo, terzogenito dell'Impera trice Maria Teresa, che prometteva educarlo a ben reggere i futuri sudditi, e mandarlo a Milano, come avesse compiuti i diciott'anni, epoca stabilita per la celebrazione delle nozze. Premorendo o l'uno o l'altro dei fidanzati, si sostituivano i fratelli e le sorelle mi nori. Stipulossi che gli Stati Estensi non potessero giammai venire incorporati nella Monarchia austriaca, e neppure ridursi a provincia dipendente dalla mede sima, ma costituissero sempre uno Stato separato, con obbligo al nuovo principe di risiedervi, secondo la con suetudine degli antichi duchi, osservando le leggi e le costituzioni vigenti. « Siccome poi la base fondamentale del trattato era la strettissima e indissolubile unione fra la Casa austriaca e l'Estense in Italia, si convenne che i sud diti d'ambo le parti godrebbero diritti ed immunità 272 VARESE E SUO CIRCONDARIO come gli indigeni, Per istringere maggiormente tale unione, S. M. Cesarea nominava il Duca a Capitano generale delle sue truppe in Italia e Amministratore della Lombardia austriaca, coll'autorità e i titoli del l'Arciduca sposo , fino all' anno diciottesimo di lui, continuando però, anche in seguito, vita sua durante, a godere l'emolumento annesso a quella carica. In contraccambio il Duca accordava la facoltà di mandare soldati austriaci a presidiare, insieme coi Modenesi, le sue fortezze. Qualora poi egli morisse durante il temporaneo governo, gli succederebbe il figlio Ercole Rinaldo, senza innovazione alcuna degli onori e delle prerogative. Per ultimo il trattato doveva rimanere se greto, e fra sei settimane, o prima, se possibile, ratificato. « Tale fu la sostanza di codesto trattato, in forza del quale l'Austria, all'eredità Medicea aggiungendo la Estense, acquistò nel centro dell'Italia una signoria quasi assoluta pei vincoli di famiglia e d'interessi, che necessariamente mantennero devoti i due Arciduchi e i loro discendenti all'Imperatore, capo della dinastia avita. I re di Francia e di Spagna, che agognavano la mano di Beatrice per Don Ferdinando, figlio dell'In fante e Principe ereditario di Parma, si sdegnarono altamente che Francesco III li abbandonasse per unirsi all'Austria. Luigi XI lasciò travedere a Carlo Ema nuele di volersi opporre al trattato di Vienna, col quale infrangevasi quello di Aquisgrana; ma l'avve duto Piemontese, alieno dal mescolarsi in nuovi dissidi, rispose che, essendo gli sposi tuttora bambini, vivi l'avo e il padre di Beatrice, tornava meglio riservarsi a provvedere a tempo più opportuno. « Maria Teresa, dal canto suo, cui premeva di conchiu dere prima che insorgessero ostacoli, chiamò a Vienna CAPITOLO DECIMO 273 Cristiani per consultarlo intorno alla nuova forma da darsi al governo di Lombardia. Era indubitabile che il Duca, fastoso, irrequieto, e senza capacità per reggere il paese, avrebbe incagliate le intraprese riforme; per giunta egli non ispirava bastante fiducia, per affidargli i supremi poteri civili e militari. In vista di ciò, Maria Teresa, traendo partito dalla facoltà, che si era riser vata Francesco di recarsi sul Modenese, ogni qual volta gli piacesse, risolse di affidare nelle assenze di lui le cariche civili al Cristiani, la militare al coman dante del castello , che era in allora il maresciallo conte Lynden, cosicchè, in sostanza, avesse gli onori e gli emolumenti della carica, ma non i poteri. Nominò Governatore e Capitano generale della Lombardia l'ar ciduca Pietro Leopoldo, e fino alla sua età maggiore, il Duca in sua vece, a tenore dei patti di Vienna, e conchiudendo « per le contingibili assenze poi di detto amministratore, S. M. collo stabilire in Ministro plenipotenziario il conte Beltrame Cristiani. » In tale maniera fu destramente raggiunto lo scopo di non la sciare all'Estense che le apparenze della sovranità. Gli onori tutti al Duca, dice il Verri, gli ordini in di lui nome; le nomine ed alcune cariche del paese fu rono lasciate a lui; il plenipotenziario fu l'arbitro realmente d' ogni cosa. Finchè visse Cristiani, nes suno potè accorgersi che il Duca avesse una mera autorità apparente, tanti erano i riguardi ch'egli aveva verso quel principe. Quindi Maria Teresa con siderava Cristiani come un uomo, al quale doveva la successione agli Stati Estensi; il Duca a lui sapeva grado dell'illustre alleanza e del decoroso suo collo Ca7ento. « Dopo tre giorni di viaggio da Brescello, (tanto

Varese e su0 Circond, - Vol. I. 18 274 VARESE E SUO CIRCONDARIO erano pessime le strade) Francesco III entrò in Mi lano, la sera del l4 gennaio 1754, al chiarore delle fiaccole portate da usseri austriaci e scortato dalla sua guardia d'onore; fu salutato con trenta colpi dalle artiglierie del castello. Ricevuti in udienza solenne i Magistrati e la Cancelleria Segreta con alla testa Cri stiani, reduce quattro giorni prima da Vienna, confer mate le gride, giusta la consuetudine, inviate le lettere d'etichetta all'Imperatrice e ai ministri, egli, entrante il febbraio, ripartì per Modena. « Ritornato dopo alcuni mesi, si diede a quel vivere allegro e fastoso, che più non ismise fino alla morte, pago che il suo nome figurasse in calce ai decreti, quale reggitore della Lombardia, mentre realmente non ne aveva che gli onori. Di questi era esigente a tal punto, che pretendendo nelle solenni funzioni in Duomo, il bal dacchino del suo trono non inferiore d'altezza a quello del Cardinale Arcivescovo, e più vicino all'altare, impigliò il governo in una sì acerba questione, che il Pontefice dovette intervenire coll' autorità sua per troncarla. Iva e rediva da Milano a Modena, villeggiava a Vaprio, e piacevasi convittare a lauta mensa i patrizi, che per uniformità di gusti lo corteggiavano. Da ciò ne nacque un curioso accidente, che vuolsi qui ricordato, non per importanza storica, ma sibbene a dimostrare erronea la credenza, che lo sciopero, ossia la cessazione simul tanea del lavoro di una data classe, pur troppo oggidì frequente, fosse disordine sconosciuto per l'addietro. Francesco III, tra le persone addette alla sua corte, aveva condotti seco alcuni fornai, i quali facevano una specie di pane, che anche oggidì, dopo un secolo, con serva ancora il nome di pan modenese. Alcuni com mensali, trovandolo preferibile al nostrale, bramarono CAPITOLO DECIMO 275 d'averne per uso giornaliero, sicchè i fornai fecero ve nire da Modena uomini pratici di quella manipolazione, ma se ne ingelosirono i loro garzoni, e, temendo sca pitare nel salario, od essere licenziati, cospirarono di abbandonare, la sera del 22 luglio, tutti i prestini , lasciando la città senza pane, qualora non si facesse ragione alle loro pretensioni. Come accade, quando il segreto è noto a molti, l'Autorità venne a cognizione della trama, e la sventò con pronte e rigorose misure: pose un caporale con un picchetto di soldati di guardia ad ogni prestino, coll' ordine di costringere i garzoni a panificare la notte, come di consueto, e per ogni evento mandò cento soldati a custodia del palazzo ducale. L'indomani, arrestati i capi, poco mancò non li facesse appiccare; a quattro di loro fece dare alcuni tratti di corda, poscia ne bandì tredici. I compagni, spaventati, non usarono più fare alcuna rimostranza. « Erano imminenti le nozze di Maria Beatrice d'Este; non più coll'arciduca Pietro Leopoldo, come aveva conchiuso il Cristiani, ma bensì con Ferdinando, minor fratello di lui. Tale sostituzione ebbe effetto nel l763, allorchè, per la morte di Carlo, secondogenito di Maria Teresa, quegli sottentrò nel Granducato di Toscana, questi nel governo della Lombardia. La sposa intanto venne chiamata presso l'avo Francesco. « Quantunque il fidanzato Arciduca compisse appena il diciassettesimo anno, l'Imperatrice era impaziente che si celebrassero le nozze, per assicurare ai discen denti del suo terzogenito i Ducati di Modena, Massa e Carrara, pei quali sarebbesi rafforzata la preponde ranza della dinastia Asburgo-Lorena in Italia. Nel 1764, aveva ella tremato di perdere il bel retaggio, per es sere stata Maria Beatrice colpita dal vaiuolo ; staf 276 VARESE E SUO CIRCONDARIO fette giornaliere portavano a Vienna le relazioni del medico Vandelli, e del consulente Valcarenghi, i quali furono con sovrana munificenza rimunerati dell' otte nuta guarigione. « Due anni dopo, il 26 aprile, Firmiam, per incarico dell'Imperatrice, entrando, con gran seguito in Milano, scese al palazzo ducale, ove alla presenza dei vescovi di Pavia, di Lodi, Cremona, Mantova, e del Card. Poz zobonelli, nostro Arcivescovo, fece a Francesco III la domanda formale della mano di Beatrice per l'arciduca Ferdinando. La dote fu riconfermata nei due milioni di lire, promessi nel 1753. Cerimonia fastosa di con venzione , fin d' allora stipulata. Maria Teresa fissò, per la celebrazione delle nozze, il 15 ottobre 177l, suo giorno onomastico, decretando feste splendidissime e popolari il più possibile. Francesco tenne il governo di Milano per diciassette anni, ed il suo governo segna il principio dell'èra di pace, sorta in tutta Italia dopo cinquant'anni di guerre; ed il suo nome sebbene senza il merito principale, pure contraddistingue le prime ri forme date da Maria Teresa alla Lombardia, riforme cui mettono capo gran numero delle nostre civili e scientifiche istituzioni tuttora vigenti. (Cusani, Storia di Milano). Celebrato il matrimonio della nipote Beatrice col l'Arciduca, e dato termine al lungo festeggiare º), questi col titolo assunse il governo della Lombardia, e Fran cesco ritornò negli aviti domini. Modena fu sì con tenta al ritorno di lui, che gli decretò una statua equestre, la quale venne innalzata in una piazza, tre anni dopo, nel 1774. In quegli anni, e nei seguenti, dimostrò l' animo suo liberale, ed intento al benessere del popolo; egli aperse al pubblico la Biblioteca Estense, CAPITOLO DECIMO 277 edificò l'Università degli studi, chiamandovi a leggere distinti professori, ed istituì l'Albergo delle Arti. Presto accettò le idee riformiste, già da altri effettuate, perchè confacenti a' suoi principi; e volle anzitutto scemare la troppa potenza temporale del clero, impedendogli di comprare nuovi beni, togliendogli molti privilegi , e infine convertì in beneficenze le rendite di molti conventi soppressi. Pubblicò gli Statuti dei Luoghi Pi, il nuovo Codice Estense, con riforme e leggi acconcie ai tempi, cui l'invadente novella civiltà andava preparando. Apri la grande strada della Toscana per impulso di alcuni maligni, che gliela suggerivano come opportuna opera, e l'era diffatti ; ma nascondevano le segrete mire po litiche. Negli Stati Estensi doveva un giorno regnare chi comandava in Lombardia ed in Toscana, la Casa di Lorena, e colla strada costrutta da Francesco III, si aveva una comunicazione diretta tra questi paesi, senza chiedere passaggio ad altri Sovrani. Le riforme, che egli introdusse, servirono da forieri alla rivolu zione che egli voleva prevenire, scongiurare, nell'in teresse de' suoi governati, ai quali preparava una nuova êra di libertà politica, civile e religiosa ; rivoluzione, che facendo dimenticare i benefici ricevuti , eccitò il popolo ingrato ad abbattere, nel 1797, la statua eque stre, eretta pochi anni prima al principe riformatore e filosofo. Pur troppo le tante sue buone qualità furono guaste dal contatto de'contemporanei, e non andò esente da quei vizi, che egli aveva dovuto imparare, frequentando le Corti, specialmente quella di Francia, a cui fu per lungo tempo addetto. Sul modello di suo cugino , Fi lippo d'Orleans, il Reggente, foggiò la propria Corte, libertina, miscredente. Dedito al giuoco, favoriva spe 278 VARESE E SUO CIRCONDARIO cialmente chi l'imitava. Preferiva il soggiorno di Mi lano a quello di Modena, perchè nella grande città, ricca e fastosa, trovava maggior pascolo di diletti. Era prodigo, e per sopperire alla scarsezza de' suoi mezzi, diede in appalto quasi tutti i rami della pubblica am ministrazione, chiedendo in anticipazione vistose somme sui proventi, e con ciò apportava gran danno al buon andamento de' suoi Stati. Lo spediente degli appalti non bastò ad accontentare le sue cupidigie, e, per avere nuovo denaro, s' indusse a vendere medaglie, cammei, oggetti preziosi, e le statue della villa d'Este a Tivoli. Ma più che tutto fu di dolore all' Italia la vendita di cento quadri della sua galleria, fatta alla Corte di Dresda, per un prezzo le mille miglia lontano dal merito delle opere, se pure le opere d' arte bella, e segnatamente le nazionali, ponno avere un prezzo. Francesco III fu per tre volte marito. Nel 1720 sposò Carlotta Aglae di Bourbon, figlia di Filippo d'Or leans, nata il 22 ottobre l'700. Fu breve la vita coniu gale con questa donna piena di virtù e d'affetto pel marito. Essa morì il 19 gennaio 1761, a Parigi, ove già da lungo tempo erasi ritirata, fuggendo nauseata dalle cortigiane, che frequentavano il palazzo ducale. Dappoi ebbe in moglie Teresa di Giuseppe, Conte di Castelbarco, vedova del conte Antonio Simonetta. Ella era donna ambiziosa ; e sposa al Signore di Va rese, sdegnava che ancora la si chiamasse contessa. Si rivolse perciò al Segretario Camerale di Milano, perchè scrivesse al ministro a Vienna, pregandolo ad impe trare da Maria Teresa che S. M. le facesse la grazia di decorarla col titolo di Marchesa di Varese o d'altro luogo ; o col titolo di Principessa ”). La Contessa fu esaudita; ma sfortunata morì nel 13 agosto l765, tre CAPITOLO DECIMO 279 giorni dopo aver ricevuto il Diploma ; e come Prin. cipessa di Varese fu sepolta. Lo stesso giorno, in cui moriva la Castelbarco, giungeva in Varese, alle ore venti quattro, il Duca con cavalieri e ciambellani, recandosi ad alloggiare in casa Menefoglio (ora Litta) a Biumo Su periore, ed il giorno 15 successivo venne pure la ni pote del Duca. avendo per aia la principessa Melzi, e si fermarono alcuni dì, per dar sollievo al dolore della morte della Principessa defunta (Cronaca Ada mollo). La terza moglie del Duca fu Renata Teresa Har rach, nata nel 1721, vedova, nel 1748, del principe Francesco Saverio Melzi. Nel registro parrocchiale dei morti, all'anno 1788, trovasi scritto « 7 giugno, fu qui portato il cadavere di S. E. la signora principessa Te resa Renata Melzi, morta nella R. Ducal Corte di Mi lano il 5 verso la mezzanotte, e, fatte ad esso cada vere le solite esequie, fu sepolto nell'Oratorio pubblico di jus patronato della detta Principessa, dedicato a S. Giovanni Battista in Varese, e per fede Gaetano Fè, Proposto. » Questi ultimi due matrimoni furono segreti ; ma quello colla Castelbarco fu riconosciuto da Maria Te resa, e per ordine suo, reso pubblico, quando insigni il Duca del titolo di Principe di Varese. E la Castel barco e, la Melzi erano dame di condizione privata, senza speranza, o meglio, senza pericolo di successione, per chi doveva raccogliere l'eredità di Casa d'Este. Ora ci rimane a narrare del Signore di Varese. Francesco III considerò Varese come un luogo di di vertimento, più che di dominio, e la tradizione popo lare ci presenta la vita sua, qui condotta, sempre piacevole. Ci ricorda le splendide feste, i sontuosi con 280 VARESE E SUO CIRCONDARIO vitti dati nel suo palazzo, tuttora detta la Corte, ed a cui invitava buon numero di cittadini. Non è morta la memoria delle lunghe partite di giuoco, in cui egli perdeva rilevanti somme di denaro a bella posta per ingraziarsi i giuocatori; dei raggiri di alcuni bottegai per aver doppio guadagno sulle merci somministrate, di che egli non se ne dava per inteso, quasi godendo d'aver modo di spendere largamente. Ancor si ram mentano gli intrighi di dame e damigelle di Corte, che offendevano le sincere abitudini de' nostri padri; certi sentieri, che il Duca percorreva a piedi e solo per andare a geniali ritrovi ; ancor si bisbigliano i nomi di certe persone favorite. Ma se la tradizione, forse alquanto esagerata, ricorda tutto questo, non dimentica però le ville in allora o costrutte o riabbellite, il lan guente commercio ristorato con nuove fonti di lucro, i buoni ordinamenti di igiene e di amministrazione del Comune, il che poi giustifica la gratitudine dimostrata in varie circostanze al Duca dai Varesini, sebbene da principio questi si fossero adoperati per non averlo a Signore. Durante gli ammi 1764 e 1765, correva voce tra quei di Varese, che fosse intenzione dell'imperante Casa d'Austria tramutare il loro Borgo in feudo, non ostante gli antichi diritti e privilegi di avere Consoli e Reggenti, direttamente dipendenti dal Senato di Mi lano. La voce era vaga, indistinta, ma metteva sgo mento ed ira nei cittadini offesi nel loro orgoglio. Appurate le voci, e saputo di che si trattava veramente, la Reggenza di Varese si fa sollecita di umiliare al trono di S. M. un ben conciso Ricorso, nel quale si numeravano i titoli e privilegi accordati da Carlo V e successivamente confermati dai Re successori e Duchi CAPITOI,O DECIMO 281 di Milano. ma nulla poterono i Varesini, che la pe tizione fu dal Governo ritornata col Diploma dato a Vienna il 23 giugno 1765, e coll'avviso di nominare i Procuratori del Borgo, onde prestare il dovuto giu ramento di obbedienza al nominato Signore di Varese. (Cronaca Adamollo). - Negli anni antecedenti all'infeudamento, Francesco venne qualche volta a Varese, forse col segreto inten dimento di conoscere l'amenità del luogo; tra le altre il 29 settembre 1755 alloggiò quattro giorni in Casa Trivulzio, a Pravello, perchè la casa Menefoglio era in fabbrica, ed in quei giorni visitò le Isole Borromee, il Deserto a Cuasso, ed il Sacro Monte. La presa di possesso della nuova Signoria l'effettuò solamente un anno dopo esserne stato investito, perchè prima volle acquistare una casa propria, ove potesse venire a prender aria, ossia a spassarsela ifi pace tra le delizie naturali del paese e le artificiali, che egli sapeva molto bene procurarsi. Il 25 febbraio 1776, fu incendiato il Teatro Ducale in Milano, e nella relazione che il conte Somaglia, R. Delegato, presentava l'indomani all'Arciduca, si rileva la parte che in quell'accidente ebbe Francesco. « La fabbrica nuova di Corte ha pochissimo sofferto, ed ha sofferto danno soltanto il vecchio fabbricato che serve di abitazione al Sig. Duca di Modena ed alla Principessa Melzi, danno però di facile riparazione. « La vigilanza di S. A. R. (il Duca di Modena), che si è data la cura di personalmente accudire a tale disordine, ha operato che l'incendio non s'avvanzasse vieppiù, cosichè, oltre l'essersi salvato il nuovo fab bricato, non restò danneggiata nè l'aula, nè la biblio teca, nè l'archivio del senato. Ora il fuoco rimane 282 VARESE E SUO CIRCONDARIO estinto, nè vi è più a temere. S. A. il Duca di Mo dena, il quale si era appena coricato, abbenchè il di lui appartamento fosse contiguo al teatro, per verun conto sbigottito, non ha voluto uscire, se non eseguito prima il trasporto delle gioie, denari ed alcune scrit ture. Si portò, unitamente alla principessa Melzi, ad abitare nel palazzo Clerici. *). Al 24 marzo del 1766, il Duca venne a Varese con buona scorta di cavalieri, di ingegneri ed archi tetti, fra i quali il P. Lecco, gesuita, matematico fa moso, fermandosi in casa Menefoglio fino al 29, e in questo tempo fa compera della casa del signor Tomaso Orrigoni per 8000 zecchini, unendovi poscia altre adiacenze, colla condizione però che il contratto venisse approvato dalla Corte di Vienna. Questa è una prova che il feudo, detto Camerale nelle carte dell'Archivio Governativo di Milano, era feudo Imperiale non semplice, vale a dire dipendente dall'alto dominio del Principe regnante, come infatti fu sempre Varese anche sotto la Signoria di Francesco III. L' approvazione fu ottenuta, ed al 25 giugno dello stesso anno si incominciarono i lavori del nuovo pa lazzo da numerose schiere di operai, perchè la fabbrica progredisse con massima celerità. Al 27 giugno, il Duca manda una staffetta al Po destà di Varese e al marchese Menefoglio, coll'avviso che aveva delegato il suo Cameriere maggiore, conte Giulio Cesare Vezzani, a prender possesso, in suo nome, della Signoria nel successivo giorno 29. Dietro tale annuncio, i Consoli di Varese pubblicano che il giorno fissato pel giuramento del popolo era il 28. In tal giorno, come fu stabilito dall'ordinanza dei Reg genti, tutti i capi-famiglia si portano in piazza del CAPITOLO IDECIMO 283 Pretorio, e qui, divisi in tante squadre, prestano giu ramento di fedeltà e sommessione al Duca, dinanzi al signor Battista Orrigoni, Podestà, ed a' Reggenti Fi scali. Giunto poi il conte Vezzani, si reca in casa del marchese Castiglioni e vien ricevuto dal conte Crivelli, Magistrato Camerale, al quale, come di prammatica, mostra il decreto di Procura. La mattina del dì fis sato, 29, domenica, i Reggenti la Comunità si portano al palazzo Menefoglio ad esprimere ai conti Vezzani e Crivelli la gioia comune. Appresso vennero a prestare atto d' ossequio il Preposto, i Canonici, i Parroci, i sei capi dei Conventi. Terminate queste preliminari cerimonie , Vezzani e Crivelli passarono in una sala appositivamente apparecchiata, che dicevasi Sala del Pubblico; qui, sotto un baldacchino, pendevano i ri tratti di Maria Teresa e di Francesco III, si lesse dapprima il Chirografo di Delegazione, e poi dall'abate Palazzi, Segretario del Duca, l'istromento di possesso rogato dal Notaio Camerale Dott. Giuseppe Casanova ; finalmente i Reggenti, sul Messale aperto, prestarono giuramento per sè e pel popolo ; giuramento che fu ricevuto dal conte Vezzani, stando in piedi colla spada nuda alla mano. Ciò fatto si recarono tutti alla Colle giata di S. Vittore, la quale era parata a festa, e sulla porta aveva un'analoga iscrizione latina. Il conte Vez zani fu ricevuto dal Capitolo a suon di campane; nella chiesa eravi un baldacchino simile a quello in casa Menefoglio cogli stessi ritratti; si cantò Messa e Te deum, e finite le religiose funzioni, ritornarono tutti in casa Menefoglio, ove un lauto pranzo li aspettava, e al quale, oltre i Deputati, erano invitate molte per sone ragguardevoli del paese. Così fra l'urto dei bic chieri, il suono delle campane e lo sparo dei mortaretti, 284 VARESE E SUO CIRCONDARIO fu suggellata la presa di possesso. Il Duca arrivò al 2 del mese di luglio, ad un'ora di notte, e fu accolto in mezzo allo squillo delle campane e al rimbombo dei mortaretti, e con una splendida luminaria che durò fino alle nove di notte, distinguendosi, per splendore di lumi, la torre, la cupola della Basilica, il campanile dei Frati francescani, la casa Menefoglio, ove era alloggiato il Duca, e la casa di un certo Gio. Evangelista Cabiati. Varie iscrizioni attestavano la pubblica allegrezza, la quale fu resa più giuliva da una scelta accademia di istrumenti di suono. Le feste durarono tre giorni, e si rinnovarono all' 1 l di detto mese, in occasione del l'arrivo della principessa Beatrice Ricciarda. Il Duca, da quell'epoca in poi, ad eccezione degli ultimi anni di sua vita, ne' quali dimorò stabilmente a Varese, passa del continuo da Varese a Milano, d Milano a Modena, per le cure di governo, eleggendo, per rappresentarlo, Governatore di Varese, il mar chese Federico Estense Malaspina di Villafranca, il quale non durò in carica che due mesi, essendo stato obbligato per malattia di viscere, a ritornare a Modena, sua patria. Al 16 ottobre egli va ad abitare nel suo palazzo, già Orrigoni, per assistere alla demolizione del Castellazzo, vestigio di un antico castello sulla collina, ove si fe' il giardino, e ai lavori della fabbrica per la quale erano impiegate più di cinquecento per sone. Il palazzo, come tuttora si vede, fu terminato sotto la direzione dell'architetto Bianchi, nel 1768, ed il vago giardino venne ultimato dalla vedova principessa Melzi, nel 1787. Al dopo pranzo del giorno 3 dicembre, in qualità di Signore di Varese, liberò due prigionieri, la storia dei quali è abbastanza strana, e meritano d' essere noti i fatti che diedero luogo all'atto e di CAPITOLO DECIMO 285 condanna per parte del Podestà e di liberazione dal Duca. « Un giovinastro s'era innamorato di una giovine dabbene, che non voleva rispondere al suo affetto. Adirato colui per le continue ripulse, un dì la scontrò sotto i portici, e colla massima indifferenza la oltraggiò, schiaffeggiandola. A tale atto è preso in mezzo dai cit tadini, che lo conducono al Tribunale, ove è condan nato a due mesi di carcere. Egli ricorre al Duca, il quale, conosciuta la causa della sua prigionia, ordinò che il giovine fosse liberato, ma a patto che non sa rebbe passato avanti la casa di quella fanciulla, finchè non fosse maritata, e pena la morte, se scontrandola, avesse usato farle il menomo torto. « Un figlio di uno speziale diè ad un pizzicagnolo una miscela di gesso e vitriolo, da costui domandata per distruggere i molti sorci, che infestavangli la bot tega. Caso volle che impensatamente il pizzicagnolo trovasse il cartoccio per casa dopo alcun tempo, e apertolo, lo credesse formaggio grattugiato, per qualche ignota causa riposto ; senza più pensarvi lo mischiò all'altro cacio, e il vendè. Ma pochi giorni appresso più di duecento persone erano cadute malate con sin tomi d'avvelenamento. Riconobbero i medici che il male veniva dall'uso del formaggio, e saputo chi lo vendeva, si mandò tosto per arrestare il pizzicagnolo, che era fuggito, e lo speziale, che fu tratto prigione. Ricorse costui al Duca, che decise essere entrambi innocenti, e furono liberi. » (Cronaca Marliani). « Nell'anno l767 d'ordine di S. A. si pubblicò una grida per la caccia, nella quale s'ordina di porre al collo dei cani di caccia e di guardia un legno lungo oncie 6 e del peso d'oncie l2, onde non possino andare pei boschi 286 VARESE E SUO CIRCONDARIO essendo le pernici e le lepri a Lui riservate. » (Cronaca Marliani). Nel 1769, fece un ordine speciale, perchè si rinnovas sero e diminuissero i panchini nella Basilica, per i quali erano sorte questioni serie tra i vari possessori. Ordinò pure che gli orologi de' campanili più non suonassero le ventiquattro ore all'italiana, ma le dodici alla fran cese. Nell' anno stesso Giuseppe II Imperatore, recan dosi alle isole Borromee, passa da Varese, visita il Duca nel suo palazzo, riceve, nell'unica ora che si fermò, de'memoriali, e lascia buone mancie di zecchini, il che produsse indicibile gioia. Il 19 novembre, vennero pure a Varese e si ferma rono otto giorni i novelli sposi Arciduca Ferdinando e Beatrice d'Este. Ebbero dal Duca ospitalità splendida con feste, caccie, gite di piacere, sontuosi convitti, sicchè partirono oltremodo contenti e meravigliati della bellezza del luogo. Nei primi mesi dell' anno 1770, S. A. comandò che, pel miglior benessere igienico e per la pulizia del Borgo, tutte le macellerie fossero trasportate fuori di Porta Rezzano, in una casa a sinistra di proprietà dei Frati di S. Francesco. Si opposero a tal ordine i ma cellai, perchè dicevano l' obbedire esser loro di danno rilevante. Allora il Duca pubblica un nuovo articolo, col quale interdice i macellai nella loro professione per sei miglia lungi da Varese ; ossia, che nessuno po tesse macellare se non in un circuito a quella distanza dal Borgo. Malgrado l'editto, i macellai si ostinarono nelle pretese, e piuttosto che obbedire, nessuno più macellò. Allora le macellerie vennero assunte per conto pubblico fin quando i macellai, vedendo male avviati i loro interessi, si piegarono ed obbedirono all'ordine CAPITOLO DECIMO 287 ducale. Per comando di Giuseppe II, pubblica un altro editto, in data 31 ottobre 1771, sulla pulizia del Borgo, richiamando in vigore un ordinamento, già pubblicato nel 1768, il quale non ebbe che momentaneo effetto. Francesco III espose molte altre gride nel tempo che venne tra noi, ma è inutile qui citarle: solo dirò di alcune riforme importanti. Abolì i Gesuiti, ai quali già da 35 anni tenevano scuola in Varese. Tale atto eseguì per la Bolla di generale soppressione di Papa Clemente XIV, dopo approvazione, 2 marzo 1744, di S. M. l' Imperatore, e come da dispaccio del Conte di Firmian al Marchese Bagnesi. Perchè le scuole non soffrissero detrimento dalla soppressione dei Gesuiti, alienò a livelli i beni di questi, e volle che le rendite, derivanti dall'ex fondo gesuitico, servissero tuttora per le scuole, e vi aggiunse parte dell' appanaggio di otto cento gigliati, che egli continuava a godere dal 1753 come fu stipulato col Cristiani. Il Duca affidò la dire zione del nuovo ginnasio al conte Antonio Melzi, ex gesuita. L'abate Tuetti, modenese, ebbe la cattedra di storia, l'abate Bianchi, dei Padri minimi, nativo di Va rese, quella di filosofia e geometria, l'abate Bellotti quella di belle lettere. Un Grassini, anch'egli pur di Varese, insegnava a leggere, scrivere, aritmetica e let tere mércantili. Liberò le popolazioni delle Castellanze dal grave peso di pagar le primizie e le decime ai loro Parrochi, assegnando a questi un equo e fisso com penso. Aumentò il salario al Medico ed al Chirurgo dell'Ospitale , obbligandoli a visitare gratuitamente tutti i poveri della Signoria; di più al Chirurgo ag giunse l'abitazione. Trasformò l'Ospitale da istituzione religiosa in civile, e ne accrebbe le rendite. Da ciò è chiaro che il Duca intendeva ad accrescere l'impor 288 VARESE E SUO CIRCONDARIO tanza di Varese con miglioramenti così considerevoli. Il cronista Vincenzo Marliani, al 1775, scrive : « Si co “minciò in Corte ieri (4 dicembre) a sera, a fare la festa da ballo in una sala mezzana a piano terreno, e la prima ballerina che ebbe l'onore di famiglia fu mia figlia Santina col conte Sanseverino, primo maggior domo di S. A. Serenissima, e i concorrenti furono in grandissimo numero. » E più oltre : « Al 14 dello stesso mese, gran festa da ballo nel gran salone, a cui vennero dodici eccellenze, molti cavalieri e dame; buoni strumenti di musica; molti lumi accesi, più di duecento e lauti sporgimenti. » E ancora: « Nel 1776, al 10 settembre, il signor Bianchi milanese ottiene dal Duca di aprire il Teatro, che gli concesse il monastero dei Gerolamini (Caserma vecchia , ora demolita), e al 19 ottobre si principiò , recitandosi un'operetta intitolata l'Isola d'Alcina, che fu da tutti applaudita, sia di musica, sinfonia, balle rine, e al 6 novembre si recitò la seconda opera le Contadine Bizzarre, ritrovandosi presenti molti fore stieri che partirono contenti. La porta pei nazionali era di soldi 20, pei forestieri 30; e nelle feste da ballo, che davansi il lunedì ed il sabato, il doppio; ed erano al Teatro annesse sale da giuoco per la Bassetta, il Biribisco, il Salto della Sella e più Bottiglieria ed Osteria. » A Varese il Duca tenne sempre corte bandita, avendo seco il marchese Bagnesi ed il conte Marchisio suoi ministri, ciambellani, e treno principesco. Allievo e ama tore dello sfarzo e dei piaceri, illudevasi sulla vecchiaia e sulla stessa cecità che lo colpi; e i suoi famigliari, per non irritarlo, al giungere dei visitatori dovevano, parlando tra loro sottovoce, indicarne i colori dell'abito CAPITOLO DECIMO 28) od altri particolari, che egli godeva di ripetere come se cieco non fosse. Pur nonostante i difetti e le biz zarrie era ossequiato ed amato dai Varesini pel molto denaro che spendeva, e pel lustro che la sua piccola corte dava al Borgo, e per riconoscenza al bene pub blico, cui intendeva in reale vantaggio comune. » Degli anni 1777, 1778, 1779 poco sappiamo; ma da quel poco si rileva che il Duca, cieco ed aggravato di sofferenze corporali, divenne amante della pace e della tranquillità; si recava spesso alla spezieria Ma gatti, sotto i portici, a famigliare conversazione ed a cibarsi di un lacchezzo di vipere, per lui appositamente preparato. Occupava il tempo in escogitare nuove pro poste pel bene dei borghigiani , in dotte discussioni scientifiche colle persone erudite che l' avvicinavano, in problemi di alta filosofia cristiana, di cui faceva pubblica professione. La sera del 22 febbraio 1780 morì questo principe, che in diciassette anni del suo governo non aveva mai, come lasciò scritto il Verri, fatto male ad alcuno. La sua memoria si spense in breve nei di scendenti di Maria Teresa, sconoscendo essere la loro dinastia a lui debitrice del retaggio di Modena, Massa e Carrara, neppure si curarono di ripristinare la tomba, che, al pari di quella del Cristiani, suo coetaneo ed amico, sarebbe scomparsa nel vortice rivoluzionario, se carità di privati non la custodiva. Aperto che fu il testamento, si trovò che voleva essere trasportato col più rigoroso incognito nella chiesa del convento de' Cappuccini, situato non lungi dal suo palazzo, per essere colà sepolto. Il 29 feb braio 1780, imbalsamato il cadavere, si eseguì il tra sporto, e, celebrate le esequie, fu aperta la cassa perchè fosse riconosciuto il cadavere, stando tutti i Varese e Su0 Circ0nd. - VOL. I. 19 200 v ARESE E SUO CIRCONDARIO cavalieri e religiosi con torchie accese in giro. Si fece un rogito da un segretario di corte con un cancel liere del Borgo di Varese, significante qualmente il cadavere venisse consegnato ai Cappuccini, i quali giurassero coi successori d'averlo ricevuto per tale, e di doverlo restituire se venisse reclamato dalla Corte di Modena. Nel rogito fu esattamente descritto come si trovava: aveva un abito bellissimo, parruca, spada d' argento, bastone, cappello, ordini cavallereschi, tutte le insegne sovrane, un crocifisso in mano ed un prezioso brillante in dito. Recitato un discorso latino sulla vita di lui, venne posto in un tubo di latta con tre monete, una d'oro, l'altra d'argento, la terza di rame in segno del diritto sovrano esercitato a Modena di coniare monete, e gli fu collocato ai piedi. Il ro gito fu sottoscritto dal conte Marchisio primo ministro, dal conte Sanseverino, maggiordomo maggiore, dal marchese Tebaldi, capitano delle guardie, dal conte G. Pietro Annoni, ciambellano. Chiuso in triplice cassa di piombo, cipresso e pecchia, venne tumulato dietro il coro. E' sopra il tombino vi si metterà una lapide con iscrizione a carattere d'oro. Nella chiesa dei Cap puccini, all'11 marzo, gli furono celebrate sontuosissime esequie per deliberazione della Reggenza, concorrendo nella spesa il marchese Antonio Luigi Recalcati, primo estimato del Comune. Sopra la porta della Chiesa leggevasi un'apposita iscrizione latina di circostanza, ed in mezzo a varii simulacri, rappresentanti le virtù cardinali, circondati da nere gramaglie, stavano appesi gli stemmi genti lizi della Casa d'Este. L'interno era tutto parato a lutto, con ricchi addobbi a frangie d'oro. Nel mezzo sorgeva un mausoleo, con intorno trofei d' armi, e le CAPIToLo DECIMo 201 insegne degli ordini equestri del Toson d'oro e dello Spirito Santo. Sull'urna un cuscino portante la corona ed il bastone ducale. Dopo la messa, a cui assisteva la Reggenza in abito di lutto rigoroso, il P. Ferdinando da Varese, insigne predicatore, recitò l'Orazione fu nebre in lode del Principe defunto º). Più tardi, con istromento 1797, rogato Sacchi, 7 feb braio, quel monastero diventò proprietà privata dei signori Sanvito; e della annessa Chiesa, convertita in abitazione civile, si conservò solo il coro, che fu ridotto a cappella dove fu trasportata la salma del Duca, come risulta da istromento , l novembre 1800, rogato G. Battista Giudici. All'atto del trasporto si trovò la salma chiusa in due casse, la prima di pioppo fracida con segni di sigilli, che erano consunti, l'altra di quercia intatta, in cui era il corpo, e un vaso conte

mente i visceri. ----- Nel 1841, la Casa d'Este fece ricerca della salma del Duca al sig. Sanvito, per trasportarla nel sepolcro avito degli Estensi, ma dopo lo scambio di alcune let tere, la pratica non ebbe seguito, e la salma si trova ancora nella cappella della villa Sanvito, detta la Quiete. Francesco III, era d'aspetto piacevole, ed aveva in sè alcun che di maestoso. Fronte non troppo spaziosa, occhi vivaci, lineamenti risentiti, ed il suo viso inspi rava confidenza e rispetto insieme. Di lui abbiamo vari ritratti, uno presso il sig. Sanvito, uno presso il sig. Ce sare Veratti, proprietario dell'ex Corte, uno nella Gal leria dei quadri del Civico Ospitale, ed altri a Modena, ed a Ferrara. 292 VARESE E SUO CIRCONl) ARIO

SEGUE LA CRONISTORIA

(fino all'anno 1859)

1785 – In un documento del 15 giugno (Arch. di Stato, Cartella 2178, Crediti e Debiti), che riguarda la riscossione di un credito della Comunità dalla Fab briceria di S. Vittore, trovasi cenno della redenzione della Banca Civile di Varese e sua giurisdizione lº). 1786 – Si pubblica il nuovo Codice Civile, e Va rese pei nuovi ordinamenti ha un'Intendenza politica, una Pretura; vengono soppressi i Reggenti, restando

ancora i Deputati all'estimo. - Diversi negozianti di Varese, a cagione della distanza del Borgo da Gallarate, domandano che anche in Va rese si apra una Camera Mercantile. Il governo ri sponde, che ha già provveduto cogli articoli X e XI dell'editto, 13 marzo, anno corrente, salvo le eccezioni che saranno poi del caso a farsi, e per le quali si ri volgano alla Segretaria del fu Duca Francesco III. 1787 -– La stamperia Pedemonti da Gallarate si trasferisce a Varese, e inaugura i suoi lavori con una Promemoria per l'insigne Borgo di Varese, stampata in sole 30 copie. La Polizia proibisce quello stampato; ma non può averne neanche una copia, nè sapere chi la scrisse. In quella Promemoria si notano i privilegi del Borgo, e si censurano i disordini amministrativi del Comune. Il Grossi la riporta per intiero, ed il Berlan una parte, con alcune osservazioni. La stamperia do veva esser chiusa, ma con grandi impegni ottenne di rimanere ancora aperta. CAPITOI,O DECIMO 293 1788 – È instituita in Varese una Delegazione Medico-Chirurgica-Farmaceutica, dipendente dal Diret torio Medico di Pavia, per l'ispezione delle farmacie e drogherie, ed esercizi medici. Colla morte della principessa Melzi, cessa ogni giu risdizione di Signoria del defunto Duca, e Varese viene da Giuseppe II fatto Capo di Provincia, con duecento comuni. 1790 – I commercianti di Varese implorano dal Governo provvedimenti contro i danni, che soffrono per l'introdursi di alcuni mercanti forestieri non sog getti a tassa, i quali vendono in giorni di mercato ogni qualità di merci. La Regia Intendenza ordina una visita nei vari di stretti della Provincia di Varese per gli affari di com mercio. Dal protocollo si rileva, oltre a utili notizie intorno al commercio del Circondario, che un buon numero di contadini, quando sono sospesi i lavori della campagna, ritrovano mezzo di guadagno in varie in dustrie. l'791 – Alcuni Deputati dell'Estimo domandano per chè venga ripristinata la Reggenza secondo tutti gli antichi diritti, e specialmente in quanto riguarda il regolamento delle vettovaglie. Nell'Archivio di Stato di Milano sonvi varie carte riguardanti questa pen denza, come Deliberazioni, Casi amministrativi, Con ferenze, ecc. I Varesini, vedendo decadere il loro commercio ed il fiorente mercato, implorano l'istituzione di due fiere annuali. L'imperatore Leopoldo II le concede, fissan dole al terzo lunedì di maggio e d'agosto. 1792 – Dal Governo vengono emesse le Cartelle di rendita a favore delle scuole di Varese. 20)4 vARESE E SUO CIRCONDARIO 1793 – Hanno luogo le due fiere accordate da Leo poldo II coi giorni e mesi diversi dalla domanda, cioè al 15, 16 e 17 di aprile e luglio. 1794 – È ripristinata la Reggenza della Comunità, con tutti i privilegi, con decreto 5 settembre. A Biumo inferiore succede una sommossa pel caro de' viveri, e gli abitanti fermano i carri di grano di retti a Porto-Morcote. Fu cosa momentanea, perchè, di lì a qualche giorno, arrivò grano anche a Varese. Si costituisce segretamente il Comitato Repubblicano. 1795 – I Deputati dell'estimo fanno nuove pratiche ed osservazioni per la ripristinazione della Reggenza, la quale viene installata, ed incomincia a funzionare regolarmente nell' anno seguente. 1796 — Al 23 maggio, succede una sommossa du rante il Convocato generale. I capi Ing. Giulio Sacco, Don Celso Mozzoni, e Francesco Corti, si presentano armati nella sala del Consiglio, minacciando ed ecci tando a costituir la Repubblica. La Reggenza manda per siffatta cosa una relazione al generale Saliceti, il quale comanda di istituire la Guardia nazionale per l' ordine e la tranquillità di Varese. Il popolo, radu nato e schiamazzante in piazza del Pretorio, vien di sperso dalla pioggia. Al 25 maggio, si innalza l'Albero della Libertà in piazza del Pretorio, e i preti vi ballano intorno. Il cittadino Biondi arringa il popolo. Si apre il Circolo costituzionale nell'oratorio di S. Domenico. A capo legione viene eletto il giureconsulto Frotta. 797 – Varese è fatto capoluogo del Dipartimento del Verbano, nella Repubblica Cisalpina. Al 27 aprile, viene a Varese la moglie di Napoleone, ed è accolta con immenso giubilo e grandi feste. Tra le feste date in CAPITOLO DECIMO 295 suo onore una ve ne fu in Teatro, in cui Gioachimo Murat fece galloria, e non isdegnò di berteggiare un povero giovinetto nano, suonator di violino, che gli era simpatico. Il dì dopo giunge Napoleone, e alloggia in casa Serbelloni. Riceve le Autorità e i capi della Guardia nazionale. Si divertì a gettar denari dal bal cone al popolo acclamante. Si rinnova l'Albero della Libertà in piazza del Pretorio, e se ne pianta uno in piazza S. Vittore. La Guardia nazionale, raccolta intorno a quest'ul timo, applaude ad un discorso del cittadino Biondi, che fu stampato ad istanza del popolo stesso per de creto della Municipalità ). In un rapporto, in data anno V repubblicano (Ar chivio di Stato Mil) di una visita fatta alle varie ricevitorie doganali del Ducato di Milano ai confini, si descrive un conflitto tra i dragoni francesi, di depo sito a Varese e le guardie di Gaggiolo, avvenuto perchè tre dei primi contrabbandavano tabacco, ed erano stati arrestati. È a sapersi che i dragoni a ca vallo in grosso numero si portavano al confine, com peravano quanto tabacco lor piaceva, e lo riportavano a Varese. E più oltre leggesi : « Desidererei di passare sotto silenzio gli infami principi aristocratici, che serpeggiano negli abitanti del Borgo di Varese, e che sono da alcuni manifesta mente alimentati. La necessità di porvi freno mi obbliga però di farli presente all'Amministrazione generale. Sono del tutto reprensibili le massime del pretore Al fieri , che , da tanti mesi abbandonata la Pretura di Abbiategrasso, ritrovasi a Varese; sono egualmente pericolosi i discorsi dei due fratelli canonici Sormani 296 VARESE E SUO CIRCONDARIO e del canonico Pallavicino; come pure del procuratore dei Frati Teresiani scalzi di Biumo superiore, che i patriotti di Varese desidererebbero fosse immediata mente richiamato al Convento di Milano. Non meno influisce sul cuore degli Idioti la condotta tenuta da alcuni congregati in Varese, i quali, timidi abbastanza per non urtare di fronte l'attuale sistema repubbli cano, non tralasciano però, con un sistema di vita muovo per essi intieramente, col non trattarsi che fra loro medesimi, coll'apparire al pubblico scarsamente ed armati di singhiozzi, e col piangere la loro sorte, di eccitare nel popolo una non meritata compassione e di indurlo a credere, che l' origine della libertà, sia il termine dei diritti di proprietà: sommamente poi in fluiscono sul minuto popolo le persuasive di certo Berra salsamentario, e di Felice Orrigoni, prenditore di Lotto» a segno tale che ho sentito nel Teatro di Varese ac compagnata a fischi dalla piccionaia l' aria francese Zaira, e l'inno patriotico Allons enfants de la patrie (marsigliese ). » 3 pratile (anno V della Repubblica), alla domanda dei Varesini, chiedente la ripristinazione del mercato e delle fiere annuali, sospeso per la dominante epi zoozia, il governo concede il mercato degli animali del solo Circondario, che non fu invaso dal morbo , ma proibisce le fiere. 1798 – È installato in Varese un Tribunale Correzio nale. Al l7 gennaio passano soldati Francesi, che vanno in Svizzera. In settembre, passa da Varese l'armata Russa, con dotta da Souwaroff, per recarsi in Svizzera ed in Germania, Souwaroff, quando fu a Gallarate, cercò una car CAPITOLO DECIMO 297 rozza per recarsi in fretta al confine. Un certo signor Piantanida gli offerse la propria , e reputò ad onore il guidare lui stesso i cavalli. Il general russo col suo scudiscio lo percuoteva a quando a quando, dicendogli di correre, chè egli aveva fretta. Ciò diede occasione ai liberali di Varese di riderne del Piantanida, cui di cevano : Bene ti stanno, o codino, le scudisciate russe. 1800 – Evvi carestia. Il frumento vien pagato L: 80 al moggio; la segale, 60; il miglio, 40; il mel gone, 56; il vino, 100 alla brenta; il riso, 120 al moggio; il sale 30 soldi alla libbra. l80l – La carestia cresce sempre più. Grandi pioggie. 1802 – Ai Comizi di Lione vanno i cittadini di Varese, Antonio Molina e il Padre Carlo Parravicini. Per il disposto della legge 23 fiorile, anno IX, Varese vien dichiarata Vice-prefettura del dipartimento del Lario. I Varesini, con rimostranza, 20 luglio, al Ministro dell'Interno, al Vice-presidente, al Prefetto del Lario, dimandano di essere uniti a Milano, rammentando i continui vincoli di politica e di commercio, con cui furono uniti a quest'ultima città. 1804 – Si pubblicano nuove leggi giudiziarie e civili. 1805 – Si istituisce un Ufficio per le ipoteche, ed una Commissione di Pubblico ornato. 1809 – Pubblicata in Varese la legge sulla pulizia stradale e sanità. 18l l – Grande festa per la nascita del re di Roma. Si inizia la Società del Casino 1812 – Si istituisce un Tribunale di prima istanza, una Giudicatura di pace, ed una Vice-prefettura, a capo della quale è eletto il varesino Giuseppe Bolchini. 1813 – Giusta l'usanza, seguita dal governo, di 298 VARESE E SUO CIRCONDARIO riunire piccole terre in un sol Comune nel pagamento delle imposte, in quest'anno sono aggregati a Varese i comuni di Induno, Masnago, e Lissago. 1814 – Il 22 aprile, sollevazione di sfaccendati e contadini, che entrano armati in Municipio, abbru ciano sulla piazza quante carte vi hanno potuto tro vàre, e si sbandano pel Borgo, minacciando i ricchi di morte. Il tumulto si rinnova nel dì seguente, ma viene

sedato dalla Guardia nazionale. - Al ritorno degli Austriaci si sopprime la Vice-pre fettura, si ritorna all'antico regime, e si fanno feste. 1816 – Varese è fatto città. Si istituisce una Con gregazione Municipale, e si elegge a Podestà il sig. Gio vanni Pellegrini Robbioni. Si pubblica il Codice civile austriaco. 1817 – Dopo la carestia dell'anno scorso, domina in Varese la febbre petecchiale, per cui si devono aprire due ospedali sussidiari: uno nella Caserma vecchia, e l'altro a Masnago. 1819, 23 aprile – Arriva il gran duca Michele di Russia, che alloggia all'albergo della Stella. 1820 – Grande uragano, che schianta alberi, e ro vescia tetti. Una sovrana risoluzione accorda alla Congregazione Municipale di portare l'antico stemma. 182l – Muore il podestà Robbioni, e vien eletto a succedergli il Nob. Pompeo Comolli. 1823, 29 settembre – Arriva il Principe Vice-re Arciduca Raineri colla consorte. Alloggia all'albergo della Stella. Alla sera illuminazione. In seguito venne più volte, passando per recarsi alle Isole Borromee. 1825 – Vengono a Varese Francesco I colla famiglia, l'Arciduca Francesco Carlo coll'Arcid. consorte Sofia. CAPITOLO DECIMO 299 Sono accolti con feste, che costano al Municipio lire aust. 4798. 66. Il Podestà Comolli e la Congregazione Municipale elevano una supplica a S. M. Ap., perchè Varese venga dichiarato Capo di Provincia *). Si pubblica un nuovo regolamento per la pulizia della Città, ecc. Consta di sessantaquattro articoli, ed è un riassunto completo degli antecedenti. 1830 – Si incomincia la illuminazione notturna per il legato Garoni. 1832 — Si nomina il primo Veterinario municipale. A Varese sonvi molti soldati in Caserma vecchia. 1834 – Si mette il Velocifero o Corriera, che va tutti i giorni da Milano a Varese, e viceversa. 1835 – Eletto Podestà il signor Giovanni Speroni. Stanziano ancora molti soldati. 1836 – Il coléra a Varese è assai mite, e spegne solo 32 persone. 1837 – L'arcivescovo Gaisruck è accolto con grandi feste. VA 1838 – Il Podestà, con seguito e con Araldo vestito, secondo il figurino venuto da Milano, assiste in quella città all'incoronazione di Ferdinando I. Spesa L. 4000. Vari incendi, che si ritengono dati appositamente, mettono in guardia la popolazione. 1841 – In agosto arriva Francesco IV, Duca di Modena. Visita l'ex corte, e il tumulo di Francesco III. Il Vellone straripa, facendo molti danni ed innon dando Varese, le vie della quale sembrano torrenti, e rimangono poi ingombre di ghiaia, depostavi dalle acque. 1842 – Tutti i prigionieri fuggono dalle carceri. 1844 – Altra innondazione, e nell'inverno tanta è la neve, che alcune case minacciano di cadere, e devono 300 v ARESE E SUO CIRCONDARIO essere sgombrate. Ci vollero più di quindici giorni, duecento uomini, e settanta carri per ispazzarne le vie, e permetterne la circolazione. Si riordinano molte vie della città. Ritorna di nuovo il Duca di Modena, visita ancora Casa Robbioni, e ascende al Sacro Monte. Un autunno brillante per concorso di villeggianti e per bontà di spettacoli in Teatro. 1846 – La banda musicale dell'11° Regg. Cacciatori suona la sera in teatro magnificamente, ed i Varesini

me sono oltremodo contenti. - Il popolo è costernato per il fallimento del Subeco nomo, Direttore dei Luoghi Pii Elemosinieri, con un deficit di oltre 100.000 lire a danno di molte famiglie. 1847 – In autunno, sonvi moltissimi villeggianti, che si uniscono ai Varesini per fare dimostrazioni in onore di Pio IX, e quasi tutti si gloriano di portare la me daglia coll'effigie del medesimo. Ogni sera comitive da giovinotti percorrono la città, cantando inni patriottici, e sono invitati a bere nelle case dei signori. In set tembre, in casa Veratti, si dà un pranzo per trenta coperti, e nel mezzo della sala si espone il busto del Pontefice. Sul levar delle mense si chiamarono i can tori, e quel busto fu portato in trionfo per la città e depositato al Casino, luogo d'adunanza dei progres sisti. Dimostrazioni con coccarde tricolori si fanno pure ogni sera in teatro, e la polizia non se dà per intesa. Solamente in novembre venne l' ordine di chiudere il Casino, e fu spedito appositamente il Commissario Crespi, per iniziare il processo contro i convitati del pranzo anzidetto. In quest' anno viene ampliato l' Ospedale. 1848, 18 marzo – Arriva la notizia dell'insurre CAPITOLO DECIMO 301 zione di Milano, e si decide di portar soccorso ai Mi lanesi. Prima però si vuol osteggiare la truppa qui stanziata, che era di mille Cacciatori, comandati dal colonnello Koppal. In tutta la giornata del 19. si vive in apprensione, nulla sapendosi di Milano. Si chiede la Guardia Nazionale al colonnello, che non la vuol con cedere. Il di seguente, una staffetta a cavallo, giunta da Tra date, da alcuni giovinotti è uccisa, per non lasciar in comunicazione la truppa di qui con quella stanziata a Saronno. 20 marzo – I Cacciatori partono, e l'allegrezza dei cittadini , per esser liberi dai soldati austriaci, vien subito repressa dall'allarme sparso per l'avvicinarsi di alcune compagnie di croati, provenienti da Como. Due usseri, che li precedevano, sono fatti prigionieri, e i croati subito depongono le armi per le minaccie del popolo. Mentre si stava per venire a patti con costoro, arriva una compagnia di Cacciatori da Luino, i quali volevano condurre seco loro i croati, e partire con essi; ma mentre i Cacciatori si lasciano andare, in forza di un salvacondotto, ottenuto anteriormente per loro dal colonnello Koppal, i croati sono ritenuti prigionieri. Alla sera arrivano da Porto Ceresio altri quaranta croati con un uffiziale. In tali trambusti si ebbero a lamentare due morti, e un solo cittadino ferito. Si istituisce un Comitato di Pubblica Sicurezza e Difesa in via provvisoria, composto dei signori Rob bioni Carlo, conte Tullio Dandolo, Comolli Giuseppe, Adamoli Domenico, Avv. Rapazzini, Avv. Mimola e Ce sare Parravicini, aventi ciascuno un segretario nelle persone de' signori Eugenio Maroni, Avv. Sabbia, Re daelli , Borri Sac. Claudio, Castelli Luigi, e dottor

Rusconi. - 302 VARESE E SUO CIRCONDARIO Primo pensiero del Comitato si fu di soccorrere i Milanesi; e perciò si assoldarono cento cacciatori sviz. zeri, che, unitisi con un grosso corpo di volontari, par tirono per Milano il 22. Le spese furono sostenute per sottoscrizione vo

lontaria. ----- Al 23, alle ore tre pomeridiane, giunge la notizia che gli Austriaci hanno sgomberata la città di Milano, e il Comitato Varesino sollecito ne dà pubblicazione. In quello stesso giorno si cantò un solenne Tedeum nella Basilica per la liberazione di Milano, coll' inter vento della Guardia nazionale. Il Curato Sessa recitò un commovente e patriottico discorso. Al dopo pranzo si piantò la bandiera tricolore sulla torre, e così fe cesi in tutti i paesi del Circondario. Tra i cittadini sorgono gravi scissure: alcuni vole vano separarsi da Como, per fare da sè, altri invece unirsi a Milano , altri infine volevano si proclamasse la Repubblica. Nella notte si pianta l'Albero della Libertà nella piazza, con bandiere e scritti allusivi, nè mai si potè sapere da chi. La massa del popolo si tiene estranea a tali manifestazioni politiche. Si costituisce un regolare Municipio, eleggendosi a Podestà il sig. Cesare Parravicini, e ad Assessori i signori Comolli Giuseppe, Ing. Amabile Morandi, avvo cato G. Sabbia, e Robbioni Carlo. Il Comitato di Pubblica sicurezza resta ancora e così costituito: Dott. Maffei, Avv. Rapazzini, ed Avv. Minola. Le signore varesine regalano alla Guardia nazionale una bella bandiera collo stemma della città, che fu benedetta la vigilia del Corpus Domini, e portata nella solenne processione del giorno dopo. CAPITOLO DECIMO 308 31 maggio. Si fa grande luminaria per la resa di Peschiera. Saputosi esser Venezia in pericolo, dopo la resa di Vicenza, si forma un corpo di cinquanta ber saglieri tra i più arditi cittadini, per andare a soccor rerla. Que' bersaglieri nell'assedio di Venezia si di stinsero moltissimo. In giugno, si fa una colletta pei danneggiati di Castelnovo, ed un'altra per le armi da darsi ai citta dini; ma quest'ultima non ebbe seguito, e gli oggetti già raccolti furono donati all'Asilo infantile. 4 agosto – Seicento guardie nazionali vanno in soccorso di Milano, che chiedeva la leva in massa. Vi giunsero il giorno dopo, ed il 6 avviene la Capitolazione. Caduta Milano, molti Varesini fuggono in Piemonte, e si nomina una Commissione composta dei più vecchi del paese pel governo del Comune. 9 agosto – Garibaldi, proveniente da Como, con poca cavalleria, due cannoni e poca truppa, si ferma a Va rese una notte, ed alla mattina va ad Arona, donde, catturati due battelli a vapore, ed altre tre piccole bar che si porta a Luino. Al 13, saputosi questo, alcuni cittadini si portano a Luino per partecipare al combattimento, che doveva succedere, e che ebbe per risultato la piena rotta degli - Austriaci. Garibaldi era ammalato, e doveva lottare contro forti accessi di febbre intermittente. Assalito da uno di questi, entrò nell'albergo della Beccaccia, casa isolata, separata dal paese da un piccolo fiume, sul quale fu gettato un ponté. Fatto chiamare il general Medici, gli disse: « Ho assolutamente bisogno di due ore di riposo; prendi il mio posto, ed invigila. » L' albergo della Beccaccia, 304 VARESE E SUO CIRCONDARIO sarebbe stato attaccato pel primo dal nemico, nel caso che questo s'aggirasse in quelle vicinanze. Nessuno dei Garibaldini conosceva le mosse degli Austriaci; non sapevano neppure se erano vicini o lontani. I soldati accampavano fra il ponte e il borgo, ed il general Medici, date le opportune disposizioni, spedi dei contadini a perlustrare i dintorni, i quali, di lì ad una mezz' ora, ritornarono spaventati, gridando: « i Tedeschi ! i Tedeschi ! » Il general Medici corre ad avvisarne Garibaldi, che all'istante, sebben si trovasse nel pieno accesso della febbre, fa battere a raccolta, e dieci minuti dopo trovavasi in mezzo al battaglione. Divide la piccola truppa in due colonne, ponendo l'una a capo della strada destinata a far fronte agli Austriaci; ordinando all'altra di prendere una posizione di fianco, per impedire che fossero circondati e potere all'uopo attaccare. Bentosto apparvero gli Austriaci sulla strada postale ed erano circa mille e duecento. I quali s'impadronirono a galoppo della Beccaccia. Garibaldi diede subito l'ordine dell'attacco alla colonna, che chiudeva la strada compo sta di quattrocento uomini; si batterono energicamente. Gli Austriaci non cedevano; e Garibaldi, giudicando esser giunto il momento d'impegnare tutte le forze, chiamò la colonna di fianco e rinnovò vigorosamente l' attacco. Gli Austriaci facevano fuoco da molti buchi praticati appositamente ne' muri dell' osteria; ma i Garibaldini, passando impavidi in mezzo alle palle, li attaccarono alla baionetta. Il general Medici colla sua campagnia dovette scalare nn muro per entrar nel giardino. Gli Austriaci si ritirarono in piena rotta e si diedero a fuga precipitosa, gettando fucili, sacchi e giberne, in CAPITOLO DECIMO 305 vasi da vero terrore, e non si fermarono che a Varese. Lasciarono un centinaio di morti e feriti , ed ottanta prigionieri. Il general Medici, per ordine di Garibaldi, si mise ad inseguirli colla sua compagnia, ridotta a soli cento uomini, ma giunta la notizia, che un secondo corpo austriaco, più considerevole del primo, dirigevasi contro di loro, si fermò a Germignaga, cui barricò in un'ora, in modo da sostenere anche un assedio. Ga ribaldi spedì due o tre compagnie in diverse direzioni, e, verificato che la notizia era falsa, diede ordine di marciare verso Ghirla, e di là portarsi a Varese, dove venne ricevuto in trionfo. Garibaldi entrò in Varese dalla parte di Induno, verso le cinque pomeridiane, ed a lui si fece incontro il sig. Battista Peregrini, con segnandogli la bandiera tricolore, che era stata nascosta all'arrivo degli austriaci. Garibaldi alloggiò in casa Ponti, ed i suoi soldati occuparono le alture di Biumo, che potevano assicurare una ritirata. Durante il combattimento, e precisamente il giorno 14, entrò in Varese un battaglione austriaco, composto di italiani, con banda in testa, il quale ritirò le armi dei cittadini, ed alla notte partì per Como. 19 agosto – A Biumo Garibaldi fa fucilare una spia nemica, la quale doveva dare informazioni a tre co lonne d'Austriaci, che muovevano, l'una su Como, l'altra su Varese, e la terza su Luino. Il piano degli Austriaci era quello di porsi tra Garibaldi e Lugano, per impedirgli ogni ritirata, tanto in Piemonte che nella vicina Svizzera. Garibaldi allora parte da Biumo per Arcisate; quivi ordina a Medici, che colla sua compa gnia faceva il servizio dell'avanguardia, di dirigersi su Viggiù, e dove, giunto co' suoi cento uomini, riceve

Varese e Su0 Circond. - VoL. I. 20 306 VARESE E SUO CIRCONDARIO un secondo ordine di portarsi immediatamente contro un corpo di Austriaci, che, forti di cinquemila uomini, si avanzava verso lui, comandato dal generale D'Aspre. Medici si prepara al combattimento, e per poterlo dare nelle migliori posizioni, si impadronisce di Cazzone, Ligurno e Bedero, tre villaggi formanti un triangolo. Quei tre villaggi guardavano tutte le strade, che conducevano a Como, e dietro ad essi trovavasi la forte posizione del colle S. Maffeo, dal quale bastava sdruc ciolare per trovarsi in Isvizzera. Medici occupò Li gurno, dov'era arrivato di notte, con quaranta uomini, cercando fortificarsi alla meglio per far fronte al nemico. Gli altri soldati li divise tra Rodero e Cazzone. All'alba gli Austriaci gli diedero l'attacco, ed occu parono Rodero, che avevano trovato abbandonato, perchè la piccola guarnigione erasi, nella notte, ritirata in Isvizzera. Medici allora richiama i trenta uomini, che aveva a Cazzone, e coi soli sessantotto soldati che gli erano rimasti, raggiunge a passo di corsa S. Maffeo, dove poteva opporre resistenza. Appena salito su quella posizione, fu attaccato, ed i cannoni austriaci da Ro dero mandavano palle e razzi alla Congrève. Il piede del colle era completamente circondato dalla cavalleria ; si cominciarono le fucilate ; gli Austriaci vennero all'assalto, ed i soldati garibaldini non avevano che una ventina di cartucce per ciascuno, e fucili me diocri. Al rumore delle fucilate, tutte le alture della vicina Svizzera furono piene di curiosi, e cinque o sei Ticinesi, armati delle proprie carabine, non poterono trattenersi dal partecipare alla pugna, entrando tra le file de' soldati di Medici, facendo fuoco, con gusto vero da dilettanti, sui tedeschi. Il valoroso generale italiano conservò la sua posizione, e sostenne il com CAPITOLO DECIMO 307 battimento, fino a che i suoi soldati ebbero abbruciata l'ultima cartuccia, sperando sempre che Garibaldi, udendo il cannone, sarebbe venuto in soccorso di lui. Ma Garibaldi era andato ad incontrar gli Austriaci, che si avanzavano verso Luino. Abbruciate le sue cartuccie, Medici pensò esser giunto il tempo di battere la ritirata. Guidato dai bravi Ticinesi, prese un sentiero conosciuto dai soli abitanti del paese, ed un'ora dopo toccava il suolo svizzero. Quei prodi si ritirarono in un piccolo bosco, e nasco sero i fucili, in alcune casse portatevi dai paesani, per ritrovarli alla prima occasione. Sessantotto uomini avevano resistito per quattro ore contro cinquemila; ed il general D'Aspre fece pubbli care un ordine del giorno, in cui diceva « di aver sostenuto un accanito combattimento contro l'esercito di Garibaldi, e d'averlo completamente sbaragliato. » Intanto Garibaldi dirigevasi verso Luino; ma, prima di giungervi, ricevette notizie, che Luino era già occu pato dagli Austriaci, nel tempo stesso che la colonna del generale D' Aspre occupava Arcisate. Garibaldi, vedendo che una ritirata in Svizzera era difficilissima, ritorna a Varese per dirigersi verso Morazzone. Il giorno 19 agosto, i soldati garibaldini arrestano in Varese alcuni cittadini compromessi, che vennero poi rilasciati in libertà per interposizione di egregie per sone, e collo sborso di l2000 svanziche. 20, domenica – Garibaldi si ritira a Vedano coi suoi soldati. 21, a mezzodi – Seicento Austriaci, che erano ac campati fuori di Varese, entrano a provvedere i viveri, e subito si ritirano a Tradate per timore di Garibaldi. 23 agosto – Tutto il corpo del generale D'Aspre, con 308 vARESE E SUO CIRCONDARIO cinque o sei generali, entra in Varese, ed occupa molte villeggiature ; indi si dirige verso Morazzone, dove da poco già trovavasi Garibaldi con cinquecento soldati, il quale in breve si trovò tutto circondato dagli Austriaci. L'attacco fu formidabile, e per tutta la giornata que' cinquecento si difesero come leoni. Sopraggiunta la notte, Garibaldi uni i suoi soldati in colonna serrata, e si slanciò sul nemico a baionetta. Favorito dall'oscurità, si aprì uu varco sanguinoso, e si trovò in campagna aperta, lasciando che gli Au striaci si fucilassero reciprocamente, ingannati, dicesi, dallo stratagemma che usò, di comandar loro in lingua tedesca, mentre trovavasi in mezzo a loro non visto. Ad una lega da Morazzone licenziò i suoi, diede loro appuntamento in Lugano, ed a piedi, con una guida, travestito da contadino, partì per la Svizzera. A Lugano trovò Medici, e, sebbene spossato, aveva ancor tanto di ardire, che voleva al domani riordinare i suoi uomini, per ritentare un altro colpo. Ma l'im possibilità dell' esecuzione il fece decidere a partire

per Genova. - Vari feriti garibaldini vennero trasportati da Mo razzone a Varese dagli stessi Austriaci, e tra essi v'erano persone ragguardevoli. Uno di loro non volle mai dire chi fosse, e incognito mori. I soldati garibaldini, nel ritirarsi da Morazzone, tra dussero seco il parroco del paese, che durante il com battimento era stato chiuso e custodito da essi nel campanile, che s'erge isolato in mezzo all'abitato. Fu poi rilasciato in libertà nella valle di Lissago. A Varese rimane una brigata militare austriaca, che si sparge ad occuparne parecchie ville. 6 settembre – Grande allarme in città pei disor dini avvenuti a Como. CAPITOLO DECIMO 309 10 ottobre – Duecento emigrati, armati, entrano in Luino; ma si ritirano subito, perchè scacciati dagli Austriaci. 2 novembre – È vietato il suono delle campane. 1849, 23 gennaio – I soldati arrestano due giovi netti, perchè sospetti di aver avvelenato una fonte, a Biumo inferiore, di cui essi si servivano. Furono subito rilasciati in libertà, perchè innocenti. 25 gennaio – Vien arrestato certo Zoppini, so prannominato Baricch, sospetto di aver fatto disertare alcuni soldati, e condannato a morte. Già stavasi per eseguire la sentenza, quando ricevette la grazia. Morì egli un anno dopo per lo spavento. 12 marzo – In pieno meriggio si vide una stella splendente in cielo, che pareva stare sopra la torre. Alcuni dissero essere la stella austriaca; ma certo era la stella d'Italia, che mandava gli ultimi raggi per risorgere poi uno stellone nel 1859. 18 marzo – I soldati austriaci , qui acquartierati, vanno in Piemonte, conducendo seco anche i gendarmi, affidando la città alla Congregazione Municipale, la quale era entrata in carica col primo del mese, e non ancora aveva il Podestà. Essa era composta de' signori Antonio Maroni, Ing. Amabile Morandi, e Garoni Luigi, ex com missario. Quest'ultimo, preso da timore, lasciò il posto, e si ritirò in Isvizzera. I due primi, rimasti in carica, chiedono alla Direzione di Como un provvedimento per la sicurezza pubblica, e quella permette una guardia cittadina, che fosse armata di soli bastoni. Non fu co stituita, perchè cosa assai ridevole. Buono che non avvenne alcun disordine ! 21 marzo – Arriva a Varese, proveniente dal Lago Maggiore, certo Ing. Camozzi di Bergamo, con creden 310 vARESE E SUO CIRCONDARIO ziali del Ministero Piemontese. Imparti alcuni ordini pel Comune, istituì la Guardia nazionale, a cui consegnò trecento buoni fucili, e rilasciò i libertà i prigionieri politici. Si costituì anche un Comitato di difesa, Alla sera arrivano duecento giovani armati, per la maggior parte signori milanesi, che formano il Corpo degli emigrati lombardi. Qui riposano, e si dirigono poi a Como. Nella notte transitano undicimila fucili, che servir dovevano per la rivoluzione. 24 marzo – Giunge la notizia della disfatta di Novara. 28marzo — L'avanguardia di un reggimento di croati, che veniva a stanziarsi qui, nella notte antecedente, si dirige al corpo della Guardia nazionale in piazza Podestà, e si ferma al chi va là della sentinella. Alla mattina transita una carrozza di posta con alcuni cit tadini Milanesi, che custodivano certo Oldrini, ritenuto una spia, e da Como lo condussero in Piemonte. 8 aprile – Poco mancò che accadesse una som mossa popolare contro i Croati, perchè pretendevano che il Preposto facesse le esequie ad uno di loro morto, e di religione luterana. Il Preposto non si lasciò inti morire dalle loro minaccie, e fermo tenne il rifiuto. Maggio – In questo mese molte famiglie sono tri bolate per avere disertori alla leva, e devono pensare alle supplenze con altri. 2l maggio – Muore Giulio Molina, già comandante la Guardia nazionale, benemerito cittadino. Agosto – Un corpo di quattromila soldati, che slog giano dal Piemonte, viene a Varese, e pone il Muni cipio in grave imbarazzo per gli alloggi, specialmente dell'artiglieria e della cavalleria. Varese rimane immune dal colera , che infesta la Lombardia. CAPITOI,O DECIMO 311 Settembre – La guarnigione si riduce ad un bat taglione. 1851 – Ai primi di marzo, si stabilisce un rigoro sissimo cordone militare per impedire il contrabbando cogli Svizzeri. L'ordine era di far fuoco su chiunque passasse il confine senza regolare permesso valevole per i passi fissati. Alcuni ufficiali, adescati dal gua dagno, pattuiscono coi contrabbandieri una somma per ogni carico transitato, ed essi medesimi fanno la guardia notturna. Il punto di confine, che più si con veniva per tale traffico, senza timore di essere sco perti, era lo stretto di Lavena. In Isvizzera si portava grano, e di là si traeva tabacco. 25 settembre – Passano da Varese Francesco Giu seppe I col Granduca di Toscana, suo figlio ereditario, il barone Jellacich, ed il generale Giulay. Prima di partire vollero vedere il giardino Veratti. 1852 – In quest' anno nulla di notevole, ad ecce zione del blocco finanziario, che continua, e della festa dell'Addolorata, celebrata in modo solenne. 1853 – Essendo a Milano avvenuta una sommossa, si esercitano rigori militari anche a Varese. Pattuglie di soldati girano dì e notte ; alla sera i caffè sono chiusi alle nove, ed è fatto obbligo di illuminare con lanternini i portici, e i punti oscuri della città. 11 febbraio – Arriva altra truppa, e si porta al confine. Succede il fallimento di Angelo Giudici, e molti cit tadini restano rovinati. Il fallimento fu dichiarato quando il Giudici era vicino a morte. Il suo mortoro si fece di nascosto. 1855 – Grande incarimento dei viveri ; variazioni atmosferiche straordinarie ; si sviluppa la crittogama 312 VARESE E SUO CIRCONDARIO nelle viti, ed un uragano fa strage nei paesi di Schianno, Gazzada e Buguggiate. In luglio si leva il blocco fi nanziario, e partono tutti i soldati. A metà settembre si manifestano due casi di coléra alla Motta, che non furono per avventura seguiti da

altri, - 1855 – Il Municipio fa levare due file di piante sullo stradone, che mette al Sacro Monte, e succede un con trasto, perchè alcuni cittadini vi si oppongono. 2 luglio — Passano da Varese, e si recano al Sacro Monte, il Duca e la Duchessa di Montpensier, che elargiscono grosse mancie. 21 luglio – Arriva a Varese per diporto il Duca di Brabante colla moglie e seguito. Agli ultimi di luglio si sentono varie scosse di ter remoto. In questo mese si manifesta il coléra. Si ebbero, in tutto, casi centoquattro, cioè ventisei in città, e settant' otto nelle castellanze. Morirono settantacinque persone. Il coléra poi si diffuse in vari paesi del cir condario. Cessato il contagio si fa in ottobre gran festa all' Addolorata per ringraziamento. In agosto, l'Arcivescovo sopprime la Confraternita del Sacramento, in causa di intestine discordie. 1856 – Infierisce la febbre scarlattina ; si fa nuovo censimento e catasto. Il Luogotenente generale Burger viene ad ispezionare tutti gli uffici. Nel settembre, ai giorni 8 e 9, gran concorso al Santuario del Monte. In dicembre il Podestà Speroni vien surrogato dal l'Ing. Carlo Carcano. 1857 — In febbraio un lupo si inoltra fino nella città a cagione della gran neve caduta. In aprile gran siccità. 20 giugno – Passa da Varese il Re di Sassonia con seguito. CAPITOLO DECIMO 313 Sul finir d'agosto, Varese viene elevato al grado di Città Regia; si fece festa, e luminaria, e venne pub blicato un Proclama. Non tutti i cittadini convennero sull'opportunità di tale onorificenza. 1858 – Avvennero vari assassini, e qualche suicidio. La notte avanti la Pasqua i ladri, penetrarono nella Cassa di Risparmio, mediante rottura, non ostante che la Cassa stesse nel palazzo municipale, e sotto di essa vegliasse il Corpo di Guardia. Il furto fu poco rilevante, Alla fiera di luglio si fanno feste popolari, con fuochi artificiali, per chiamar gente; ma il concorso fu minore dell'aspettativa. In settembre, gran festa al Sacro Monte. Il popolo fa le meraviglie per una gran cometa. In teatro grand'entusiasmo per le sorelle Ferni, vio liniste. Si comincia a parlare dell' opportunità della strada ferrata Gallarate-Varese, ed all'uopo si apre una sottoscrizione pubblica. Si delibera di sopprimere, col principio dell'anno vegnente, la meta per il pane e per la carne. 1859 – In gennaio vengono ad acquartierarsi molti soldati, e, in febbraio, passano per due volte cannoni destinati pel forte di Laveno. In carnevale non si fanno feste da ballo per dimo strazione politica ; ed una società di cittadini, che volle aprire il Teatro ad una festa da ballo, si ebbe l' incasso di una lira, pagata da una guardia di finanza, che sola v'intervenne. In quaresima, gran concorso in teatro alla commedia, perchè la Società Filarmonica cittadina suona l'aria popolare : Dàghela avanti un passo! 22 aprile – Tutti i soldati vanno in Piemonte. 23 maggio – Si sparge la notizia che Garibaldi ha 314 VARESE E SUO CIRCONDARIO passato il Ticino. Alcuni cittadini partono in fretta per verificare la notizia, e ritornano confermando la con solante nuova. Il Municipio ne pubblica la cara novella con un manifesto. Alcuni cittadini si danno attorno per abbat tere gli stemmi austriaci, a far prigioni i gendarmi, i finanzieri, e i pochi soldati rimasti in deposito. Verso sera, giunge da Como il Corriere colla notizia, che un corpo d'Austriaci si avviava sopra Varese. Ciò tiene sospesi alquanto i cittadini; ma ben presto si rassi curano nella certezza che Garibaldi s'avvicina verso la città, non ostante l'imperversar del tempo. Garibaldi era ora a capo della truppa, ora alla coda, sempre vigile e attento ad ogni bivio. Il tempo minac ciava; e verso le sette pomeridiane cominciò a ro moreggiare un nero temporale, che poi scoppiò con tuoni, grandine, e pioggia a torrenti. Era tanta l'oscu rità, che i cavalli appoggiavan la testa sulle spalle dei soldati, che marciavan loro davanti, o inciampavano nei paracarri fiancheggianti la strada. I Garibaldini, per timore di un'imboscata, marciavano ansiosi e taciti, quando venne loro veduto, non lontana, una gran luce rossiccia rompere l'oscurità, e udirono un forte gridare. Era la popolazione di Varese, che con fiaccole andava incontro a Garibaldi, ed a' suoi Cac ciatori delle Alpi. La colonna entrò in Varese, verso le undici di notte; la città era tutta illuminata; l'acco glienza fu entusiastica. Subito fu occupata la città militarmente, e si mi sero avamposti sulle strade, che vengono da Laveno, da Milano, e da Como. Garibaldi, già pratico del luogo da lui conosciuto fino dal 1848, va direttamente in Municipio dal Podestà CAPITOLO DECIMO 315 Carcano, che assume di poi la carica di Commissario Regio. 24 maggio — Alla mattina per tempo, Garibaldi ret tifica il collocamento degli avamposti, comanda che si facciamo barricate agli sbocchi delle principali vie, manda un piccolo distaccamento a perlustrare le cam pagne, e dispone l'arruolamento dei Volontari. Si isti tuisce la Guardia nazionale, e la si arma coi fucili che Garibaldi aveva seco portati. Arriva il sig. Emilio Vi sconti-Venosta in qualità di Commissario di S. M.Sarda, e pubblica un proclama. 25 maggio — Si dispone per la difesa della città. Un battaglione si colloca fra le ville De-Cristoforis, Dan dolo, e Piccinini; sulle due altre, a destra e a manca, soprastanti alla strada Varese-Milano, in difesa delle due barricate che erano quivi. Un mezzo reggimento occupa Biumo Inferiore, e sta in difesa delle tre barricate, ivi erette a capo della via Varese-Como; e due compagnie sono appostate poco dietro colle baionette calate, pronte a irrompere, se il nemico avesse superate le barricate. Un altro battaglione occupa il Boscaccio, ed altre compagnie difendono le barricate presso la chiesa della Madonnina e case adiacenti, e la barricata all'ingresso di Biumo superiore, presso casa Mina. Il battaglione, sotto il comando del maggiore Bixio, sta in riserva sulla piazza Podestà, gli avamposti del quale tengono in osservazione la strada Varese Laveno. Gli avamposti sono collocati sulle due strade da Milano e da Como, comunicanti fra loro per un sen tiero, che passa sotto Giubiano. La compagnia, coman data dal capitano Susini-Millelire, rimane imboscata sotto Belforte. Pattuglie a cavallo perlustrano le strade 316 VARESE E SUO CIRCONDARIO Varese-Como, e Varese-Milano. L'ambulanza si pone in casa Litta, a Biumo superiore. Nel giorno 25, il general Urban colle sue truppe si dirigeva alla volta di Varese per attaccarla. Giunto ad Olgiate, distaccò un battaglione di granatieri, che do veva fiancheggiare a destra la colonna principale, at taccare simultaneamente sul fianco sinistro di Biumo superiore i difensori di Varese, ed impedire loro la ritirata, preoccupando la via di Induno. Parte delle riserve lasciò presso S. Salvatore, tra Binago e Malnate, ad occupare una forte posizione. Il grosso della truppa proseguì per Malnate, cui improvvisamente nella notte occupò. In Malnate due guide, che Garibaldi aveva spedito fin dalla mattina a spiare le mosse del nemico, non avendolo scoperto a tempo, dovettero nascondersi coi cavalli in una casa di contadini, e travestirsi da borghesi, per ritornare in Varese, dove non poterono entrare che dopo incominciato il combattimento. Così il nemico potè inosservato spingersi fin sotto Belforte, occupare alla sinistra la cascina Giunti, e disporsi in ordine di attacco senza essere osservato dai Garibaldini. Le truppe austriache contavano circa seimila soldati; i Cacciatori delle Alpi erano invece meno di tremila. Avanti l'alba del giorno 26, il generale Garibaldi si si reca a Biumo superiore, e vi fa occupare il campa nile e la villa Ponti. Alle ore cinque del mattino stava col suo piccolo Stato maggiore sur un poggio, che sporge molto in fuori, dimodochè poteva scoprire dall'alto tutto il ter reno dell'attacco e della difesa. Ogni cosa era pronta, e non si aspettava altro che gli Austriaci venissero alle offese. CAPITOLO DECIMO 317 Di li a poco, il nemico tirò tre razzi alla comgrève a grande elevazione, che furono il segnale dell'attacco. La compagnia Susini-Millelire fu quella che tirò le prime fucilate, facendo una scarica a tiro di pistola sulla testa della colonna nemica, giusta gli ordini avuti. Quella compagnia imboscata di fronte a Belforte e dietro il torrente Vellone, dopo la prima scarica, potè, senza contrasto, ripiegarsi, rasentando il Boscaccio. Riordi nata la testa della colonna nemica, cominciò un fuoco de' Cacciatori austriaci a destra ed a sinistra della strada di Belforte, e due cannoni, sulla strada stessa, tiravano alla barricata presso casa Merini, al muro di cinta del suo giardino, ed a quello delle case Litta e Ponti. Intanto il frastuomo delle campane a stormo si frammischiava a quello della moschetteria, e al rim bombo del cannone. Cessato il tuonar di questo, ecco avanzarsi la catena dei Cacciatori nemici, la quale co priva due colonne di attacco, che si formavano dietro ad essa, ed un' altra piccola colonna , che dirigevasi verso Giubiano. I nostri, appostati dietro le barricate ed impazienti di misurarsi, a stento furono trattenuti in silenzio dal tenente-colonello Medici, che se ne stava imperterrito esposto al fuoco. L' ordine era di non far fuoco che a cinquanta passi di distanza, e confidare molto nelle baionette. Giunti infatti a cinquanta passi di distanza gli arditi Cacciatori nemici, i nostri al grido di Viva Garibaldi! fecero un fuoco vivissimo. I Cacciatori austriaci retro cedono ed aprono il passo alle due colonne, che s'avan zano spinte dal suono delle bande militari, dalla voce e dall'esempio de' loro ufficiali. Arrivate a circa quat trocento passi di distanza, ecco che in un subito si sbandano pei campi a destra ed a sinistra. I Caccia 318 VARESE E SUO CIRCONDARIO tori nemici allora ritornano alla carica, avvicinandosi alla falda della collina di Biumo superiore sì che le loro palle fischiavano fra gli alberi del giardino Ponti all' intorno di Garibaldi. Egli aveva già tutto preveduto, e a tutto provveduto, tenendosi pronto ad accorrere laddove il pericolo lo chiamasse. Intanto la piccola colonna austriaca, che si dirigeva verso il cimitero, viene investita con tanto impeto dai Garibaldini, occupanti le ville Pero e l'Annunciata, e dagli altri, appostati al Boscaccio ed alla Madonnina, che dovette ritirarsi in tutta fretta. Le due prime colonne erano in quel mentre ritornate sulla strada di Belforte con alla testa un uffiziale su periore a cavallo. Medici ordina la resistenza, che fu davvero ostinata. Di lì a breve però Medici spinge fuori parte de' suoi dalle barricate, e ordina loro d' ir rompere colla baionetta. I nemici, incalzati, si ritrag gono; i loro cannoni non più si vedono in batteria (i nostri non avevano cannoni), e quelle poche compa gnie, che di nuovo sono spinte sulla strada a suon di tamburi e di trombe, ondulano e si sparpagliano in modo tanto ridevole, che i Cacciatori delle Alpi scop piano spontanei in una gran risata. A quella vista Garibaldi grida « il nemico si ritira; » ed infatti così fu. Poco dopo le sette ore ant. il combattimento era finito, e le campane della città e dei paesi vicini suo navano a festa. Garibaldi colle sue truppe insegue il nemico fug gente. A Belforte, Medici, con due compagnie, si dirige verso Cazzone , perchè era stato avvertito da alcuni paesani trovarsi là alcuni soldati austriaci. Giunto a Cazzone, vide, non molto lungi dal paese, un mezzo bat CAPITOLO DECIMO 319 taglione di soldati, che se ne stavano nascosti, avendo saputo che gli altri erano fuggenti. Medici avvisa Ga ribaldi; ma questi, già preoccupato per un nuovo com battimento, non si cura di quelli. Alla testa della co lonna d'inseguimento stava il battaglione comandato da Bixio, e le guide lo precedevano di molto. Cinque di queste raggiungono al ponte dell'Olona la retro guardia nemica, le si scagliano addosso e facendo pro digi di valore, ne fanno arrendere una parte. Quelle guide, arrivate sotto Malnate, seppero che gli Austriaci accampavano sulla piazza. Allora fanno dai paesani spargere la voce, che si avanzava la cavalleria di Garibaldi. Appena ciò udito, gli Austriaci abbando nano Malnate, ritirandosi a S. Salvatore, ottima posi zione per difendersi. Qui si impegnò un fiero combat timento, che durò dalle dieci fino a mezzogiorno, coronato da un'altra vittoria pei nostri, e seguito dalla fuga degli Austriaci. Il racconto di tutti i minuti particolari di questi brillanti combattimenti trovansi ne' molti libri, che nar rano per disteso i fasti del nazionale risorgimento; epperò io, nulla potendo aggiungere alla lode tributata ai Cacciatori delle Alpi ed al prode loro Duce, cito i nomi di coloro che più si distinsero: e cioè, nel com battimento a Biumo, il tenente-colonnello Medici, ed i fratelli Cairoli, i primi che più arditi si spinsero contro il nemico, incalzandolo colla baionetta, sicchè il gio vinetto Ernesto, squarciato il petto da due palle nemi che, cadde morto; la guida Carissimi, che, sotto Malnate, passando a guado l' Olona, insegui e fece prigione una sentinella austriaca, mentre questa gli sparava contro il fucile, e si difendeva colla baionetta; il maggiore Bixio, che, a S. Salvatore, spingendo ad offesa l'ala si nistra incalzata dal nemico, ottenne la vittoria. 320 vARESE E SUO CIRCONDARIO I Varesini, che in ogni occasione avevano mostrato quanto potesse in loro il sentimento della libertà e della patria indipendenza, non vennero meno in questa pure, sia nel favorire i soldati italiani prima e durante il combattimento, sia nel soccorrere , nell'assistere e curare i feriti. Condotta questa spontanea, generosa e degna di encomio. Alle due pom. Garibaldi si restituisce a Varese. 27, venerdì – Alla mattina Garibaldi, raccolta la sua Brigata, s'avvia verso Como. I cittadini durante la giornata sono sgomenti per timore degli Austriaci, stanziatisi di nottetempo nei dintorni di Gallarate. Alla sera arriva la notizia della vittoria di S. Fermo accolta con giubilo universale. 29, domenica – Alle nove della mattina, arrivano dal Piemonte quattro pezzi di artiglieria, destinati per le truppe di Garibaldi, e la cittadinanza ne festeggia la venuta. Dopo mezzogiorno i cittadini sono tutti in moto per andar incontro a Garibaldi, proveniente da Como. L'en tusiasmo dei Varesini, al rivedere il loro Liberatore fu indescrivibile; entusiasmo che non conosceranno i ne poti nostri, se dall'affanno e dalla vergogna di mirar padrone in casa loro lo straniero, li scampi Dio e la virtù. 30, lunedi – Garibaldi, alla mattina, e a mezzodì tutti i suoi battaglioni, partono per Laveno. Circa cento mi liti della Guardia nazionale di Varese, mobilizzati, li avevano preceduti. Alla sera si accerta che le truppe austriache da Gallarate muovono su Varese. Avvisato Garibaldi di ciò, rispose che non poteva soccorrere Varese, e cia CAPITOLO DECIMO 321 scuno pensasse per sè. Temendo per ciò i cittadini l'ira di Urban, alla mattina del dì seguente emigrano lIl 18SS8, 31, martedì – Alle otto antimeridiane arriva il gene rale Urban colle sue truppe. Una deputazione gli va incontro; il generale chiede gli siano condotte innanzi le persone più ragguardevoli; e que' pochi coraggiosi che gli si presentarono, ei li fa chiudere e guardare a vista nella villa di S. Pedrino , dove li tenne venti quattro ore senza cibo, racchiusi in una stanza, mi nacciandoli più volte di morte. Oltre a gravose con tribuzioni, impone la tassa di tre milioni da pagarsi entro ventiquattro ore. Intanto i soldati sfondando le imposte, entrano nelle botteghe a depredare. Quando il Pretore Sopransi assicurò Urban, che era impossibile pagare la prima rata della contribuzione imposta (che era di un milione), ordinò il bombardamento della città, che incominciò alle sei pomeridiane, e fu ripreso circa le nove. I colpi scagliati furono circa trecentoventi. Al rumore di quei colpi succede una notte tetra e silenziosa. 1 giugno – Il generale Urban fa nuove e più pres santi istanze per le somministrazioni dei viveri, mi nacciando ad ogni minuto il saccheggio. Non potendo avere quanto desiderava, egli stesso dà l'esempio del saccheggio alla truppa, collo sfondar le porte delle case e delle botteghe per depredarle. Verso mezzodì, l'Auditore di Stato Maggiore, con un altro impiegato civile tedesco, entrano in Municipio a formare, per ordine del generale, una nuova Rappre sentanza Municipale, che fu costituita de' sig. Can. Am brogio Mera, Podestà, e Not. Peregrini, dottori Maestri

Varese e Su0 Circ0nd. - VOL. I. 21 322 VARESE E SUO CIRCONDARIO e Martignoni, Assessori. Il generale insiste a pretendere i tre milioni, e la Rappresentanza Municipale, dietro consiglio del Pretore Sopransi, rilascia un'obbligazione accettata dal generale, con cui si offeriva di pagare la somma dell'imposta contribuzione nel tempo e nella misura che avrebbe decretata l' I. R. Luogotenenza di Milano. Quell' espediente fu bene trovato, perchè di minuì le vessazioni, e non si ebbe a pagare nulla; stantechè di lì a qualche giorno gli Austriaci sfrattarono dalla Lombardia. La generosa condotta del Pretore Sopransi, che con tanta abnegazione di sè, con tanto eroismo di patria carità, con tanta costanza e virtù di sacrificio ebbe a giovare sì grandemente a Varese in quei giorni lut tuosi, sarà sempre ricordata con riconoscenza dai Va

resini. - - - 2, giovedì – Garibaldi co' suoi, reduce da Laveno, trovasi a Sant'Ambrogio, dove era giunto il dì innanzi, passando dalla Valcuvia. Sua intenzione era di dar battaglia al nemico; ma vista l' impossibilità e l'inu tilità di ogni tentativo, per Induno, Arcisate, Ligurno, si incammina verso Como. 3, venerdì – Il generale Urban parte per Gallarate. 5, domenica - Tutta la truppa austriaca, verso le sei pomeridiane, si ritira da Varese, dirigendosi verso Milano, e trae seco alcuni ostaggi. 6, lunedì – Cominciano a rimpatriare i cittadini, i quali fanno meraviglie del poco guasto sofferto da Va rese, che essi credevano mezzo atterrato. Si pubblica il bollettino della battaglia di Magenta. 9 giugno – Alla mattina perviene la grata novella che la guarnigione austriaca di Laveno abbandonò il - Forte. Il R. Commissario Sardo, Carcano, recasi colà con un distaccamento dei Cacciatori delle Alpi. CAPITOLO DECIMO 323 17 giugno – Il R. Commissario, Carcano, rassegna i suoi straordinari poteri al R. Intendente Generale della Provincia comense. 7 luglio – Giunge la notizia della pace di Villa franca, che reca sorpresa. 28 luglio –- Si celebrano sontuose esequie pei morti dell'indipendenza nazionale. La Basilica era parata a nero, ed alla funzione intervengono il Clero, la Guardia nazionale e le Autorità tutte. 17 agosto – Arriva il Re, che accolto con entusia stica accoglienza, va ad abitare la villa Taccioli, pre pàrata all'uopo a tutte spese del proprietario. Di stribuì alcune onorificenze, visitò la Basilica *), e l'Ospedale, ed alle due pomeridiane partì per Laveno. Gli furono presentati due Indirizzi, uno dal Preposto a nome del Clero, e una supplica dal Podestà, con cui chiedevasi che Varese venisse fatto Capoluogo di Provincia 1).

NOTE ED AGGIUNTE

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CAPIToLo I.

(1) Dell'Esposizione varesina parlarono diversi giornali: Il Secolo, Il Corriere del Lario, La Perseveranza, e La Cronaca Varesina. Vedi inoltre il Catalogo generale degli Espositori (Milano, Tipog. Mo linari) e l'opuscolo: Congresso generale con Esposizione agricola- indu striale tenuta in Varese nel 1871. (Milano, Tipog. del Riformatorio di Patronato 1872) (2 e 3) Lettere stampate a Varese. (Tipog. Ubicini, 27 settembre 1871.) - Statuto del Museo Patrio di Varese - Circolare 28 ottobre 1871. (Atti del Museo.) (4) Lettera conservata nell'Archivio Municipale di Varese, stampata nel ragguaglio dei lavori dell'Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti, anno 1657-58; riportata pure dal Prof. Francesco Berlan a pag. 101 della sua opera: Statuta Burgi et Castellantiae de Varisio, anni 1347. (Mediolani ex officina doctoris Francisci Vallardi, 1864.) (5) Così dal piano di conversione dell'asse ex gesuitico, presentato dal duca di Modena, ed approvato da Maria Teresa, con dispaccio del 1774. (rch. di Stato, Cartella 390, Fondi Camerali.) (6) Archivio di Stato, Cartella 390, Fondi Camerali. (7) Idem Id. 227, Fiere e mercati. (8) Cronaca Tatto. – È la più antica. La incominciarono Don Pietro Maria Castiglioni, e suo figlio Battista, ambo di Masnago; e fu conti nuata da Giulio Tatto (onde prese nome) per ordine stesso della Reg genza, che volle poi autenticarla. Essa dà ragguaglio dei prezzi delle derrate, del valore delle monete, ecc. dall'anno 1525 al 1620. Una copia autenticata esiste presso il sig. Dralli Nob. Carlo. Cronaca Adamollo. - Se ne hanno varie copie. Iniziata nel 1566, dal sig. Gio. Antonio Adamollo, fu proseguita prima dal Canonico Luigi Comolli, poi dal Canonico Viglezio, e infine da un sig. Orrigoni. Cronaca Marliani. - Fu compilata dal sig. Vincenzo Marliani, di Varese, e va dal 1737 al 1776, 326 VARESE E SUO CIRCONDARIO Cronaca Perabò. – È scritta in latino. Da una nota, a tergo a un albero genealogico della famiglia Perabò, si conosce che questa Cronaca, depositata nella biblioteca del conte Settala, passava, con tutte le carte di costui, all' I. R. Governo Austriaco. Ignorasi ora dove esista. Cronaca Grossi. – È il riassunto e la continuazione delle citate; con tiene inoltre molte notizie tolte da documenti. Essa giunge fino ai nostri dì per cura del sig. Antonio Maroni, che ne è l'attuale possessore. (9) La popolazione, nel 1871, era di 12605, di cui 5207 appartenenti alla Città, 1512 a Biumo superiore, 2941 a Biumo inferiore, 701 a Giu biano, 1054 a Bosto, 1193 a Casbenno, e 297 a Cartabbia. (10) Archivio di Stato, Cartella 1275, Censo Comuni. (11) Vedi i Rendiconti morali della gestione comunale, pubblicati an nualmente per cura del Municipio, e la Statistica agricola, industriale e commerciale del Circondario, pubblicata, nel 1873, dalla Camera di Commercio.

CApIToLo II.

(1) Una state a Varese e ne' suoi dintorni – Lettere ad Erminia di Tullio Dandolo (Lugano 1825, Tipografia Vanelli e Comp.) (2) Il Nipote del Vesta- Verde, Strenna Popolare per l'anno 1851. (pagina 129) (3) Geografia dell'Italia, compilata da una società di dotti, edita in Milano, nel 1866, da Giacomo Stella, pubblicata per cura di F. M, Vol. 4. (4) Quantunque molti di questi stemmi furono distrutti, nel 1871, negli alberghi dell'Angelo e della Stella, i più antichi di Varese, potei però vedere quelli dei seguenti personaggi: nell'albergo dell'Angelo : Granduchessa Imperatrice Elena di Russia, 1840; S. A. R. il Principe Leopoldo di Baviera, 1841 ; Leopoldo II, Granduca di Toscana, 1838; Carolina Cheileni, Principessa Reale di Russia, 1842; S. M. Ferdinando II, Re delle Due Sicilie; La Regina del Würtemberg, 1838; nell'albergo della Stella: ll Granduca di Toscana, colla sua sposa, 1825; Il Re e la Regina delle Due-Sicilie, 1825; Il Principe di Danimarca, 1826; ll Principe ereditario di Russia; Il Principe Vicerè e la Principessa Viceregina del regno Lombardo, per sei volte; ll Principe di Salerno e sua moglie, Maria Clementa; Maria Luigia Leopoldina, DuchesSa di Parma e Guastalla; NoTE ED AGGIUNTE 327 La Regina di Baviera, Federica Guglielmina, colle sue due figlie; Il Principe Michele di Russia; La Regina d' Inghilterra. (5) Rassegna mensile della Camera di Commercio di Varese, 30 set tembre 1872. (6) Davide Bertolotti visitava Varese in novembre e nel suo libro Viaggio ai tre laghi scrive: « Ma ormai l' irsuto inverno principia a conturbare il cielo e ad anneghitir la natura. Eppure ancor belli siete o luoghi, ove il mio sguardo si stende, chè la canuta bruma non ha ancora per voi irrigidito affatto la terra, nè tolto ogni verdeggiante onore alle piante. » (7) Varese, lungo il corso dei secoli, ebbe ad alloggiare frequentemente soldati di varie nazioni, i quali, al dir delle Cronache, partirono tutti contenti, e per la cortese ospitalità loro data, e per la bellezza del luogo. Ben inteso, eccezion fatta di quelli che venivano ad angariare il Borgo, e, recentemente, a rappresentare e proteggere la straniera schiavitù. ll 12 luglio 1872 la seconda Divisione militare dal campo d'istru zione, che si trovava a Somma, fece una marcia-manovra, spingendosi fino a Varese. Fra i reggimenti, che la costituivano, trovavasi pure quello dei Volontari di un anno. La descrizione di quella marcia nell'opuscolo Al Campo - Ap punti di un volontario, (Varese, Tip. Ubicini 1872) prova come, anche dopo un viaggio di 24 Km. per sentieri faticosi, fatto per la prima volta collo zaino carico, la vista di questi luoghi, unitamente ad un' acco glienza cordiale, poterono «far rifiorire energia nei giovani Volontari. » Quei Volontari, ritornati a Varese per fermarsi a subire gli esami, furono sì contenti del soggiorno loro fissato, che più volte, ed in vari modi, ne espressero la loro soddisfazione. In una lettera, inserta nella Cronaca Varesina, del 8 settembre 1872, così si esprimono : « Dopo le lunghe, diuturne, fatiche del campo, ci è caro e consolante vederci in mezzo a volti, atteggiati al sorriso di una cordialità schietta e sincera. Qui, fra l'aure imbalsamate di profumi, qui, ove la natura e l'arte par che abbiano gareggiato nel crear magnifiche vedute, sim patici e deliziosi dintorni, il nostro cuore s'apre alle più liete speranze - noi dimentichiamo quasi le case nostre, gli agi antichi abbandonati, e benediciamo alla sorte che ci ha condotti in una città così simpatica e

gentile. » -- La più antica descrizione di Varese si trova nel libro del Gesuato Paolo Moriggia, intitolato : Historia della Madonna del Monte sopra Varese, stampato in Milano, nel 1594, in 8. raro. Quella descrizione me rita di esser letta. Nicolò Sormani ha pure una descrizione dl Varese, che egli chiama 328 VARESE E SUO CIRCONDARIO la bella Tempe d'Italia nel libro : Topografia della Pieve d'Arcisate con digressione al Borgo di Varese. Milano, 1728, 8. raro. Poichè il Moriggia nella sua descrizione, piacendosi di un rettorico confronto, volle rassomigliare Varese a Roma, perchè siede, come questa, sui colli, ed il Sormani volle rassomigliar pure il nostro Fra schirolo al Frascati romano, aggiungo io pure due osservazioni, che potrebbero sostenere quel confronto. A Roma chiamansi tuttora Ca stelli i poggi che la circondano, e Varese ha essa ancora le Castellanze. Il dialetto varesino è poi di una pronuncia piana ed armoniosa da avvicinarlo in questo un poco al romano, in particolar modo col mu tamento costante della lettera l in r: così i Romani dicono er papa; i Varesini dicono ra Madonna dur mont. Però a poco a poco, per Varie cause, e più per le continue comu nicazioni con altre genti, vanno scomparendo i tratti caratteristici del dialetto varesino, il quale, come gli altri di Lombardia, si trasforma insensibilmente in un lombardo comune. Un mutamento costante del dialetto varesino era quello del d in v; così strava per strada; passeggiava per passeggiata. È a notarsi anche il mia per minga (italiano mica) ed il méa per mia.

CaprroLo III.

(1) Giulini Giorgio: Memorie della Città e della Campagna di Milano, all'anno 1136. (E ciò valga per le successive citazioni.) (2) Di alcune forme dei nomi locali dell'Italia superiore del profes SOre Giovanni Flechia di Torino. (3) Altri Varesini, venerati per santità, si distinsero nelle diverse re ligioni, che qui ebbero case. Ma ormai è ben difficile il trovar completi cenni biografici sui medesimi in tanta dispersione di memorie locali. Dei seguenti religiosi però non andò perduta la memoria, perchè venne raccomandata ad opere manoscritte o stampate : Ippolito, Canonico, Teologo, Vicario Foraneo, chiaro per pietà e dottrina, esimio predicatore; mori nel 1664; Un prete Ambrogio, che verso la metà del secolo XIV, eresse l'Ospe dale de' Pellegrini in Milano; Banfi Bernardo, Giulio, Leopoldo, zio e nipoti, elevati tutti e tre al grado di Generali dell'ordine de'Fate-bene-fratelli, il primo, nel 1721, il secondo, nel 1766, l'ultimo nel 1778; Rancati Ilarione, Generale ministro de' Cistercensi, assai colto nelle lingue orientali; era preconizzato Cardinale, quando morì nel 1660; Ravasi Rosa Marianna, monaca di Santa Margherita in Milano, rino matissima per la sua abilità nella musica; morì nel 1810; NOTE ED AGGIUNTE 329 Bizzozero Paganino, Filippolo e Gio. Battista, colti ecclesiastici, Canonici ordinari della Metropolitana milanese; Bizzozero Domenico e Sempliciano, che nel secolo XVII, diedero alla luce varie opere; Carlo Andrea Dralli, rinomato avvocato, poi gesuita, che pub blicò, nel 1676, una pregiata opera di morale; Zeno Francesco, due volte Provinciale de'Minori Osservanti, autora di scritti teologici; Perabò Cesare Giuseppe, cappuccino, distinto predicatore; Bizzozero Gio. Battista, professore di Teologia morale, che pubblicò

l'opera Summa casuum conscientiae, nel 1628; - Bianchi Ippolito Gius., Provinciale de' Paolotti, dotto in matema tica e filosofia (1788); Sormani Gio. Maria, Pronotaro Apostolico, Teologo della Collegiata che, nel 1746, pubblicò l'Ambrosiano Pastore. Credo bene ai precitati nomi far seguire altri ancora di uomini degni pure di essere ricordati: Bizzozero Paganino, comandante le truppe di Lucchino Visconti; Bizzozero Giovanni, generale di Giovanni e Bernabò Visconti; Un Comollo, segretario di Giov. Galeazzo Visconti, dal 1385 al 1394; Daverio Gio. Cristoforo, poeta che fiori dopo la metà del secolo XIV; Daverio Pietro Antonio, scultore molto lodato dal Moriggia, suo contemporaneo; Grandi Giovanni, invitto capitano sotto Francesco Sforza; Grandi Lazzaro, distinto medico, che pubblicò alcuni trattati; Masnago Giacomo, celebre avvocato, pretore e senatore (1776); Perabò Gerolamo, distinto in fisica, matematica, poesia, e mu sica, chiamato a Roma da Pio IV; morì in viaggio, 20 giugno 1557; De-Savia, che pubblicò varie opere; Riva Cristoforo, autore di vari libri; Tatti Gerolamo, scrittore di trattati di fisica inediti (1570); Zavattone Carlo, pittore; Zeno Tommasolo, maresciallo di campo di Matteo Visconti; Colombo Aurelio, valente incisore, e perito disegnatore; Gio. Batt. Crugnola, di Biumo superiore, intagliatore esimio; Magatti Pietro Antonio Giuseppe, nato a Varese, il 6 luglio 1744, morto a Varese, il 20 settembre 1817, valente chimico-farmacista, ono rato dal duca Francesco III di speciale amicizia, ebbe «da lui la con cessione vitaliziaria del servizio de' medicinali all'Ospitale di Varese. Morto il Duca, egli ebbe l'incarico di imbalsamarne il corpo. Bertini Giovanni, di Biumo superiore, ristauratore dell'arte di dipingere sul vetro, in cui fu celebrato; Giuseppe Pelitti, fabbricatore di strumenti musicali. ll suo nome, 330) VARESE E SUO CIRCONDARIO applicato ad uno strumento da lui inventato, il pelittone, divenne ce lebre in Italia e fuori. Morì in Milano, ove da molti anni dimorava, il 24 aprile 1865. (4) Il numero ragguardevole de' castelli, che si ergevano sulle alture delle nostre prealpi fa sorgere il desiderio che alfine ne cessi la distruzione de' pochi avanzi ancora rimasti. Il pensiero poi che tali avanzi stanno ancora come taciti testimoni di tanti drammi, lieti o funesti, pubblici o privati, suscita la brama di saperne la storia. Se qualcuno di eletto ingegno pigliasse a raccontare leggende, aneddoti , o anco movelle romantiche, offrirebbe libri di buona lettura pel popolo. Un simile de siderio l'espressero già altri, tra cui C. Cantù, quando parla del ca stello di Cuasso nella Lombardia Pittoresca,

CAPITOLo IV.

(1) Era uso, ne' bassi tempi, di dipingere una gigantesca effigie di S. Cristoforo al di fuori delle chiese, presso le strade, perchè fosse meglio veduta dai passanti, e perchè credevasi che, in quel giorno in cui si vedesse quella effigie, non si incontrerebbe mala sorte. Cesare Cantù: Storia della città di Como. (2) Articolo del Cav. Avv. Pier Ambrogio Curti nel giornale l'Uni verso Illustrato, 1868, febbraio, N. 20. (3) Si sa che i signori Borromeo assunsero, insieme collo stemma, le principali fabbriche di panno dei soppressi Umiliati. Il panno, che essi vendevano, era perciò detto borromee, ed i venditori girovaghi del medesimo chiamati dal popolo i borrometa. È probabile che anche la Casa di Varese fosse condotta dai signori Borromeo, ciò che spieghe rebbe le ripetute visite alla Cavedra del Card. Federico. (4) Cesare Cantù, Margherita Pusterla. (5) Archivio di Stato, Cartella N. 1751, Culli-Gesuiti. (6) Sotto il portico del Palazzo del Pretorio v'era infisso un mat tone, che serviva di campione per la misura dei mattoni venduti dai diversi fabbnicatori. Nei tempi andati, ogni cosa, che si vendeva in pubblico, era soggetta alla meta. Chi trasgrediva gli ordini di questa veniva multato, e coloro che erano recidivi, ovvero non aveano da pagare, venivano frustati o torturati. Delle multe, una parte era as segnata al Podestà od al Giudice delle Vettovaglie, e un' altra parte alla Comunità, la quale se ne serviva a diminuire le sue spese, e soventi erano adoperate in opere edilizie, o di pulizia. Dall'enumerazione, che le cronache fanno di tutte le esecuzioni di giustizia, si apprendono alcuni usi e costumi, ora quasi dimen NOTE ED AGGIUNTE . 331 ticati. Una bella testimonianza della gentilezza d'animo dei borghi, giani si è, che nessuno di loro volle mai prestarsi a siffatte esecuzioni ed il mastro di giustizia dovevasi perciò far venire da Lugano, e qual che volta da Milano. Quando si avevano le carceri ripiene di prigio nieri, ovvero si voleva diminuire la spesa pel mantenimento dei car cerati, il Podestà scieglieva tra i carcerati quelli meno furfanti, o coloro che già avevano subìto parte della loro pena, e li rilasciava in libertà. In tale circostanza invitava, nella sala del Pretorio, i più cospicui si gnori e signore, e, all'ora fissata, si faceva venire innanzi i prigionieri, dava loro una buona ramanzina, e dopo aversi fatto promettere, alla presenza di tutti, di non più commettere ribalderie, minacciando mag giori pene, nel caso di nuove trasgressioni alle leggi, donava loro la libertà. Il Podestà di Varese aveva amplissima giurisdizione, forse la mag giore di tutti gli altri Podestà del contado di Milano; e nelle cause di sua competenza era proibito ai clienti appellarsi al giudizio di altri Podestà, sotto il pretesto che avessero maggior giurisdizione di lui. Dalle cronache ricopio alcune esecuzioni giustiziarie, che ci danno l'idea di diverse pene ed infamie, usate nei tempi passati, per i diversi delitti veri o supposti. « 1579, 12 luglio – Fu qui decapitata Marta, di Albiolo, strega, con dannata dal Senato. « 1591 - Nel mese di aprile fu appiccato in Varese, avanti al pa lazzo della Giustizia, Giovanni Battista Gatta, di Venegono, omicida; fu poi squartato, ed i quarti furono esposti per più ore alla pubblica vista. Costò l'esecuzione 310 ducati, e tale spesa fu ripartita sulle terre della Pieve, in proporzione del sale che a ciascuna terra si dava nell'annata. « 1597, 25 febbraio - Fu appiccato Gerolamo Gozzio, vercellese, dopo essere stato trascinato pel Borgo a coda di cavallo. La spesa fu ri partita in proporzione del sale come sopra. « 4 luglio – Fu appiccato Francesco Barbato, di Venegono, e dippoi,

a maggior infamia, fu decapitato. - « 1619, 13 marzo - Certo Manotto, di Bosto, fu frustato in Varese per ordine dato dal Senato di Milano alla Reggenza. Ebbe il flagellatore L. 50 in pagamento dell'esecuzione, più L. 2 gli vennero pagate per la maschera da ricoprirsi il volto, onde non fosse conosciuto. Ai fanti che lo aveano ajutato, vennero pagate L. 8. « 1622, 27 giugno - Fu appiccato Carlo Zucca, d' anni 45, del Sacro Monte. Il carnefice fu quello di Lugano, al quale si diedero filippi 30, oltre L. 18 per cibaria. Aveva ammazzato una monaca del Sacro Monte. Fu assistito dal Can. Coadiutore con cotta e stola ed aspersorio, da due padri Cappuccini, e da due padri dell'Annunciata. « 1644 – Fu appiccato Carlo Filippino di Cugliate, per vari delitti. 332 . VARESE E SUO CIRCONDARIO « Per ordine del Senato Eccellentissimo li Reggenti del Borgo di Varese hanno fatto appiccare molto volontieri (così sta nelle Memorie Municipali) ed esponere sopra alla porta di Rezzano di detto Borgo la testa di Carlo Filippino di Cugliate, reo di infiniti delitti. l Reggenti sud detti ottennero poi dal Vicario di Giustizia delegato dal Senato Eccel lentissimo, e con autorizzazione di Filippo IV, Re di Spagna, terzo Duca di Milano, che la spesa di detta esecuzione ripartita sia alle terre e giurisdizione del minor magistrato dove il detto Filippino abitava e commise la maggior parte dei suoi delitti alla giurisdizione del quale minor magistrato era anche detto Filippino sottoposto. Ignazio Cantù, nell' Agata della Madonna del Monte, narra i parti colari del processo e dell' impenitenza finale dell'assasinio, ma ne sba glia la data e cade in altre inesattezze. « 1650, 7 gennaio – Francesco Maria Carnago, incolpato di Farinel leria, veniva strozzato in prigione, perchè era chierico. Fu arrestato, per ordine dell' Eccell. Governatore di Milano, mentre visitava il Po destà suo amico, il quale non ebbe difficoltà ad arrestarlo, avendo quegli lasciato fuori del Pretorio i suoi boffanti. « 1738 - Per sentenza dell' Eccell. Senato fu posta alla berlina Mad delena Quadra, accusata di ladrocinio. l fanti si erano rifiutati di con durla alla berlina, dicendo che ciò spettava al mastro di giustizia. La Comunità ricorse al Senato, che obbligò i fanti a condurre la donna alla berlina; ma il bargello poi per esimerli da tale incarico, fece ve stire ad un prigioniero piemontese veste di sacco e cappuccio, e da questo fece addurre alla berlina la prigioniera. « 1750, giugno – Maria Bertana Duchina fu bandita, dopo aver su bita la berlina un'ora per tre giorni. Le si metteva in testa una cuf fietta di cartone, alta quasi un braccio, coperta di carta dorata, portante in mezzo un A; e sul petto un cartello col suo nome, e sotto Ruffianice. Faceva l'ufficio di carnefice un carcerato. « Talvolta i decreti di polizia avevano il duplice scopo di liberare il Borgo dagli oziosi, e procurare soldati allo Stato. Eccone una prova : « 1759 – Trovandosi a Varese il Sindicatore di Milano pubblicò un decreto, col quale ordinava, che niuno uscisse di casa, dopo due ore di notte, senza lume. Per tutelare l'osservanza della prescrizione aveva fatto venire da Milano molta sbirraglia, la quale arrestò buon numero di trasgressori. I violatori di quella prescrizione dovevano pagare una grossa multa, e, se giovani ed impotenti al pagamento, venivano dalle carceri condotti al castello di Milano per essere incorporati nei reggi nenti di soldati. » (7) Vedi il libro: Sulla pubblicità delle sedute dei Consigli Comunali dell'Avv. Giuseppe Calvi. (8) Berlan : Statuta, ecc., pag. 49. (9) Dal giornale La Libertà, 9 marzo 1865. NOTE ED AGGIUNTE 333 La Libertà fu un' effemeride settimanale, pubblicata in Varese, dal l'anno 1863 al 1866; a quella fece seguito La Cronaca Varesina, pub blicata, dal 1867 a tutto il 1873, per cura di Giuseppe Della-Valle. (10) La chiesuola di S. Cristoforo esisteva tra la piazza del Batti stero e quelIa delle Oche. Il forno pubblico ci ricorda l'uso, ora smesso, delle famiglie benestanti di far pane in casa, e dei poveri di

portarlo solo a cuocere al forno comune. - (ll) ll servizio medico dell'Ospitale, sì diurno che notturno, vien fatto da un medico e da un chirurgo, ai quali è aggiunto un medico assistente. Lo amministra la Congregazione di Carità, che all'uopo compilò un ben inteso regolamento. Ogni anno essa fissa il numero dei letti per gli ammalati. Nel 1871, i letti erano cinquantassette, com presi otto pei cronici, pei quali vi hanno appositi legati. Nel 1872, il partimonio si accrebbe di oltre L. 30,000 con parte della sostanza pervenutagli per riversabilità dalla defunta suora agostiniana Marianna Staurenghi, monaca del Sacro Monte. Alla Congregazione di Carità v'è pure unito un Luogo Pio Elesimo niere, il quale, nel 1815, spese aust. L. 4,352, e, nel 1816, L. 1,021, a comperare tanto granoturco da distribuirsi ai poveri nelle carestie di quegli anni. Ora la Congregazione di Carità pensa ad istituire un Ricovero di mendicità pel quale, oltre il legato del Preposto Crespi, si hanno già offerte del Municipio e di generosi cittadini, ma finora insufficienti. Sarebbe la gran bella cosa se si potesse togliere l'accattonaggio in Va rese, e specialmente lo sconcio dei pezzenti che girano la città que stuando in sabato. I poveri del sabato e il mercato del lunedì diedero occasione ad un bello spirito di dire che Varese al sabato è dei poveri, alla domenica dei ricchi, al lunedì dei villani. (12) La piazza di S. Antonio era molto erta e sassosa; epperò io ritengo che la Motta antica, anzichè essere un rialzo di terra, fatto ad arte, fosse un'elevazione naturale resa in seguito meno ripida. Gi rando pel lato orientale della chiesa di Sant'Antonio, per le vie, ora ri fatte, vassi a Casbenno, ed alla villa Gaggiano di sotto, dove villeggiò C. Cantù presso i signori Stella. (13) Nel Manuale della Provincia di Como, 1870, si contiene la Let tura fatta dal Cav. Prof. Dott. E. Zanzi agli alunni dell'lstituto Tecnico di Varese il giorno 9 marzo 1869 (100° anniversario della nascita del grande concittadino). A quella lettura fanno seguito alcune note, la terza delle quali registra le opere di Luigi Sacco, e la settima, i nomi degli Autori che trattarono in parecchi scritti della vita e delle opere di lui Un Comitato già da anni si è costituito in Varese a raccogliere le offerte per collocare nel locale delle pubbliche scuole un monumento al grande concittadino. 334 VARESE E SUO CIRCONDARIO (14) Luigi Chirtani – Appendice del Corriere di Milano, 29 agosto 1873. Dall' alto della ripa verde, che s'alza sul colle del giardino, nel 1812, precipitava, mortalmente ferito d'un colpo di pistola, un giovane francese, la cui storia dolorosa è tuttora un mistero. Egli era sul fior degli anni, ed il suo volto annunciava un animo dolce e di soavi costumi: un ritratto di donna, mezzo cancellato da non essere riconO scibile, pendeagli dal collo : un angolo ignorato di terra, raccolse le reliqnie illacrimate di un giovine, il cui cuore capace d' accogliere le più generose passioni, s'era per sua sventura aperto ad un amore violento, forse tradito ! (Tullio Dandolo - Lettere ad Erminia).

CAPIToLo V.

(1) l sepolcri della chiesetta di S. Lorenzo furono distrutti solamente l'anno scorso. (2) Archivio di Stato Cartella 1401 – Culto, Chiese, ecc. Varese (3) L'organo della vecchia Basilica stava in mezzo alla chiesa, ap poggiato a due pilastroni della medesima. Fu collocato nel luogo, dove esiste tuttora, nel 1559. Nel 1754, essendo morto il maestro di cappella Manusardi, gli suc cesse Domenico Zucchinetti, il primo che abbia dovuto sostenere esame di concorso, tanto per il suono dell' organo, che per la composizione. Era espertissimo nell'arte sua, lasciò buon nome di sè, e fece diversi stimati allievi. Collocato a pensione nel 1806, il di lui allievo Pietro Della-Valle , approvato esso pure in esame di pubblico concorso, che fu tenuto in Municipio dal M. Gnecchi, di Busto Arsizio, e nel quale non ebbe competitori, non essendosi presentati gli altri due concor renti, lo sostituì in via provvisoria, e dopo la di lui morte, che lo colse già ottantenne, gli fu definitivamente nominato successore. Nell'ottobre del 1835 il Della-Valle lasciò la Cappella di Varese, per trasferirsi a Milano qual primo contrabasso al Teatro della Scala, chiamatovi, per la valentia sua in tale istrumento, in quell'epoca in cui vi cantava la celebre Malibran; e notisi che, come primo contrabasso, egli ebbe già a far parte dell' orchestra nella festa a Corte per l' arrivo in Mi lano della sposa di Beauharnais, quindi per l' apertura del Teatro Carcano, pure in Milano, allora che vi otteneva trionfi la Pasta, e che fu spesso chiamato a musiche istrumentali ecclesiastiche, special mente a Novara sotto Generali, Mercadante e Coccia, dei quali godeva la stima e l'amicizia. A Milano dimorò poco più di due anni, quindi, per motivi di salute, di nuovo concorse al testè lasciato suo posto in Varese, che provvisoriamente era stato disimpegnato, prima dal di NOTE ED AGGIUNTE 335 lui figlio Gio. Battista, poi dal Sac. Giuseppe Maspero, presentandosi all'esame che doveva aver luogo in S. Fedele in Milano, e che non si effettuó pel mancato intervento di altri tre concorrenti, e per la di chiarazione che fecero in di lui favore, perchè già ne avevano speri mentata l'abilità, i maestri esaminatori Neri e Bonazzi di quella Me tropolitana. Il Della-Valle fece pertanto ritorno alla Cappella di Varese nel gennaio del 1838, e ne disimpegnò nuovamente le mansioni fino al 21 febbraio 1858, in cui mori a 76 anni, dopo oltre 50 anni di prestato servizio. Gli successe il Sac. Giuseppe Della-Valle, di lui figlio ed allievo già organista a Santa Maria del Monte e maestro di cappella a Desio, il quale, nel pubblico esame di concorso, tenutosi nella stessa Basilica di S. Vittore in Varese dal maestro Tagliabue della cattedrale di Como, ottenne la preferenza su alIro competitore, ed assunse le proprie mansioni col 1 maggio successivo, che anche attualmente continua. La Cappella di Varese, fornita di due tenori, due contralti e di due bassi d' obbligo, oltre gli allievi ed i dilettanti, ha un servizio di molto impegno, tanto più faticoso pel maestro, cui è annesso anche quello del semplice suono dell'organo. La retribuzione al maestro è di it. L. 575 e pei cantanti di it. L. 180 all'anno. (4) La fabbrica della nuova Basilica si edificò in varie riprese. Nel 1591, al 23 novembre, caddero tutte le nuove vòlte, senza però che s'avesse a lamentare alcuna vittima; cosicchè si dovette incomin ciare nuovamente la dispendiosa ricostruzione. (5) Nessuno creda, no, di trovare nelle figure della vòlta i ritratti dei Santi che si vollero rappresentare. Sono tutti ritratti di varesini e Varesine viventi nell'anno in cui furono ritrattati. I santi che dovreb bero rappresentare, dei quali conservansi qui reliquie insigni, sono: S. Martino, S. Valentino, S. Fiorenzo, Santa Flora, Santa Cristina, S. Stefano suddiacono, S., Romano, S. Giulio martire, Sant'Urbano papa e martire, S. Clemente, S. Fabiano, Sant'Urbica. Quei santi, con gergo popolare, alludente alla particolare commemorazione di essi, che se ne fa nella Basilica, sono chiamati : « i sant che corr per gèsa. » La Basilica di Varese, per molti titoli, venne sempre contraddistinta coll'onorifico appellativo di Insigne. Altre chiese antiche, dedicate a S. Vittore, sono quelle di Arcisate, di Bedero Valtravaglia, di Intra, di Locarno: monumenti tutti che attestano il trionfo dell'idea cristiana sulla forza. Il martirio di S. Vittore avvenne in Milano per ordine dell' imperatore Massimiano, nativo di Castelseprio, secondo alcuni storici. Il culto di quel santo era tanto diffuso nella nostra diocesi, che, nel 1288, contava sessanta chiese, dedicate a lui. Della nostra Basilica scrisse una Monografia il giovine Luigi Zanzi, e dei quadri in essa conservati, alcuni cenni il Sac. Ferdinando Calzoni. Ne' magazzini della Basilica conservansi oggetti, che meriterebbero 336 VARESE E SUO CIRCONDARIO di essere collocati in pubblica vista. Tra questi un quadro micrografico in cui certo Ignazio Moltani, nel 1602, in una piccola immagine della Vergine scrisse: l'Officio della B. V. Maria, i sette Salmi penitenziali l'Officio dei defunti, gli Inni e i Vespri di tutto l' anno i Misteri gau diosi, la Passione di Cristo dei quattro Evangelisti, gli Offici di S. Croce e Spirito Santo, la genealogia di Maria Vergine, il Capo LXX del Vangelo, le Litanie della Madonna, le Litanie dei Santi, un Inno ed un Salmo; due stendardi della confrafernita di Sant'Antonio e di S. Gregorio, che sono quattro tele dipinte ad olio, congiunte l'una all'altra come si usavano ne' tempi trascorsi. Quello di S. Gregorio è dipinto dal Mo razzone, e il santo è attorniato da un bel gruppo di puttini. (6) Giuseppe Della-Valle: Varese , Garibaldi ed Urban. - L'altezza del campanile è di metri 73.

CApIToLo VI.

(1) I distintivi che ancora rimangono al Preposto, e che ricordano l'antico splendore della sua dignità, sono : 1 che ab immemorabili le Messe solenni, cantate dal Preposto, diconsi pontificali; 2° l'usare una specie di faldistorio in certe funzioni; 3° nelle messe solenni, leggere l'epistola seduto al presbiterio, volgersi al Diacono leggente il Vangelo impugnando la ferula, baciare in quella positura l'Evangelistario, ed essere incensato, ecc.; 4° l' avere ab antico due gradini al presbi terio, ecc., ecc. (2) Quella refezione era dovuta ai Canonici, perchè si portavano a Biumo superiore a celebrarvi la festa dell' Incarnazione di Gesù Cristo, nella domenica, previa al Natale. La pergamena è del 1248. Tale festa è privilegio antico della liturgia ambrosiana, della gallicana, e delle chiese orientali. (3) Ignazio Cantù, Agata della Madonna del Monte. (4) ll monumento fu trasportato nel Cimitero in occasione degli ultimi ristauri. Per altre notizie veggasi l'opuscolo: Omaggio alla memoria del Sac. Nob. Benedetto Crespi, ecc. Varese, Tip. Andrea Ubicini, 1858.

CAPIToLo VII.

(1) La scala interna che metteva alla parte superiore era di sasso, e, incominciando dalla porta a mano manca, si appoggiava, girando, al muro. Fu levata nel 1617. Ad essa venne sostituita l' attuale a NOTE ED AGGIUNTE 337 tergo della chiesa. Sotto la scala, circondato da un riparo di legno, eravi l'altare di legno dorato coll' immagine della Madonna detta delle Grazie, oggetto di gran divozione popolare. L'avello stava nell' angolo a mezzodì, verso l'altare vicino alla por ticina, ora murata, ed aveva un gradino tutto all'ingiro per ascen dervi. Fu rimosso da quel posto solo nel 1808. Sopra una parete laterale della porta stava infissa una lapide com. memorativa del Preposto Giulio Veratti, l'unico eletto a voti di popolo. Ora é scomparsa. ll muro che chiude la parte superiore fu fatto dalle confraternite che si radunavano in quella chiesa. I quadri che vi stanno internamente appesi sono : Il miracolo del SS. Sacramento, di Federico Bianchi; Gesù al pozzo di Samaria ed il Redentore, che appare alla Madda lena, attribuiti al Morazzone; S. Vittore in figura equestre, che vuolsi del Ronchelli; Le Sante Agata, Lucia ed Apollonia, del Magatti; ll martirio di Santa Caterina, dipinto dal Ronchelli, lodato dal poeta milanese Domenico Balestrieri colla sua poesia: El martiri de Santa Cate rina in S. Vittor de Vares. Altri di ignoto autore, tra cui i dodici Apostoli, del 1600 circa, e infine la bella Madonna col Bambino della pala dell'altare di legno, ora levata per lasciar vedere l'affresco del Giovenone.

CAPITOLO VIII.

Nell'Archivio di Stato in Milano esistono molte Carte riguardanti le varie Confraternite e i Monasteri di Varese,

CAPIToLo IX.

« (1) Da Zucchinetti, maestro della Cappella varesina, la Grassini apprese le prime nozioni di musica e di solfeggio; quindi il raro timbro di voce e la beltà della persona indussero il generale Belgiojoso ad inca ricarsi della sua educazione, compita in Milano dal maestro Secchi lo stesso che fu più tardi professore al Conservatorio di musica. I progressi fatti nella savia maniera della antica scuola, furono assai rapidi. La sua voce, contralto vigoroso e di accento espressivo, non mancava di estensione ne' suoni acuti, e la sua vocalizzazione aveva della leggerezza, qualità rara nelle voci robuste. Varese e suo Circond. - VOL. I. 22 33S VARESE E SUO CIRCONDARIO « Appena diciassettennfe esordì al teatro della Scala l'11 agosto 1790, come seconda donna nell' opera La bella pescatrice, di P. Guglielmi. Nel carnevale 1794 ebbe la fortuna di cantare pure alla Scala con Mar chesi, o nel successivo anno alla Fenice di Venezia con Rubinelli e Brizzi, e con Crescentini di nuovo alla Scala nella Giulietta e Romeo di Zingarelli nel 1776, e negli Orazj e Curiazj di Cimarosa a Venezia nel 1797, spartiti espressamente musicati, ed il suo talento potè tosto informarsi ad uno stile di perfezione oggidì sconosciuto. – Un successo non aspettò l' altro; ne' primari teatri ed in regali concerti fu accolta con entusiasmo, ottenne ricchezze, e cospicui omaggi le vennero tri butati dalle sommità dell'epoca compresa la più radiante di tutte. « Poco dopo la vittoria di Marengo, Bonaparte, intesala in una serata dal generale Belgiojoso, la volle a Parigi, ove il 22 luglio 1800 cantò al Campo di Marte in un concerto monstre, a cui presero parte ottocento esecutori. - Nel novembre 1801 visitò Berlino, nel 1802 dal marzo al luglio e colla paga di 3 mila lire sterline cantò a Londra, indi a Monaco, poi chiamata a Parigi fu assunta direttrice del teatro italiano ed a virtuosa dell'imperiale Corte con stipendi munificenti e colla pensione di L. 15 mila. – La Grassini nelle sere degli 11 e 15 aprile 1817 diede due accademie alla Scala, e poi l'ultima volta com parve sulle scene, se pure non erro, in Brescia nel 1819, cantando con Giuditta Pasta gli Orazj e Curiazj. La provetta cantante varesina in quella circostanza influi grandemente sullo sviluppo artistico della giovane milanese, dappoi l'insuperata interprete d'Anna Bolena e di Norma. « I musicisti che ebbero a bearsi della deliziosa emissione della voce, dell'accento penetrante e del maestoso fraseggiare, non dimenticarono il sovrumano potere dell'esteso e soave organo della Grassini. E se le cantanti, che ora fra i plausi Vanno assordando i teatri, si fossero ammaestrate alla tradizione della di lei scuola, avrebbero agio di mi surare quanto esse, e con qual detrimento dell'Arte, hanno fuorviato dal retto sentiero. « Per molti anni la Grassini, maritata Ragani, fu solita passare i suoi giorni a Milano ed a Parigi, sicchè nel discorrere si abituò ad un miscuglio di italiano e di francese di una piccante originalità. « Nella Grassini la bontà di cuore e generosità d'animo, per cui a benefizio altrui molta parte del suo aveva converso, non erano meno da onorarsi che la eminente virtù nel canto. POMPEo CAMBIASI » Di Vincenzo Dandolo si possono ricavare notizie ancora dalle opere pubblicate dal figlio di lui Tullio, e segnatamente ne' suoi Ricordi. Alcune monetine del medio evo furono rinvenule ne' dintorni di Biumo inferiore, delle quali si occupò il prof. B. Biondelli. (2) L'avello, ora rinvenuto e collocato nella sala del Museo Patrio, NoTE ED AGGIUNTE 339 credesi del primo secolo dell'impero romano, e porta la seguente iscri zione :

PVBI, . ACVTI . IVSTINI VIRILLENA CRESCENTINA MATER, INFELICI SSIMA FILIO .

A Casbenno ponno meritare di essere osservate una tela del Martelli nell' Oratorio de' nobili signori Dralli, e nella villa Barbò cinque piante di Olea fragans, di cui la più colossale ha le seguenti propor zioni: circonferenza m. 18, diametro n. 6, altezza m. 4.50, età anni 36.

CAPIToLo X.

(1) Quanti scrissero sulla Storia di Milano, trattarono di questo pe riodo assai importante con diversi intendimenti, e il giudicarono non scevri affatto di prevenzione. È tuttodì sentito e vivo il desiderio che un erudito lo svolga ifn tutta la sua ampiezza, giusta i dettami di una Sana critica. (2) In questo Capitolo si curò di registrare solo que' fatti caratteri stici, che ponno offrire un' idea de' costumi, delle abitudini, de' pre giudizi, delle condizioni civili e naturali in ogni tempo del paese nostro. (3) Il Grossi li riporta per intero. (4) Le iscrizioni erano: I. . GABRIELE CoMITI VERRI SENAToRI MEDIoLANENSI QUoD SINGULARI EUs CoNSILIo SAPIENTIA, AUCToRITATE INSUBRIAE FINIBUs cUM HELvETIA

- CONSTITUTIS - CONTROVERSIAE OMINES SUBLATE sUNT VARISII RECToREs P. P. 340 VARESE E SUO CIRCONDARIO

II.

GABRIEL VERRI ET JosEPH HEINRICH AUCToRITATE sAPIENTIA FECIALEs oPTIMI INSUBREs HIELvETIosQUE ARCTIoRI JUNGENTEs coNCoRDIA HANC sIBI sEDEM P. ANNo l772.

(5) Così nel diploma conservato nell'Archivio di Stato di Milano. (6) Le feste furono descritte dall'abate Giuseppe Parini. (7) Parole della petizione, (8) Archivi generali in Milano – Pubblici spettacoli. (9) Stampata in Varese. Ad essa vanno unite la descrizione dei fu nerali, e le iscrizioni analoghe, che qui seguono: Nell'esterno della chiesa FRANCIsco III MUTINE DUCI PRINCIPI SUO AMANTISSIMO DEVOTI NOMINI MEMORIAEQUE FJUS VARISIENSES MOESTISSIMI FUNEBRIA

Nell' interno FRANCISCo III ESTENSI MUTINENSIUM DUCI XII M. BEATRICIs FERD. AUSTR. AUSPICATISSIMAE UXORIS AVI LECTISSIMOS CINERES SIBI CREDITOS VARISIUM oPPIDUM SINGULARI AUGUSTAE PLACITO TOP ARCHICO VIVENTIS IMPERIO ADDICTUMI pRAESENTIA AUCTUMI LIBERALITATE ORNATUM MOX AETERNO PRINCIPIS OPT. DISCESSU PERCULSUM PROCURATIS PUBBLICE INFERIIS CONDIT' POSTERITATI.

1Durante la Signoria di Francesco III nulla ho trovato di importante a riferire circa gli avvenimenti del Borgo, se non che: nel 1770, anche, NOTE ED AGGIUNTE 341 a Varese vanno in esecuzione le nuove riforme, imposte da Maria Te resa; nel 1771, al 23 di marzo, un vento impetuoso che atterra piante, trasporta tetti, ed ammazza alcune persone, vento che si rinnova l'anno seguente, in settembre; nel 1773, v'è carestia, ed i Vicari di Provvisione di Milano fanno sequestrare tutto il grano che si trova nel Borgo, dove se ne reperirono sole quattordici moggia; in settembre dello stesso anno un'alluvione torrenziale innonda Varese, e nella sola piazza di Sant'Antonino vi trasporta più di duecento carretti di sabbia; l' inverno del 1774-75 è tanta la miseria, che i contadini devono vendere le loro masserizie per comperarsi il vitto; e nell' anno 1775, fu sì abbondante il raccolto, che riparò ogni danno sofferto per l'ad dietrO. Nella Cartella 85, Finanze, dell' Arch. di Stato, un poscritto di una lettera al R. Ducale Magistrato Camerale prova come l'infeudamento di Varese, a favore del Duca, fu fatto per mero atto politico di averlo ligio alla Casa Austriaca, e come la Segreteria del Duca fosse più una parvenza di potere, non influente per nulla sulla costituzione e sul regime del Borgo. Ecco tale poscritto : « Le stesse ragioni che avrebbero potuto valere per ribattere le pretensioni ragguagliatemi da V. E. nelle sue antecedenti servirebbero a mettere dalla parte del torto la suddetta segreteria anche in questa nuova emergenza; ma li riflessi medesimi per li quali siano stati re stati di concerto a voler dissimulare le ulteriori pretensioni, osserva bene l'E. V. che converrà passare anche questa volta sopra l' arbi traria innovazione di essa segreteria, per non dare motivo di disgusto al signor Duca in una cosa irregolare bensì . ma di tanto picciola entità, e di non lunga durata. » Per vero dire, in molte altre carte, riguardanti questioni di nomine di conferma, ed altro, dei diversi ufficiali di Governo di Varese, non Viene mai nominato Francesco III. Chi desidera sapere quanti fossero i preti e i frati in Varese nel 1774, eccone l'elenco ufficiale : Cappuccini, trentaquattro; Riformati, trenta quattro ; Conventuali, undici : Carmelitani, ventitrè; Gerolimini, sei; Gesuiti, sei; Monache di S. Martino, cinquantotto ; di Sant'Antonino, cinquantaquattro; di Santa Teresa, trenta; e il Clero di Varese con stava di un Preposto, diciannove Canonici, sette Cappellani Corali; e diciotto Sacerdoti ; e nelle Castellanze, quattordici Ecclesiastici. Volete altro ? Dicesi che Giuseppe II, interrogato dal Duca se gli piacesse la Corte, avesse risposto : « Tutto bello; ma avete fabbricato il palazzo dove avreste dovuto collocare le scuderie e le rimesse. » (10) Nella Cartella 319, Finanze, si hanno documenti riguardanti da Banca Criminale o Attuaria, la quale si dava in appalto. In tale car 342 vARESE E sUo CIRCoNDARIO tella e nella seguente, 320, trovansi eziandio atti relativi all'appalto del Dazio sull' imbottato e sul bulino di Varese e Castellanze, il quale si conservò per molto tempo.

(11) DISCORS0 recitato dal cittadino Biondi

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IN NOME DELLA REPUBBLICA CISALPINA UNA ED INDIVISIBILE.

« Sotto così felici auspici, miei cari fratelli d' armi, eccovi per la prima volta organizzati in Guardia Nazionale. L' armi alle quali co raggiosamente accorreste, faranno smentire ben presto i nemici del pubblico bene, che tacciarono finora i discendenti di Bruto, e di Cas sio per infingardi, per vili giumenti consacrati all' inerzia, ed al ser vaggio. Sì, l' armi, che generosamente impugnate, faranno apertamente conoscere ai duri, inflessibili, Alemanni, che l' Italia, rigenerata alla libertà, alla gloria, ha ormai richiamato dalle ceneri, ove dormivano da tanti secoli, le anime valorose de' suoi primi Eroi. « Quest'armi, o bravi difensori della patria, vi assicurano d'oggi in avanti il primo naturale diritto dell'Uomo, la sempre dolce e cara libertà recataci dalle invincibili armate Francesi, e dal lor prode Con dottiero Bonaparte. I popoli tutti del Verbano apprendano da voi una volta a rendersi degni dell' essere sublime di Uomo, e de' suoi preziosi attributi. Abbastanza abbiamo incurvato il collo sotto il giogo dei tiranni. È tempo di ergere la nostra fronte, e di ritornare nel primiero nostro augusto carattere d'Uomini liberi. Ma la libertà non è, Cittadini, il solo diritto , che per natura necessariamente competa all'uomo Tutti siamo uomini: dunque siamo tutti eguali. Si prostituiscano una volta i nomi detestabili dell'altera, prepotente nobiltà, nomi, scolo fe tido e nauseante dell'antica barbarie, e l' Uomo non si conosca che per quello che lo ha fatto il suo Autore. Contadini, Artigiani, Uomini d'ogni sorta, Voi siete Sovrani. Ma che dissi? Voi siete eguali al primo re della terra ! No, che troppo deturperei il vostro carattere. Quelli sono i tiranni de' loro simili, e però non sono più degni dello onorato nome di Uomini; essi hanno a reputarsi quai mostri divora tori della umanità. Voi siete fratelli; Voi siete tutti disposti a giovarvi l'un l'altro. Chi tentasse d' opprimervi provi la giusta vendetta delle vostre baionette. Per rendervi adunque rispettabili unitevi in sacro nodo di fratellanza. D'oggi in avanti si sepelliscano in eterno oblio le antiche offese. Più non si parli dello spirito di partito, che infausta mente finora vi divise. Accogliete nel vostro seno chi, pentito d' es servi stato nemico per opinione, ritorna nelle vostre braccia. La Causa di ciascuno sia la causa di tutti. Amatevi, e fate altrui ciò, che per voi bramate : tutti tendete co' Vostri sforzi ad un sol centro, alla si NOTE ED AGGIUNTE 343 curezza, alla prosperità della Repubblica. Questo è il sommo, questo è anzi l'unico vostro bene. Uniti indivisibilmente che siate, o Fra telli, vi fa d'uopo coraggio. Senza coraggio indegni sareste Voi di quelle armi, e la libertà, cui tanto anelate, vi sfuggirebbe dalle mani appena conquistata; nessuno potrà a Voi rapirla, se coraggiosi per lei com batterete. Il timore, la Viltà sono l' obbrobrioso marchio degli schiavi. L' energia, il coraggio sono l' anima degli Uomini. Ma qual vantaggio ci arrecherebbe questa tanto sospirata libertà, se il di lei retaggio fosse il vizio ? Miseri noi! L'anarchia sottentrerebbe ad opprimerci. Virtù adunque, virtù è la soda base, su cui tutta s'appoggia la grande libertà. Conservate, rispettate in ciascuno i diritti, che desiderate in Voi rispettati. La Religione, il Culto, il Ministero, trovino in voi appoggio. Le proprietà siano salve, gli innocenti beneficati, i rei emendati, e se incorreggibili disturbano l' ordine pubblico, la scure della legge piombi sul loro capo. Il sacro deposito della stessa legge sia l'unico Sovrano, che da voi esiga obbedienza. E perciò rispettate le Autorità depositarie, e ministre della medesima. I poverelli, gli orfani, le vedove, i pupilli abbiano in voi il loro sostegno; nessuno opprima il suo simile, nes suno si faccia giudice del suo fratello, se non colui, il quale è collo cato a giudicare. Soffocate l'intemperante caliginoso fomite del piacere, e della mollezza. Vincendo voi stessi, trionferete su tutti i tiranni. Cit tadini ! Ecco eretto l'Albero della vita, l'Albero stemma di vostra li bertà. No, non è quello un idolo, che a voi si proponga, perchè a lui offriate incensi, e voti, che solo devonsi alla Divinità, come i malevoli fanno credere ai semplici per distorli dal Repubblicano sistema. Quello anzi è l'emblema che rappresenta la vostra sovranità, la vostra libertà. Se pria nessuno di voi avrebbe osato insultare un' aquila a due teste, che null'altro a Voi presagiva se non la ghiotta, e rapace tirannide, che vi lacerava, qual sarà così scellerato, che ardirà macchinare la mi nima ingiuria ad un Albero, che vi prepara i dolci frutti di libertà ? Uniamoci tutti adunque sotto l'ombra di questa pianta, sicuri di quella libertà, che è il nostro primo originario diritto, e giuriamo concorde mente di voler viver liberi, o di morire. BIoNDI VOLONTARlo. » (12) Le festose accoglienze, fatte il 9 di giugno 1825 all' arciduca Francesco Carlo e alla sua sposa Sofia, avevano per obbiettivo di otte nere, per mezzo loro, che Varese fosse elevato al grado di Capoluogo di Provincia. Ciò viene anche provato dalla seguente iscrizione, che fu collocata sull'arco di Milano: 344 VARESE E SUO CIRCONDARIO

SIATE IN OGNI MODO FELICI AUGUSTI PRINCIPI CARLO E SOFIA FIoRE E DECoRo DELL' AUSTRIACA CASA PEL DI CUI OSPIZIO GIUBILOSA TRIPUDIA LA CITTÀ DI VARESE voI AUSPICI DELLA SUA FELICITÀ PRESENTE E AMMIRA VOI PRESSO CESARE AVVOCATI POSSENTI INVOCA E IN VOI SI AFFISA PERCHÈ sIA A QUESTA PATRIA REso L'oNoRE ANT1co E FATTA ESSENDO PER REGGERE S1 A 1NNALZATA A SEDE D1 PROVlNC1 AL GOVERNO CHE NON PROMETTEC1= LA BONTÀ VOSTRA = CARLo E soFIA CHIE NON DAREBBE = CARLO E SOFlA -= CESARE A VOI

(13) Sull'arco, che espressamente era stato innalzato all'ingresso di Varese, a Biumo inferiore, nel luogo medesimo dove, il 26 maggio, ergevasi una barricata ed incominciava il combattimento, leggevasi:

QUI OVE FREMENTI ATTENDEMMO IL NEMICO OGGI ESULTANTI SALUTIAMO IL RE.

Sulla porta della Basilica stava la seguente iscrizione:

D. O. M. QUOD VICToRIUs EMANUEL REx NosTER LlBERTATE PARTA C1V1TATEMI HANC BEGN1NISSIME 1Nv ISERT OBSEQUENS LOETUS TANTI PRINCIp IS ADSPECTU OPTAT1SS1MO GRATES VOTAQ. CLERUS VARIsIENS. PERsoLvIT (14) Chi desidera conoscere le vicende tutte di Varese nel 1859, legga: Le cinque giornate di prigionia o il bombardamento di Varese per Marco Formentini (Milano Tip. Wilmant 1859) Dell'occupazione di Varese dal 31 maggio al 5 giugno 1859 per il Dott. Papis (Tip. Ubicini.) NOTE ED AGGIUNTE 345 Il pronunciamento di Varese e il generale Urban per Giuseppe Mo nico (Varese Tip. Ubicini, 1859). Le cinque giornate gloriose di Varese, Commedia del Dott. Innocenzo Malacarne (Varese Tip. Carughi e C. 1860). E più che tutti consulti. Varese Garibaldi ed Urban nel 1859 del Sac. Giuseppe Della-Valle. l Varesini invocando ripetutamente la loro autonomia amninìstrativa, o la loro unione con Milano, ne hanno ben donde. A Milano sono at tratti da' loro interessi; a Milano sono congiunti per breve cammino di ferrovia; a Milano furono sempre uniti, ed uniti siffattamente, che ritengono ancora oggidì, quello che i Milanesi hanno perduto, il sopra nome di Bosini.

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FINE DEL VOLUME PRIMO),

IN D I CE

CAPIToLo I. Esposizione Agricola - Indu striale, 1871. – Istituzione del Museo Patrio. –Origine e scopo del presente libro. Pag. 5

)) II. Una lettera. – Spigolatura di notizie descrittive . . » 17 III. Varese qual era, e qual è . » 25

) IV. In giro per Varese. . . . » 65 o V. La Basilica e la Torre . . » 103 VI. I Canonici. . . . » 121 VII. Chiesa o Battistero di S. Gio vanni ...... » 145 VIII. Le Confraternite . . . . » 155 IX. In giro per le Castellanze . » 167 X. Cronistoria ...... » 20l La guerra dei Preti . . . » 214 Francesco III, Signore di Va IeSe ...... » 264 Note ed aggiunte . . . . » 325 ERRATA CORRIGE Pag. 36 lin. l3 gentiluomi gentiluomini 38 18 fitto dei locali e la spesa del fitto 40 28 cariera carriera l 3 Commissario Commissario 43 i 1 deficenza deficienza 44 5 Magnaghi Gio. Masnaghi Gio. 45 24 panico panìco 50 25 Per. 29. 367. 00 Pert. 29, 367. 00 54 16 famigliarum familiarum 17 mercimoniarum mercimoniorum 68 9 quest'ultima quest'ultimo 73 7 maccello macello 85 4 Barigello, detto Luvino Barigello, di Luino 94 24 Cavaliere Cavaliere dello Speron d'oro 102 14 arancaria araucaria 108 19 diffetto difetto 139 6 soggiunse Soggiunge 32 fece rinnOVarsi fece rinnovare 150 11 galantuomini del Borgo gentiluomini del Borgo 160 31 dal 1684 al 1894 dal 1684 al 1694 179 7 trOvarono trOVanO 14 che costrusse cui costrusse 180 2 e ricostrutta e fu ricostrutta 190) 2 Guido Castiglioni Guido 198 18 Taddeo, accenna Taddeo, iI quale accenna 20) 13 grande tribù celtiche grande tribù celtica 14 varie tribù celtica varie tribù celtiche 32 denominazione dominazione 231 23 flagellatti flagellati 244 26 molto di rudo motte di rudo 28 1 Principe di Liguè Principe di Ligne 23 si leggono si rilevano 250 7 che con avesse che non avesse 306 6 Bedero Rodero 332 12 assassinio assassino

AVVERTENZA. - Il lettore facilmente avrà avvertito altri errori occorsi nel testo : essi, per la loro stessa evidenza, non furono qui registrati.