LA GRANDE BATTAGLIA

Nel corso del 1276, non si hanno notizie circa il periodo dell’anno, le forze viscontee cominciarono ad organizzare un attacco, nelle intenzioni decisivo, nei confronti dei Torriani. Goffredo da Langosco, alla testa dei fuoriusciti milanesi, occupò inizialmente Arona, unitamente ad alcune postazioni strategiche dell’Ossola, le cui popolazioni erano fedeli all’arcivescovo. Intanto riusciva a sbarcare ad Angera con tre-quattromila uomini e ad occuparne la rocca. Napo , benché colto di sorpresa, reagì inviando nella zona il figlio Cassone che, con una schiera di cinquecento tedeschi fornitagli dall’imperatore Rodolfo d’Asburgo, riuscì a mettere sotto assedio il castello di Angera. Nel frattempo Goffredo da Langosco, insieme ad un esercito di quattro-cinquemila armati composto da fuoriusciti milanesi, uomini del Seprio e di , oltre che da genovesi e spagnoli, ingrossato oltretutto da locali fedeli a Ottone, muovendo da Arona riuscì ad occupare buona parte del Seprio settentrionale dirigendosi poi verso Angera. aveva intanto preso posizione nella piana del torrente Guassera, nei pressi della riva del Lago Maggiore al confine tra gli odierni comuni di Ranco e Ispra. Il momento della verità era ormai arrivato… Le forze torriane furono all’improvviso raggiunte dall’esercito visconteo che proveniva da Nord e cioè dal territorio isprese. Goffredo da Langosco, sfruttando l’elemento sorpresa, non si lasciò sfuggire l’occasione di attaccare i soldati teutonici di Cassone mentre stavano ancora approntando l’accampamento. Durante l’attacco, superato di slancio dai Viscontei il rio Guassera, lo stesso capo dei tedeschi, Hans Lauser, venne ucciso: forse proprio da Goffredo in persona. Le truppe di Cassone sembravano ormai allo sbaraglio. Il Langosco tuttavia aveva commesso un grave errore: non si era preoccupato di predisporre una difesa che potesse coprire i suoi uomini durante l’attacco alle forze torriane. Napo della Torre aveva infatti raggiunto il figlio Cassone con un esercito di ben diecimila uomini attestato circa mezzo miglio più a Sud e di cui il Langosco ignorava probabilmente la presenza. Per apprezzare l’entità delle truppe in campo, si consideri che Angera, all’epoca, contava solo poche centinaia di abitanti (trecento o quattrocento). Scoperte alle spalle, le forze viscontee, dopo essere state in parte ricacciate oltre il rio, vennero accerchiate con manovra a tenaglia da Est e da Ovest e, infine, anche da Nord; in ultimo, nonostante una strenua resistenza negli acquitrini, sbaragliate (v.oltre mappa del Sironi).

ILLUSTRAZIONE: MOVIMENTI DELLE TRUPPE VISCONTEE (GHIBELLINI) E TORRIANE (GUELFI) NELLA BATTAGLIA DELLA GUASSERA; DA “1257-1277: LOTTE E BATTAGLIE NEI CONTADI DI SEPRIO E DI STAZZONA”, IN RASSEGNA GALLARATESE DI STORIA E D’ARTE-MARZO 1951-P.G.SIRONI.

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A causa della natura del luogo molti cavalieri vennero catturati e uccisi dopo che i loro destrieri, sfiancatisi nella melma, si erano letteralmente impantanati. Lo stesso Goffredo, secondo le cronache caduto con il proprio cavallo nei pressi della Guassera, venne accerchiato e catturato (vedi oltre il testo del Giulini e il racconto di Franca Nobili). Per la fazione viscontea fu il disastro: il Langosco, Teobaldo Visconti, nipote di Ottone, e un gran numero di appartenenti a famiglie nobili milanesi furono fatti prigionieri; i superstiti si misero in fuga, Angera e Arona furono riconquistate dai della Torre, mentre i prigionieri, fra cui Goffredo e Teobaldo, furono deportati a (già allora importante centro sulla strada che univa Milano ad Angera) e ivi decapitati. Dai documenti risulta che in totale i nobili decapitati in quel frangente, su comando diretto di Cassone, furono ben trentaquattro. Sulla sorte del Langosco esistono divergenze fra i vari autori, secondo molti sarebbe stato infatti ucciso direttamente sul campo di battaglia subito dopo la sua cattura, forse da Napo in persona. Al termine della contesa le milizie torriane si abbandonarono al saccheggio delle cascine e delle abitazioni della zona. Alla razzia e alla devastazione sfuggirono solo le romite cascine del pianoro di San Martino 90 metri di quota più in alto, occultate dai boschi del vicino massiccio di San Quirico.

La battaglia della Guassera aveva inferto un durissimo colpo alla causa dell’arcivescovo Ottone.

LA BATTAGLIA DELLA GUASSERA E LA MORTE DI GOFFREDO DI LANGOSCO RACCONTATA DALLO STORICO GIULINI

Da G.Giulini, Memorie spettanti alla storia del governo e alla descrizione dell città e della campagna di Milano, Milano, 1760, tomo 8, libro LVI, pp.292-294.

Maggior paura faceva allora ai Torriani la Città di Pavia apertamente nemica. Lá i prescritti Milanesi scelsero un nuovo capo del precedente anno, e fu Gotifredo Conte di Langosco; promettendogli la della loro Patria, quando avessero col suo aiuto potuto acquistarla. Egli senza perdere tempo, scelto un riguardevole Corpo di Militi Pavesi, venne con que’ Nobili Milanesi alla volta del Territorio di Milano, ed entrò improvvisamente in Arona. Poco dopo egli arrese anche Angera, e tutti i Popoli de’ Monti, e delle Valli vicine affezionate alla famiglia dell’Arcivescovo Ottone, che possedeva alcune terre da quelle parti, tosto si congiunsero al Conte di Langosco. Egli lusingato da sì fortunati principi, volle vieppiù innoltrarsi, e lasciato un buon presidio in Arona, e in Angera avanzò fino a Castelseprio. Allora Napo Della Torre non credette di dovere, come avea fatto altre volte, menar l’affare in lungo, conoscendo che il male abbisognava di pronto rimedio. Presa dunque con sé tutta la Milizia di Milano, i tedeschi mandati da Re Rodolfo, ch’eran giunti non molto prima, corse frettolosamente verso Angera ed obbligò il Conte di Langosco a tornare indietro, ed unire tutte le sue forze per soccorrerla. Misurò il Conte sì giustamente i passi, che giunse a porre in ordine di battaglia tutta la sua armata davanti a quel Castello, prima che giungesse l’esercito de’ suoi nemici. Poco peraltro tardarono i Torriani ad arrivare, ed al loro arrivo tosto si attaccò la battaglia.

Il fatto d’armi seguì circa un miglio lontano da Angera sulle rive di un fangoso fiumicello detto allora Guassera, ora chiamato Guassa. Nel calore della mischia il Conte di Langosco, inseguendo un milite tedesco, che fuggiva da lui, si avanzò un po' troppo. Raggiunse egli è vero il Tedesco, e lo gettò da cavallo ma presto si vide circondato da numerosa truppa di Cavalieri nemici, senza soccorso. Si aggiunse per estrema disgrazia, che il suo cavallo profondò sì fattamente i piedi nel fango, che non fù più possibile liberarlo. Colà oppresso dal numero il Conte dovette arrendersi, onde preso, e riconosciuto fu condotto avanti a Napo della Torre, il quale secondando ciecamente gli impulsi d’ira, ordinò che fosse ammazzato. La perdita del Capitano abbattè sì fattamente il coraggio de’ Nobili Milanesi prescritti, e de’ loro amici, che dipoi penseranno più a salvarsi che a combattere. Non riuscì peraltro a tutti di porsi in salvo, che molti ne rimasero sul campo o uccisi, o prigionieri.

Angera, ed Arona, ed il resto del paese occupato tornò in potere de’ Signori della Torre, che lieti della riportata vittoria con trentaquatro nobili prigionieri, fra’ quali v’era Tebaldo Visconte Nipote dell’Arcivescovo, Marito di Anastasia Da Pirovano, e padre del Grande Matteo, si posero in strada verso Milano. Ma lo spirito di vendetta, che ardea furiosamente negli animi loro, non potette sì a lungo trattenerli, e allorchè quei signori furono giunti a Gallarate ordinarono che a tutti gl’infelici Militi caduti sventuratamente nelle loro mani fosse reciso il capo. Questo fu il secondo sanguinoso sfogo della loro collera; con tal difficoltà che nel primo potettero trovare qualche scusa con cui ricoprirlo, o nel dolore concepito a cagione dell’assassinamento di , o col rigettarne la colpa del Podestà Provenzale; ma nel secondo non fu possibile ad essi il ritrovare scusa alcuna, che di salvezza dalla taccia di crudeli, e sanguinari.

Così Franca Nobili ha invece immaginato la fine del Langosco nel suo libro “L’albero del tempo”.

LA BATTAGLIA DELLA GUASSERA

Sul castello del Seprio, alto fra due burroni, splendeva la luna. Era notte fonda. ma non tutti dormivano, lassù. Vegliavano le sentinelle sugli spalti; vegliava il Signore del castello, Goffredo da Langosco, che stava meditando piani di battaglia; vegliava, nella stanza più alta della torre, il vecchio sapiente, immerso nella lettura di antiche carte. La luce della candela, che illuminava la sua barba bianca, si rifletteva sugli alambicchi allineati sopra il camino e gettava lunghe ombre sulle travi del soffitto addobbate di ragnatele. A un certo punto il vecchio alzò gli occhi e si mise in ascolto: gli sembrava di sentire un rumore di passi sulla scala della torre. E infatti, di lì a poco, comparve sulla soglia il Signore del castello. "Vecchio sapiente - disse entrando - mi serve il tuo consiglio. Tu che sai leggere i segni del cielo e della terra spiegami il significato di quanto mi è or ora accaduto. Ero nella mia stanza e stavo preparando i piani per la battaglia - domani andremo a liberare i nostri, assediati dal Torriani nella rocca di Angera - quando, all'improvviso, si è spalancata la finestra ed è entrato un grande pipistrello che mi ha sfiorato il viso con le sue gelide ali. Dimmi, è forse un presagio di morte?" "Tu sai bene che in ogni caso di morte si tratta. - rispose il vecchio - In guerra si va per uccidere o per essere uccisi. Il mio consiglio è che tu non debba partire. Resta qui, nel bel castello da te appena conquistato. Vedrai, in primavera, i prati fioriti di primule e viole, sentirai il profumo delle robinie in fiore. Resta, Goffredo, non partire! "Vecchio - gridò indignato Goffredo - tu non sai quel che dici. I seguaci di Ottone Visconti mi hanno eletto loro capo nella guerra contro i Torriani'. lo debbo partire alla testa dei miei cavalieri e sconfiggere i maledetti Torriani. Addio, vecchio, non mi servono i tuoi consigli". E immediatamente Goffredo scese nel cortile del castello dove avevano già cominciato a radunarsi i suoi cavalieri. "Alle prime luci dell'alba si parte - gridò - Ad Angera! "Ad Angera! Ad Angera! risposero in coro i cavalieri.

Era giorno fatto quando giunsero in vista del lago, sulle rive fangose del torrente Guassera. Qui una brutta sorpresa li attendeva: il bosco davanti a loro pullulava di armati: i Torriani, informati del loro arrivo, erano giunti in forze ad incontrarli, guidati da Cassone della Torre, figlio di Napo. Fra le loro file si distinguevano le barbe rosse e gli elmi crestati dei mercenari germani. Furono i germani ad attraversare per primi la Guassera, i primi a slanciarsi nel combattimento. Poi anche i cavalieri torriani si gettarono nella mischia e la battaglia diventò sempre più accanita e sanguinosa. Goffredo si batteva con la forza e il coraggio di un leone, ma, a un certo punto, il suo cavallo finì con una zampa nel fango e si rovesciò su un fianco, trascinando con sé il cavaliere. Gli furono addosso i Torriani che lo trascinarono, ferito, davanti al loro capo. "Chi sei tu, cavaliere?" - gli chiese Cassone. "Sono Goffredo di Langosco conte di Lomello e di ..." Ma non poté finire: la spada del Torriani gli troncò, nello stesso istante, la parola e la vita. Nella sua stanza, sull'alta torre del castello del Seprio, il vecchio sapiente aspettava. Era già da un pezzo scesa la notte quando il cortile si riempì di grida: "Goffredo è morto! La battaglia è perduta!" Il vecchio sapiente restò alzato a lungo nel buio, davanti al fuoco spento, meditando tristemente sulla follia degli uomini.

DOPO LA BATTAGLIA DELLA GUASSERA: DA CASTELSEPRIO ALLA BATTAGLIA DI

Dopo la sconfitta della Guassera Ottone e i viscontei, abbandonata Angera e la sua Rocca (foto) al saccheggio delle milizie filo-torriane, furono sconfitti anche a Castelseprio dalle truppe di Napo della Torre coadiuvate dai locali. In tale circostanza Ottone si rifugiò nel castello di Orsenigo ai cui abitanti, in seguito, concederà favori per il soccorso prestatogli. Non si dimenticherà, Ottone, neppure di Castelseprio: nel 1287, infatti, memore del favore degli abitanti ai Torriani pronunciò il seguente editto: “Che Castelseprio sia smantellato e tenuto distrutto in perpetuo; e nessuno osi più abitare su quel monte”. Così fu fatto; essendo vescovo, però, risparmiò le chiese alla cui rovina provvidero comunque il tempo e l’abbandono.

Quindi Ottone e i suoi si recarono a Zornico, (l’attuale Giornico) nel Canton Ticino. Raccolte nuove forze, mossero dal Castello Visconteo di Locarno (foto sotto) e, muovendosi via lago, affrontarono i Torriani in una battaglia navale presso Germignaga, ove prevalsero.

Forte di questa vittoria il comandante in capo dell’esercito visconteo, Simone da Locarno, spiegò le vele alla volta di Arona mentre l’alleato Riccardo di Langosco s’apprestava a cingere d’assedio il borgo e la sua Rocca (foto) da terra.

Solo l’intervento tempestivo di Napo della Torre riuscì a salvare Arona dalle milizie viscontee e a obbligare Ottone verso Como ove, tra l’altro, l’arcivescovo poteva contare sull’appoggio del vescovo Giovanni degli Avogadri. Coi nuovi appoggi lariani Simone da Locarno potè prendere agevolmente possesso di Lecco, Civate e dintorni. Nel frattempo Ottone iniziò a muoversi alla volta di Milano attestandosi nell’attesa del momento più propizio nel “castrum” di Mariano. Napo, anziché attendere i nemici a Milano, uscì con la cavalleria e si rinchiuse nel borgo di Desio; nel contempo a Cantù si attestavano Cassone e Godofredo della Torre. Napo probabilmente fu vittima del suo attendismo, preferendo vedere l’evoluzione degli eventi e confidando nell’arrivo di Cassone e Godofredo.

Invece, all’alba del 21 gennaio 1277, giorno dedicato a Sant’Agnese, cui da allora i Visconti riserveranno un culto particolare,i nobili viscontei lanciarono subitaneamente l’assalto a Desio. L’assalto fu condotto all’arma bianca da contadini e paesani reclutati a forza nel Comasco e nel Lecchese e spinti a combattere dai nobili con la minaccia delle armi. Furono loro a pagare un tributo altissimo di sangue. Tra i nobili viscontei non vengono infatti riportati caduti! I Torriani non riuscirono, nell’angusto borgo, a sfruttare la loro cavalleria e, al secondo assalto, aperto che fu a colpi d’ascia un varco nel portone del paese, furono sopraffatti. Si narra che, vista persa la battaglia, i Desiani per far finire lo scontro il più presto possibile e salvare le proprie case, si sollevarono contro i Torriani assestando loro il colpo di grazia e uccidendone i rappresentanti a partire da Francesco della Torre.

Napo fu salvato, con atto di clemenza, da Ottone e consegnato ai Comaschi che, invece, ferocemente, lo rinchiusero con cinque congiunti in una gabbia di ferro appesa esternamente alla Torre del Baradello (foto) ed esposta alle intemperie, al freddo invernale e alla soffocante calura estiva.

Qui, sfinito dal digiuno, sporco dei propri escrementi, Napo trovò la morte -forse suicida- il 16 agosto 1278.

Cassone e Godofredo cercarono il colpo della disperazione e mossero alla conquista di Milano ma fu la stessa popolazione insorta a respingerli per cui dovettero rifugiarsi a Parma. I milanesi, spontaneamente, distrussero le case dei Torriani in una località che, ancor oggi, prende il nome di via Case Rotte. L’onta della Guassera era stata definitivamente lavata.

Tramontò così l’epopea dei Torriani e s’affermò definitivamente la fulgida era viscontea.