r i c e r c h e d i e c o n o m i a , s o c i e t à , t e r r i t o r i o

e d i z i o n i i r s e v i s t i t u t o p e r l a r i c e r c a s o c i a l e e l a valutazione d e l l e p o l i t i c h e p u b b l i c h e

i n collaborazione c o n dipartimento d i s c i e n z e p o l i t i c h e – u n i v e r s i t à f e d e r i c o i i c e n t r o interuniversitario c a m p a n o d i l i f e l o n g l e a r n i n g 1 Istituto per la Ricerca Sociale e la Valutazione delle Politiche Pubbliche Sede legale: via Naccherino, 11 – 80128 Napoli Direzione e redazione: via Rodinò, 22 – 80138 Napoli – Tel. 081 2532091

www.irsev.it A cura di Filippo Bencardino e Francesco Vespasiano Sviluppo locale e turismi

Laboratorio sociologico per le intelligenze territoriali Con il contributo del f s e p o r 2007/2013

I Edizione, novembre 2012 i r s ev – Istituto per la Ricerca Sociale e la Valutazione delle Politiche Pubbliche

Impaginazione e grafica: Luciano Pennino peri r s ev

Finito di stampare nel novembre 2012

i s b n 978-88-90304-9-2-7 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della Legge 22 aprile 1941, n. 633) Ri c e r c h e d i Ec o n o m i a , So c i e t à , Te rr i t o r i o

Direttore della Collana: Filippo Bencardino (Università degli Studi del Sannio) Supervisore Scientifico:Tullio D’Aponte (Professore Emerito dell’Università di Napoli Federico II) Comitato Scientifico:Maria Carmela Agodi (Federico II), Vittorio Amato (Federico II), Ursula Apit‑ zsch (Goethe University of Frankfurt), XY (Esa member), Alberto Lucarelli (Federico II), Marco Mu‑ sella (Federico II), Severino Nappi (Università della Calabria), Saverio Salerno (Università di Salerno), Francesco Santoni (Federico II), Eliana Zeuli Frauenfelder (Università Suor Orsola Benincasa), XY (Université de Caen, Basse Normandie). Comitato Editoriale: Antonia Cunti (Università di Napoli Parthenope), Edoardo D’Angelo (Università Suor Orsola Benincasa), G. Luca De Luca Picione (Federico II), Fabrizio Manuel Sirignano (Univer- sità Suor Orsola Benincasa). Redazione Scientifica: Antonia de Majo (Università degli Studi di Napoli), Assegnista Muselliana, (Università degli Studi di Napoli), Lucia Fortini (Università del Sannio), Emanuele Madonia (IRSeV), Elvira Martini (Università del Sannio). Redazione Editoriale: Elio Fiorillo, Tonia Formisano, Francesca Fortini, Luciano Pennino Direzione e redazione: Via Rodinò 22, Napoli 80138, tel. 081 2532091 Attenta allo studio delle interazioni che legano dinamiche socio-politiche, assetti istituzionali e competi- tività dei sistemi locali, la collana si inserisce nel dibattito sui mutamenti del mondo contemporaneo. La produzione che il comitato scientifico intende promuovere risponde a espliciti criteri metodologici e con- cettualità finalizzate alla rappresentazione delle principali innovazioni presenti nel divenire di modelli di sviluppo a diverse scale territoriali e strategie politiche ed economiche che ne sostanziano la complessità e ne definiscono i relativi scenari evolutivi. Mentre il rigore scientifico delle ricerche pubblicate costi- tuisce precipuo impegno editoriale, la piena autonomia e indipendenza dei singoli autori rappresenta irrinunciabile espressione di pluralismo culturale. In Ricerche di Economia, Società, Territorio sono pubblicate opere di alto livello scientifico, anche in lingua straniera, per facilitarne la diffusione internazionale. I direttori approvano le opere e le sotto- pongono a refe raggio con il sistema del “doppio cieco” (double blind peer review process) nel rispetto dell’anonimato sia dell’autore, sia dei due revisori che scelgono: l’uno da un elenco deliberato dal comitato di direzione, l’altro dallo stesso comitato in funzione di revisore interno. I revisori rivestono o devona aver rivestito la qualifica di professore universitario di prima fascia nelle università italiane o una qualifica equivalente nelle università straniere. Ciascun revisore formulerà una delle seguenti valutazioni: a) pubblicabile senza modifiche; b) pubblicabile previo apporto di modifiche; c) da rive- dere in maniera sostanziale; d) da rigettare; tenendo conto della: a) significatività del tema nell’am- bito disciplinare prescelto e originalità dell'opera; b) rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; c) attenzione adeguata alla dottrina e all'apparato critico; d) adeguato aggiornamento normativo e giurisprudenziale; e) rigore metodologico; f) proprietà di linguaggio e fluidità del testo; g) uniformità dei criteri redazionali. Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta da uno dei direttori, salvo casi particolari in cui i direttori provvederanno a nominare tempestivamente un terzo revisore a cui rimettere la valutazione dell'elaborato. Il termine per la valutazione no deve superare i venti giorni, decorsi i quali i direttori della collana, in assenza di osservazioni negative, ritengono approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione gli atti di convegno, le opere dei membri del comitato e le opere colletti- ve di provenienza accademica. I direttori, su loro responsabilità, possono decidere di non assoggettare a revisione scritti pubblicati su invito o comunque di autori di particolare prestigio.

PAGINE IN INDICE

Indice

Prefazione di Tullio D’Aponte

Foreword by Tullio D’Aponte

Presentazione di Filippo Bencardino

Presentation by Filippo Bencardino

Introduzione di Francesco Vespasiano

Introduction by Francesco Vespasiano

Saluto di Francesco Cocca

Greeting by Francesco Cocca

1. Le paysage, pour mieux penser le territoire, Serge Ormaux

1.1. Il paesaggio, per pensare meglio il territorio, Serge Ormaux

2. Memoria collettiva e pratiche del ricordo. La co- struzione di un museo sugli emigranti a San Marco dei Cavoti, Laura Genco

2.1. Collective Memory and Practices of Remembrance. The Construction of an Immigration Museum in San Marco dei Cavoti, Laura Genco

7 i n d i c e

3. Sviluppo Locale e Turismi, Pasqualina Cinque, Valentina Sgro

3.1. Local Development and Tourism, Pasqualina Cinque, Valentina Sgro

4. Turismo enogastronomico. Avellino e Benevento: l’appetito vien viaggiando, Ivan Basile, Michela Corvigno, Roberto De Fabrizio

4.1. Wine-and-Food Tourism in Avellino e Benevento, Ivan Basile, Michela Corvigno, Roberto De Fabrizio

5. Nuove forme di Turismo: l’Albergo Diffuso, Sara Petroccia

5.1. New forms of tourism: the Albergo Diffuso, Sara Petroccia

6. La responsabilità sociale delle imprese per lo svi- luppo sostenibile dei territori, Valentina Cillo

6.1. The Corporate Social Responsibility for Sustainable Development of Territories, Valentina Cillo

7. La Good Governance della Pubblica amministra- zione per lo sviluppo e la competitività del territo- rio, Elvira Martini, Maria Carmela Serluca

7.1. Good governance of Public Administration for terri- tory development and competitiveness, Elvira Martini, Maria Carmela Serluca

8 Prefazione di Tullio D’Aponte

Presidente del Centro Interuniversitario Campano di lifelong learning

Il Centro Interuniversitario Campano di lifelong learning è un’ini- ziativa sorta dalla collaborazione progettuale che ha visto il confronto propositivo tra cinque istituzioni accademiche campane: l’Ateneo del Sannio di Benevento, l’Università di Napoli Parthenope, l’Università di Napoli Federico II, l’Università Suor Orsola Benincasa e l’Univer- sità di Salerno. In tale prospettiva, per adeguare la progettazione delle iniziative didattiche al continuo evolversi della realtà del mondo del lavoro, ha programmato studi e ricerche di carattere sistemico. Questo secondo rapporto di ricerca, Sviluppo locale e turismi, è uno studio di esplicita valenza geografica, con finalità tese a individuare, su opportuna scala territoriale, indirizzi evolutivi e prospettive di ade- guamento organizzativo del sistema turistico regionale. Il contesto globale in cui devono essere considerate le politiche del lifelong learning appare piuttosto complicato. I mercati finanziari mondiali sono stati investiti da una grande crisi che ha avuto origine negli Stati Uniti prima, e che successivamente si è estesa all’Europa; in Italia la situazione appare ancora più complicata, perché da sem- pre l’economia del nostro paese ha mostrato grandi debolezze e forti squilibri territoriali. In particolare, la situazione del Mezzogiorno è decisamente complessa perché “al di là della precaria condizione dei valori espliciti (costo del lavoro, produttività, accessibilità infrastrut- turale, pressione fiscale, efficienza burocratica, diffusione dell’inno- vazione), risente anche del peso esercitato del livello di fiducia che esprimono gli operatori attraverso valutazione di contenuto extraeco- nomico, e che prescindono perfino dall’efficienza dei singoli processi produttivi”1. Analizzando più nel dettaglio la situazione, si può az-

1 c a m e r a d i c o m m e r c i o i n d u s t r i a artigianato e agricoltura d i n a p o l i , Rap- porto 2007 sull’economia della Provincia di Napoli – bollettino di Statistica, 2007

9 t u l l i o d’a p o n t e zardare una conclusione affermando che il presente divario tra nord e sud del paese esula in gran parte dal contesto internazionale, ed è indipendente dai cicli economici europei. La Campania nel contesto delle omologhe regioni europee in ri- tardo di sviluppo si collocava, nel 1995, al 185° posto, salvo poi re- trocedere al 200° su 208 nel 2005. Insieme alla Campania erano circa sessanta le regioni che necessitavano di fondi finalizzati allo sviluppo, tuttavia queste ultime sono riuscite a crescere a ritmi piuttosto rapidi; soltanto l’Italia e il Belgio non sono riuscite a ridurre questo ritardo di partenza nonostante le agevolazioni comunitarie. La Campania è stata superata anche da quelle regioni europee appartenenti a stati con un minore sviluppo. Le cause del mancato sviluppo nella nostra regione sono piuttosto complesse, in quanto è possibile addurre tale arretra- tezza all’effetto combinato della debole crescita della produttività e della persistenza di un basso tasso d’occupazione. La precaria condizione del Mezzogiorno deriva principalmente da una mancata soluzione dei problemi strutturali che da molti anni caratterizzano questa componente territoriale. Ciò non solo lo rende estremamente fragile rispetto al resto dell’Italia, ma lo rende anche incapace di contrastare le conseguenze negative del diffondersi della crisi che a queste condizioni, e dopo gli ultimi eventi internazionali, appare ancora più marcata. Con l’aggravarsi della situazione mondiale, insomma, il divario si amplia. La situazione del Mezzogiorno trova le sue cause nella flessione della dinamica dell’accumulazione del capita- le, nella conseguente diminuzione degli investimenti e nella debolezza della dinamica dei consumi interni, confermata dalla difficoltà per le famiglie meridionali di sostenere il livello di spesa. Situazione che appare ancora più delicata per quelle classi di reddito basso, poiché a causa dell’inflazione le condizioni sono peggiorate notevolmente. La posizione della politica interna però non è orientata a sanare questa frattura, nel senso che non ha né concepito, né attuato, programmi di risanamento e crescita per tale contesto territoriale. Più nello specifico, non è il basso tasso di crescita il problema prin- cipale quanto, piuttosto, l’indebolimento del ciclo economico che ha riguardato gran parte dei settori produttivi campani. Ciò ha causato una diminuzione dello stock di investimento rispetto al recente pas- sato attestando, ad esempio, il volume di investimenti per addetto in Campania a livelli decisamente inferiori rispetto alle altre regioni me-

10 p r e f a z i o n e ridionali. Anche nel campo delle esportazioni la nostra regione pre- senta un distacco di due punti percentuali rispetto alle altre regioni meridionali, e di ben cinque punti percentuali rispetto alle regioni economicamente più arretrate di Spagna e Germania. Questa condizione piuttosto marginale della Campania coinvolge in questo scenario anche il turismo, da sempre suo punto di forza. Anche qui mostra un notevole distacco rispetto alle principale regioni turistiche del Mediterraneo; sul totale dei pernottamenti dei turisti stranieri la quota della Campania è di circa un terzo rispetto alle re- gioni della Spagna, mentre rispetto alla Grecia è poco più della metà. Nonostante questo, in base ai dati emersi dalle più recenti ricerche, l’attività portuale campana si trova in una situazione di incremento, che, comunque, non raggiunge il livello dei principali concorrenti eu- ropei. Condizione, questa, scaturita dalla mancanza di infrastrutture e insufficienza di collegamenti di lunga percorrenza. Le zone che han- no goduto maggiormente di questo incremento turistico sono state Sorrento e l’isola di Ischia. In ogni caso, appare improponibile pa- ragonare il peso del settore turistico della Campania a quello delle isole Greche o dei litorali Spagnoli: se tale settore, in Campania, ha un valore aggiunto del 3,4%, in Grecia e in Spagna si stimano valori superiori al 7%.

11 t u l l i o d’a p o n t e Preface by Tullio D’Aponte

President of the Inter-University Centre for lifelong learning Campano

The Inter-University Centre Campano lifelong learning is an initia- tive formed by the collaboration project that has seen the comparison between proactive bells five academic institutions: the University of Sannio in Benevento, University of Naples Parthenope. University of Naples Federico II, University Suor Orsola Benincasa and The Uni- versity of Salerno. In this perspective, to adapt the design of educa- tional initiatives in the continually evolving reality of the world of work, studies and researches have been programmed to systemic. This second research report, local and Development of tourism, is an explicit study of geographical significance, for purposes designed to identify, at the appropriate territorial level, addresses and evolution- ary perspectives of organizational system of regional tourism. The overall environment should be considered policies of lifelong learning is rather complicated. Global financial markets have been hit by a major crisis that originated in the United States first, and later was extended to Europe, in the situation is even more compli- cated, because it has always been our country’s economy has shown major weaknesses and strong territorial imbalances. In particular, the situation is quite complex because of the South “beyond the precari- ous condition of the explicit values (labor costs, productivity, acces- sibility, infrastructure, tax rates, bureaucratic efficiency, innovation diffusion), also affected the level of the weight exerted to express confidence that the operators through a non-economic evaluation of content, and which transcend even the efficiency of individual pro- duction processes”2. Analysing in detail the situation, we can hazard a conclusion stating that the present gap between north and south of

2 c h a m b e r o f c o m m e r c e f o r s m a l l f a r m e r s a n d n a p l e s , 2007 Report on the economy of the Province of Naples – Bulletin of Statistics, 2007.

12 p r e f a c e the country is beyond most of the international context, and is inde- pendent of business cycles in Europe. The Campania in the context of the homologous regions of Europe lagging was written, in 1995, to 185 th place, but then reversed at 200 ° out of 208 in 2005. Together with the regions of Campania were about sixty in need of funds for the development, yet the latter have man- aged to grow at a fairly rapid pace, only Italy and Belgium have failed to reduce this delay despite the departure of Community facilities. Campania has been exceeded even those European regions belonging to states with less development. The causes of the lack of development in our region are quite complex, as can be adduced that backwardness combined effect of weak productivity growth and the persistence of low employment rate. The precarious condition of the South is mainly due to a failure to solve the structural problems that for many years now in this ter- ritorial component. This not only makes it extremely fragile than the rest of Italy, but also makes him unable to counter the negative con- sequences of the crisis spread to these conditions, and after the recent international events, is even more pronounced. With the worsening global situation, in short, the gap widens. The situation in the South finds its causes in the decline of the dynamics of capital accumula- tion, resulting in lower investment and the weakness of the dynamics of domestic consumption, which was confirmed by Southern hard- ship for families to sustain the level of expenditure. Situation is even more delicate for those classes of low income, due to inflation since the conditions have deteriorated significantly. The position of domes- tic politics, however, is not oriented to heal this rift, in the sense that it has neither developed nor implemented, rehabilitation programs and growth in the local context. More specifically, it is the low rate of growth as the main prob- lem, rather, the weakening of the economic cycle which covered most of the productive sectors of Campania. This has caused a decline in the stock of investment over the recent past attests, for example, the volume of investment per worker in Campania at levels significantly lower than other southern regions. Even in the export field, our region has a lead of two percentage points compared to other southern re- gions, and five percentage points compared to the economically most backward regions of Spain and Germany.

13 t u l l i o d’a p o n t e

This condition involves the Campania rather marginal in this sce- nario though tourism has always been his strong point. Here also shows a significant lead over the main tourist regions of the Mediter- ranean; of total overnight stays by foreign tourists the share of Campa- nia is about one third compared to the regions of Spain, while Greece is little more than half. Despite this, according to findings from the most recent research, the bell port activity in a situation of growth, which, however, does not reach the level of the main European com- petitors. This condition resulted from lack of infrastructure and lack of long-distance connections. Areas that have benefited most from this increase in tourism has been the island of Ischia and Sorrento. In any case, it is impossible to compare the weight of the tourism sector in Campania to the Greek islands or the Spanish coasts: if that segment, in Campania, has a value of 3.4%, in Greece and Spain are estimated values above to 7%.

14 Saluto di Francesco Cocca

Presidente della Fondazione “Lee Iacocca”

La Fondazione Lee Iacocca è stata costituita nel 2000, dalla Regione Campania, dalla Provincia di Benevento, dal Comune di San Marco dei Cavoti e dall’Università degli Studi del Sannio, su richiesta del Pre- sidente Onorario Lee Iacocca, originario di San Marco dei Cavoti. La Fondazione Lee Iacocca, nata per promuovere e diffondere la cultura d’impresa, intesa come fattore critico dello sviluppo locale, intende per questa via contribuire alla crescita dell’intero sistema economico, sociale e culturale dell’area. Operativamente, la Fondazione si impe- gna nella progettazione, organizzazione e gestione di attività formative legate ai fabbisogni emergenti nel campo della gestione dell’impresa e, più in generale, delle società locali. Ponendosi come soggetto terzo, rispetto alle istituzioni politiche locali e agli attuali gestori politici della programmazione pubblica, nei confronti dei quali in un rapporto di sussidiarietà e partenaria- to. Il ruolo di promotore di azioni per lo sviluppo locale viene svolto all’interno del network interregionale e internazionale (un’altra del- le missioni fondative della Fondazione), con un riguardo particolare all’empowerment delle competenze imprenditoriali e manageriali dei giovani delle aree interne. Con l’ausilio dello Iacocca Institute (Pennsylvania, USA), dal 2010 la Fondazione partecipa attivamente ai programmi di alta formazione manageriale Global Village e Global Village on the Move, ricevendo l’onore di organizzare l’edizione del 2012 a San Marco dei Cavoti. Un altro compito della Fondazione Lee Iacocca è quello di realizza- re un network internazionale che coinvolga tutti gli uomini e le donne che, partiti da San Marco dei Cavoti e dagli altri paesi del circondario, hanno valorizzato le loro professionalità all’estero. La realizzazione di un tale progetto è finalizzata alla creazione di flussi di scambi di risor- se e di competenze, indispensabili per fare crescere le reti di capitale

15 f r a n c e s c o c o c c a sociale di tipo linking e fare uscire un territorio marginale dalla sua condizione e inserirlo nei flussi globali. In tale ottica va visto anche l’organizzazione di Ethnoi, Festival delle minoranze culturali ed etnolinguistiche, organizzato a San Marco dei Cavoti per il terzo anno consecutivo; con esso la Fondazione si pro- pone di incentivare l’identificazione delle potenzialità locali, al fine di accrescerne la visibilità e le opportunità d’investimento dall’esterno. Un altro fiore all’occhiello della Fondazione è il Laboratorio per lo sviluppo locale e i turismi. Un luogo nel quale possano realizzarsi tutte quelle attività in grado di accrescere la qualità della vita culturale della comunità, parallelamente ad una maggiore soddisfazione dei bisogni ad essa associati. Un Laboratorio volto alla formazione di conoscen- ze, competenze e abilità finalizzate alla promozione dello sviluppo locale, con l’intento di contribuire alla progettazione, organizzazione e gestione di attività formative legate ai fabbisogni emergenti del ter- ritorio. Colgo l’occasione per ringraziare l’Università degli Studi del Sannio, senza il cui sostegno e le sue competenze scientifiche nessuna delle attività poste in essere, sarebbe mai stata realizzata.

16 Greeting by Francesco Cocca

Presidente della Fondazione “Lee Iacocca”

The Lee Iacocca Foundation was founded in 2000 by the Campa- nia Region, the Province of Benevento, the Municipality of San Marco dei Cavoti and the University of Sannio at the request of the Hon- orary Chairman Lee Iacocca (Lido Anthony Iacocca). Mr. Iacocca is originally from San Marco dei Cavoti and is one of the most esteemed businessmen in the world. The Lee Iacocca Foundation was created to promote positive corporate culture as a primary driver for local development. The Lee Iacocca Foundation aims to contribute to the general economic scenario in southern Italy through the planning, organization and management of training activities related to the emerging needs in the field of business management. The Foundation pursues the public interest by adopting a private-enterprise approach. The Foundation acts as an independent institution with respect to the existing local authorities and the operators of the economic planning, without arising a situation of competition or overlapping, but in a rela- tionship of subsidiarity and partnership. Its role consists in promoting, regulating and developing the local economy, with the participation of public and private sectors, representing the specificities of the local system in which they operate, by driving state and regional policies towards the actual needs of the local economy. With the support of the Iacocca Institute (Pennsylvania, USA), sinse 2010, the Lee Iacocca Foundation participates in programs of management: Global Village and Global Village on the Move, getting of organizing the 2012 edition in San Marco Cavoti. Another aim of the Lee Iacocca Foundation is to structure an inter- national network that involves the people that have leaved San Marco dei Cavoti in the past years and have enhanced their skills abroad. The realization of this project is aimed at the creation of trade flows of expertises needed to grow social capital networks linking and pull

17 f r a n c e s c o c o c c a out the territory from its marginal status and trasform it in a place in global flows. In this regard must also be seen organizing of Ethnoi, Festival of cultural and ethno-linguistic minorities, held in San Marco dei Cavoti for the third consecutive year with it, the Foundation aims to encour- age the identification of local potential, in order to increase visibility and opportunities for investment from outside. Another important activity of the Foundation is the Laboratory of Local Development and tourisms. A project where they can fulfill all those activities that can improve the quality of cultural life of the com- munity, alongside a greater satisfaction of all needs associated with it. A workshop aimed at the formation of knowledge, skills and abilities in the promotion of local development, with the aim of contributing to the planning, organization and management of training activities related to the emerging needs of the territory. I would use this few words to thank the University of Sannio, with- out its support and its scientific expertise in all of activities carried out, anything would be realized.

18 Presentazione di Filippo Bernardino

Rettore dell’Università degli Studi del Sannio

L’Università degli Studi del Sannio, in collaborazione con la Fon- dazione Lee Iacocca, ha organizzato il Laboratorio sullo sviluppo lo- cale e sui turismi, nelle forme di una Scuola Estiva Residenziale, con l’obiettivo di trasferire conoscenze di pregio per la promozione dello sviluppo locale territoriale. L’idea di individuare un’istituzione autonoma, fuori dall’università, è stata una sfida e, al tempo stesso, un segnale di apertura lanciato alle istituzioni presenti sul territorio delle aree interne della Campania, per dimostrare la fattibilità di avviare un dialogo riflessivo – e non polemico – sulle “cose da fare”, volto ad arrestare la deriva dello scon- forto e della resa all’attuale situazione di crisi globale e locale. L’adesione delle Amministrazioni provinciali di Benevento e di Avellino ha facilitato la creazione di quell’humus sociale utile a creare un’ibridazione dei ruoli e delle funzioni tra le competenze provenienti dal mondo della ricerca e da quello della politica. Era tra gli obiettivi costitutivi dell’iniziativa, infatti, creare uno spa- zio del consenso, dove i talenti della ricerca, le competenze operative dell’imprenditoria e il dinamismo politico si incontrassero, scambiassero riflessioni sulla situazione reale, provando a mettere insieme progetti per lo sviluppo locale e a coinvolgere, in quest’opera, le migliori intelligenze giovanili provenienti dalle università della Campania e di altre regioni. La presenza di docenti dell’Università del Sannio, insieme a quelli dell’Università di Salerno, di Teramo, di Verona, di Roma e di Be- sançon ha favorito la creazione di un clima aperto a esperienze diver- se, di livello nazionale e internazionale. Gli argomenti di studio e di riflessione hanno toccato i temi dello sviluppo locale, certamente, ma sono stati trattati in un’ottica attenta alle dinamiche globali che stanno trasformando il mondo e, quindi, anche alla domanda di formazione di conoscenze e di competenze.

19 f i l i p p o b e r n a r d i n o

Il volume presenta la raccolta dei papers che i corsisti hanno redat- to sui temi affrontati durante le due settimane di formazione; a essi è stato aggiunto il saggio con il quale del prof. Ormaux, dell’Université de Franché-Comte (Besançon), ha contribuito a dare maggiore qualità allo sforzo dei giovani corsisti, alcuni già dottori di ricerca, altri in fase di conclusione del proprio dottorato di ricerca e altri ancora laurea- ti / aureandi della magistrale. A mio parere, per dare nuovo impulso alla formazione universita- ria è indispensabile pensare alla realizzazione di esperienze di questo tipo, dove i giovani, che hanno superato il livello di base e locale della formazione, vengano sfidati a riflettere criticamente con altri giovani e con docenti provenienti da realtà diverse, creando rete. Sono esperienze che formano intelligenza territoriale critica e, for- se, sono le più praticabili per avviare un percorso di responsabilizza- zione di tutti gli attori – territoriali, innanzitutto – culturali, econo- mici, politici, sociali. La Scuola Estiva organizzata a San Marco dei Cavoti può rappresentare un esempio di buona pratica per il territorio delle aree interne e, lo spero, per l’intera Regione Campania, dove la qualità e il prestigio delle Università che operano sono di tale valore da potere ulteriormente migliorare la qualità delle iniziative che vor- ranno realizzare. Doveroso, in conclusione, il mio ringraziamento, innanzitutto, ai giovani studenti e agli illustri docenti che hanno risposto con pas- sione e serietà all’iniziativa della Scuola e a tutti coloro che hanno permesso all’idea di trasformarsi in realtà: la Fondazione Lee Iacocca, che fin da subito ha facilitato la realizzazione delle attività, mettendo a disposizione strutture e personale competente per tutte le tipologia di accoglienza; il Presidente della Fondazione, il dr. Francesco Cocca, anche sindaco della città di San Marco dei Cavoti, che ha avuto un ruolo politico e culturale insostituibile per il successo dell’iniziativa; la dr.ssa Sara Petroccia, che ha svolto un prezioso lavoro di assistenza alle attività didattiche e amministrative; il prof. Francesco Vespasiano che, con impegno e dedizione particolare, ha curato e assicurato l’alto livello di qualità scientifica dei risultati della Scuola.

20 Presentation by Filippo Bernardino

Chancellor of University of Sannio

The University of Sannio, in collaboration with the Lee Iacocca Foundation, organized the Laboratorio sullo sviluppo locale e sui turis- mi, in the form of a Residential Summer School, with the aim to trans- fer valuable knowledge to promote the development of territory. The idea of ​​identifying an autonomous institution, outside the University, was a challenge and, at the same time, a sign of openness launched to the institutions of the inland areas of Campania, to demonstrate the feasibility of opening a reflective dialogue – and controversial – on the “to do”, the objective of halting the drift of despair and surrender to the current globally and locally crisis situation. The membership of the provincial government of Benevento and Avellino has facilitated the creation of social humus, useful to create a hybrid of roles and functions between the skills from the research and politics worlds. One of the objectives of the initiative was to create a space of their own consent, where the research talents, the skills of entrepreneur- ship and the political dynamism could meet, exchange thoughts about the real situation, trying to put together plans for local development and involving in this work, the best and brightest young people from Campania’s universities and from other regions. The presence of University of Sannio’s professors, with those of the University of Salerno, Teramo, Verona, Rome and Besancon has helped create a climate opened to different experiences, of national and international level. The topics of study and reflection have touched the local develop- ment issues – certainly – but they have been treated in a perspective attentive to global dynamics that are transforming the world and thus also to the demand for training of knowledge and skills. The book contains the papers that the students have written on

21 f i l i p p o b e r n a r d i n o the topics covered during the two weeks of training; to them the es- say of prof. Ormaux, Université de Franché-Comte (Besancon), was added and this has helped to give more quality to the efforts of young students, some of the them are already PhDs, others are nearing com- pletion of own PhD and others are graduates/undergraduates. In my opinion, to give new impetus to higher education, it is es- sential to think of the realization of projects of this type, where the young, who have passed the basic and local level of education are challenged to think critically with other students and with teachers from different backgrounds, creating network. These are experiences that make critical territorial intelligence and, perhaps, they are the most feasible to start a process of account- ability of all local – first of all – cultural, economic, political and social actors. The Summer School held in San Marco dei Cavoti may repre- sent an example of good practice for the inland areas and, hopefully, for the entire Campania region, where the quality and prestige of the involved universities are of such value to be able to further improve quality initiatives that will want to achieve. To conclude I want to thank the young students and distinguished professors who responded with passion and seriousness to the ini- tiative of the School and to all those who have allowed the idea to become reality: the Lee Iacocca Foundation, which immediately fa- cilitated the implementation of activities by providing facilities and competent staff for all type of reception; the President of the Founda- tion, Dr. Francesco Cocca, also mayor of San Marco dei Cavoti, which had an irreplaceable cultural and political role in the success of the initiative; Dr.Sara Petroccia, which has played a valuable work of as- sistance to all the educational and administrative activities; Professor Francesco Vespasiano who oversaw and ensured the highest level of scientific quality of the results of the School with particular zeal and dedication.

22 Introduzione di Francesco Vespasiano

Prof. Associato di Sociologia e Coordinatore del Laboratorio sociologico

La terza missione dell’università è il trasferimento di conoscenza: verso le imprese, gli enti territoriali, le istituzioni locali. È un compito doveroso per le università e prezioso per il benessere sociale e lo svi- luppo del territorio, che non può più accontentarsi delle competenze formate dall’università e impersonate come “capitale umano”. I terri- tori chiedono alle università, con sempre maggiore insistenza, un im- pegno diretto anche nella creazione di “capitale sociale”, inteso come reti di relazioni fiduciarie interne/esterne, finalizzate alla creazione di riflessioni critiche e di ideazioni innovative, indispensabili allo svilup- po di programmi economici, sociali e culturali sostenibili. Lo sviluppo locale, che, in estrema sintesi, penso possa essere inte- so come la creazione di un insieme di reti territorializzate, all’interno delle quali gli attori sociali sentono di potersi muovere con fiducia reciproca, con ugualitarie capacità (capabilities) e con preziose risor- se collettivamente disponibili ma non individualmente proprietarie, è tra i temi di maggiore interesse per i territori (vista la persistente situazione di crisi fiscale degli Stati e di capacità di cassa delle Ammi- nistrazioni territoriali). L’Università degli Studi del Sannio ha voluto dare una risposta su questi punti, organizzando, insieme alla Fondazione Iacocca di San Marco dei Cavoti, il Laboratorio Sociologico sullo sviluppo locale e turismi, creando così un luogo di incontro e scambio di consensi

Da anni, i temi connessi allo sviluppo locale vengono affronta- ti da studiosi che hanno prodotto pregevoli lavori sui quali si sono esercitate generazioni di studenti universitari, giovani ricercatori e politici sensibili e accorti. La letteratura è sterminata; chiedo scusa per l’iperbole, ma con essa voglio indicare la difficoltà di fornire una bibliografia esaustiva e giustificarmi per i pochi autori che proporrò,

23 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o in rigoroso ordine alfabetico: Bagnasco, Becattini, Brusco, Demat- teis, Donolo, La Spina, Mutti, Pichierri, Piselli, Pizzorno, Rullani, Sforzi, Trigilia. Su alcuni dei temi si è oramai raggiunto un accordo tra gli studiosi di diversa estrazione culturale e politica; su alcuni altri la discussione e le divergenze sono ancora sotto la lente d’ingrandimento della ricer- ca. Qui non si vuole proporre una sintesi delle teorie sullo sviluppo locale, ma soltanto una rapida introduzione al lavoro che è stato idea- to e realizzato dai giovani studiosi che hanno partecipato alla Scuola Estiva. Un punto fermo della ricerca sullo sviluppo locale è certamente questo: se si vuole realizzare qualcosa che abbia una ricaduta territo- riale – che poi è l’obiettivo vero della ricerca e della riflessione sullo sviluppo locale –, il metodo da seguire è quello di riunire gli attori sociali interessati: studiosi, ricercatori, politici, amministratori, ope- ratori economici, sociali e culturali, e invitarli a riflettere insieme sul territorio di interesse (autovalutazione), a proporre azioni concrete (linee di indirizzo), a impegnarsi a dare continuità al proprio compi- to (responsabilità condivisa). Solo in questo modo la collettività e la società più in generale riuscirà a riflettere su sé stessa e a individuare le coordinate del proprio posizionamento culturale, sociale ed eco- nomico. Va proprio in questa direzione, invece, il tentativo fatto con la Scuola Estiva: creare un Laboratorio sociologico, dove le intelligenze territoriali si esercitassero sui temi sullo sviluppo locale e sui turismi, avviando in tal modo quella riflessione scientifica, culturale e politica che rimane fondamentale e indiscutibile quando un territorio vuole reagire di fronte all’assenza di forme di collaborazione e di fiducia tra i protagonisti che sullo stesso insistono. Durante le due settimane della Scuola Estiva, si sono incontrati giovani studiosi, docenti di sociologia, di economia, di geografia, po- litici e amministratori locali, tecnici responsabili di progetti di svilup- po locale, per scambiarsi conoscenze, mettere in comune competenze e visioni di sviluppo. L’obiettivo formativo prevedeva la redazione di un paper sui temi trattati durante le lezioni e discussi durante le ta- vole rotonde e all’interno dei gruppi che si formavano tra i giovani e i docenti che dopo le lezioni si fermavano a mettere a punto le idee e i progetti. I prodotti di questi lavori vengono qui pubblicati.

24 introduzione

I temi trattati durante le lezioni sono stati:

La memoria Si diceva che le società che sanno dove si trovano, e che ricordano il percorso fatto per trovarsi proprio in quel punto, sono quelle che han- no maggiore possibilità di sviluppare programmi di trasformazione critica delle dinamiche sociali, culturali ed economiche. A partire da questa convinzione, sono stati affrontati i temi della cultura contadina e dell’emigrazione, che rappresentano i pilastri su cui è stata costruita la società meridionale e, in particolare, delle aree interne della Cam- pania. È interesse della Scuola sviluppare metodologie e pratiche di anali- si per il recupero e la valorizzazione dell’esperienza di vita e di lavoro degli uomini e delle donne che hanno vissuto un periodo di migra- zione, provando a costruire una rete di rapporti umani e professionali tra i protagonisti di quella esperienza. La collaborazione culturale e scientifica tra Università, Fondazioni e Istituzioni interessate è fonda- mentale per valorizzare ogni espressione della memoria e per una sua trasformazione in azioni a favore delle realtà emergenti. La realizza- zione di un Museo della Memoria è l’ambizioso obiettivo che sottende a questo progetto.

La conoscenza e la formazione I giovani partecipanti sono laureati in sociologia, economia, scien- ze politiche, per cui hanno condiviso le medesime conoscenze di base; le attività di aula li ha aiutati a riflettere, con un più alto livello di rigore scientifico, sulle maggiori teorie e metodologie di analisi dello sviluppo locale, della pianificazione integrata territoriale, della orga- nizzazione di un sistema territoriale, al fine di avviare esperienze di turismo di qualità (economica, sociale e culturale). La riflessione si è concentrata sulla realizzazione di programmi ed eventi di particolare pregio, per lo più indirizzati a quello che in letteratura viene indicato come “ceto medio internazionale”.

Il territorio e la sua estetica Costruire un territorio interessante per il ceto medio internazio- nale significa dare qualità alla società che vi abita; significa renderlo in qualche misura unico; significa, infine, creare relazioni amicali tra

25 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o comunità ospitante, visitatori, turisti. Per questo, durante le lezioni sono stati affrontati i temi della cultura del territorio, della bellez- za del paesaggio e degli indicatori della qualità socio-relazionale, che sono alla base delle quattro categorie di qualità di una città ospitale: i servizi, l’ambiente, la socialità, l’estetica.

L’ im presa Senza la disponibilità di una rete di imprese interessate allo svi- luppo del territorio, diventa alquanto difficile realizzare un progetto di sviluppo così ambizioso. Durante le lezioni, sono stati analizzati alcuni dei progetti di intervento economico-produttivo già presenti sul territorio, con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e con i rappresentati degli Enti che hanno redatto i progetti stessi. La presa di coscienza delle difficoltà di liquidità finanziaria delle piccole e piccolissime imprese, della loro difficoltà a reggere le continue sfide normative e fiscali, ha fatto riflettere sulla necessità di costruire ponti con l’esterno, con imprese interessate a investire e a sostenere (con consulenze specialistiche) le attività di pregio che già esistono sul ter- ritorio. Pensare alla costruzione di dinamiche internazionali è l’unica via per uscire dalla scarsità di orizzonte, di risorse, di opportunità.

L’associazionismo e le reti di capitale sociale Le reti di capitale sociale sono state individuate come indispensa- bili per stringere legami produttivi (non soltanto in senso economico). La costruzione di reti di capitale sociale bridging e linking (in modo da allargare i legami bonding, che funzionano anche troppo bene, ma chiudono le reti sociali territoriali) e la diffusione di pratiche coope- rative e associative (ma non collusive) tra imprese e istituzioni locali sono i due compiti da affrontare per realizzare sviluppo locale in aree interne.

I prodotti simbolici e reali Il territorio è un luogo – reale e simbolico – di trasformazioni pro- fonde, di importanti processi di costruzione materiale (infrastrutture, paesaggi, manufatti, ecc.) e simbolica (valori, mentalità, identità, rela- zioni, ecc.). In quest’ottica, essi sono vere e proprie costruzioni sociali di obiettivi comuni, di speranze, desideri e progetti condivisi, di re- lazioni di reciprocità. Ragionare in questa direzione significa attivare

26 introduzione progetti di riflessione comune, di condivisione di potere e di risorse, di network relazionali: solo in questo modo sarà possibile superare l’invidia reciproca e la sfiducia condivisa, due malattie che erodono capitale sociale, culturale ed economico.

I docenti che hanno preso parte all’articolazione delle lezioni sono stati: - Fabio Amatucci, professore di economia aziendale, Università del Sannio; - Natale Ammaturo, professore di sociologia, Università di Salerno, Direttore del Dipartimento di - Nico Bortoletto, ricercatore di sociologia, Università di Teramo; - Claudio Cocca, fondatore e amministratore delegato del Geneva Group International - Nicolò Costa, professore di sociologia, Università di Roma, Tor- Vergata; - Filomena Faiella, ricercatrice di sociologia, Università di Salerno; - Lorenzo Migliorati, ricercatore di sociologia, Università di Verona; - Serge Ormaux, professore di geografia, Université de Franche- Comté (Besançon, Francia), direttore del Laboratorio ThéMA; - Andrea Pitasi, professore di sociologia, Università di Chieti-Pe- scara; Plutino, ricercatrice di geografia, Università di Salerno; - Paolo Ricci, professore di economia aziendale, Università del Sannio; - Tullia Saccheri, professore di sociologia, Università di Salerno;

Sono stati, inoltre, presenti in aula, a sotegno delle lezioni o per partecipare alle tavole rotonde tematiche: - Filippo Bencardino, professore di geografia, rettore dell’Università del Sannio; - Aniello Cimitile, professore di ingegneria, presidente della Provin- cia di Benevento; - Francesco Cocca, presidente della Fondazione Iacocca, San Marco dei Cavoti; - Roberto Costanzo, già presidente della Camera di Commercio di Benevento; - Andrea Jelardi, pubblicista, “Il Denaro”; - Roberto Lanni, assessore al turismo, Provincia di Avellino;

27 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o

- Giancarlo Pepe, tecnico, responsabile del Progetto Integrato di Filiera consulente della Camera di Commercio di Benevento; - Francesco Massaro, dirigente dello STAPA Cepica, di Benevento, responsabile del progetto sui Tratturi - Sara Petroccia, dottoranda, Università del Sannio; - Elisabeth Simmons, responsabile delle relazioni internazionali del “Iacocca Institute”, Lehigh Universirty (Pennsylvania).

Il contributo di questi professionisti e studiosi si è mostrato in- dispensabile per il successo dell’iniziativa ma – mi permetto di dire – senza l’intelligenza, la fiducia e l’interesse dei giovani parteci- panti, il tutto sarebbe miseramente fallito.

Un ringraziamento particolare va al prof. Tullio D’Aponte, per il sostegno finanziario al Laboratorio e per la Prefazione a questo testo.

Le traduzioni dall’italiano all’inglese sono state revisionate dal prof. E. Pepicelli e dalla prof. E. Intorcia dell’Università degli Studi del Sannio. A loro va il mio più sentito ringraziamento.

A tutte queste persone e a quanti hanno organizzato, sostenuto, criticato e apprezzato l’iniziativa, va tutto il mio più sincero riconosci- mento e l’arrivederci alla prossima edizione.

28 Introduction by Francesco Vespasiano

Associate Professor of Sociological Laboratory

The third mission by Universities is knowledge transfer to busi- nesses, local authorities and institutions, being it very invaluable for social welfare and the development of the territory; it can be satisfied both by the skills available in universities and by their human capital. Territories are asking universities, with increasing insistence, a direct involvement in the creation of social capital, in the form of networks of relationships of internal and external trust. This is leading to the creation of critical thinking and innovative ideation, which are essen- tial to the development of economic programs and social and cultural sustainability. In brief, I think that local development can be designed as a set of territorialized networks, where social actors know they can move with mutual trust, egalitarian skills and capabilities. Precious resources are available for the community but not strictly controlled by individuals and local development is among the topics of greatest interest to the territories, due also to the persistent situa- tion of fiscal crisis of the Countries and to the ability to raise funds by local governments. The University of Sannio wanted to give an answer to these ques- tions, organizing, together with the Lee Iacocca Foundation of San Marco dei Cavoti, the first Sociological Laboratory on local develop- ment and tourisms, creating a meeting place for achieving common consent. For many years, the issues related to local development have been addressed by researchers who have produced valuable papers, by generations of university students, young researchers and sensitive and careful politicians. The related literature is infinite. I apologize for the hyperbole, but with it I wish to underline the difficulty of provid- ing an exhaustive bibliography and justify myself for the few authors I quote in alphabetical order: Bagnasco, Becattini, Brusco, Dematteis,

29 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o

Donolo, La Spina, Mutti, Pichierri, Piselli, Pizzorno, Rullani, Sforzi, Triglia. Some of the issues have been agreed upon among students through different cultural and political discussions and a few of them are still under the magnifying glass of research. I do not want to propose a synthesis of theories on local development, but only a quick introduc- tion to the work that has been conceived and produced by scholars and students who attended the Summer School. One of the most important points of research on local develop- ment is certainly the following one: if you want to accomplish something due to affect a specific area – which is the true goal of research and reflection on local develop- ment – the best way is to bring together social stakeholders: scientists, researchers, politicians, administrators, businessmen, social and cultural operators, and invite them to reflect together on the territory under scru- tiny, to propose guidelines for concrete actions to be undertaken in order to give continuity to their commitment within a framework of shared responsibility. Only in this way the local community and society in general are expected to reflect on themselves identifying the coordinates of their position in cultural, social and economic perspectives. The attempt of the Summer School moves in this direction: to cre- ate a sociological laboratory, where intelligence is exercised on territo- rial issues, on local development and tourism, thereby initiating the scientific, cultural and political debate, which remains fundamental and unquestionable when a territory wants to react to the absence of forms of collaboration and trust, among the stakeholders who coexist and want to interact on the same area. During the two weeks of the Summer School, young students(?) have encountered professors of Sociology, Economics, Geography, politicians and local administrators, technicians responsible for local development projects, to exchange knowledge, share expertise and discuss different approaches to local development. The formative aim of the Summer School was the production of some papers on the subjects discussed during the lectures, roundtables, in groups of students and teachers who were engaged in workshops after classes. Their ideas and projects are available in this book.

30 introduction

The topics covered in class were:

Memory It was said that societies that know where they are and can remem- ber the course followed to arrive at this point, have a greater chance of developing the transformation of their social, cultural and economic roles. From this belief, we have covered the themes of emigration and rural culture, which are the pillars on which societies were built in the south and, in particular, those in the inland areas of Campania. The Summer School meant to develop methods and practices of analysis for the recovery and enhancement of the life and work of men and women who have experienced a period of emigration, trying to build a network of relationships among the human and professional protagonists of that experience. The cultural and scientific cooperation among the concerned Uni- versities, Foundations and Institutions is vital to enhance every area of memory and its transformation into actions in favour of the emerging realities. The creation of a Museum of Memory is an ambitious goal behind this project.

Knowledge and training The young participants have a degree in Sociology, Economics or Political Science; they have the same basic knowledge and lectures and workshops have helped them reflect, with a higher level of sci- entific rigour, on the major theories and methods of analysis of local development, integrated planning, the organization of a territorial sys- tem, in order to initiate experiences of economic, social and cultural quality tourism.The discussion focused on the implementation of pro- grams and events of particular value, addressed to what in literature is referred to as the international middle class.

The territory and its aesthetics Building an attractive area for the international middle class is to give quality to the society that lives there; it means making it unique; il means also creating friendly relations among the host community, visitors and tourists. For this reason, during the sessions we have dis- cussed extensively the topics of local culture, the beauty of the land- scape and the socio-relational quality indicators, which are the basis

31 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o of the four principal categories of quality in a hospitable place: serv- ices, the environment, sociality, aesthetics.

The company Without the availability of companies’ networks interested in de- veloping the territory, it becomes very difficult to implement such an ambitious development project. During the lectures we have analyzed some of the projects of economic intervention-production already available on the territory, with the involvement of some associations and representatives of organizations that had prepared the projects themselves. The awareness of the difficulties of financial liquidity of micro-enterprises, their difficulty to control the continuous challeng- es of legislation and taxation, aims at reflecting on the need to build contacts with the outside world, with companies interested in invest- ments and in supporting, through specialized advice, the activities that already exist on the territory. The setting up of international dy- namics is the only way out, because of the lack of horizons, resources, opportunities.

The associations and networks of social capital The networks of social capital have been identified as essential to consolidate productive links, not only in the economic field. The con- struction of networks of social capital, in order to broaden the ties that work well, and the spreading of cooperative and associative (not collusive) practices between enterprises and local institutions are the two tasks to be tackled to achieve local development in inland areas.

The symbolic and real products The territory is a place – real and symbolic – of profound transfor- mations, important processes of material constructions as infrastruc- tures, landscapes, artifacts, etc. and immaterial constructions such as values, attitudes, identities, relationships, etc... In this perspective there are real social projects of shares goals, hopes, wishes, plans and relationships of reciprocity. Reasoning in this direction implies the setting up of projects of common reflection, the sharing of power and resources, of relational network: only then it will be possible to overcome the mutual envy and the shared distrust, two ailments that erode the social, cultural and economic capital.

32 introduction

The facilitators who participated in the Summer School were: - Fabio Amatucci, professor of Business Administration, Univer- sity of Sannio; - Natale Ammaturo, professor of Sociology, Director of the De- partment of Human Science, Philosophy and Education, Uni- versity of Salerno; - Nico Bortoletto, researcher, University of Teramo; - Claudio Cocca, founder and CEO of the Geneva Group Interna- tional; - Nicolò Costa, professor of Sociology, University of Rome Tor Vergata; - Filomena Faiella, researcher, University of Salerno; - Lorenzo Migliorati, researcher of Sociology, University of Vero- na; - Serge Ormaux, Professor of Geography, Director of the Lab- oratory THEMA, Université de Franche-Comté (Besançon, France); - Andrea Pitasi, professor of Sociology, University of Chieti-Pes- cara; - Antonella Plutino, researcher of Geography, University of Saler- no; - Paolo Ricci, professor of Business Administration, University of Sannio; - Tullia Saccheri, professor of Sociology, University of Salerno.

As supporters in the courses or as panelists at roundtables were: - Filippo Bencardino, Geography professor, Rector of the University of Sannio; - Aniello Cimitile, Engineering professor, Governor of the Province of Benevento; - Francesco Cocca, President of Lee Iacocca Foundation,San Marco Cavoti; - Roberto Costanzo, former-president of the Chamber of Commerce of Benevento; - Andrea Jelardi, publicist, “il Denaro”; - Robert Lanni, Councillor for Tourism, ; - Giancarlo Pepe, Technician, Project Manager of PIF, consultant of the Chamber of Commerce of Benevento;

33 f r a n c e s c o v e s p a s i a n o

- Francesco Massaro, manager of STAPA Cepica, Benevento, project manager for the Regio Tratturo; - Sara Petroccia, PhD student, University of Sannio; - Elisabeth Simmons, director of international relations “Iacocca In- stitute,” Lehigh University, Pennsylvania, USA.

The contribution of all the professionals and scholars has been essential for the success of the initiative but I would like to underline that without the intelligence, confidence and interest of the young participants, it might have failed all together.

A special thanks to professor Tullio D’Aponte for financial support to the Laboratory and the Preface to this book.

To all these people and to those who organized, supported, appreci- ated and criticized the initiative, goes my most sincere appreciation and I expect them all at the next edition of the Sociological Laboratory.

34 Le paysage, pour mieux penser le territoire Serge Ormaux

Professeur à l’université de Franche-Comté; Directeur du laboratoire ThéMA (UFC – UB – CNRS) – [email protected]

Introduction

Il convient tout d’abord de distinguer d’une part la notion générale de paysage et d’autre part l’objet scientifique appelé paysage et analysé par un certain nombre de spécialistes de diverses disciplines. En effet, le paysage n’est pas d’abord et n’est pas seulement un objet d’analyse scientifique, mais un vécu au jour le jour, un cadre de vie, une conni- vence, déclinés par de nombreux acteurs. En ce sens, faire l’histoire du concept de paysage, c’est au moins autant faire l’histoire de cette réalité partagée que de faire l’histoire du concept savant. Et puis, si l’on considère que le point de vue scien- tifique est un «méta-point de vue» (point de vue sur les points de vue), il importe que la posture scientifique vis-à-vis du paysage finisse par intégrer ce que l’on pourrait appeler le «paysage des gens». On constate en effet depuis quelques années que la dimension phénoménologique du paysage (la manière dont il est appréhendé par divers acteurs) est de plus en plus prise en compte par les chercheurs, y compris ceux qui étaient sur des positions très matérialistes. C’est parce que s’est développé ces dernières années dans nos so- ciétés un désir de paysage, c’est parce que s’est constituée ces dernières années une attitude de type «touche pas à mon paysage» qu’un certain nombre de laboratoires ont été sollicités par la commande publique pour mettre en place des procédures d’analyse scientifique du pay- sage. Revenons à la définition du dictionnaire: «Etendue de pays offerte à la vue» ou «portion d’espace offerte au regard» ou toute autre va- riante du même type, selon les éditeurs; il y a déjà dans ces quelques mots un défi et une ambition. D’entrée de jeu, toute la complexité du terme nous interpelle; le paysage, nous dit la définition, n’est pas un

35 s e r g e o r m a u x objet, mais une relation; et tout s’enchaîne à partir de là. Il s’agit d’une relation entre un objet et un sujet (vous, moi, etc.). La chose regardée est bien plus que la chose elle-même, le regard implique une inten- tion, un choix, un registre, il s’accompagne d’une production de sens. Autrement dit, il y a une dimension sémiologique dans notre relation au paysage. Ainsi considéré, le paysage s’avère être une certaine modalité du rapport que nous entretenons avec notre environnement. Cette mo- dalité particulière implique deux choses: un regard global (regarder un paysage ce n’est pas en détailler le contenu, mais plutôt s’attacher à une scénographie, à travers un fonctionnement spécifique de l’activité visuelle), et un regard à finalité principalement esthétique. On a pu dire que le paysage était une mise en spectacle du monde.

Une brève histoire du paysage

Historiquement, ce type de regard porté sur notre environnement apparaît dans un certain contexte, à un certain stade de développe- ment des sociétés, et pas dans toutes. C’est une catégorie culturellement construite qui se surajoute à deux autres types de regards préexistants: le regard utilitaire, celui du chasseur-pêcheur-cueilleur, de l’agricul- teur ou du soldat), et le regard sacré, celui que l’homme porte sur les éléments de la nature comme incarnation de forces mystérieuses et di- vines. Le troisième type de regard porté sur l’environnement est, quant à lui, caractérisé par sa globalité, et par sa finalité esthétique et hédo- niste. Une telle esthétisation du regard a été identifiée plus particulière- ment dans deux contextes socio-historiques, le monde chinois autour du sixième siècle de notre ère, et l’Europe de la Renaissance. Dans les deux cas, le processus ne se serait pas déclenché dans le face à face direct de l’homme et de l’environnement, mais aurait nécessité l’intervention d’un média, au sens strict du terme, à savoir la littérature et la peinture pour la Chine, la peinture pour l’Europe de la Renaissance. C’est ce qui a conduit le philosophe Alain Roger (Roger, 1997) à parler d’un «processus d’artialisation». Pour ce qui est de l’Europe, on connaît l’enchainement des étapes qui conduisirent à l’émergence picturale du paysage à la fin du Moyen-âge: d’abord une

36 l e p a y s a g e , p o u r m i e u x p e n s e r l e t e r r i t o i r e petite fenêtre ouverte au fond d’une scène d’intérieur représentée sur un tableau, puis l’esquisse d’un horizon dans le cadre de cette fenêtre, puis la fenêtre qui grandit, le paysage qui se précise, et finalement le paysage qui occupe la totalité du tableau. Le mot «paysage» qui appa- raît à la fin du XVe et au début du XVIe dans la plupart des langues européennes désigne alors un tableau ou un genre pictural. Le regard paysager se construit d’abord sur un artefact avant que d’être trans- féré sur l’environnement. On retiendra de cela que le paysage appara ît comme consubstan- tiel de l’image. Certains chercheurs vont même jusqu’à considérer que le schéme perceptif du paysage, c’est-à-dire le dispositif psychique permettant de le percevoir dans sa globalité, est lui-même une pro- duction culturelle, et que celui «qui n’a pas stocké dans ses fichiers mentaux, l’image stéréotypée du paysage-tableau […] ne paysage pas, à proprement parler, un lieu» (Lenclud, 1995). Il semble bien en tout cas, qu’en matière de paysage, tout se passe comme si la représentation avait précédé l’original (Debray 1992). On pourrait parler, à partir de cela, d’un processus de sécularisation du rapport à l’environnement, de la construction d’un regard profane et hédoniste sur la création. On a dit de la Renaissance qu’elle avait été un moment d’affirmation du sujet, or dans le domaine de l’environne- ment, il semble avoir pris deux formes distinctes, qui toutes les deux court-circuitent le sacré: l’esthétisation, qui conduit au paysage et qui valorise l’expérience sensorielle, le « ce que je vois depuis où je suis», donc depuis la surface du sol à travers un regard tangentiel; et puis la formalisation, l’objectivation géométrique et physique dans le sillage de Copernic et de Newton, qui valorise au contraire la prise de recul par rapport aux choses, la méfiance vis à vis des sens, l’établissement de lois, et la promotion d’un regard qui, s’il n’est pas totalement évacué au profit de l’abstraction, devient un regard zénithal, projectionnel, un regard d‘en haut, qui est celui de la carte et du géoréférencement. Cela laisse augurer des rapports difficiles entre le paysage et la science! On ne s’étonnera donc pas d’un désintérêt de la science vis-à-vis du paysage, considéré comme relevant d’une approche ptolémaïque alors que la science était devenue copernicienne. Effectivement, dans le paysage, c’est bien le soleil qui se déplace! Pendant plusieurs siècles, le paysage fut ainsi cantonné au domaine de l’art, peinture, littérature, architecture, art des jardins, photogra-

37 s e r g e o r m a u x phie. On vit, chemin faisant, se produire des « inventions»: inven- tion du paysage de rivage sous l’impulsion de la peinture flamande au XVIIe siècle, invention du paysage de montagne à la fin du XVIIIe siècle sous l’égide de J.J. Rousseau, puis des Romantiques, puis sous l’effet du développement de l’alpinisme et du tourisme. Les savants ne reviendront au paysage que progressivement, à par- tir du début du XIXe siècle avec Alexandre de Humboldt, puis avec les écoles françaises et allemandes de géographie (Vidal de la Blache, Ratzel…), puis avec la Landschaftökologie dans les années trente (Troll) et la landscape ecology anglo-saxonne. On le rencontre aussi en agronomie pour approcher la complexité des systèmes de culture (Deffontaines, 1993). En géographie il reprendra de l’importance à la fin des années soixante, en particulier avec George Bertrand qui l’associe au géosystème (Bertrand, 1978), inspiré par la Landschafto- védénie soviétique, caractérisée par la quantification des forces et des flux (Rougerie, 1991). Toutes ces approches sont certes différentes, certaines sont globa- lisantes, d’autres sont plus sectorielles et analytiques, certaines met- tent l’accent sur les phénomènes naturels, d’autres insistent plutôt sur le rôle des sociétés humaines dans l’élaboration des paysages, mais toutes ont en commun une volonté de distanciation, d’approche ob- jective, d’élimination de la perception, ou sa transformation en une opération neutre. La plupart des travaux vont même bien souvent jusqu’à oublier que le paysage c’est ce qui se voit depuis la surface du sol, en vision tangentielle, et privilégient de fait la vision zénithale comme moyen d’accès à une connaissance, certes objectivante, mais qui se trompe en partie d’objet. La description des paysages par la géographie classique est donc souvent un simulacre de description de paysages, c’est en fait un com- mentaire de carte topographique à grande échelle, croisée avec la carte géologique et agrémentée de quelques détails de terrain pour compléter l’illusion. Le rapport direct au paysage est donc évacué, et avec lui le fait que le paysage est le produit d’une certaine relation géométrique entre des espaces visibles et des espaces non visibles depuis un point d’obser- vation et que cette relation varie quand l’observateur se déplace. Est évacué aussi le glissement d’échelle entre les premiers et les derniers

38 l e p a y s a g e , p o u r m i e u x p e n s e r l e t e r r i t o i r e plans; est évacuée enfin la prégnance des verticales perpendiculaires au regard et le rôle d’écran ou de masque qu’elles peuvent jouer. On voit qu’il va être très difficile, voire impossible de poser à partir de telles pratiques les problèmes qui interpellent aujourd’hui l’aména- geur: études d’impact d’une infrastructure dans le paysage, ampleur de la vue depuis un point de regard ou le long d’un chemin, problé- matique de l’intervisibilité, etc. Une autre direction de recherche scientifique sur le paysage est représentée par les travaux des sociologues et des ethnologues, ain- si que de certains géographes dits culturalistes, ou d’historiens du quotidien (Corbin, 2001) qui vont remettre à l’ordre du jour le point de vue phénoménologique. Pour eux, le paysage n’existe que dans la conscience qu’on en a; ce qui est premier c’est l’opération perceptive, laquelle est fortement conditionnée par notre culture, notre habitus, notre vécu personnel. La plupart des travaux de ce type cherchent à faire émerger les représentations sociales des paysages, à identifier des modèles paysagers à travers lesquels nous percevons les paysages, que nous rencontrons dans notre vie quotidienne ou notre activité touristique. Ce type d’approche a eu l’immense mérite de restituer au paysage son incontournable dimension relationnelle, mais avec souvent le dé- faut d’oublier la matérialité paysagère, voire pour certains de la nier, ce qui là aussi, et pour des raisons différentes, va poser problème dès lors qu’il va s’agir de gérer le paysage et donc d’agir sur sa matérialité. C’est là que va intervenir une construction comme le polysystème paysage élaboré l’université de Besançon et qui va être un modèle théorique de référence essayant de dépasser l’opposition entre les te- nants de l’approche matérielle et les tenants de l’approche idéelle. Mais avant de le présenter, nous allons examiner les nouvelles at- tentes émanant de la société depuis le tournant des années 90.

Le paysage dans la société contemporaine

Nous partirons d’un constat: le paysage, et surtout son image, est en effet omniprésent aujourd’hui dans la société, la culture, l’idéolo- gie, l’univers médiatique. L’image de paysage figure en bonne place dans les magazines, dans la publicité, que ce soit pour vendre des cos-

39 s e r g e o r m a u x métiques ou des automobiles, car le paysage peut exprimer un idéal de jeunesse, de réussite, d’authenticité (produits dits de terroir) et per- mettre de viser une cible particulière de consommateurs. L’image de paysage est aussi présente dans le marketing territorial qui vante le cadre de vie d’une région ou d’une métropole, au même titre que son accessibilité ou sa capacité d’innovation. Elle est dans le discours politique car le paysage est porteur de valeurs; elle est donc fortement utilisée par ceux qui conçoivent les affiches des candidats aux élections, et c’est alors une image de paysage choisie avec énor- mément de minutie, pour ce qu’elle dit, ce qu’elle ne dit pas, ce qu’elle suggère à notre subconscient, de manière parfois quasiment sublimi- nale. a- Du paysage remarquable au paysage ordinaire Le rapport au paysage a pris au XIXe siècle des formes nouvelles avec l’avènement de la photographie et le développement du tourisme. Progressivement s’est installée une consommation des paysages, qui allait devenir dans la seconde moitié du XXe siècle une consomma- tion de masse, avec ses processus fordistes de production, de mise en marché, de régulation. Les guides touristiques ont alors joué le rôle d’instance de consécration, pour ne pas dire de prescription, sélec- tionnant et hiérarchisant les paysages «valant le voyage», «méritant un détour» ou «intéressants». Les paysages ainsi étoilés accédaient alors à une sorte de pan- théon des paysages, relayé par les clichés présents jusque dans les années soixante-dix dans les compartiments de chemins de fer, par les dépliants des offices du tourisme, par les cartes postales, et bien- sûr par les photos de vacances. La spatialité paysagère qui préva- lait était de type ponctiforme, seul un nombre limité de paysages accédant au vedettariat. On peut parler à ce propos de «paysages remarquables». A la limite, seuls ces paysages remarquables étaient considérés comme de vrais paysages; et si lors d’une enquête dans une contrée européenne a priori non touristique, on demandait aux personnes interrogées quels étaient leurs paysages locaux préférés, elles répon- daient souvent qu’ici il n’y avait pas de paysage. De cela découlait d’ailleurs une assez forte acceptabilité des dégradations paysagères, et l’on voyait souvent des habitants moins soucieux de la protection de

40 l e p a y s a g e , p o u r m i e u x p e n s e r l e t e r r i t o i r e leurs paysages quotidiens que de celle des paysages présents sur leur lieu de vacance. L’évolution majeure va se dérouler durant les années 90, avec l’apparition d’une véritable prise de conscience paysagère, d’un intérêt grandissant pour tous les paysages, y compris ceux de la vie de tous les jours. Ce que renvoie l’habitant à partir des années 90 est un message du type: – «Ce paysage qui m’entoure, on peut le juger banal, on ne vient pas de loin pour le photographier, mais c’est mon paysage, celui qui constitue le cadre de mon existence, aussi je considère qu’il est digne d’intérêt, et j’entends qu’il soit respecté». On pourrait caractériser cette nouvelle attitude par le syndrome du «touche pas à mon paysage!» A travers ce constat, c’est tout un changement de représentation qui est en jeu, en lien avec un ré-en- chantement de l’ici, du proche, du local. On est passé de la conception ponctiforme, des paysages remar- quables, exceptionnels et donc en nombre restreint, à la conception aréolaire, extensive, ubiquiste, des paysages ordinaires, ceux que l’on trouve partout et qui a priori sont partout dignes d’intérêt. Mais le paysage n’est pas seulement un décor pour la vie quotidien- ne, c’est aussi un héritage, et, que l’on soit d’ici et d’ailleurs, on perçoit qu’il incarne des valeurs transmises par les générations qui nous ont précédées. On peut dire que le paysage est touché par la tendance à la patrimonialisation généralisée qui caractérise la fin du XXe et le début du XXIe siècle. Pendant longtemps, le paysage ne fut qu’un épiphé- nomène de la production économique, quelque chose qui venait en plus mais qui n’était pas recherché comme tel, et auquel on n’accordait qu’une importance relative. Il n’était en tout cas pas question d’arbitrer en faveur du paysage dès lors que la modernisation, l’équipement ou le développement économique étaient en jeu. Des paysages agraires pou- vaient être beaux mais ils n’avaient pas été mis en place pour cela; d’un point de vue économique ils constituaient une simple externalité. La patrimonialisation qui s’installe dans les années 90 participe de la quête d’identité et d’estime de soi qui touche désormais toutes les dimensions de nos comportements. Ce que nous disent nos contem- porains c’est qu’ils ne supportent plus que le paysage soit le produit aléatoire des seules logiques économiques. Ils considèrent cela comme quelque chose d’insupportable et parlent volontiers de pollution vi- suelle ou de points noirs paysagers.

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Cela nous semble une attitude légitime et positive, mais cela consti- tue aussi un paradoxe historique car, depuis toujours les paysages ordi- naires sont produits par l’activité économique, agriculture, industrie, activités tertiaires. Un paysage de bocage ou de rizière en terrasse n’a pas été conçu pour des raisons esthétiques mais pour permettre une certaine forme de production économique, nécessaire à la reproduc- tion du groupe dans le contexte des contraintes écologiques du lieu. Et bien sûr, ces paysages furent nouveaux à une certaine époque, et remplacèrent des paysages préexistants. Si l’on se réfère à l’évolution des conceptions patrimoniales, on observe d’ailleurs depuis deux siècles une évolution par couronnes successives. Dans un premier temps le patrimoine est composé des œuvres d’art, qu’il s’agit de rassembler, de protéger et de mettre à dis- position du citoyen dans le cadre des musées des beaux-arts. Puis ap- paraissent les musées des traditions populaires et les écomusées qui ne recueillent pas des œuvres d’art au sens strict, mais des outils et des objets de tous les jours, retraçant la vie d’autrefois. Et enfin, ultime étape, c’est le paysage lui-même qui finit par être considéré comme le témoignage du génie et du labeur des hommes qui nous ont précédés, témoignage que l’on cherche à protéger. Cette prise de conscience a engendré une floraison de lois, de tex- tes règlementaires et de politiques incitatives aux échelons nationaux et internationaux. Au niveau international, les paysages culturels de l’UNESCO sont encore dans une logique exceptionnaliste, mais au niveau du Conseil de l’Europe, la Convention européenne du paysage (Florence, 2000) propose des principes de gestion de l’ensemble des paysages ordinai- res européens. On a un peu l’impression d’un processus de généralisation du re- gard touristique sur l’ensemble des lieux. Ce qui est surprenant, et plutôt réconfortant, est que cette mondialisation du regard sur le pay- sage, loin de produire une standardisation paysagère, déclenche plu- tôt un regain d’intérêt pour la multitude des paysages ordinaires, des paysages de chacun d’entre nous. Le marché de l’immobilier lui-même est confronté à cette réalité, le paysage conférant des plus- ou des moins-values aux terrains ou aux logements, comme l’ont montré des études menées à travers la méthode des prix hédonistes (Cavailhes-Joly, 2006).

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Cela dit, s’il est facile de placer un tableau ou un outil de menuisier dans une vitrine de musée, il est beaucoup plus difficile, et proba- blement non souhaitable, de mettre un paysage sous cloche! Le ris- que est grand de voir s’installer une attitude strictement protectrice et conservatrice des paysages, avec comme seule stratégie celle de la muséification. Ce serait là une attitude passéiste témoignant d’une so- ciété en panne de nouveaux modèles paysagers, et ce serait surtout une chimère. En effet, dans nos pays de vieille civilisation, mettre le paysage sous cloche est chose impossible, dans la mesure où le paysage est un sys- tème dynamique; et même quand on a l’impression qu’il ne change pas, il est en fait produit et reproduit en permanence par des interac- tions entre les sociétés humaines et la nature. Si on le coupe de ces interactions avec les forces vives de l’occupation humaine et de la mise en valeur, il se dégrade immanquablement, comme dans les zones de déprise agricole. Le paradoxe de la protection absolue est qu’elle ne peut conduire qu’à des mutations et souvent à une banalisation du paysage, sauf à injecter énormément d’énergie dans le système pour le maintenir artificiellement, c’est-à-dire à y consacrer beaucoup d’argent, ce qui n’est possible que de manière très exceptionnelle pour quelques sites considérés comme particulièrement précieux, mais pas de manière gé- néralisée, pas pour les paysages ordinaires. Même les pays riches ne pourraient se le permettre. On le voit, la nouvelle façon de considérer le paysage implique de penser tout autrement la question de sa gestion. La Convention européenne du paysage distingue d’ailleurs trois ty- pes d’attitudes complémentaires: la «protection» d’un certain nombre de paysages, rares, fragiles ou emblématiques; la «gestion», qui consiste à accepter les changements, les évolutions du paysage en lien avec les évolutions économiques, sociétales, spatiales, mais en accompagnant ces changements de façon à ne pas faire n’importe quoi en matière de paysage, en le prenant en compte au même titre que d’autres considé- rations, économiques, environnementales, géotechniques, etc. Et puis, au-delà de la gestion des paysages existants la convention européenne du paysage nous suggère de penser à un «aménagement» du paysage, c’est-à-dire à la création de nouveau paysages, et de nouveaux codes paysagers, comme ont su le faire nos ancêtres.

43 s e r g e o r m a u x b- Le paysage au service du développement local Cette nouvelle attitude qui associerait protection, gestion et aména- gement peut et doit se faire au service du développement local des ter- ritoires. Les paysages constituent pour les territoires un véritable trésor, mais souvent un trésor ignoré, qu’il convient de valoriser de manière intelligente. Il ne s’agit pas pour chaque petit territoire de vouloir imiter les grands sites médiatisés, mais de percevoir ce qui fait sa spécificité, sa signature paysagère, pour en faire un facteur de développement. - On pense bien sûr immédiatement au tourisme, en distinguant bien le «tourisme de produit», par exemple le séjour dans une ambiance tro- picale avec golf, boîtes de nuit et shopping international (ce n’est pas de cela que l’on parle ici), et «le tourisme de territoire», qui s’appuie sur la personnalité d’un territoire et en particulier son ambiance paysa- gère, son patrimoine historique et naturel, son offre culturelle. Ce type de tourisme s’enracine dans le territoire, en tire sa substance, mais en même temps peut bénéficier au territoire, lui restituer des dividendes, en termes de maintien de la population sur place, d’offre d’emplois, de multiplication des équipements et de mise en œuvre de synergies entre différentes activités, tout ceci pouvant initier un cercle vertueux du dé- veloppement. - Au-delà du tourisme, on peut penser aussi à l’agriculture, et en par- ticulier à l’agriculture de qualité, avec le succès croissant des produits dits «de terroir», éventuellement labellisés ou protégés par une appella- tion d’origine. Dans ce type de production agricole, le lien au paysage est particulièrement important; quand on consomme un tel produit (vin, fromage, huile d’olive, jambon, etc.), on ne consomme pas simplement un produit alimentaire, mais tout un imaginaire, un imaginaire ancré dans un espace, avec son histoire, son patrimoine, ses traditions, et bien sûr ses paysages typiques. Le paysage et le produit se soutiennent mutuellement; le produit a besoin du paysage pour faire rêver le consommateur, et le paysage a be- soin du produit pour être entretenu. En effet, si l’on ne peut pas protéger tous les paysages parce que cela coûterait trop cher, il existe des solu- tions du côté du marché ou du côté des pouvoirs publics. Si un paysage rural est le siège d’une production agricole à forte valeur ajoutée, les marges dégagées par ce produit hautement rémunérateur permettront financièrement aux producteurs, d’entretenir les paysages, même s’ils ne sont plus entièrement fonctionnels.

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Par exemple, les terrasses de culture, qui constituent un des fleurons du paysage rural méditerranéen, sont un peu partout abandonnées car l’agriculture préfère s’installer dans des zones de plaine, ce qui conduit à une dégradation de ces paysages magnifiques. Or, l’entretien artificiel de ces terrasses pour des motifs de conservation de ce patrimoine serait financièrement prohibitif, sauf si on installe sur ces terrasses un vignoble de haute qualité, à forte valeur ajoutée, qui s’identifie à ce paysage et qui peut alors permettre d’assurer financièrement son entretien, comme par exemple pour le vignoble de la vallée du Douro au Portugal, ou celui des Cinque Terre en Italie. On peut aussi imaginer que la puissance publique subventionne les agriculteurs pour les encourager à conserver le patrimoine paysager, au moins dans ses grandes lignes, c’est l’esprit des mesures agri-environne- mentales en Europe et des dispositifs nationaux qui s’en sont inspirés, faisant du paysan un jardinier du paysage. Le tourisme et l’agriculture ne sont pas les seules raisons d’une in- tégration de la problématique paysagère à la question du territoire, on s’aperçoit que le cadre de vie constitue de plus en plus un facteur d’at- tractivité et que dans la concurrence que se livrent et se livreront les territoires, les aménités paysagères sont un argument décisif, en parti- culier dans le domaine des activités de haute technologie, qui nécessi- tent la présence d’ingénieurs, de chercheurs et de managers de niveau international. Pour les habitants eux-mêmes, le cadre de vie participe de l’image que chacun a de soi et de la confiance qu’il peut avoir dans un territoire. c- Le paysage comme outil de gouvernance Une autre dimension, sans doute moins connue, apparaît alors, cel- le de la gouvernance. Aujourd’hui, le paysage apparaît de plus en plus comme une interface entre l’habitant et le décideur politique. Il consti- tue un outil de médiation d’une grande efficacité pour favoriser l’adhé- sion des acteurs ou des groupes d’acteurs à un projet, un outil qui facilite la discussion, l’échange, le travail en commun, et donc l’appropriation du projet par ceux qui doivent le faire vivre. - On sait qu’une bonne part des malentendus qui peuvent apparaî- tre entre les habitants et les décideurs est lié au fait qu’ils se réfèrent à deux spatialités bien différentes: la vision du territoire par le décideur politique ou par l’expert est une vision zénithale, projectionnelle, celle

45 s e r g e o r m a u x de la projection géométrique de la carte, du plan de masse, du système d’information géographique (SIG) ou de l’image satellite. La vision de l’habitant est une vision au sol, une vision tangentielle, avec espaces vi- sibles et espaces masqués, avec glissements d’échelle entre le premier et le dernier plan. D’un côté se trouve l’espace géoréférencé du décideur, d’un autre l’espace «égoréférencé» de l’habitant; ce sont deux univers de référence très différents et cela compromet souvent la compréhension mutuelle. Or, l’utilisation de photographies de paysage peut être une manière de relier ces deux univers, d’établir entre eux un dialogue. Pour les habitants, la photo de paysage, renvoie à l’expérience que chacun a du territoire et possède un pouvoir évocateur que ne possède pas la carte ou le plan. Elle suscite des réactions, elle fait parler du ter- ritoire et des orientations à prendre en matière d’aménagement, dans le sens d’une meilleure compréhension. Elle fait aussi moins peur car elle se prête mal au tracé de limites ou de zonages; elle privilégie les usages, les permanences et les changements plutôt que les affectations et les contraintes. Mais dans un second temps, elle peut servir de base à des esquisses de plan, autoriser un retour à la carte ou au système d’infor- mation géographique (SIG), et boucler ainsi sur l’espace géoréférencé. C’est donc bien un objet intermédiaire, un instrument de médiation. Ce mouvement dialectique entre le paysage et la carte s’apparente à ce qu’Augustin Berque appelait «le point de vue de la médiance» (Ber- que, 1990). Les photos de paysage peuvent aussi être utilisées pour faire émerger les représentations des habitants par rapport au territoire, et ce de ma- nière plus légère et plus commode que les cartes mentales. On peut ainsi demander à un panel de personnes de prendre des clichés représentatifs de leur territoire, des clichés de ce qu’ils aiment le plus, ou des clichés qu’ils montreraient à une personne étrangère pour lui donner envie de venir visiter leur région, etc. De tels corpus peuvent ensuite donner lieu à de fructueuses interprétations.

Le paysage comme nouvel objet de connaissance scientifique

Enfin, on dira la nécessité de faire du paysage un objet de connais- sance à part entière, au même titre que la société, le territoire, l’en- vironnement ou l’entreprise.

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Pour cela, on a besoin de modèles théoriques, comme par exem- ple celui du «polysystème paysage», qui place au cœur du schéma la physionomie de la scène paysagère (le «système paysage visible»), le relie, à l’amont, au «système producteur du paysage» et, à l’aval, au «système utilisateur», le dernier rétroagissant sur le premier.

Le polysystème “Paysage”

recherches

Système, producteur Syst, paysage visible Système, utilisateur

abiotique objets discours

biotique consommation filtre perceptif

anthropique éléments d’image décision

Action

La spécificité de ce modèle théorique (voir aussi Griselin-Or- maux-Wieber, 2002) est de mettre en boucle trois systèmes de base. Le système producteur, avec sa composante abiotique (processus physiques, géologiques…), sa composante biotique (processus bio- logiques, végétation…) et sa composante anthropique (l’action hu- maine), constitue la fabrique du paysage, l’ensemble des processus en interaction qui le produisent. Mais le paysage ne devient lui-même que dans la deuxième boite, celle du paysage visible. Cette fois c’est le paysage, avec sa physionomie, sa matérialité tridimensionnelle, ses plans successifs, mais un paysage considéré avant que n’intervien- nent les filtres perceptifs de chacun d’entre nous. C’est un paysage potentiellement offert à notre vision. Ce paysage visible revêt une importance fondamentale pour la réflexion sur l’aménagement car ce n’est pas le paysage subjectif de chacun mais l’offre paysagère qui nous est adressée par l’environnement, et qui nous est commune. De la même manière, un texte sera lu et perçu différemment par les individus mais possède néanmoins une structure linguistique, que

47 s e r g e o r m a u x l’on peut étudier objectivement, et qui constitue la matière première des lectures diverses qui en seront faites. C’est donc ce paysage visi- ble qui peut être analysé de manière objectivante dans le cadre, par exemple, des études cherchant à déterminer ’impact d’une future construction sur le paysage. L’information lumineuse fournie par le paysage visible transite ensuite par les filtres perceptifs de chacun et débouche dans la boite du système utilisateur. En tant qu’utilisateurs du paysage, nous nous livrons à des discours (discussion en amis, poésie, marketing, etc.), nous consommons le paysage de diverse manière (tourisme, loisirs, résidence, etc.), et nous prenons des décisions de toute sorte qui bou- clent enfin sur le système producteur, à travers les conséquences de nos actions dans la sous-boite anthropique. Mais le modèle théorique ne suffit pas, nous avons aussi besoin de méthodes et de techniques. Nous examinerons plus particulièrement les modalités de l’approche scientifique du paysage visible car c’est cette boîte qui revêt le maximum d’enjeux. Ces démarches fondées sur une approche scientifique du paysage visible depuis le sol peuvent emprunter deux filières différentes et de plus en plus complémentaires.

- La «filière analogique» s’appuie sur la réalisation de banques d’images échantillonnées et géoréférencées, qui permettent de faire des relevés systématiques à propos de la taille de la scène paysagère et de son contenu. L’intérêt de cette première filière est aussi de fa- ciliter la circulation d’idées entre experts, décideurs et habitants. En effet, les images qui constituent le corpus sont appréhendables à dif- férents niveaux, celui de la perception quotidienne mais aussi celui de l‘analyse et du relevé.

48 l e p a y s a g e , p o u r m i e u x p e n s e r l e t e r r i t o i r e

La filière analogique (1/2): de l’échantillonnage photographique à la soumission visuelle

Le recueil des données se fait sur le ter- Claque image échantillonnée couvre un rain en vue horizontale. Un plan d ’échan- certain espace sur le terrain, variable tillonnage détermine l’emplacement des en profondeur et en largeur, en fonction point de saisie: l’échantillonnage est d’éventuels masques. Ces espaces (cônes aussi appliqué au tour d’horizon. de vue) sont reportés sur la carte.

L’espace de la carte est carroyé avec une La technique des isolignes permet de des- maille variable selon les buts de l’étude. signer les zones d’égale couverture. Ici, On compte par combien de cônes de vue du clar au foncé, on visualize les zones est couvert chacun des pixels. faiblement à fortement soumises à la vue.

Ce document montre comment collecter et traiter l’information paysagère. On note que l’enregistrement de l’information paysagère passe par l’établissement d’un corpus photographique selon une dou- ble procédure d’échantillonnage: échantillonnage des points de prise de vue et échantillonnage angulaire en chaque point. De cette maniè- re, le corpus photographique obtenu sera représentatif des paysages potentiellement visibles sur l’espace considéré et pourra donner lieu à de multiples relevés et traitements statistiques. Ici, on a choisi ici de travailler non pas sur le contenu des scènes paysagères mais sur la taille des paysages. A partir de chaque cliché, on peut rabattre sur le plan l’espace couvert par le paysage en ques- tion. On obtient alors des sortes de triangles qui traduisent des pay- sages à plus ou moins grande profondeur de champ. Si l’on place une grille sur ce dispositif, on pourra ainsi compter, pour chaque point de la grille, le nombre de triangles dans lesquels il est inscrit. Les

49 s e r g e o r m a u x valeurs obtenues indiquent l’intensité avec laquelle chaque point est visible d’ailleurs. S’il est inscrit dans un grand nombre de triangles, il sera réputé fortement visible, s’il est inscrit dans un faible nombre de triangles, on considérera qu’il est peu visible. Ces valeurs peuvent enfin être reliées par des courbes afin de faciliter la lecture. Comme la carte obtenue montre que les espaces sont plus ou moins soumis à la vue, on parlera de « carte de la soumission visuelle». Une caractéristique paysagère, objectivable, mesurable est donc ainsi mise en évidence, on est bien à l’amont des filtres perceptifs du «polysys- tème», les configurations dégagées sont liées à l’architecture matérielle du paysage, produite, par le relief, la végétation, les constructions.

- L’autre filière d’information, la «filière numérique» sera simple- ment évoquée ici, elle part quant à elle de la vision «du dessus» pour simuler la vision «du dedans». Elle s’appuie sur deux couches d’in- formation spatialisée, le modèle numérique de terrain (MNT), autre- ment dit une base de données altitudinale, et l’image satellite, pour modéliser les paysages visibles au sol. De tels outils peuvent aussi être utilisés pour mesurer la soumission visuelle, c’est-à-dire, répétons-le, la tendance qu’ont les points d’un es- pace d’être visibles depuis les autres points de cet espace. A partir du MNT, chaque pixel fait l’objet d’un lancer de rayon virtuel; l’altitude du pixel et celle de tous les autres étant connues, il est possible de déterminer par calcul l’espace qui sera visible depuis chaque pixel et, inversement, l’intensité de la soumission visuelle pour chacun d’entre eux. L’image satellite, ou la photographie aérienne, permet quant à elle de connaître l’occupation du sol, d’évaluer la hauteur des bâtiments et de la végétation, et ainsi de compléter les informations apportées par le MNT. On peut alors, munis de ces informations, optimiser l’emplacement ou le tracé d’une infrastructure, de manière à la rendre la plus discrète possible. Les projets d’autoroutes, de lignes à grande vitesse, de lignes électriques à très haute tension, ou de champs d’éoliennes bénéficient aujourd’hui de ce type d’approches.

En conclusion… Nous dirons que, certes, l’approche par la visibilité ne résout pas toute la question du paysage. Les cartes de soumission visuelle sont

50 l e p a y s a g e , p o u r m i e u x p e n s e r l e t e r r i t o i r e complexes, difficiles à décoder, parfois mal comprises par le responsa- ble politique, et souvent suspectées par les habitants d’être un ultime avatar de la technocratie. Mais, intégrées à de véritables processus participatifs, croisant le recours à l’appareillage cartographique, à la photo et au dessin de paysage, elles peuvent apporter une vérité-ter- rain propice à une concertation apaisée. Plus globalement, le «polysystème paysage» présenté ici offre la possibilité de relier les multiples approches de ce concept particuliè- rement complexe qu’est le paysage, tout en le reliant aux besoins qui s’expriment au sein de la société en matière de paysage et de cadre de vie.

51 s e r g e o r m a u x

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52 Il paesaggio, per pensare meglio il territorio Serge Ormaux

Professore presso l'Università di Franche-Comté, Direttore del laboratorio THEMA (UFC – UB – CNRS) [email protected]

Introduzione

In primo luogo è necessario distinguere da un lato la nozione generale di paesaggio e dall’altro l’obiettivo scientifico di ciò che viene chia- mato paesaggio analizzato da un consistente numero di specialisti in varie discipline. Infatti, il paesaggio non è solo un oggetto di analisi scientifica, ma un vissuto giorno dopo giorno, uno stile di vita, una convivenza, adattato di volta in volta ai diversi attori locali. In questo senso, fare la storia del concetto di paesaggio, è alme- no cercare di fare la storia di questa realtà e condividerla con l’idea espressa. Considerando che il punto di vista scientifico è una «méta- point de vue» (punto di vista sulle opinioni), è importante che l’atteg- giamento scientifico nei confronti del paesaggio finisca per integrare quello che potrebbe essere chiamato il «paysage des gens». Sembra in effetti che in questi ultimi anni la dimensione fenome- nologica del paesaggio (il modo in cui viene considerato dai diversi attori) è sempre più spesso preso in considerazione dai ricercatori, compresi quelli in posizioni estremamente materialistiche. Negli ultimi anni nella nostra società è nato un desiderio di pae- saggio, è nata un’attitudine del tipo «touche pas à mon paysage» e un elevato numero di laboratori sono sollecitati dalla Pubblica Ammini- strazione a stabilire procedure per un’analisi sempre più scientifica del paesaggio. Partendo dalla definizione del dizionario: “Ambito di applicazione offerto alla vista” o “porzione di spazio offerto alla sguardo” o qual- siasi variante dello stesso tipo che è differente a seconda degli editori; c’è sempre in queste parole sia la sfida che l’ambizione. Prima di tutto, la complessità del termine che utilizziamo; il pae- saggio, suggerisce la definizione non di un oggetto ma di un rapporto,

53 s e r g e o r m a u x con evidenti conseguenze. Nasce una relazione tra un oggetto e un soggetto (tu, io, ecc). La relazione è considerata molto di più della cosa in sé, l’aspetto estetico implica un’intenzione, una scelta, un registro, è accompagnata dalla produzione di significato. In altre parole, c’è una dimensione semiotica nel nostro rapporto con il paesaggio. Così considerato, il paesaggio può diventare un modo di rappor- tarsi con il nostro ambiente. Questo particolare metodo comporta due cose: una prospettiva globale (guardando un paesaggio che non è solo un contenuto, ma piuttosto una scenografia, recepibile attraverso l’at- tività visiva), e un semplice sguardo con fini principalmente estetici. Possiamo anche dire che il paesaggio è uno spettacolo del mondo.

1. Una breve storia del paesaggio

Storicamente, questo tipo di prospettiva sul nostro ambiente è ri- scontrabile solo in un alcuni contesti, solo ad un certo stadio di svilup- po delle società, non ovunque. Si tratta di una categoria costruita cul- turalmente che si aggiunge ad altre due visioni preesistenti: il semplice sguardo come quello del cacciatore, del raccoglitore, del pescatore, dell’agricoltore e del soldato, e la sguardo sacro, cioè quello dell’uomo che si confronta con gli elementi della natura come l’incarnazione di forze divine e misteriose. Il terzo tipo di prospettiva per l’ambiente è quella in cui essa è caratterizzata dalla sua globalità e dalla sua finalità estetica ed edonista. Questa estetizzazione della visione del paesaggio è stato identifi- cata in due contesti storico-sociali, nel mondo cinese intorno al VI secolo d.c., e nell’Europa rinascimentale. In entrambi i casi, il processo non ha innescato il contatto diret- to tra l’uomo e l’ambiente, ma ha richiesto l’intervento di un terzo elemento, nel senso stretto del termine, vale a dire la letteratura e la pittura in Cina, l’arte per l’Europa del Rinascimento. Ciò ha portato il filosofo Alain Roger (Roger, 1997) a parlare di un“processus d’artialisa- tion”. Per quanto riguarda l’Europa, proviamo a raccontare la crescita delle rappresentazioni di passaggi che hanno portato alla nascita di questa pittura alla fine del Medioevo: inizialmente una piccola finestra sul fondo di una scena d’interni raffigurata su un tavolo, poi la sagoma di un orizzonte attraverso la finestra e nel corso del tempo la finestra

54 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o diventa sempre più grande, il paesaggio diventa sempre più chiaro e, infine, il paesaggio occupa l’intera rappresentazione. Il termine paesaggio compare tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI; nella maggior parte delle lingue europee indica un tavolozza o un genere pittorico. Il punto di vista paesaggistico inizialmente era volto ai soli manufatti, successivamente è stato trasferito all’ambiente che ci circonda. Possiamo dedurre che il paesaggio è profondamente legato all’im- magine. Alcuni ricercatori arrivano al punto di considerare il modello di percezione del paesaggio, nel senso psichico, di come è percepito nel suo complesso, quasi come una produzione culturale, che «qui n’a pas stocké dans ses fichiers mentaux, l’image stéréotypée du paysage- tableau […] ne paysage pas, à proprement parler, un lieu» (Lenclud, 1995). Si ha comunque l’impressione che la rappresentazione artistica preceda sempre l’originale (Debray 1992). Partendo proprio da questo ultimo concetto si può parlare di un processo di secolarizzazione del rapporto con l’ambiente, della costru- zione di una visione laica ed edonistica della creazione. Si è detto che il Rinascimento è stato un momento fondamentale per l’affermazione del paesaggio, e dello stesso ambiente, che sembra aver preso due for- me distinte, entrambe che enfatizzano il sacro: l’estetizzazione, che porta al paesaggio e migliora l’esperienza sensoriale, il «ce que je vois depuis où je suis», la visione dall’alto verso il basso, dalla superficie tra- mite una vista tangenziale, formalizzando l’oggettivazione geometrica e fisica, sulla scia di Copernico e di Newton, dove le idee, contraria- mente, adottano leggi, e promuovono uno sguardo che, anche se non del tutto rimosso in favore dell’astrazione, diventa una vista dall’alto, una proiezione, una sorta di mappa, una georeferenziazione. Questo fa presagire futuri rapporti difficili tra paesaggio e la scienza! Non sorprende la mancanza di interesse della scienza nei confron- ti del paesaggio, inteso come parte di un approccio tolemaico anche quando la scienza ha un approccio copernicano. Effettivamente, nel paesaggio, è ben noto che è il sole a muoversi! Per secoli, il paesaggio è stato confinato nel campo dell’arte, del- la pittura, della letteratura, dell’architettura, dell’arte del giardino e nella fotografia. Nel corso degli anni, molte sono le variazioni di rap- presentazione del paesaggio: il paesaggio della coste sotto l’influenza della pittura fiamminga nel XVII secolo, il paesaggio montano nel

55 s e r g e o r m a u x tardo XVIII secolo sotto la guida di JJ Rousseau, e le rappresenta- zioni dei romantici, come risultato dello sviluppo dell’alpinismo e del turismo. Gli studiosi torneranno allo studio del paesaggio nel corso dei se- coli, dal primo Ottocento, con Alexander von Humboldt, successiva- mente con le scuole francesi e tedesche di geografia (Vidal de la Bla- che, Ratzel…), con il Landschaftökologie negli anni Trenta (Troll), con l’ecologia anglo-sassone del paesaggio. Il paesaggio si trova anche in agronomia, con un avvicinamento alla complessità dei sistemi di alle- vamento (Deffontaines, 1993). In geografia si riprenderà l’importanza del paesaggio alla fine degli anni sessanta, in particolare con George Bertrand, che si associa con la Geosystems (Bertrand, 1978), ispirato alla Landschaftovédénie Sovietica caratterizzata dalla quantificazione delle forze e dei flussi (Rougerie, 1991). Tutti questi approcci sono sicuramente diversi, alcuni sono di ca- rattere generale altri sono più analitici e settoriali, altri sono concen- trati solo sui fenomeni naturali, altri preferiscono sottolineare il ruolo delle società umane nello sviluppo del paesaggio, ma tutti condivi- dono l’impegno a distanza, quell’approccio oggettivo, l’eliminazione della percezione, o la sua trasformazione in una operazione naturale. La maggior parte del lavoro di considerare il paesaggio solo come quello che si vede dalla superficie, la visione dall’alto preferendola come un mezzo di accesso alla conoscenza, certamente non fornisce solo certezze ma anche errori. La descrizione del paesaggio dalla ge- ografia classica è spesso una descrizione spettacolare, in realtà è un commento su una grande mappa topografica in scala, su una carta geologica con alcuni dettagli terreni che ne completano l’illusione. Il rapporto diretto con il paesaggio viene eliminato, e con esso il fatto che il paesaggio è il prodotto di una certa relazione geometrica tra gli spazi visibili e non visibili, un punto di osservazione e che tale rapporto cambia ogni volta che l’osservatore si muove. Viene rimosso come una scala tra i primi e gli ultimi piani, viene rimosso da verticali perpendicolari alla luce come uno schermo o una maschera che di volta in volta crea illusioni differenti. Vediamo che sarà molto difficile, o quasi impossibile considerare tali tecniche come risolutive dei problemi con cui il paesaggista si con- fronta: impatto delle infrastrutture sul paesaggio, la dimensione della vista più o meno ampia lungo un percorso, l’intervisibilità, ecc.

56 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o

Un’altra direzione della ricerca scientifica sul paesaggio è rappre- sentata dal lavoro di sociologi e antropologi, geografi e alcuni cultu- ralisti o storici della vita quotidiana (Corbin, 2001) che forniscono la visione dal punto di vista fenomenologico. Per loro, il paesaggio esiste nella coscienza, si ha la percezione che è fortemente condizionata dal- la nostra cultura, dalle nostre abitudini, dalla nostra personale espe- rienza. La maggior parte del lavoro di questo tipo cerca di far emer- gere le rappresentazioni sociali di paesaggi, di identificare i modelli di paesaggio attraverso i quali possiamo percepirlo, attraverso quelli che incontriamo nella nostra vita quotidiana e quelli che incontriamo nei viaggi (turismo). Questo tipo di approccio ha il grande merito di restituire l’essen- ziale dimensione relazionale del paesaggio, ma spesso manca di men- zionare il paesaggio materiale, a volte negandolo, e ancora una volta, e per motivi diversi, sorgerà un problema quando dovrà essere gestita la visione del paesaggio che poi agirà per la sua materialità. Allora viene creato un paesaggio polisistemico dall’Università di Besançon e diventerà un modello teorico di riferimento cercando di superare la contrapposizione tra i sostenitori materialisti e i sostenitori idealisti. Proviamo ora ad esaminare la svolta degli anni ’90 che analizza le nuove esigenze della società.

2. Il paesaggio nella società contemporanea

Partiamo da una constatazione: il paesaggio, in particolare la sua immagine è estremamente pervasiva nella società contemporanea, la cultura, l’ideologia, il mondo dei media. L’immagine del paesaggio occupa sempre un posto di rilievo nelle riviste, nella pubblicità, non importa se di cosmetici o di automobili, perché il paesaggio esprime un ideale di giovinezza, successo, autenticità (prodotti della terra) e consente di indirizzare un consumatore verso un particolare target e verso un particolare luogo. L’immagine del paesaggio è anche molto attiva nel marketing terri- toriale che esalta l’ambiente di vita di una regione o di una città, così come la sua accessibilità e la sua capacità di innovazione. È nel discor- so politico, perché il paesaggio è portatore di valori ed è quindi molto

57 s e r g e o r m a u x utilizzato da chi progetta i manifesti dei candidati, una immagine del paesaggio scelta con grande attenzione, può trasmettere quello che le parole non dicono, quello che suggerisce al nostro subconscio, in modo a volte quasi subliminale. a- Da un paesaggio eccezionale a un paesaggio comune La relazione al paesaggio nel XIX secolo ha preso nuove forme con l’avvento della fotografia e dello sviluppo turistico. Il consumo si è gradualmente spostato ed è diventato nella seconda metà del ven- tesimo secolo consumo di massa, con i suoi processi di produzione fordista, marketing, regolamentazione. Le guide turistiche hanno poi agito come un forum per la consacrazione, limitazione, selezione del paesaggio, diffondendo varie classificazioni: “vale il viaggio”, “merita una deviazione” o semplicemente “interessante”. Il paesaggio accede ad una sorta di pantheon di paesaggi, imma- gini trasmesse nelle ferrovie, negli uffici turistici attraverso volantini, cartoline, e foto di vacanze. La spazialità del paesaggio più diffusa è di tipo puntiforme, solo un numero limitato di paesaggi è diventato comune. In questo caso possiamo parlare di “paesaggi notevoli.” In definitiva, solo questi paesaggi notevoli erano considerati come paesaggi reali, e se nel corso di un’indagine in un paese europeo non caratterizzato dal turismo, abbiamo chiesto agli intervistati quale sia il loro paesaggio locale preferito, spesso nella risposta non c’era sce- nario. Da questo segue anche una accettabilità relativamente alta di degrado del paesaggio, e abbiamo visto spesso persone meno interes- sate alla tutela dei loro paesaggi quotidiani, quanto al paesaggio del loro luogo di vacanza. I cambiamenti maggiori si svolgeranno durante gli anni ’90, con l’aspetto di una reale consapevolezza del paesaggio, un crescente interesse in tutti i paesaggi, anche di quello che si vive giorno per giorno. Dagli anni’90 un messaggio è sempre più diffuso “Il paesaggio in- torno a me, può essere giudicato banale, nessuno viene da lontano per fotografarlo, ma è il mio paesaggio, fa parte della mia vita, quindi lo ritengo utile, e sento che deve essere rispettato”. Si potrebbe caratterizzare questo nuovo atteggiamento con la sin- drome del “non toccare il mio paesaggio!” Grazie a questa sindrome, c’è un cambiamento di rappresentazione, si passa da un gioco in rela- zione a un re-incanto di ciò che ci circonda.

58 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o

Abbiamo analizzato la progettazione puntiforme, i paesaggi no- tevoli, anche se in numero limitato, le struttura di design delle aree estese, i paesaggi ordinari, quelli che si trovano ovunque e che sono a priori interessanti. Ma il paesaggio non è solo uno sfondo alla vita quotidiana, è anche un patrimonio che ovunque incarna i valori trasmessi dalle generazio- ni che ci hanno preceduto. Possiamo dire che il paesaggio è influen- zato dalla tendenza diffusa di patrimonializzazione che caratterizza la fine del XX e l’inizio del ventunesimo secolo. Per anni, il paesaggio non è stato considerato un fenomeno di produttività economica, suo valore intrinseco, non è stato considerato in tal senso, e per questo ha assunto solo un’importanza relativa. Erano favoriti i paesaggi in cui, le attrezzature o la modernizzazione dello sviluppo economico erano ubicate in paesaggi agrari che possono essere esteticamente gradevo- li, non istituiti per questo, e l’aspetto economico diventava una mera esternalità. Il valore del patrimonio che si diffonde negli anni ’90, nella ricerca di identità e di autostima che inizia a caratterizzare ogni aspetto del nostro comportamento. Inoltriamo spesso questo messaggio ai nostri contemporanei che tendono a non considerare il paesaggio come il prodotto di una logica casuale economica unica. Essi lo vedono come qualcosa di insopportabile e per questo si sentono autorizzati a parlare liberamente di inquinamento visivo e paesaggistico. Questo sembra un atteggiamento legittimo e positivo, ma è anche un paradosso storico, perché il paesaggio è sempre stato prodotto dal- la ordinaria attività economica, dall’agricoltura, dall’industria e da tutte le attività terziarie. Un paesaggio boscoso di terrazze di riso non è stato progettato per ragioni estetiche ma permette qualche piccola produzione economica, necessaria per la riproduzione del gruppo nel contesto dei vincoli ecologici del sito. Naturalmente, questo tipo di paesaggio è risultato innovativo solo la prima volta, successivamente è diventato quello che oggi è il paesaggio esistente. Se ci si riferisce alle mutate concezioni di patrimonio, và ricordata anche una particolare tendenza nei due secoli successivi. Inizialmente il patrimonio si compone di opere d’arte, s’intende raccogliere, pro- teggere e mettere a disposizione del cittadino un museo di belle arti. Compariranno i musei folkloristici e i musei negli spazi aperti che non raccolgono opere d’arte in senso stretto, ma gli strumenti e gli oggetti

59 s e r g e o r m a u x di uso quotidiano, raffiguranti la vita del passato. E, infine, la fase- fi nale, dove il paesaggio stesso, che è considerato come prova del genio e il duro lavoro di uomini che ci hanno preceduto, che diventa una preziosa testimonianza da proteggere. Questa consapevolezza ha portato ad una fioritura di atti legislati- vi, strumenti di legge e politiche di incentivazione a livello nazionale e internazionale. A livello internazionale, i paesaggi culturali dell’UNESCO sono ancora in una logica eccezionalista, ma nel Consiglio d’Europa, la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) fornisce principi di gestione di tutti i paesaggi ordinari in Europa. È stato un processo di generalizzazione dello sguardo improvviso su tutti i luoghi turistici. Ciò che sorprende, in modo piuttosto con- fortante, è che la globalizzazione della vista sul paesaggio, lungi dal produrre un paesaggio di standardizzazione, innesca un rinnovato in- teresse per la moltitudine di paesaggi ordinari, per i paesaggi di tutti noi. Il mercato immobiliare è di fronte a questa realtà, il paesaggio vie- ne a trovarsi tra maggiori offerte o perdite della terra e della casa, come è stato dimostrato da studi condotti con il metodo del prezzo edonico (Cavailhes – Joly, 2006). Tuttavia, è facile mettere ad un tavolo un falegname o uno stru- mento in una teca del museo, è molto più difficile e probabilmente indesiderato, incorniciare un paesaggio! È entusiasmante vedere un atteggiamento protettivo e conservativo del paesaggio, con l’unica strategia di museificazione. Tuttavia, questo potrebbe diventare un at- teggiamento retrospettivo che riflette una società verso il basso i nuovi modelli di paesaggio, e sarebbe particolarmente sfuggente. Infatti, nel nostro paese di antica civiltà, è impossibile incornciare il paesaggio, dal momento che il paesaggio è un sistema dinamico, e anche quando pensiamo che non cambia, è effettivamente e conti- nuamente riprodotto da interazioni tra la società umana e la natura. Se si proibiscono queste interazioni con l’occupazione umana e con lo sviluppo, si innesca inevitabilmente un processo che conduce verso il basso, come nelle aree di declino dell’agricoltura. Il paradosso di protezione assoluta è che può solo portare a muta- zioni e spesso ad una banalizzazione del paesaggio, ma per iniettare energia nel sistema e per sostenerlo artificialmente, significa investire

60 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o ingenti capitali, che è possibile solo in alcuni siti del tutto eccezionali, considerati di particolare pregio, non ovunque, non per i paesaggi or- dinari. Solo alcuni paesi ricchi possono permetterselo. Si può considerare, il nuovo modo di guardare paesaggio che coinvolge il pensiero manageriale in una questione completamente diversa. La Convenzione Europea del paesaggio distingue anche tre tipi di atteggiamenti complementari: la “protezione” di un certo numero di paesaggi, rari, fragili o emblematici, la “gestione”, che è quello di ac- cettare le modifiche, i cambiamenti nel paesaggio, gli sviluppi relativi alla situazione economica, sociale, spaziale, ma che non comportano alcuna modifica paesaggistica, tenendo conto, accanto ad altre consi- derazioni, di quella economica, ambientale, geotecnica e così via. E poi, al di là della gestione esistente e della Convenzione Europea del paesaggio, noi pensiamo ad uno “sviluppo” del paesaggio, vale a dire alla creazione di nuovi paesaggi e nuovi codici di paesaggio esatta- mente come sono stati in grado di fare i nostri antenati. b- Il paesaggio per lo sviluppo locale Questo nuovo atteggiamento che combina la protezione, la gestio- ne e la pianificazione può e deve essere considerato per lo sviluppo delle aree locali. I paesaggi sono per il territorio un vero e proprio tesoro, un tesoro, spesso ignorato, che dovrebbe essere sviluppato in modo intelligente. Ogni piccolo territorio non deve cercare di imitare i siti di grande prestigio, ma di percepire ciò che lo rende speciale, capire cosa possa caratterizzare il paesaggio e come renderlo fattore di sviluppo. – Innanzitutto parliamo di turismo, distinguendo tra “prodotto tu- ristico”, come vivere in un ambiente tropicale, con golf, vita notturna e shopping internazionale (non è di questo che vogliamo parlare) e “zona turistica”, basato sulla personalità di un territorio particolare e il suo paesaggio ambientale, il suo patrimonio storico e naturale, la sua offerta culturale. Questo tipo di turismo è radicato nel territorio, da cui trae la sua sostanza, ma allo stesso tempo né può beneficiare il Paese, per ripristinare l’economia in termini di mantenimento della popolazione nel sito, offrendo posti di lavoro, aumento della attrezza- ture e realizzazione di sinergie tra diverse attività, tutto questo potreb- be avviare un circolo virtuoso di sviluppo.

61 s e r g e o r m a u x

– Oltre al turismo, è probabile che anche l’agricoltura, in parti- colare l’agricoltura di qualità, con il crescente successo dei prodotti noti come “locali”, possibilmente etichettati o protetti da una deno- minazione d’origine, può svolgere un ruolo fondamentale. In questo tipo di produzione agricola, il rapporto con il paesaggio è particolar- mente importante, quando si consuma un tale prodotto (vino, for- maggio, olio d’oliva, prosciutto, ecc.) non si consuma semplicemente un prodotto alimentare, ma un immaginario, radicato in uno spazio immaginario, con la sua storia, il suo patrimonio, le sue tradizioni e, naturalmente, i suoi paesaggi tipici. Il paesaggio e il prodotto si sostengono a vicenda, il prodotto ha bisogno del paesaggio per il sogno del consumatore, e il paesaggio ha bisogno del prodotto per essere apprezzato nel tempo. Certamente non possiamo proteggere tutti i paesaggi a causa dei costi sostenuti, ma esistono numerose soluzioni sia nei mercati che per le Ammini- strazioni. Se un paesaggio rurale è sede di un’azienda agricola costi- tuisce valore aggiunto e può diventare un fattore altamente redditizio consentendo ai produttori di valorizzare il paesaggio, anche se non sono più pienamente funzionali. Per esempio, i terrazzamenti di coltura, che sono uno dei gioielli della campagna mediterranea, quasi ovunque riversano abbandonati, perché l’agricoltura è stata insediata nelle vicine aree pianeggianti, con conseguente degrado del bellissimo paesaggio. Tuttavia, la ma- nutenzione di queste terrazze artificiali per motivi di conservazione di questo patrimonio sarebbe finanziariamente proibitivo, a meno che non si considera l’installazione di un vigneto sulle terrazze di alta qualità, di alto valore, che identifica con il paesaggio e può finanzia- riamente garantire la sua manutenzione, come i vigneti della valle del Douro in Portogallo, o le Cinque Terre in Italia. Si può anche immaginare che il pubblico supporti gli agricoltori per incoraggiarli a conservare il patrimonio paesaggistico, almeno a grandi linee, anche attraverso misure agro-ambientali europee o pro- getti nazionali che possano supportarli, facendo così del contadino un paesaggista. Turismo e agricoltura non sono le uniche ragioni per integrare la questione della pianificazione del paesaggio. Consideriamo l’ambien- te in cui viviamo che è sempre più motivo di attrattività e competiti- vità, coinvolge territori e fornisce servizi diventando un decisivo nelle

62 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o attività high-tech, che richiedono la presenza di ingegneri, ricercatori e manager a livello internazionale. Infine anche per la popolazione, la parte più viva di immagine dove tutti hanno fiducia in se stessi e si può ottenere qualsiasi giurisdizione. c- Il paesaggio come strumento di governance Un’altra dimensione, forse meno conosciuta, appare, quella della governance. Oggi, il paesaggio è sempre più spesso considerato come interfaccia tra la popolazione e i policy-maker. Diventa uno strumen- to di mediazione molto efficace per favorire l’adesione degli attori o gruppi di attori ad un progetto, uno strumento che facilita la discus- sione, la condivisione, la creazione di un team di lavoro, e quindi i propositi di tenere in vita un dato progetto. - Sappiamo che la maggior parte delle incomprensioni che possono verificarsi tra le persone e i politici è costituito sicuramente dal fatto che si riferiscono a due dimensioni molto diverse: la visione del terri- torio da parte della politica o dell’esperto è una visione di spese ge- nerali, percentuali, di proiezione geometriche in una mappa, il piano di appoggio, il sistema di informazione geografica (GIS) o l’immagine satellitare. La visione della popolazione è una visione più concreta, immediata, una visione dall’alto, con spazi visibili e spazi nascosti, con una scala progressiva tra il primo e l’ultimo obiettivo. Da un lato c’è chi prende le decisioni georeferenziate, dall’altro le necessità della popolazione: sono due realtà molto diverse, con punti di riferimento differenti e che spesso minano alla comprensione reciproca. Tuttavia, l’uso di fotografie di paesaggio può essere un modo per collegare que- sti due mondi, di stabilire un dialogo tra loro. Per la popolazione, la fotografia del paesaggio, si riferisce all’espe- rienza che ognuno ha della propria terra e ha un potere evocativo che non ha la mappa geografica o un progetto condiviso. Crea reazioni, pianificazioni e guide da adottare nella comprensione. Non si presta ai limiti di un percorso o la suddivisione in zone, e né sottolinea gli usi, continuità e cambiamento piuttosto che stanziamenti e vincoli. Ma successivamente può diventare la base per ideare un piano, per- mettendo un ritorno alla mappa geografica o ad un sistema di infor- mazione geografica (GIS), e allo spazio e alle zone georeferenziate. Diventa così un oggetto intermedio, uno strumento di mediazione. Questo movimento dialettico tra il paesaggio e la mappa è simile a

63 s e r g e o r m a u x quello che Agostino Berque chiamato “il punto di vista della median- ce” (Berque, 1990). Le foto del paesaggio possono anche essere usate per far emergere le rappresentazioni degli abitanti del territorio, e la luce sempre più utile e rappresentativa dei ricordi.. Possiamo chiedere a un gruppo di persone di prendere le foto più rappresentative del loro paese, le immagini di quello che piace di più, mostrare le immagini ad una persona straniera ed invogliarla a visitare il proprio territorio, e così via. Tutto questo poi potrà portare a interpretazioni di successo.

3. Il paesaggio come un nuovo oggetto della conoscenza scientifica

Infine, evidenziamo la necessità di paesaggio come un oggetto di conoscenza in sé, così come la società, il territorio, l’ambiente o per gli stessi affari. Per fare questo, abbiamo bisogno di modelli teorici, come quello del “paesaggio polisistema”, che al centro del sistema pone l’aspetto del paesaggio scena (il “sistema paesaggio visibile”) che si collega in cima al “sistema di produzione del paesaggio” e in basso all’”utente della rete”, finale retroattivo al primo.

Il polisistema “Paesaggio”

recherches

Système, producteur Syst, paysage visible Système, utilisateur

abiotique objets discours

biotique consommation filtre perceptif

anthropique éléments d’image décision

Action

La specificità di questo modello teorico (si veda anche Griselin-Or- mala-Wieber, 2002) è un insieme di tre sistemi base. Il produttore del

64 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o sistema, con le sue componenti abiotiche (fisiche, geologiche…), biotiche (processi biologici, la vegetazione…) e lantropiche (l’azione umana), è il produttore del paesaggio, sono questi tutti i processi di interazione che lo producono. Ma il paesaggio stesso, il paesaggio visibile, diventa solo la seconda casella. Questa volta il paesaggio, con le sue tre dimensioni ma- teriali e i suoi piani successivi diventa un paesaggio senza alcun interven- to, senza alcun filtro percettivi. Si tratta di un paesaggio potenzialmente disponibile per la nostra visione. Il paesaggio visibile è fondamentale per la riflessione sulla organizzazione perché non è il paesaggio soggettivo di tutti, ma il paesaggio per il nostro ambiente e il nostro comune. Allo stesso modo, un testo sarà letto e percepito in modo diverso da ogni indi- viduo, ma ha comunque una struttura linguistica che può essere studiato oggettivamente, che è la materia delle varie lezioni che verranno fatte successivamente. Quindi un paesaggio visibile che può essere analizzato oggettivamente può essere, ad esempio, costituito dagli studi che cercano di determinare l’impatto della futura costruzione dello paesaggio. Le informazioni fornite dal paesaggio luminoso visibile passa attra- verso i filtri della percezione di ogni singola scatola che altro non è che l’utente del sistema. Considerato che gli utenti del paesaggio, si impe- gnano in discorsi (discussione come amici, poesia, marketing, ecc.): usiamo il paesaggio in vari modi (turismo, ricreazione, residenza, ecc.), e prendiamo decisioni di qualsiasi genere, che completano finalmente il sistema di produzione, attraverso le conseguenze delle nostre azioni nel sub-box di origine antropica. Ma il modello teorico non è sufficiente, abbiamo bisogno anche di metodi e tecniche. Prenderemo in esame in particolare i termini di un approccio scientifico al paesaggio in quanto è visibile quella scatola che è la puntata massima. Questi approcci basati su un approccio scientifico al paesaggio visibile dalla terra può prendere due strade diverse e sempre più complementari: - Il “canale analogico” basato sulla realizzazione di banche im- magine campionate e georeferenziate, consentendo di fare indagini sistematiche sulle dimensioni della scena del paesaggio e del suo con- tenuto. Il vantaggio di questo primo settore è quello di agevolare la circolazione delle idee tra esperti, politici e cittadini. Infatti, le imma- gini che costituiscono il focus dell’idea sono diffuse a diversi livelli, quello della percezione, ma anche dell’analisi giornaliera e delle varie dichiarazioni.

65 s e r g e o r m a u x

Catena analogica (1/2): campionamento fotografico presentazione visiva

Le recueil des données se fait sur le ter- Claque image échantillonnée couvre un rain en vue horizontale. Un plan d ’échan- certain espace sur le terrain, variable tillonnage détermine l’emplacement des en profondeur et en largeur, en fonction point de saisie: l’échantillonnage est d’éventuels masques. Ces espaces (cônes aussi appliqué au tour d’horizon. de vue) sont reportés sur la carte.

L’espace de la carte est carroyé avec une La technique des isolignes permet de des- maille variable selon les buts de l’étude. signer les zones d’égale couverture. Ici, On compte par combien de cônes de vue du clar au foncé, on visualize les zones est couvert chacun des pixels. faiblement à fortement soumises à la vue.

Questo documento mostra come raccogliere ed elaborare informa- zioni di un paesaggio. Bisogna notare che le informazioni di paesag- gio, la registrazione attraverso l’istituzione di un corpo in un proce- dimento fotografico campionario evidenza: punti di campionamento e di prelievo dei campioni ripresi ad ogni punto angolare. In questo modo, il corpo fotografico ottenuto sarà rappresentativo del paesaggio potenzialmente visibile dell’area in esame e può portare a sondaggi multipli di elaborazione statistica. Qui, abbiamo scelto non il contenuto delle scene di un paesaggio, ma la dimensione del paesaggio. Da ogni ripresa, si può ripiegare sulla mappa la zona interessata del paesaggio in questione. Questo genera una sorta di triangoli che riflettono il paesaggio più o meno a profon- dità di campo. Se poniamo una griglia su questo dispositivo, possiamo contare per ogni punto della griglia, il numero di triangoli in cui esso è registrato. I valori indicano l’intensità con cui ogni punto è visibile

66 i l p a e s a g g i o , p e r p e n s a r e m e g l i o i l t e r r i t o r i o altrove. Essere registrato presso un gran numero di rappresentazio- ni sarà considerato altamente visibile, invece essere iscritto presso un piccolo numero di triangoli, riteniamo che non sarà considerato alta- mente visibile. Questi valori possono essere collegati da curve per fa- cilitarne la lettura. Come la mappa risultante mostra che gli spazi sono più o meno fatto salvi, il termine “mappa visiva di sottomissione”. Un paesaggio caratteristico, oggettivo, è misurabile e ciò è dimo- strato, è ben a monte dei filtri percettivi di “polisistema”, di configura- zioni individuate che riguardano l’architettura hardware del paesag- gio, prodotta dalla topografia, dalla vegetazione e dagli edifici. L’altra filiera d’informazione «filière numérique» qui sarà semplice- mente chiamata come parte integrante di una visione «du dessus» per imitare la visione «du dedans». Si basa su due strati di informazioni territoriali, il modello digitale del terreno (DTM), cioè un database altitudinali, e immagini satellitari per modellare il paesaggio visibile dalla terra. Tali strumenti possono essere utilizzati anche per misurare la pre- sentazione visiva, cioè, per ripetere, la tendenza dei punti di uno spazio per essere visibile da altri punti di questo spazio. Dal DTM, ogni pixel è oggetto di una virtuale ray-tracing, l’altitudine del pixel e quella di tutti gli altri che sono conosciuti, può essere determinato calcolando lo spazio che sarà visibile da ogni pixel e al contrario, sarà calcolata l’intensità della presentazione visiva per ciascuno di essi. Immagini satellitari o fotografie aeree, aiutano a conoscere la terra, per valutare l’altezza degli edifici e della vegetazione, e così integrare le informa- zioni fornite dal DTM. Possiamo quindi, con l’ausilio di queste informazioni, ottimizzare la posizione o il percorso di un’infrastruttura, in modo da renderlo il più discreto possibile. Progetti per le autostrade, linee ad alta velocità, linee elettriche ad alta tensione o impianti eolici stanno beneficiando tali approcci.

In conclusione…

Diremo che l’approccio alla visibilità non risolve tutta la questione del paesaggio. Schede visive per la presentazione sono complesse, dif- ficili da decifrare, a volte incomprese dal politici, e spesso da persone

67 s e r g e o r m a u x sospettate di essere un avatar finale della tecnocrazia. Ma incorporati in reali processi di partecipazione, l’uso di apparecchiature per la car- tografia con le foto e i disegni di paesaggio, possono costituire un vero e proprio allevamento di terreno per una consultazione pacifica. Più in generale, il “paesaggio polisistema», qui presentato offre la possibilità di collegare molteplici approcci a questo concetto che è il paesaggio complesso, collegando le esigenze che vengono espresse nel panorama della società e della vita.

68 Memoria collettiva e pratiche del ricordo. La costruzione di un museo sugli emigranti a San Marco dei Cavoti Laura Gengo

PhD Università degli Studi di Salerno [email protected]

La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi (Karl Marx)

La memoria apunta hasta matar a los pueblos que la callan y no la dejan volar libre como el viento (León Gieco)

1. Il concetto di memoria collettiva

Gli studi sulla memoria sociale, che hanno interessato studiosi di di- verse discipline a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, sono, come li hanno definiti Olick e Robbins (1998: 106), «unimpresa non pa- radigmatica, transdisciplinare e a-centrica». Infatti, il tema della memo- ria sociale è stato analizzato moltissimo e da diverse angolazioni come la sociologia, la psicologia, la storia, le scienze politiche e così via1. L’espressione “memoria collettiva” appare per la prima volta nel 1902 con Hugo von Hofmannsthal che la definisce «la forza arginante dei no- stri misteriosi antenati tra di noi» (Schieder, 1978: 2) ma è nel 1925, con I quadri sociali della memoria collettiva di Halbwachs2, che il concetto fa il suo ingresso all’interno delle scienze sociali. In contrasto con gli ap-

1. Nell’interessante volume Memoria e saperi: percorsi transdiciplinari a cura di Elena Agazzi e Vita Fortunati la memoria viene analizzata attraverso sei macroaree disciplinari. Le curatrici sottolineano, inoltre, che la memoria è dinamica e non esiste una definizione unitaria di essa (Agazzi e Fortunati, 2007:12). 2. Maurice Halbwachs (1877-1945), allievo di Durkheim, dapprima professore all’Università di Strasburgo, ottiene la cattedra di sociologia alla Sorbona nel 1935. I suoi scritti più rilevanti sul tema della memoria sono. Les cadres sociaux de la mémoire (1925), La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sainte (1941) e La mémoire collective (1950).

69 l a u r a g e n g o procci di tipo psicologico alla memoria sociale, Halbwachs sostiene che è impossibile per gli individui ricordare in maniera coerente e duratura al di fuori del loro gruppo di riferimento. I mezzi per ricostruire la me- moria sono forniti dai gruppi di appartenenza e lo studio della memoria è possibile solo attraverso l’analisi del modo in cui le menti all’interno di un gruppo lavorano insieme, perché è all’interno della società che le persone acquisiscono le loro memorie ed è nella società che le ricorda- no, le riconoscono e le localizzano (Halbwachs, 1925). «Ciascuna memoria individuale – sottolinea Halbwachs (1950: 61) – è un punto di vista sulla memoria collettiva» e questo punto di vista cambia a seconda del posto che l’individuo occupa all’interno della propria cerchia sociale e del rapporto che intrattiene con le altre. Sono gli individui a ricordare ma lo fanno insieme all’interno di un gruppo perché i ricordi vengono evocati attraverso i quadri sociali della memoria che rappresentano dei «chiodi ai quali (l’individuo) fissa i suoi ricordi» (ivi: 22). La memoria collettiva, però, non è la mera somma delle memorie individuali, perché comprende tutti i ricordi del gruppo che il singolo da solo non potrebbe trattenere, e svolge un’azione ordinatrice della massa (altrimenti informe) dei ricordi attraverso l’azione dei quadri (Migliorati, 2010b: 22). La memoria individuale si sviluppa su una base sociale ed è incre- mentata da scopi sociali. Secondo questa prospettiva, ricordare non è un mero atto individuale perché la memoria individuale viene or- ganizzata e mediata a livello sociale: noi ricordiamo e memorizziamo eventi del passato che ci vengono trasmessi attraverso diverse pratiche e modelli culturali che determinano una costruzione sociale del pas- sato (Schudson, 1995: 346). Halbwachs, che era stato allievo di Durkheim, pur partendo dal- le teorie durkheimiane sulla necessità di continuità con il passato di una data società, aveva superato il riferimento al fatto che la memo- ria fosse legata solo ai rituali di commemorazione. Come Durkheim, però, Halbwachs sottolinea che il grado di coerenza e complessità di una memoria collettiva è direttamente collegato con quello di una data struttura sociale. Se i gruppi sono molteplici, inoltre, la memoria collettiva non è una soltanto e le memorie condivise raf- forzano le differenze sociali. Tuttavia, affinché la società sopravviva è necessaria una visione condivisa tra gli individui e i gruppi che

70 m e m o r i a c o l l e t t i v a e p r a t i c h e d e l r i c o r d o . l a costruzione d i u n m u s e o s u g l i e m i g r a n t i … la compongo, per questo la società tende a scartare dalla sua me- moria tutto ciò che potrebbe separare gli individui o allontanare i gruppi gli uni dagli altri (Halbwachs, 1925). Ed è qui che si genera l’oblio che, inteso come limite della memoria, altro non rappresenta se non un passaggio da un quadro sociale ad un altro. Dal momento che la memoria si costruisce a partire dal presente è necessario un gruppo che si faccia carico della costruzione, della conservazione e della comunicabilità di tale ricordo. L’oblio, infatti, è determinato innanzitutto dalla scomparsa di un gruppo sociale (oblio per de- strutturazione) o dalla perdita di significato di determinati ricordi per quel gruppo (oblio per disinteresse), ma «la dialettica tra memo- ria e oblio, tra continuità e discontinuità con il passato non è mai data, né lineare, è sempre frutto di una continua ri-negoziazione» (Agazzi e Fortunati, 2007: 18). Al pari della memoria, l’oblio ha una propria matrice culturale ed è un processo sul quale si costruisce un sistema di identità: in una comunità omogenea l’oblio sarà omogeneo e il ricordo delimitato dai margini sociali della memoria (Doni, 2010: 18). La memoria collettiva gioca un ruolo essenziale nella vita socia- le perché è parte dell’apparato culturale di rifermento: essa stabilisce un’immagine del mondo e dà forma alla realtà presente determinando una comune visione del mondo. La memoria fornisce rappresentazio- ni e schemi simbolici che possono influenzare e organizzare la conce- zione di sé stessi e le azioni, in altre parole, essa diviene un mezzo per imporre un ordine significativo sulla realtà (Schwartz, 2000: 18). Del resto, che la memoria sia uno strumento imprescindibile per la co- struzione della struttura del self, individuale o collettivo, è un assunto condiviso sia dagli approcci individualistici sia da quelli che vedono la memoria come qualcosa di collettivo (Mori, 2000: 28). Se da un lato, però, la memoria collettiva offre un’identificazione sociale per i gruppi, sia a livello societario sia a livello individuale, si può affermare che la ricostruzione del passato dipende sempre dalle identità e dai contesti presenti (Misztal, 2003: 14). Inoltre, la memoria sociale è cruciale anche nelle relazioni tra le persone in quanto determina conflitto o cooperazione. Guardare al passato contribuisce l’autoconsapevolezza: aiuta a definire i nostri li- miti e le nostre potenzialità in rapporto agli altri gruppi e consente, con un’analisi oggettiva, di non commettere gli stessi errori.

71 l a u r a g e n g o

Una visione oggettiva sul passato è da sempre considerata preroga- tiva della storia che fonda la sua presunta oggettività su una cataloga- zione e interpretazione degli eventi trascorsi a partire da un presente differito. La memoria, invece, intesa come passato che dura, è sogget- tiva perché «affonda le sue radici nell’esperienza di coloro che la fanno vivere» (Grande, 2007: 51). Ma, se nelle testimonianze l’esperienza non è affatto garanzia di verità perché la soggettività e l’emozione de- terminano punti di vista differenti sullo stesso evento storico, gli studi della memoria hanno posto in primo piano la crisi della storia come disciplina dallo statuto forte; storia e memoria, infatti, presentano aspetti comuni se si tiene conto del fatto che il rapporto tra passato e presente si esprime sul piano dell’identità e della responsabilità (Ros- si- Doria, 1998: 13). Se la memoria, attraverso le testimonianze, può soccorrere il lavoro storico laddove dovesse risultare lacunoso o poco oggettivo, questa relazione diventa rischiosa se la storia, funzionando come memoria, nasconde sotto la pretesa di oggettività l’ideologia di una nazione o di un potere politico. È il caso delle celebrazioni del “Giorno della memoria” in cui «sempre più spesso non si distingue tra le due, o, ancora peggio, si sostituisce la prima (la memoria) alla seconda (la storia)» (Rossi-Doria, 2005: 93). Infine, possiamo affermare che, partendo dall’assunto di Bal (1999: VII) per cui ogni pratica della memoria può essere vista come «un’atti- vità che si svolge nel presente, nella quale il passato viene incessantemente modificato e ri-descritto, anche quando continua a modellare il futuro» e come un’attività che interpreta gli interessi del presente i quali si diffe- renziano in funzione dei gruppi sociali che li portano avanti, «emerge, in ultima analisi, l’uso politico della memoria che rappresenta una moda- lità di trasformazione del passato che si avvale del ricordo collettivo come risorsa simbolica per rappresentare i rapporti politici dei gruppi dentro la realtà sociale» (Migliorati, 2010: 134). Questo determina una strumentalizzazione della memoria che soc- combe nel rapporto con il potere costituito e impone un’assunzione di responsabilità delle diverse discipline rispetto all’uso egemonico che interessa la dialettica memoria-oblio. Il modo in cui ricostruire i ricordi diviene essenzialmente un atto politico di ricostruzione di senso, che si esplicita nel rapporto di po- tere tra chi produce memoria, i cosiddetti trasmettitori di memoria, e chi ne fruisce.

72 m e m o r i a c o l l e t t i v a e p r a t i c h e d e l r i c o r d o . l a costruzione d i u n m u s e o s u g l i e m i g r a n t i …

2. Gli artefatti culturali della memoria

La memoria collettiva rappresenta il passato che viene ricostruito continuamente e incessantemente dai gruppi che operano, tramite i quadri, nel presente e in funzione del progetto futuro, ma è attraverso le pratiche della memoria che si determina la trasformazione del pas- sato in presente che dura (Migliorati, 2010b). Per comprendere questo passaggio è utile riportare l’assioma di Ze- lizer (1995: 232), secondo cui le forme culturali stanno alla memoria come la trama sta a un tessuto, perché la memoria «ha una struttura, esiste nel mondo più che nella testa delle persone». I gruppi sociali, attraverso l’utilizzo delle pratiche della memoria, riportano alla coscienza un trauma, un evento trascorso giudicato me- ritevole di memoria sulla base di scelte precise «che attengono quale passato ricordare, come farlo e perché» (Migliorati, 2010b: 96). A partire dal Novecento, si determina una vera e propria osses- sione per la memoria, perché le società attuali «non sono più società della memoria» (Hervieu-Leger, 2000:123) e la modernità, caratteriz- zata dal mutamento incessante, sembra precludere qualsiasi possibi- lità di sopravvivenza del passato. La modernità, evidenzia Jedlowski (2002: 72), «sembra essere determinata, nei suoi atteggiamenti nei con- fronti della memoria, proprio dal fatto che la memoria sociale non è più scontata, non è più “ovvia”». Per cui, in un’epoca caratterizzata da una percezione intensa dello scorrere del tempo si manifesta una volontà di conservare il passato direttamente proporzionale alla velocità con cui se ne percepisce l’allontanamento. Dal momento che le società moderne soffrono di amnesia, si ve- rifica una trasformazione della memoria dell’uomo in memoria isti- tuzionale (Assmann, 1995): la memoria culturale è una memoria isti- tuzionalizzata attraverso mezzi culturali ed è una memoria costruita attraverso forme culturali disponibili per ricostruire la relazione delle persone con il passato (Schudson, 1995: 348). La memoria collettiva, dunque, assume sempre una forma, ma que- sta muta nel tempo; il linguaggio quotidiano ha permesso ai gruppi la conservazione e la trasmissione del ricordo nel tempo, ma le varie procedure utilizzate come supporti alla memoria tendono a riflettere le tecniche specifiche di un determinato periodo storico: così le prati- che mnemoniche utilizzate nell’antica Grecia saranno diverse da quel-

73 l a u r a g e n g o le utilizzate da noi che possiamo affidarci a dispositivi esterni come librerie e internet (Misztal, 2003). Se nelle società a cultura orale la memoria collettiva si esprimeva in pratiche narrative ritualizzate, con l’avvento della scrittura, che permette la redazione e la raccolta di do- cumenti, si compie un passo decisivo verso una progressiva esterioriz- zazione della memoria. Con la scrittura, mediante un sistema di segni, i contenuti della memoria «si fanno esterni, si oggettivano in tracce la cui conservazione trascende i limiti della memoria soggettiva» e si mo- difica la loro durata nel tempo, legata al deperimento dei materiali su cui sono iscritti (Jedlowski, 2002: 85). Con la diffusione delle tecnologie, i mezzi di riproduzione del pas- sato si fanno sempre più sofisticati e si determina un nuovo tipo di memoria collettiva. Strumenti come il cinema, prima, e la televisione, poi, hanno permesso la diffusione veloce di eventi in tutto il mondo e un’estensione delle tracce del passato che trascende la capacità di ap- propriazione di ogni memoria individuale e collettiva determinata (ivi: 119). Il passato non si conserva più nella tradizione e le forme cultu- rali sono distribuite attraverso le istituzioni sociali e artefatti culturali come film, monumenti, statue o pratiche che si ripetono regolarmente come le commemorazioni, le cerimonie, le festività e i riti. Il modo in cui la memoria si cristallizza negli artefatti culturali, che sono l’insieme dei luoghi, oggetti, testi orali e scritti attraverso cui materialmente si esprime e prende forma il processo commemo- rativo, non è ininfluente sulla trama dei ricordi; inoltre, la scelta di chi commemorare, quando e con quali parole, è una scelta carica di implicazioni: esprime una valutazione. Questa scelta contiene in sé elementi di conflitto, perché gruppi diversi tra loro (e quindi portatori di giudizi e valori diversi) custodiscono memorie diverse e scelgono di ricordare eventi diversi, spesso in conflitto tra loro. Non si può pre- scindere, parlando di memoria, da un’analisi attenta di questa “batta- glia” per la memoria, perché essa costituisce «una parte essenziale della battaglia per l’affermazione del diritto di esistere» (ivi: 100) La memoria contesa, sottolinea Leccardi (2001: 12), «è la memoria che si caratterizza come posta in gioco perché memoria “viva” capace di mostrare il segno delle soggettività che l’hanno costruita», ma è anche ambivalente, perché, come principio di strutturazione delle identi- tà, se da un lato genera legami, da un altro lato determina divisioni potenti e devastanti. Il carattere conflittuale dà vita a una memoria

74 m e m o r i a c o l l e t t i v a e p r a t i c h e d e l r i c o r d o . l a costruzione d i u n m u s e o s u g l i e m i g r a n t i … vitale e quanto più grande è la “battaglia” per tenere in vita una me- moria e arginare il carattere totalizzante della memoria istituzionaliz- zata tanto più forte sarà la sua aura di “sacralità”. Questo fenomeno si manifesta soprattutto nelle società attuali, caratterizzate da differenti culture, religioni e tradizioni; il processo di globalizzazione, infatti, ha determinato un passaggio da una narrativa principale, nazionale, della memoria a una narrativa frammentata, appartenente a gruppi specifici; quindi assistiamo oggi ad una frammentazione della memo- ria nazionale. I sociologi della memoria sono concordi nel definire le cerimonie commemorative come processi altamente conflittuali: potenzialmen- te, quando esse hanno luogo, si attivano una serie di dinamiche anta- goniste, che devono trovare una qualche forma di rappresentazione e l’analisi dei processi commemorativi comporta un’attenzione specifica a quelle dimensioni antagonistiche, che talora sono riflesse in vere e proprie ambivalenze a livello istituzionale (Schwartz, 1982). Il proces- so di costruzione della memoria, inoltre, è sociale e culturale, perché solo nella misura in cui gli individui conoscono e rappresentano il passato attraverso queste pratiche si può determinare lo spazio simbo- lico per la costruzione della memoria: l’evento ricordato deve essere riconoscibile per i membri del gruppo e il modo di ricordare è deter- minato attraverso una costruzione di linguaggio che supera la sfera individuale e che è condizione necessaria per condividere la memoria e, siccome può essere sociale solo se può essere trasmessa, la memoria deve essere innanzitutto articolata (Fentress e Wickham, 1992). Le narrazioni del passato istituzionalizzate stabilizzano l’identità dei gruppi e assorbono i conflitti, ma rischiano di essere a-critiche ovvero «si finisce per giustificare l’ordine presente delle cose, per non misurarsi con il significato che quella memoria ha per la società presente» (Migliorati, 2010a: 136). La ricostruzione del nesso passato-presente appare problematica da diverse angolazioni. L’istituzionalizzazione del ricordo, oltre a trasformarsi in semplice rappresentazione didascalica del passato, rende oggettivo il ricordo, privando la memoria della sua carica vitale e affettiva: nel momen- to in cui il ricordo viene istituzionalizzato si costruisce «una cortina di impermeabilità che sterilizza la coscienza, mette un tappo ai ricordi» (Jedlo­wski, 2002: 100). La commemorazione diviene oggettivazione.

75 l a u r a g e n g o

Il progetto commemorativo diviene più forte e il ricordo, trasfor- mato in strumento, perde il suo potere: «Percepito come espediente retorico per la validazione di un discorso emesso da qualcuno che non si intende legittimare, il ricordo sparisce. Non ricorda più nulla. La comme- morazione è silenzio» (Ibidem). Per questo motivo, nel processo di costruzione dell’identità, devo- no essere eliminati dalla memoria non solo quegli elementi che po- trebbero mettere in discussione l’identità stessa del gruppo, ma anche la sua natura fictional, ovvero la «coscienza relativa ai continui processi necessari alla sua costruzione e al suo mantenimento» (Mori, 2010: 35).

3. La costruzione di un museo sugli emigranti a San Marco dei Cavoti

All’interno di ogni società esistono istituzioni in grado di sancire le forme della memoria legittime e illegittime e determinarne la struttura (o le strutture che a volte si intrecciano tra loro); la memoria, infatti, può assumere forme diverse: quella politica, come una commemora- zione ufficiale, quella culturale, come un museo di storia naturale, e quella artistica, come un museo sull’arte. Oltre a sancirne la forma, le istituzioni definiscono la presenza o l’assenza di una memoria e i musei, ad esempio, «sono istituzioni potentissime in tal senso: funzionano come agenzie del ricordo, ma solo di quello possibile» (Tota, 2007: 110). Il mu- seo diviene un luogo in cui si materializza la dialettica memoria-oblio: un modo per ricordare qualcosa, ma anche per omettere qualcos’altro. Il ricordo, dunque, avviene nel mondo degli oggetti: gli artefatti «giocano un ruolo centrale nelle memorie delle culture e degli individui […] sopravvivono in modi impensati da coloro che li hanno prodotti e posseduti per divenire oggetti indicali, sulla base dei quali altre interpre- tazioni del passato possono essere ricostruite» (Radley, 1990: 57). Gli artefatti culturali, perciò, creano una continuità tra passato e presente, mantenendo vivo un ricordo. Così, l’identità di un museo esprime non solo il modo in cui ci si rapporta al passato, esponendolo come memoria collettiva, ma anche la cognizione stessa del presente: il valore che viene attribuito a un passato è strettamente legato con la percezione di quel passato nel presente (Catalano, 2007). Potendo affermare che memoria individuale e memoria collettiva trovano nel museo un luogo di verifica reciproca, il punto focale divie-

76 m e m o r i a c o l l e t t i v a e p r a t i c h e d e l r i c o r d o . l a costruzione d i u n m u s e o s u g l i e m i g r a n t i … ne la trasformazione dei contenuti della memoria che si vuole rappre- sentare in una “metafora ponte”, che favorisca l’identificazione emo- tiva del fruitore (attraverso oggetti, narrazioni, immagini). Catalano (ivi: 361) ci ricorda che «allestimenti e studi museologici testimoniano la tendenza a tradurre in forma concreta, o nell’astrazione del pensiero, la possibilità di spostare continuamente il punto di osservazione. Le tracce sono leggibili, all’interno degli stessi musei, nel modo di coniugare ma- teriali d’uso e metodi di accesso alla visibilità, nel produrre una visione suggestiva e nel sollecitare costantemente la memoria». Il contesto del museo si trasforma, così, in luogo in cui esperire nuove emozioni, un luogo in cui il pubblico diviene «sempre più protagonista (come nello Jüdisches Museum di Berlino) di un racconto sulla memoria che lo spetta- tore stesso ha il compito di ricostruire» (ivi: 360); va, quindi, annullato il senso di estraneità all’interno del museo, perché il visitatore esperisce memoria e non ne fruisce soltanto. L’esposizione dell’oggetto all’interno del museo suggerisce, tramite la sfera evocativa, una serie di immagini e parole alla mente dello spet- tatore e mira «a rendere l’osservatore in grado di cogliere i messaggi che gli vengono offerti, tentando a un tempo di garantire l’intelligibilità del proprio percorso tecnico, associativo, evocativo e di memoria» (ivi: 366). L’oggetto, attraverso la musealizzazione, acquista un significato diver- so: svincolato dal suo valore d’uso, perde la sua funzione utilitaria, che viene sostituita dall’acquisizione di un senso che supera la sfera del visibile. Baxandall (1995) sottolinea che il sistema museale realizza un cam- po comunicativo fra mittenti e destinatari, attraverso un messaggio che si struttura intorno all’oggetto esposto: si determina così il cosid- detto “effetto museo”, ovvero la costruzione di un nesso tra oggetti di- versi tra loro. In questo contesto, il visitatore attribuisce un significato simbolico agli oggetti, all’interno di un museo che si afferma come luogo produttore di significato. La costruzione di un museo degli emigranti deve tenere conto di questi aspetti e deve mirare, innanzitutto, a creare una trama della memoria che viene raccontata, dando rilievo ad aspetti come il viaggio dell’emigrante, il legame con la madrepatria, il ritorno, etc. A questo proposito, lettere, cartoline, fotografie, grazie alle quali il legame con la madrepatria si teneva in vita, rappresentano documenti di impor- tanza straordinaria, per comprendere le fasi del processo migratorio.

77 l a u r a g e n g o

Un museo della migrazione è innanzitutto un luogo per facilitare, attraverso il racconto di storie individuali, la trasmissione tra genera- zioni, costruendo una consapevolezza rispetto agli eventi che hanno indotto gli individui a lasciare le loro terre per cercare nuove oppor- tunità in una terra sconosciuta, perché non dobbiamo dimenticare, come sottolinea Handlin, (1958: 4) che «la storia dell’immigrazione è la storia dell’alienazione. Solitudine, isolamento, estraneità, mancanza di aiuto, separazione dalla comunità, disperazione per la perdita di signi- ficato caratterizzano la condizione degli immigrati». Emigrare significava viaggiare verso l’ignoto, il nulla: l’emigrazio- ne era l’equivalente critico della morte (De Martino, 2000). Inoltre, un museo delle migrazioni, in un contesto migratorio in continua evoluzione, diviene elemento fondamentale per mettere in relazione passato e presente e sensibilizzare l’osservatore al ruolo che il migrante può svolgere nelle società di accoglienza. Ricordare i movimenti migratori dall’Italia, infine, contribuisce ad eliminare stereotipi e a non commettere gli stessi errori: non dobbia- mo dimenticare, infatti, che tra il 1876 e il 1976 uscirono dall’Italia più di 25 milioni di persone e, nello specifico, circa 9 milioni abban- donavano il Mezzogiorno (Rosoli, 1978). E occorre tenere ben presen- te che, se, da un lato, i migranti italiani contribuirono allo sviluppo economico, sociale e culturale dei paesi di destinazione, da un altro lato furono stigmatizzati e spesso furono indicati con il nomignolo xenofobo di Wop (without passport) o definiti dal “The New York Times” (1909) grandi criminali, assassini dopo un paio di bicchieri. Il razzismo contro gli Italiani colpì tutti. Nel corso degli anni, l’Italia è rimasto paese di emigrazione3, ma è divenuto anche paese di immi- grazione4. Riportare alla luce le memorie relative al periodo migra- torio è uno strumento per comprendere non solo i flussi migratori

3. Dal Rapporto Italiani nel mondo 2011, si evince che gli Italiani residenti all’estero al 31 dicembre 2010 sono 4.115.235, di cui 1.976.563 (il 47,8%) sono donne. La comunità italiana emigrata continua ad aumentare, sia per le nuove partenze sia per la crescita interna (allargamento delle famiglie o persone che acquistano la cit- tadinanza per discendenza). Inoltre, il 54,8% degli emigrati italiani è di origine meridionale. Quanto alle province con più italiani all’estero, il record spetta a Roma (263.210), seguita da Agrigento (138.517), Cosenza (138.152), Salerno (108.588) e Napoli (104.495). 4. Secondo l’ultimo rapporto Istat, sono 4.570.317 gli stranieri residenti in Italia all’1 gennaio 2011: 335mila in più rispetto all’anno precedente.

78 m e m o r i a c o l l e t t i v a e p r a t i c h e d e l r i c o r d o . l a costruzione d i u n m u s e o s u g l i e m i g r a n t i … che colpiscono l’Italia oggi, ma anche le persone e le motivazioni di coloro che, in quantità sempre più elevate, oggi come ieri, decidono di costruire il loro futuro “altrove”.

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Collective Memory and Practices of Remembrance. The Construction of an Immigration Museum in San Marco dei Cavoti Laura Gengo

PhD University of Studies of Salerno [email protected]

La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi (Karl Marx)

La memoria apunta hasta matar a los pueblos que la callan y no la dejan volar libre como el viento (León Gieco)

1. The concept of collective memory

Studies of social memory, involving scholars from different disci- plines, from the late nineteenth century onwards, are, as Olick and Robbins (1998: 106) observe, “a non-paradigmatic, transdisciplinary, centerless enterprise”. As a matter of fact the topic of social memory has been analysed from different perspective within many different disci- plines, including Sociology, Psychology, History and Political Science1. The expression collective memory appeared for the first time in 1902 with Hugo von Hofmannsthal, who called it «the dammed up force of our mysterious ancestors within us» (Schieder, 1978: 2). In 1925, the concept was elaborated within Social Sciences, with Halbwach’s2 writings on The Social Frameworks of Collective Memory.

1. In the interesting volume Memoria e saperi: percorsi transdiciplinari, edited by Elena Agazzi and Vita Fortunati, the concept of memory is analysed in relation to six different disciplinary areas. The editors also emphasise that memory is dynamic and that no single definition can suffice (Agazzi and Fortunati, 2007:12). 2. Maurice Halbwachs (1877-1945) studied with Durkheim, before becoming Professor at the University of Strasbourg and obtaining the chair of Sociology at the Sorbonne in 1935. His most important writings about memory are Les cadres so- ciaux de la mémoire (1925), La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sainte (1941) and La mémoire collective (1950).

81 l a u r a g e n g o

Contrary to Psychological approaches to social memory, Hal- bwachs argues that it is impossible for individuals to remember, in a consistent and enduring manner, outside the social group they belong to. The means to reconstruct memory are provided by the group, and the study of memory is thus only possible through the analysis of the way in which mind and group work together, because it is in society that people acquire their memory and here they remember, recognise and localise it (Halbwachs, 1925). «Each memory is a viewpoint» – underline Halbwachs (1950: 61) – «on the collective memory» and this viewpoint changes depend- ing on the place an individual occupies within her/his group and her/ his relation with other groups. Individuals remember, but they do it together, within a group, because memories are evoked through social frameworks of memory that may be imagined as the nails to which people fix their memories (ibid: 22). Collective memory, however, is not just the sum of individual mem- ories, because it includes all the memories of the group that an indi- vidual alone could not handle or order within the (otherwise formless) mass of memories (Migliorati, 2010b: 22). Individual memory develops on a social basis and is enhanced by social goals. According to this perspective, remembering is not only an individual act, because memory is organised and mediated at social level. We remember and store past events transmitted through differ- ent cultural practices and patterns that define a social construction of the past (Schudson, 1995: 346). Halbwachs, whilst starting from Durkheim’s theories of the social necessity of continuity with the past, overcame the fact that mem- ory was only related to rituals of commemoration. Like Durkheim, however, he underlines that the level of coherence and complexity of collective memory is directly connected to that of a given social structure. Moreover, a shared vision between individuals and groups is necessary if there are multiple collective memories, and shared memories strengthen social differences, to ensure the survival of a society. For this reason, society tends to dismiss all those facts that separate individuals or groups from each other (Halbwachs, 1925). Oblivion, defined as the limit of memory, represents a shift from one social framework to another. Since memory is constructed from the present, it is necessary for a group to take charge of the construction,

82 Co l l e c t i v e Me m o r y a n d Pr a c t i c e s o f Re m e m b r a n c e . Th e Construction o f a n Im m i g r a t i o n … conservation and communicability of this remembrance. Oblivion is determined first of all by the disappearance of a social group (oblivi- on by deconstruction) or by the loss of meaning of certain memories for that group (oblivion by indifference), but «the dialectics between memory and oblivion, between continuity and discontinuity with the past is never given or linear, it is always the result of a continuous re- negotiation» (Agazzi and Fortunati, 2007: 18). Like memory, oblivion has its own cultural matrix and is the proc- ess by which we build a system of identity: in a homogeneous com- munity, oblivion will be homogeneous and remembrance bounded by the margins of social memory (Doni, 2010: 18). Collective memory plays an essential role in social life because it is part of the cultural frame of reference: it establishes an image of the world and shapes present reality, leading to a common vision of the world. Memory provides symbolic patterns that can influence and or- ganise self-conceptions and actions. In other words, it becomes a means by which to impose a meaningful order on reality (Schwartz, 2000: 18). Moreover, that memory is an indispensable instrument for the con- struction of the self – individual or collective – is an assumption shared by both individual and collective approaches (Mori, 2000: 28). While, however, collective memory provides identification for so- cial groups, both at the social and individual level, it can be said that reconstructions of the past always depend on present identities and contexts (Misztal, 2003: 14). In addition, social memory is crucial to relations among people, as it determines conflict and cooperation. Looking at the past contrib- utes to self-awareness: it helps us to define our limits and our potenti- ality in relation to other groups and allows, by means of an objective analysis, not to make the same mistakes twice. The objective view of the past has always been considered a prerog- ative of history, which bases its presumed objectivity on cataloguing and interpreting past events from a deferred present. Memory, how- ever, defined as the past that lasts, is subjective because it «is rooted in the experience of those who give it life» (Grande, 2007: 51); but if in memorials experience is not a guarantee of truth, because subjectiv- ity and emotion give rise to different points of view in relation to the same historical event, studies of memory have emphasised the crisis of history as a “strong” discipline. History and memory, as a matter of

83 l a u r a g e n g o fact, share common aspects, if we take into account the fact that the relation between past and present is expressed in terms of identity and responsibility (Rossi-Doria, 1998: 13). If memory, through memorials, can rescue historical work when it lacks objectivity or when it is incomplete, this relationship becomes dangerous if history, in the form of memory, conceals the ideology of a nation or a political force under the claim of objectivity. This is also the case of celebrations of “Memorial Day”, in which «more and more we do not discern between the two or, even worst, we replace the first (memory) with the second (history)» (Rossi-Doria, 2005: 93). Finally, we can say that, on the basis of Bal’s assumption (1999: VII), any practice of memory can be seen as «an activity occurring in the present, in which the past is continuously modified and re- described even as it continues to shape the future», and as an activity that interprets the interests of the present, which differ in terms of the social groups that bring them forward, and «emerges, ultimately, the political use of memory that represents a method of transformation of the past that uses collective remembrance as a symbolic resource to represent the political relations of the groups within the social reality» (Migliorati, 2010: 134). This leads to a use of memory that succumbs in relation to estab- lished forms of power, and imposes a responsibility of different disci- plines for the hegemonic use of the dialectics memory-oblivion. The way to reconstruct memories becomes essentially a political act of reconstructing meaning, which becomes clear in the power re- lation between those who produce memory – known as transmitters of memory – and those who receive it.

2. Practices of remembrance

Collective memory represents the past that is reconstructed inces- santly by groups who act, through various frameworks, in the present and according to a future project, but it is through the practices of memory that the transformation of the past is determined in a present that endures (Migliorati, 2010b). To understand this assertion, it is worth recalling Zelizer’s axiom (1995: 232), according to which cultural forms are related to memory like texture is related to textiles, because memory «has texture. It ex-

84 Co l l e c t i v e Me m o r y a n d Pr a c t i c e s o f Re m e m b r a n c e . Th e Construction o f a n Im m i g r a t i o n … ists in the world rather than in a person’s head». The social groups, through the use of the practices of memory, bring back to conscious- ness a trauma, a past event considered worth of memory on the base of specific choices «concerning which past to remember, how and why» (Migliorati, 2010b: 96). Since the twentieth century, a real obsession with memory has been taking place because the current societies are not anymore «societies of memory» (Hervieu-Leger, 2000:123) and modernity, characterized by constant change, seems to preclude any survival of the past. Mo- dernity, points out Jedlowski (2002: 72), «seems to be determined, in its attitudes to memory, from the fact that social memory is no longer “obvi- ous”». So, in an era characterized by a strong perception of the pass- ing of time, it appears the will to preserve the past which is directly proportional to the speed with which we perceive its removal. Since modern societies are suffering from amnesia, a transforma- tion of the memory of man in institutional memory may be neces- sary (Assmann, 1995): cultural memory is a memory institutionalized through cultural means and is a memory constructed through cul- tural forms available to reconstruct the relation of people with the past (Schudson, 1995: 348). Collective memory, therefore, takes always a form but this form changes over time; everyday language has allowed the conservation and the transmission of memory over time, but the various procedures used as memory aids tend to reflect specific techniques related to a specific historical period: thus the mnemonic practices used in ancient Greece will be different from those used by they who can rely on exter- nal devices such libraries and the internet (Misztal, 2003). If in societies based on oral culture collective memory is expressed in ritualized nar- rative practices, with the advent of writing, which allows the drafting and the gathering of documents, a decisive step towards a progressive externalization of memory is accomplished. By writing, through a sys- tem of signs, the contents of memory «become external, they objectify in traces whose conservation transcends the limits of subjective memory» and change their duration over time, due to the deterioration of the materials on which they are inscribed (Jedlowski, 2002: 85). With the spread of technology, the means of reproduction of the past becomes more and more sophisticated and leads to a new kind of collective memory. Tools like cinema and television allowed the rapid

85 l a u r a g e n g o spread of events through the world and an extension of the traces of the past that transcends the capacity of appropriation of every indi- vidual and collective memory (ibid.: 119). The past is not preserved anymore in the tradition and cultural forms are distributed through social institutions and cultural artifacts such as films, monuments, statues or practices that take place regularly as the commemorations, ceremonies, festivals and rituals. The way in which memory is crystallized in cultural artifacts, which are all the places, objects, oral and written texts through which the com- memorative process is materially expressed and shaped, is not irrelevant to the plot of memories; in addition, the choice of they who commemo- rate, when and with which words, is a choice full of implications: they express an opinion. This choice includes some elements of conflict, because different groups (with different and opinions and values) hold different memories and choose to remember different and often con- flicting events. We cannot disregard, speaking of memory, of a careful analysis of this “battle” for memory, because it constitutes «an essential part of the battle for the affirmation of the right to exist» (ibid.: 100). Contented memory, Leccardi emphasizes (2001: 12), «is the mem- ory that stands out as stakes because it is “alive” memory able to show the sign of subjectivities that have built it», but it is also ambivalent because, as a principle for the structuring of identity, if from one side it generates ties, on the other hand it determines powerful and devas- tating divisions. The conflictual nature produces a vital memory and bigger is the “battle” to keep a memory alive and stem the totaliz- ing character of institutionalized memory, stronger will be its aura of “sacredness”. This phenomenon occurs especially in today’s societies, characterized by different cultures, religions and traditions; in other words the process of globalization has determined a shift from the main national narrative to a fragmented memory, belonging to specific groups; so today we see a fragmentation of the national memory. Sociologists of memory agree in defining memorial ceremonies as highly conflictual processes: potentially, when they take place they ac- tivate a series of antagonistic dynamics, which must find some form of representation and analysis of commemorative processes; they involve a specific attention to those antagonistic dimensions, which sometimes are reflected in a real ambivalence at the institutional level (Schwartz, 1982). Moreover, the process of construction of memory is social and cul-

86 Co l l e c t i v e Me m o r y a n d Pr a c t i c e s o f Re m e m b r a n c e . Th e Construction o f a n Im m i g r a t i o n … tural, because only to the extend that individuals know and represent the past through these practices, it is possible to determine the sym- bolic space for the construction of memory: the remembered event must be recognizable for the members of the group and the way of remembering is determined through a construction of language that goes beyond the individual sphere and that is a prerequisite for a shared memory and, as memory can be social only if it can be transmitted, memory must first be articulated (Fentress e Wickham, 1992). The institutionalized narratives of the past stabilize the group’s iden- tity and absorb the conflicts, but they are likely to be a-critical, that is «to end up justifying the present order of things, not to compete with the mean- ing that memory has for the present society» (Migliorati, 2010a: 136). The reconstruction of the link past-present seems to be problem- atic from different points of view. The institutionalization of remembrance, as well as becoming a mere representation of the past, makes the remembrance objective, depriving memory of its vital and emotional force: when it is institu- tionalized «a curtain of impermeability that sterilizes consciousness, puts a plug to memories» (Jedlowski, 2002: 100). Commemoration becomes objectification. The memorial project becomes stronger and memories, trans- formed into instruments, lose their power: «Perceived as a rhetorical device for the validation of a speech delivered by someone you don’t want to legitimate, the memory disappears. It does not remember any- thing. The commemoration is silence» (ibid.). For this reason, in the process of identity construction, not only those elements that might call into question the very identity of the group must be deleted from memory, but also their fictional nature, or «consciousness related to the continuous processes necessary to its con- struction and its maintenance» (Mori, 2010: 35).

3. The construction of an immigration museum in San Marco dei Cavoti

Within every society there are institutions that can establish the legitimate and illegitimate forms of memory and determine the struc- ture (or structures that are sometimes intertwined); as a matter of fact memory can take many forms: political, as an official commemora-

87 l a u r a g e n g o tion, cultural, like a museum of natural history, and artistic, like a museum of art. In addition to overriding the form, the institutions shall determine the presence or absence of memory and museums, for example, «are powerful institutions: they function as agents of memory, but only the possible one» (Tota, 2007: 110). The museum becomes a place where the memory-oblivion dialectic is materialized: a way to remember something, but also to omit something else. Memory, therefore, takes place in the world of objects: artifacts «play a central role in the memories of cultures and individuals […] sur- vive in ways unintended by makers and owners to become evidence on which other interpretations of the past can be reconstructed» (Radley, 1990: 57). So cultural artifacts, by keeping alive a memory, create continuity between past and present. Thus, the identity of a museum expresses not only the way to relate to the past, exposing it as a collective mem- ory, but also the cognition of the present: the value attributed to the past is closely linked with the perception of the past in the present (Catalano, 2007). Saying that individual and collective memory finds in a museum the place of a peer review, the focus becomes the transformation of the contents of memory that one wants to represent in a “bridge metaphor”, which promotes the emotional identification of the user (through objects, narratives, images). Catalano (ibid.: 361) reminds us that «fittings and museological studies testify the tendency to translate into concrete form, or in the abstraction of thought, the ability to con- stantly move the observation point. The tracks are readable, in the mu- seum itself, in order to combine materials and methods of access to vis- ibility, to produce an evocative vision and in calling constantly memory». The context of the museum is transformed, so, in a place where it is possible to experience new emotions, a place where the audience be- comes «more and more protagonist (as in the Jewish Museum in Berlin) of a plot on memory that the viewer himself has the task to rebuild» (ivi: 360); the sense of strangeness in the museum is, therefore, cancelled; the visitor experiences memory, not only enjoys it. The exposure of the object in the museum suggests to the viewer’s mind, through the evocative sphere, a series of images and words and aims «to make the viewer able to learn from the messages that are being offered, trying, in the same time, to guarantee the intelligibility of its

88 Co l l e c t i v e Me m o r y a n d Pr a c t i c e s o f Re m e m b r a n c e . Th e Construction o f a n Im m i g r a t i o n … technical, associative, evocative and memorial route» (ivi: 366). The ob- ject, through musealization, acquires a different meaning: dislodged from its usage value, it loses its utilitarian function, which is replaced by the acquisition of a meaning that goes beyond the sphere of the visible. Baxandall (1995) points out that the museum system produces a field of communication between senders and recipients through a message that is structured around the object exposed: the so-called “museum effect” is determined, that is the construction of a link be- tween different objects. In this context, the visitor gives a symbolic meaning to objects, in a museum that becomes a place that produces meaning. The construction of an immigration museum must take into ac- count these aspects and should aim, above all, to create a plot of mem- ory, highlighting aspects such as the travel of the emigrant, the link with the motherland, the return, etc. In this regard, letters, postcards, photographs, thanks to which the link with the motherland is kept alive, are documents of extraordinary importance, to understand the stages of the migration process. A museum of migration is primarily a place to facilitate, through the telling of individual stories, the transmission between generations, building an awareness of the events that led people to leave their land seeking for new opportunities in a strange land, because we should not forget, as pointed out by Handlin (1958: 4) that «the history of immigration is a history of alienation. Loneliness, isolation, alienation, helplessness, separation from communities, despair over the loss of mean- ing characterize the condition of immigrants». Emigrating meant travel- ling into the unknown, the nothingness: emigration was the equiva- lent of the critical death (De Martino, 2000). In addition, an immigration museum, in a migration context that changes continually, becomes essential to relate past and present and sensitize the observer about the role that migrants can play in the host society. Finally, to remember the migration flows from Italy helps to eliminate stereotypes and not make the same mistake twice; as a mat- ter of fact we must not forget that between 1876 and 1976 more than 25 million people left Italy and, specifically, about 9 millions came from the South (Rosoli, 1978). And we must keep in mind that if, on the one hand, the Italian immigrants contributed to the economic,

89 l a u r a g e n g o social and cultural development of the countries of destination, on the other hand they were often stigmatized and marked with xenophobic nicknames as Wop (without passports) or defined by “The New York Times” (1909) big criminals and murderers after a few drinks. Racism against Italians affected everyone. Over the years, Italy has remained a country of emigration3, but has also become a country of immigra- tion4. To bring to light the memories related to the period of emigra- tion is a tool to understand not only migration flows affecting Italy today, but also the people and the reasons of those who, more and more, today as yesterday, decide to build their future “elsewhere”.

3. Rapporto Italiani nel mondo 2011 shows that the Italians living abroad to December 31, 2010 is 4,115,235, of which 1,976,563 (47.8%) are women. The Italian community of immigrants continues to increase, both for new departures and inter- nal growth (enlargement of the families or people who acquire citizenship by de- scent). Moreover, 54.8% of Italian immigrants have southern origin. Among the provinces with more Italians abroad, the first one is Rome (263,210), followed by Agrigento (138,517), Cosenza (138,152), Salerno (108,588) and Napoli (104,495). 4. According to the latest report from ISTAT, there are 4,570,317 foreigners resident in Italy on 1st January, 2011: 335.000 more than the previous year.

90 Co l l e c t i v e Me m o r y a n d Pr a c t i c e s o f Re m e m b r a n c e . Th e Construction o f a n Im m i g r a t i o n …

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Sviluppo locale e turismo Pasqualina Cinque Dottoressa in Economia e Governance – Università degli Studi del Sannio – [email protected] Valentina Sgro Dottoranda di ricerca – Università degli Studi del Sannio – [email protected]

Introduzione

Il lavoro che presentiamo tratta dello sviluppo locale. Nel primo capitolo, viene riportato il concetto di sviluppo locale nei suoi svariati significati, sulla base delle definizioni e delle idee dei principali fautori di questo processo. Il secondo capitolo tende a spiegare, a grandi linee, i principali atto- ri dello sviluppo locale. Nel primo paragrafo, l’attenzione viene posta sul ruolo che le istituzioni hanno per garantire lo sviluppo. Nel secon- do, cerchiamo di spiegare l’importanza complementare tra creatività e intelligenza territoriale. Consapevoli del fatto che non può esserci creatività senza essere intelligenti. Nel terzo affrontiamo brevemente la necessità dell’innovazione nel processo di sviluppo locale, che del resto è molto legata ai due aspetti precedenti (creatività e intelligenza). Nell’ultimo, si pone l’accento sul capitale sociale e territoriale, e alla loro capacità di affrontare le grandi sfide globali. Il terzo capitolo cerca di riassumere i principali limiti e opportu- nità che nascono dallo sviluppo locale, cercando di rendere unanime l’idea che ci sono dei fallimenti, ma ci sono anche successi dai quali si può apprendere molto per affrontare le nuove sfide che pone oggi il problema dello sviluppo.

1. Lo Sviluppo Locale

Il cambiamento epocale che stiamo vivendo sta riportando al cen- tro dell’attenzione l’importanza dei territori regionali e dei sistemi lo- cali. L’emergere di nuovi e agguerriti protagonisti e l’accentuarsi della concorrenza nel mercato globale, hanno creato numerose difficoltà,

95 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o non solo in Italia, ma anche in tante altre realtà. Perciò, sullo svilup- po locale si è aperto un vivace dibattito economico e politico, che ha coinvolto istituti e centri di ricerca italiani, ma anche istituzioni inter- nazionali e varie università europee1. In Italia, lo sviluppo locale come modo di interpretare il cambia- mento economico si è affermato nel corso degli anni Novanta2. I prin- cipali fautori sono G. Becattini, C. Trigilia, F. Sforzi e A. Bagnasco. Il padre in Italia è Giacomo Becattini3, egli sostiene che esistono due forme di sviluppo locale: quello generico, che non ha una sua visibi- lità tecnico-culturale e quello tipico che invece si realizza intorno a processi produttivi, influenzando la cultura dei luoghi in cui domina. Uno sviluppo locale vero e stabile (per quanto ci può essere di stabile in un mondo di concorrenza e progresso tecnico), secondo Becattini, è solo quello che si aggancia al reticolo delle specialità. Sviluppo locale vero sarebbe, dunque, solo quello che, riesce a stare al passo con il cambiamento imposto dall’evoluzione economica, sociale e culturale del mondo intero. Tuttavia, ogni luogo si costruisce un sentiero di sviluppo definendo un proprio peculiare modello di modernizzazio- ne. Il vero, stabile sviluppo locale, dunque, nasce da situazioni di tipo diverso: certi produttori, concentrati in un certo luogo, producono certe cose, secondo certe tecniche e certe forme organizzative, che soddisfano determinati bisogni percepiti da consumatori sparsi in di- versi luoghi del mondo. In questo starebbe, secondo Becattini, la dua- lità costitutiva del vero sviluppo locale4. Nell’analizzare la situazione italiana si rende conto che l’idea di partenza per garantire lo sviluppo socio-economico è la rappresentazione del paese come un sistema di sistemi locali5. Per sistemi locali intende un insieme di località (inse- diamenti residenziali e produttivi), le cui relazioni reciproche sono

1. Moroni M., 2007, Lo sviluppo locale. Storia, economia e sociologia, Bologna, Il Mulino, pag. 7. 2. Magagnoli S., Seravalli G. e Sforzi F., 2004, Il ruolo delle istituzioni nello svi- luppo locale, Artimino, Università di Parma, pp. 6-9. 3. Becattini G., 2002, Le condizioni dello sviluppo locale, Terni, Quaderni di Ricerca e Approfondimento, in Hoffmann A., 2004, Esperienze di programmazione dello sviluppo locale. Il caso Parco dei Nebrodi, Milano, Franco Angeli, pag. 19. 4. Becattini G., 2000, Dal distretto industriale allo sviluppo locale. Svolgimento e difesa di una idea, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 127-131. 5. Becattini G., 2007, Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana, Bologna, il Mulino, pp. 47-49.

96 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o determinate dai comportamenti quotidiani della popolazione, i quali vanno a delimitare un’area entro cui si stabiliscono i rapporti sociali ed economici. Difatti, il sistema locale è alla base della nozione di mercato locale del lavoro, che è territorialmente delimitato; la maggior parte della popolazione residente lavora in esso e i datori di lavoro reclutano i lavoratori dalle località che lo costituiscono. Parafrasando Carlo Trigilia notiamo che lo sviluppo locale rappre- senta quel percorso che permette di affrontare le sfide della globalizza- zione: un modello nuovo in grado di coniugare sviluppo economico e coesione sociale, per ridefinire il modello sociale europeo. Lo sviluppo locale alimenta così la costruzione sociale dell’innovazione mettendo in evidenza le capacità dei soggetti locali di collaborare per produrre beni collettivi, che arricchiscono economie esterne, e valorizzare beni comuni, come il patrimonio ambientale e storico-artistico6. Il termine locale, da intendersi come punto di vista, fa emergere e valorizza le pe- culiarità di un luogo indipendentemente dalla sua dimensione geogra- fica. Ed è proprio il legame con un determinato territorio, e con il suo contesto sociale e istituzionale, a far scaturire l’interesse di studiosi, amministratori e politici locali o di esponenti dell’associazionismo so- ciale e culturale. Lo sviluppo locale, afferma Trigilia, è diverso sia dal localismo autarchico che dal dinamismo esterno. Il suo rapporto con la globalizzazione non è né meramente difensivo – oppositivo, come per il localismo, né passivo e adattivo, come per il dinamismo locale. Lo sviluppo locale si fonda sulle capacità di cooperazione e di strate- gia dei soggetti locali per gestire i vincoli posti dalla globalizzazione e per coglierne le opportunità. Lo sviluppo locale, come afferma Fabio Sforzi7, è una via di mezzo tra un indirizzo di politica territoriale e un sistema di gestione del potere locale orientato allo sviluppo del territorio. Nella definizione dello sviluppo locale, il locale è identificato con il territorio, i suoi confini sono il risultato del sistema di attori che realizzano la strategia di sviluppo in relazione gli uni con gli altri. Un altro contributo alla scuola italiana di sviluppo locale è quello di Bagnasco8. Secondo la

6. Trigilia C., 2005, Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Bari – Roma, Laterza. 7. Cfr. Sforzi F., 2005, Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Università degli studi di Parma, Dipartimento di Economia. 8. Bagnasco A., Imprenditorialità e capitale sociale: il tema dello sviluppo locale, Stato e Mercato / n. 78, dicembre 2006, in http://www.sociologia.unimib.it/DATA/

97 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o sua analisi lo sviluppo locale si è imposto ovunque con l’attivismo eco- nomico di aree prima appartate, di sistemi locali minori, ma anche di città, che sono state capaci di individuare e mobilitare risorse locali in vista del loro sviluppo. L’impressione è dunque che si tratti di processi spontanei, come spontanei erano apparsi i distretti industriali. Nel complesso, dunque, lo sviluppo locale può essere considerato sinonimo di sviluppo territoriale, non solo perché è un processo di sviluppo localizzato, ma anche e soprattutto perché è specifico di un certo luogo, è ancorato al suo interno; i percorsi di sviluppo che pos- siamo immaginare per un certo luogo, non possono essere trasferiti perché specifici con riferimento sia ai luoghi da valorizzare sia ai sog- getti che agiscono in tali processi.

2. Attori dello sviluppo locale

Le istituzioni A caratterizzare lo sviluppo locale è, innanzitutto, la capacità dei soggetti istituzionali locali di cooperare, per avviare e condurre per- corsi di sviluppo condivisi che mobilitano risorse e competenze locali. Le istituzioni indirizzano l’azione sociale e politica al fine di migliora- re il comportamento individuale degli operatori economici in forme più o meno organizzate e coerenti (Rullani, 1998a) e, oggi, hanno un ruolo fondamentale. Innanzitutto, le istituzioni politiche, devono garantire un coordina- mento delle azioni economiche e sociali in modo da: risolvere le ester- nalità negative e produrre quelle economie esterne positive necessarie allo sviluppo, attuare una socializzazione adeguata dei rischi impren- ditoriali e favorire la formazione e la riproduzione di una sufficiente dotazione di capitale sociale moderno, basate su relazioni inclusive di reciprocità piuttosto che esclusive di solidarietà. In qualche modo, le istituzioni presenti nel territorio riassumono una storia fatta di circo- stanze contingenti, di fattori strutturali e di creatività degli uomini o degli attori politici, sociali ed economici espressi dal sistema locale. Come suggerisce Brusco, l’evoluzione dei sistemi locali deve garantire l’equilibrio tra il sapere personale e il sapere collettivo; quello tra con-

Insegnamenti/4_3128/materiale/bagnasco.pdf.

98 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o correnza e cooperazione; quello tra conflitto e partecipazione9. Anche nelle relazioni tra luoghi differenti è necessario stabilire un equilibrio che permette di unificare le idee e le conoscenze di ogni contesto, sen- za ridurre l’autonomia di cui gode ciascun attore. In qualche modo, le istituzioni presenti nel territorio riassumono una storia fatta di cir- costanze contingenti, di fattori strutturali e di creatività degli uomini o degli attori politici, sociali ed economici espressi dal sistema locale. Non sono quindi da considerare istituzioni solo lo Stato, gli enti locali o le associazioni. Secondo Trigilia per stimolare la cooperazione tra i soggetti loca- li (che potrebbe non emergere da sola) è necessaria la capacità delle istituzioni pubbliche extra-locali di aiutare gli attori locali a definire i progetti, selezionando con determinazione e trasparenza quelli mi- gliori. Queste istituzioni pubbliche di livello extra-locale dovrebbero aiutare dall’alto i soggetti locali a mobilitarsi dal basso, a produrre ed impiegare in modo efficiente le reti cooperative, in modo da aumen- tare le conoscenze specializzate, le infrastrutture, i servizi, e quindi la competitività. Lo sviluppo locale interessa in primo luogo il territorio, ma è importante anche per la Regione, per lo Stato nazionale e per la stessa Unione Europea (governance multilivello)10. Infatti gli Stati nazionali e l’Unione europea avvertono l’importanza dello sviluppo locale per lo sviluppo complessivo. Gli enti locali vengono, oggi, ad as- sumere la veste di protagonisti dello sviluppo locale. La localizzazione dello sviluppo richiede che alle competenze già statuite si affianchino nuove funzioni con capacità di cogliere le opportunità che il territorio presenta, valorizzando le risorse locali e creando le condizioni interne per costruire un ambiente favorevole alla cooperazione. Lo sviluppo di un’area territoriale, il suo accrescimento e/o il suo impoverimen- to dipende oggi, ancora di più, dalla capacità degli amministratori di amministrare11. Quindi, il Comune, come mero esecutore di atti amministrativi, deve garantire l’attuazione di una politica di sviluppo

9. Rullani E., Riforma delle istituzioni e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pp. 223-236. 10. Trigilia C., 2005, Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Bari-Roma, Editori Laterza, pag. 193-194. 11. Si veda la L.59/97, il d.lgs.112/1998 e la L.Cost. 3/2001, che hanno come fine il progetto federalista dello Stato e quindi l’accentuazione del potere degli Enti locali.

99 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o locale che dia la possibilità di agire attraverso programmi e progetti che nascano, si sviluppino e si realizzino nello stesso territorio e non cadano dall’alto. In sintesi, le istituzioni (e non solo, come vedremo inseguito) devo- no muoversi tra il locale-globale: non può diventare troppo locale né deve avventurarsi troppo nei sentieri del globalismo. Quindi, le nuove istituzioni di cui il territorio ha bisogno emergono dalla necessità di ricorrere a forze produttive che non sono più governate dall’alto, ma che si autogovernano o aspirano a farlo.

3. Creatività e intelligenza territoriale

Lo sviluppo locale presuppone, tra l’altro, la presenza sul territorio di soggetti creativi ed intelligenti. Anche nel linguaggio sociologico, e più in generale delle scienze sociali, il termine creatività si riferisce ad una dimensione individua- le, mostrando qualità soggettive; però, altri soggetti possono comun- que partecipare alle qualità del soggetto creativo, ma ne subordina la possibilità di condividere la partecipazione al processo creativo e al risultato finale. Per Simon la creatività consiste sostanzialmente nella capacità di risolvere i problemi (good problem-solving): le azio- ni vengono considerate creative quando producono qualcosa che sia originale, interessante o abbia valore sociale (Simon, 1986)12. Se si fa riferimento alla creatività all’interno di sistemi strutturati di azioni sociali, si va a sottolineare invece il concetto di creatività sociale13, ossia quel fenomeno che va oltre l’individuo e coinvolge un gruppo, una comunità o una collettività. In un’analisi sociologica, è doveroso affermare che la creatività sociale richiede lo sviluppo di un ambiente fertile, dove cioè i fattori quali, informazione e conoscenza, posso- no favorire e sostenere il processo genetico dell’agire creativo facente capo ad un individuo o ad un gruppo sociale. Un fattore che permette

12. Simon H., 1986, How Managers Express their Creativity, Across The Board, n. 23. 13. Lai F., 2006, La creatività sociale. Una prospettiva antropologica sull’innova- zione, Roma, Carocci, in Minardi E. e Bortoletto N., 2007, Sviluppo locale. Innova- zione sociali, cambiamenti nelle imprese e reinvenzione delle tradizioni: percorso per un nuovo sviluppo locale in Abruzzo, Teramo, Il Piccolo Libro, pag. 121.

100 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o di valorizzare la creatività e progettare lo sviluppo è la tecnologia. La tecnologia, nell’approccio interpretativo di R. Florida14, rappresenta un elemento fondamentale per creare processi di sviluppo territoria- le, anche in contesti non urbani. Florida, in modo geniale, è riuscito a creare degli indici che permettono di identificare i luoghi nei quali è possibile l’insediarsi di questa classe, e questi indici prendono il nome di Tecnologia, Talento, e Tolleranza, riassunti con la sigla 3T. Queste 3T, oltre ad essere degli indici tipici dei luoghi creativi, rappresentano il presupposto per la presenza della nuova classe. L’intelligenza territoriale è un concetto estremamente polisemico. Si potrebbe parlare di un’organizzazione innovativa, di rete, delle informazioni e delle conoscenze utili per lo sviluppo e per la com- petitività di un territorio. Sicuramente si tratta di una componente sociale che agisce sulla base delle conoscenze e delle risorse uma- ne disponibili sul territorio, al fine di raggiungere scopi e obiettivi condivisi dalla comunità. L’intelligenza territoriale si occupa, però, anche di valorizzare le risorse, estendendone la consapevolezza attra- verso forme di comunicazione che coinvolgono i diversi soggetti at- tivi sul territorio. Inserita pienamente nel contesto della società della conoscenza, l’intelligenza territoriale mette in primo piano lo stretto legame esistente tra produzione di conoscenza e azione territoriale, l’importanza che il capitale umano e sociale riveste nel processo di innovazione e la necessità di un approccio globale ai bisogni del- le persone per promuovere uno sviluppo sostenibile anche da parte delle future generazioni. Sviluppare l’intelligenza territoriale signifi- ca, quindi, raccogliere informazioni e dati sui diversi processi e feno- meni attivi sul territorio, utilizzare strumenti per la loro analisi e dif- fusione, con l’obiettivo di accrescere il livello di know-how delle per- sone e delle organizzazioni presenti sul territorio, e utilizzare questo know-how nella ricerca di strategie per la governance territoriale e lo sviluppo competitivo15. L’obiettivo dell’intelligenza territoriale non è quello di eliminare il mercato, la concorrenza o la competitività, ma di limitare e regolare i perniciosi effetti del mercato attraverso lo svi-

14. Florida R., 2003, L’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Milano, Mondadori. 15. Stentella M., Intelligenza territoriale: una risorsa per la governance e lo svilup- po sostenibile, 23/09/08, in http://saperi.forumpa.it.

101 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o luppo della cooperazione. Essa suggerisce, inoltre, di integrare i co- sti sociali, ambientali e culturali nel bilancio globale dei progetti di sviluppo, essendo ben consapevoli del fatto che tale contabilità non è sufficiente, in quanto la posta in gioco dello sviluppo energetico non è solo di tipo economico. Come lo sviluppo della comunità, l’in- telligenza territoriale rispetta due principi etici che derivano dallo sviluppo sostenibile: la partecipazione dei cittadini e la partnership degli attori. Tuttavia, contrariamente al concetto di sviluppo della comunità, l’intelligenza territoriale si basa sull’uso delle tecnologie dell’informazione e utilizza gli strumenti di conoscenza territoriale e di analisi delle informazioni territoriali nel contesto della società della conoscenza. L’originalità dei metodi e degli strumenti di intel- ligenza territoriale è quello di rappresentare le soluzioni tecnologiche che rispettino i principi di una governance democratica e di coo- perazione16. Ad un livello metodologico – operativo, diversi autori hanno definito il concetto di intelligenza territoriale sostenendo che dovrebbe essere effettuata almeno una tripartizione tra: • intelligenza economico – territoriale, che crea prodotti e mobi- lità di servizi per gli attori dell’innovazione economica; • intelligenza strategico – territoriale, che determina la creazione di infrastrutture permanenti; • amministrazione delle comunità territoriali, ossia la creazione di centri strategici per favorire lo sviluppo della conoscenza e lo scambio di informazioni in diversi territori17. Di conseguenza, quando parliamo di intelligenza territoriale fac- ciamo riferimento anche alle tecnologie di informazione usate intelli- gentemente a supporto dello sviluppo territoriale. Ciò solleva quindi la questione di quali siano gli atteggiamenti e le strategie euristici che possano essere finalizzati a recepire la realtà, in cui sono contenuti le diverse sensibilità e interessi di ogni micro-realtà delle comunità territoriali, permettendo la partecipazione degli attori nelle strategie di sviluppo così come un approccio olistico alle diver-

16. Girardot J.-J., Evolution of the concept of territorial intelligence within the coordination action of the European network of territorial intelligence, in ReS-Ricerca e Sviluppo per le politiche sociali, Territorial Intelligence, Semestrale Nuova Serie n. 1-2/2008, Numero speciale, pag. 24. 17. Gaucherend A., 2006, Introduction à la notion d’Intelligence Territoriale, in http://intellitoria.viabloga.com/.

102 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o se situazioni territoriali e, infine, una partnership democraticamente fondata dagli attori18.

4. Innovazione

La rinnovata e accresciuta consapevolezza del fenomeno della globalizzazione ci induce ad avere una visione sempre più orientata all’innovazione. Questo mette in evidenza, la diretta analogia tra svi- luppo locale e innovazione (radicale e rilevante) che definiamo come: applicazione produttiva di nuove idee; cambiamento rispetto a stati conservativi (discontinuità); azione intenzionale che può avvenire solo grazie all’interazione tra forze ed agenti a diversi livelli (non-autore- ferenzialità); cambiamento processuale senza esiti predeterminati con risultati che dipendono da esiti intermedi e, per tutte queste ragioni, un processo localizzato. Innovazione e sviluppo locale condividono, dunque, alcuni caratteri particolarmente rilevanti per la pianificazio- ne di nuove politiche19. La definizione di Schumpeter (1934) mantiene una forte capaci- tà esplicativa di cosa significa innovare, infatti, dice: “l’innovazione consiste in nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’in- troduzione di nuovi beni e/o nuovi metodi di produzione, nella cre- azione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento”20. L’innovazio- ne, quindi, viene considerata come un processo sociale caratterizzato da interazioni tra agenti eterogenei. Interazioni che riguardano molti aspetti (cognitivi, sociali, tecnologici, economici e politici) che si svi- luppano nell’arco di settimane, o a volte di decenni, e che hanno luogo in molte sedi (dalle università ai centri di ricerca industriale pubblici e privati, dagli enti di regolamentazione alle associazioni di categoria, agli ordini professionali, fino all’organizzazione dei mercati).

18. Girardot J.-J., 2005, Intelligence territoriale et participation, in http://labiso. be/ecolloque/forums. 19. Cfr. Seravalli G., 2007, Innovazione e sviluppo locale. Concetti, esperienze, politiche, Parma, Università di Parma, pp. 4-7. 20. Cfr. Schumpeter J. A. (1934), The teory of economic development, Boston, Harvard University Press.

103 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o

5. Capitale sociale e territoriale L’uso esplicito del concetto di capitale sociale si manifesta a parti- re dagli anni Sessanta, grazie agli studi del sociologo francese Pierre Bourdieu. Ma è soprattutto con il noto lavoro di un altro sociologo, l’americano James Coleman, Foundations of Social Theory (1990), che l’espressione capitale sociale inizia a diffondersi e ad essere col- legata ai problemi dello sviluppo. Trigilia 21 analizza il capitale sociale nei suoi svariati significati. In generale, sostiene che il capitale sociale è: “l’insieme delle relazioni sociali di cui un soggetto individuale (un imprenditore, un lavora- tore …) o collettivo (privato o pubblico) dispone in un determinato momento. E attraverso il capitale di relazioni si rendono disponi- bili risorse cognitive, come le informazioni, o normative, come la fiducia, che permettono agli attori di realizzare obiettivi altrimenti irraggiungibili o più difficili da raggiungere”. Ritornando a Coleman, possiamo notare come egli definisce il capitale sociale in base alla funzione che esso svolge. La sua ana- lisi presta attenzione alle esternalità positive di cui usufruiscono gli individui che fanno parte di determinate reti sociali. Coleman mette in evidenza la forza del capitale relazionale, che deriva dalla capacità connettiva che nasce dalle relazioni tra le persone, ma allo stesso tempo anche dalla sua fragilità, perché a differenza di quello fisico e di quello umano, il capitale sociale è qualcosa di meno per- cepibile22. Non meno importante della teoria di Coleman, è l’appor- to fornito da Robert Putnam, il quale considera il capitale sociale come “[…] l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione socia- le – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui”23 (Putnam, 1993 p 169). Tale definizione mette in evidenza le reti di relazioni nel quale l’individuo è inserito. Far parte di una rete implica la parte- cipazione attiva dei soggetti che interagiscono continuamente con

21. Trigilia C., Capitale sociale e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 289-290. 22. Mortari L., 2007, Pratiche di civiltà. Capitale sociale ed esperienze formative, Trento, Edizioni Erickson, pag. 9. 23. Fedi A., 2005, Partecipare il lavoro sociale. Esperienze, metodi, percorsi, Mi- lano, Franco Angeli, op. cit. pag. 52.

104 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o gli altri membri della rete e della comunità di appartenenza, per il raggiungimento di obiettivi comuni. Reti sociali che sono dotate di valore. La sua tesi si basa sull’assunto che mentre il capitale fisico si riferisce ad oggetti fisici e il capitale umano alle proprietà di un individuo, il capitale sociale riguarda le connessioni tra gli indivi- dui, le reti sociali e le norme di reciprocità che scaturiscono da tali connessioni. Naturalmente, il capitale sociale non è una condizione sufficiente dello sviluppo locale. Non bisogna dimenticare che per lo sviluppo locale sono importanti, come già ampliamente discusso, le conoscenze, e quindi risorse in termine di capitale umano, ma anche il capitale fisico e ovviamente il capitale finanziario. Tuttavia, ciò che si vuole sottolineare è che il capitale sociale può influire sia sulla migliore valorizzazione del capitale umano o sulla sua crescita e il suo continuo aggiornamento, sia su quello fisico e su quello finanziario, attraverso forme di cooperazione efficaci tra i soggetti locali24. La riscoperta del territorio costituisce un elemento trasversale sia alla sociologia che all’economia. Dopo anni di teorie che configurava- no lo sviluppo in una chiave economico formale, il territorio ricompa- re come variabile interveniente, a causa dell’impossibilità di ridurre la complessità dalla vita delle persone, delle comunità (e delle imprese), come sostiene N. Luhmann25. Il territorio diventa sintesi di luogo e sviluppo. Sviluppo inteso come processo di apprendimento sociale che include in sé processi economici localizzati. Solo recentemente e in ambito non strettamente scientifico è comparso il concetto di capi- tale territoriale. Esso è stato per la prima volta proposto dall’OECD (Organization for Economic Co-operation Development) nel 2001, e poi ripreso dalla Commissione Europea nel maggio del 2005. Afferma, infatti, la Commissione che ogni regione possiede uno specifico capi- tale territoriale, distinto da quello delle altre aree, e che le politiche di sviluppo territoriale devono innanzitutto aiutare le singole regioni a costruire il loro capitale territoriale (Commissione Europea, 2005,

24. Trigilia C., Capitale sociale e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 295-296. 25. Luhmann N., 1996, Sociologia del rischio, Milano, Mondatori, in Minardi E., Vardanega A., Salvatore R. e Bortoletto N., 2004, Sviluppo locale. I distretti del gusto. Nuove risorse per lo sviluppo locale, Teramo, Il Piccolo Libro, pag. 43-44.

105 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o p. 1)26. L’OECD, ha indicato i principali fattori che compongono il capitale territoriale, nei suoi asset materiali e immateriali: la localizza- zione geografica dell’area, la sua dimensione, la disponibilità di fattori produttivi, il clima, la tradizione, le risorse naturali e la qualità della vita. Possiamo, affermare che il concetto di capitale territoriale non è una nozione statica, bensì dinamica. Esso corrisponde alla descrizio- ne analitica dell’idea che si fanno del territorio coloro che sono alla ricerca di un margine di manovra per agire. Affinché si possa parlare di capitale territoriale è necessaria la consapevolezza dell’importanza dello sviluppo sostenibile. Tale concetto va ben oltre l’idea della semplice crescita delle attivi- tà economiche per proporsi una finalità più estesa di ampliamento del benessere complessivo della popolazione di riferimento dell’area. Nel corso del tempo si riconosce una progressiva evoluzione di questo termine. Se in un primo momento esso esprimeva essenzialmente le preoccupazioni per le ricadute ambientali che una crescita economi- ca indiscriminata può provocare all’ecosistema, successivamente esso ha assunto una connotazione più costruttiva, rappresentando solu- zioni di sviluppo equilibrate e di lungo periodo, coinvolgendo anche ambiti che vanno aldilà dell’ecologia e che riguardano più propria- mente le discipline economiche e sociali. Oggi lo sviluppo sostenibile si configura come la rotta da seguire per realizzare un equilibrio di lungo termine tra esigenze ambientali, economiche e sociali che ca- ratterizzano lo sviluppo delle comunità attraverso le politiche che lo sottendono27. Uno sviluppo così inteso si svolge lungo tre direttrici: una sociale, una ambientale ed una economica. È, dunque, possibile descrivere il macro – obiettivo di sviluppo locale nei tre seguenti sub – obiettivi strettamente correlati tra loro: • equilibrio e coesione sociale: le esternalità positive, quanto quelle negative, generate dalle attività di marketing, devono essere equamente distribuite tra la collettività utilizzatrice dell’area;

26. Commissione Europea, 2005, Territorial state and perspectives of the Europe- an Union, Scoping document and summary of political messages, Bruxelles, in Svilup- po & Organizzazione, maggio/giugno 2008, pag. 29. 27. Scipioni A., Mazzi A., 2011, Gestire e promuovere un territorio. Linee guida, strumenti operativi e casi studio, Milano, Franco Angeli, pag. 20.

106 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o

• sostenibilità ambientale: l’attuazione di una qualsiasi strategia di sviluppo non può prescindere dalla valutazione del suo im- patto ambientale sul territorio. Vivere in un ambiente sano e non inquinato è divenuto ormai uno degli indicatori principali del livello di qualità della vita di un’area. D’altronde l’idea di uno sviluppo che sia compatibile con la preservazione delle ri- sorse e degli equilibri ambientali, giustamente considerata in una prospettiva ed una strategia di intervento globali, non è meno perseguibile e dipendente da scelte di gestione effettuate in ambito locale. • competitività economica: l’azione diretta ad intervenire sulle variabili economiche del territorio si svolgerà secondo parame- tri di sostenibilità ambientale e sociale, puntando ad attrarre dall’esterno dell’area e a valorizzare al suo interno tutte quelle risorse in grado di attivare per essa un processo di sviluppo28.

Il concetto di sostenibilità impone una chiave di lettura nuova, per progettare percorsi di sviluppo originali che tengano conto della com- plessità di questo tema e delle interconnessioni che esso chiama in causa. Si tratta di gestire in modo efficace le relazioni che intercorro- no tra ambiente, economia, cultura, progresso sociale e qualità della vita, nell’obiettivo di soddisfare bisogni attuali e al contempo senza compromettere le possibilità di sviluppo per le generazioni future, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse disponibili e in equilibrio con le altre comunità locali. La sostenibilità rappresenta, dunque, una questione che può e deve necessariamente essere affrontata su scala locale. Dal punto di visto dello sviluppo sostenibile, il territorio può essere considerato come lo spazio di azione in cui un gruppo umano soddisfa i propri bisogni, prendendo in prestito e negoziando le risorse di cui necessita. Tale spazio cambia a seconda delle esigenze attuali e dei progetti futuri dei suoi abitanti. Così il territorio va oltre il mero spazio geografico e amministrativo per diventare un luogo di vicinanza istituzionale che serve come riferimen- to per i progetti e le visioni lungimiranti degli attori. Questi progetti trasformano il territorio, che appare come una realtà dinamica in fieri,

28. Castelletti M., D’Acunto M., 2006, Marketing per il territorio. Strategie e poli- tiche di sviluppo locale nell’economia globalizzata, Milano, Franco Angeli, pag. 26.

107 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o preservando la propria identità di fronte all’ambiente fisico, politico, economico e culturale con il quale è in costante interazione. Infine, le strategie di impiego del capitale territoriale sono essenziali per proteggerlo dal degrado e dallo spreco: la sostenibilità territoriale delle azioni di sviluppo intraprese è infatti il fondamentale punto di par- tenza per la costruzione del futuro della comunità. È qui che risiede la capacità delle comunità locali di adattarsi ai grandi cambiamenti econo- mici, sociali e ambientali. In pratica, di affrontare le grandi sfide globali.

6. Possibilità e limiti dello sviluppo locale

I problemi legati allo sviluppo di un sistema locale sono moltepli- ci29. Innanzitutto, vi è una scarsa valorizzazione delle risorse endogee. Non si punta, cioè, verso la riqualificazione e la tutela dell’ambiente fisico, verso la valorizzazione delle risorse naturali e culturali, utili an- che per sviluppare un turismo sostenibile. Infatti, Magnaghi afferma l’importanza del turismo come promotore dello sviluppo locale. In se- condo luogo, vi è la mancanza di conoscenze e di competenze; gli atto- ri sono ancora scarsamente motivati ad acquisire le informazioni e gli esiti sulle esperienze di sviluppo locale di successo realizzate in altri contesti, che possano offrire elementi utili per accelerare la ricerca di soluzioni efficienti e efficaci rispetto ai problemi locali. In proposito, Becattini, in un suo noto saggio, afferma che proprio per garantire una «vera innovazione» ci vogliono risorse, tante risorse. Oggi, gli investi- menti fatti per la ricerca in Italia sono cifre ridicole: che vergogna!30 In Italia c’è anche l’innovazione minore e il design, in cui siamo forti, ma la battaglia si decide sul terreno della tecnica d’avanguardia, cioè della formazione avanzata e della ricerca scientifica. In terzo luogo, vi è una forte resistenza al cambiamento da parte di funzionari e di amministratori pubblici rispetto alle innovazioni richieste dalle nuo- ve progettualità in merito allo sviluppo locale. Esistono, veri e propri ostacoli alla creatività, che vanno a marcare sempre di più la resistenza

29. Bortoletto N., Il distretto del gusto: una realtà reticolare, in Minardi E., Var- danega A., Salvatore R. e Bortoletto N., 2004, Sviluppo locale. I distretti del gusto. Nuove risorse per lo sviluppo locale, Teramo, Il Piccolo Libro, pag. 55. 30. Becattini G., 2007, Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiari- tà economica italiana, Bologna, il Mulino, pag. 244.

108 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o al cambiamento. In quarto luogo, sono presenti problemi relativi alla manutenzione delle istituzioni di governance territoriale, infatti, l’ar- chitettura istituzionale non sempre è costruita su basi solide, su stra- tegie, norme e valori condivisi che ne assicurano le tenuta e lo svilup- po nella fase attuativa. Si pensi, ad esempio, alla necessità di valutare saldamente provvedimenti di finanziamenti agevolati, programmi di riduzione del carico fiscale. In quinto luogo, mancano gli strumenti di supporto alla governance, quali strumenti di monitoraggio, strumenti di supporto alla gestione di progetti, sistemi informativi e strumenti di comunicazione. Seguendo anche Hardin (1982), possiamo renderci conto che dobbiamo concentrare l’attenzione sui problemi di produ- zione collettiva e non di consumo pubblico, dal momento che è in relazione alla loro produzione che si manifestano i maggiori rischi di fallimento. Infine, vi è la mancanza di agenzie intermediative o skills di promozione dello sviluppo. Le prime iniziative in tema di Agenzie di sviluppo sono state avviate in Italia con l’introduzione dei corsi di formazione per operatori di sviluppo locale a seguito di una iniziativa Comunitaria. L’esperienza non brillante che si è avuta con questi corsi nel nostro paese ha poi fortemente frenato l’introduzione di istituzioni che svolgessero iniziative da Agenzia di sviluppo. Da analizzare sono sicuramente anche le possibilità che lo sviluppo locale offre. Come osserva Becattini, quando si parla di sistemi loca- li ci si riferisce ad un aggregato di soggetti che in varie circostanze può comportarsi di fatto come un soggetto collettivo, anche se non è formalmente riconosciuto come tale. Questo significa che il sistema locale è un insieme dotato di una propria identità che lo distingue dall’ambiente e da altri sistemi. I soggetti che vi partecipano sono consapevoli di tale identità e sono in grado di attuare comportamenti collettivi autonomi. Si tratta, cioè, di un sistema che interagisce con l’esterno secondo regole proprie, informali, ma sufficienti a garanti- re la riproduzione nel tempo. L’essenza del sistema locale, in questa ottica, è quella di produrre e riprodurre se stesso (Ceruti, 1987)31. La questione dello sviluppo locale ha messo e mette sempre di più in evidenza l’importanza della dimensione territoriale (Dematteis e Go- verna, 2055). È proprio il territorio che, con le sue caratteristiche, con

31. Dematteis G., Possibilità e limiti dello sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 45-46.

109 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o la sua collocazione geografica e con la sua tipicità, crea opportunità di sviluppo locale. Cruciale è anche l’esistenza di reti di legami sociali tra i soggetti coinvolti nel processo produttivo, che grazie a rapporti di fiducia riescono a produrre beni collettivi che alimentano lo sviluppo locale. Negli ultimi tempi, si sta assistendo ad un maggiore interesse per il turismo. E questo crea senz’altro maggiori possibilità per lo sviluppo lo- cale, perché fa uso di risorse particolari (clima, natura, risorse storiche ed artistiche), caratterizzate dalla marcata irriproducibilità. È necessario sottolineare però che il turismo introduce modificazioni nell’ambiente naturale che possono, in certi casi, abbassarne la qualità. Insomma, ci sono dei fallimenti, ma ci sono anche successi dai qua- li si può apprendere molto per affrontare le nuove sfide che pone oggi il problema dello sviluppo. Lo sviluppo locale non è solo diventato più importante come strumento per accoppiare crescita economica e co- esione sociale, ma è anche meno condizionato dai vincoli della storia e della geografia di quanto spesso si creda: si può stimolare con inter- venti intelligenti che stimolino il protagonismo dei soggetti locali.

7. Conclusioni

Per molto tempo, il territorio è stata la rappresentazione spaziale e materiale di un ambiente della comunità e questa definizione è ancora appropriata in molte aree del mondo. Tuttavia, vi sono dei proble- mi con il moderno concetto di interculturalità, identità e di scambio. Sembra, infatti, una sorta di chiusura della comunità a spese del trion- fo del global village. Gli attori locali hanno la necessità di avviare un processo informativo e antropologico in grado di attivare e sposta- re le risorse in modo da trasformare l’energia relazionale dei grup- pi territoriali in capacità progettuali. Così l’intelligenza territoriale, insieme alle strategie di comunicazione partecipativa, può creare un legame tra i processi di promozione e controllo dello sviluppo locale e le dimensioni socio‑culturali della popolazione in una dato territorio. Dunque il territorio è il luogo di incontro delle esperienze degli attori dello sviluppo e con la sua specificità determina sviluppo economico e umano. Una volta riconosciuto il territorio come risorsa per lo svi- luppo, si riconoscerà anche l’importanza delle dinamiche relazionali

110 s v i l u p p o l o c a l e e t u r i s m o di un territorio, e dunque il legame tra capitale sociale e territorio stesso. Di conseguenza, nel processo di sviluppo la risorsa umana è fondamentale e lo ancor di più l’attivazione di differenti risorse, in quanto lo sviluppo è un diritto pensato per tutti gli attori sociali, po- tenzialmente fruibile da tutti gli attori sociali ed infine è ri-pensato ad hoc per ogni singolo soggetto, in funzione di un modello societario contestualizzato alla qualità della vita.

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Local Development and Tourism Pasqualina Cinque Doctor of Economics and Governance – University of Sannio – [email protected] Valentina Sgro PhD student – University of Sannio – [email protected]

Introduction

The main subject of our paper is local development. In Chapter 1, we illustrate the concept of local development in its various meanings, according to the definitions and the ideas of the main promoters of this process. The second chapter seeks to explain, in broad terms, the main ac- tors of local development. In the first paragraph, the focus is on the role that institutions play in order to ensure development. In the sec- ond one we try to explain the complementary importance of creativity and territorial intelligence, being aware that there can be no creativity without being intelligent. In the third one we touch upon the need for innovation in the process of local development. In the last one, emphasis is placed on social and territorial capitals, and their ability to face the great global challenges. The third chapter tries to summarize the main limits and oppor- tunities that arise from local development, trying to socialize the idea that there are failures, but there are also successes from which we can learn a great deal to face the new challenges posed by the problem of development today.

1. Local development

The epochal change we are experiencing is focusing on the im- portance of regions and local systems. The rise of new and aggressive actors and the rising competition in the global market have created several difficulties, not only in Italy but also in many other realities. Therefore, local development has opened a lively economic and politi-

113 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o cal debate, which is involving Italian research institutes and centers, but also international institutions and European universities1. In Italy, local development, as a way of interpreting economic change, emerged in the Nineties 2. The main promoters are G. Becat- tini, C. Trigilia, F. Sforzi e A. Bagnasco. In Italy the father is Giacomo Becattini3, He argues that there are two forms of local development: the generic one, which has no technical and cultural visibility, and the typical one, which is about production processes, influencing the culture of the places where it dominates. According to Becattini, a true and stable local development (we doubt we can talk of stability in a world of competition and technical progress), strictly connects to the grid of specialties. Local development would be true only if it managed to keep up with the change imposed by the economic, social and cultural world. However, every place builds a path developing its own unique model of modernization. The real, stable and local development comes from different types of situations: certain produc- ers, concentrated in a certain place, produce certain things, accord- ing to certain techniques and certain organizational forms, that meet specific needs perceived by consumers in different places throughout the world. This would be, according to Becattini, the constitutive du- ality of the true local development4. Analysing the Italian situation, he realizes that the original idea to ensure a socio-economic develop- ment is the representation of the country as a system of local systems 5. Local systems mean a set of location, whose mutual relations are determined by the daily behavior of the population, who can delimit an area within which they establish their social and economic rela- tions. As a matter of fact, the local system is the basis of the notion of local labor market, which is territorially delimited; the majority of the

1. Moroni M., 2007, Lo sviluppo locale. Storia, economia e sociologia, Bologna, Il Mulino, pag. 7. 2. Magagnoli S., Seravalli G. e Sforzi F., 2004, Il ruolo delle istituzioni nello svi- luppo locale, Artimino, Università di Parma, pp. 6-9. 3. Becattini G., 2002, Le condizioni dello sviluppo locale, Terni, Quaderni di Ricerca e Approfondimento, in Hoffmann A., 2004, Esperienze di programmazione dello sviluppo locale. Il caso Parco dei Nebrodi, Milano, Franco Angeli, pag. 19. 4. Becattini G., 2000, Dal distretto industriale allo sviluppo locale. Svolgimento e difesa di una idea, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 127-131. 5. Becattini G., 2007, Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana, Bologna, il Mulino, pp. 47-49.

114 l o c a l development a n d t o u r i s m population works in it and employers recruit workers from places that constitute it. Paraphrasing Carlo Trigilia we note that local development is the program that allows you to face the challenges of globalization: a new model that combines economic development and social cohesion, to redefine the European social model. Thus local development fuels the social construction of innovation, highlighting the ability of local actors to work together to produce public goods, that enrich external economies and enhance the common goods, such as environmental and historical-artistic heritage6. The local term, to be understood as a point of view, reveals and exploits the peculiarities of a place regard- less of its geographic dimension. The link with a particular territory and its social and institutional context brings forth the interest of scholars, administrators, local politicians and representatives of so- cial and cultural associations. Trigilia said that local development is different from both the autarchic localism and the external one. Its relationship with globalization is neither purely defensive – oppos- ing, as for localism, nor passive and adaptive, as for local dynamism. Local development is based on the cooperation capacity of local ac- tors to manage the bonds posed by globalization in order to grasp opportunities. Local development, according to Fabio Sforzi, is a middle path be- tween a course of territorial policy and the management of the local power oriented to territorial development. In the definition of local development, the place is identified with the territory; its boundaries are the result of the system of actors who realize the development strategy in relation to each other. Another contribution to the Italian school of local development is the one by Bagnasco 7. According to his analysis, local development has been imposed anywhere with the eco- nomic activity of the first secluded areas, minor local systems, but also of larger places, which have been able to identify and mobilize local resources for their development. The impression is therefore that this is a spontaneous process, as for industrial districts before.

6. Trigilia C., 2005, Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Bari – Roma, Edito- ri Laterza. 7. Bagnasco A., Imprenditorialità e capitale sociale: il tema dello sviluppo locale, Stato e Mercato / n. 78, dicembre 2006, in http://www.sociologia.unimib.it/DATA/ Insegnamenti/4_3128/materiale/bagnasco.pdf.

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Overall, local development can be considered synonymous with territorial development, not only because it is a process of localized development, but also because it is specific to a certain place and is anchored to its internal development paths that we can imagine for a certain place, because the development routes we can imagine for a given area cannot be transferred because they are specific both of the sites to be enhanced and of the actors involved in these pro­ ces­ses.

2. The Actors of Local Development, Institutions

Local development is characterized, first of all, by the ability of local institutions to cooperate, to initiate and conduct shared develop- mental pathways that mobilize local resources and local skills. Institu- tions address the social and political action to improve the behavior of individual traders in more or less organized and coherent forms (Rullani, 1998a) and, today, they play a key role. First of all, political institutions must coordinate their economic and social actions in order to: address the negative externalities and pro- duce the positive external economies needed to develop, implement an adequate socialization of business risks and encourage the formation and reproduction of sufficient modern social capital, inclusive relation- ships based on reciprocity rather than on the exclusion of solidarity. Somehow, the institutions present in the area summarize a history of contingent circumstances, structural factors and creativity of the hu- man or political, social and economic actors expressed by the local sys- tem. As suggested by Brusco, the evolution of local systems has to en- sure a balance between personal knowledge and collective knowledge; between competition and cooperation, participation and conflict8. Even in the relations among different sites it is necessary to establish a balance that allows the unification of the ideas and knowledge of any context, without reducing the autonomy enjoyed by each actor. According to Trigilia, in order to stimulate cooperation among lo- cal actors (which may not emerge by itself), it is necessary the ability

8. Rullani E., Riforma delle istituzioni e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pp. 223-236.

116 l o c a l development a n d t o u r i s m of external, public institutions to help local actors define the projects, selecting the best ones with determination and transparency. These public institutions for the extra-local level should help to mobilize local actors from the bottom, to produce and use efficiently the cooperative networks, in order to increase the expertise, infra- structures, services, and thus competitiveness. Local development primarily concerns the territory, but it is also important for the region, the country and the European Union itself (multilevel governance)9. As a matter of fact National States and the European Union feel the importance of local development for comprehensive development. The development of a territory, its growth and / or its impover- ishment depend now, even more on the ability of administrators to play their role 10. Therefore, the Municipality, as a mere executor of administrative acts, should ensure the implementation of a local deve- lopment policy that gives the opportunity to work through programs and projects that are born, developed and realized in the same area and not falling from above. In conclusion institutions have to more between the local-global: you cannot become too local nor should you venture too far into the paths of globalism. So, the new institutions the territory needs arise from the need to use the productive forces that are no longer governed from above, but are self-governing or aspire to do that.

3. Creativity and Territorial Intelligence

Local development requires, among other things, the presence of creative and intelligent people on the territory. Even in sociological language, and in social sciences, more gener- ally, the term creativity refers to an individual dimension, showing subjective qualities; however, other parties can participate in the qual- ity of the creative subject, but they reduce the possibility to share par- ticipation in the creative process and the final result.

9. Trigilia C., 2005, Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Bari-Roma, Editori Laterza, pag. 193-194. 10. SeeL.59/97, the l.d.112/1998 and the C.L. 3/2001, whose aim is the federal- ist project of the State and so the increase of the power of local authorities.

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According to Simon creativity is essentially the ability to solve problems (good problem-solving): actions are considered creative when they produce something that is original, interesting or has a social value (Simon, 1986)11. If you refer to creativity within struc- tured systems of social actions, you rather emphasize the concept of social creativity 12, that is the phenomenon that goes beyond the in- dividual and involves a group, community or collectivity. In a socio- logical analysis, social creativity requires the development of a fertile environment where factors such as information and knowledge, can facilitate and support the creative genesis of an action headed by an individual or a social group. Technology is a factor that can enhance creativity and design development. According to R. Florida13, it is a key element to create territorial development processes, even in non- urban contexts. Florida, in a brilliant way, was able to create indexes that allow you to identify the places where you can position this class, and these indices are called Technology, Talent, and Tolerance, sum- marized with the acronym 3Ts. These 3Ts, as well as being typical of the indices of creative places, are prerequisites for the presence of the new class. Territorial intelligence is a very polysemous concept. You could speak of an innovative organization, network, information and knowl- edge for the development and competitiveness of a territory. Surely it is a social component that acts on the basis of knowledge and hu- man resources available in the area, in order to achieve goals and ob- jectives shared by the community. Territorial intelligence takes care, however, also of the enhancement of resources, extending awareness through forms of communication involving the various stakeholders in the area. Fully included in the context of the knowledge society, territorial intelligence focuses on the close link between production of knowledge and action planning, the importance that human and

11. Simon H., 1986, How Managers Express their Creativity, Across The Board, n. 23. 12. Lai F., 2006, La creatività sociale. Una prospettiva antropologica sull’innova- zione, Roma, Carocci, in Minardi E. e Bortoletto N., 2007, Sviluppo locale. Innova- zione sociali, cambiamenti nelle imprese e reinvenzione delle tradizioni: percorso per un nuovo sviluppo locale in Abruzzo, Teramo, Il Piccolo Libro, pag. 121. 13. Florida R., 2003, L’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Milano, Mondadori.

118 l o c a l development a n d t o u r i s m social capitals have in the innovation process and the need for a com- prehensive approach to the needs of people to promote a sustainable development also for future generations. Developing the territorial intelligence means, therefore, to gather information on the various processes and phenomena in the active area, to use tools for their analysis and dissemination, with the aim of increasing the level of people’s know-how and organizations on the territory, and to use this know-how in the search for strategies for territorial governance and competitive development.14. The target of territorial intelligence is not to eliminate the market, competition or competitiveness, but to limit and regulate the pernicious effects of the market through the development of cooperation. It also suggests to integrate the social, environmental and cultural costs in the global budget of development projects, being well aware that these account- ing is not sufficient, because the stake in energy development is not only economic. As community development, territorial intelligence meets two ethical principles that derive from sustainable develop- ment: public participation and actors’ partnership. However, contra- ry to the concept of community development, territorial intelligence is based on the use of information technologies and exploits the tools of territorial knowledge and analysis of territorial information in the context of knowledge society. The originality of the methods and tools of territorial intelligence is to provide technological solutions that respect the principles of democratic governance15. At a methodo- logical – operational level, several authors have defined the concept of territorial intelligence arguing that at least a tripartion should be made among: a) Economic – territorial intelligence, which creates products and services mobility for the actors of the economic innovation; b) Strategic – territorial intelligence, which determines the creation of permanent infrastructures; c) Administration of local communities, namely the creation of stra-

14. Stentella M., Intelligenza territoriale: una risorsa per la governance e lo svilup- po sostenibile, 23/09/08, in http://saperi.forumpa.it. 15. Girardot J.-J., Evolution of the concept of territorial intelligence within the coordination action of the European network of territorial intelligence, in ReS-Ricerca e Sviluppo per le politiche sociali, Territorial Intelligence, Semestrale Nuova Serie n. 1-2/2008, Numero speciale, pag. 24.

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tegic centers to promote knowledge development and exchange of information in the various territories16. Consequently, when we talk about territorial intelligence we also refer to the information technologies used intelligently in support of regional development. Therefore this raises the question of what are the attitudes and heu- ristic strategies that may be designed to incorporate reality containing the sensitivities and interests of each micro-reality of local communi- ties, allowing stakeholders’ participation in development strategies as well as a holistic approach to the different local situations and, finally, a partnership set up by actors democratically17.

4. Innovation

The renewed and increased awareness of the phenomenon of globalization forces us to have a vision more focused on innovation. This highlights the direct analogy between local development and innovation (radical and relevant) that we define as: productive ap- plication of new ideas; change of conservative attitudes (discontinu- ity); intentional action that can only happen through the interaction between forces and agents at different levels (not self-referentiality); procedural changes without predetermined outcomes with results that depend on intermediate outcomes and, for all these reasons, a localized process. Innovation and local development share, therefore, some characteristics that are particularly relevant to the planning of new policies18. Schumpeter’s definition (1934) maintains a strong explanatory power of what innovation means: “Innovation consists in new combi- nations of inputs, that is the introduction of new goods and / or new methods of production, creation of new organizational forms, open-

16. Gaucherend A., 2006, Introduction à la notion d’Intelligence Territoriale, in http://intellitoria.viabloga.com/files. 17. Girardot J.-J., 2005, Intelligence territoriale et participation, in http://labiso. be/ecolloque/forums. 18. Cfr. Seravalli G., 2007, Innovazione e sviluppo locale. Concetti, esperienze, politiche, Parma, Università di Parma, pp. 4-7.

120 l o c a l development a n d t o u r i s m ing new markets and in the conquest of new sources of supply”19. In- novation, therefore, is regarded as a social process characterized by interaction among heterogeneous agents. Interaction involves many aspects (cognitive, social, technological, economic and political), de- velops over weeks, or sometimes decades, and takes place in many locations (from universities to industrial research centers, in public and private, by regulatory agencies, to trade associations, professional orders, and also to the organization of markets).

5. Social and territorial Capital

The explicit use of the concept of social capital goes back to the sixties, through the work of a French sociologist Pierre Bourdieu. But it is mainly the work of another well-known sociologist, the Ameri- can James Coleman, in Foundations of Social Theory (1990), that the term social capital begins to spread and to be linked to development problems. Trigilia 20 examines social capital in its various meanings. In gen- eral, he argues that social capital is “the totality of social relations of which an individual subject (an entrepreneur, a worker…) or collec- tive (private or public) has at any given time. And through the rela- tionships you make cognitive resources available, such as information, or regulations, such as trust, allowing the actors to achieve objectives unattainable by a single actor, or hard to reach”. Coleman defines social capital according to the function it performs. His analysis pays attention to the positive externalities enjoyed by indi- viduals who belong to certain social networks. Coleman highlights the power of relational capital, that comes from the ability that arises from connective relationships among people, but at the same time its weak- ness, because, unlike the physical and the human ones, social capital is something less perceptible21. Not less important than the theory of Cole-

19. Cfr. Schumpeter J. A. (1934), The teory of economic development, Boston, Harvard University Press. 20. Trigilia C., Capitale sociale e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 289-290. 21. Mortari L., 2007, Pratiche di civiltà. Capitale sociale ed esperienze formative, Trento, Edizioni Erickson, pag. 9.

121 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o man, is the support provided by Robert Putnam, who considers social capital as “[…] the set of those elements of social organization – such as trust, shared norms, social networks – that can improve the efficiency of society as a whole, as far as they facilitate the coordinated actions of individuals” 22(Putnam, 1993 p 169). This definition highlights the networks of relationships in which the individual is set. Being part of a network implies the active participation of individuals who interact constantly with other network members and the community, to achieve common goals. Social networks have value. His thesis is based on the assumption that while the physical capital refers to physical objects and human capital to the properties of an individual, social capital refers to connections among individuals, social networks and norms of reciproc- ity that arise from such connections. Of course, social capital is not a sufficient condition for local development. Let us not forget that for local development knowledge is important, as already discussed exten- sively, as well as resources in terms of human, physical but also financial capitals. However, what we want to emphasize is that social capital can influence the best use of human capital or its growth and its continu- ous updating, both the physical and financial ones, through effective cooperation among local actors23. The rediscovery of the territory is a transversal element to Sociol- ogy and to Economics. After years of theories that constituted a key development in formal Economics, the territory has reappeared as an intervening variable, because it is impossible to reduce the complex- ity of the lives of people, communities (and businesses), as claimed by N. Luhmann. The territory becomes the synthesis of development and of site. Development means a process of social learning that in- cludes self-localized economic processes. The concept of territorial capital appeared only recently and not in a strictly scientific way. It was first proposed by the OECD (Organisation for Economic Co- operation Development) in 2001, and then taken up by the European Commission in May 2005. The Commission argues that each region has a specific territorial capital, as distinct from that of other areas,

22. Fedi A., 2005, Partecipare il lavoro sociale. Esperienze, metodi, percorsi, Mi- lano, Franco Angeli, op. cit. pag. 52. 23. Trigilia C., Capitale sociale e sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 295-296.

122 l o c a l development a n d t o u r i s m and that territorial development policies must first help individual re- gions to build their territorial capital (European Commission, 2005, p. 1)24. The OECD indicated the main factors that make up the ter- ritorial capital, in its tangible and intangible assets: geographical area, its size, availability of inputs, climate, tradition, natural resources and quality of life. We can say that the concept of territorial capital is not a static concept, but a dynamic one. It corresponds to the analytical description of the idea that is put forward by those who are looking for a margin of action; so it becomes necessary to talk about territo- rial capital, and the awareness of the importance of sustainable de- velopment. This concept goes far beyond the simple idea of ​​the growth of eco- nomic activity; it aims to propose a more extensive expansion of the overall welfare of the reference population of the area. In time we can see a gradual evolution of this term. If in the first instance it ex- pressed concerns mainly about the environmental impacts that might result in the indiscriminate economic growth of the ecosystem, then it has taken on a more constructive, balanced and development solution representing long-term, involving sectors that go beyond ecology and more specifically regarding the economic and social disciplines. Now- adays sustainable development appears as the route to be followed of to achieve a balance among long-term environmental, economic and social developments that characterize communities through policies that underlie it25. Development in this sense takes place along social, environmental and economic lines. It is therefore possible to describe the macro – the local development objective – in the following three sub – objectives which are closely related to each other: – balance and social cohesion: the positive and negative externalities, generated by marketing activities, should be equitably distributed among the community of users; – environmental sustainability: the implementation of any develop- ment strategy cannot ignore the environmental impact assessment

24. Commissione Europea, 2005, Territorial state and perspectives of the Euro- pean Union, Scoping document and summary of political messages, Bruxelles, in Svi- luppo & Organizzazione, maggio/giugno 2008, pag. 29. 25. Scipioni A., Mazzi A., 2011, Gestire e promuovere un territorio. Linee guida, strumenti operativi e casi studio, Milano, Franco Angeli, pag. 20.

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of its territory. Living in a healthy environment means that pollu- tion has now become a leading indicator of the quality of life of that area. Furthermore, the idea of a development that is compat- ible with the preservation of environmental resources and balanc- es, which is considered in a perspective and a global intervention strategy, is not viable and less dependent on management decisions made ​​at local level; – economic competitiveness: the direct action within the economic variables of the area will take place within the parameters of envi- ronmental and social sustainability, aiming to attract from outside the area and to enhance all the internal resources capable to acti- vate a development process26.

The concept of sustainability requires a new key, to design origi- nal development paths that take into account the complexity of this issue and the interconnections that it calls into question. This is to effectively manage the relationships among environment, economy, culture, social progress and quality of life, with the aim to meet cur- rent needs, yet without compromising the development opportunities for future generations, with a view for the optimization of available resources and in balance with the other local communities. Sustain- ability is, therefore, an issue that can and needs to be addressed lo- cally. From the point of view of sustainable development, the territory may be regarded as the space of action in which a human group meets its needs, borrowing, and negotiating the resources it needs. This area changes depending on the current needs and the future plans of its inhabitants. So the land goes beyond the geographical and admin- istrative space to become a place of proximity and serves as a refer- ence for institutional projects and visions of far-sighted actors. These projects will transform the area, which appears as a dynamic reality at the planning stage, preserving its identity in relation with the physi- cal, political, economic and cultural environment with which it is in constant interaction. Finally, strategies for the use of the territorial capital are essential to protect it from degradation and waste: the sustainability of spatial

26. Castelletti M., D’Acunto M., 2006, Marketing per il territorio. Strategie e poli- tiche di sviluppo locale nell’economia globalizzata, Milano, Franco Angeli, pag. 26.

124 l o c a l development a n d t o u r i s m development actions undertaken is, as a matter of fact, the funda- mental starting point for building the future of the community. Here lies the ability of local communities to adapt to major changes in the economic, social and environmental fields, that is to face major global challenges.

6. Possibilities and limits of local development

The problems associated with the development of a local system are numerous 27. First, there is little use of local resources, that is you do not con- centrate on the upgrading and protection of the physical environment, for the enhancement of natural and cultural resources, useful for de- veloping sustainable tourism. As a matter of fact Magnaghi asserts the importance of tourism as a promoter of local development. Secondly, there is a lack of knowledge and skills; actors are poorly motivated to acquire information on the experiences and outcomes of local development success achieved in other contexts; they may provide useful information to accelerate the search for efficient and effective solutions as compared to local problems. In this respect, Be- cattini, in his famous essay, argues that, in order to guarantee a “real innovation”, many resources are needed. Nowadays, investments for research in Italy are very low: what a shame!28 In Italy there are also minor innovation and design, which is a strength for us, but the battle is decided in the field of advanced technology, that is advanced train- ing and scientific research. Thirdly, there is strong resistance to change by government offi- cials and public administrators compared to the innovations required by the new projects on local development. There are real obstacles to creativity, and consequently more and more resistance to change. Fourth, there are problems related to the maintenance of the in- stitutions for regional governance: the institutional architecture is not

27. Bortoletto N., Il distretto del gusto: una realtà reticolare, in Minardi E., Var- danega A., Salvatore R. e Bortoletto N., 2004, Sviluppo locale. I distretti del gusto. Nuove risorse per lo sviluppo locale, Teramo, Il Piccolo Libro, pag. 55. 28. Becattini G., 2007, Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiari- tà economica italiana, Bologna, il Mulino, pag. 244.

125 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o always built on solid foundations, strategies, norms and shared values​​ that ensure its strenght and development in the implementation phase. Let us consider, for example, the need to firmly assess measures, sub- sidized loans and tax expenditure programs. Fifth, there is lack of support tools to governance, such as monitor- ing tools, support tools for project management, information systems and communication tools. Also following Hardin (1982), we realize that we must focus our attention on the problems of collective pro- duction and not of public consumption, since the greatest risks of fail- ure are related to their production. Finally, there is a lack of skills or intermediate agencies to promote development. The first initiatives in the field of development agen- cies were started in Italy with the introduction of training courses for operators of local development as a result of a Community Initiative. The experience with these courses was not brilliant in our country; it has also greatly slowed the introduction of institutions that could take initiative as Development Agency. Certainly we have to analyze also the possibilities that local de- velopment offers. As observed by Becattini, in relation to local sys- tems it refers to an aggregate of people who may behave in various circumstances as a de facto collective subject, though not formally recognized as such. This means that the local system is a set equipped with an identity that distinguishes it from the environment and other systems. Those who participate are aware of this identity and are able to implement autonomous collective behaviors. It refers, therefore, to a system that interacts with the outside according to its own rules; they are informal, but sufficient to guarantee the reproduction in time. The essence of the local system, in this view, is to produce and repro- duce itself (Ceruti, 1987)29. The issue of local development has put more and more clearly the importance of the territorial dimension (Dematteis and Governa, 2055). It is precisely the territory that, with its characteristics, its geographic location and its typicality, creates opportunities for local development. It is also crucial the existence of networks of social relations among those involved in the production

29. Dematteis G., Possibilità e limiti dello sviluppo locale, in Becattini G. e Sforzi F., 2002, Lezioni sullo Sviluppo Locale, Torino, Rosenberg & Sellier, pag. 45-46.

126 l o c a l development a n d t o u r i s m process, and thanks to it, relations of trust are able to produce collec- tive goods that fuel local development. Recently, we are witnessing an increased interest in tourism. It definitely creates more opportunities for local development, because it uses particular resources (climate, natural, historical and artistic resources), characterized by marked irreproducibility. It should be emphasized, however, that tourism introduces changes in the natural environment that can lower its quality. There are failures, but there are also successes from which we can learn a great deal to face the new challenges posed by the problem of development today. Local development has not only become more important as a tool to match economic growth and social cohesion; it is also less affected by the constraints of history and geography of than we might believe: it can be stimulated through intelligent interventions that would promote the leading role of local actors.

7. Conclusions

For a long time, the territory has been the representation of the spatial and material environment of the community and this defini- tion is still appropriate in many areas of the world. However, there are problems with the modern concept of interculturality, identity and exchange. As a matter of fact it seems a sort of closure of the community at the expense of the triumph of the global village. Local actors need to start an anthropological process that could activate and move resources to transform the energy in territorial groups of relational design capabilities. So territorial intelligence, along with participatory communication strategies, may create a link between the processes of promotion and control of local development and the socio‑cultural population in a given territory. The territory is the meeting place of the experiences of develop- ment actors and determines its specific economic and human de- velopment. Once recognized the territory as a resource for develop- ment, the importance of its relational dynamics is also recognizes, and therefore the link between social capital and the territory itself. Consequently, in the development process the human resource is es- sential and even more is the activation of different resources, because

127 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o development is a right created for all the social actors, potentially available to all social actors, and finally re-designed specifically for each person, according to a corporate model strictly connected to the quality of life.

128 l o c a l development a n d t o u r i s m

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129 p a s q u a l i n a c i n q u e – v a l e n t i n a s g r o

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130 Turismo enogastronomico. Avellino e Benevento: l’appetito vien viaggiando Ivan Basile [email protected] Michela Corvigno [email protected] Roberto De Fabrizio [email protected]

Lo studio qui presentato si focalizza su alcuni concetti di vitale importanza, quali produzione agroalimentare e vinicola; interazione tra le aziende operanti nel settore; paesaggio, ovvero l’impronta che la storia e l’uomo hanno lasciato sul territorio; natura; tradizione e cultura, che nel loro insieme costituiscono un naturale complemento di quell’offerta turistica che può mettere in risalto le caratteristiche in- trinseche del territorio, favorendone la sua promozione, ma al tempo stesso definendone e caratterizzandone la sua identità. Nel nostro Paese, l’importanza strategica del comparto enogastro- nomico, quale segmento di turismo, è andata progressivamente cre- scendo nel corso degli anni, divenendo la motivazione principale dello spostamento di alcune fasce di utenti e collocandosi, a tutti gli effetti, fra i cosiddetti “turismi emergenti”1. La storia di questo tipo di turismo è recente, la sua nascita in Italia si fa risalire sostanzialmente agli anni ’90, poiché per il periodo prece- dente non è possibile parlare di una vera e propria offerta organizzata del settore. Dal boom economico degli anni ’60 sino alla fine degli anni ’80, l’Italia ha subito un forte sviluppo economico e sociale gra- zie al processo di industrializzazione, causando cambiamenti radicali non solo a livello socio-economico, ma anche a livello di abitudini alimentari.

1. Mantovani, M.: Marketing dell’Agriturismo: analisi e strumenti per la valoriz- zazione e promozione dell’agriturismo, Università degli Studi di Firenze, 2007-08.

131 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o

Solo agli inizi degli anni ’90 si osserva una riscoperta e una va- lorizzazione della tradizione culinaria, a cui segue una rivalutazione dei prodotti tipici locali. Tutto ciò ha portato a un sempre più intenso interesse verso le tradizioni non solo culinarie, ma anche folkloristiche e popolari, rendendo l’enogastronomia una materia oggetto di studio, non solo in ambito turistico ma anche socio-economico. Diversi studi evidenziano come il forte impatto dell’enogastrono- mia sul territorio, renda quest’ultima un volano per lo sviluppo terri- toriale; infatti introspezione, valorizzazione dei prodotti tipici, risco- perta di paesaggi naturali e rurali, tradizione cultura e storia sono strettamente connessi all’enogastronomia.

1. L’importanza del turismo enogastronomico

Attraverso una reale conservazione e la valorizzazione dei territori agricoli e vitivinicoli destinati a rappresentarne la cornice naturale, il turismo enogastronomico offre un nuovo modo di vivere la vacanza, associando la visita ad aziende vinicole e agroalimentari alla degusta- zione di vini, prodotti tipici e piatti locali. Tutto ciò, offre al turista l’opportunità di entrare pienamente in contatto con la realtà del luogo, attraverso la partecipazione diretta agli usi e alle abitudini dei territori rurali visitati e di fare un’esperien- za di vita che lo arricchisca. Un altro importante aspetto del turismo enogastronomico riguarda il fatto che esso concorre alla destagionalizzazione dei flussi turistici in quanto è praticabile durante tutto il corso dell’anno e quindi anche in momenti tradizionalmente considerati di ‘bassa stagione’. Inoltre, tale tipologia di turismo è in perfetta sintonia con i dettami della politica agricola europea di tutela delle produzioni agroalimen- tari di qualità2. Interessante sottolineare le ricadute positive di questa forma di tu- rismo sul territorio e, soprattutto, sul mercato dei prodotti locali, che si manifestano anche dopo che il turista ha fatto ritorno alla propria residenza, in quanto incidono sulle sue abitudini alimentari ed in-

2. Canali, G.: “Verso una strategia europea per i prodotti agroalimentari di qualità: il Green Paper”, in Agriregionieuropa 15 (2008).

132 t u r i s m o enogastronomico . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : l’a p p e t i t o v i e n v i a g g i a n d o crementano le vendite di tali prodotti. Va aggiunto altresì che questo tipo di turismo si sta ponendo con sempre più frequenza al centro di qualsiasi sistema turistico locale grazie all’interazione di più attori in- teressati all’erogazione di servizi e/o vendita di prodotti, favorendone lo sviluppo locale. In conclusione, potremmo dire che tradizione, innovazione, crea- tività, materialità ed immaterialità, sistema, capitale sociale e network sono elementi che contraddistinguono tale comparto che può rientra- re nella macro-categoria del gusto3. Un esempio sono i c.d. ‘itinerari enogastronomici’, che sono dei percorsi realizzati con la collaborazione di aziende agricole e vinicole, agriturismi, B&B, enti ed hotel che organizzano escursioni guidate con esperti del territorio. Chi si avvicina al turismo enogastronomico è un amante della natura, delle tradizioni, è un viaggiatore che ama immergersi nei profumi e nei sapori di una terra per scoprirne la più profonda essenza ed andare oltre l’apparenza.

2. Assaporare il Paesaggio

Il paesaggio rappresenta l’enciclopedia primaria del nostro sapere. Il differente grado di appeal turistico delle destinazioni e dei prodotti tipici di diversi territori è sempre più legato alle sensazioni che ciascu- na persona (abitante o semplice visitatore) percepisce, legando a quella esperienza sentimenti e piacere di appartenere a quel luogo. Nell’ambito del turismo enogastronomico, il paesaggio assume un ancor più coinvolgente connotazione, poiché il turista – attraversan- dolo e scoprendolo – lo assapora con i suoi cinque sensi. Quando ci troviamo davanti a un paesaggio che per la sua gran- diosità colpisce e supera noi stessi, la sensazione di piacere provata scaturisce, anche, da un senso di appartenenza. “Vogliamo esserne parte. Far parte di una sorta di unità con quello che vediamo, un’ap- parenza di totalità che in quell’istante sentiamo armonica”4, tali paro-

3. Bortoletto, N. et alii: I Distretti del Gusto. Nuove risorse per lo sviluppo locale, Il Piccolo Libro, Teramo 2004. 4. Dal catalogo della mostra “Sedendo e Mirando. I paesaggi (dal 1966 al 2009)”, Galleria d’Arte Contemporanea, Ascoli Piceno 21 marzo- 13 settembre 2009.

133 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o le, pronunciate di Tullio Pericoli, fissano chiaramente l’essenza di una ‘residenzialità affettiva’ legata alla bellezza del paesaggio. Nel turismo enogastronomico il paesaggio assume poi una con- notazione ancor più coinvolgente, in quanto rappresenta uno dei fil- tri principali attraverso cui il turista realmente motivato ‘assapora’ i territori e le loro produzioni, perché, citando Soldati, “fare sul serio la conoscenza di un vino non significa affatto, come forse si crede, as- saggiarne due o tre sorsi, o anche un bicchierotto”5. Significa, innan- zitutto, conoscere la località precisa e ben delimitata dove si pigia il vino che vogliamo conoscere, procurarsi alcune fondamentali nozioni geologiche, geografiche, storiche, socio-economiche. Significa, inoltre, “andare sul posto, e riuscire a farsi condurre esattamente in mezzo a quei vigneti da cui si ricava quel vino e passeggiarvi, […], in lungo e in largo, cogliendo la personalità e l’irripetibile identità dei luoghi”6, godendo, in questo modo, non solo dell’esperienza turistica, ma anche della sollecitazione dei sensi grazie alla degustazione di alcuni cibi. In queste direzioni il turismo enogastronomico, se ben progettato, gestito e vissuto nell’ottica dell’integrazione tra cibo, viaggio, territo- rio, cultura e introspezione, può contribuire a creare un determinato tipo di offerta integrata, in grado di attirare e stimolare l’interesse del turista attraverso un messaggio che crei stati d’animo geografici, come il profumo del mosto in periodo di vendemmia o lo stile contestua- lizzato degli immobili o degli arredi che si ispirano alle tonalità del paesaggio. Questo tipo di turismo aiuta ad assaporare lo spirito del luogo, attuando una vera e propria ‘cattura’ di atmosfere e paesaggi rurali, montani, costieri o urbani che cerchi di superare quanto di museifica- to, iconico o folkloristicamente banale avviene nei territori più esposti agli effetti negativi del turismo. Ciò può rappresentare, dunque, una valida occasione per far comprendere meglio quanto l’imprescindibile valore identitario per uomini e territori sia legato al ‘peso’ del pae- saggio in quanto rappresentazione di vitalità e funzionalità integrata ambientale, sociale ed economica.

5. Soldati, M.: Vino al vino, Mondadori, Milano 2006, p. 16. 6. Croce, E. e Perri, G.: Il turismo enogastronomico. Progettare, gestire, vivere l’integrazione tra cibo, viaggio, territorio, Franco Agnelli, Milano 2008.

134 t u r i s m o enogastronomico . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : l’a p p e t i t o v i e n v i a g g i a n d o

3. Due casi-studio: Avellino e Benevento

L’entroterra campano presenta una eterogenea molteplicità di pae- saggi: dai paesaggi naturali, collinari, montani e lacustri, tipici dell’Ap- pennino, a quelli antropizzati, in cui borghi, città, castelli, ville, palaz- zi e chiese, costituiscono elementi artistici, naturalistici e storici che mettono in risalto l’autenticità dei luoghi. Nello specifico, il territorio avellinese-beneventano può essere sud- diviso in tre macroaree: i ‘Monti Picentini – Alta ’, il ‘Partenio’ e il ‘Taburno-Camposauro’, all’interno dei quali si intrecciano in un modo armonioso il verde dei colli, il profumo dell’aria, la magia dei paesi nascosti, la poesia dei luoghi di culto, l’incanto dei laghi e dei fiumi, “una sponda accogliente su cui far merenda, l’allegria di una sa- gra, un sapore speciale e, dovunque, vestigia della storia passata con- sapevoli della loro bellezza, nobili, altere, caparbiamente sprezzanti del tempo e dei frequenti sconvolgimenti naturali che tante volte han- no indotto la nostra regione a cambiare le linee del suo volto”7.

3.1. Il Parco dei Monti Picentini Il territorio della Comunità Montana Terminio Cervialto è un’oasi di pace, un ambiente naturale tra i più spettacolari ed interessanti del Sud Italia. Situato nel cuore dell’Irpinia, è attraversato da due fiumi: il Sele e il Calore. Questo territorio è percorso dalla catena dei Monti Picentini e vanta una valenza ambientale di assoluto rilievo. Le grandi vallate, che si estendono ai piedi dei monti, presentano un carattere profondamente legato al passato, ma sono anche al centro di una serie di interventi volti al conseguimento di un nuovo e più duraturo sviluppo economico e sociale. Negli ultimi anni, infatti, si sono realizzate notevoli ed importanti iniziative di valorizzazione, di integrazione, di potenziamento e di promozione a fini turistici delle risorse locali. Il legame prodotto-territorio, nonché l’intreccio delle dinamiche socio-economiche, artistiche e culturali con l’ambiente circostante, è sempre stato presente tra i cittadini dei diciotto comuni che costi- tuiscono il territorio della Comunità Montana ‘Terminio Cervialto’

7. Dal dossier Conoscere l’Irpinia, Liceo Scientifico Statale ‘P.S. Mancini’ di Avellino S.d.

135 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o

(Bagnoli Irpino, Calabritto, Caposele, Cassano Irpino, Castelfran- ci, Castelvetere sul Calore, Chiusano di San Domenico, Montella, Montemarano, Nusco, Santa Lucia di Serino, Santo Stefano del Sole, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Senerchia, Serino, Sorbo Serpico e Volturara Irpina)8. All’interno del Parco vi è una rinomata località turistica: l’Alto- piano del Lago Laceno che si trova nel comune di Bagnoli Irpino, a 1050 m. sul livello del mare. È un paesaggio di straordinaria bellezza, immerso nel verde dei boschi, circondato da ruscelli ed imponenti ca- tene montuose, ma caratterizzato, anche, dalla suggestiva ‘Grotta del Caliendo’ (complesso si cavità carsiche); “un posto fantastico, facile da raggiungere, e in cui è possibile trascorrere vacanze o anche un weekend all’insegna della natura, del divertimento e del relax”9.

3.2. Il Parco Regionale del Partenio Il Parco regionale del Partenio occupa una superficie di 14.870,24 ettari e comprende 22 Comuni (Arienzo, Arpaia, Avella, Baiano, Cer- vinara, Forchia, Mercogliano, Monteforte Irpino, Mugnano del Car- dinale, Ospedaletto d’Alpinolo, Pannarano, Paolisi, Pietrastornina, Quadrelle, Roccarainola, Rotondi, San Felice a Cancello, San Martino Valle Caudina, Sant’Angelo a Scala, Sirignano, Sperone, Summonte); variamente distribuiti sul territorio, sia nella parte appenninica del Partenio, che nelle valli adiacenti, come Valle Caudina, Valle del Sa- bato e Vallo di Lauro Baianese. I centri urbani, in prevalenza appartenenti alle province di Avellino e di Benevento, sono dislocati soprattutto nella fascia pedemontana e le strade che li collegano “formano un circuito che circonda l’intero complesso montuoso del Partenio”10. Passeggiare lungo le valli e le colline dell’area ‘Partenio – Valle Caudina’, rappresenta una riscoperta continua dei sentieri che con- ducono verso paesaggi ancora incontaminati e panorami incantevoli. La magia di questi scorci, dove la natura continua a ripetersi e a rin- novarsi da milioni di anni, si alterna al secolare lavoro dell’uomo che ha arricchito il paesaggio di resti e testimonianze che raccontano da

8. www.cmterminiocervialto.it. 9. http://lagolaceno.net. 10. www.parks.it/parco.partenio/par.php.

136 t u r i s m o enogastronomico . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : l’a p p e t i t o v i e n v i a g g i a n d o millenni la storia dei popoli che lo hanno abitato, come i greci, i roma- ni, i longobardi e i sanniti. Particolarmente suggestivo è il paesaggio di Montevergine, che si apre tra boschi di castagno, essenze di faggio, agrifoglio e acero na- poletano. “Meta di numerosi pellegrini, che inerpicandosi lungo i[…] sentier[i] […], a dispetto della più comoda funicolare, risalgono la sa- cra montagna tra tornanti e mulattiere per raggiunger[ne] il santuario […]”11, dedicato alla Madonna nera, e fondato intorno al 1119 dall’ere- mita San Guglielmo da Vercelli, testimoniando, in questo modo, la spiritualità del territorio.

3.3. Il Parco Taburno-Camposauro Il Parco Naturale Regionale Taburno-Camposauro, ha un’estensio- ne di 12.370 ettari e comprende prevalentemente i comuni del be- neventano: Bonea, Bucciano, Cautano, Foglianise, Frasso Telesino, Melizzano, Moiano, Montesarchio, Paupisi, Sant’Agata dei Goti, Solo- paca, Tocco Caudio, Torrecuso e Vitulano. Il parco offre notevoli risorse naturali, in un contesto paesaggistico vario ed affascinante e di rilevante interesse storico e culturale. Un susseguirsi di centri storici, frazioni, casali, antichi eremi e santuari accompagna il visitatore in tutti gli ambienti. Le zone basse sono quasi tutte coltivate, formando “uno spettaco- lare mosaico con vigneti, oliveti, frutteti, orti e piccoli appezzamenti coltivati a cereali, che testimoniano la presenza dell’uomo”12, infatti, l’area del Parco è stata uno dei principali centri della civiltà sannita e teatro delle guerre che opposero i primi all’Impero romano. Tra i borghi di particolare interesse ricordiamo: Sant’Agata dei Goti, che ‘costituisce’ la porta sud-occidentale del Parco. Gioiello di equilibrio tra storia, arte, cultura e natura, il borgo (bandiera aran- cione del Touring Club Italiano) vanta un incantevole centro storico, circondato da due profondi fossati naturali, che accolgono il letto di due torrenti (il Martorano e il Riello) affluenti del fiume Isclero. Tale porzione di territorio, segnata dai due torrenti suddetti e dal fiume Isclero, è caratterizzata da un “paesaggio agrario di indub- bio valore e dalla presenza di architetture rurali, connesse all’utiliz-

11. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it. 12. www.parcotaburno.it.

137 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o zo dell’acqua quali fontane, lavatoi, mulini, e acquedotti. Ma anche torrette di guardia, cappelle, ponti, esempi dell’operato umano, che costituiscono, al di là del borgo storico, l’altra immensa ricchezza di Sant’Agata dei Goti”13.

4. Tradizione, Storia e Cultura: un’introduzione

Nei processi di sviluppo locale è importante focalizzarne la natu- ra. La distinzione reticolare è utilizzata per “descrivere sistemi con differenti caratteristiche legate soprattutto a situazioni di stabilità [ ] oppure a sistemi con elevati gradienti di mobilità, di flussi e relazioni territoriali”14. Questa reticolarità non necessita di un spazio strettamente eucli- deo fatto di connessioni lineari tra i vari punti, ma acquisisce una con- notazione relativa. Tali sistemi sono formati da due tipi di relazioni: orizzontali (l’im- mediatezza dello scambio) e verticali (retroscena tecnico, culturale e ambientale si cui si inseriscono le prime). Ma spesso, è proprio questa comunicazione a mancare: una comunicazione che possa “permettere una programmazione di attività in comune”15. Un sistema che possa davvero dirsi produttivo ha necessariamen- te bisogno di un’insieme di “interazioni […] micro-territorial[i] tra i [possibili] soggetti strategici locali”16. Per l’appunto, “la riscoperta del territorio costituisce un elemento trasversale sia alla sociologia che all’economia”17. Il territorio, infatti, è una variabile interveniente allo sviluppo dei c.d. sistemi locali, ovvero a quei sistemi intrinsecamente complessi che “viv[ono] attraverso i differenti elementi dell’organizzazione sociale ed economica in ess[i] strutturati”18. Tali elementi sono visibili attraverso la memoria sia tangibile che intangibile della comunità: l’arte, l’architettura locale, gli usi e i co-

13. www.italianostra.org. 14. Bortoletto, N. et alii: I Distretti del Gusto, cit., p. 50. 15. Perrotti, M.: Il campanile e oltre, Scuderi Editrice, Avellino 2002, p. 15. 16. Bortoletto, N. et alii: I Distretti del Gusto, cit., p. 53. 17. Ivi, p. 43-44. 18. Ibid.

138 t u r i s m o enogastronomico . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : l’a p p e t i t o v i e n v i a g g i a n d o stumi, la conoscenza locale, la condivisione di valori e cultura sino ad arrivare al linguaggio stesso che “attraverso l’uso di dialettismi, neologismi e metafore”19 descrive una cultura ‘localmente’ localizzata, al di fuori della quale tale linguaggio risulterebbe sprovvisto di signi- ficato. Alla luce di quanto detto finora, bisogna soffermarsi a riflettere sulla nozione di sviluppo locale di una comunità, la quale, fino a qual- che tempo fa, era “legata alla concezione tradizionale di produzione da parte dei singoli membri […]”20. Recentemente, con l’affermarsi del ‘protagonismo locale’, la no- zione si è estesa sino a comprendere l’insieme degli stili di vita della comunità, rendendo il fenomeno culturale (tradizioni, usi e costumi, ecc ) un parametro di crescita generale e lo sviluppo locale una com- ponente del progresso socio-economico. Un esempio pratico della nascita di questo interesse è visibile con la legge 383/2000 sulla “Disciplina delle Associazioni di Promozione Sociale”, dove si comincia ad intendere il turismo come: “conserva- zione del patrimonio storico, culturale, artistico, sociale e paesaggi- stico […]”.

5. Il territorio campano

La Campania è un intreccio straordinario di storia, arte, cultura e natura, ed è indiscutibile il fatto che poco e niente viene fatto per rendere questo mosaico più armonico e capace di mostrare le proprie potenzialità. Il territorio campano non è solo turismo costiero, ma è proprio a partire dalla costa che addentrandosi al suo interno trovia- mo un tipo di turismo storico, religioso e culinario. Partendo dall’ombra del Vesuvio, dove riemergono Pompei ed Er- colano, si può giungere a Pozzuoli e a Miseno, antiche rotte marittime romane, dove ancora oggi sono visibili le suntuose ville costruite dai patrizi, e ancora più a sud sorge Paestum con i suoi templi. Ma risa- lendo l’intera regione si innalza a Nord l’immensa Reggia di Caserta, e spostandosi nell’entroterra appare il fascino selvatico di montagne

19. Ivi, p. 45. 20. Perrotti, M.: Il campanile e oltre, cit., p. 17-18.

139 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o e pianure dell’Irpinia, con i suoi vini, formaggi e le sue nocciole fino alla città di Benevento, dove “i culti dell’età romana alimentarono nel Medioevo leggende di sabba e streghe”21 che restano ancora vivide nella tradizione locale. Ed è proprio questo il nodo centrale del rapido tour virtuale ap- pena svolto, ovvero, la possibilità di unire quei miti e culti ancestrali presenti nel territorio sannita, che fondendosi con la cultura della ‘ter- ra’, delle sagre e delle feste religiose dell’intero territorio, diventano un’occasione per immergersi nel passato, con le bellezze paesaggisti- co – naturali dell’Irpinia, un luogo magico di equilibrio tra religione e natura, grazie ai suoi molti santuari.

5.1. L’enogastronomia “Noi siamo ciò che mangiamo – o meglio – ciò che mangiamo di- venta noi. Nella sfera animale, non esiste un atto più intimo di quello del mangiare, e l’esperienza del cibo coinvolge tutti i sensi, perché anche l’udito ha il suo ruolo, soprattutto in occasioni conviviali […]. A ben guardare, neppure l’atto sessuale possiede caratteristiche di intimità così forti come quelle che accompagnano l’ingestione di un cibo”22. Dunque, l’esperienza del mangiare è un fatto complesso, che com- prende in sé elementi diversi, e che coinvolge sia la sfera sensuale che quella intellettiva.

5.2. La Cultura del gusto Cultura del gusto significa non solo parlare di un determinato prodotto tipico, ma anche del luogo dove quest’ultimo nasce, “delle sensazioni che [l’atto de]l bere e [de]l mangiare creano e […] di tutte quelle emozioni che ruotano intorno all’alimentazione”23. In questo modo, diffondere la conoscenza dei prodotti tipici, per- mette non solo di continuare a farli rivivere, ma anche di conferire loro valenza culturale. Il termine ‘cultura del gusto’, non viene posto a caso, in quanto

21. Regione Campania – Assessorato al Turismo e ai beni Culturali: Arte e Ar- cheologia, Electa Napoli – ATI Publicis, Napoli 2005. 22. www.psicolab.net/2005/il-turismo-enogastronomico. 23. Giolivo, P. (a cura di): Itinerario gastronomico irpino, Elio Sellini Editore, Avellino S.d.

140 t u r i s m o enogastronomico . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : l’a p p e t i t o v i e n v i a g g i a n d o

“la cucina di un popolo è la sola [ed] esatta testimonianza della sua civiltà”24 e di quella cultura rurale, fatta di tradizioni contadine e sapori forti, che segnano, nel ‘viaggio enogastronomico’, una continua risco- perta di gusti antichi e genuini, di pietanze e ricette tipiche nostrane.

6. Vini e Sapori: L’Irpinia e il Beneventano

L’entroterra Irpino e Beneventano offre una vasta gamma di pro- dotti agroalimentari ed enologici, che esprimono, in maniera diretta, una tradizione rurale ancora viva e presente in questo territorio. Lo stretto legame con la terra, la sensibilità ambientale e l’attenzio- ne alla salute dei consumatori hanno favorito il proliferarsi di nume- rose attività: quali, agriturismi, aziende agricole e vinicole, ecc. che of- frono la possibilità di gustare prodotti che caratterizzano l’autenticità del luogo, promuovendone al tempo stesso una sua conoscenza.

6.1. I Vini Le aree interne della Campania, presentano una spiccata vocazione alla viticoltura, testimoniata dalla presenza di quattro D.O.C.G. (Fia- no di Avellino, Taurasi, Greco di Tufo e Aglianico del Taburno), sette D.O.C. (come il Solopaca, la Falanghina, il Sannio, ecc.) e tre I.G.T. (Beneventano, Irpinia e Campania). Il Fiano di Avellino, si ottiene dall’omonimo vitigno già conosciuto dai latini come Vitis Apiana. “La pregevolezza di questo vino e testi- moniata dal fatto che è uno dei pochi vini bianchi italiani, meritevoli di invecchiamento”25. Il Greco di Tufo, si ottiene dalle uve dell’antico vitigno greco, l’Aminea Gemina, ed è un vino dalla tipicità ineguagliabile, con pro- fumi che ricordano la pesca e la mandorla amara. Dalle pendici del Monte Taburno, si ottiene un vino di grande pre- gio, l’Aglianico del Taburno. Molto rinomate sono anche le due varietà di bianchi: Falanghina e Coda di Volpe. La zona del Beneventano annovera, anche, un vino DOC, il Solo-

24. Consorzio G.A.L. – Partenio Valle Caudina: Scoprire, sentire, gustare. Viag- gio tra Partenio e Taburno, FlashPrint, Benevento S.d., p. 50. 25. Ibid.

141 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o paca. Questo tipo di vino è ricco di storia, poiché l’uva qui coltivata, si colloca in nell’area più antica di coltivazione di questo vitigno, la c.d. zona classica, ricadente nel comune omonimo. Le colline del Sannio, grazie alle loro condizioni climatiche ideali, danno origine al vitigno Sannio.

6.2. I Sapori Una tradizione altrettanto significativa dell’entroterra campano, è quella oleica, già affermata nel VI secolo a.C.; che si rinnova tutt’oggi in due oli extravergine di oliva di elevata qualità: Colline Beneventane e Sannio Caudino Telesino. Gli oliveti, insieme ai vigneti, caratterizza- no il paesaggio rurale, conferendogli fascino e tipicità. La cultura gastronomica del territorio, si completa con prodotti del sottobosco, quali funghi (porcini), fragoline di bosco e il pregiato tartufo nero di Bagnoli Irpino. Tra le colture ortofrutticole di qualità del Partenio, si ricordano le nocciole (come ad esempio la nocciola Mortarella e la nocciola di Giffoni IGP), castagne (come la castagna di Montella IGP e quella di Serino) e noci (come quella Malizia e quella di Sorrento, diffusa nel Vallo di Lauro e nel Baianese), da cui si ricava il famoso nocillo, un liquore ottenuto per infusione delle noci in alcool. Radicata nel territorio è anche la produzione della ciliegia impe- riale e della mela annurca IGP, che ha uno stretto legame con l’intera regione.

6.2.1. Il Pane di Montecalvo Montecalvo, è un luogo che da secoli intreccia la sua storia alla magia: quella delle janare, delle bolle della malavizza, ecc. Ma la vera magia si fa nei campi e nei mulini, a partire da un’antica varietà di grano duro, la c.d. saraolla, che “custodita dagli agricoltori locali, ha saputo tramandare alle generazioni moderne il gusto di un sapore antico”26. Questo tipo di pane, dal colore tra l’ocra e il nocciola, e da una fragranza di profumi di lievito, farina, crusca e pane tostato, è stato denominato un prodotto IGP.

26. www.viaggioinirpinia.it.

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6.2.2. Il culto della pasta Molto sentito è il culto della pasta, constatabile soprattutto dai tipici fusilli irpini, prodotti con grano duro e sapientemente lavorati a mano; dai cavatelli tipici della tradizione sannita, rudimentali gnocchi cavati a mano; nonché, dalle lavane, ossia tagliatelle all’uovo spesse e lunghe. Tantissime sono, inoltre, le tipologie di zuppe della cultura contadi- na a base di ortaggi, farro e speuta, che rappresentano la tipicità di una cucina povera e rurale. La speuta, è una graminacea coltivata nell’Avel- linese, presso Casalbore e Montecalvo Irpino e nel Beneventano, ed è utilizzata, da secoli, per la produzione di pane, pasta e minestre27.

6.2.3. Taralli I taralli, una specialità di tutte le aree interne della Campania, e sono preparati da secoli con la stessa ricetta e la stessa tecnica arti- gianale di un tempo. Un tipico esempio sono i taralli intrecciati; le scaldatelle o scavuratiell’, chiamate così perché prima di essere cotti in forno, vengono bolliti; e i taralli all’uovo, tipici di san Martino Valle Caudina, e preparati in occasione della Pasqua28.

6.2.4. Torroni e torroncini In tutto l’entroterra campano, è possibile incontrare tipologie va- riegate di torroni e torroncini. I principali centri di produzione sono Ospedaletto d’Alpinolo e San Marco dei Cavoti. Ad Ospedaletto d’Alpinolo, in provincia di Avellino, è antica tradi- zione offrire il torrone, prodotto localmente, durante le feste natalizie, Inoltre, la tradizione vuole che questo torrone venga anche consumato durante i pellegrinaggi al vicino Santuario di Montevergine. A San Marco dei Cavoti, comune del Beneventano, si producono i c.d. croc- cantini, ricoperti di cioccolato fondente, e derivati da una tradizione risalente al 1892, e dove annualmente si svolge la Festa del Torrone.

6.2.5. Formaggi Sia nella provincia di Avellino, che in quella di Benevento, è pre- sente un’antica tradizione della lavorazione del latte prodotto, che si trasforma in (come il Caciocavallo Podolico di Montella,

27. www.incampania.com. 28. Ibid.

143 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o quello silano DOP, quello affumicato Podolico di Castelfranco, ecc.), di Laticauda o quello di Carmasciano, di Salaprese, burro, come ad esempio, la c.d. Treccia29.

6.2.6. Carni Ed infine, ma non ultima, è la tradizione dell’allevamento. Due specialità sono: la Pecora Laticauda e il Vitellone Bianco dell’Appen- nino Centrale La prima, è un tipo di pecora allevata sulle colline delle zone in- terne della campania, in particolare nell’Avellinese. La carne di Lati- cauda è molto ricercata la delicatezza del sapore e dell’aroma, mentre il latte è utilizzato come materia prima per la produzione di formaggi pecorini, come il summenzionato Pecorino di Carmasciano. Il Vitellone Bianco è noto per l’eccellente qualità delle sue carni magre, dette anche carne marchigiana. La tenerezza di queste carni, il sapore delle squisite bistecche, dell’arrosto e dello spezzatino, richia- mano la bontà e il valore delle antiche tradizioni alimentari campa- ne30.

7. Conclusioni

Alla luce di quanto detto, si desume che l’enogastronomia è cultu- ra, turismo, agricoltura e storia ma, soprattutto, è il vero patrimonio su cui la Regione Campania deve e può puntare per affrontare le nuove sfide del millennio. Per poter far ciò, la cultura culinaria campana, ha bisogno necessariamente di essere valorizzata, per ritornare ad un sano rapporto con il territorio e per recuperare i sapori antichi capaci di rinnovare il gusto contemporaneo; protetta, in quanto varietà ter- ritoriale locale; e solo infine, diffusa per trasmettere una cultura del gusto e del saper vivere attraverso il cibo autentico.

29. Ibid. 30. Ibid.

144 Wine-and-Food Tourism. Avellino e Benevento: the appetite comes with eating Ivan Basile [email protected] Michela Corvigno [email protected] Roberto De Fabrizio [email protected]

This paper focuses on concepts of vital importance, such as man- ufacturing, food and wine, interaction among operating companies in this field, landscape, the traces that history and man have left on the area, nature, tradition and culture, that together provide a natural complement of the tourist offer that can bring out the basic charac- teristics of the area, encouraging its promotion, but at the same time, defining and characterizing its identity. In our country, the strategic importance of food and wine sec- tors, as segments of tourism, has been progressively increasing over the years, becoming the main motivation for the movement of some groups of users and ranking, in all respects, among the so-called “emerging tourisms”. The history of this kind of tourism is recent; its birth in Italy goes back basically to the ’90s, because for the previous period it is not possible to speak of a truly organized offer for this sector. Since the economic boom of the ’60s until the late 80s, Italy experienced a sharp economic and social development through the process of Industrialization, causing radical changes not only at the socio-economic level, but also in terms of eating habits. Only in the 90s there was a rediscovery and valorization of the cu- linary tradition, which was followed by a reassessment of local prod- ucts. This has led to an increasing interest not only in the culinary traditions, but also in folk and popular food and wine turning it into a material object of study, not only in tourism but also for the socio- economic development.

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Several studies show that the strong impact of the food and wine area, makes it a driving force for regional development; as a matter of fact introspection, valorization of typical products, the rediscovery of natural and rural areas, tradition, culture and history are closely related to wine.

1. The importance of food and wine tourism

Through a real conservation and valorization of agricultural and wine lands meant to represent the natural setting, food and wine tour- ism offers a new way to enjoy holidays, combining a visit to wineries and to food tasting, local products and local dishes. Everything offers tourists the opportunity to get fully in touch with the reality of the place, through direct participation in the customs and habits of the visited rural areas that enriches them. Another important aspect of food and wine tourism is that it is practicable throughout the year, also in moments traditionally consid- ered ‘low season’. Moreover, this type of tourism is in perfect harmony with the Eu- ropean agricultural policy for the protection of the quality of food products. The positive effects of this form of tourism in the area are very important, above all for the marketing of local products. They occur also after tourists have returned to their residence, because they affect their eating habits and increase sales of such products. It should be also added that this type of tourism is placing itself more and more frequently at the center of any local tourist system thanks to the interaction of more actors interested in selling products and promoting local development. To sum up, we could say that tradition, innovation, creativity, ma- teriality and immateriality, system, social capital and networks are the elements that distinguish this compartment that can fit in the macro- category of taste. The so-called “Wine routes” are important examples; they are trips implemented in collaboration with wine farms, cottages, B & Bs, ho- tels and institutions that organize guided tours with experts in the area. Newcomers to wine tourism love nature and traditions and love

146 w i n e -a n d -f o o d t o u r i s m . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : t h e a p p e t i t e c o m e s w i t h e a t i n g diving themselves into the scents and flavors of the land in order to discover its deepest essence and to go beyond appearances.

2. Tasting the Landscape: An introduction

The landscape is the primary encyclopedia of our knowledge. The different grade of tourist appeal for different destinations and typi- cal products depends more and more on the sensitivity of everyone (inhabitant or tourist). Every subject links her/his experience with the pleasure to belong to that place. In wine and food tourism landscape is very interesting because the tourist tastes it with all her/his five senses, crossing and discovering the different places. We want to be part of it. Being part of a sort of unity with what we see, the appearance of harmonic totality that we feel at that moment; these words uttered by Tullio Pericoli clearly establish the essence of a “residential affective” linked to the beaty of the landscape. When we are in a landscape that strikes us by its grandeur and be- yond ourselves, a very pleasant feeling arises also from a sense of belong- ing. “We want to be part of it. Being part of a sort of unity with what we see, the appearance of a totality that we feel harmonic at that moment”. These words uttered by Tullio Pericoli, establish clearly the essence of a ‘residential affection’ linked to the beauty of the landscape. In food and wine tourism, then, the landscape takes on an even more exciting connotation, as it represents one of the main filters through which really motivated tourists ‘taste’ territories and their products, because, quoting Soldati, to “get serious knowledge of a wine does not mean, as you may believe, two or three sips taste, or even a bicchierotto”; it means, first, to know the precise and well-de- fined location, where the wine is made and to get some basic geologi- cal, geographical, historical, socio-economic notions. It also means to “go there, and be able to walk exactly in the middle of those vineyards which produce the wine and hang out […], far and wide, capturing the personality and the unique identity of places”, enjoying, in this way, not just the tourist experience, but also sensing the appeal of those places through the tasting of food and wine.

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In these directions food and wine tourism, if well designed, man- aged and lived in view of the integration among food, travel, territory, culture and introspection, can help create a specific type of integrated offer that can attract and stimulate ‘tourists’ interest through a mes- sage that creates geographical moods, like the smell of the must during the period of the grape harvest, or the contextualized style of property or furnishings that are inspired by the colors of the landscape. This type of tourism helps feel the spirit of the place, implementing a true ‘capture’ of the atmosphere of rural, hilly, coastal or city land- scapes […] that try to overcome the negative effects due to the impact of tourism. This may represent, therefore, a good opportunity to better understand how the indispensable value of identity and territory for men is linked to the ‘weight’ of the landscape as a representation of in- tegrated environmental, social and economic vitality and functionality.

3. Two case studies: Avellino and Benevento

The hinterland of Campania has many different kinds of land- scapes: from natural, hilly, mountainous and lake landscapes, typical of the Apennines, to man-made environments, where villages, towns, castles, villas, palaces and churches, are elements of art, nature and that highlight the historical authenticity of these places.. Specifical- ly, the Benevento-Avellino area can be divided into three main ar- eas: ‘Picentini – Alta Irpinia’, ‘Partenio’ and ‘Taburno-Camposauro’, within which are harmoniously intertwined the green hills, the smell of the air, hidden country magic, the poetry of worshipping places, the charm of lakes and rivers, “a friendly shore on which to picnic, the gaiety of a festival, a special taste and everywhere, vestiges of past his- tory that are aware of their beauty, noble, proud, stubborn and often contemptuous of the time and natural upheavals that so often led our region to change the lines of his face.”

3.1. The Picentini Park The territory of the consortium of municipalities in the mountain area of Terminio-Cervialto is an oasis of peace, a spectacular natural environment, one of the most interesting places of Southern Italy. Located in the heart of Irpinia, it is crossed by two rivers: Sele and

148 w i n e -a n d -f o o d t o u r i s m . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : t h e a p p e t i t e c o m e s w i t h e a t i n g

Calore. This territory is crossed by the ‘Picentini’ chain and has a highly significant environmental value. The large valleys, which extend to the foot of the mountains, show a deep tie to the past, but they are also the focus of a series of actions to achieve a new and more sustainable economic and social develop- ment. In recent years, people have undertaken significant and impor- tant initiatives to improve integration, enhancement and promotion of local resources for tourism. The link product-territory, that is the plot of the dynamic socio- economic, artistic and cultural relations with the surrounding envi- ronment, has always been present among the citizens of the eighteen municipalities that make up the consortium ‘Terminio Cervialto’: Bag- noli Irpino, Calabritto, Caposele, Cassano Irpino, Castelfranci, Castel- vetere sul Calore, Chiusano San Domenico, Montella, Montemarano, Nusco, Santa Lucia di Serino, Santo Stefano del Sole, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Senerchia, Serino, Sorbo Serpico and Volturara Irpina.Inside the park there is a popular tourist destination: the Plateau of Lake Laceno located in the town of Bagnoli Irpino, at 1050 m. above sea level. It is a landscape of extraordinary beauty, surrounded by green forests, streams and huge mountains, but char- acterized, also, by the striking ‘ Caliendo Cave’ (a complex of karstic cavities), “a fantastic place, easy to reach, and where you can spend holidays or weekends among nature, fun and relaxation”.

3.2. The Partenio Regional Park The Partenio Regional Park covers an area of 14,870.24 hectares and includes 22 municipalities: Arienzo, Arpaia, Avella, Baiano, Cer- vinara, Forchia, Mercogliano, Monteforte Irpino, Mugnano del Car- dinale, Ospedaletto d’Alpinolo, Pannarano, Paolisi, Pietrastornina, Quadrelle, Roccarainola, Rotondi, San Felice a Cancello, San Mar- tino Valle Caudina, Sant’Angelo a Scala, Sirignano, Sperone, Sum- monte; they are variously distributed on the territory, both in the Ap- pennines of Partenio and in the adjacent valleys, as Valle Caudina, Valle del Sabato and Vallo di Lauro Baianese.Urban centers, mostly belonging to Avellino and Benevento provinces, are located mainly in the foothills; the roads that connect them “form a circuit around the entire mountain range of Partenio.” When walking along the valleys and on the hills of Partenio-Valle Caudina area one can take paths

149 b a s i l e i v a n – c o r v i g n o m i c h e l a – d e f a b r i z i o r o b e r t o leading to places where to enjoy immaculate landscapes and beauti- ful views. The magic of these landscapes, where nature is unceas- ingly changing and renewing itself, alternates with the secular work of men which has enriched the landscape with several findings and remnants that tell the history of thousands of people who lived there, as Samnite, Greeks, Romans and Longobards. Particularly striking is the landscape in the area of Montevergine, which lies among chest- nut forests, woods of beech, hollies and Neapolitan maples. Montev- ergine is the “destination of many pilgrims, which, climbing along the […] paths […], in spite of the most comfortable cable car, climb the sacred mountain between winding roads and mule tracks, to go to the sanctuary […]”, dedicated to the Black Madonna, and founded around 1119 by the hermit St. William of Vercelli. In this way, they show the land’s spirituality.

3.3. The Taburno-Camposauro Park The Natural Regional Park Taburno – Camposauro, has an area of ​​ 12,370 hectares and includes the municipalities of Benevento: Bonea, Bucciano, Cautano, Foglianise, Frasso Telesino, Melizzano, Moiano, Montesarchio, Paupisi, St. Agata dei Goti, Solopaca, Tocco Caudio, Torrecuso and Vitulano. The park offers considerable natural resources, in a various and fascinating landscape full of important historical and cultural inter- est. A series of historical towns, villages, hamlets, ancient monasteries and shrines accompany the visitor in all the environments. The lower areas are almost all grown, forming “a spectacular mo- saic of vineyards, olive groves, orchards, vegetable gardens and small plots planted with cereals, which testify man’s presence”: the area of ​​the park was one of the main centers of Samnite civilization and theater of wars that opposed the Samnites to the Romans. Among the villages and little towns one of the most interesting is St. Agatha of the Goths (Sant’Agata dei Goti). It looks like a jewel in balance among history, art, culture and nature; a truly charming old town, surrounded by two deep, natural ditches. This portion of the territory, marked by two streams (Martorano and Riello) and the river Isclero, is characterized by an “agrarian landscape of undoubted value and by the presence of rural architec- ture, related to the use of water such as fountains, wash houses, mills,

150 w i n e -a n d -f o o d t o u r i s m . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : t h e a p p e t i t e c o m e s w i t h e a t i n g and aqueducts, but also guard towers, chapels, bridges, examples of human endeavor, which are beyond the historic centre, that is an ad- ditional immense wealth of St. Agatha of the Goths”.

4. Tradition, history and culture: Introduction

In the processes of local development it is important to focus on nature. The reticular distinction is used to “describe systems with dif- ferent characteristics especially related to situations of stability […] or systems with high gradients of mobility, flows and territorial rela- tions.” This reticularity does not need a strictly Euclidean space made of linear connections between the various points, but it acquires relative connection. These systems consist of two types of relations: horizontal (the im- mediacy of the exchange) and vertical (technical, cultural and envi- ronmental background considerations which are part of the first). But often, it is this communication to be missed: a communication that would “enable a program of activities in common.” A production system that needs a set of “micro-territorial interac- tions […] among the [possible] local strategic subjects”: “the redis- covery of the territory is a transversal element both to Sociology and Economics.”As a matter of fact the territory is an intervening variable in the development of the so-called local systems. These elements are visible through the memory of both the tangi- ble and intangible memory of the community: art, local architecture, practices and customs, local knowledge, sharing of values ​​and culture to get to the language itself that “through the use of dialects, neolo- gisms and metaphors “describes a culture ‘locally’, because if located outside this language it would be devoid of meaning.We must stop and reflect also on the notion of community local development, which was “linked to the traditional conception of production by individual members […]”. Recently, with the emergence of ‘local actors’, the concept has been extended to include all the community lifestyle, turning cultural phe- nomena (traditions, customs, etc.) into a parameter of overall growth, local development and socio-economic progress.

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A practical example of the birth of this interest is visible with the law 383/2000 on “Regulation of Associations for Social Promotion”, where tourism begins to be understood as: “preservation of historical, cultural, artistic, social and landscape heritage […].

5. Campania region

Campania is a mix of art, history, culture and nature, and it is an in- disputable fact that little or nothing is done to make this mosaic more harmonious and able to show its potential. Campania region is not only coastal tourism, but it is precisely moving from the coast towards the inside that we find many types of tourism: historical, religious and culinary. Starting from Vesuvius’s shadow, where Pompeii and Herculaneum re-emerge, we come to Pozzuoli and Misenum, ancient Roman sea centres, where even today you can see the sumptuous villas built by patricians; more to the south is located Paestum, with its temples. In the north of the Region stands the huge Royal Palace of Caserta, and moving inland there is the charm of the wild mountains and plains of Irpinia, with its wines, and nuts; and next there is the town of Benevento, where ancient cults, in the Middle Ages, originated legends about “witches” that are still vivid in the local tradition. And this is the very heart of the rapid virtual tour we have just de- fined; that is, the possibility to join those ancestral myths and worships that were in Benevento area, which connected festivals and religious holidays of the entire territory with the culture of ‘earth’. They be- come an opportunity to immerse themselves in the past, with Irpinia’s beautiful and natural landscapes, a magical place of balance between religion and nature, thanks to its many shrines. “Ointment, Ointment, take me to the walnut of Benevento. Above the water and upwind and above any bad weather”. (Magic formula that many women accused of witchcraft reported during their trials).

5.1. Food and wine “We are what we eat – or better – what we eat becomes us. In the animal realm, there is no act more intimate than that of eating; food

152 w i n e -a n d -f o o d t o u r i s m . a v e l l i n o e b e n e v e n t o : t h e a p p e t i t e c o m e s w i t h e a t i n g experience involves all the senses, because also hearing plays its role, especially in social occasions […]. After all, even the sexual act has as strong characteristics of intimacy as those that accompany the inges- tion of food”. Thus, the experience of eating is a complex fact, that comprises different elements, and that involves both the intellectual and the sen- sual spheres.

5.2. Culture of taste Culture of taste means not only talking about a particular feature of a product, but also about the place where it was born, “about the feelings that the drinking and eating act creates and […] all of those emotions that revolve around food”. In this way, spreading the knowledge of local products, allows not only to continue to revive them, but also to give them cultural value. The term ‘culture of taste’, is not placed at random, because “cook- ery is the only eloquent testimony to the culture of a region” and it is also the testimony of rural culture, made up of rural traditions and tastes, which mark, in the ‘food and wine routes’, a continuous redis- covery of old and genuine tastes, of homegrown food and recipes.

6. Wines and Food: Irpinia and Beneventan areas

The Irpinia – Benevento hinterland offers a wide range of food and wine products, which express, in a direct manner, a rural tradition still alive and present in this area. The close link with the land, environmental sensitivity and atten- tion to consumers’ health have favored the proliferation of a number of activities: cottages, farms and wineries offer the opportunity to taste products that characterize the authenticity of the place and, at the same time, promote its knowledge.

6.1 Wines Campania hinterlands show a strong vocation to viticulture, testi- fied by the presence of four DOCG wines (Registered and Certified Designation of Origin) (Fiano di Avellino, Taurasi, Greco di Tufo and Aglianico del Taburno), seven DOC wines (Registered Designation of

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Origin) (Solopaca, Falanghina, Sannio, etc.) and three IGT wines (Re- gional Geographical Indication) (Benevento, Irpinia and Campania). The Fiano of Avellino, is obtained from the vineyard having the same name, known by the Latinos population with the name of Vitis Apiana. “The value of this wine is testified by the fact that it is one of the few Italian white wines deserving aging”. The Greek of Tufo is obtained from the grapes of the ancient vine- yard Greco, the Aminea Gemina, and it is a wine from the incompa- rable typicality, with scents of peach and bitter almond. From the slopes of Taburno Mountain, a wine of great value is obtained, the Aglianico del Taburno. Its two varieties of white wines are also very famous: Falanghina and Coda di Volpe. The Sannio area numbers another DOC wine, the Solopaca. This type of wine is rich in history; this is documented by the recognition of the most ancient area of cultivation of this vineyard, the so-called classical area, located in the village of Solopaca. The production area of Sannio comprises the whole Sannio; it is a hilly area that has always practiced the cultivation of vineyards; here the weather conditions are the best ones for the perfect maturation of grapes.

6.2 The Flavors The oil tradition is equally important in Campania hinterland. Al- ready asserted in the VI c. B.C.. today this tradition continues with two extra virgin olive oils of high quality: Colline Beneventane and Sannio Caudino-Telesino. The olive groves, together with vineyards, characterize the rural landscape, giving it fascination and typicality. The gastronomic culture of the territory is completed with the produce of the underbrush, such as mushrooms (boletus edulis), wood strawber- ries and the prized black truffles of Bagnoli Irpino. Among the quality fruit cultivations of the Partenio area it is worth recalling Mortarella’s and Giffoni’s hazelnuts (IGP), Montella’s (IGP) and Serino’s chestnuts, and Malizia’s and Sorrento’s walnuts, widespread in the Vallo di Lauro and Baianese; from these walnuts the famous ‘nocillo’ is obtained; it is a popular liqueur made by the infusion of walnuts into alcohol. Deeply rooted in the territory is also the production of the sweet imperial cherry and the “annurca apple” (IGP), which is produced in almost the whole region.

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Local specialities The wisdom in elaborating the raw materials has given life to many culinary products, which represent the local typicality, such as: home- made bread, biscuits, taralli, torroncini, nougats, cakes and handmade pasta.

6.2.1. The Bread of Montecalvo Montecalvo is a village that for centuries has intertwined its his- tory with the magic: ‘janare’ (witches) and le’ bolle della malaviz- za’. But the real magic is to be found in the fields and mills: the so- called ‘saraolla’, an ancient variety of wheat, that “kept by local farm- ers, has been able to pass on its old taste to modern generations “. Also this type of bread, that has a color between ocher and brown and a fragrance that smells of yeast, flour, bran and toast, has been granted the Regional Geographical Indication.

6.2.2. The cult of pasta It is also important to remember the cult of pasta, especially be- cause of the typical “fusilli Irpini”, produced with hard wheat and handmade; the typical Samnite handmade ‘cavatelli’, ‘gnocchi’, but also the ‘lavane’ that are the thick and long egg noodles.. ‘lavane’. Moreover there is also a large variety of soups; they be- long to the peasant civilization and are made up of vegetables ‘farro’ (wholemeal) and ‘speuta’ of local production, and used to represent the typicality of the poor and rural kitchen.. Speuta is a grass grown in Casalbore and Montecalvo Irpino (two Municipal Districts of Avel- lino Province) and Benevento, and has been used for centuries for the production of bread, pasta and soup.

6.2.3. Bagels Bagels (taralli), a specialty of all the inland areas of Campania, have been prepared for centuries with the same recipe and technique of the past. A typical example are the twisted bagels, or the scaldatelli or scavuratielli, so-called because before being cooked in the oven, they are boiled, and the egg bagels, typical of San Martino Valle Caudina, where they are prepared at Easter time.

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6.2.4. Large and small Nougat In the hinterland of Campania, it is possible to find several types of nougat and torroncini (small mougats). The main production cent- ers are Ospedaletto d’Alpinolo and San Marco dei Cavoti. In Ospedaletto dAlpinolo, in the province of Avellino, there is the ancient tradition of offering the locally produced nougat during the Christmas season. Moreover the tradition says that this nougat is also consumed during pilgrimages to the nearby Shrine of Montev- ergine. In San Marco dei Cavoti, situated in Benevento province, the so-called Croccantini (small nougats), are produced; they are covered with dark chocolate, and derived from an old tradition, dating back to 1892; here every year the nougat festival is held.

6.2.5. Both in the province of Avellino and Benevento there is an an- cient tradition of dairy products, i.e. famous cheeses like Caciocavallo, Podolico Montella, Silane DOP (Protected Designation of Origin), smoked Podolico of Castelfranco, etc.), pecorino (sheep cheese), Lati- cauda Carmasciano, the so-called Braid cheese, Salaprese ricotta and butter.

6.2.6. Meat And last but not least, is the tradition of breeding. There are two specialties: the Laticauda Sheep and the White Veal of the Central Appennino. The first one is a type of sheep raised on the hills of the inland areas of Campania, particularly in the Avellino area. The Laticauda meat is very much searched for the delicacy of its flavor and fragrance, while its milk is used as a feedstock for the production of sheep cheeses, like Pecorino Carmasciano. The White veal is known for the excellent quality of its lean meat, also known as the meat of the Marches. The tenderness of this meat, the taste of delicious steaks and roast, recall the goodness and the value of Campania’s old food traditions.

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7. Conclusions

In the light of this, it appears that food and wine are culture, tour- ism, agriculture and history but, overall, they are the real wealth of Campania, and on them this region must rely in order to face and overcome the challenges of the new millennium. In order to do this, Campania culinary culture necessarily needs to be appreciated, to re- turn to a healthy relationship with the land and to recover its flavors, capable of renewing contemporary taste.First the local territorial va- rieties must be protected and only then spread to transmit a common culture of taste and a zest for life through authentic food.

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158 Nuove forme di turismo: l’Albergo Diffuso Sara Petroccia PhD student, Università degli Studi del Sannio – [email protected]

1. Premessa

Lo sviluppo e la valorizzazione del territorio presuppongono l’esi- stenza e la creazione di strumenti sempre nuovi che siano in grado di rispondere alle esigenze di una collettività in continuo mutamento. Fino a pochissimi anni fa la promozione dello sviluppo locale ha uni- to aiuti finanziari e attenzione politica all’offerta dei servizi reali alle imprese. Solo recentemente è emersa una terza linea d’intervento che incoraggia tutti quegli interventi locali che provengono dal basso, mo- dellati su ciascun territorio, integrati e pensati su un nucleo composito di attori istituzionali, sociali, imprenditoriali sia pubblici che privati. Secondo questa particolare linea interpretativa lo sviluppo locale di un luogo dipende soprattutto dalla qualità dell’ambiente socio istitu- zionale locale e dalla quantità e dalla qualità di relazioni che vengono ad instaurarsi tra gli attori del territorio. Solo l’interazione delle di- namiche locali può far emergere gli interventi e le progettualità più adatte allo sviluppo di un’area territoriale. La rinnovata attenzione alle problematiche locali evidenzia come la conoscenza del territorio, e le possibili vie dello sviluppo emergono dal confronto e dall’incontro di soggetti che popolano il panorama di uno specifico tessuto sociale ed economico. Tanto più si riuscirà a coinvolgere la società civile attorno a un progetto condiviso maggiori saranno le opportunità di riuscita dell’ intervento; la partecipazione attiva dei cittadini rappresenta un punto di forza imprescindibile per “fare sviluppo” (Rinaldi D., Gli strumenti dello Sviluppo Locale pp. 89-96 Paradigmi Sociologici per lo sviluppo locale, a cura di Gabriele Di Francesco e Everardo Minardi, Lavori in Corso, Homeless Book 2009 Faenza). Porre il consumatore al centro del mercato ha comportato la necessità di analizzare le influenze so-

159 s a r a p e t r o c c i a ciali che incidono sulle scelte del consumatore (l’uomo è un essere che può vivere e svilupparsi solo in relazione ad altre persone); in partico- lare nel presente lavoro esamineremo alcuni dei nuovi comportamenti turistici. Lo scenario attuale del turismo si caratterizza per la contempora- nea presenza di profili di domanda completamente diversi e per certi versi opposti. La tendenza all’omologazione che ha caratterizzato i tu- risti della prima, seconda e terza generazione, che ha portato a trovare ovunque gli stessi servizi e le stesse strutture sempre più simili tra loro quanto a stile, modello gestionale e standard di servizio, ha evidenzia- to la decontestualizzazione rispetto all’ambiente circostante. “Il primo hotel moderno fu il Badischer Hof costruito a Baden- Baden nei primi anni del XIX secolo. Per la prima volta una compli- cata gerarchia di segretari, portieri, maitres, camerieri, valletti, serve, fattorini serviva l’enorme complesso delle hall, delle sale ricevimento, delle sale da pranzo, da lettura, delle camere da letto, delle piscine, delle scuderie, delle terrazze, dei giardini invernali”. (Enzensberger H.M.,Una teoria del turismo, in Questioni di Dettaglio, Feltrinelli Mi- lano, 1965). Il modello del Badischer Hof è rimasto esemplare per diversi decenni. La definitiva messa a punto di questo modello si deve a Cesar Ritz che accolse la volontà della sua utenza di cambiare sti- le di vita, almeno in vacanza. Nel modello di ospitalità aritocratica di Ritz l’impatto maggiore sul cliente è dato dall’imponenza della struttura.1 (Bien H.M., Giersch U. Le etichette sulle valigie, Edicart, Legnano, Milano, 1991). Gli elementi del modello aristocratico sono poi ritrovati anche nella struttura organizzativa che è molto aricolata e verticolarizzata2. Cesar Ritz considerava l’albergo come un grande palazzo aristocratico dove tutto deve essere gradito al padrone di casa e il cliente non deve fare altro che adeguarsi. Questo modello ha finito

1. Quello che era stato per il mondo occidentale Cesar Ritz, troava esatto ri- scontro nella monarchia danubiana con l’Hotel Sacher gestito da Anna Sacher, co- struito alla fine del XIX secolo e frequentato dai principi, dagli arciduchi, e dai rappresentanti dell’industria ungherese e boema. 2. Il modello proposto da Cesar Ritz prevede che: l’albergo sia il più possibile monumentale, l’arredo, le divise del personale e l’atmosfera siano quelle di un pa- lazzo dell’arisocrazia, al numero dei posti letto corrisponda lo stesso numero di posti nel ristorante, gli orari del ristorante siano molto rigidi e gli ospititi devono adeguarsi ad essi, il servizio sia spettacolo.

160 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o col contagiare innumerevoli alberghi nel mondo e ne ha influenzato modalità e gestione. Tale filosofia con poche varianti è stata insegnata in Europa per quasi un secolo (Analisi del lavoro e strategia formativa nel settore turistico alberghiero, Ricerca Aleph/Regione Marche, 1983). Il modello era pensato per un mondo che non esiste più, esso contiene tutti i limiti di quello che il marketing chiama “orientamento del pro- dotto3 “una logica che ignora i bisogni e le esigenze del cliente. Mentre in Europa il Grand Hotel costruito sul modello Ritz imita- va edifici aristocratici, in America gli alberghi presero come modello i grandi grattacieli industriali, per i quali tanto era più alta la torre dell’edificio tanto era più importante l’impresa (Bien H.M., Giersch U. Le etichette sulle valigie, Edicart, Legnano, Milano, 1991). Negli Stati Uniti d’America nei primi anni del XX secolo, iniziarono ad occuparsi di ospitalità Contrad Hilton che poneva funzionalità ed efficienza al primo posto, egli razionalizzava e risparmiava negli ac- quisti per creare sempre nuove sinergie. Hilton costruisce gli alberghi pensando agli uomini d’affari americani che desideravano modernità ed efficienza e desideravano trovarsi a casa ovunque fossero. Il suo principio era: ognuno dei nostri hotel è una piccola America. Il mo- dello si perfezionò con Kemmons Wilson che nel 1952 con il primo Holiday Inn, a Memphis, nel Tennessee, cominciò ad offrire a quanti si trovavano fuori casa un sistema alberghiero sicuro, ospitale e stan- dardizzato. “Questo modello standard è quello che rende ogni alber- go americano vivibile perché indipendente dalla catena o dalla città, ogni stanza di albergo è uguale all’altra. Per questo vi sentite a casa vostra nell’aeroporto di Hong Kong come in quello di Stoccolma. Questo è il modello americano” (U. Eco, Il modello americano, AA VV., La riscoperta dell’America, Laterza, Bari, 1984). Ancora oggi la “qualità ospitale fabbricata in serie” è in piena espansione e adattata anche a piccole strutture esattamente come è successo per il modello Ritz.

3. Orientamento al prodotto: intorno agli anni ’30 del Novecento l’impresa si concentra sulla tecnologia del prodotto, piuttosto che sul consumatore. Il rischio di questa strategia è la cosiddetta miopia di marketing, cioè non accorgersi che il fattore chiave di successo per un’azienda non è dal lato dell’offerta ma della domanda, cioè del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare, rendendo quindi vani gli sforzi per sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più comode/economiche/ efficaci (http://it.wikipedia.org/wiki/Marketing#Sviluppi_del_marketing).

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Tuttavia negli ultimi anni sono sempre più evidenti i limiti sia dell’ospitalità tradizionale che di quella standardizzata: la ripetitività, la stessa immagine, la stessa filosofia gestionale in tutte le strutture, l’incapacità del modello di dare spazio alla cultura del luogo finiscono per paralizzare creatività, innovazione. La diversità di un albergo è una risorsa che andrebbe esaltata, mol- ti alberghi che appartengono alla scuola dello standard cercano di rappresentare le tipicità locali, ma spesso non è altro che un’operazio- ne di facciata che, più che creare un’atmosfera locale, tende a creare un ibrido, impoverendo le particolarità locali (C. Trillo, Territori del turismo, Alinea editrice, Firenze, 2003).

2. L’Albergo Diffuso

L’idea dell’Albergo Diffuso nasce a Comeglians, in Carnia (Udine) nel 1978 a seguito del terremoto del 1976, dalla necessità di utilizzare a fini turistici case e borghi disabitati, e ristrutturati a fini abitativi. La comunità locale inizia a cercare un modello di riconversione e valo- rizzazione delle risorse della montagna. Dopo anni di costante lavoro, l’AD apre finalmente i battenti nel 1999. Il modello si propone come vero e proprio sistema di gestione territoriale, dove al turista viene of- ferta l’opportunità di vivere un’esperienza unica, all’interno di borghi antichi colmi di storia e di cultura, al cospetto di una natura inconta- minata ed affascinante, dove sono state ristrutturate antiche residenze adeguandole alle esigenze di un turismo raffinato ed evoluto. Nel 1984 la Regione Emilia Romagna realizza un Progetto turistico per la Val d’Enza, con l’intento di salvaguardare il patrimonio storico ed edilizio della Valle e contemporaneamente di offrire ai potenzia- li turisti ospitalità in strutture che pur essendo autonome non sono isolate. “È previsto un piano di recupero a livello urbanistico di una serie di appartamenti, frutto di un censimento opportuno. Le aree nelle quali intervenire dovranno disporre oltre che di appartamenti da affittare ai turisti, anche di negozi, bar ed altre attività commer- ciali, mentre nel nucleo dei servizi comuni dovrebbero trovar spazio il servizio di ricezione, il ristorante, le stanze giochi per i bambini, le sale (televisione, lettura)” (Giancarlo Dall’Ara, Progetto turistico per la Val d’Enza: metodologia, in AAVV, Ricerca per la verifica di un modello

162 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o integrato di interventi operativi nell’area dell’alto bacino del fiume Enza, Regione Emilia Romagna, Bologna 1984). Ma è proprio alla fine degli anni ottanta che l’idea dell’AD as- sume contorni più chiari e comincia a essere concepita non tanto come una rete di appartamenti, quanto piuttosto come un’impresa in sintonia con la domanda, un albergo orizzontale, situato in un centro storico di fascino, con camere e servizi dislocati in edifici di- versi, seppure vicini tra di loro. La prima definizione del concept di AD viene messo a punto nel 1989 in occasione del Progetto Turismo dell’Amministrazione Comunale di San Leo, nel Montefeltro con lo scopo di: offrire ospitalità ad un turismo che altrimenti sarebbe solo escursionistico, promuovere soggiorni brevi, far conoscere un con- testo di interesse culturale, valorizzando edifici di pregio esistenti ed inutilizzati, invece di prevedere la costruzione di nuovi per farne alberghi. In questo progetto sono contenuti i requisiti chiave di un AD: la gestione unitaria, l’offerta dei servizi alberghieri, e relativi confort, per tutti gli ospiti alloggiati nei diversi edifici che lo compongono, un ambiente autentico fatto di case non per turisti ma per residenti, seppure temporanei. Per assistere alle prime parziali realizzazioni dell’idea di AD oc- corre aspettare gli anni ’90 a Borgo San Lorenzo di Sauris in Friuli4, Corte Fiorita di Bosa e le esperienze del Gal Montiferru in Sardegna, e ancora più tardi ad Alberobello in Puglia. Il modello di AD messo a punto in quegli anni cambia la prospet- tiva iniziale (recuperare case abbandonate) mettendo al primo posto in maniera esplicita l’obiettivo di riuscire a veicolare, e a proporre alla domanda, la possibilità di vivere il territorio, la vita di un borgo e la cultura dei luoghi, senza rinunciare ai comfort e ai servizi alberghieri. Le indagini sul fenomeno turistico e quelle relative alle destinazioni minori hanno messo in luce e confermato come il mercato di utenza potenziale di questo tipo di offerta sia composto da una domanda esperta ed evoluta, spesso appartenente a categorie sociali definite medio-alte, che viaggia alla ricerca di destinazioni meno affollate, e relativamente meno scontate.

4. L’apertura di Borgo San Lorenzo, come “case e appartamenti per vacanze”, è del 6 agosto 1994. Il Progetto Turismo del Comune di Sauris è del 1982.

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Nella ricerca dei vantaggi competitivi, i territori hanno utilizzato, fino a qualche tempo fa, una logica di attenzione prevalente alla cre- azione e al potenziamento di una dotazione infrastrutturale adeguata allo sviluppo. Questa logica determina la supremazia delle aree che sono in possesso di una idonea dotazione di infrastrutture. In una situazione di raggiunta parità strumentale, quindi, per essere compe- titivi è necessario ricercare altre fonti di vantaggio. Di fronte alla ne- cessità di raggiungere una differenziazione competitiva il marketing strategico permette di porre attenzione alle risorse, alle competenze ed alle capacità interne come fonte stabile del vantaggio. Le aree ter- ritoriali, quindi, potrebbero trovare nella propria dotazione storica, unica ed inimitabile di risorse e competenze, la fonte dei propri van- taggi competitivi. La dotazione tecnocratica richiede tempi lunghi e ritorni non immediati, mentre le risorse territoriali risultano al con- tempo scarsamente imitabili ed immediatamente utilizzabili. In un contesto mondiale di crisi generale in cui si trova la società attuale, caratterizzato da evidenti squilibri economici, sociali e am- bientali, è necessario trovare una via alternativa e sostenibile, che permetta di ridurre gli squilibri e di guardare al futuro con maggio- re ottimismo e relativa serenità. Sulla scia di questi trend è nata una proposta innovativa e alternativa che non provoca impatti economici, sociali e ambientali negativi, bensì positivi, grazie al coinvolgimen- to dell’intero contesto in cui si colloca, e che permette di recuperare ciò che la società moderna è riuscita a mettere da parte, insomma un qualcosa che rappresenti la massima espressione della sostenibilità in campo turistico. Le nuove generazioni di turisti si aspettano proposte nuove, più in linea con il territorio e la cultura dei luoghi. Da questo contesto trova origine lo sviluppo di alcune nuove forme di ospitalità diffusa. Da qui la diffusione e il successo dell’AD, ma cosa è un AD? Un po’ casa e un po’ albergo, per chi non ama i soggiorni in hotel; è in poche parole la nuova forma di ospitalità che prende il nome di AD. Le sue componenti sono dislocate in immobili diversi, che si trovano all’in- terno dello stesso nucleo urbano. L’aggettivo “diffuso”, denota dunque una struttura orizzontale e non verticale come quella degli alberghi tra- dizionali, che spesso assomigliano ai condomini. L’AD si rivolge ad una domanda interessata a soggiornare in un contesto urbano di pregio, a vivere a contatto con i residenti, più che con gli altri turisti e ad usu-

164 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o fruire di normali servizi alberghieri, come la colazione in camera o il servizio ristorante. L’AD si è rivelato particolarmente adatto per valoriz- zare i borghi e i paesi con centri storici di interesse artistico o architet- tonico, che in tal modo possono recuperare e valorizzare, vecchi edifici chiusi e non utilizzati ed al tempo stesso possono evitare di risolvere i problemi della ricettività turistica con nuove costruzioni. Dall’Ara, Un po’ casa ed un po’ albergo, “I Viaggi di Repubblica”, 15 Maggio 2003). La particolarità e originalità della proposta, la prospettiva di una possibile risoluzione dei problemi strutturali di parecchie realtà abbandonate, e tutti gli scenari che si potrebbero aprire qualora si adottasse in altri contesti l’idea di fondo della formula proposta, sono i fattori che do- vrebbero far nascere e crescere la curiosità sul fenomeno e spingere ad analizzarlo più approfonditamente. Che cosa sia l’AD non è molto semplice da comprendere, poiché spesso ci si limita a vederlo solo come una semplice formula di ospitalità. Provando a presentarlo brevemente, possiamo affermare che l’AD è un’innovativa e originale formula di ospitalità, caratterizzata dal forte legame con il contesto locale in cui si colloca, che diviene un importantissimo punto di forza e di differen- ziazione della sua offerta ospitale. Questa formula mira a rispondere alle esigenze del turista attuale, riuscendo ad abbinare la spontaneità e autenticità, data dal contatto diretto con la popolazione e cultura locale, al comfort dei servizi alberghieri. L’AD è anche un modello di sviluppo turistico sostenibile del territorio, poiché svolge una funzione di tra- sformazione dell’abbandono in risorsa (recupero di edifici e tradizioni abbandonate), e quindi di animatore della località, aumentandone la competitività e soprattutto l’attrattività, grazie ai suoi impatti positivi sull’intero territorio coinvolto. L’AD è un modello di ospitalità completamente italiano non solo perché è stato concepito nel nostro paese o perché nasce mettendo in rete case ristrutturate dei piccoli borghi italiani, ma perché si carat- terizza per uno stile gestionale tutto italiano, radicato nel territorio in cui vive, senza mai tradirne la storia e l’originalità, ogni AD ha un’anima e una personalità5. Porre attenzione al territorio dal punto di vista gestionale, comporta la necessità che l’albergatore non deb-

5. La personalità in un AD è un concetto nodale ed è frutto di un mix di ele- menti architettonici e strutturali, la cultura del gestore, i gesti i riti i comportamen- ti, i ritmi, i tempi della casa e i servizi offerti.

165 s a r a p e t r o c c i a ba solo conoscere le risorse turistiche del territorio ma debba viverle, debba farne esperienza. Il gestore dell’AD è una persona in grado di vedere l’AD con gli occhi degli ospiti. Ha le conoscenze necessarie di marketing e management, è disponibile a gestire il marketing del ricordo e del passaparola ed è coinvolto dalla vita, dalle attività, dagli eventi e dalla cultura del luogo. La nascita, ma soprattutto la diffusione dell’AD rientra nella ten- denza generale di evoluzione di offerta turistica, che ha fatto parlare di trend da “verticale a orizzontale”. L’AD può essere definito come un albergo orizzontale, situato in un centro storico, con camere e ser- vizi dislocati in edifici diversi, ma vicini tra di loro. Si tratta di una struttura ricettiva unitaria che si rivolge ad una domanda interessata a soggiornare in un contesto urbano di pregio, a contatto con i residenti, usufruendo dei normali servizi alberghieri (Dall’Ara, 2010: 13‑19). Si tratta di una proposta concepita per offrire agli ospiti l’espe- rienza di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri, cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni con la possibilità di alloggiare in case e camere che distano non oltre 200 metri dal “cuore” dell’AD: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro. Ma l’AD è anche un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale. Per dare vita ad un AD infatti non è necessario costruire niente, dato che ci si limita a recuperare, ristrutturare e a mettere in rete quello che esiste già. Inoltre un AD funge da “presidio sociale” animando i centri storici, stimolando iniziative e coinvolgen- do i produttori locali considerati come componente chiave dell’offer- ta. Un AD infatti, grazie all’autenticità della proposta, alla vicinanza delle strutture che lo compongono, e alla presenza di una comunità di residenti, riesce a proporre più che un soggiorno, uno stile di vita. Tale formula si è rivelata particolarmente adatta per borghi e paesi caratte- rizzati da centri storici di interesse artistico ed architettonico, che in tal modo possono recuperare e valorizzare vecchi edifici chiusi e non utilizzati, ed al tempo stesso possono evitare di risolvere i problemi della ricettività turistica con nuove costruzioni. Proprio per questo un AD non può nascere in borghi abbandonati. Questo forte legame con il territorio comporta anche che un AD non può essere gestito come se fosse solo un albergo, perché un AD è anche un modello di svilup-

166 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o po turistico territoriale, rispettoso dell’ambiente e sostenibile, proprio per questo può essere considerato come esempio, una modalità di svi- luppo locale, che può essere meglio compreso se lo si valuta all’interno del più generale fenomeno del turismo nei borghi6. Da alcuni anni il nostro Paese registra un incremento delle presen- ze nei centri minori. Il ruolo dei centri storici rappresenta storicamen- te il tratto distintivo del turismo italiano. Da pochi anni il fenomeno del turismo nei borghi comincia ad essere riconosciuto. L’ultimo rap- porto sul turismo italiano parla dei borghi definendoli una realtà che oggi sta diventando a tutti gli effetti un prodotto specifico. Nel nostro paese è presente una ampia e diffusa rete di destinazioni che si confi- gurano per divenire un prodotto autonomo più autentico e reale, ma di difficile valorizzazione7. Al fenomeno del turismo nei borghi non corrispondono ancora misure adeguate, né un approccio coerente. Il borgo è considerato come elemento di integrazione di offerte già esi- stenti sul territorio, non come un prodotto autonomo. La storia e l’attualità del turismo nei borghi può essere brevemente distinta analizzando quattro momenti che si sono susseguiti con mo- dalità piuttosto spontanee (Dall’Ara, Morandi). Grazie alla loro storia, alla loro peculiarità, alla loro posizione geografica alcuni borghi sono stati visitati da turisti e successivamente consigliati ad altre persone con prevalente accezione culturale. La posizione di alcuni borghi ita- liani ha dato vita a forme di escursionismo e di turismo breve, sull’on- da di questo fenomeno, l’offerta locale ha ben presto avviato forme di comunicazione e ha organizzato eventi di richiamo o attività di ani- mazione. La seconda fase del turismo nei borghi inizia quando si diffonde l’idea del turismo minore, cioè l’idea della necessità di un posizionamento stra- tegico per quei borghi che puntavano ad ospitare forme di turismo non

6. Il borgo è un luogo più o meno turistico ma che sfugge al turismo di massa, un luogo da esplorare e da conoscere. Un luogo in cui l’intervento umano ha man- tenuto un carattere del passato, è generalmente caratterizzato da un’impronta me- dievale o rurale, strade e vicoli pedonali, racchiuso da mura di cinta e con un centro identificato generalmente in una piazza centrale.L’atmosfera autentica e genuina è valorizzata dalla natura tipica della zona. Il borgo deve essere autentico e tradizio- nale, semplice e genuino, conviviale ed ospitale, in cui regna un ordine simbolico fato di umanità, spontaneità e autenticità delle relazioni. (liberamente tratto da “In- dagine sui visitatori attuali e potenziali dei borghi”, Doxa-Mercury 2009). 7. XVI Rapporto sul Turismo Italiano, 2009.

167 s a r a p e t r o c c i a solo di tipo spontaneo, quindi ci si rivolge ad una forma di turismo diver- so da quello dei grandi flussi del turismo culturale, e da quello dei grandi itinerari turistici abituali. Inizialmente il turismo minore è generato da flussi nazionali, perché il turismo internazionale continua a scegliere le più note città d’arte. Il posizionamento del turismo minore rappresenta anche il tentativo di rispondere alle esigenze di una domanda che chiede qualcosa di nuovo e di diverso rispetto alle mete tradizionali. In anni più recenti è cominciata una nuova fase per il turismo nei borghi che iniziano ad essere percepiti all’estero come eccellenze turi- stiche del nostro paese. Contemporaneamente i borghi percepiscono di non essere più considerati come una proposta integrativa ma come un elemento di forte richiamo per i luoghi nei quali si trovano. Inizia- no a prender vita molti progetti di reti e network tra gli stessi borghi. Il sistema di offerta locale tenta di arricchire la gamma di proposte e servizi, e di integrare le risorse naturali e storiche con quelle gastrono- miche, dando vita nelle maggior parte dei casi alle filiere8. “È proprio dai piccoli borghi che arriva un nuovo modo di fare turismo…, il sog- giorno in Italia si trasforma in una esperienza all inclusive per portare a casa una fetta di italianità”9. Un’ampia pagina di letteratura racconta del fascino dei borghi “la sedimentazione dei segni del tempo spri- giona una atmosfera: è questa la parola magica che identifica il borgo. La qualità si misura con l’atmosfera, se non vi è atmosfera non vi è qualità”10. La capacità di esprimere un linguaggio di un luogo fatto di una cultura dell’abitare e del vivere, fatto di materiali locali, di storia, di condizioni climatiche e sociali costituiscono il fascino dei borghi. Alcuni dati ci dimostrano che una nuova fase sta iniziando. Il XVI rapporto sul turismo italiano sottolinea che il turismo è molto gradito nelle città minori per le quali non si pone il problema della contrap- posizione tra turista e residente, di compatibilità tra i diversi city users

8. Con il termine filiera si intende, in senso lato, l’insieme articolato che com- prende le principali attività, le tecnologie, le risorse e le organizzazioni che concorro- no alla creazione, trasformazione, distribuzione, commercializzazione e fornitura di un prodotto finito; in senso più stretto, si intende l’insieme delle aziende che concor- rono alla catena di fornitura di un dato prodotto. Il concetto di filiera è entrato nel dibattito turistico con vari significati compreso quello di rendere fruibile turistica- mente un territorio e dipende dall’intensità delle relazioni tra i vari soggetti. 9. Klaus Davi & Co., Nei borghi a scuola di way of life”, BIT 2007. 10. Cfr.Piero Leoni, XI Rapporto sul turismo italiano.

168 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o come nelle grandi città. L’idea dei borghi ospitali inizia a delinearsi un po’ ovunque, si diffonde l’idea di quelle realtà che si caratterizzano per una vocazione ospitale che si manifesta in una attenzione ai temi della qualità, della sostenibilità e del coinvolgimento dei residenti ver- so l’ospitalità e l’accoglienza. I visitatori dei borghi devono essere coin- volti nell’atmosfera dello stesso borgo, che in questo tipo di turismo conta più di un monumento o di un museo. Le ricerche sul turismo nei borghi sono ancora poche e difficilmen- te confrontabili. Forse proprio il numero limitato di ricerche non ha ancora permesso di sviluppare la cultura e le competenze necessarie, né di individuare modalità e progettualità, in grado di condividere e suggerire soluzioni concrete, alimentando lo scetticismo sul potenziale reale dello sviluppo del turismo nei borghi. Si rende necessario av- viare azioni che riescano a stimolare la specificità dei luoghi, la loro rinascita, producendo così una cultura viva e attuale. Non c’è infatti alcun dubbio che un borgo pieno di vita, un borgo ospitale e dinamico abbia un grande potenziale, e che una rete fitta di borghi costituisca già l’asset competitivo sul quale il nostro paese può contare, senza avere concorrenti realmente in grado di competere. Una visita in un borgo deve essere percepita come la possibilità di vivere qualcosa di nuovo, di accedere a uno stile di vita diverso da quello abituale non scontato e senza mai perdere la capacità evocativa intrinseca nel borgo stesso. I tu- risti che arrivano nei borghi dovrebbero essere considerati in maniera diversa rispetto ai turisti che arrivano nelle altre destinazioni. Dovreb- bero essere considerati come invitati, persone che stiamo aspettando e per le quali abbiamo preparato qualcosa di speciale. Se questa ipotesi dovesse rivelarsi esatta, allora i borghi si trovano a avere uno spazio nuovo proiettato in una nuova forma di accoglienza ed ospitalità. Uno dei temi chiave dello sviluppo dei borghi è quello del network: occorre stimolare la nascita di reti per fare si che i borghi si trasformi- no in un prodotto di marketing. Le reti non devono costituirsi come semplice assemblaggio di prodotti esistenti perché non potrebbero arricchire l’offerta di un borgo solo perché sono in grado di aggiun- gere altri elementi e tantomeno devono essere considerate tattiche per essere più competitivi, ma come obiettivi strategici11.

11. In un paese del Galles, Hay on Way di appena 1500 abitanti, un antiquario vi aprì una libreria piena di libri vecchi usati e antichi, un posto dove trovare titoli

169 s a r a p e t r o c c i a

I borghi, come le altre destinazioni che puntano sul turismo, cor- rono il rischio di assomigliarsi sempre più e per questo diventare fa- cilmente sostituibili, affermare la propria identità, è diventato fonda- mentale. “Loggette, portici e case che rappresentavano lo stemma dell’umil- tà, piccole strade ripide, si dipanano come l’ingresso ad un mondo e si configurano come un racconto di un mondo che non c’è più, ma che periodicamente torna prepotentemente di attualità nella vita quotidiana di ognuno di noi, come dimostra la seconda giovinezza delle erboristerie, dei mercatini, delle medicine naturali, della cucina tradizionale…”12. Il racconto è un modo di organizzare una proposta seguendo una trama. La scelta di puntare sul racconto del luogo può aggiungere ai servizi della località un forte tratto di personalizzazione e originalità, permettendo all’ospite di entrare in quella storia e farne parte. Una visita e un servizio turistico possono offrirlo tutti, il rac- conto è un modo di renderlo unico dando un senso particolare a una esperienza legata al territorio e alla specifica situazione. Il racconto è anche un modo per instaurare un rapporto con il cliente; la costruzione di una trama va considerata come un’occasione per ripensare alla propria identità, non solo raccontando il passato, ma inserendo il visitatore in una storia che prosegue con idee e progetti. La scelta delle storie da raccontare deve essere funzionale al luogo: far entrare i visitatori nella storia del luogo. La narrazione del territorio dovrebbe essere comune e condivisa. Tutti gli operatori del borgo do- vrebbero imparare ad andare oltre la loro funzione tradizionale. Do- vrebbero trasformare i servizi e prodotti in racconti, lasciando entrare le persone nelle loro storie, a far vivere il territorio13. Chi arriva in un introvabili altrove. Sul suo esempio furono aperte altre librerie. Si stima che oggi ad Hay on Way vi siano 38 librerie che ogni anno arrivino oltre 300 mila persone inte- ressate ai libri e alla cultura. Questo esempio di successo ha contagiato altri 12 pic- coli paesi d’Europa, tra cui Montereggio (Toscana). I paesi del libro oggi sono con- sorziati in una rete europea, e organizzano eventi legati ai libri e sono frequentati durante tutto l’anno da scrittori, editori e semplici turisti. 12. Descrizione ripresa dal Piano di Sviluppo Turistico di Canale di Tenno e presenta il concept del borgo come racconto. 13. Nella campagna di Trevi per coinvolgere i visitatori nel borgo e per stimo- lare la fedeltà, il desiderio di scoperta, il ritorno e il passaparola, gli operatori turi- stici hanno ideato e proposto il diario di un soggiorno a Trevi, consegnato agli ospiti, con l’intento a utilizzarlo, a scrivere commenti, recensioni, racconti o sempli-

170 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o borgo desidera trovare conferma della propria scelta anche nelle strut- ture ospitali e ricettive. Il problema è orientare il borgo soprattutto nei servizi ospitali, accentuare il senso del luogo nell’arredo, nella scelta dei materiali, nelle scelte degli aspetti strutturali, nelle procedure e ser- vizi: creare insomma un’atmosfera coerente, la conoscenza territoriale non può essere data per scontata. Sicuramente tra i servizi ricettivi di un borgo, particolare attenzione dovrebbe essere data all’ospitalità dif- fusa, capace di proporre autenticità e nel riuscire a veicolare la cultura immateriale del luogo. Una delle modalità più semplici di integrazione del territorio per un turista sono i cosiddetti “Rimandi”. Per adottare questo approccio occorre concepire strumenti che permettano di far sapere al visitatore che esistono altre cose da vedere rispetto ad un argomento, ad un tema e che esistono percorsi legati allo stesso tema. I rimandi, dunque non sono altro che informazioni, raccomandazioni che hanno l’obiettivo di stimolare i turisti a conoscere il territorio nelle sue specializzazioni, e soprattutto devono evidenziare che un territorio non è mai conosciuto fino in fondo e può sempre riservare piacevoli sorprese. Tutto questo dovrebbe prolungare i periodi di soggiorno e offrire sempre nuovi argomenti per conoscere e visitare il territorio. Il tema dei Rimandi è connesso ad altri aspetti chiave dello sviluppo turistico di un borgo: la fidelizzazione dei visitatori, lo stimolo a effettuare nuovi soggiorni o il prolungamento della loro durata. (Dall’Ara, Morandi). I vari soggetti sono coinvolti al fine di incentivare lo sviluppo equi- librato e sostenibile contribuendo alla definizione della vocazione e dell’immagine del territorio stesso. È sempre il territorio che con la sua ricchezza e peculiarità può aumentare il valore della proposta e renderla sempre più competitiva. In particolare le potenzialità e le ri- sorse presenti nel territorio, possono diventare prodotti e attrattori turistici se messe in rete, gestite e declinate dallo stesso territorio. I turisti dei borghi pensano di acquistare un prodotto nuovo e com- plesso, dato dalle risorse del territorio e dalle possibilità di vivere e di sperimentare uno stile di vita diverso da quello abituale. cemente per portarlo a casa come un souvenir da regalare ad amici e favorire il passaparola. Inoltre il diario contiene l’indirizzo web della comunità per dare un riferimento costante agli amanti di Trevi e che vogliano inviare foto, filati del loro soggiorno a Trevi. Il diario è anche pensato per essere restituito al Comune dai tu- risti per permettere di valutare i commenti e migliorare l’ospitalità e l’accoglienza.

171 s a r a p e t r o c c i a

Sempre più turisti manifestano in questi ultimi anni la volontà di conoscere luoghi visitati nella loro autenticità e di riscoprire le cul- ture e le tradizioni locali, nel pieno rispetto dell’ambiente culturale. La componente emotiva è in forte crescita e le aspettative sono con- dizionate dalle relazioni con il contesto, con gli individui e con la ri- cerca di convivialità, autenticità, tradizione e bellezza. In un territorio ricco di storia e tradizione locale come quello italiano, la chiave per riqualificare il territorio è la qualità sociale, puntare sull’eccellenza. Sull’individuazione delle eccellenze si è incentrata una recente ricerca del Censis (L’Italia dei territori, Censis, 2009); l’analisi ha riguardato l’insieme dei territori d’eccellenza14, degli aggregati dei comuni, cui è stata data la denominazione UTECO (Unità Territoriali Complesse) e che rappresentano una evoluzione dei distretti e dei sistemi locali. Nel costruire la mappa dei territori d’eccellenza sono stati presi in considerazione i territori produttivi e le zone di maggiore attrattività culturale e turistica. “L’eccellenza si definisce attorno ad una pluralità di attori che contribuiscono alla capacità di organizzazione interna del territorio, ma al tempo stesso a quella di promozione per l’esterno tramite la riconoscibilità e la propria specificità. In questa prospettiva gli attori locali devono assumere consapevolezza di come la qualità del territorio passi attraverso la messa in rete di tutte le risorse […]. Consapevoli che la qualità è un bene che deve essere mantenuto e alimentato nel tempo, la capacità di innovare, di cambiare, di ade- guarsi ai mutamenti degli scenari di riferimento, costituisce una con- dizione imprescindibile per far migliorare la qualità del territori nel tempo” (L’Italia dei territori, Censis, 2009 pag. 45, 46). Si ritiene che per sviluppare l’eccellenza del territorio sia indispensabile la presenza di un governo locale forte e affidabile (una politica in grado di inci- dere efficacemente e con rapidità sul sistema locale) e una cultura del territorio diffusa che guardi in una prospettiva di integrazione tra tradizione culturale, enogastronomica e produttiva.

14. I principali fattori dell’eccellenza sono: una organizzazione efficiente del territorio, una capacità di reperire risorse finanziarie, una cura continua degli spazi pubblici, una cultura collettiva verso la promozione dello sviluppo del territorio, un territorio fortemente interessato alle relazioni internazionali. Solo strategie comuni, capaci di soddisfare e mediare i numerosi interessi presenti a livello locale, consen- tono di realizzare un progetto unitario per il territorio. Il conflitto fra i soggetti lo- cali rende impossibile l’eccellenza.

172 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o

La maggior parte dei Paesi europei che da tempo hanno imple- mentato forme di classificazione dei comuni turistici, sembrano in grado di offrire spunti di riflessione e una solida base sperimentale sulla quale verificare l’impatto di eventuali politiche generali o lo- cali di sostegno. In Italia, attualmente, il turismo nei borghi e in alcuni casi anche gli Alberghi Diffusi attendono una specifica e compiuta disciplina giuridica. La crescente attenzione che si registra per il turismo nei centri minori sollecita oggi la necessità di un intervento regolamentare per definire i contorni del fenomeno ed organizzare un modello norma- tivo idoneo a favorirne la crescita. L’importanza socio economica as- sunta dalla sua diffusione ha richiamato l’attenzione di alcune realtà impegnate a sperimentare nuove forme di fruizione del territorio. A livello Regionale si registrano i primi tentativi di introdurre una disciplina specifica per l’ospitalità nei borghi, con l’obiettivo di age- volare la creazione di sistemi organizzati di ospitalità, sollecitare ac- cordi commerciali tra gli operatori, incentivare la creazione di nuovi prodotti turistici e avvantaggiare l’offerta turistica locale. Assunta la competenza esclusiva delle Regioni in materia di turi- smo, da più parti sono state manifestate concrete esigenze di regola- mentazione del settore, sia sotto il profilo amministrativo che sotto quello legislativo. Rispetto alle richieste di intervento normativo o di provvedimento ai pubblici poteri si registrano solo pochi casi di regolamentazione. In assenza di disposizioni specifiche relative allo sviluppo di attività turistiche nei borghi, alcun regioni italiane intervengo- no con gli ordinari interventi di promozione e di finanziamen- to, nell’ambito di programmi già consolidati. Innumerevoli sono i vantaggi di introdurre una regolamentazione per il turismo nei borghi: intervenire con nuove norme per regolare un fenomeno in forte espansione presenta il vantaggio per i luoghi interessati di ottenere un riconoscimento formale della propria offerta ospita- le. Si può considerare inoltre la possibilità di adottare misure di cooperazione tra territori, favorendo provvedimenti mirati per lo sviluppo locale. A ciò va aggiunta la possibilità di assecondare l’af- fermazione di un brand originale, tipicamente italiano, in grado di attrarre flussi turistici rilevanti anche dall’estero. Si potrebbe così

173 s a r a p e t r o c c i a ottenere la promozione dei piccoli centri urbani, incrementare il turismo nelle zone interne, valorizzare alcuni territori a maggiore vocazione turistica, diversificare l’offerta turistica, attrarre nuovi segmenti di domanda, presentare prodotti d’area e servizi innova- tivi, potenziare la capacità ricettiva con il recupero del patrimonio edilizio esistente, analogamente a quanto accade per l’AD in alcu- ne Regioni, costituiscono altri potenziali traguardi. La previsione espressa di uno specifico regime giuridico per il turismo dei borghi consentirebbe anche di perseguire alcuni obiettivi più ambiziosi e forse ancora più interessanti. Una nuova definizione giuridica del fenomeno permetterebbe di valorizzare le peculiarità e le esigenze specifiche nei piccoli contesti abitativi e nei centri storici, indivi- duando nel caso anche deroghe agli strumenti urbanistici. Si può aggiungere l’eventualità di adottare un sistema di classificazione delle località interessate che tenga opportunamente conto delle diversità territoriali e delle diverse vocazioni. Inoltre, andrebbe evidenziata e valorizzata la tipizzazione del turismo nei borghi permettendo l’implementazione di nuove politiche pubbliche di informazione e accoglienza, promozione e sostegno, valorizzazione e sviluppo, attribuendo alle nuove entità giuridiche finanziamenti pubblici dedicati. In definitiva, nonostante i primi tentativi di regolazione della ma- teria, il turismo nei borghi non ha ancora ricevuto un assetto rego- lamentare sicuro e non dispone di norme intorno a cui costruire il proprio sviluppo. L’esigenza di disciplina e delle organizzazioni turistiche e dei servizi di ospitalità nelle comunità locali e nei centri minori, non più, purtroppo avvertita con la stessa urgenza nelle diverse realtà regionali. La possibilità di fare riferimento a un complesso di prin- cipi condivisi dovrebbe portare qualche concreto giovamento allo sviluppo turistico dei borghi. Al centro del tema si pongono questioni di carattere operativo, strettamente connesso con l’identificazione del nucleo stabile e cen- trale di riferimento, in grado di guidare e indirizzare lo sviluppo di modalità di offerta: creazione di nuovi prodotti turistici, organizza- zione del sistema di ospitalità diffusa, strutturazione dei servizi di informazione ed accoglienza, realizzazione delle iniziative di pro- mozione ed inserimento nei circuiti internazionali.

174 n u o v e f o r m e d i t u r i s m o : l’a l b e r g o d i f f u s o

L’inquadramento giuridico del turismo nei borghi, l’individua- zione del borgo ospitale e l’identificazione normativa dei soggetti interessati possono certamente favorire l’adozione di scelte più con- sapevoli e la realizzazione di azioni più efficaci.

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New forms of tourism: the Albergo Diffuso Sara Petroccia PhD Student, University of Sannio – [email protected]

1. Foreward

The development and enhancement of an area imply the existence and the creation of new tools, new methods and new activities able to meet the needs of a community in constant change. Until a few years ago, the promotion of local development com- bined financial help and political attention to provide real services to businesses. Only recently a third line of action has emerged; it encour- ages all those local actions that come from below, modelled on each area, designed and built by a group of institutional, social, public and private actors. According to this interpretation the local development of a site depends largely on the quality and the number of relations that are established between the local institutions and the actors of the territory. Only the interplay of local dynamics can bring out the best actions suitable to the development of a territory. The renewed attention to local issues shows how the knowledge of the territory, and the possible developmental routes come out of the comparison and the meeting of the group of people from a specific so- cial and economic area. The greater is the involvement of civil society around a shared project the greater the chances of success will be; the active participation of citizens is an unavoidable strength to “promote development”. Putting consumers at the centre of the market, has implied for us the need to analyze the social influences that determine their choices (Man can only live and develop in relation to other people); in particular, in this paper, we want to analyze some of the new tourism behaviours. The current tourism view is characterized by the presence of demand profiles that are completely different from each other and somehow totally opposite. The trend that has characterized the standardization

177 s a r a p e t r o c c i a of the tourists of first, second and third generations, that has produced the same services anywhere and the same structures more and more similar to each other in style, managerial model and service standards, has highlighted the decontextualization from the surroundings. The first modern hotel was built by Badischer Hof in Baden-Baden in the early nineteenth century. For the first time a complicated hier- archy of secretaries, janitors, maitres d’hotel, waiters, valets, servants, messengers served the enormous complex of halls, reception rooms, dining rooms, reading rooms, bedrooms, swimming pools, stables, terraces, winter gardens.1 (Bien H.M., Giersch U. Le etichette sulle valigie, Edicart, Legnano, Milano, 1991). Badischer Hof’s model has been followed for several decades. The final development of this model was made by Cesar Ritz who welcomed the willingness of users to change their lifestyle, at least while on holiday. In the aristocratic model of Ritz’s hospitality, the greatest impact on the customer is given by the imposing structure of the hotel. The elements of the aristocratic model are also in the or- ganizational structure that is very articulated2. Cesar Ritz had consid- ered the hotel as a great aristocratic building, where everything must be acceptable to the landlord and the customer must only conform. This model has influenced many hotels’ management in the world. This philosophy has been reproduced with few variations in Europe for nearly a century. (Analisi del lavoro e strategia formativa nel settore turistico alber- ghiero, Ricerca Aleph/Regione Marche, 1983”). The model was designed for a world that no longer exists; it con- tains all the limits of what in marketing is called “orientation of the product”, a logic that ignores the customer’s needs and demands.3

1. What was Cesar Ritz for the Western world, was accurately reflected in the Danubian monarchy by Anna Sacher Sacher Hotel, built in the late nineteenth cen- tury with the participation princes, archdukes, and representatives of the Hungar- ian and Bohemian. 2. The model proposed by Cesar Ritz provides that: the hotel can be as monu- mental, the furniture, the uniforms of the staff and atmosphere are those of a palace aristocratic, the number of beds matches the same number of seats in the restaurant, the time of lunch and dinner at the restaurant are very rigid and guests must adapt to them, the service is like a show. 3. Product orientation: around the 30s of the twentieth century the company focuses on product technology, rather than on the consumer. The risk of this strategy

178 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

While in Europe the Grand Hotel built on Ritz’s model imitated aristocratic buildings, in America hotels took as a model the big in- dustrial skyscrapers, for which the taller was the tower of the building more important was the company. (Bien H.M., Giersch U. Le etichette sulle valigie, Edicart, Legna- no, Milano, 1991). In the United States of America in the early twentieth century, Contrad Hilton began to deal with hospitality, putting functionality and efficiency in the first place; he used to rationalize and save in purchases in order to create new synergies. Hilton built the hotels having in mind American businessmen who wanted modernity and efficiency, and wished to feel at home wherever they were. His princi- ple was: each of our hotels is a little America. (U. Eco, Il modello americano, AA VV.. The model was improved by Kemmons Wilson in 1952 with the first Holiday Inn in Memphis, Tennessee; he began to offer to all those who were away from home a safe, friendly and standardized hotel. “This standard is what makes any American hotel worth living in, independent from the chain or from the city; every hotel room is equal to the others. That is why you feel at home both at the Hong Kong airport and at Stockholm one. This is the American model. “(U.Eco, Il modello americano, AA VV., La riscoperta dell’Ameri- ca, Laterza, Bari, 1984). Still today, the “quality of Ospitalità Diffusa manufactured in se- ries” is booming and adapted to small structures just as it had hap- pened to the Ritz model. However, in recent years, the limitations both of the traditional hospitality and of the standardized one are becoming more and more common: repetition, the same image, the same managerial philosophy in all structures, the inability of the model to give room to local cul- ture end up paralyzing creativity and innovation. (C. Trillo, Territori del turismo, Alinea editrice, Firenze, 2003). The diversity of a hotel is a resource that should be exalted; many is the so-called marketing myopia, that is the key of success for a company: not the demand but supply side, ie the need or function that must satisfy the customer, thus making rooms efforts to support a product if there are alternative technologies more comfortable/economical/efficient.(http://it.wikipedia.org/wiki/Marke­ting#Svi­luppi_ del_marketing).

179 s a r a p e t r o c c i a hotels that belong to the standard traditional school try to represent local typicalities, but it is often nothing more than an apparent op- eration that, rather than creating a local atmosphere, it produces a hybrid, depleting local particularities.

2. The Albergo Diffuso

The idea of the Albergo Diffuso was born in Comeglians in Carnia (Udine) in 1978 following the earthquake of 1976, by the need to use empty villages and houses for tourism, and the renovated ones for resi- dential purposes. The local community started to look for a model of conversion and enhancement of the resources of the mountain. After years of constant work, the Albergo Diffuso finally opened its doors in 1999. The model is meant as a proper system of territorial manage- ment, where the visitor is offered the opportunity to live a unique experience, in ancient villages filled with history and culture in the presence of an untouched and fascinating nature, where old homes are refurbished and adapted to the needs of a refined and evolved tourism.” (Giancarlo Dall’Ara, Progetto turistico per la Val d’Enza: metodologia, in AAVV, Ricerca per la verifica di un modello integrato di interventi operativi nell’area dell’alto bacino del fiume Enza, Re- gione Emilia Romagna, Bologna 1984.)”. In 1984 Emilia Romagna Region produced a tourism project for Val d’ Enza, with the aim to preserve the historical and architectural heritage of the Valley and at the same time to offer potential tourists accommoda- tion in autonomous but not isolated structures. “It ‘will be a redevolop- ment plan in a series of urban apartments, as the result of an appropri- ate census. The areas will have some apartments for rent to tourists and shops, bars and other businesses, while in the core area of the common services – the reception service, restaurant, games rooms for children, halls (TV, reading rooms)- should find room “Giancarlo Dall’Ara, Pro- getto turistico per la Val d’Enza: metodologia, in AAVV, Ricerca per la verifica di un modello integrato di interventi operativi nell’area dell’alto bacino del fiume Enza, Regione Emilia Romagna, Bologna 1984.)” But it is at the end of the eighties that the idea of Albergo Diffuso becomes clearer and begins to be conceived not as a network of apart- ments, but as a business company tuned with demand, a horizontal

180 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o hotel, located in a charming old town, with rooms and services locat- ed in different buildings, but close to one another. The first definition of the concept of Albergo Diffuso developed in 1989 with the Tourism Project of San Leo Municipality, in Montefeltro area with the aim of: providing accommodation for a tourism that would, otherwise, be of the excursion type only, promoting short stays, publicizing the con- texts of cultural interest, enhancing existing and unused prominent buildings, instead of planning the building of new hotels. This project contains the key requirements of an Albergo Diffuso: the single management, the supply of hotel services and connected facilities for all the guests staying in the various buildings that make it up, an authentic area made of houses not for tourists but for residents, albeit temporary ones. To admire the first implementation of the idea of Albergo Diffuso we have to wait until the nineties at Borgo San Lorenzo, Sauris in Friuli 4, Corte Fiorita in Bosa and the subsequent experiences of Gal Montiferru in Sardinia, and later at Alberobello in Puglia. The model of Albergo Diffuso, that was developed in those years, changed the initial idea (to recover abandoned houses) and put as its primary explicit objective, to convey, and to propose, the possibility to live the territory, the village life and the local culture, without ignor- ing facilities and hotel services. The investigation of the phenomenon of tourism and taking into consideration also those connected with minor destinations have highlighted and confirmed that the market of the potential users of this type of offer is composed of experienced and demanding customers, often belonging to medium/high social classes, who travel looking for less crowded destinations, and rela- tively less predictable ones. In the research of competitive advantages, the territories have used, until recently, the prevailing logic of creating and strengthening an adequate infrastructural development. This logic determines the supremacy of the areas that have an appropriate number of infrastruc- tures. In a situation of instrumental equality, therefore, in order to be competitive you need to look for other sources of advantage. As it is necessary to have a competitive differentiation, strategic marketing

4. The opening of Borgo San Lorenzo, as “houses and apartments,” is on Au- gust 6th, 1994. The Project is of Municipality of Sauris – Tourism in 1982.

181 s a r a p e t r o c c i a allows to pay attention to resources, to internal skills and abilities as a stable source of advantage. Territorial areas, therefore, could find in resources and expertise- their unique and inimitable historical en- dowment-, the source of their competitive advantages. Technocratic tools require long times with no immediate returns, while territorial resources can be used immediately are not easily imitable and imme- diately available. In a global context of general crisis in which modern society is characterized by obvious economic, social and environmen- tal imbalances, it is very important to find an alternative and sustain- able way, so as to reduce the imbalances and to look at the future with greater optimism and relative serenity. In the wake of these trends an innovative and alternative proposal was created. It does not cause significant economic, social and environmental effects, indeed it allows to involve the entire context in which it ap- pears, and allows you to recover what modern society has been able to set aside; in short, something that represents the maximum expres- sions of sustainability in tourism. The new generations of tourists ex- pect new proposals, more in line with the territory and the culture of the places. From this context the development of some new forms of Ospitalità Diffusa stems. (G. Dall’Ara, Un po’ casa ed un po’ albergo, “I Viaggi di Repubblica”, 15 Maggio 2003) Hence the spread and success of the Albergo Diffuso; but what is an Albergo Diffuso? A mix of a house and a hotel, for those who do not like hotel stays, in a nutshell. It is the new form of hospitality. Its parts are located in different buildings, which are within the same ur- ban core, like in a cluster. The adjective Diffuso denotes a horizontal, not vertical structure like in traditional hotels, which often resemble condominiums. The Albergo Diffuso caters for a tourism interested in staying in an urban, valuable context, to live in contact with the residents, rather than with the other tourists and enjoy normal hotel services such as breakfast in own room or restaurant. This new kind of accommodation has proved particularly suiteable to enhance the towns and villages with historical centres of artistic or architectural interest, which thus can restore and enhance old, shut and unused buildings, and, at the same time, can avoid solving the problems of tourist accommodation with new buildings. G. Dall’Ara, Un po’ casa ed un po’ albergo, “I Viaggi di Repub- blica”, 15 Maggio 2003)

182 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

The uniqueness and originality of the proposal, the prospect of a possible solution of the structural problems of several abandoned areas, and all the scenarios that could open up if it were adopted in other contexts, the basic idea of the proposed formula, are the fac- tors that have given birth to curiosity and to the desire to analyze the phenomenon in more details. What is the Albergo Diffuso? It is not very easy to understand, because we often limit ourselves only to see it as a simple formula of hospitality. Trying to present it briefly, we can say that the Albergo Diffuso is an innovative and original formula of hospitality, characterized by strong ties to the local context where it is located, which becomes an important strength and differentiation of its hospitality offer. This formula is designed to meet the needs of today’s tourists, managing to combine spontaneity and authenticity, granted by the direct contact with the local population and culture, with the comfort of hotel services. The Albergo Diffuso is also a model of sustainable tourism development of the territory, since it transforms dismissed areas into new resources (recovery of abandoned buildings and traditions), and so it becomes an animator of the village, increas- ing competitiveness and attractiveness thanks to its positive impacts on the entire, involved territory. The Albergo Diffuso is a completely Italian model of hospitality, not only because it was conceived in our country or because it comes through the networking of renovated houses of Italian villages, but because it is characterized by an all-Italian management style, rooted in the territory in which people live, without betraying its history and originality. Each hotel has a soul and a personality5. Paying attention to the territory from the management point of view, implies that the landlord should not only know the tourist resources of the territory bu he must live them, through direct experience. The manager of the Albergo Diffuso is a person able to see through the eyes of guests. He has the necessary knowledge of marketing and management, is avail- able to manage the marketing of memory, and to pass the word; he is also involved in the life, activities, events and culture of the place. (Dall’Ara G., Manuale dell’Albergo Diffuso. L’idea, la gestione, il

5. The personality of an AD is a nodal concept and is the result of a mix of archi- tectural and structural elements: the culture of the operator, the gestures, the conduc- tion of the rites, the rhythms, the timing of the home and the services offered.

183 s a r a p e t r o c c i a marketing dell’ospitalità diffusa pp. 13-19 Scienze e Professioni del turismo, Franco Angeli s.r.l. 2010 Milano). The birth, but above all the spread of the Albergo Diffuso, falls into the general trend of tourism from “vertical to horizontal”. The Albergo Diffuso can be defined as a horizontal hotel, located in the historical centre, with rooms and services located in different buildings, but close together. This is an accommodation that caters for tourists interested in staying in an urban, valuable context, in con- tact with the residents, taking advantage of the normal hotel serv- ices. (Dall’Ara G., Manuale dell’Albergo Diffuso. L’idea, la gestione, il marketing dell’ospitalità diffusa pp. 13-19 Scienze e Professioni del turismo, Franco Angeli s.r.l. 2010 Milano) This is a proposal designed to offer guests the experience of living in a town centre or countryside, backed up by all the hotel services, that is, hospitality, service, restaurant, common areas and services, with the possibility to stay in houses and rooms that are located no more than 200 meters from the “centre” of the Albergo Diffuso: the building in which reception, common areas and dining area are lo- cated. The Albergo Diffuso is also a model of land development that does not create environmental impacts. To create an Albergo Diffuso is not necessary to build anything, since we limit ourselves to recover, restructure and create a network of what already exists. An Albergo Diffuso also serves as a “social place” animating the historic centres, stimulating initiatives and engaging the local producers considered as a key component of the offer. As a matter of fact an Albergo Diffuso, thanks to the authenticity of the proposal, the proximity of the struc- tures that compose it, and the presence of a community of residents, is able to offer more than a living room: a true lifestyle. This formula has proved particularly suitable for small villages and town centres of artistic and architectural interest, that, in this way can restore and enhance closed and unused, old buildings and at the same time can avoid solving the problems of tourist accommodation with new build- ings. For this reason an Albergo Diffuso cannot be set up in aban- doned villages. This strong bond with the land also means that an Al- bergo Diffuso cannot be handled as if it were just a hotel, because it is also a model of an environmentally sustainable tourism development planning; for this it can be considered as an example, a form of local

184 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o development, which can be better understood if it is evaluated within the more general phenomenon of tourism in villages and hamlets6. For several years our Country, has been recording an increase of attendance in smaller towns. The role of historical centres is the dis- tinctive hallmark of Italian tourism. In the past few years the phenom- enon of tourism in villages has started being recognized. The latest report on Italian tourism speaks of villages that are a reality that is now becoming a true specific product(asset). In our country there is a widespread network of destinations that are expected to become an independent, more authentic and real product, but difficult to be appreciated7. To the phenomenon of tourism in villages there are not yet adequate measures and a consistent approach. The village is con- sidered as an element of integration of existing offerings in the area, not as a stand-alone product. (Dall’Ara G.,F. Morandi Il Turismo nei borghi. La normativa il mar- keting e i casi di eccellenza, Nuova Giuridica, MC) The history and relevance of tourism in villages can be briefly ana- lyzed through four separate moments that have followed in a rather spontaneous manner (Dall’Ara G., F. Morandi Il Turismo nei borghi. La normativa il marketing e i casi di eccellenza, Nuova Giuridica, MC). Due to their history, their peculiarities and their geographical lo- cation some villages have been visited by tourists and subsequently recommended to other people with the prevailing cultural sense. The position of some Italian towns has given rise to forms of hiking and short tourism and because of this phenomenon, the local hospitality has initiated forms of communication and has organized events to at- tract attention or entertainment activities. The second phase of tourism in villages starts when the idea of short

6. The village is a place more or less touristy, but beyond the reach of mass tou­ rism, a place to explore and learn. A place where human intervention has main- tained a character of the past, is generally characterized by a medieval or rural roads and pedestrian lanes, enclosed by walls and generally identified with a center in a square centrale. The atmosphere authentic and genuine is valued by the local nature of the area. The village must be authentic and traditional, simple and genuine, friendly and hospitable, a symbolic order which reigns fate of humanity, spontane- ity and authenticity of the reports. (from”Indagine sui visitatori attuali e potenziali dei borghi”, Doxa-Mercury 2009). 7. XVI Report on Italian Tourism, 2009.

185 s a r a p e t r o c c i a tourism spreads, that is the idea of the need for a strategic location for those villages that aimed to accommodate not only spontaneous forms of tourism; so we turn to a form of tourism different from the large flows of cultural tourism, and from the usual, important tourist routes. Initial- ly, lower tourism is generated by national people, because international tourism continues to choose the most famous places of art. The position- ing of minor tourism is also an attempt to meet the needs of a demand that asks for something new and different from traditional destinations. In more recent years a new phase for tourism in the villages has begun: it started to be perceived abroad as a tourist excellence of our country. At the same time villages perceive that they are no longer considered as an additional proposal but as an element of strong appeal for the places where they are. A lot of network projects begin to take place among the same villages. The local system wants to expand its range of offers and services, and integrates natural and historic resources with the culinary offering; the result, in most cases, is the beginning of spin-offs8. “It is just from small villages that a new kind of tourism originates…, the stay in Italy becomes an all-inclusive one like an experience to take home some “italianità”9. An extensive literature tells of the charm of the suburbs “The sedimentation of the time releases an atmosphere: this is the magic word that identifies the village. Quality is measured with the atmosphere, if there is no atmosphere there is no quality”10. The ability to express the language of a place made up ​​of the culture of life, of local materials, his- tory, climatic and social conditions constitute the charm of the villages. Some data show that a new phase is beginning. The sixteenth report on Italian tourism points out that tourism is very popular in smaller places where there is not the problem of conflict between the compat- ibility of tourist and resident or compatibility among the various city users like in big places. The idea of hospitable villages began to take

8. The term spin-off refers, broadly speaking, at the continuous range which includes the main activities, technologies, resources and organizations that contrib- ute to the creation, processing, distribution, marketing and delivery of a finished product, in the strictest sense, is the set of companies that contribute to the supply chain of a given product. The concept of tourism industry has entered into discus- sions with various meanings, including the right to make available a tourist area and depends on the intensity of the relationships between the various actors. 9. Klaus Davi & Co., Nei borghi a scuola di way of life”, BIT 2007. 10. Cfr.Piero Leoni, XI Report on Italian Tourism.

186 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o shape a little everywhere, spreading the idea of those realities that are characterized by a vocation that is manifested in a friendly attention to issues of quality, sustainability and the involvement of residents to hos- pitality and welcome. Visitors should be involved in the atmosphere of the village itself, that in this type of tourism has more importance than a monument or a museum. Researches on tourism in the villages are still few and difficult to com- pare. Maybe the limited number of researches has not yet managed to develop the culture and skills necessary to identify modes and projects, able to share and suggest concrete solutions, fuelling skepticism on the real potential of tourism development in villages. It is necessary to initiate actions that can stimulate specific sites, their revival, producing a vibrant and modern culture. Indeed, there is no doubt that a village full of life, a friendly and dynamic place has a great potential, and a rich network of towns already constitute a competitive asset on which our country can rely, with no rivals able to compete. A visit to a village must be seen as the opportunity for a new experience, to access a lifestyle different from the one people usually live, not obvious and without ever losing the in- trinsic capacity to evoke what is in the village. The tourists who arrive in the villages should be considered differently from the tourists that arrive at other destinations They should be considered as guests, as guests we have been waiting for, ready to prepare something special for them. If this hypothesis proves correct, then villages are projected to have a new space in a new form of welcome and hospitality. One of the key issues of village development is that the network should stimulate the creation of networks to make sure that villages are transformed into a marketing product. The network shall not be restricted to a simple assembly of existing products because they may enhance the offer of a village just because they are able to add more elements or because they are considered not as tactics to be more com- petitive, but as strategic targets11. Villages, like other destinations that

11. In a Wales Hay on Way of just 1500 inhabitants,an antiquarian opened a library full of old and second hand books, a place to find titles unavailable else- where. Following his example, other libraries were opened. It is estimated that to- day in Hay on Way there are 38 new libraries and each year over 300 thousand people come there because they are interested in books and culture. This success story has stimulated 12 other small European country, including Montereggio (To- scana). The countries of the book are now associates in a European network, and

187 s a r a p e t r o c c i a bet on tourism, run the risk to became increasingly similar and thus become easily replaceable; to this aim it is becoming more crucial to affirm own identity. “Loggias, arcades and houses that represented the emblem of hu- mility, small downhill lanes that open on a new world, as the gateway to a world, and they appear as the tale of a world that no longer exists, but periodically returns powerfully topical in the daily life of each one of us, as underlined by the second youth of herbalists, of street mar- kets, natural medicines, traditional cuisine…12 “The tale is a way to organize a proposal following a storyline. The decision to focus on the story of the place can add a great brand of customization and original- ity to the services of the place, allowing guests to come and be part of that story. Everyone can offer a visit and a tourist service, the story is a way to make it unique by giving a special meaning to the experience related to the area and to the specific region”. The tale is also a way to establish a relationship with the client, the construction of a plot; it should be considered as an opportunity to re- think own identity, not only telling the past, but by putting the viewer in a story that goes on with ideas and projects. The choice of stories to tell should be functional to the area: letting the visitors in to the history of the place. The narrative of the territory should be common and shared. All operators of the village should learn to go beyond their traditional function. They should transform services and products in stories, letting the people into their stories, to live the territory13. They who arrive at a village want to find confirmation of their choice, also in their accommodation. The problem is to direct the village especially organize events related to books and are very popular and arouse interest writers, editors and ordinary tourists. 12. Description taken from the Tourism Development Plan of Canale di Tenno and presents the concept of the village as a story. 13. In the campaign of Trevi to involve visitors in the village and to encourage loyalty, the desire for discovery, the return and word of mouth, tour operators have designed and proposed the diary of a stay in Trevi, delivered to the guests, with the intent to use it, write comments, reviews, stories or just to take it home as a souvenir to give to friends and encourage word of mouth. Moreover, the diary contains the web address of the community to provide a constant reference to the lovers of Trevi and who want to send photos, video of their stay in Trevi. The journal is also thought to be returned to the City by allowing tourists to evaluate the comments and im- prove the hospitality and welcome.

188 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o in hospitality services, to enhance the sense of the place in the furni- ture, in the choice of materials, in the choices of the structural aspects, procedures and services: in short, to create a consistent atmosphere; local knowledge cannot be given for granted. Surely among the accom- modation services of a village, particular attention should be given to Ospitalità Diffusa, given its capacity to offer hospitality, in being able to convey authenticity and the intangible culture of the place. (Dall’Ara G., F. Morandi Il Turismo nei borghi. La normativa il marketing e i casi di eccellenza, Nuova Giuridica, MC). One of the easiest ways to integrate the area for tourists are the so- called “References.” To adopt this approach, tools should be created in order to tell the visitor that there are other things to see should be created and that there are more things to see as regards a topic or a theme. The references, therefore, are nothing more than infor- mation; recommendations are meant to encourage tourists to know the territory in its specialties, and above all, they have to show that a territory cannot be fully understood until the end, and can always be pleasantly surprising. This should prolong the periods of residence and offer never and never new topics to learn about and visit the ter- ritory. The theme of References is connected to other key aspects of the development of a tourist village: visitor retention, motivation to undertake new or extended stays in their life. (Dall’Ara G.,F. Morandi Il Turismo nei borghi. La normativa, il marketing e i casi di eccellenza, Nuova Giuridica, MC). The various actors involved should contribute in order to promote balanced and sustainable development by contributing to the defini- tion and image of the vocation of the territory itself. It is always the territory with its wealth and peculiarities that can increase the value of the proposal and make it more competitive. In particular, potentials and resources in the area, can become products and tourist attractions if put in the network, managed and declined by the same territory. The tourists of the villages think they are buying a new and complex product given by the territorial resources and by the chance to live and experience a different lifestyle different from their usual one. In recent years tourists show more and more their will to know the visited places in their authenticity, and discover the local cultures and traditions, in full compliance with the cultural environment. The emo- tional component is growing and expectations are influenced by the

189 s a r a p e t r o c c i a relationships with the context, with individuals and with the search for conviviality, authenticity, tradition and beauty. In an area rich in history and local traditions as the Italian one, the key to upgrading the quality of our territory is the focus on social excellence. A recent study by Censis has focussed on the identification of excellence14. (Italy of the Territories, Censis, 2009). The analysis has focussed on all the territories of excellence, the ag- gregation of Municipalities, named UTECO (Complex Territorial Units) and represents an evolution of districts and local systems. In setting up the map of areas of excellence the production areas and the areas of major cultural and tourist attraction have been taken into account. “Ex- cellence is defined around a plurality of actors who contribute to the ca- pacity of the internal organization of the territory, but at the same time promote to the outside through their recognizability and specificity. In this perspective, local actors must become aware of how the quality of the area passes through the networking of all resources (…) Well aware that quality is an asset that must be maintained and nurtured in time, the ability to innovate, to change, to adapt to the changes in the refer- ence scenarios, is a prerequisite to improve the quality of the territories in time ‘(Italy of the territories, Censis, p. 2009. 45, 46). It is believed that to develop the excellence of the territory the presence of a strong and accountable local government is essential (a policy that can have a real and quick impact on the local system) and a widespread culture of the area looking from a perspective of integration of cultural traditions, to- gether with food and wine production. Most European Countries have long implemented forms of classification of tourist towns and seem to be able to offer insights and a solid experimental basis on which to test the impact of any general or local political support. In Italy, at present, tourism in villages and in some cases also in the Alberghi Diffusi expects a complete legal framework. The increasing attention that is registered for tourism in small cen- tres now urges the need for a regulatory intervention to define the

14. The main factors of excellence are: An efficient organization of the territory, an ability to raise financial resources, continuous care of public spaces, a collective culture to promote the development of the territory, an area heavily frequented by international people. Only through common strategies to meet the many interests and mediate at local level, it is possible to create a unified project for the area. The conflict among the local people makes it impossible to foter excellence.

190 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o contours of the problem and arrange a suitable regulatory model to foster growth. The socio-economic importance assumed by its diffu- sion has attracted the attention of some areas really committed to ex- perimenting with new forms of territorial use. At regional level there are the first attempts to introduce specific legislation for hospitality in the villages, with the aim of facilitating the creation of organized systems of hospitality, commercial agreements among operators, seek- ing to encourage the creation of new tourism products and benefit the local tourist offer. Since Regions have the exclusive competence on tourism, some ac- tors have expressed many practical needs to regulate the sector, un- der an administrative and legislative profile. With respect to demands for legislation or provisions by public authorities there are only a few cases of regulation. In the absence of specific provisions related to the development of tourism activities in villages, any Italian region is involved with the promotion of interventions and financing, under already established programs. Innumerable are the advantages of introducing a regula- tory framework for tourism in villages: to intervene with new rules to regulate a rapidly growing phenomenon presents the advantage to the sites concerned to obtain formal recognition of their hospitality offer. We can also consider the possibility of adopting targeted measures for cooperation among territories, and to promote local development. We have also added the ability to satisfy the claim of an original brand, typically Italian, able to attract significant tourist flows from abroad. This would achieve the promotion of small towns, increase tourism in inland areas, appreciate some areas with a tourist vocation, diversify the tourism offer. This approach would attract new demand segments, presenting innovative products and services areas rich in services, to enhance the possibility of accommodation with the recovery of exist- ing buildings, similar to what happens to Alberghi Diffusi in some regions. The express provision of a specific legal regime for tourism villages would also pursue some more ambitious expectations. A new legal definition of the phenomenon would enhance the diversity and specific needs in small living contexts and historical centres, identify- ing exceptions in relation to planning tools. You can add the possi- bility of adopting a system of classification of these locations, taking in due account the regional diversity and the different vocations. In

191 s a r a p e t r o c c i a addition, it should be highlighted and enhanced the typification in tourism villages allowing the implementation of new public policies and the reception of information, promotion and support, enhance- ment and development, giving dedicated public lunding to new legal entity. Ultimately, despite early attempts to control the matter, tourism in villages has not yet received a safe and regulatory framework; they do not have rules around which to build their own development. The need for discipline and organization of tourism and hospitality services in local communities and small towns, is not, unfortunately, perceived with the same urgency in the different regional areas. The ability to refer to a set of shared principles should bring some tangible benefits to the tourist development of villages. At the heart of the issue there are some actions closely connected with the identification of a stable core and centre of reference to guide and direct the development of modes of supply: creation of new tour- ism products, organization of the spread of hospitality and structuring of information services and hospitality, and implementing initiatives to promote inclusion in the international circuits. The legal framework for tourism in villages, the identification of the village and the welcoming regulatory identification of stakehold- ers can certainly encourage the adoption of better-informed choices and the implementation of more effective actions.

192 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

Appendice15

Il Manifesto dell’Albergo Diffuso

Albergo Diffuso: un modello originale di ospitalità e di gestione dei servizi alberghieri e un residence, tra un albergo e un B&B, tra un albergo e un affittacamere. Caratteristiche di un Albergo Diffuso sono: - la gestione unitaria, - l’offerta di servizi alberghieri e ambienti comuni a tutti gli ospiti alloggiati nei diversi edifici che lo compongono, - un ambiente “autentico” fatto di case di pregio, ammobiliate e ristrutturate non “per turisti”, ma pensando a residenti, seppure temporanei, - Distanza ragionevole degli stabili – massimo 200 metri tra le unità abitative e la struttura con i servizi di accoglienza - la presenza di una comunità viva, - una gestione professionale non standard, non simile a quella che caratterizza gran parte degli alberghi che fanno parte di catene al- berghiere, né tantomeno simile a quella rigida dei grandi alberghi in stile “Ritz”, ma coerente con la proposta di autenticità dell’espe- rienza, e con le radici nel territorio, - uno stile riconoscibile, una identità leggibile in tutte le componen- ti della struttura ricettiva, che non configura come una semplice sommatoria di case ristrutturate e messe in rete. - Unità abitative dislocate in più edifici separati e preesistenti – Cen- tro storico abitato, presenza di una comunità viva – comunità ospi- tante, integrazione nel territorio - Servizi Comuni – Presenza di locali adibiti a spazi comuni per gli ospiti (ricevimento, sale comuni, bar, punto ristoro) - Riconoscibilità – Identità definite e uniforme della struttura; omo- geneità dei servizi offerti - Stile gestionale integrato nel territorio e nella sua cultura

15. Tutte le schede di questa sezione sono state liberamente tratte da Dell’Ara, G., 2010, Manuale dell’Albergo Diffuso. L’idea, la gestione, il marketing dell’ospitalità diffusa, FrancoAngeli.

193 s a r a p e t r o c c i a

I requisiti minimi di qualità di un ad Aspetti strutturali - riconoscibilità e coerenza architettonica - sapore locale - pregio qualità degli interventi edilizi e manutenzione

Ambiente - arredo - comfort - qualità degli inteventi e manutenzione degli spazi comunicazione - atmosfera - pregio delle unità ricettive

Gestione servizi e competenze professionali - accoglienza e capacità relazionale - gestione unitaria e imprenditoriale - professionalità e competenza di tutto il personale nei servizi di acco- glienza ed informazione - conoscenza da parte del personale dei principi ispiratori e dello stile che caratterizzano l’Albergo Diffuso - partecipazione a percorsi formativi e di aggiornamento sia del gestore titolare che degli addetti

Accessibilità - presenza di idonea segnaletica - targhe esplicative del modello di albergo Diffuso all’esterno di ogni unità ricettiva e dei vari ambienti della struttura

Unità abitative - dimensioni adegate - adeguata silenziosità - adeguata illuminazione - pulizia e odore gradevole - arredi e letti confortevoli - biancheria coordinata per tutte le unità abitative - presenza di accessori di cortesia - presenza di documentazione promozionale del territorio e di tutti gli eventi più significativi

194 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

- presenza di accessori della cucina - presenza di ricettari sui piatti tipici locali

Bagni - dimensioni adeguate - pulizia - areazione efficace - presenza di servizi di cortesia - biancheria coordinata per tutte le unità abitative - punti luce sufficienti

Reception e Spazi comunicazione - ambiente caldo, accogliente e confortevole - comunicazione efficace - favorire le relazioni tra gli ospiti e tra gli ospiti e le relazioni della struttura

Punto Ristoro - ogni AD necessita di almeno un ristorante e un bar per garantire la prima colazione - ogni AD offre il servizio di ristorazione all’interno della struttura, oppure all’esterno della struttura, garantendo qualità e coerenza nel servizio - la presenza di ricettari - la presenza di ricettari e l’utilizzo di prodotti tipici del patrimonio enogastronomico locale - elasticità negli orar di fornitura dei servizi

Pulizia e mautenzione - tutta la struttura deve presentarsi in maniera pulita e curata - garantire interventi di manutenzione ordinaria delle strutture, degli arredi e delle attrezzature

195 s a r a p e t r o c c i a

Punti di forza

Le esperienze di albergo diffuso confermano una serie di punti di forza del modello: • capacità di essere in sintonia e venire incontro ai desideri di una domanda esigente ed esperta, composta da persone cioè che hanno il gusto di viaggiare, che hanno fatto esperienze di soggiorno in diversi tipi di strutture ospitali e luoghi, e che sono alla ricerca di proposte nuove, almeno in parte insolite, aderenti alla cultura del territorio; • promozione del patrimonio storico. La proposta dell’albergo dif- fuso promuove il recupero del patrimonio artistico e culturale dei centri minori, perseguito con tenacia sia dalla politiche comuni- tarie che da quelle nazionali e locali. L’albergo diffuso può avere la funzione di animatore culturale ed economico dei borghi, dei centri storici, in particolare nelle città di piccole dimensioni; un paese può rivitalizzarsi sviluppando al suo interno una complessità di funzioni, residenziale, commerciale, artigianale; • adozione di un’ottica di sviluppo sostenibile. L’albergo diffuso è un progetto che ha le potenzialità per incrementare il reddito e l’oc- cupazione dei piccoli centri, per mantenere o incrementare la po- polazione, senza per questo generare impatti negativi nei confronti della cultura, dell’ambiente, e dell’identità dei luoghi; • autenticità. A differenza degli alberghi tradizionali fatti apposta per turisti, l’albergo diffuso offre alle persone di effettuare una vera e propria inversione rituale, permette agli ospiti di vivere l’esperienza di un soggiorno in case e palazzi nati e concepiti come vere abitazioni; • articolazione della proposta. Il turista che si indirizza verso l’alber- go diffuso ha a sua disposizione una vasta gamma di scelte, offerte da uno stesso operatore ricettivo. Il prodotto albergo diffuso è di per sé differenziato in termini di diverso livello di comfort delle varie unità abitative, diversa distanza dal centro, diverse caratteri- stiche architettoniche degli edifici e consente una politica di diffe- renziazione (proposte diverse e tariffe diverse per differenti fasce di utenza); • originalità – novità della proposta. L’albergo diffuso è una formula grazie alla quale è possibile vendere il territorio, o meglio permet-

196 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

tere di sperimentare lo stile di vita del luogo. Ogni albergo diffuso mette di fatto in rete anche le risorse extraricettive presenti nel territorio, e da questo punto di vista ogni albergo diffuso è un’espe- rienza unica. Tutto ciò ha come conseguenza un forte grado di ori- ginalità, che comporta una maggior visibilità nel mercato e offre numerosi vantaggi in termini di strategia di posizionamento; • servizi alberghieri. Gli alberghi diffusi garantiscono tutti i comfort e i servizi alberghieri, dall’assistenza al ristorante, alle sale comu- ni, alla piccola colazione eventualmente servita anche in camera; e quindi alloggio, vitto e servizi accessori. Inoltre, la dimensione complessiva dell’albergo diffuso permette di personalizzare i servi- zi, di aumentare il coinvolgimento degli ospiti, di avviare il proces- so di fidelizzazione e di sviluppare il passaparola; • declinabilità. Le esperienze di albergo diffuso hanno poi mostrato una grande flessibilità e capacità di adeguarsi al territorio, ai pro- getti di sviluppo locale, di caratterizzarsi sulla base di un tema o di un prodotto tipico o di una formula gestionale particolare (Sas Benas di Santulussurgiu ad esempio è un albergo diffuso che ha per tema la musica, molte delle sue camere si trovano nella vecchia casa della musica del paese, e in esse si trovano diversi strumenti musicali anche di pregio. Inoltre la gestione dell’albergo è in grado di offrire la possibilità di partecipare a laboratori e eventi musicali (sono ipotizzabili molte altre declinazioni). • stile gestionale. L’albergo diffuso nell’universo ricettivo si caratte- rizza per l’atmosfera originale, per le modalità di erogazione dei servizi e per il suo collegamento con il territorio. L’albergo diffuso, se non adotta stili gestionali standardizzati, può esaltarsi attraver- so uno stile originale che rispecchia contemporaneamente la per- sonalità di chi lo ha voluto e lo spirito del territorio. La gestione ha l’obiettivo di offrire un’esperienza legata al territorio anche nei tempi e nei ritmi del servizio, oltre che nei servizi e nei prodotti offerti. La formula dell’albergo diffuso è concepita per offrire agli ospi- ti uno dei beni oggi più scarsi: le relazioni. L’albergo diffuso anche strutturalmente, permette di incubare e sviluppare relazioni. A questo obiettivo sono orientati il luogo di accoglienza, gli spazi comuni e la hall esterna della struttura che offre la possibilità di inserirsi nel vici- nato, di vivere cioè il luogo come residente temporaneo.

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Punti di debolezza

Sia dal punto di vista degli investimenti iniziali, che dei costi cor- renti di gestione, l’albergo diffuso comporta nella maggior parte dei casi costi mediamente più elevati rispetto agli alberghi tradizionali. Il concetto stesso di albergo diffuso richiede: • le eventuali ristrutturazioni iniziali debbano essere condotte se- condo criteri di assoluto rispetto architettonico, investendo quindi capitali notevoli nel recupero edilizio. • le operazioni gestionali, la distribuzione nello spazio delle unità abitative comporta alcune diseconomie rispetto agli alberghi tradi- zionali, che possono centralizzare e standardizzare maggiormente i servizi. • La novità della proposta; un albergo diffuso infatti è un prodotto di nuova generazione, che richiede una nuova cultura ospitale. • la necessità di prevedere nuove competenze sia nella gestione della struttura che nell’erogazione dei servizi e nella messa in rete delle risorse diffuse nel territorio, così che agli ospiti possa essere offerta non solo un’esperienza alberghiera, ma uno stile di vita.

Il borgo ideale

- è situato in un contesto storico-ambientale di interesse - conta un numero di abitanti tale da garantire agli ospiti di vivere lo stile di vita del luogo tutto l’anno - si caratterizza per la disponibilità di alcuni edifici disabitati, vicini tra loro, adatti ad una ristrutturazione a fini ospitali tale da confi- gurare un punto di accoglienza, camere, spazi comuni, sale piccole colazioni, un’eventuale ristorante, magazzini…. - conta su una buona accessibilità rispetto ai principali bacini di ori- gine di flussi turistici - è conosciuto per produzioni locali che generano interesse e noto- rietà - è in grado di offrire ai turisti e ai visitatori: - uno stile di vita piacevole - passeggiate ed itinerari per escursioni - attività per il tempo libero

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- momenti di animazione: feste, mercatini… - visite a musei, castelli, chiese - tradizioni culturali e gastronomiche e soggetti che la valorizzano - servizi di base, commerciali, culturali e turistici, per residenti e turisticamente - ma ovviamente anche relax, riposo, evasione

Cosa può fare un comune per stimolare la nascita di un albergo diffuso

Un ente locale non può gestire un Albergo Diffuso, ma può: - organizzare un incontro con i proprietari di case inutilizzate - mettere a disposizione immobili di proprietà pubblica e non utilizzati o utilizzati male - dare via alla casa del turista, ad un ambiente cioè messo a disposizione degli ospiti con sale lettura ed altri servizi gratuiti - curare l’arredo urbano, piani colore e facciate - ripristinare percorsi storici - prevedere un’illuminazione strategica - avviare attività di promozione e di animazione mirate a valorizzare il soggiorno e la vita nel borgo - prevedere attività di sensibilizzazione e di formazione

Alberghi diffusi in italia16

Nord Italia

Emilia Romagna Al Vecchio Convento, www.vecchioconvento.it Casa delle Favole Piacenza, www.casadellefavole.com

Friuli Venezia Giulia Altopiano di Lauco, http://www.albergodiffusolauco.it/ Comeglians, http://www.albergodiffuso.it/ Forgaria Monte Prat, www.monteprat.it

16. http://www.alberghidiffusi.it/it/ al 19 dicembre 2011.

199 s a r a p e t r o c c i a

Liguria Muntaecara Albergo Diffuso Apricale, www.muntaecara.it Relais del Maro, http://relaisdelmaro.it/

Piemonte Locanda degli Elfi Canosio, http://www.locandaelfi.it/

Centro Italia

Lazio Castello di Proceno, http://www.castellodiproceno.it/ Villa Retrosi, www.villaretrosi.it La Locanda del Ditirambo, http://www.albergodiffusocastro.it

Marche 2 Campanili Relais, www.duecampanili.it Albergo Casa Oliva, www.casaoliva.it Albergo Diffuso Smerillo, www.albergodiffusosmerillo.com Antica Locanda La Diligenza, http://www.centrobebladiligenza.it Castello Valle di Teva, www.vallediteva.it La Loggia Relais, www.laloggiagradara.it Urbino Resort, www.urbinoresort.com Villa Tombolina, http://www.villatombolina.it

Toscana Antica Dimora di Pinocchio, http://www.holidaytuscany.it/last-minu­ te/albergo-diffuso.php Borgo Giusto loc. Partigliano, http://www.borgogiusto.it/ Castellare de´Noveschi, http://www.castellaredenoveschi.com Il Borgo Dei Corsi, www.borgodeicorsi.it Il borgo di Sempronio, http://www.ilborgodisempronio.it/ Locanda Senio Borgo, www.locandasenio.com

Umbria Castello di Casigliano, http://www.castellodicasigliano.com/ Castello di Montignano Relais & Spa, www.montignano.com La Locanda del Prete, www.lalocandadelpretesaragano.com La Casella Resort &, www.lacasella.it

200 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

La Malvarina, www.malvarina.it/ Torre della Botonta, http://www.torredellabotonta.com

Sud Italia

Abruzzo Robur Marsorum, http://www.roburmarsorum.com Sextantio, www.sextantio.it Robur Marsorum, http://www.roburmarsorum.com Sextantio, www.sextantio.it

Basilicata La grotta dell’eremita, www.grottadelleremita.com Le Costellazioni, www.lecostellazioni.eu La grotta dell’eremita, www.grottadelleremita.com Le Costellazioni, www.lecostellazioni.eu

Calabria Il Borgo dei Piani De La Bruca, http://www.ilborgodeipianidelabruca.com/ Il Borgo dei Piani, http://www.ilborgodeipianidelabruca.com/

Molise La Piana dei Mulini, http://www.lapianadeimulini.it La Sorgente, www.agriturismolasorgente.it Locanda Alfieri, www.locandalfieri.com Residenza Sveva, www.residenzasveva.com La Piana dei Mulini, http://www.lapianadeimulini.it La Sorgente, www.agriturismolasorgente.it Locanda Alfieri, www.locandalfieri.com Residenza Sveva, www.residenzasveva.com

Puglia Borgodioria Resort, www.borgodioria.i Trulli Holiday, www.trulliholiday.it Vecchia Mottola, www.vecchiamottola.com Trullidea Albergo Diffuso, www.trullidea.it Borgodioria Resort, www.borgodioria.it Sotto le Cummerse, www.sottolecummerse.it

201 s a r a p e t r o c c i a

Trulli Holiday, www.trulliholiday.it Trullidea Albergo Diffuso, www.trullidea.it Vecchia Mottola, www.vecchiamottola.com

Sardegna Aghinas, http://www.aghinas.com Antica Dimora del Gruccione, www.anticadimora.com Corte Fiorita, http://www.albergo-diffuso.it Omu Axiu, www.omuaxiu.it Villa Asfodeli, http://www.asfodelihotel.com Corte Fiorita, http://www.albergo-diffuso.it Aghinas, http://www.aghinas.com Antica Dimora del Gruccione, www.anticadimora.com Omu Axiu, www.omuaxiu.it Villa Asfodeli, http://www.asfodelihotel.com

Sicilia Val di Kam, www.valdikam.it Vecchia Masseria, http://www.vecchiamasseria.com/ Le case dello zodiaco, http://www.lecasedellozodiaco.it/ Le case dello zodiaco, http://www.lecasedellozodiaco.it/ Val di Kam, www.valdikam.it Vecchia Masseria, http://www.vecchiamasseria.com/.

202 n e w f o r m s o f t o u r i s m : t h e a l b e r g o d i f f u s o

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Sitografia/Sitography www.albergodiffuso.com www.alberghidiffusi.it www.AlbergoDiffuso.net www.ideassonline.org http://www.lascuoladirimini.it/ http://www.sisad.it/.

203

La responsabilità sociale delle imprese per lo sviluppo sostenibile dei territori Valentina Cillo PhD Student, Università degli Studi del Sannio – [email protected]

1. Globalizzazione economica e progresso sociale: una disparità crescente

Nel suo contributo al Consiglio di primavera del marzo 2005, la Commissione ha riconosciuto che la Responsabilità Sociale d’Im- presa può “fornire un contributo essenziale allo sviluppo sostenibi- le rafforzando al tempo stesso il potenziale innovativo e la compe- titività dell’Europa”1. Il forte impegno delle imprese a favore della RSI ed il sostegno generale da parte delle imprese ha assunto negli ultimi 15 anni particolare importanza per quanto riguarda il suo contributo al rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto nonché al funzionamento sostenibile della democrazia e dell’eco- nomia di mercato. Per essere un modello di successo, l’economia di mercato dovrebbe basarsi su alcuni presupposti essenziali: da un lato su disposizioni legislative e regolamentari efficaci e coe- renti e dall’altro sull’autolimitazione e sull’autocontrollo, nonché su un clima proattivo di innovazione e imprenditorialità, lealtà e fiducia. Tutti questi elementi sono necessari per combinare un alto livello di successo economico, tutela ambientale, coesione sociale e qualità della vita. Nel vecchio equilibrio del sistema di welfare tradizionale pre- cedente all’integrazione globale dei mercati c’ era poco spazio per il tema della Responsabilità Sociale. Vigeva infatti un equilibrio di poteri piuttosto efficiente, nel quale l’azione impetuosa delle impre- se impegnate nella creazione di valore, senza particolare attenzione alle esternalità sociali ed ambientali delle loro stesse iniziative, veniva imbrigliata in direzioni socialmente sostenibili dal contrappeso della forza contrattuale degli stati nazionali e dei sindacati. Il punto di equi-

1 COM 24 def., 2005.

205 v a l e n t i n a c i l l o librio che scaturiva dal gioco di queste forze assicurava la coesistenza tra sviluppo economico e coesione sociale. Le possibilità offerte dall’economia mondiale a livello collettivo nell’arco del ventesimo secolo hanno creato condizioni di vita di gran lunga migliori e chances di benessere maggiormente diffuse rispetto ai secoli precedenti. La produzione economica a livello globale che nel 2006 raggiungeva i 66 miliardi di dollari2 è cresciuta di diciotto volte tra il 1900 ed il 20003. L’aspettativamedia di vita si è notevolmente alzata anche per la scon- fitta definitiva di malattie un tempo mortali. Grazie alla ricerca tecno- logica e alla messa a punto di nuovi mezzi e macchinari è migliorato il rapporto tra lavoro e fatica fisica. Inoltre, mezzi di trasporto prima sconosciuti o inaccessibili alla maggior parte della popolazione. hanno- reso più efficienti i collegamenti commerciali e le interazioni umane, e insieme alla diffusione di computer, telefonia mobile ed internet hanno portato ad una riduzione degli spazi non frequentabili e ad una mag- giore conoscibilità del circostante, ad una diffusione più ampia delle informazioni e a nuove prospettive nel lavoro e nella vita di ogni giorno. Nonostante i vantaggi, però, molti sono i segnali che indicano come il sistema economico affermatosi manifesti effetti collaterali e determini rischi, creati dalle stesse moderne attività economiche e dalle nuove forme di produzione. Catena del valore economico e catena del valore sociale non trovano coincidenza ed il dibattito sulla Responsabilità Sociale d’Impresa si in- nesta proprio su questa contraddizione. La globalizzazione economica aiuta a comprendere uno degli aspetti più importanti della società industriale. Per usare le parole di Daniel Co- hen: il divario crescente tra “l’ immaginario collettivo alimentato dalla mo- derna società dell’informazione e la realtà territoriale della spartizione tra ricchezza e povertà”. Questo “divorzio” non avviene solo tra paesi ricchi e paesi poveri, ma caratterizza anche gli stessi paesi ricchi, in cui il vecchio schema della lotta di classe esistente interno all’azienda industriale viene sostituito dall’opposizione centro/periferia. Il mercato non crea tra i suoi

2 Central Intelligence Agency, “The World Factbook 2007”, Washington DC, 2007. 3 Maddison Angus “World population, Gdp, and Per Capita Gdp, 1‑2003 AD”.

206 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i partecipanti una condivisione ben definita di destini ed interessi: il merca- to naturalmente stimola la corsa all’accumulazione di fattori strategici, che rende rivali più che solidali i partecipanti allo scambio4. Alla luce di tutto ciò vi è oggi la possibilità di confrontarsi con la nuova idea di “economia sostenibile” e delle sue pratiche in crescita, che si realizzano attraverso limiti ambientali, sperimentazioni creative e attraverso politiche dedicate al sostegno delle innovazioni.

2. Nuovi parametri di sviluppo sostenibile

Alcuni microparametri di sostenibilità, adottati anche a livello isti- tuzionale ed utilizzati da imprese e organizzazioni non governative, sono diventati, secondo Andrei Savitz e Karl Weber, una forza trainan- te verso un’economia sostenibile5. I parametri di sostenibilità vengono utilizzati con i convenzionali indicatori finanziari per rispondere alle richieste di investitori e stakeholders per quel che riguarda la respon- sabilità sociale per gli impatti ambientali, per le conseguenze sociali ed economiche. “Il dover rispondere del proprio operato è di per sé una collaudata spinta al cambiamento”6. Progressivamente è aumentata la consapevolezza di produttori e consumatori circa l’importanza del valore di un prodotto per quel che riguarda condizioni di fornitura, servizi di assistenza, immagine e tracciabilità storica del prodotto stesso e dei processi che hanno portato alla sua realizzazione. L’impegno etico di un’impresa può dunque entrare nella “catena del valore” suggerendo iniziative e percorsi economicamente competitivi, ma innovativi, coe- rentemente con le possibilità di sviluppo sostenibile di un’economia. Il comportamento di un’impresa o di un’istituzione, inoltre, interessa potenzialmente cittadini, sindacati, azionisti, media e stakeholders in generale facendo sì che un approccio sostenibile e socialmente respon- sabile alla produzione, al commercio e all’offerta di servizi, rappresenti un valore aggiunto nelle relazioni con questi soggetti e con l’opinione pubblica. In questo contesto si possono individuare alcuni obiettivi co-

4 Daniel Cohen, Tre Lezioni sulla Società Postindustriale, ed. it. Garzanti, 2007, pp. 65‑66. 5 Savitz Andrew e Weber Karl, The Triple Bottom Line, San Francisco, John Wiley and Sons, 2006, p.209. 6 Talberth John, op. cit. p.90.

207 v a l e n t i n a c i l l o muni riferiti a contesti di sostenibilità già conosciuti e utili come punto di riferimento dei parametri istituzionali di sostenibilità: • certificazione di prodotti, operazioni o catene di approvvigionamento; • nessuna produzione di rifiuti • ecoefficienza • benessere sul luogo di lavoro • vitalità della comunità La certificazione indipendente dei prodotti – e del processo produttivo –, il primo degli obiettivi citati, è una risposta al distacco tra consuma- tori e produttori e quindi alla distanza tra il bene prodotto e disponibile sul mercato ed i processi produttivi che lo realizzano. Come notano gli studi di Andrew Savitz e Karl Weber, di fronte ad informative obbligatorie, le imprese hanno adeguato e modificato i propri processi produttivi, come ad esempio avviene grazie alla le- gislazione statunitense del Superfund sulla dichiarazione annuale dei quantitativi e della provenienza di agenti chimici: per via di una mera ordinanza informativa si è registrato un calo del 59% dei quantitativi di sostanze chimiche tenute a deposito in loco dalle imprese statunitensi, provocando “il miglioramento ambientale volontario più sensazionale della storia”7. Le catene produttive possono essere dislocate su scala globale; la fi- liera di un determinato prodotto ormai può comprendere passaggi che si sviluppano in diverse aree del mondo e anche senza interconnessioni tra i diversi soggetti produttori. Vista l’attenzione crescente della società civile, dei media e di deter- minate istituzioni, e considerata la maggiore e più rapida diffusione di informazioni a livello globale, la certificazione sta assumendo un valore aggiunto anche sul piano economico e non soltanto sul piano etico. Un prodotto certificato come etico e socialmente responsabile, e realizzato da una filiera sostenibile diviene sul mercato un prodotto potenzial- mente più appetibile. La certificazione etica e sostenibile di un prodotto può essere uno degli elementi in base ai quali il consumatore decide di acquistare un bene invece di un altro o di scegliere tra analoghi servizi offerti da questa o da quella azienda. Allo stesso modo la certificazio- ne può essere utilizzata per “influenzare i livelli più bassi della catena

7 Savitz e Weber, op.cit. p.210.

208 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i di approvvigionamento”8: per utilizzare un esempio citato da Brian Halweil e Danielle Nierenberg9, si può fare riferimento al caso della Uniliver, la grande azienda olandese di prodotti alimentari e di consu- mo, che acquista ormai la totalità del pesce da fonti sostenibili. Negli anni ’90 associazioni di consumatori e gruppi ambientalisti hanno fatto pressione sull’azienda per chiedere che venissero riconsiderate le po- litiche di acquisto di prodotti ittici; così la Uniliver si trovò a doversi orientare tra le specie da preferire e quelle da evitare. In collaborazione col WWF, nel 1997, l’azienda ha così promosso la creazione del Mari- ne Stewardship Council per certificare la sostenbilità delle popolazioni di pesci e fornire indicazioni ai mercati ittici. Il Marine Stewardship Council ha oggi il sostegno di almeno 100 aziende e di organizzazioni ambientaliste e di consumatori in oltre venti paesi; i prodotti rispettosi dell’ambiente e socialmente responsabili certificati col marchio “Fish Forever” sono disponibili in circa trenta paesi10. Il secondo obiettivo di sostenibilità è l’abbattimento della produzione di rifiuti. La produzione di rifiuti solidi non trasformabili, l’emissione di gas nell’atmosfera, la diffusione di agenti inquinanti nell’acqua e nell’aria sono evidentemente al di fuori delle ideali pratiche di soste- nibilità. L’ ecoefficienza, il terzo tra gli obiettivi microeconomici citati, riguar- da la riduzione di materie prime, risorse ed energia per unità prodotta. È evidente che, oltre a rispondere alle esigenze di pratiche sostenibili, iniziative volte a promuovere l’ecoefficienza favorisce risparmi finanzia- ri per quel che riguarda il costo dell’energia o dell’acqua ed il risparmio delle materie prime. Per evidenziare i vantaggi delle pratiche volte all’ ecoefficienza, si possono citare i casi della ST Microelectronics con un risparmio di 133 milioni di dollari nel 2003, della DuPont con un ri- sparmio di circa 2 miliardi di dollari in dieci anni, e della Advanced Micro Devices che ha ridotto del 60% i chilowattora per indice di pro- duzione tra il 1999 ed il 200511. Negli ultimi anni inoltre diversi enti

8 alberth John, op. cit., p. 92. 9 Halweil Brian e Nierenberg Danielle, “Carne e prodotti ittici”, in State of the World 2008, Worldwatch Institute, 2008, p.174. 10 Marine Stewardship Council, “History of MSC e “About MSC”, in www. msc.org. 11 Savitz e Weber, op. cit. p.35; Esty e Winston op. cit. p.105; “Global Climate Protection Plan 2006”, Sunnyvale, 2006, p. 17.

209 v a l e n t i n a c i l l o istituzionali anche in Italia si sono attivati per promuovere politiche ed incentivi a favore dell’ edilizia ecoefficientee per la riconversione di edifici pubblici in strutture a risparmio energetico. Uno strumento per certificare l’ecoefficienza degli impianti e delle costruzioni edili è il Leadership in Energy and Environmental Design Green Building Rating System (LEED) che classifica edifici ed impianti sulla base di caratteristiche progettuali che per l’intero ciclo di vita, dalla costruzio- ne alla demolizione, rendono possibile risparmiare acqua ed elettricità e ridurre i rifiuti12. Il benessere sul luogo di lavoro, un altro degli obiettivi di sviluppo so- stenibile, si determina a partire dalla soddisfazione sul posto di lavoro, dai fattori di sicurezza e salute, dalla distanza tra l’abitazione ed il posto di lavoro, l’avvicendamento del personale e la giusta retribuzione. Tali indicatori sono spesso valutabili in base a sondaggi che possono essere organizzati dalle stesse aziende tra i propri dipendenti. Ad esempio tra il 2004 ed il 2005 la Mountain Equipment Co‑op ha commissionato e fatto svolgere tra le donne e gli uomini del proprio personale un son- daggio sulla dedizione dei dipendenti sulla base del giudizio positivo riguardante l’ambiente di lavoro. Visto il dato al di sotto del 50% del livello di dedizione registrato, l’azienda si preoccupò di allungare l’as- sistenza per la formazione, coinvolse più direttamente il personale con maggiore anzianità, migliorò la propria politica sui congedi parentali e ampliò gli ambiti di assistenza per i propri dipendenti. Dopo il nuovo indirizzo della Mountain Equipment Co‑op verso i propri dipendenti, il livello di dedizione salì al 63%13. Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile che promuovono il cam- biamento va infine considerata la vitalità della comunità. L’aumento di beni e servizi che una comunità locale ottiene senza bisogno di importarli e l’approvvigionamento locale in generale possono aiutare il risanamento delle comunità più colpite dall’asimmetria dello svi- luppo economico globale. “Se i concetti di sviluppo e crescita econo- mica vengono intesi esclusivamente come processi di accumulazione di capitale, l’aumento delle risorse finanziarie all’interno dell’econo- mia di mercato comporta una deviazione delle risorse delle economie

12 Talberth John, op. cit., p.94. 13 Mountain Equipment Co‑op, “Making Our Route: 2005 Corporate Sustain- ability Report, Vancouver, 2005, pp.31‑34.

210 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i della natura e della sussistenza”14. Tutto ciò può essere alla base di una configurazione instabile dei rapporti tra natura, società e capitale da diversi punti di vista: ecologico, politico e sociale. In molti paesi dell’Africa, ad esempio, buona parte delle difficoltà delle popolazioni locali e molti squilibri ecologici sono dovuti all’introduzione massic- cia di colture destinate ai mercati esteri, ecologicamente insosteni- bili – e di conseguenza insostenibili economicamente e socialmen- te‑ per molte realtà. Inoltre si può qui citare l’esempio del progetto Nvadanya, nato in India come programma del Research Foundation for Science, Technology and Ecology, una iniziativa di ricerca par- tecipativa promossa da Vandana Shiva. Navdanya è una rete di agri- coltori (oltre duecentomila) che lavorano per rendere la terra fertile, per migliorare le condizioni di vita dei produttori locali e per offrire prodotti di qualità. Navdanya evita l’impiego di fertilizzanti chimici ed in questo modo da una parte si evitano danni alla biodiversità del- le aree degli agricoltori e dall’altra i produttori riescono a recuperare fino al 90% dei costi di produzione, dovuti all’acquisto dei prodotti chimici. Le entrate dirette agli agricoltori sono tre volte superiori di quelle che arrivano agli agricoltori che usano prodotti chimici ed in questo modo i produttori del network Navdanya possono investire in sanità e istruzione15. I sistemi economici che possono sviluppare la vitalità della comuni- tà sono incentrati sui soggetti umani e privilegiano creatività ed autoge- stione. Le entrate spesso derivano da investimenti in termini di lavoro e la sfera decisionale è decentralizzata. La multinazionale Novartis invece collabora con Ong locali per identificare un paniere di bisogni primari per un lavoratore e la sua famiglia quantificando tale paniere in valuta locale. Grazie all’utilizzo di una metodologia sviluppata dalla Business for Social Responsibility, agli inizi del 2006 la Novartis aveva adeguato il salario dei suoi 93000 dipendenti16. Dunque egualmente la vitalità delle comunità è favorita dalla corresponsione di salari di sussistenza, tenendo conto del costo della vita a livello locale e garantendo un sa- lario che soddisfi i bisogni dei lavoratori. Ed il monitoraggio dei salari

14 Shiva Vandana, op. cit. p.63. 15 Navdanya, www.navdanya.org, e Shiva Vandana, op.cit.pp78‑81. 16 Novartis Inc., “Implementing a Living Wage Globally, The Novartis Ap- proach, Basilea, 2006.

211 v a l e n t i n a c i l l o effettivamente corrisposti in relazione ad un salario di sussistenza è un sistema per avere cognizione di quali aree necessitano adeguamenti.

3. Il ruolo delle imprese

Nel riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile17 la Commis- sione Europea ha invitato “gli imprenditori e gli altri principali operato- ri d’Europa ad avviare con urgenza una riflessione sulle misure a medio e lungo termine necessarie per la sostenibilità e ad avanzare proposte imprenditoriali ambiziose che vadano oltre i requisiti minimi vigenti”. L’analisi degli aspetti legati al fenomeno della globalizzazione pre- sentata nei paragrafi prendenti, porta con sé una constatazione del tutto ovvia circa il grado di complessità dell’ambiente esterno e la sua riper- cussione sulle strategie e la gestione aziendale. Emerge, tuttavia, una riflessione interessante: dietro al modo in cui tale fenomeno avviene, cioè l’integrazione mondiale della domanda e la crescente flessibilità dell’offerta, si trova un mutamento nella conce- zione stessa dell’impresa, che vede fortemente sottolineato ed esaltato il carattere dialogico della sua attività nel momento stesso in cui cresce il grado di complessità esterna18. Il mutamenti delle tecnologie e quello dei bisogni non avvengono in modo indipendente: il bisogno si definisce e si specifica nel momento in cui viene posto di fronte alle possibilità alternative per soddisfarlo e l’evoluzione della tecnologia accompagna il precisarsi delle esigenze in un processo senza fine. Tutto ciò ha un’importante conseguenza: se l’attività aziendale è de- finibile come un sistema aperto costituito da una catena dialogica senza fine, è intuibile che le tradizionali strutture organizzative sono in varia misura inadeguate e rivelano tutta la loro debolezza. Per superare queste criticità, deve essere messa in atto quindi una “progettualità complessa”. Una complessità, poi, che deve superare i termini tradizionali delle logiche operative aziendali che, fino a ora, hanno prevalentemente af- frontato i problemi in successione sequenziale. Più in generale, come

17 COM 658 def. 2005. 18 Caselli C., op. cit.

212 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i eminenti studiosi (H. Mintzberg, P. Drucker, J. Galbraith e altri) aveva- no anticipato, la macchina organizzativa sta diventando sempre meno macchina e sempre più “sistema organizzativo”. Di fronte al cambiamento, una prima tendenza consiste in ciò che Di Bernardo e Rullani hanno definito come allargamento degli orizzonti di riferimento19. Al riguardo si potrebbe parlare di “globalizzazione in- terdipendente”, ovvero di una situazione radicalmente nuova in cui le diverse specificità economiche, produttive, sociali, culturali possono en- trare in interazione, in comunicazione reciproca e‑ grazie alla diffusione di conoscenze e tecnologie informatiche – diventare parti interconnesse di sistemi più ampi. L’interdipendenza non esclude profondi dislivelli di potere, di forza, di disponibilità di risorse. Nel contempo la velocità dei diversi processi di globalizzazione si rivelano molto differenziate: più accentuate a livello finanziario, rallentate a livello culturale e civile. Ne conseguono forme di integrazione asimmetrica, con squilibri nelle posi- zioni relative dei diversi soggetti coinvolti. Per alcuni di essi la globaliz- zazione rappresenta una grande opportunità, per altri un vincolo o una minaccia cui rispondere attivando meccanismi di difesa e protezione20. In risposta al cambiamento di scenario, una seconda tendenza con- sisterebbe nell’autonomizzazione e pluralizzazione dei diversi contesti nazionali e regionali nei quali sono radicate le imprese. Rientrano in questa tendenza soprattutto la “complessificazione” e “densificazione” degli ambienti di riferimento attraverso l’emergenza e l’organizzazione di molteplici dimensioni sociali, politiche, economi- che, giuridiche con le quali le imprese, operanti in tale contesto, inte- ragiscono nell’ambito di un gioco che può essere a “somma positiva”. Le considerazioni meglio si specificano nell’ottica dei diversi “sistemi paese”, caratterizzati – come osserva Vaccà – non solo da infrastrutture e istituzioni ma anche dai valori che animano i soggetti sociali, dai con- vincimenti e sentimenti che ne ottano i comportamenti e le relazioni con la società e lo stato21.

19 Di Bernardo B., Rullani E., “Evoluzione: un nuovo paradigma per la teoria dell’impresa e del cambiamento tecnologico”, Economia e politica industriale, n. 42, 1984. 20 Levitt T., “The Globalisation of Markets”, Harvard Business Review, mag- gio‑giugno, (trad. It. “La globalizzazione dei mercati, Focus, n.4, 1986). 21 Vaccà S., “L’efficienza dell’impresa nei diversi sistemi capitalistici”, Econo- mia e politica industriale, n. 74, 1993.

213 v a l e n t i n a c i l l o

È a livello di “sistema paese” che si inscrivono le nuove coordinate dei processi competitivi e collaborativi. Sotto questo profilo è agevole constatare che i capitalismi più dinamici e performanti sono quelli che si qualificano per la presenza al loro interno di istituzioni politiche e di assetti socioculturali che assicurano interazioni politiche con il sistema delle imprese “senza annullarne l’autonomia e l’autopropulsività, ma anche senza rinunciare ad indirizzare, sul piano istituzionale, i mecca- nismi dell’economia di mercato”22. La terza tendenza, o determinante del cambiamento, riguarda pro- prio la propulsività e pervasività del sapere scientifico. La scienza appare oggi potenzialmente in grado di trasformarsi in tecnologia, processo, prodotto, organizzazione, secondo dinamiche plurisequenziali che cre- ano, a loro volta, stimoli e opportunità per l’ulteriore progredire della scienza e delle sue applicazioni. La quarta tendenza concerne i mutamenti in atto nella strategicità delle risorse indispensabili per lo sviluppo. La questione non si pone tanto nei termini classici di abbondanza o scarsità e connessa modifica nel sistema di prezzi relativi dei diversi fattori di produzione, quanto nell’emergenza e nelle peculiarità proprie delle risorse immateriali, identificabili in primis nel sapere, nella conoscenza, nell’informazione.

4. Responsabilità sociale ed etica d’impresa: una‑relazione per lo sviluppo sostenibile

“L’impresa deve essere responsabile solo verso i propri azionisti e, per quanto riguarda l’esterno, preoccuparsi solo che la sua immagine sia il più possibile positiva? Può intraprendere a livello sociale solo piccole iniziative di facciata, dal sapore quasi esclusivamente “pubblicitario”, op- pure può essere protagonista attiva di progetti che si propongono di valo- rizzare l’ambiente, le persone che vi lavorano, i territori in cui opera?”23. Alla base del dibattito sulla Responsabilità Sociale d’Impresa c’è la consapevolezza che l’impresa non è un’isola, separata dall’ambien-

22 Zamagni S., La costruzione dell’identità nazionale fra incompiutezze, ego- ismi e solidarietà, relazione alla XLII settimana sociale dei cattolici italiani, Torino, 1993. 23 Capecchi V., La responsabilità sociale dell’impresa, Roma, Carocci, 2005

214 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i te sociale in cui opera. Al contrario, diventa sempre più un punto di riferimento per chi vi lavora, per chi investe, per chi produce beni e strumenti, per chi vive nel territorio (Sombrero, 2006). Il Libro Verde 24 della Commissione Europea individua diversi fattori che hanno spinto le imprese ad adottare iniziative di CSR: Le nuove preoccupazioni e attese dei cittadini, dei consumatori, delle pubblicazioni autorità e degli investitori in vista della mondializ- zazione e delle trasformazioni di grande portata, che richiedono alle aziende una particolare attenzione alla sostenibilità e allo sviluppo. I criteri di tipo etico e socio‑ambientale che influiscono sempre più sulle scelte degli individui o delle istituzioni, sia come consumatori che come investitori. Le pressioni delle Ong, dalle mobilitazioni civili alle campagne di boicottaggio. Le crescenti inquietudini suscitate dal deterioramento dell’ambiente provocato dall’attività economica. La trasparenza garantita dai mezzi di comunicazione e dalle mo- derne tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’attività delle imprese. Negli ultimi anni la bibliografia sul tema è cresciuta a dismisura: sono molte le pubblicazioni che affrontano l’argomento, a testimonian- za della sua centralità nel dibattito internazionale. Quasi tutte concor- dano però nel riconoscere al Libro Verde della Commissione Europea la migliore e più appropriata definizione dell’argomento. Stando alle indicazioni dell’UE, la Responsabilità Sociale d’Impresa può essere considerata come “l’integrazione volontaria della preoccu- pazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni com- merciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuri- dici applicabili, ma anche andare al di là investendo “di più” nel capita- le umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”25. Sulla base di questa definizione le principali caratteristiche della CSR risultano essere le seguenti26.

24 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde. Promuovere un quad- ro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18 Luglio, 2001. 25 Libro Verde, 2001. 26 Beda A., Bodo R., La responsabilità sociale d'impresa, Milano, Il Sole 24ore, 2004

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Andare al di là della normativa: l’adozione di un comportamento socialmente responsabile da parte delle imprese non deve essere dettata da un mero obbligo di legge, ben- sì deve connotarsi come impegno volontario che le imprese assumono perché ritengono che ciò sia nel loro interesse di lungo periodo. Lo stretto legame con la sostenibilità: Responsabilità Sociale d’Impresa e sviluppo sostenibile sono due concetti strettamente correlati: nelle loro attività le imprese devono te- nere conto anche delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali del loro operato La volontarietà L’adozione di un comportamento socialmente responsabile è frutto di una libera scelta delle imprese.

Di conseguenza, adottare una politica di CSR significa per un’impre- sa andare al di là degli obblighi e degli adempimenti legislativi a cui è tenuta a confrontarsi e, investire volontariamente nella correttezza delle relazioni con gli interlocutori interni ed esterni dell’azienda, nel capitale umano, nel progresso sociale, nel rispetto per l’ambiente per contribuire ad una migliore qualità della vita. L’adozione di una politica di CSR comporterà inevitabilmente degli effetti per l’azienda. Un certo numero di imprese che hanno ottenuto buoni risultati nel settore sociale o nel settore della protezione dell’am- biente indicano come tali attività possono avere come risultato migliori prestazioni e consentono di generare maggiori profitti e crescita27. Più specificatamente, l’impatto economico della CSR può essere ri- partito in effetti diretti ed effetti indiretti: Effetti diretti possono, ad esempio, derivare da un migliore ambiente di lavoro, che si traduce in un maggiore impegno e in una maggiore produttività dei lavoratori, oppure possono derivare da una gestione ef- ficace delle risorse naturali. Effetti indiretti sono il frutto della crescente attenzione dei consuma- tori e degli investitori, che amplierà le possibilità dell’impresa sul mer- cato28. All’impresa oggi si chiede molto di più rispetto alla tradizionale fun-

27 Molteni M., (a cura di ), Valore, Strategia, Bilancio, Milano, Egea, 2000 28 Libro Verde, 2001.

216 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i zione di produzione, che costituisce comunque l’elemento costitutivo del suo essere ed operare. In una società gravata da problemi di scarsità di beni e da bisogni abbastanza elementari, dall’impresa si esige la messa a disposizione di beni e servizi con il migliore rapporto possibile qualità/prezzo. È questo l’obiettivo di fondo che porta al nascere e al sopravvivere delle imprese. Ma, una volta usciti dalla fase di ricostruzione o costruzione dell’appa- rato produttivo per entrare in quella di diffusione di benessere, gli sta- keholder si dimostrano più sensibili ai problemi della qualità della vita e delle esigenze di rispetto dell’esistenza umana in qualsiasi circostanza e in qualsiasi luogo. Di conseguenza, l’inquinamento, l’impiego del lavoro minorile, la discriminazione del posto di lavoro, divengono elementi im- portanti per creare un’immagine favorevole o sfavorevole dell’impresa e richiedono, in ogni caso una maggiore attenzione nell’impostazione della gestione aziendale. Si potrebbe così osservare in modo sintetico che all’impresa viene sempre più insistentemente richiesto di perseguire finalità economiche socialmente qualificate e di concorrere alla salvaguardia ambientale. La funzione sociale dell’impresa può dunque essere vista come la precondizione che porta all’esistenza dell’impresa stessa e, al medesimo tempo, come l’attributo che ne assicura la sopravvivenza. Considerando che la legittimazione ad esistere deriva dalla sua idoneità a soddisfare bisogni umani mediante la produzione di beni e servizi, e che quella a persistere come struttura vitale è legata al requisito di economicità delle prestazioni realizzate, è corretto far poggiare sul binomio socialità ed economicità il futuro di qualsiasi tipo d’impresa. Attualmente, appare del tutto superato e senz’altro sterile il dibattito intorno al riconoscimento di una funzione sociale dell’impresa, distinta anche se complementare a quella economica. L’impresa è unanimemen- te ritenuta un’istituzione sociale perché produce effetti che interessano la collettività e che, peraltro, per effetto della trasformazione del conte- sto esterno, si vanno sempre più ampliando29.

29 Nell’ampliamento delle responsabilità aziendali al campo sociale si è fatto giustamente riferimento ai seguenti cinque elementi fondamentali: • “l’impresa ha delle responsabilità che vanno al di là della produzione di beni o servizi con finalità di lucro; • queste responsabilità si sostanziano nell’aiuto a risolvere importanti problemi sociali con particolare riferimento a quelli che l’impresa ha contribuito a creare;

217 v a l e n t i n a c i l l o

Il riconoscimento del diritto di cittadinanza dell’ impresa è fonda- mentale per allargare la sua sfera di responsabilità in senso pubblico o più marcatamente ambientale. I rapporti tra imprese ed ambiente sono divenuti molto più critici con il procedere dell’efficienza tecnologica, che ha concorso a spostare costi e sacrifici dall’interno dell’organizza- zione al contesto esterno in cui quest’ultima svolge la sua funzione. In effetti, bisogna constatare che coloro che accentuano il dovere assunto dall’impresa nei confronti della società30 osservano che la re- sponsabilità sociale è giustificata dalle risorse che la comunità conce- de gratuitamente alle imprese (formazione scolastica e professionale, infrastrutture, sicurezza, ecc.), essendo il pagamento delle imposte in linea di principio, quasi mai equivalente al costo delle risorse acquisite. In altri termini, viene sostenuto che, come le persone fisiche, anche le imprese sono cittadini all’interno della comunità ed hanno quindi l’ob- bligo di concorrere a risolvere i problemi sociali31. Dato il carattere centrale dell’argomento, è il caso di insistere sul concetto di responsabilità sociale dell’impresa sia per ribadire l’amplia- mento ch’esso ha subito nel tempo sia per accennare alla necessità di ridefinire in modo più completo il ruolo dell’impresa.

• le imprese devono rendere conto ad un pubblico più ampio rispetto ai soli azio- nisti; • le imprese producono effetti che vanno al di là delle semplici transazioni di mercato; • le imprese rispondono ad un più ampio campo di valori umani rispetto a quelli che possono essere ricompresi nel focus esclusivo dei valori economi.” Secondo Sethi, il comportamento aziendale può essere visto come un fenomeno a tre stadi in rapporto al variare del concetto di legittimazione sociale dell’impresa. Egli distingue in base a tale concetto, tra social obligation, social responsibility e so- cial responsiveness. Il comportamento inteso come social obligation trova il suo ful- cro nel rispetto dei limiti legali e delle forze di mercato; quello definito come social responsibility punta ad elevare le prestazioni in congruenza delle consuetudini, dei valori prevalenti e delle aspettative della società; quello, infine, inteso come social responsiveness risponde ad anticipare le esigenze sociali non ancora manifestatesi, in modo da evitare di far nascere dei problemi dovuti all’adattamento del comporta- mento aziendale alle mutate esigenze della società. In altri termini, è un comporta- mento proattivo, che deriva dalla “sensibilità” sociale dell’impresa (v. Sethi S.P., Falbe C.M. (a cura di) Business and society, Lexington Books, New York, 1987, pp. 42‑43). 30 V. Sciarelli S. “Il governo dell’impresa in una società complessa: la ricerca di un equilibrio tra economia ed etica, Sinergie, n..45, 1998, p.54. 31 V. Bowie N.E. , “ New direction in corporate social responsibility”, Business Horizons, n..3, 1991, p. 58.

218 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i

Sui contenuti della responsabilità sociale, soprattutto nella dottrina nordamericana, si sono raggiunti dei punti di accordo che consentono di richiamare soltanto le conclusioni di un dibattito che è stato in pas- sato molto articolato. Gli studiosi d’oltreoceano individuano una corporate social responsi- bility (CSR), che deriva dal ruolo che ogni impresa è chiamato a svolge- re nella società e che si riferisce all’impatto sociale dei comportamenti aziendali, e una corporate social responsiveness, che si può intendere come sensibilità sociale ovvero attitudine ad avvertire gli stimolo che provengono dalla società32. Questa distinzione, ormai comune, tende a separare un concetto statico di responsabilità sociale (accettazione de- gli obblighi che derivano dall’attività svolta dall’impresa) da un concet- to dinamico, che contraddistingue la disponibilità dell’impresa a farsi carico dei problemi sociali, rispondendo alle pressioni che dovessero presentarsi nel contesto di riferimento33. In effetti, i principi posti alla base della responsabilità sociale dell’im- presa sono essenzialmente due: • il principio filantropico (charity principle),secondo cui l’azienda è te- nuta a partecipare finanziariamente alla soluzione dei problemi della comunità in cui è inserita; • il principio della fiduciarietà steward( principle), secondo cui l’im- presa, amministrando fiduciariamente le risorse di tutti gli interlo- cutori aziendali è tenuta ad agire nell’interesse generale34. Al riguardo, è importante sottolineare che la contrapposizione tra finalità economiche e sociali appare sempre quale problema nel breve termine perché nel lungo andare l’equilibro economico e quello sociale costituiscono insieme condizione essenziale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa.

32 Con la dottrina della “sensibilità” o “rispondenza” sociale – osservano Pres- ton e Post – l’interesse si concentra maggiormente sui modi, sugli strumenti e sui processi che l’impresa è chiamata a porre in essere l suo interno al fine di fronteg- giare le pressione sociali (cit. Di Toro P., Etica nella gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1993, p.109). 33 “Responsibility does imply more of a state or condition of having assumed an obligation, whereas responsiveness connotes a dynamic, action oriented condi- tion” (cit. di Ackerman‑ Bauer in Carroll A.B., Business & Society, South Western, Cincinnati, 1993 p.40) 34 V. Post J.E., Frederick W.C.‑Lawrance A.T., Weber J., Business and Society, McGraw Hill, New York, 1996, pp 41‑ 43)

219 v a l e n t i n a c i l l o

Piuttosto che parlare di contrapposizione occorre sottolineare l’esi- genza di creare armonia, convergenza, coesistenza ovvero compatibili- tà tra regole economiche e regole sociali nell’ottica del funzionamento di lungo termine dell’organizzazione aziendale. Sotto questo profilo, occorre sempre partire dalla convinzione che l’impresa deve, in ogni caso, preservare l’equilibrio economico, che è funzione del passato (solidità patrimoniale acquisita), del presente (an- damento economico favorevole) e del futuro (contributo dell’immagine e della fiducia alla sopravvivenza aziendale). Rispetto a questa componente interna oggettiva, giocano le componenti interne soggettive (caratteristi- che comportamentali del gestore e, più in generale, degli stakeholder) e quella esterna o di contesto.

5. Gli strumenti per la gestione strategica della responsabilità sociale

Alla luce di quanto esposto fin ora, appare chiaramente che un serio approccio alla sostenibilità non possa fare a meno né dell’aspetto for- male né dell’aspetto sostanziale, ovvero di un approccio alla responsa- bilità sociale che sia al contempo “genetico” e “gestionale”. Non esistono aziende sostenibili. Esistono semmai aziende orientan- tealla sostenibilità, nelle quali i problemi, le contraddizioni, le debolez- ze, le criticità e le smagliature non mancano di certo ma non vengono nascoste, e diventano piuttosto il luogo della riflessione e del confronto strategico all’interno dell’azienda e tra azienda e interlocutori esterni. Gli strumenti della responsabilità sociale, come sola operazione di ma- quillage, non offrono alcuna garanzia circa la sostenibilità dell’azien- da. La cronaca di questi ultimi anni ha prodotto non pochi esempi di aziende riccamente dotate di strumenti di RSI, dal codice etico al bilancio di sostenibilità, e che si sono inopinatamente rivelate ben lon- tane da un approccio imprenditoriale sostenibile. Gli strumenti della responsabilità sociale, quindi, devono poggiare su opzioni strategiche di business molto chiare e precise. Per questo risulta utile anzitutto ragionare su due livelli descrittivi: le opzioni strategiche di business e le leve organizzative utilizzate per rafforzare e consolidare nella cultura aziendale il valore di queste opzioni. La RSI favorisce, come abbiamo già potuto constatare, la cre- atività che porta all’elaborazione di misure value creator, cioè re-

220 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i alizzate per generare ricavi addizionali e migliorare l’efficienza35 (Ke m p 2001). Contrariamente alla tutela dei diritti, che interpreta la RSI come li- mite morale, la creatività socio‑competitiva vuole essere fonte di inno- vazione, dando vita a forme di collaborazione in grado di aumentare la coesione all’interno dell’impresa (come iniziative di formazione e assi- stenza ai dipendenti), fornendo contributi alla crescita tecnica ed im- prenditoriale dei fornitori, creando nuovi prodotti connotati da valenze sociali o ecologiche e ideando campagne di cause related marketing, uti- lizzando forme di comunicazione tese a coinvolgere tutti gli stakeholder nel disegno di sviluppo dell’impresa. A questo scopo introduciamo dei modelli di valutazione elaborati da Mario Molteni36 che classificano le iniziative di RSI prima in base al loro settore di pertinenza e poi rispetto alla loro capacità di contribuire con- giuntamente al vantaggio economico e alla sostenibilità dell’azienda: a la catena del valore, per avere una fotografia delle pratiche di CSR esistenti nel momento in cui l’indagine è stata effettuata; b la mappa dei benefici aziendali della CSR, per identificare i diversi ordini di vantaggi che l’impresa può trarre dalle politiche di CSR; c la matrice rilevanza sociale/convenienza aziendale, per avere una vi- sione si sintesi del valore prodotto dalle iniziative sia per l’impresa che per la società; d la sintesi socio‑competitiva, per fornire una rappresentazione sinteti- ca ed efficace di quelle iniziative che più delle altre incorporano una logica win‑win37.

La catena del valore consente di esaminare con approccio analitico il portafoglio di iniziative di CSR realizzate dall’impresa, riconducen- do tali iniziative alla nota distinzione tra attività primarie (logistica in entrata, attività operative, logistica in uscita, marketing e vendite, ser- vizi) e attività di supporto (approvvigionamento, gestione delle risorse umane, sviluppo delle tecnologie, attività infrastrutturali). Rispetto allo strumento tradizionalmente elaborato da Porter38, e da lui stes-

35 McWilliams A., Siegel D. S., Wright P. M, “Corporate social responsibility: strategic implications”, in Journal of Management Studies, vol. 43, 2006, pp. 1‑47 36 Molteni M., 2004 b 37 V. Mario Molteni, 2007 38 Cfr. Porter ,1985

221 v a l e n t i n a c i l l o so valorizzato per classificare le attività in tema di CSR39, si propone un’articolazione delle attività infrastrutturali che individua tre gruppi di manifestazione tipiche della responsabilità d’impresa40: la corporate governance, dove si considerano elementi quali: valori, principi e codi- ce etico; sistema di controllo; unità di gestione delle crisi; organi della sostenibilità; rapporti con istituzioni, ONG, attivisti, ecc. Le iniziative per la comunità, dove si fa riferimento a: donazioni in denaro e in na- tura; sponsorizzazioni di eventi culturali, sportivi, ecc.; progetti na- zionali e internazionali a valenza sociale e così via. La rendicontazione e la comunicazione istituzionale in cui assumono particolare rilievo: il bilancio sociale (o di sostenibilità); la sezione del sito internet aziendale dedicata alla CSR; i contenuti di CSR presenti nella comunicazione istituzionale.

La catena del valore

Fonte: Molteni, op. cit., 2007

La mappa dei benefici aziendali della CSR aiuta a riflettere sui diver- si ordini di vantaggi che l’impresa può trarre dalle politiche di CSR. Per quanto riguarda la matrice rilevanza sociale/convenienza azien- dale la sua utilità si riscontra soprattutto per valutare le varie iniziative

39 Porter, Kramer, 2006 40 Molteni M., 2007

222 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i aziendali alla luce di due criteri: i benefici generati per i vari gruppi di stakeholder e la convenienza per l’azienda stessa41. La rilevanza sociale dell’azione scaturisce da una valutazione di sin- tesi che ha tre determinanti: la rilevanza segnalata dal management, la rilevanza attribuita agli stakeholder, la rilevanza derivante dal grado di diffusione di una certa pratica nel contesto di riferimento. La convenienza aziendale, a sua volta, è la risultante della contrap- posizione tra i benefici e i costi di una determinata azione di Respon- sabilità Sociale.

La matrice rilevanza sociale‑convenienza aziendale

Fonte: Molteni, op. cit., 2007

Per ciascuna delle due dimensioni –rilevanza sociale e convenienza economica – è proposta una scala che prevede tre punteggi. Per la rilevanza si identificano i gradi: scarsa, media, alta. Per la convenienza le tre valutazioni sono: no, incerta, sì. La possibilità dell’incertezza dipende soprattutto dal fatto che, come si è sottolineato nei paragrafi

41 Per un esame critico degli studi che hanno approfondito il legame tra po- litiche di CSR e performance economiche dell’impresa si rinvia a: Margolis, Walsh (2001).

223 v a l e n t i n a c i l l o precedenti, i benefici delle azioni di RSI sovente sono di natura intan- gibile e differiti nel tempo, dunque difficilmente misurabili. Incrociando le valutazioni relative a rilevanza e convenienza si per- viene a una matrice a nove quadranti. Le linee curve che delimita- no variamente gli spazi di tali quadranti consentono di identificare cinque aree assai rilevanti in vista della formulazione di una politica unitaria di RSI. Le azioni che ricadono nell’area A, detta delle sinergie, meritano sempre di essere approvate e realizzate, in quanto presentano benefici maggiori dei costi connessi. In questo caso orientamento socio‑am- bientale e tensione alla competitività e alla redditività si coniugano sinergicamente L’area B, o dell’orientamento sociale, identifica azioni dall’esito in- certo ( e in qualche caso negativo), ma di ampia rilevanza. Il manage- ment dell’impresa che decide di intraprendere le azioni posizionate in quest’area manifesta in tal modo la sua ferma volontà di implementare una strategia la RSI. Quest’ultima diventa, in tal modo, un tratto ca- ratteristico della cultura aziendale. L’area C può essere denominata della spesa sostenibile. Essa identi- fica per lo più azioni rilevanti, ma in cui la relazione tra costi e benefici stimati è sfavorevole e per lo meno assai incerta. L’area D, detta triangolo del trade‑off, identifica azioni di grande rilevanza, ma di altissimo costo per l’impresa. L’area E, infine, è detta del rinvio in quantocomprende azioni che, per la loro scarsa rilevanza e lo svantaggioso rapporto tra costi e bene- fici, non meritano momentaneamente di essere intraprese. Appare evidente che l’area delle sinergie è quella che più si presta ad azioni vantaggiose tanto per la collettività quanto per l’azienda. L’ultimo modello elaborato dall’autore, è quello della sintesi so- cio‑competiva, che può essere utilizzato per rappresentare quelle ini- ziative di RSI che, più delle altre, sono in grado di perseguire un du- plice risultato: sociale, poiché costituiscono una modalità innovativa per rispondere alle attese di una o più classi di interlocutori al di là di quanto previsto dalla norma vigente e dalle consuetudini del tempo; competitivo, in quanto danno vita a una soluzione che contribuisce a sostenere e ad alimentare il vantaggio concorrenziale dell’impresa in modo più o meno pervasivo, in quanto può riguardare il complessivo assetto strategico‑organizzativo oppure specifiche scelte funzionali.

224 l a responsabilità s o c i a l e d e l l e i m p r e s e p e r l o s v i l u p p o sostenibile d e i t e r r i t o r i

La sintesi socio‑competitiva

Fonte: Molteni M., 2007

Per riconoscere una sintesi socio‑competitiva occorre sottoporre un progetto realizzato nell’impresa al vaglio di due domande. La prima: si tratta di una risposta più efficace alle attese manifeste o latenti di una o più categorie di stakeholder rispetto alle soluzioni prevalenti nel conte- sto in cui l’impresa opera? La seconda: si tratta di una risposta capace di consolidare/alimentare il vantaggio competitivo dell’impresa? Solo una duplice risposta positiva ci consente di affermare che siamo in presenza di una sintesi socio‑competitiva. Una risposta alle istanze sociali che non si innesta nel disegno di sviluppo dell’impresa costitui- sce un atto che, per quanto positivo agli occhi dei destinatari, non può dirsi manifestazione paradigmatica di un management responsabile. Concludendo, possiamo affermare che solo in presenza di certe condizioni sarà possibile rispondere affermativamente alla nostra do- manda di ricerca circa la possibile convivenza di vantaggio economi- co e sostenibilità sociale attraverso l’assunzione della Responsabilità Sociale nell’azienda. È possibile, quindi, a condizione che l’azienda si

225 v a l e n t i n a c i l l o impegni a perseguire la sostenibilità lungo tutta la filiera produttiva, attivi dei canali di ascolto verso i suoi stakeholder permettendo che l’ orientamento socio‑ambientale e la tensione alla competitività si co- niughino sinergicamente.

226 The Corporate Social Responsibility for a Sustainable Development of Territories Valentina Cillo PhD Student, University of Sannio – [email protected]

1. Economic globalization and social progress: a growing gap

In his contribution to the Spring Council in March 2005, the Com- mission recognized that CSR “can play a crucial contribution to sus- tainable development while enhancing Europe's innovative potential and competitiveness”. The strong commitment of the business case for CSR and the general support by businesses over the past 15 years has taken on particular importance with regard to its contribution to hu- man rights and the rule of law and sustainable functioning of democ- racy and the market economy. To be a successful model, the market economy should be based on some essential prerequisites: laws and regulations, climate of innovation and proactive entrepreneurship, loyalty and trust. All these elements are necessary to combine an high level of economic success, environmental protection, social cohesion and quality of life. In the old balance of the traditional welfare system, there was little space for Social Responsibility. In fact, a balance of power prevailed quite efficient, in which the lightning fast action of the companies involved in the creation of value, without attention to social and en- vironmental externalities of their own initiatives, was embroiled in a socially sustainable way by the counterweight of the bargaining power of national states and trade unions. The point of equilibrium that sprang from the game of these forces ensured the coexistence of economic development and social cohesion. The possibilities offered by the world economy from the collec- tive over the twentieth century have created conditions of life far bet- ter chance of being more widespread than in previous centuries. The global economic output in 2006 reached 66 billion U.S. dollars has increased by eighteen times between 1900 and 2000.

227 v a l e n t i n a c i l l o

The average life expectancy has risen significantly, even for the final defeat of deadly diseases at one time. Thanks to technological research and development of new methods and equipment has im- proved the relationship between work and physical labor. In addition, vehicles were previously unknown or inaccessible to the majority of the population. made more efficient exchange goods, and human in- teractions. Despite the advantages, however, there are many indications that the economic system in recent years involves side effects and risks created by the same modern economic activities and new forms of production. Chain of economic value and social value chain are not coinci- dental and the debate on Corporate Social Responsibility engages precisely this contradiction. Economic globalization helps us to un- derstand one of the most important aspects of industrial society. In the words of Daniel Cohen: the growing gap between “the collective imagination developed by modern society and the reality of the ter- ritorial division between wealth and poverty. "This "divorce" is not only between rich and poor countries, but also features the same rich countries, where the opposition center / periphery replaces the old pattern of class struggle within the company industry. This "divorce" is not only between rich and poor countries, but also features the same rich countries, where the old pattern of class struggle is replaced by the opposition center / periphery. For this reason, there is now a chance to confront with the new idea of "sustainable economy" and its growing practices, which are realized through environmental limits, creative experimentation and through dedicated policies to support innovation.

2. New parameters of sustainable development

Some of the micro sustainability, adopted at the institutional level and also used by businesses and non‑governmental organizations, have become, according to Andrew Savitz and Karl Weber (Sa v i t z A., We b e r K., 2006) a driving force towards a sustainable economy. The sustainability parameters are used with the conventional finan- cial indicators to meet the demands of investors and stakeholders as

228 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories regards the social responsibility for environmental impacts, the so- cial and economic consequences. Gradually increased the awareness of producers and consumers about the importance of the value of a product as regards conditions of supply, services, image and traceabil- ity of the product itself and the historical processes that led to its crea- tion. The ethical commitment of a company can then enter the "value chain" initiatives and suggesting paths economically competitive, but innovative, consistent with the possibility of developing a sustainable economy. The behavior of an enterprise or institution, also potentially interested citizens, unions, shareholders, media and stakeholders in general by ensuring that a sustainable and socially responsible pro- duction, marketing and delivery of services, represents a value‑added relationships with these parties and the public. In this context we can identify some common goals related to contexts of sustainability al- ready known and useful as a reference point of the institutional pa- rameters of sustainability: • Certification of products or operations of supply chains; • no waste; • eco‑efficiency; • wellness in the workplace; • vitality of the community;

The independent certification of products ‑ and the production proc- ess ‑ the first of the above objectives, is a response to the gap between consumers and producers and also to the distance between good pro- ducted and available on the market and the production processes im- plementing it. As noted by Andrew Savitz studies and Karl Weber, facing manda- tory information, companies have adapted and modified its produc- tion processes, such as occurs due to the U.S. Superfund law on the Annual Statement of quantities and origin of chemical agents: by a mere order of information has decreased by 59% of the quantities of chemicals required to deposit on the spot by U.S. firms, causingone of the most important voluntary environmental improvement. Supply chains may be located on a global scale. The chain of a product now may include steps that develop in different areas of the world and without interconnections between different creators. Due to the increased attention from the civil society, media and

229 v a l e n t i n a c i l l o certain institutions, and given the greater and more rapid dissemina- tion of information globally, certification is becoming an added value, both economically and in terms of ethics. A product certified as ethical and socially responsible, sustainable and built by a chain, it becomes a potentially more attractive product on the market. The ethical and sustainable certification of a product can be one of the elements on which the consumer decides to purchase goods rather than another, or to choose between similar services offered by this or that company. To use an example cited by Brian Halweil and Danielle Nierenberg, you can refer to the case of Unilever, the great Dutch company of food and consumption, which now buys all of the fish from sustainable sources. In the ’90, consumer associations and environmental groups have pressured the company to ask them to be reconsidered purchas- ing policies of fish products. In collaboration with the WWF in 1997, the company has thus promoted the creation of the Marine Steward- ship Council to certify sustainability of fish populations and provide guidance to the fish markets. The Marine Stewardship Council now has the support of at least 100 companies and environmental organi- zations and consumers in over twenty countries: The products are environmentally friendly and socially responsible certified under the trademark "Fish Forever" and are available in about thirty countries. The second goal of sustainability is the reduction of waste produc- tion. The production of not convertible solid waste, the emission of gases in the atmosphere, the diffusion of pollutants in water and air are clearly outside the ideals of sustainability practices. The eco‑efficiency, the third microeconomic objectives mentioned before,is based on the reduction of raw materials and energy resources per unit produced. It is clear that, in addition to responding to the needs of sustainable practices, eco‑efficiency also promotes financial savings as regards the cost of energy or water savings and raw materials. To highlight the benefits of eco‑efficiency practices sometimes, we may cite the cases of ST Microelectronics with a saving of $ 133 mil- lion in 2003, DuPont's a savings of about $ 2 billion in ten years, and Advanced Micro Devices which reduced by 60% of the kilowatt‑hours per production index between 1999 and 2005. In recent years also several public entities in Italy are working to promote policies and incentives in favor of eco‑efficient buildings and the conversion of the old public buildings to energy‑efficient structures.

230 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories

The well‑being at work, another of the objectives of sustainable development, is determined from the satisfaction in the workplace, health and safety factors, the distance between home and workplace, the staff turnover and just retribution. These indicators are often eval- uated on the basis of surveys that can be arranged by the companies themselves among their employees. For example, between 2004 and 2005, Mountain Equipment Co‑op has conducted a survey among women and men of their staff aimed at measuring the dedication of employees. The survey was based on the positive opinion concerning the work environment. Given the data below the 50% level of dedi- cation recorded, the company took care to extend the assistance for the training, involving more staff with greater seniority, improved its policy on parental leave and extended areas of support for its employ- ees. After the new address of the Mountain Equipment Co‑op to its employees, the level of dedication went up to 63%. Among the objectives of sustainable development that promote the change, we must consider the vitality of the community. The increase in goods and services that a community gets, without having to import them, may help the rehabilitation of communities affected by asym- metry of the global economic development. This can be the basis of an unstable configuration of the relationship between nature, society and capital from different perspectives: ecological, social and political. In many African countries, for example, most of the difficulties of local people and many ecological imbalances are due to the introduction of massive crops to foreign markets, ecologically unsustainable ‑ and therefore unsustainable economically and socially‑reality for many. You can also cite here the example of the project Nvadanya, born in India as a program of the Research Foundation for Science, Tech- nology and Ecology. Navdanya is a network of farmers (more than two hundred thousand) working to make the land fertile, to improve the living conditions of local producers and to offer quality products. Navdanya avoid the use of chemical fertilizers and in this way, on the one hand, prevents damage to the biodiversity of the area farmers and, secondly, producers are able to recover up to 90% of production costs, due to the purchase of chemicals. The direct revenue to farmers are three times higher than those who come to the farmers who use chemicals and in this way the producers of the network Navdanya can invest in health and education.

231 v a l e n t i n a c i l l o

Economic systems that can develop the vitality of the community are focused on human subjects and insider creativity and self‑manage- ment. The revenue is often derived from investments in the sphere of work and decentralized decision‑making. The multinational Novartis collaborates with local NGOs rather to identify a basket of basic needs for a worker and his family quantifying the basket in the local curren- cy. Through the use of a methodology developed by the Business for Social Responsibility, in early 2006, Novartis had adjusted the wages of its 93000 employees. So also the vitality of the communities is favored by the payment of subsistence wages, taking into account the cost of living at the local level and ensuring a wage that meets the needs of workers. And monitoring of wages actually paid in relation to a living wage is a way to get knowledge of what areas need adjustments.

3. The role of enterprises

In the revised strategy for sustainable development, the European Commission has called "the business leaders and other key stakehold- ers of Europe to engage in urgent reflection on the medium and long term policies needed for sustainability and propose ambitious busi- ness responses which go beyond the minimum force ". The analysis of aspects related to the phenomenon of globalization presented in last paragraphs, brings with it a totally obvious statement about the degree of complexity of the external environment and its impact on business strategies and management. It is apparent, however, an interesting thought: behind the way in which this phenomenon occurs, ie the glo- bal integration of demand and the growing flexibility of supply, there is a change in the very conception of the company, which sees a significant strengthening and enhanced the dialogical character of its activity at the very moment in which the complexity grows outside. The changes in technology and what needs do not occur independently: the need is defined and specific when it is confronted with the alternatives to satis- fy and the evolution of technology accompanies the precise needs of an endless process. This has an important consequence: if the business is defined as an open system consisting of a chain dialogue without end, it is guessed that traditional organizational structures are in varying degrees inadequate and reveal all their weakness. To overcome these

232 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories shortcomings, it must then be put in place a "complex projects". More generally, as eminent scholars (Mi n t z b e r g H., Dr u c k e r P., Ga l b r a i t h J. and others), complexity, then, must overcome the traditional logic operating enterprise that, until now, has faced problems in sequential succession. Face of change, a first trend is in what Di Bernardo and Rullani have defined as widening of the horizons of reference (Di Be r - n a r d o B., Ru l l a n i E., 1984). In this context we could speak of "glo- bal interdependence", or a radically new situation in which the various specific economic, productive, social, cultural, can come into interac- tion, communication and mutual‑thanks to the spread of knowledge and information technologies ‑ become parties interconnected larger systems. Interdependence does not exclude deep unevenness of power, strength, availability of resources. At the same time the speed of the various processes of globalization is proving to be very different: more pronounced in the financial, cultural and civic life in slow motion. This results in asymmetric forms of integration, with imbalances in the rela- tive positions of the various actors involved. For some, globalization is a great opportunity, for others a threat or a bond to answer for activating defense mechanisms and protection (Le v i t t T., 1986). In response to the change of scenery, a second trend would be in pluralization and autonomization of different national and regional contexts in which firms are rooted. Included in this trend especially the "complexification" and "den- sification” of the relevant classes. The different "country systems" (Va c c a ’ S., 1996) can be characterized not only infrastructure and in- stitutions but also by the values that animate the social subjects, the beliefs and feelings that guide behavior and relations with society and the state under this profile is easy to see that capitalism's most dynam- ic and high performance are those that qualify for the presence with- in the political institutions and socio‑cultural structures that ensure political interactions with the enterprise system “without canceling the autonomy, but without renouncing to address, on an institutional level, the mechanisms of market economy” (Za m a g n i S., 1993). The third trend, or decisive change, concerns the pervasiveness of scientific knowledge.

The fourth trend concerns the changes taking place in the stra- tegic resources needed for development. The question is not so much

233 v a l e n t i n a c i l l o in terms of abundance or scarcity and classic related changes in the system of relative prices of different inputs, as in the emergency and the peculiarities of their intangible assets, primarily in knowledge, in knowledge, in information.

4. Social responsibility and enterprise ethics: a relationship for sus‑ tainable development

“Does the enterprise have to be responsible just toward its own stockholders and take care just to give an image as positive as possible on the exterior? Could it start just small token initiatives at the social level, more or less with a uniquely advertising taste, or could it have a leading role in projects aiming to enhance environment, people who work for it, the regions where it acts?” At the base of the discussion on Corporate Social Responsibility there’s the awareness that the enterprise is not an island, detached from the social environment where it acts. On the contrary, it becomes more and more a reference point for who works for it, for who invests, for who produces goods and instruments, for who lives in the territory where it is (Sombrero, 2006). The Green Book of the European Commission picks out several factors that have pushed the enterprises to adopt CSR initiatives: New anxieties and expectations of citizens, consumers, public authorities and of investors in view of globalization and far‑reaching transformations, that requires to the enterprises a specific focus on sustainability and development. Ethical and social‑environmental senses that more and more influ- ence choices of people and institutions, both as consumers and as investors. Pressures from NGO, from civil mobilizations to boycott cam- paigns. Growing worries instigated by worsening of environment, caused by economic activity. Transparency guaranteed by media, new information technologies and by communication in the enterprise activities. In the last years the bibliography on the topic has increased out of all proportion: many are the publications referring to this argument, as

234 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories a mark of its centrality in the international debate. However quite all of them agree on giving recognition to the Green Book of European Com- mission to express the better and more proper definition of the topic. According to the indications of EU, CSR can be considered as “a concept whereby companies integrate social and environmental con- cerns in their business operations and in their interaction with their stakeholders on a voluntary basis. Being socially responsible means not only fulfilling legal expectations, but also going beyond compli- ance and investing more into human capital, the environment and the relations with stakeholders” (Green Book, 2001, p.6) On the basis of this definition the main characteristics of CSR are the following: Go beyond legal expectations the adoption of a socially responsible behavior by the enterprises has to be motivated not by a mere legal expectation, but it must rep- resent a commitment on a voluntary basis that enterprises take on because they consider it as a self‑interest in a long term period. Close link with sustainability Corporate Social Responsibility and sustainable development are concepts closely interrelated: in their activities, the enterprises must consider even the economic, social and environmental rebounds of their doings. Voluntariness Adoption of a socially responsible behavior is the result of a free choice of the enterprises (Be d a A., Bo d o R., 2004).

Consequently, adopting a CSR policy means for an enterprise to go beyond legal expectations it has to take care of and to invest on a voluntary basis into relation fairness towards internal and external stakeholders, into human capital, social progress, respect for environ- ment contributing to a better quality of life. The adoption of a CSR policy inevitably entails effect for the com- pany. A certain number of enterprises that have obtained good results in the social sector or in protecting environment indicates that such initiatives can have as a result better performances and allow to bring more profits and growth M( o l t e n i M., 2000). Specifically, CSR economic impact can be divided in direct effects and indirect effects:

235 v a l e n t i n a c i l l o

Direct effect, for example, can come from a better work environ- ment, that leads to more workers’ dedication and more productivity. Otherwise they can come from an effective management of natural resources. Indirect effects are the result of the growing attention of consum- ers and investors that widen the chances of the enterprises on the market. Today the enterprise is expected to give more compared to the tra- ditional function of production that, however, is the constituent ele- ment of its activities and its being. In a society burdened by problems of scarcity of goods and by al- most elementary needs, the enterprise is expected to provide goods and services with the better quality‑price ratio possible. This is the fundamental objective that makes enterprises being born and living on. But, once out of the phase of reconstruction ‑or construction‑ of the productive system getting then into the other phase of spread of well being, stakeholders prove to be more sensitive to problems re- lated to the quality of life and to the requirements regarding respect of human existence in every circumstance and in every place. Con- sequently, pollution, child labour, discrimination on the workplace become important topics to create a positive or negative image of the enterprise and require, in any case, more attention on structuring cor- porate management. So it’s possible to notice briefly that the enterprise is more and more expected to follow socially qualified economic aims, and to take part in environmental protection. Therefore social function of the enterprise can be considered as the presumption bringing to existence the enterprise itself and, at the same time, as the attribute assuring its survival. Assuming that le- gitimation to existence comes from its qualification to satisfy human needs through production of goods and services, and that its persist- ence as a vital structure is linked to the low priced performances real- ized, it’s correct to make the future of any kind of enterprise rest upon the couple sociality‑cheapness of services. At the present time seems to be completely outdated and unfruit- ful the debate on the recognition of a social function of the enterprise, different even if complementary to the economic one. Enterprise is considered of one mind a social institution because it produces effects

236 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories concerning the community, and always more widen because of trans- formation of the context. Recognizing the right of enterprise citizenship is fundamental to enlarge its sphere of responsibility in a public or more markedly en- vironmental sense. Relations between enterprises and environment have become much more critical with the progress of technological efficiency: it contributed to shift costs and sacrifices from the inside of the organization to the external context where this organization acts (Sc i a r e l l i S., 1998). Actually we can note that those who stress the duty of the enter- prise toward the society observe that social responsibility is justified by resources granted for free by community to the enterprises (school and professional education, infrastructures, security, etc.), being the payment of the taxes –in principle‑ almost never equivalent to the cost of the resources acquired (Bo w i e N.E., 1991). In other words, it’s as- serted that even the enterprises are citizens inside the community and so they’re obliged to participate in solving social problems. Given the importance of the topic, it’s opportune to stress the con- cept of social responsibility of the enterprise both to reaffirm the ex- tension it has got with time and to notice the need to redefine the role of the enterprise in a more complete way. On the contents of social responsibility, in particular in the North American doctrine, some match points are been reached. This allows us to refer just the conclusions of a debate very articulated in the past. It has been individuated a corporate social responsibility, coming from the role every enterprise has to take inside the society and that refers to the social impact of corporate behaviours, and a corporate social responsiveness, intended as social sensitiveness or attitude to perceive the boosts coming from the society (Di To r o P., 1993). This distinction, now in current use, is oriented to separate a static concept of social responsibility (adoption of the obligations coming from the activity of the enterprise) from a dynamic concept characterizing the availability of the enterprise to take care of social problems, answering the pressures that could derivate from the reference context. The principles at the base of the corporate social responsibility are essentially two: Charity principle: the enterprise is due to participate financially to the solution of problems of the community where it is integrated.

237 v a l e n t i n a c i l l o

Steward principle: the enterprise is due to act in the general inter- est, managing resources of all the corporate interlocutors on a trusting basis (Po s t J.E., Fr e d e r i c k W.C., La wr a n c e A.T., We b e r J., 1996). On this point, it’s important to underline that the contrast between economic and social goals appears always as a problem in a short term period because in a long term view, the economic and the social bal- ances constitute together an essential condition to allow the enterprise to develop and to live on. Instead of talking about contrasts, it’s important to stress the need to create harmony, convergence, coexistence or compatibility between economic rules and social rules looking at a working corporate struc- ture in a long term view. Considering this aspect, it’s always required to start from the belief on the enterprise preserving in any case its economic balance, that it’s function of the past (propriety robustness established), of the present (positive economic performance) and of future (image and trust con- tribution to the corporate survival). Compared with this objective in- ternal element, play their role the internal subjective elements (behav- ioural characteristics of the administrator and, more general, of the stakeholders) and the external one relating to the context.

5. The tools for strategic management of corporate social responsibility

As shown from now, it is clear that a serious approach to sustain- ability can not do without either the formal or substantive aspect, which is both “genetic” and “management”. There are no sustainable businesses, but companies are orienting towards sustainability. In these companies the contradictions, weak- nesses, critical issues are present, but are not hidden, and become a place of reflection and debate within the strategic and external stake- holders. The tools of social responsibility, as a mere make‑up opera- tion, makes no warranties about the sustainability of the company. The chronicle of recent years has produced many examples of compa- nies lavishly equipped with tools of CSR, code of ethics from the sus- tainability report, and who have unexpectedly revealed very far from a sustainable approach to business. The tools of social responsibility, therefore, must be based on strategic business options very clear and

238 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories precise. For this reason it is helpful first to use two descriptive level: the strategic options for business, on the one hand, and other organi- zational levers used to strengthen and consolidate corporate culture in the value of these options. CSR helps, as we have already seen, creativity is the development of measures that value creator, that is designed to generate additional revenue and improve efficiency K( e m p , 2001). Contrary to the protection of rights, which interprets the CSR as a limit moral, social and competitive creativity wants to be a source of innovation, creating forms of collaboration can increase cohesion within the firm (such as training and support employees), providing technical and business contributions to the growth of suppliers, creat- ing new products characterized by social and ecological values and cause‑related marketing campaigns, designing, using forms of com- munication aimed at involving all stakeholders in development. For this purpose we introduce the valuation models (M. Mo l t e n i , 2005) that rank first CSR initiatives based on their relevance to the field and then compared for their ability to jointly contribute to the economic benefit and sustainability of the company: a the value chain, to get a picture of CSR practices existing at the time the survey was conducted; b map of the business benefits of CSR, to identify the different or- ders of benefits that the company can draw from CSR policies; c the matrix relevant social / business convenience, to have a short representation of the value produced by the initiatives for the en- terprise well as for society; d social‑competitive synthesis, to provide a concise and effective initi- atives that incorporate a win‑win perspective (M. Mo l t e n i , 2007).

The value chain allows an analytical approach to examine the port- folio of CSR initiatives implemented by the enterprise, bringing these initiatives to the known distinction between primary activities (inbound logistics, operations, outbound logistics, marketing and sales, services) and support activities (procurement, human resources management, technology development, infrastructure activities). Compared to the instrument usually developed by Porter to classify CSR activities, we propose a classification of corporate responsibility activities based on three main areas: corporate governance (values, principles and code of

239 v a l e n t i n a c i l l o ethics; control system; units for crisis management; agencies of sustain- ability; relationships with institutions, NGOs, activists, etc.); initiatives for the community, refer to: donations, sponsorships of events, national and international projects of social value, and so on. Reporting and corporate communication in which are of particular importance: social report (or sustainability), the business section of the website dedicated to CSR, the contents of CSR in the corporate communication.

The value chain

Molteni, M., 2007

The map of the business benefits of CSR helps to reflect on the dif- ferent orders of benefits that the company can draw from CSR poli- cies. With regard to the importance of the social relevance / business convenience matrix, its usefulness was found primarily to assess the various business initiatives in the light of two criteria: the benefits generated for different stakeholder groups and convenience for the company itself (Ma r g o l i s J. D., Wa l s h Ja m e s P., 2001). The social relevance of the action derives from an assessment of synthesis which has three determinants: the relevance reported by management, the importance attached to the stakeholders, the rel- evance and, therefore, the degree of diffusion of a certain practice in context.

240 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories

The enterprise convenience, in turn, is the result of the comparison between the benefits and costs of a social responsibility activity.

Social relevance / business convenience matrix

Fonte: Molteni, op. cit., 2007

For each of the two dimensions‑social relevance and cost effective- ness ‑ has proposed a scale that has three scores. It is important to identify three levels: low, medium, high. For convenience the three assessments are: no, uncertain, yes. The possibility of uncertainty de- pends mainly on the fact that, as stressed in previous sections, the benefits of CSR are often by nature intangible and deferred in time, therefore, difficult to measure. By crossing the different degrees of relevance and convenience, we arrive at a matrix of nine quadrants. The curved lines that define the spaces of varying these quadrants to identify five areas which are rel- evant for the formulation of a unified policy on CSR. The actions falling in area A, this synergy, always deserve to be ap- proved and implemented, as have the benefits outweigh the costs. In this case, social and environmental orientation and tension to the com- petitiveness and profitability are combined synergistically. The area B, or social orientation, identifies actions with an uncertain outcome (and in some cases negative), but with a great importance. The

241 v a l e n t i n a c i l l o management of the company that decides to take action in this position thus manifests its firm intention to implement a CSR strategy. The latter becomes, thus, a characteristic feature of the corporate culture. The C area can be called as a sustainable cost. It identifies relevant actions for the most part, but where the relationship between esti- mated costs and benefits is poor and the very least uncertain. The D area, known as the triangle of trade‑offs, identify actions of great importance, but very high cost to the company. The area E, finally, is called the remand. It includes actions that, for lack of relevance and the disadvantageous relationship between costs and benefits, currently do not deserve to be taken. It is clear that the area of synergy is more likely to both actions beneficial to the community and for the enterprise. The last model developed by the author, is that of social‑competed synthesis, which can be used to represent the CSR initiatives that most of the others are able to pursue a dual result: social, since it is a new way to meet the expectations of one or more classes of stakehold- ers beyond the requirements of the current rule, competitive, because they create a solution that contributes to support and to foster the competitive advantage of the company, as it may involve the overall structure strategic or organizational‑specific functional choices.

Social‑competitive synthesis

Fonte: Molteni M., 2007

242 t h e c o r p o r a t e s o c i a l responsibility f o r sustainable development o f territories

To recognize a social‑competitive synthesis in the enterprise must submit a project under consideration of two questions. First, it is an appropriate response to the manifest or latent expectations of one or more categories of stakeholders, compared to solutions prevailing in the context in which it operates? Second, it is a response able to con- solidate the enterprise's competitive advantage? Just a double positive response allows us to state that we are oper- ating in the area of social‑competitive synthesis. A response to social demands, which does not engage in the business development strat- egy is an act that, as good in the eyes of the recipients can not be said of a paradigmatic manifestation of responsible management. In conclusion, we can say that only under certain conditions will be possible to haveTo recognize a social‑competitive synthesis in the enterprise must submit a project under consideration of two questions. First, it is an appropriate response to the manifest or latent expecta- tions of one or more categories of stakeholders, compared to solutions prevailing in the context in which it operates? Second, it is a response able to consolidate the enterprise's competitive advantage? Just a double positive response allows us to state that we are oper- ating in the area of social‑competitive synthesis. A response to social demands, which does not engage in the business development strat- egy is an act that, as good in the eyes of the recipients can not be said of a paradigmatic manifestation of responsible management. In conclusion, we can say that only under certain conditions will be possible to haveTo recognize a social‑competitive synthesis in the enterprise must submit a project under consideration of two questions. First, it is an appropriate response to the manifest or latent expecta- tions of one or more categories of stakeholders, compared to solutions prevailing in the context in which it operates? Second, it is a response able to consolidate the enterprise's competitive advantage? Coexistence of e coexistence of economic advantage and social sustainability through the assumption of social responsibility in the company. It's possible, surely, on condition that the company is com- mitted to pursuing sustainability throughout the supply chain, the active channels for listening to its stakeholders by allowing the so- cial‑environmental approach to competitiveness and tension will com- bine synergistically.

243 v a l e n t i n a c i l l o

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La Good Governance della Pubblica Amministrazione per lo sviluppo e la competitività del territorio Elvira Martini PhD, Assegnista di ricerca, Università degli Studi del Sannio, [email protected] Maria Carmela Serluca PhD Student, Università degli Studi del Sannio, [email protected]

E. Ma r t i n i ha scritto i paragrafi 1, 2, 3 e il sottoparagrafo 3.1. M.C. Se r l u c a ha scritto il paragrafo 4. Entrambe le autrici hanno scritto le Conclusioni.

Abstract

Quando si vuole condurre un’analisi centrata sul tema dello svi- luppo locale e focalizzarla intorno alle capacità di un dato territorio di svilupparsi e produrre innovazione, non si può prescindere dall’analisi delle relazioni tra gli attori esistenti su quel territorio. Sono gli attori e le relazioni sociali che essi costruiscono e sostengono – in base agli schemi mentali a cui sono socializzati e alle aspettative di successo che si suppongono più plausibili – che scelgono le risorse più adegua- te per attivare meccanismi di sviluppo (Vespasiano, Martini, 2008: 9). Così come sono gli stessi attori che decidono quali debbano essere i costi sostenibili per lo sviluppo e chi e in quale misura debba parteci- pare agli sforzi in nome della crescita e condividerne poi gli eventuali successi. In altri termini, le politiche di sviluppo locale richiedono un intervento forte e di alto profilo dell’attore pubblico, anche quando la loro realizzazione implica necessariamente la collaborazione con gli attori privati. Sulla base di queste considerazioni l’obiettivo del lavoro è quello di evidenziare, da un lato, le strategie cognitive che gli attori istitu- zionali attivano per sostenere lo sviluppo e la crescita di un territorio, con particolare riferimento all’implementazione di fattori invisibili quali quelli del capitale sociale, della costruzione e socializzazione di nuova conoscenza, delle buone prassi di una gestione territoriale ispi- rata ai principi della good governance. Dall’altro, si va ad evidenziare più da vicino e specificatamente quali sono le correlazioni (positive)

247 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a tra l’operato della Pubblica Amministrazione e il livello di sviluppo di un territorio, alla luce del fatto che l’attuale complessità di sistema impone che gli interventi strutturali da parte della Pubblica ammi- nistrazione debbano essere guidati dall’obiettivo di perseguire più elevati livelli di efficienza, unitamente alle esigenze di contenimento della spesa pubblica (Amatucci, 2000).

1. Attori e conoscenza per lo sviluppo dei contesti territoriali

È ormai da diversi anni che le tematiche istituzionali hanno at- tratto l’attenzione degli studiosi di sviluppo locale, in particolare fin dai primi tempi in cui si è affermato questo filone di studi (Sviluppo locale 1998). Da allora l’importanza di approcci esperienziali, l’im- portanza di uno sviluppo che sia di tipo endogeno, basato sulla logica bottom-up, attraverso processi di valorizzazione delle risorse locali, specialmente nelle aree periferiche, divengono i pilastri fondamentali del nuovo modo di fare strategia territoriale. In quest’ottica, i nuovi modelli di sviluppo cominciano a fare sem- pre più riferimento all’ottica sistemica, consapevoli degli stretti lega- mi tra le imprese e l’ambiente locale, per cui le specificità locali diven- tano il fattore fondamentale per la localizzazione delle stesse imprese e per le previsioni di sviluppo. Dall’altra parte, al sistema locale viene richiesto di adeguarsi ai mutamenti provenienti dall’ambiente ester- no, mantenendo la propria originalità (che solo in parte e non sempre si deve intendere come identità originaria), per utilizzarla come fat- tore strategico per la produzione di valori, di nuova conoscenza e di innovazione (Becattini, Rullani, 1993). In quest’ottica, il compito della politica e delle istituzioni locali diventa quello di attivare processi di promozione delle risorse territo- riali, supportando le imprese locali nei loro tentativi di innovazione e di sviluppo; il modello di sviluppo che risulta dall’insieme di queste convinzioni punta sulla valorizzazione delle risorse endogene, sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulle capacità istituzionali e la logi- ca diventa quella basata sul net-working e sui concetti di concertazio- ne e di partenariato socio-economico (così come vuole tutta la stru- mentazione prevista dalla UE per lo sviluppo territoriale) (Martini, Vespasiano, 2008: 12).

248 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

Sembra allora che le sorti dello sviluppo locale siano proprio nelle mani di chi fa relazione e di chi vuole conseguire un interesse co- mune. Lo sviluppo dev’essere inteso come il risultato di azioni col- lettive rese possibili dalla condivisione del territorio di appartenen- za e dell’idea di sviluppo immaginato per esso. Tra le altre cose, la condivisione facilita anche la riflessione comune sulla selezione delle risorse da mobilitare per avviare e sostenere lo sviluppo1 (Ibidem, 2008: 34). In questa prospettiva, gli attori principali dello sviluppo sono colo- ro che vivono nei territori di riferimento. Sono loro che conoscono i bisogni e le aspettative; la disponibilità per il cambiamento e anche le resistenze ad esso; la forza delle identità tradizionali e le debolezze della conflittualità quotidiana (Vespasiano, 2005: 46). Tuttavia, nella spiegazione del successo di alcune aree e del decli- no e della stagnazione di altre, anche i meccanismi di creazione e tra- smissione delle conoscenze hanno assunto un ruolo cruciale; accanto al calcolo delle convenienze dei singoli attori e delle singole imprese, si è cominciato a mettere in conto anche l’esistenza di fattori invisibili (variamente detti: embedded, sommersi, taciti, impliciti) che il sistema produttivo insediato in un certo territorio condivide spesso senza es- serne consapevole. La letteratura sullo sviluppo dei sistemi produttivi locali ha docu- mentato molte e differenti condizioni in cui questi fattori invisibili si materializzano, differenziando le performance di certi territori rispet- to ad altri. Si è così parlato di economie esterne ambientali; di vantag- gi della cooperazione in un contesto di relazioni stabili e ripetute; di uso della fiducia come collante di una divisione locale del lavoro; di spirito comunitario nelle relazioni tra operatori economici che con- dividono la stessa visione delle cose e la stessa storia; di rendimenti crescenti innescati dalla dinamica dell’apprendimento localizzato; di condivisione di conoscenze, di pratiche professionali e di certe regole di comportamento sociale. La letteratura internazionale definisce questo sistema di condi- zioni territoriali non riproducibili con il termine (non agevolmente traducibile) di milieu, interpretato come quell’insieme di condizioni

1. Per una rassegna del dibattito, vedi Becattini (1989, 1999), Becattini, Rullani (1993), Grabher (1993).

249 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a interne e di risorse che definiscono le peculiarità di un territorio e dalle quali dipende larga parte dei possibili cambiamenti e la stessa concreta diffusione dello sviluppo (Governa, 1999)2. La chiave di lettura della potenzialità di un territorio nasce dall’ipo- tesi che per lo sviluppo, prima ancora dell’accumulazione del capitale, il fattore decisivo sia rappresentato dal sapere (Brusco, 1994: 68) e in particolare dal mix ottimale fra sapere codificato, globalmente accet- tato, e sapere locale – o sapere localizzato (Rullani, 1989: 137) – capa- ce di accumulazione conoscitiva e di sostenere processi innovativi di lungo periodo. Questo sapere localizzato costituisce il differenziale basato sulle economie non di scala, ma di cultura3. Il vantaggio competitivo di un territorio e di un sistema di imprese che sappia fare rete è dato, allora, dalla possibilità di organizzare for- me di apprendimento e di propagazione collettiva della conoscenza su base locale: passando da un’impresa all’altra, da un concorrente già sul mercato a una neo-impresa, da un lavoratore all’altro, la stessa co- noscenza viene usata più volte, senza aggravi di costo e con aumento del valore del prodotto. Questo meccanismo va sotto il nome di effetto moltiplicativo della conoscenza – che così si propaga a costi ridotti, se non nulli – e con esso il tasso di apprendimento del sistema locale può diventare, quin- di, un criterio con cui leggere i differenziali competitivi. In merito a questo aspetto è noto come negli attuali processi di globalizzazione e internazionalizzazione, si stia passando da un’acce- zione che vede il territorio come una sede fisica o geografica, a un approccio che considera e valorizza le risorse intangibili che da esso scaturiscono, come la conoscenza, il design, l’arte, lo stile e la creati- vità (si pensi all’indubbia sinergia tra territorialità e Made in Italy). Seguendo questa impostazione la dimensione locale si afferma come

2. Il milieu è caratterizzato, quindi, non solo dal territorio ma anche dal ruolo dei soggetti all’interno di esso e dai rapporti che questi hanno con l’esterno: tali elementi costituiscono l’identità del sistema locale perché generano condizioni di vita e risorse potenziali che si formano e stratificano nel tempo e che non possono essere prodotte o riprodotte a piacere, e nemmeno trasferite da un sistema locale a un altro. 3. Nelle analisi localistiche sempre più viene messo in evidenza, infatti, che il successo di un’impresa dipende sì dall’interazione con altre imprese del sistema locale-territoriale, ma anche – e forse in maniera determinante – dalle interazioni con il contesto socio-culturale e istituzionale di riferimento.

250 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività un elemento determinante nell’evoluzione del sistema in quanto è lo- calmente che si svolge il fondamentale processo di conversione e ri- generazione della conoscenza; un sistema locale così inteso, non è un sistema chiuso ma un circuito di continuo apprendimento. In particolare, la sua funzione attiva nei processi incrementali di conoscenze utili allo sviluppo, si accresce sostanzialmente lungo due direttrici (Rullani, 2004): • diventando depositario di conoscenze localizzate che, essendo le- gate all’esperienza di chi opera o vive il contesto locale, sono con- divise dai vari stakeholders; • ponendosi come catalizzatore di esternalità, prodotte localmente grazie alla contiguità fisica, alla condivisione del contesto locale, ai simboli, ai codici che sono impliciti nell’esperienza localizzata.

I sistemi territoriali locali capaci di esercitare una superiore capa- cità produttiva e innovativa saranno quelli al cui interno si realizzerà una continua e più intensa interazione tra le due sfere della conoscen- za, cioè quelli in grado di attivare, valorizzandolo, il proprio substrato caratteristico di valori, saperi, tradizioni, istituzioni. In questa ottica, pertanto, il vantaggio competitivo è esterno alle imprese, o al settore industriale, e va ricondotto alla localizzazione delle sue unità. In questa ottica, si diventa consapevoli del fatto che la società con- tamina gli attori economici di mercato, lasciando un imprinting nel modo con cui operano scelte e azioni ma, allo stesso tempo, la società fornisce loro risorse aggiuntive, utili nella competizione. L’ambiente, in una visione del genere, non è dunque un semplice contenitore, ma uno spazio strutturato. Attraverso il capitale sociale l’agire degli attori viene contestualizzato, e il contesto viene trasforma- to in forza attiva e in risorsa produttiva (in capitale sociale, appunto). È evidente, in questo senso, come il capitale sociale non sia un elemento trasferibile da un territorio all’altro (cosa invece possibile sia con il capitale finanziario, sia con quello fisico che con quello umano); come già sostenuto, infatti, il capitale sociale si presenta in modo situazionale perché ogni territorio è diverso da un altro e ha caratteristiche proprie che lo differenziano e lo contraddistinguono, al punto tale da originare in modo diverso il capitale sociale stesso, mantenendolo allo stato latente per lungo tempo o mettendolo in moto lentamente o immediatamente (Bonfanti, 2008).

251 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

In conclusione, il processo cognitivo di un territorio appare socia- lizzato e collettivo, fondato su un’organizzazione relazionale tra gli attori, sulla cui base si strutturano complesse interazioni fra il sistema e il contesto ambientale a esso esterno. In questo modo, il contesto locale diventa un sistema di interazioni aperto per la produzione e diffusione del patrimonio relazionale proprio del capitale sociale, che diviene così vero differenziale di un territorio e dell’imprenditoria che su di esso insiste.

2. Le istituzioni intermedie

In ogni processo di sviluppo così come in quello di produzione delle politiche pubbliche, le istituzioni assumono un ruolo centrale, almeno per due ordini di ragioni. In primo luogo perché rappresen- tano i canali, gli strumenti attraverso cui è possibile realizzare quelle forme di policy integration che costituiscono l’elemento distintivo delle politiche di sviluppo locale. Il territorio destinatario e soggetto di tali politiche non è né un’area geografica, né un agglomerato di imprese, né una autorità amministrativa, né una enclave culturale ed identitaria bensì è un costrutto istituzionale i cui confini e il cui funzionamento sono delineati attraverso processi decisionali di natura politica, orga- nizzativa ed amministrativa (Lanzalaco, 2009: 37). Senza “agenzie e or- ganizzazioni dello sviluppo locale” come le definisce Angelo Pichierri (2002, 107) – cioè distretti, patti territoriali, piani strategici, gruppi di azione locale, sistemi turistici locali, Agende 21, ecc. – non esistono territori ed entità territorialmente definite. I territori coincidono con queste istituzioni, ed è per questo motivo che la dimensione istituzio- nale è costitutiva del territorio stesso. In questo senso le istituzioni, nelle varietà di forme che queste possono assumere (agenzie, piani, progetti, patti, accordi, ecc.) incorporano le interdipendenze e i legami idiosincratici che si vengono a creare tra i cittadini, le imprese, le fami- glie e i patrimoni (economici, ambientali, culturali, ecc.) che insistono su una data area (Pasqui, 2005: 31-42, 127-134). In secondo luogo, le politiche di sviluppo locale sono per loro stes- sa natura politiche integrate, cioè si basano sul coordinamento tra dif- ferenti politiche settoriali – agricole, urbanistiche, del turismo, delle infrastrutture, dei beni culturali, ecc. – all’interno di un dato territo-

252 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività rio. E, anche qui, i processi di policy integration avvengono attraverso istituzioni, sia attivando forme di coordinamento intersettoriale tra organi amministrativi già esistenti, sia creando nuove istituzioni ad hoc con lo specifico obiettivo di ridurre la frammentazione e aumen- tare il grado di coerenza tra le singole politiche settoriali (Lanzala- co, 2009: 37). In particolare, un ruolo importante in questo processo di terri- tory building lo svolgono le istituzioni intermedie o mesoistituzioni. Si tratta di istituzioni e organizzazioni che si collocano tra il livello micro (singole imprese, famiglie, unità associative e amministrative) e il livello macro (istituzioni nazionali e comunitarie). La principale funzione delle istituzioni intermedie è di generare forme di standar- dizzazione idiosincratica dei comportamenti degli attori economici e sociali. Da un lato, infatti, generano conformità e uniformità rispetto a progetti di sviluppo condivisi, dall’altro lato, non impongono regole universalistiche astratte (come invece fanno le macroistituzioni) ma generano ordini regolativi locali differenziati e strettamente radicati nel territorio (Ibidem: 38). Le istituzioni intermedie – quelle che Pichierri (2002) chiama le organizzazioni dello sviluppo locale – presentano tre caratteristiche di- stintive tra loro collegate e riconducibili al fatto di essere l’esito di un processo di stratificazione e sedimentazione istituzionale avvenuto nel corso degli ultimi due-tre decenni. La prima è di gravitare contem- poraneamente, e in modo non programmato, sullo stesso territorio: un Comune o una impresa possono essere contemporaneamente parte di un patto territoriale, avere un piano strategico, essere inclusi in una Agenda 21 locale provinciale e in un distretto industriale. La seconda è che le relazioni tra queste overlapping institutions sono paritetiche, cioè non sono inserite in una gerarchia dell’autorità: le loro attività regolative interferiscono le une con le altre, in modo caotico. La terza è che queste istituzioni hanno confini ed ambiti differenti: il territo- rio viene definito e costituito diversamente a seconda dell’istituzione considerata dando luogo ad una forma di policentrismo “a geometria variabile” (Lanzalaco 2009: 38). Tuttavia, questi tratti distintivi delle istituzioni per lo sviluppo lo- cale possono generare una serie di effetti non del tutto positivi e che richiedono un ripensamento di questi strumenti di governo e delle stesse politiche di sviluppo locale.

253 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

In particolare, ciò a cui si assiste è una sorta di iperprogettualità locale, cioè la crescita esponenziale di istituzioni e di progetti di svi- luppo (locale, turistico, rurale, urbano, sostenibile) che si sovrappon- gono gli uni agli altri senza che sia percepibile un disegno comples- sivo. Se da un lato, quindi, le istituzioni intermedie premono verso forme di standardizzazione e di omogeneizzazione (idiosincratica), dall’altro lato, l’effetto perverso generato dal combinato disposto di tutte queste pressioni è la frantumazione di un modello di sviluppo in una miriade di microprogetti localistici. Tutto ciò pone un duplice problema di sostenibilità istituzionale (Ibidem: 39). Da un lato, perché genera un sovraccarico (overload) di frenetiche attività programmato- rie, decisionali e implementative (che può nel medio o lungo periodo non essere sostenibile in termini sia di tempo che di capacità profes- sionali) sia per i politici e i funzionari che per i rappresentanti delle associazioni di rappresentanza. Dall’altro, perché la pluralità delle sedi decisionali porta alla fram- mentazione dei processi decisionali ed amministrativi. Ciò oltre a cre- are disorientamento negli attori pubblici e privati, erode l’unitarietà e l’omogeneità dei percorsi di sviluppo, il che costituisce la principale minaccia all’integrità istituzionale e identitaria di un territorio. C’è un elevato rischio di dissonanza progettuale, cioè che gli atto- ri (imprese, comuni, associazioni) che operano in un dato territorio debbano conformarsi a modelli tra loro incongruenti. Parallelamente a forme di integrazione intersettoriale tra i vari ambiti di politica pub- blica a livello locale, possono quindi emergere tacitamente – e, soprat- tutto, in forma non governata e controllata – forme di disgregazione territoriale dei progetti di sviluppo4. La disgregazione territoriale dei modelli di sviluppo può quin-

4. Tutto ciò costituisce un grosso problema per aree caratterizzate dalla presen- za di piccole e medie imprese per almeno due ragioni. In primo luogo, perché que- ste imprese dipendono sia dalle decisioni e dalle strategie elaborate dai decisori pubblici, che dall’ambiente in cui operano, a cui sono idiosincraticamente vincolate. La dissonanza progettuale crea incertezza e riduce drasticamente la possibilità di indirizzare razionalmente l’attività imprenditoriale in base a percorsi di sviluppo chiari e prevedibili. In secondo luogo, perché se è vero che in generale lo sviluppo è un concetto multidimensionale non riducibile alla sola dimensione economica (Bor- ghi, Chicchi 2008), ciò è tanto più vero in particolare per le aree di piccola e media impresa in cui la famiglia, le reti amicali e le strutture associative e consortili hanno un ruolo fondamentale.

254 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività di erodere l’ordine sociale, comunitario e identitario su cui si basa la riproduzione di questi sistemi produttivi poiché ignora i nessi di interdipendenza e di sostenibilità tra le diverse dimensioni dello svi- luppo. E non è quindi un caso che onde evitare questi fenomeni di disorientamento i progetti di sviluppo locale che si affermano siano quasi esclusivamente quelli “appiattiti” sulla dimensione economi- ca (internazionalizzazione, promozione turistica, innovazione), cioè quelli più semplici da estrapolare e rendere politicamente praticabili mentre quelli indirizzati all’ambiente, alla progettazione urbanistica e territoriale, alla qualità della vita e alla coesione sociali sono sacri- ficati. L’esito di tutto ciò è che si ha una distorsione sistematica, che ov- viamente prevede significative eccezioni, delle politiche di sviluppo locale: al policentrismo si sostituisce il gretto localismo, alla cultura della qualità subentrano invece l’esibizione del lusso e l’esaltazione del folclore locale, alla assenza di una politica del turismo supplisce una inefficace miscela di indistinzione ed eterogeneità quale marchio distintivo del territorio. Insomma, la frantumazione dell’identità territoriale altro non è che l’altra faccia della dispersione dei progetti di sviluppo locale in innumerevoli rivoli di erogazioni finanziarie.

3. Possibili linee di politica istituzionale per lo sviluppo locale

Nell’analisi delle politiche di sviluppo locale e dei fattori del loro successo/insuccesso occorre domandarsi in che misura le ca- ratteristiche distintive del sistema di istituzioni, di organizzazio- ni e di agenzie preposte all’elaborazione e implementazione delle politiche di sviluppo locale influenzino il loro esito. Al riguardo, Lanzalaco (2009: 41 e ss.) individua almeno due linee di politica istituzionale per lo sviluppo locale, al fine di contenere i possibili effetti perversi. In primo luogo, data la scarsità di risorse finanziarie per gli enti locali – soprattutto a partire dal 2013, quando di fatto termineranno le abbondanti e generose elargizioni dei fondi comunitari – l’obiet- tivo primario è quello di risparmiare ed evitare sperpero di risorse in processi di institution building costosi, inefficienti e, soprattutto,

255 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a inefficaci. In altri termini è necessario porre un freno al processo di proliferazione indiscriminata di progetti e agenzie la cui principale, se non unica, finalità è procurare finanziamenti “a pioggia” piutto- sto che promuovere progetti mirati e coerenti. Al fine di ostacolare queste forme di opportunismo istituzionale, ci si può muovere in due direzioni, che nascono dalla e si aggiun- gono alla prima linea appena individuata. La prima è una drastica semplificazione del sistema delle istituzioni e delle organizzazioni dello sviluppo locale al duplice fine di risparmiare risorse e pro- durre progetti di sviluppo omogenei. Tale processo non dovreb- be necessariamente portare a forme di centralizzazione della pro- grammazione, ma potrebbe consistere nella ricerca a livello locale di forme unitarie e unificanti di progettazione che minimizzino la frammentazione e la dispersione delle risorse e delle politiche. La seconda linea di intervento consiste nel potenziamento dei processi di integrazione tra le differenti politiche settoriali (policy integration) in modo tale da ridurre il peso della dimensione eco- nomica e distributiva e conferire, invece, la dovuta rilevanza anche alle altre dimensioni dello sviluppo locale (quelle della tutela am- bientale e paesaggistica, del welfare, delle politiche per gli immi- grati, per la famiglia, per il mercato del lavoro, per la formazione professionale, per la valorizzazione dei beni culturali e della tutela delle professionalità) per conferire ai processi e alle politiche di sviluppo un carattere realmente (e non fittiziamente) multidimen- sionale. Per concludere, quindi, la sostenibilità istituzionale delle politiche di sviluppo locale sembra connotarsi come un fattore de- terminante per la loro efficacia. Il potere delle politiche, infatti, non si esprime solo attraverso la loro volontà prescrittive ma soprattutto sulla loro capacità nor- mativa, nel senso di riuscire a normalizzare la realtà, imponendo una modalità descrittiva e determinando quindi anche un modo di percepire la realtà stessa. Ecco perché chi detiene il potere di “definire” e imporre le politiche diventa una figura cruciale poiché ha anche il potere di legittimare una maniera specifica di guardare alla realtà sulla quale si vuole operare (Orlandini, 2010: 131).

256 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

3.1. Da governance a good governance Nell’ambito delle politiche per lo sviluppo il concetto di governan- ce (descritta come forma di esecuzione del potere) o meglio del suo imperativo politico good governance ha acquisito negli ultimi venti anni un ruolo fondamentale. Il concetto di governance non è nuovo. Con esso si intende il pro- cesso decisionale e il processo con cui vengono implementate le de- cisioni (o non implementate). Date queste premesse analizzare la go- vernance significa analizzare gli attori formali e informali coinvolti nel processo decisionale, nell’implementazione delle decisioni prese nonché le strutture formali e informali che vengono create per arriva- re ad attuare quelle decisioni. Gli altri attori coinvolti nella governance variano a seconda del li- vello di governo di cui si discute. Nelle zone rurali, ad esempio, può includere attori come i proprietari terrieri, le associazioni di contadi- ni, cooperative, ONG, istituti di ricerca, leader religiosi, istituzioni finanziarie, i partiti politici, i militari, ecc. La situazione nelle aree urbane è invece molto più complessa. La Figura 1 fornisce le interconnessioni tra gli attori coinvolti nella governance urbana. A livello nazionale, oltre agli attore sopra cita- ti, anche i media, i lobbisti, i donatori internazionali, multinazionali, possono avere un ruolo attivo nel processo decisionale o semplice- mente influenzarlo. Tutti questi attori, oltre al governo e all’apparato militare, sono raggruppati come parte della “società civile”. In alcuni paesi oltre alla società civile, però, possono influenzare i processi de- cisionali anche le organizzazioni mafiose. In alcune zone rurali poi anche le famiglie fortemente radicate a li- vello locale possono indirizzare o influenzare il processo decisionale. Tale processo informale di decisione o di potere è spesso il risultato di pratiche di corruzione o porta a pratiche di corruzione (UNE- SCAP, 2009).

257 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

Figura 1. Le interconnessioni tra gli attori coinvolti nella governance urbana

Elite urbana: forma la città, Decision maker nazionali formalmente e informalmente; e provinciali; è ben organizzata decision maker nominati localmente: business decision maker

Politici locali Organizzazioni media mafiose Piccoli imprenditori e sindacati Funzionari di governo; Impiegati di concetto; esperti della formazione lavoratori locale e nazionale; NGOs con paga giornaliera; impiegati del settore CBOs lavoratori privato, CSO’s; PVO’s nei settori informali; donne

Classe media: disinteressata, Classe povera: soffrono disorganizzata… di più, sono sfruttati ma ha la più alta potenzialità ma cominciano ad organizzarsi per determinare il cambiamento

Devono essere rafforzati, attivati, dando loro più spazio e potere

Fonte: nostra elaborazione da UNESCAP, 2009. http://www.unescap. org/pdd/prs/ProjectActivities/On- going/gg/governance.asp

La complessità della figura suggerisce che il meccanismo della go- vernance per funzionare necessità dell’interconnessione costante de- gli attori e della relativa gestione delle forme di potere. Può capitare infatti che spesso le pratiche discorsive, le retoriche e i processi di decision-making veicolano e modellano all’interno del piano locale le idee e le ideologie elaborate a livello internazionale, mettendo in evi- denza non solo la trasnazionalità del processo di formazione di una

258 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività ideologia e delle policies di buone prassi ma soprattutto le ambivalenze e le aporie di un contesto trasnazionale egemonizzato da forze non facilmente controllabili dal contesto locale (Minicuci, Ravanello, 2011: 33). Una situazione di questo tipo può manifestarsi come sinonimo di una crisi della governance. Non a caso, il concetto di good governance fa il suo ingresso sul- lo scenario dello sviluppo nel 1989, anno della pubblicazione del rapporto della Banca mondiale dell’Africa dove lo scarso sviluppo del continente veniva attribuito a una crisi di governance, che in questo caso, diventava un problema per lo sviluppo da analizzare e cercare di risolvere. Da qui emerse in tutta la sua forza normativa la politica della good governance, diventando il nuovo paradigma di sviluppo della anni novanta (Orlandini, 2011: 131), con il quale si enfatizza il ruolo dei public managers nella fornitura di sevizi di elevata qualità; si sostiene la valorizzazione dell’autonomia mana- geriale; si misura e si ricompensa la performance sia individuale che organizzativa; si riconosce l’importanza di fornire quelle risorse umane e tecnologiche che i managers utilizzano per raggiungere i propri obiettivi istituzionali; si riconosce l’importanza dell’essere ricettivi alla competizione e a una filosofiaopen-minded in base alle quali i funzionari pubblici devono “confezionare” i propri scopi, differenziandoli da quelli del settore privato (Agere, 2000: 1). Da questo nuovo paradigma, pertanto, vengono fuori una serie di pro- spettive che servono a inquadrare una struttura governativa e che sono state al centro del dibattito sia nell’arena politica che in quella accademica: • la relazione tra governi e mercati • la relazione tra governi e cittadini • la relazioni tra governi e settori privati e del volontariato • la relazione tra eletti (politici) e nominati (dipendenti pubblici) • la relazioni tra istituzioni governative locali e gli abitanti delle aree urbane e rurali • la relazione tra potere legislativo e potere esecutivo • la relazione tra stati nazione e istituzioni internazionali.

Analizzando queste prospettive, molti professionisti del public ma- nagement e teorici provenienti da ambienti accademici hanno formu- lati diversi processi e diverse procedure attraverso i quali ottenere la

259 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a cosiddetta good governance e hanno definito i principi e gli assunti che sono alla base della stessa (Ibidem). In particolare il concetto di good governance deve ispirarsi a otto fondamentali principi (Figura 2): partecipazione, orientamento al con- senso, accountability (responsabilità), trasparenza, reattività, efficacia e efficienza, eguaglianza e inclusività, predictability (stato di diritto) (UNESCAP, 2009):

Figura 2. Gli otto principi della good governance

Orientamento al consenso MERCATO GOVERNO Partecipazione Predictability

Efficacia Accountability g o o d g o v e r n a n c e e efficienza

Trasparenza Reattività Eguaglianza e inclusività

SOCIETÀ CIVILE

Fonte: nostra elaborazione da UNESCAP, 2009. http://www.unescap. org/pdd/prs/ProjectActivities/On- going/gg/governance.asp

Partecipazione La partecipazione di uomini e donne è il fondamento della good governance. La partecipazione può essere diretta o per il tramite di istituzioni intermedie o di rappresentanza. In ogni caso la partecipa- zione non può essere improvvisata: essa necessita di informazione e organizzazione. Questo significa libertà di associazione e di espres- sione da un lato, e una società civile organizzata, dall’altro.

260 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

Stato di diritto La good governance richiede un equo framework giuridico e il pie- no rispetto dei diritti umani, in particolare di quelli relativi alle mino- ranze. L’applicazione imparziale delle leggi richiede una magistratura indipendente e una forza di polizia imparziale e incorruttibile.

Trasparenza Trasparenza significa che le decisioni adottate e della loro appli- cazione sono fatte in un modo da seguire regole e regolamenti. Ciò significa anche che l’informazione è disponibile gratuitamente e di- rettamente accessibile a coloro che saranno interessati da tali decisioni e alla loro applicazione. Ciò significa anche che saranno fornite suffi- cienti informazioni in forme facilmente comprensibili.

Reattività Il buon governo esige che le istituzioni e i processi debbano servire tutte le parti interessate in tempi ragionevoli.

Orientamento al consenso In una data società esistono diversi attori così come differenti punti di vista. La good governance esige la mediazione dei diversi interessi al fine di raggiungere un ampio consenso su ciò che è il migliore inte- resse per tutta la comunità e su come questo può essere realizzato. Si richiede anche una prospettiva di ampio respiro e a lungo termine su ciò che è necessario per lo sviluppo sostenibile e su come raggiungere gli obiettivi di tale sviluppo. Questo non può che derivare da una comprensione del contesto storico, culturale e sociale di una determi- nata società o comunità.

Eguaglianza e inclusività L’affermazione di una società del benessere dipende da come la stessa garantisce a tutti i suoi membri la partecipazione di tutti i suoi membri al mainstream della società. Ciò richiede che tutti i gruppi, e in particolare quelli più vulnerabili, abbiano la possibilità di migliora- re o mantenere il proprio benessere.

Efficacia ed efficienza Good governance significa che i processi e le istituzioni producono

261 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a risultati che soddisfano le esigenze della società, facendo il miglior uso delle risorse a disposizione. Il concetto di efficienza nel contesto della good governance riguarda anche l’uso sostenibile delle risorse naturali e la protezione dell’ambiente.

Accountability La responsabilità è un requisito fondamentale di una good go- vernance. Non solo le istituzioni governative, ma anche il settore privato e le organizzazioni della società civile devono rendere conto al pubblico e ai propri interlocutori istituzionali. L’imputazione di responsabilità varia a seconda che le decisioni o le azioni intraprese siano interne o esterne a una organizzazione o istituzione. In genera- le, un’organizzazione o un’istituzione è responsabile per coloro che saranno i diretti destinatari delle sue decisioni o azioni. La respon- sabilità non può essere applicata senza trasparenza e senza lo stato di diritto.

In questo scenario, tre sono gli attori coinvolti nella gestione della good governance: governo, società civile e mercato. Il governo deve garantire ai cittadini i servizi che ha promesso di elargire e svolgere un ruolo adeguato nella gestione economica del paese; il mercato garantisce la mobilità dei fattori di produzione, la concorrenza, il libero scambio di informazioni; i cittadini sono i be- neficiari passivi di un ambiente istituzionale migliore dove possono interagire tra loro e con il governo. L’interazione tra questi tre soggetti assicura la riduzione al mini- mo della corruzione, la considerazione delle minoranze, la parteci- pazione dei più deboli al processo decisionale e quindi lo sviluppo umano sostenibile. Pertanto good governance significa una stato ef- ficace, una società civile mobilita e un mercato produttivo. In altre parole la good governance è facilitata da governi efficaci che creano ambienti legali e politici favorevoli alla crescita economica e alla giu- sta distribuzione delle ricchezze. Tutto ciò a sua volta dipende da una società civile “vivace” capace di mobilitare gruppi e comunità, facilitare interazioni politiche e sociali, generare capitale e coesione sociale (Agere, 2000: 10).

262 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

4. La Pubblica Amministrazione promotrice dello sviluppo

La Pubblica Amministrazione (da ora PA) assume un ruolo fonda- mentale nello sviluppo economico e sociale di un territorio. Il Testo Unico sugli Enti Locali (Tuel) attribuisce infatti alle comunità locali, Comuni e Province, il compito di promuoverne lo sviluppo5. È il Comune infatti che, a seguito delle politiche di decentramen- to amministrativo, decide sulla destinazione delle risorse pubbliche raccolte, sui livelli di tassazione e di redistribuzione della ricchezza prodotta, sull’efficienza dei servizi offerti (Ricci et alii, 2010: 207). Ma se è necessario focalizzare le politiche e gli interventi pubblici a livello locale, resta in capo alla pubblica amministrazione centrale il ruolo di definire macrodirettrici strategiche ed essere di supporto agli enti decentrati (Brusconi, Vecchi, 2009). Il riferimento al con- cetto di sistema6 delle amministrazioni pubbliche, non solo a livello nazionale ma integrato in un contesto di collaborazione e coordi- namento internazionale, è diventato negli ultimi anni sempre più pressante e vincolante ai fini della rapida individuazione di politiche coraggiose, credibili ed efficaci. La PA può infatti essere intesa in un’accezione strutturale facendo riferimento al sistema degli enti in cui si articola lo Stato, tutti regola- ti da norme comuni o aventi la stessa logica, da modalità di funziona- mento omogenee addirittura standardizzate. Ma a ogni singolo ente è assegnata istituzionalmente una funzione tesa al soddisfacimento dei bisogni pubblici7 che emergono dalla realtà territoriale.

5. D. Lgs. 267/2000 – TUEL – Art. 3 Autonomia dei comuni e delle province. - Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome. - Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli inte- ressi e ne promuove lo sviluppo. - La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la pro- pria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo. 6. …evidenziandone appunto l’articolazione, la numerosità, eterogeneità e specifi- cità di migliaia di amministrazioni ed enti territoriali, enti funzionali, agenzie, imprese caratterizzate da differenti forme giuridiche e gradi di autonomia operativa, organizza- tiva ed economica. Cfr. Borgonovi E., Amministrazioni pubbliche e sostenibilità eco- nomica, in Azienda Pubblica, 2/2010, Rimini, Maggioli, pag. 173. 7. La qualificazione di un bisogno come pubblico è oggetto di valutazione cir- ca: – l’opportunità politica a intervenire; – l’accettabilità sociale dell’intervento pubblico; – l’efficacia economica dell’azione pubblica. Borgonovi E.,Principi e siste- mi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 2005, p. 128.

263 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

È possibile attribuire alla PA tre diverse tipologie di politiche per realizzare le sue finalità (D’Alessio et alii, 2008: 35): - politiche per lo sviluppo, al fine di garantire un adeguato livello del- la qualità della vita in relazione alla crescente richiesta di benessere da parte dei cittadini; - politiche di ridistribuzione della ricchezza prodotta nell’interesse di tutte le classi della comunità amministrata; - politiche di stabilizzazione in caso di squilibri congiunturali (infla- zione, disoccupazione, crisi finanziarie, instabilità politica), quegli stessi squilibri che da diversi anni caratterizzano l’andamento della nostra economia.

La stretta correlazione che esiste tra l’attività svolta dalla PA e la crescita (e lo sviluppo) di un territorio portano la PA a cercare le mi- gliori condizioni per massimizzare i propri obiettivi che non sono so- stanzialmente nuovi (sviluppo e promozione di riforme macroecono- miche, rafforzamento del quadro legislativo, definizione e implemen- tazione di politiche di supporto alle imprese, rafforzamento dell’effi- cienza, dell’accountability e della responsabilità interna, ecc.) ma che oggi devono essere guidati da logiche diverse: il contesto economico (crisi), sociale (attenzione e pressione della opinione pubblica), politico (consenso raccolto dai partiti e dai movimenti che dimostrano impegno nell’affrontare e risolvere i problemi concreti delle comunità locali e na- zionali), istituzionale (approvazione di riforme) (Borgonovi, 2010: 173) impone interventi strutturali, guidati dall’obiettivo di perseguire più elevati livelli di efficienza, unitamente alle esigenze di contenimento della spesa pubblica (Amatucci, 2000). In un contesto di risorse scarse, alla PA è richiesto di premere sul freno (della spesa per il personale e per l’acquisto di beni e servizi, di tra- sferimenti che non siano motivati da credibili piani di efficiente impiego da parte dei destinatari) e sull’acceleratore (di alcune spese che servono da stimolo allo sviluppo economico, alla riqualificazione urbana o di aree degradate, alla creazione di capitale sociale) (Borgonovi, 2010: 174) met-

La presenza di un servizio pubblico registra sempre la presenza di un bene co- mune; ogni volta che un servizio è pubblico significa che è stato ritenuto meritevole di un interesse generale, di un interesse che la comunità mette sopra ogni cosa, so- pra ogni membro della stessa comunità. Ricci P., Il soggetto economico nell’azienda pubblica, RIREA, Milano, 2010, p. 42.

264 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività tendo in campo azioni tese a definire le condizioni più opportune per sostenere lo sviluppo locale, l’attrazione di investimenti e veicolare le risorse sul territorio. Nella definizione delle priorità da considerare nella definizione delle politiche locali, il framework guida a livello nazionale è il Qua- dro Strategico Nazionale 2007-20138 (QSN 2007-2013) (Ministero del- lo sviluppo economico, 2007). Il documento propone una strategia globale tesa all’integrazione dei diversi attori impegnati nella promo- zione di percorsi di innovazione, competitività e coesione economica, so- ciale e territoriale (Mazzara L., Siboni B., Sangiorgi D., 2010: 422). Il Quadro individua quattro macro-obiettivi (sviluppare i circuiti della conoscenza, accrescere la qualità della vita, la sicurezza e l’inclusione sociale nei territori, potenziare le filiere produttive, i servizi e la con- correnza, internazionalizzare l’economia, la società e le amministra- zioni) che rappresentano i punti di riferimento per la scelta delle linee di intervento più adeguate ed efficaci, declinati in priorità, obiettivi generali e specifici. Alla luce di queste considerazioni, l’interrogativo che si pone riguarda le leve sulle quali la PA dovrebbe agire:

1. Nuove tecniche di governo della PA È ormai stato intrapreso da diversi anni (D.Lgs. 29/1993, D.Lgs. 286/1999) il processo di introduzione di criteri e principi economi- co-aziendali quali l’efficienza, l’efficacia e l’economicità rendendo indispensabile l’impiego di tecniche e strumenti tipici delle aziende private, anche se lo scenario è diverso e più complesso (Ricci, 2005: 20). Il concetto di governo delle amministrazioni pubbliche deve es- sere ripensato nella prospettiva innovativa non solo della governance ma in un senso più ampio di governabilità (o di good governance, come richiamato in precedenza). […] bisogna passare da un’ammini-

8. Le raccomandazioni fornite dalla com(2006) 385 def richiamano quanto sta- tuito nell’ambito degli Orientamenti strategici comunitari 2007-2013 e dei Pro- grammi operativi 2007-2013, che trovano esplicitazione nella decisione 2006/702/ CE e nel Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio Europeo. Questi due ultimi documenti promuovono uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle co- munità, suggerendo una serie di indirizzi entro cui gli stati membri sono chiamati ad elaborare il proprio quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Maz- zara L., Siboni B., Sangiorgi D., Lo sviluppo in ottica strategica: un’analisi delle prati- che negli enti locali, Azienda Pubblica, n. 3/2010, p. 422.

265 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a strazione centrata sugli atti e sui procedimenti a un’amministrazione “orientata ai cittadini”, alle imprese, in generale ai bisogni (Borgonovi, 2010: 176). Ciò significa una chiara programmazione, la capacità di sovraintendere ai processi e procedure di gestione, misurare l’impatto e l’efficacia delle decisioni e delle azioni.

2. Aumentare i livelli di trasparenza e qualità delle informazioni at- traverso adeguati sistemi di accountability. Accountability significa “rendere conto” dell’utilizzo delle risorse pubbliche anche in riferimento ai risultati sociali conseguiti e ai biso- gni della collettività (Ricci, 2005: 20) in considerazione del fatto che la pubblica amministrazione utilizza risorse che provengono dalla con- tribuzione dei cittadini e pertanto è necessaria una chiara rendiconta- zione dell’utilizzo di tali risorse.

3. Modalità di erogazione dei servizi pubblici locali. Le risorse sono ormai scarse, ma i cittadini richiedono servizi sem- pre più diversificati e di elevata qualità. Il legislatore ha prestato sempre particolare attenzione al settore dei servizi pubblici9, cercando di deli- neare il ruolo dell’ente locale nella gestione e erogazione, considerando che i servizi pubblici non sono surrogabili e sono gestiti in monopolio dalle strutture pubbliche. Risulta fondamentale individuare “standard di qualità”, almeno per categorie omogenee di strutture e di servizi10.

9. Sull’argomento si veda: Farneti G., La nuova disciplina dei servizi pubblici locali dopo il referendum e la manovra estiva, in Azienditalia, 10/2011, Ricci P., Lan- di T., La governance delle società per azioni dei servizi pubblici locali: attualità e pro- spettive, in Azienda Pubblica n. 2, Rimini, Maggioli, 2009. 10. All’estero il sistema delle citizen’s chart aveva consentito di migliorare la qualità dei servizi pubblici abbattendone notevolmente i costi attraverso l’adozione dello spirito del miglioramento continuo tipico dell’approccio culturale dei sistemi di qualità. In Italia, invece, leggendo il tutto come necessità di “ottemperare all’ob- bligo di legge”, si è provveduto a fissare lo standard non tanto per migliorare conti- nuamente il livello di qualità, ma piuttosto per definire il limite massimo sotto il quale non potessero scattare le sanzioni. Hinna L., La riforma: una letture in chiave manageriale, in Gestire e valutare le performance nella PA, Hinna L., Valotti G. (a cura di), Maggioli Editore, 2010, p. 96.

266 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

4. La capacità di attrazione di capitali sul piano pubblico e sul piano privato. Tale capacità, sul piano pubblico, è legata alla abilità e alle compe- tenze della PA di agire sui finanziamenti e sui bandi della Comunità Europea; invece l’attrazione di capitale privato in un territorio è legata prevalentemente a investimenti produttivi ma anche alla capacità del- le amministrazioni pubbliche di rendere appetibile un territorio o di dotarsi di strumenti di finanziamento innovativi come a esempio il project financing11.

5. Produrre un cambiamento della cultura e dei comportamenti. Un ruolo cruciale viene attribuito alla dirigenza che deve essere soggetto attivo nella definizione degli obiettivi e condividerli, utiliz- zare le risorse umane ad essa sottoposta (funzione datoriale) e valo- rizzarle12. Spetta, infatti, alla sfera politica il compito di interpretare i bisogni della comunità e definire le priorità delle azioni (in ossequio alla netta distinzione tra il ruolo politico e amministrativo, sancito nelle riforme della PA a partire dal decreto 29/1992), mentre alla sfera amministrativa spetta la concreta implementazione delle scelte e dei programmi. E solo se c’è condivisione degli obiettivi e consapevolez- za del percorso da realizzare che si produrranno i veri cambiamenti comportamentali.

11. Il project finance rappresenta non tanto un nuovo strumento di finanzia- mento, quanto una nuova filosofia ed una nuova cultura nel finanziamento delle infrastrutture pubbliche, basato sulla fattibilità del progetto e sulle sue prospettive economiche, ovvero sull’attitudine del progetto a restituire, attraverso i proventi generati, il debito contratto; passano, così, in secondo piano, la valutazione dell’azien- da che richiede il prestito, la sua situazione economico-patrimoniale e le garanzie (reali, patrimoniale e personali) da questa fornite. Amatucci F., Il project finance come strumento di partnership tra enti pubblici ed imprese private op. cit. 12. Il D.lgs. 150/2009 la riforma Brunetta è stata definita la riforma della diri- genza e non è un caso nemmeno che siano presenti numerose sanzioni e premi per i dirigenti che sono chiamati a svolgere un nuovo e non facile compito, quello del “dirigente vero”, che deve gestire la conflittualità interna e deve convincere i propri collaboratori a raggiungere gli obiettivi utilizzando le poche leve che ha a disposi- zione, un ruolo difficile, ma proprio per questo retribuito più degli altri. Hinna L., La riforma: una letture in chiave manageriale, op. cit., p. 84.

267 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

5. Conclusioni La capacità di promuovere la qualità e la competitività di un ter- ritorio rispetto ad altri dipendono dal nuovo ruolo13 che la PA deve assumere alla luce delle precedenti considerazioni. Un territorio dovrebbe offrire le migliori condizioni per la nascita di nuove imprese e per la crescita di quelle già insediate (Garzoni, 2009: 95), in primis il rilancio delle infrastrutture. In Italia la situazio- ne risulta inadeguata (Amatucci, 2002: 34) sia a livello quantitativo, inferiore a quello degli altri Paesi europei e profondamente diverso tra le stesse regioni italiane, sia qualitativo, a causa dell’obsolescenza tecnologica e del deperimento fisico di molte opere e della non rispon- denza alle esigenze del rispetto ambientale14. Da un punto di vista strettamente operativo questo significa che le strategie di sviluppo territoriale che meglio possono rispondere ai fab- bisogni finora espressi potrebbero essere le seguenti (Garzoni, 2009: 97-98): - strategia di portafoglio del territorio, volta a individuare i settori in cui investire, valorizzando le sinergie attraverso una condivisione di risorse o un trasferimento di conoscenze; - strategia economico-finanziaria del territorio, per l’individuazione delle fonti finanziarie più opportune necessarie per le infrastruttu- re e gli investimenti; - strategia organizzativa del territorio, che riguarda le scelte di predi- sposizione delle strutture e meccanismi operativi per una efficace organizzazione del network di attori che operano sul territorio; - strategia sociale del territorio, con riferimento alle problematiche

13. What Role for Government in the 21st Century. A responsible government is fair, inclusive, respects the rule of law, works for the collective interest, and looks at the medium to long-term to ensure that future genera- tions are not short-changed. A legitimate government is a government deserving of the trust of citizens. Gaining and keeping the public’s trust is an ongoing challenge – but one that governments must meet to carry out programmes successfully, especially re- forms. Conclusions of a Meeting of the Public Governance Committee at Ministe- rial Level, Rotterdam, The Netherlands, 28 November 2005. 14. La “politica dell’emergenza” tesa a intervenire solo dopo che si verificano disastri ambientali e non facendo prevenzione (da attuare innanzitutto con la map- patura dei territori più esposti ai rischi idrogeologici e interventi strutturali a soste- gno), rappresenta un impoverimento di tali zone e innesca meccanismi di sottosvi- luppo socio-economico.

268 l a g o o d g o v e r n a n c e d e l l a p u b b l i c a amministrazione p e r l o s v i l u p p o e l a competitività

ambientali e al rispetto di determinate condizioni di lavoro e di svolgimento delle attività produttive (attivazioni di reti di capitale sociale).

Da quanto detto emerge che la capacità degli attori locali di trovare la giusta sinergia rispetto alla scelta delle diverse strategie e alla capa- cità di saperle realizzare, è fondamentale. Tuttavia, limiti a queste forme di cooperazione non mancano: spes- so si è più inclini a cooperare con persone che si conoscono, o che siano sufficientemente simili, o anche che possiedono una buona re- putazione basata sul loro passato. Quando le conoscenze non sono complete, o dichiarano l’inaffidabilità o l’incapacità di alcuni partner, allora le cose si complicano un’altra volta. In questi casi, la cooperazione non trova nella fiducia e nelle sue conseguenze benefiche per lo sviluppo economico, un alleato forte per procedere lungo l’asse dell’impresa comune. Diventa indispensa- bile costruire le reti fiduciarie a partire dalle garanzie politiche. Qui entra prepotentemente il ruolo attivo giocato dalla politica di governo locale, come è stato più volte messo in evidenza. Per evitare le ingenuità, c’è da dire che anche l’intervento governativo esterno può essere insufficiente a garantire il continuo funzionamento degli sforzi cooperativi, perché il governo esterno viene percepito ancora più distante di quello locale. In questo caso, diventa indispensabile che tra governo esterno e quello locale si giochi la stessa partita, e che quello locale riesca a coinvolgere, con strategie di lungo periodo, le stesse associazioni (culturali, produttive, ricreative) nei meccanismi di governance. Ne risulta che un ulteriore passo nella costruzione del- la fiducia è lo sviluppo di una serie di meccanismi autopoietici, che assicurino la stabilità e la longevità di questi tentativi cooperativistici e, laddove necessario, anche l’auto-riproduzione e la ridefinizione de- gli stessi. Siamo in presenza di un processo alquanto complesso e lungo da realizzare, anche perché ogni stadio è importante e necessario per il completamento e il successo finale dello stesso. Resta da ricordare, per evitare equivoci e ingenue semplificazioni, che l’interesse personale degli stessi soggetti costituisce il fondamento di ogni tentativo coope- rativistico assimilabile alla fiducia: questo è ciò che in prima istanza avvicina i soggetti e li unisce (Vespasiano, Martini, 2008: 129).

269 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

È qui diventa indiscutibile il gioco virtuoso tra i due importanti attori della dinamica focalizzata sulla teoria del capitale sociale e sul “valore” della good governance: le istituzioni e le imprese. Le istituzioni locali, di ogni natura e di ogni colore politico, sono i primi responsabili dello sviluppo di un territorio, sia per il potere che hanno di dirigere le scelte di sviluppo, sia per la loro legittima azione di controllo sociale, sia per il loro ruolo di facilitatori delle dinamiche di coesione sociale. In quest’ottica, la questione delle aree depresse e in ri- tardo di sviluppo diventa sempre più «una questione istituzionale, cioè di governance, di rapporto tra stato di diritto e norme sociali, tra saperi e poteri, tra capacità istituzionali e capacità sociali» (Donolo 1999: 36). Nelle economie depresse, le istituzioni rivestono ruoli che non dovreb- bero ricoprire, determinando eccessi istituzionali con esiti perversi: troppa politica, troppa burocrazia, troppe regole, troppa incertezza e discrezionalità, troppo lassismo e condoni. Ciò a scapito della compo- nente sociale, che invece dovrebbe partecipare in misura maggiore e con maggiore responsabilità alle dinamiche di sviluppo territoriale. Per quanto riguarda le imprese c’è da dire che le dinamiche globaliz- zanti non svalutano l’importanza delle dinamiche territoriali, anzi. La loro capacità di innovazione e di competitività è strettamente legata alle risorse del territorio di localizzazione, innanzitutto alla qualità del capi- tale umano e al capitale sociale. Il successo e la qualità dello sviluppo di un territorio si gioca proprio se gli attori in esso presenti sono in grado di selezionare e mobilitare, nel modo più adeguato, le risorse culturali, economiche e politiche, realmente disponibili all’interno della società. Chi vuole mettere mano ai processi di sviluppo locale deve affrontare le resistenze territoriali, innanzitutto, e lo deve fare a partire dai mecca- nismi perversi della cultura locale, per trasformarla in un vero motore di sviluppo: senza di essa, o contro di essa non è possibile avviare né sostenere alcun processo di sviluppo locale (Vespasiano, Martini, 2008: 131). La strategia è quella investire in circuiti che si autoalimentano e che traggono vantaggio dallo sviluppo dell’intero sistema, cercando di adottare un approccio da gioco “a somma maggiore di zero”, dove l’interesse di un attore trova riscontro nell’interesse dell’altro (Ibidem: 105). Il buon governo è un ideale difficile da realizzare nella sua tota- lità. Ma per garantire uno sviluppo umano che possa definirsi soste- nibile, tutte le azioni dagli attori intraprese devono porsi l’obiettivo trasformare questo ideale in una realtà.

270 Good Governance of Public Administration for territory development and competitiveness Elvira Martini PhD, Assegnista di ricerca, Università degli Studi del Sannio, [email protected] Maria Carmela Serluca PhD Student, Università degli Studi del Sannio, [email protected]

E. Ma r t i n i wrote paragraphs 1, 2, 3 and subparagraphs 3.1. M.C. Se r l u c a wrote paragraphs 4. Both the autors hanno wrote the Conclusions.

Abstract When someone wants to conduct an analysis centred on the theme of local development and to focus it around the development and in- novative ability of a territory, s/he cannot ignore the analysis of rela- tionships among the actors who live on that territory. These actors, and the social relationships that they build and support, choose the most appropriate resources to enable development mechanisms (Ves- pasiano, Martini, 2008: 9). At the same time actors decide what the costs of sustainable devel- opment are and who should participate in the efforts in order to favour the growth and to share successes. In other words, local development policies require a strong and high profile intervention by the public ac- tor, even when their realization necessarily involves collaboration with private actors. Based on these statements the aim of this paper is – from one side – to highlight the cognitive strategies that enable actors to sup- port the institutional development and growth of a territory, with par- ticular reference to the implementation of invisible factors such as the social capital, the construction and socialization of new knowledge, the good practices of a territorial management based on the principles of good governance. On the other hand, we want to show – more closely and specifically – what are the correlations (we hope the positive ones) between the work of the Public Administration and the development level of a territory, whereas the current system complexity requires that the structural measures of the Public Administration should be guided by the objective of pursuing higher levels of efficiency together with the need of public expenditure (Amatucci, 2000).

271 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

1. Actors and knowledge for the development of local contexts

The institutional issues have attracted the attention of local develop- ment scholars for several years, in particular since the early days when this type of studies established itself (Sviluppo locale 1998). Since then the importance of experiential approaches, the importance of an en- dogenous type of development, based on the bottom-up view through processes of valorization of local resources, especially in remote areas, have become the pillars of the new approach to spatial strategy. In this context, new development models begin to relate more and more to the systemic perspective, aware of the close ties between busi- ness and the local environment, so that the local specificities become the key factor for the location of the enterprises and for development forecasts. On the other hand, to the local system is required to adapt to the changes coming from the external environment, while maintaining its originality (which is only partly and not always to be understood as the original identity), to use it as a strategic factor for the production of new values, new knowledge and innovation (Becattini, Rullani, 1993). From this perspective, the task of the local political process is to ac- tivate the promotion of local resources, supporting local enterprises in their attempts to foster innovation and development. The development model that results from all these beliefs focuses on the enhancement use of local resources, environmental and social sustainability, insti- tutional capacity building and on the logic based on the net-working and on the concepts of consultation and socio-economic partnership (in this direction all the tools provided by the EU for regional develop- ment should be addressed) (Vespasiano, Martini, 2008: 12). The fate of local development seems to be in the hands of the actors who is involved in promoting “networking” trying to achieve a com- mon interest. The development must be understood as the result of collective action made possible by the sharing of own territory and by the idea of ​​development envisioned for it. Among other things, this ap- proach also facilitates the reflection on the selection of resources that must be mobilized to initiate and support the development1 (Ibidem, 2008: 34). In this perspective, the main actors of development are those

1. For a review of the debate, see Becattini (1989, 1999), Becattini, Rullani (1993), Grabher (1993).

272 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness who live in the territories. They know the local needs and expectations, the availability for change and also the resistance to it, the strength of the traditional identity and the weaknesses of the daily conflict (Ves- pasiano, 2005: 46). However, in the explaining of the success of some areas and the de- cline and stagnation of others, the mechanisms of creation and trans- mission of knowledge have played a crucial role; together with the calcu- lation of the conveniences of actors and companies, one has also begun to consider the existence of invisible factors (variously known as: embed- ded, submerged, tacit, implicit) that the production system of a certain territory often shares without being aware of it. The local production systems development literature has docu- mented many different conditions in which these invisible factors are materialized, differentiating the performance of certain areas from others. So there are references to external economies; of cooperation benefits in a context of stable and repeated relationships; of use of trust as the glue of a local division of labor; of community spirit in the relationships among economic operators who share the same vision of things and the same history; of increasing returns triggered by local- ized dynamic learning; of sharing knowledge, professional practices and rules of social behavior. The international literature describes this system of not reproducible local conditions with the term (not easily translatable) of milieu, that is interpreted as the set of internal conditions and resources that define the characteristics of a territory and can determine the majority of possible changes and the concrete spreading of development (Governa, 1999)2. The key to understanding the potential of an area arises from the assumption that, before the accumulation of capital, the decisive fac- tor is represented by knowledge (Brusco, 1994: 68) and in particular by the mix of codified knowledge, globally accepted knowledge and local knowledge – or localized knowledge (Rullani, 1989: 137) – capa- ble to support innovative long-term processes. This localized knowl-

2. Therefore milieu is characterized not only by the territory but also by the role of individuals within it and by the relationships they have with the outside: these elements constitute the identity of the system because they generate local living conditions and potential resources that are formed and layered over time and can- not be produced or reproduced at will, and not even transferred from a local system to another one.

273 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a edge is the differential based not on economies of scale, but on econ- omies of culture3. The competitive advantage of a territory and of a system of com- panies that know how to build networks is given by the possibility of organizing learning forms and knowledge dissemination collective forms on a local basis: moving from one company to another, from a competitor already on the market to a newly-created company, from a worker to another one; the same knowledge is used frequently, with- out additional costs and with an increase of the value of the product. This mechanism is called multiplier effect of knowledge and with it the learning rate of the local system can become a criterion by which to read the competitive differentials. In relation to this aspect, in the current processes of globaliza- tion and internationalization, the meaning which sees the territory as a physical or geographical location moves towards an approach that considers and values ​​the intangible resources that flow from it, such as knowledge, design, art, style and creativity (we think of the indis- pensable synergy between territoriality and Made in Italy). Following this approach, the local dimension is stated as a key fac- tor in the evolution of the system because the fundamental process of conversion and regeneration of knowledge takes place locally; a local system, thus understood, is not a closed system but a loop of continu- ous learning. Particularly, its active role in the incremental process of knowl- edge useful for the development, increases substantially along two lines (Rullani, 2004): • becoming depository of localized knowledge that, being depend- ent on the experience of those who work or live in the local con- text, are shared by various stakeholders; • acting as a catalyst for locally-produced externalities, due to physi- cal proximity, and to the sharing of the local context, symbols, codes that are implicit in the localized experience. The local territorial systems capable of exercising more produc-

3. In the analysis of local interests it is increasingly being emphasized that the success of an enterprise depends on the interaction with other enterprises on the local-area, but also – and perhaps decisively – on interactions with the socio-cultur- al and institutional context.

274 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness tive and innovative capacity will be those in which a continuous and more intensive interaction among the two spheres of knowledge is created, that is those capable of activating their own substrate of val- ues​​, knowledge, traditions and institutions. In this perspective the competitive advantage is outside the enterprises and it must be attrib- uted to the location of its units. With this in mind, one becomes aware that society contaminates the economic actors of the market, leaving an imprinting in the way they make choices and actions, but at the same time, society provides them with additional resources, useful in competition. In such vision, the environment is not a simple container, but a structured space. Through the social capital, the actors’ action is con- textualized, and the context is transformed into active forces and pro- ductive resources, that is in social capital. It is evident that the capital is not an item transferable from one area to another one (this is possible with the financial, physical and human capital); as already argued, social capital is presented in a “sit- uational way” because each area is different from another one and has its own characteristics that differentiate and distinguish it and that keeps the capital in a state of latency for a long time, or puts it in slow motion or immediately (Bonfanti, 2008). To conclude, the cognitive process of a territory is socialized and collective, founded on a relational organization among the actors. In this way, the local context becomes an open system of interactions for the production and dissemination of its own social capital which be- comes the real differential of the territory and its entrepreneurship.

2. Intermediate institutions

In any development process as well as in the production of pub- lic policies, institutions play a central role, at least for two reasons. In the first place because they represent the channels by which one can make forms of policies integration that constitute the distinctive element of local development policies. The territory that receives such policies is neither a geographical area, nor a conglomerate of enterprises, an administrative authority, a cultural enclave but it is an institutional construct whose boundaries are delineated through

275 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a political, organizational and administrative decision-making proc- esses (Lanzalaco, 2009: 37). Without “local development agencies and organizations” as Pichierri Angelo defined them (2002, 107) – that is, districts, territorial agree- ments, strategic plans, local action groups, local tourist systems, Agenda 21, etc. – there are no territories and territorially defined entities. Ter- ritories coincide with these institutions, and it is for this reason that the institutional dimension is constitutive of the same territory. In this sense, institutions incorporate the interdependencies and the idiosyncratic ties that are created among citizens, enterprises, families and estates (eco- nomic, environmental, cultural, etc.) (Pasqui, 2005: 31-42, 127-134). Secondly, local development policies are integrated policies, which are based on coordination among different policy areas – agriculture, urban planning, tourism, infrastructure, cultural heritage, etc. – within a territory. And, again, policy integration processes are through poli- cy institutions, activating forms of inter-sectorial coordination among administrative organizations that already exist, but also creating new ad-hoc institutions with the specific aim to reduce fragmentation and increase the degree of consistency among the various sectorial policies (Lanzalaco, 2009: 37). Specifically intermediate institutions or meso-institutions play an im- portant role in the process of territory building. These are institutions and organizations located between the micro and macro levels. The main function of intermediate institutions is to generate intermediate forms of idiosyncratic standardization of economic and social behavior. From one hand, they generate compliance and consistency in order to share development projects; on the other hand, they do not impose uni- versalistic rules but generate different local regulatory orders, strongly rooted in the territory (Ibidem: 38). Intermediate institutions – those that Pichierri (2002) calls the lo- cal development organizations – have three distinctive features that are linked together and that are the result of a process of institutional strati- fication and sedimentation occurred in the last two or three decades. The first one is to gravitate together, and in an unprogrammed way, on the same territory: a municipality or a company can simultaneously be part of a territorial pact, have a strategic plan, be included in a provincial and local Agenda 21, in an industrial district. The second one is that the relationships among these overlapping

276 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness institutions are joint, that is they are not inserted into a hierarchy of au- thorities: their regulatory activities interfere with each other, in a chaotic way. The third one is that these institutions have different boundaries and areas: the territory is defined and constituted in different ways gen- erating a form of polycentrism as “variable geometry” (Lanzalaco 2009: 38). However, these distinctive features of the institutions for local devel- opment may generate a series of not-always-positive effects and require a rethinking of these same tools of government and local development policies. Particularly, we are witnessing a kind of hyper-local projects, that is the exponential growth of institutions and development projects (local, tourist, rural, urban, sustainable) that overlap without any perceptible to- tal design. While, therefore, the intermediate institutions push towards forms of standardization and homogenization (idiosyncratic ones), on the other hand, the perverse effect generated by the conjunction of all these pressures is the shattering of a development model into a myriad of micro-localist projects. This creates a double problem of institutional sustainability (Ibidem: 39). On the one hand it generates an overload of frantic decision-making activities (that in the medium or long term ones may not be sustainable in terms of both time and skills) both for politicians and officials and for representatives of associations. On the other hand the plurality of decision-making places leads to the fragmentation of decision-making and administrative processes. This creates also confusion in the public and private actors, eroding the unity and homogeneity of development paths, which is the main threat to the institutional identity of a terri- tory. There is a high risk of project dissonance, so that the actors operat- ing in a given territory should be subject to inconsistent patterns among them. In this scenario forms of territorial disintegration of development projects can emerge tacitly – and, above all, in a non-governed and con- trolled form –4.

4. All this is a big problem for areas characterized by the presence of small and medium-sized enterprises for at least two reasons. First, because these enterprises depend both on the decisions and strategies developed by public decision-makers and for the environment in which they are constrained idiosyncratically. The project dissonance creates uncertainty and reduces drastically the possibility of rationally

277 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

The disruption of spatial patterns of development can therefore erode the social order, on which the reproduction of these production systems is based because it ignores the interdependencies between sustainability and the different dimensions of development. For these reasons and in order to avoid these disorientation phenomena, local development projects are exclusively “flat” on the economic dimension (international, tourism promotion, innovation), that is the easiest ones to extrapolate and make them politically feasible while those directed to the environ- ment, to the urban planning, to the quality of life and social cohesion are sacrificed. The output of all this is that there is a systematic bias, although with some significant exceptions, of the local development policies: the nar- row-minded localism replaces polycentrism, the exhibition of luxury and the exaltation of local folklore takes over the culture of quality, the absence of a tourism policy is replaced by an ineffective mixture of het- erogeneity of the area as a distinctive mark of the territory itself. In short, the fragmentation of territorial identity is the other side of the dispersion of local development projects in a countless streams of financial disbursements.

3. Possible trajectories of institutional policy for local development

In the analysis of local development policies and factors of their success / failure one must ask what is the role and the influence of the features of the system of institutions, organizations and agencies responsible for the development and implementation of local develop- ment policies. In this regard, Lanzalaco (2009: 41 e ss.) identifies at least two lines of institutional policy for local development, in order to control the possible negative effects. First of all, given the scarcity of financial resources for local institu- tions – particularly since 2013, when the abundant and generous dona- tions of funds will finish – the primary objective is to save money and directing entrepreneurial activities based on clear and predictable development paths. Secondly, because if it is true that development is a multidimensional concept reducible to the single economic dimension (Borghi, Chicchi, 2008), this is espe- cially true in particular for the areas of small and medium enterprises in which family, friendship networks and associative structures play a key role.

278 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness avoid waste of resources in the expensive institution building process (inefficient and, above all, ineffective). In other words, one must put a stop to the process of indiscriminate proliferation of projects and agen- cies whose primary purpose is to provide funding “to give anyone and anywhere” rather than promote focused and consistent projects. In order to prevent these forms of institutional opportunities, one can move into directions which arise from and are added to the first line that we have just identified. One can think about a drastic simpli- fication of the system of institutions and organizations of local develop- ment with the dual purpose of saving resources and creating homoge- neous development projects. This process should not necessarily lead to forms of centralized planning, but one might be in search of unitary and unifying design forms that minimize fragmentation and dispersion of resources and policies. The second line of action consists in the strengthening of integra- tion processes among the different policies (policy integration) in or- der to reduce the weight of economic and distribution size and give, instead, the appropriate importance to the other dimensions of local development (environmental and landscape protection, welfare, poli- cies for immigrants, for the family, labour market, vocational training, the enhancement of cultural heritage and protection of professional- ism) in order to give a real multidimensional character to the political and development process. To conclude, the institutional sustainability of local development policies seems to establish itself as a determining factor for their effectiveness. As a matter of fact the power of policies is not only expressed through own prescriptive will but also through own legislation ability. For this reason s/he who has the power to “define” and enforce a policy becomes a crucial figure because s/he also has the power to legitimize a specific way to look for the reality on which one wants to operate (Orlandini, 2010: 131).

3.1 From governance to good governance The concept of governance (described as a form of execution of power) or of its political imperative “good governance” has acquired a major role, as a part of development policies. The concept of governance is not new. It is as old as human civi- lization. Simply “governance” means: the process of decision-making

279 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a and the process by which decisions are implemented (or not imple- mented). On the base of these considerations, analyzing governance means to analyze formal and informal actors involved in a decision-making process, in the implementation of decisions already taken up and the formal and informal structures that are created to implement those decisions. The other actors involved in governance vary depending on the level of government under discussion. In rural areas, for example, other actors may include influential landlords, associations of peasant farmers, cooperatives, NGOs, research institutes, religious leaders, fi- nance institutions, political parties, the military etc. The situation in urban areas is much more complex. Figure 1 provides the intercon- nections among actors involved in urban governance. At the national level, in addition to the above actors, media, lobbyists, international donors, multi-national corporations, etc. may play a role in decision- making or in influencing the decision-making process. All these actors are grouped together as part of the “civil society”. In some Countries in addition to civil society, organized crime syndi- cates such as the “land Mafia” may also influence decision-making, particularly in urban areas and at national level. In some rural ar- eas locally powerful families may make or influence decision-making. Such informal decision-making is often the result of corrupt practices or leads to corrupt practices (UNESCAP, 2009).

280 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness

Figure 1. Interconnections among the actors involved into urban governance

The Urban Elite: shapes the place Nation/provincial formally government decision maker, and informally appointed local desision makers; and it is well formal business organized decision makers

Elected local official; media Mafias Small‑scale entepreneur trade unions Middle level gonernment Daily wage carnes; officers; national and local law level government education experts; NGOs employees; workers private sector employees, CBOs in informal sector; CSOs, PVOs women

The Middle class: it is uninformed, The Urban poor: suffer uninterested, disorganized, but it has the most, are exploited, the greatest potential to bring about change but beginning to get organized

Must be strenghtened, activated and given space so as to empower them

Fonte: nostra elaborazione da UNESCAP, 2009. http://www.unescap. org/pdd/prs/ProjectActivities/On- going/gg/governance.asp

The complexity of the figure suggests that the mechanism of gov- ernance needs to run a constant interconnection of actors and man- agement of their power forms. As a matter of fact it may happen that the discursive practices, and the rhetorical processes of decision-making often vehicle and model (within the local plan) the ideas and ideologies developed at interna- tional level. This highlights not only the transnationality of the forma- tion of an ideology and of the policies of good practice but also the ambivalences and paradoxes of a transnational context; the hegemony

281 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a of the forces is not easily controlled by the local environment (Min- icuci, Revanello, 2011: 33). A situation of this type can occur as a syno- nym for a crisis of governance. Not surprisingly, the concept of good governance was used for the first time in 1989, that is the year of the publication of the report of the World Bank in Africa where the lack of development of the continent was attributed to a crisis of governance, which, in this case, became a problem to be analyzed trying to solve it. From here the policy of good governance emerged in all its normative force, becoming the new paradigm of development of the nineties (Orlandini, 2011: 131), with which the role of public managers in providing high quality services is emphasized; the enhancement of the managerial autonomy is sup- ported; the individual and organizational performance is measured; the importance of providing those resources and technologies that manag- ers use to achieve their institutional goals is recognized; importance of being ‘ receptive to competition and to an open-minded philosophy’ under which public officials should “make” their own purpose (differ- entiating them from those of the private sector) is recognized (Agere, 2000: 1). From this new paradigm a range of perspectives come out, they serve to frame a government structure that has been the focus of de- bate in both the political and academic arenas: 1. the relationship between governments and markets; 2. the relationship between governments and citizens; 3. the relations between governments and private and voluntary sectors; 4. the relationship between elected representatives (politicians) and appointed ones (civil servants); 5. the relationship between local government institutions and resi- dents of urban and rural areas; 6. the relationship between the legislative and executive power; 7. the relationship between national states and international institu- tions.

By analyzing these prospects, many theorists and practitioners of public management from academia have formulated several differ- ent processes and procedures by which to obtain the so-called good governance and defined the underlying principles and assumptions. (Ibidem).

282 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness

Particularly the concept of good governance must be based on eight fundamental principles (Figure 2): participation, consensus ori- entation, accountability (responsibility), transparency, responsiveness, effectiveness and efficiency, equality and inclusiveness, predictability (state of law) (UNESCAP, 2009):

Figure 2. The eight fundamental principles of Good Governance

Consensus orientation MARKET GOVERNMENT Partecipation Predictability

Effectiveness Accountability g o o d g o v e r n a n c e and efficiency

Transparency responsiveness Equality and inclusiveness

CIVIL SOCIETY

Source: our calculations from UNESCAP, 2009. http://www.unescap. org/pdd/prs/ProjectActivities/On- going/gg/governance.asp

Participation Participation by both men and women is the cornerstone of good governance. Participation could be either direct or through legitimate intermediate institutions or representative ones. It is important to point out that representative democracy does not necessarily mean that the concerns of the most vulnerable subjects in society would be taken into consideration in decision making. Participation needs to be informed and organized. This means freedom of association and ex- pression on the one hand and an organized civil society on the other hand.

283 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

Predictability Good governance requires fair legal frameworks that are enforced impartially. It also requires full protection of human rights, particu- larly those of minorities. Impartial enforcement of laws requires an in- dependent judiciary and an impartial and incorruptible police force.

Transparency Transparency means that decisions taken and their enforcement are done in a manner that follows rules and regulations. It also means that information is freely available and directly accessible to those who will be affected by such decisions and their enforcement. It also means that enough information is provided and that it is provided in easily understandable forms and media.

Responsiveness Good governance requires that institutions and processes try to serve all the stakeholders within a reasonable timeframe.

Consensus oriented There are several actors and as many view points in a given soci- ety. Good governance requires mediation of the different interests in society to reach a broad consensus in society on what is in the best interest of the whole community and how this can be achieved. It also requires a broad and long-term perspective on what is needed for sustainable human development and how to achieve the goals of such development. This can only result from an understanding of the his- torical, cultural and social contexts of a given society or community.

Equity and inclusiveness A society well being depends on ensuring that all its members feel that they have a stake in it and do not feel excluded from the main- stream of society. This requires that all groups, but particularly the most vulnerable ones, have opportunities to improve or maintain their well being.

Effectiveness and efficiency Good governance means that processes and institutions produce results that meet the needs of society while making the best use of

284 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness resources at their disposal. The concept of efficiency in the context of good governance also covers the sustainable use of natural resources and the protection of the environment.

Accountability Accountability is a key requirement of good governance. Not only governmental institutions but also the private sector and civil society organizations must be accountable to the public and to their institu- tional stakeholders. Who is accountable to whom varies depending on whether decisions or actions taken are internal or external to an organization or institution. In general an organization or an institu- tion is accountable to those who will be affected by its decisions or actions. Accountability cannot be enforced without transparency and the rule of law.

In this scenario, there are three actors involved in the management of good governance: government, civil society and market. Government must provide citizens with the services promised and play an appropriate role in the economic management of the country; the market ensures the mobility of the factors of production, competi- tion, free exchange of information; citizens are the passive recipients of an institutional environment where they can interact with each other and with the government at their best. Interaction among these three entities ensures the minimization of corruption, the consideration of minorities, the participation of the weaker in decision-making and therefore the sustainable human de- velopment. Therefore, good governance implies an efficiently state, a mobilized civil society and a productive market. In other words, good governance is facilitated by effective governments that create a legal and political environment conducive to economic growth and to an equitable distribution of wealth. This in turn depends on a “lively” civil society, able to mobilize community and groups, to facilitate political and social interactions, to generate social capital and cohesion (Agere, 2000: 10).

285 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a

4. Public Administration promotes development

Public Administration (now PA) plays a key role in economic and social local development. The Testo Unico sugli Enti Locali (Tuel) gives local communities, municipalities and provinces, the task of pro- moting development5. As a result of administrative decentralization policy, a municipal- ity decides on the allocation of collected public funds, the levels of taxation and redistribution of wealth, the efficiency of services offered (Ricci et al, 2010: 207);but if one needs to focus on public policies and interventions at the local level, PA defines macro strategic directions and supports other decentralized entities (Brusconi, Vecchi, 2009). The concept of a public administration system6, not only at na- tional level but also integrated in a context of international coopera- tion and coordination, has become increasingly urgent and binding in recent years in relation to the rapid identification of bold, credible and effective policies. PA can be understood in a structural dimension with respect to the system of institutions which make up the State; these institutions are governed by common rules and by standardized homogeneous ways of operation. But to institutions is assigned a function institutionally aimed at satisfying the public needs that emerge from the territorial reality. Three different types of policies can be attributed to PA in order to achieve its goals (D’Alessio et alii, 2008: 35): - development policies, to ensure an adequate level of quality of life in relation to the growing demand for citizens’ well-being;

5. D. Lgs. 267/2000 – TUEL – Art. 3 – Autonomy of provinces and municipali- ties. - Local communities (municipalities and provinces)are autonomous. - The municipality is the local authority that represents its community, looks after the interests of its community and promotes development. - The province, a local intermediate authority between municipality and region, representing its community, looks after the interests of its community, promotes and coordinates development. 6. …highlighting precisely the articulation, the abundance, diversity and specificity of thousands of governments and local authorities, functional bodies, agencies, firms characterized by different legal forms and degrees of organizational and economic auto- nomy. See Borgonovi E., Amministrazioni pubbliche e sostenibilità economica, in Azienda Pubblica, 2/2010, Rimini, Maggioli, pag. 173.

286 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness

- policies of redistribution of wealth, in order to ensure the interests of all classes of the community managed; - stabilization policies when economic imbalances are created (infla- tion, unemployment, financial crises, political instability), those same imbalances that characterize the performance of our economy. The close correlation between the activity of the PA and the growth (and development) of an area leads the PA to seek the best conditions to maximize its own objectives which are not essentially new (devel- opment and promotion of macroeconomic reforms, strengthening the legislative framework, definition and implementation of policies for the companies, strengthening of the efficiency, accountability and in- ternal accountability, etc.), but today they should be guided by differ- ent logics: the economic context (crisis), the social context (attention and pressure of public opinion), the political context (the consent of parties and political movements), the institutional context (approval of reforms) (Borgonovi, 2010: 173) impose structural measures, in order to pursue higher levels of efficiency together with the containment requirements of public expenditure (Amatucci, 2000). In a context of scarce resources, to the PA is required to press the brake (the personnel expenditure and the purchase of goods and services, transfers that are not substantiated by credible plans for efficient use by the recipients) and on the accelerator (of the same costs that serve as a stimulus to economic development, urban renewal or slum areas, the creation of social capital) (Borgonovi, 2010: 174) fielding actions to de- fine the necessary conditions to support the local development, the attraction of investments and vehicle resources in the area. In setting priorities to be considered in defining local policies and guidance at national level, the framework is the Quadro Strategico Na- zionale 2007-20137 (QSN 2007-2013) (Ministry of Economic Develop-

7. The recommendations provided by com(2006) 385 def, recalling the objec- tives set out in the Community Strategic Guidelines 2007-2013 and 2007-2013 Op- erational Programmes, which are explicit in Decision 2006/702/EC and Regulation (EC) No 1083/2006 of the European Council. These last two documents promote a harmonious, balanced and sustainable development community, suggesting a series of lines within which member states are required to prepare their own national strategic framework for 2007-2013.Mazzara L., Siboni B., Sangiorgi D., Lo sviluppo in ottica strategica: un’analisi delle pratiche negli enti locali, Azienda Pubblica, n. 3/2010, p. 422.

287 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a ment, 2007). This document proposes a comprehensive strategy aimed to the integration of the different actors involved in the promotion of paths to innovation, competitiveness and economic, social and territo- rial cohesion. The Quadro Strategico Nazionale identifies four broad objectives (to develop knowledge networks, to enhance quality of life, safety and the social inclusion in the territories, to enhance the productivity of sectors, services and competition, to internationalize economy, society and governments) that represent the points of reference for the selec- tion of the most appropriate and effective action, available in priori- ties, goals and targets. Based on these statements, the question that arises concerns the levers on which the PA should act:

1. New techniques of government of the PA The process of introducing standards and business principles such as efficiency, effectiveness and economy began several years ago (Leg- islative Decree no. 29/1993, Leg. 286/1999) and made the necessary use of tools and techniques typical of private companies, even if the scenario is different and more complex (Ricci, 2005: 20). The concept of government of the PA must be rethought from the perspective of gov- ernance not only innovative but in a broader sense of governance (or good governance, as mentioned previously). […] We must move from an administration focused on acts and proceedings to a “people-oriented” ad- ministration (Borgonovi, 2010: 176). This means a clear programming, the ability to oversee management processes and procedures, measur- ing the impact and effectiveness of decisions and actions.

2. Increasing levels of transparency and quality of information through appropriate accountability systems Accountability means “giving account” of the use of public re- sources in reference to the results achieved and the social needs of the community (Ricci, 2005: 20) because the PA uses resources that come from the contribution of citizens and thus requires a clear accounting of the use of these resources.

3. Ways of delivering local public services Although resources are scarce, people need more and more di- versified services and high quality. The legislature has always given

288 g o o d g o v e r n a n c e o f p u b l i c administration f o r t e r r i t o r y development a n d competitiveness special attention to public services8, seeking to delineate the role of the local management in the delivery activity, considering that public services are not substitutable and are managed by public monopolies. To identify “quality standards”, at least for homogeneous categories of facilities and services9, so is very important.

4. The ability to attract public and private capital This capacity, on a public level, is linked to the skills and compe- tencies of the PA to act on funding and calls on the European Com- munity, but the attraction of private capital in a territory is mainly linked to productive investments, but also to the capacity of public administrations to make palatable a territory or to acquire innovative financing instruments such as project financing10.

5. Making a change of culture and behavior. A crucial role is attributed to the leadership, that must be an active player in setting goals and sharing them, using the available resources and enhancing them. The political sphere has the task of interpreting the community’s needs and define priorities for action; instead the adminis- trative sphere has the task of the concrete implementation of the deci- sions and programs. And only if there is sharing of objectives and aware- ness of the path to follow that real behavioral changes will be made.

8. You can see: Farneti G., La nuova disciplina dei servizi pubblici locali dopo il referendum e la manovra estiva, in Azienditalia, 10/2011, Ricci P., Landi T., La gover- nance delle società per azioni dei servizi pubblici locali: attualità e prospettive, in Azienda Pubblica n. 2, Rimini, Maggioli, 2009. 9. Abroad the system of citizen’s charts had improved the quality of public serv- ices reducing costs considerably through the adoption of the spirit of continuous improvement typical of the cultural feature of quality systems. In Italy, however, in order to “comply with the obligation of the law”, it was decided to set up the stand- ard not just to continuously improve the level of quality, but rather to define the upper limit under which they could not take penalties. Hinna L., La riforma: una letture in chiave manageriale, in Gestire e valutare le performance nella PA, Hinna L., Valotti G. (a cura di), Maggioli Editore, 2010, p. 96. 10. Project finance is not a new funding instrument, but rather a new philoso- phy and a new culture in the financing of public infrastructures, based on the feasi- bility of the project and its economic prospects, or on an attitude of the project to return – through generated income – the signed debt; the evaluation of the com- pany requesting the loan, its financial position and its guarantees, take a back seat. Amatucci F., Il project finance come strumento di partnership tra enti pubblici ed im- prese private op. cit.

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5. Conclusions

The ability to promote the quality and competitiveness of a region depends on the new role assumed by the PA11. An area should provide the best conditions for the emergence of new firms and the growth of those already established (Garzoni, 2009: 95), primarily through the revitalization of infrastructure. In Italy the situation is inadequate (Amatucci, 2002: 34) both at a quantitative level (lower than that of other European Countries and profoundly different among Italian regions), and at a qualitative level, due to technological obsolescence and non-responsiveness to the needs of environmental protection12. From a strictly operational point of view this means that the terri- torial development strategies that best meet the needs just expressed, could be as follows (Garzoni, 2009: 97-98): a) portfolio strategy of the territory, aimed at identifying the areas in which to invest, exploiting synergies by sharing resources or knowledge transfer; b) economic and financial strategy of the territory to identify the most appropriate sources of funding needed for infrastructure and in- vestment; c) organizational strategy of the territory, which concerns the choice of developing the structures and operational mechanisms for the effec- tive organization of the network of actors operating in the territory; d) social strategy of the territory, with reference to environmental issues and compliance with certain conditions of work and performance of production activities (activation of networks of social capital).

11. What Role for Government in the 21st Century. A responsible government is fair, inclusive, respects the rule of law, works for the collective interest, and looks at the medium to long-term to ensure that future genera- tions are not short-changed. A legitimate government is a government deserving the trust of citizens. Gaining and keeping public trust is an ongoing challenge – but one that governments must meet to carry out programs successfully, especially reforms. Conclu- sions of a Meeting of the Public Governance Committee at Ministerial Level, Rot- terdam, The Netherlands, 28 November 2005. 12. The “political emergency” that intervenes only when environmental disas- ters occur without doing any prevention (to be implemented first by mapping the most risk areas – hydrogeological and structural support-), represents an impover- ishment of these areas and triggers mechanisms of socio-economic underdevelop- ment.

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From the above it appears that the capacity of local actors to find the right synergy with respect to the choice of different strategies and the ability to implement them, is vital. However, limitations to these forms of cooperation abound: ac- tors often prefer to cooperate with people they know, or that are suf- ficiently similar, or that have a good reputation based on their past. When knowledge is incomplete,or some partners appear unreliable or unable to operate, then things get complicated again. In these cases, cooperation does not find a strong ally in trust (and in its beneficial consequences for economic development) in order to proceed along the axis of the joint venture. To build trust networks starting from security policies become essential. Here comes the powerfully active role played by local government policy, as has been repeatedly highlighted. To avoid ingenuity, it must be said that external government intervention may be insufficient to ensure the continued functioning of cooperative efforts, because the government is perceived as more distant than the local one. In this case, it becomes essential that external and local governments play the same game, and that the local one is able to engage, with long- term strategies, the associations (cultural, productive, recreational) in the mechanisms of governance. A further step in building trust is to develop a series of autopoietic mechanisms which ensure the stability and longevity of these cooperative efforts and, where necessary, also its self-reproduction and redefinition. We are in the presence of a complex and long process to imple- ment, because each stage is important and necessary for its comple- tion and ultimate success. Lastly it is to be remembered that, in order to avoid misunderstandings and naive simplifications, the self-interest of the individuals is the foundation of every cooperative effort similar to trust: this is what draws people together and unites them (Vespa- siano, Martini, 2008: 129). At this point, the game between two leading players in the dynam- ics of social capital and of the “value” of good governance, inevitably becomes virtuous: institutions and organizations. Local institutions of every kind and of every political tendency, are primarily responsible for the development of an area, both for their power to direct development choices, for their rightful share of social control, and for their role as facilitators of the dynamics of social cohe-

291 e l v i r a m a r t i n i – m a r i a c a r m e l a s e r l u c a sion. From this perspective, the issue of depressed and lagging-behind areas becomes increasingly “an institutional matter, a matter of the re- lationship between state of law and social norms, between knowledge and power, between institutional and social skills” (Donolo 1999: 36). In depressed economies, institutions that do not play the roles they should play, result in perverse outcomes with institutional excesses: too much politics, too much bureaucracy, too many rules, too much uncertainty and discretion, too much laxity and amnesties. This is at the expense of the social component, that should participate to a greater extent and with greater accountability to the dynamics of territorial development. With regards to organizations we can say that the globalizing dy- namics does not devalue the importance of the territorial dynamics. Their capacity for innovation and competitiveness is closely linked to the resources of the area, first of all to the quality of human and social capital. The success and quality of the development is just played if the actors are able to select and mobilize, in an appropriate way, cultural, economic and political resources, actually available within society. They who want to deal with the local development process must address the local resistances and must do it starting from the perverse mechanisms of local culture, to transform it into a real engine of devel- opment: without it, or against it, it is not possible to initiate or support any process of local development (Vespasiano, Martini, 2008: 131). The strategy is to invest in self-feeding circuits, which can benefit from the development of the system, trying to adopt a “sum-greater– than-zero” approach, where the interest of an actor is reflected in the interest of the others (Ibidem: 105). Good governance is an ideal, dif- ficult to be achieved in its totality but in order to ensure a human and sustainable development, all the players’ actions must aim to trans- form this ideal into a reality.

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