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GIORNALE STORICO DELLA LUNIGIANA E DEL TERRITORIO LUCENSE

NUOVA SERIE - ANNO LIX 2008 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 2

Il volume è stato realizzato con il contributo di: Istituto Internazionale Studi Liguri, Sezione Lunense Comune di Castelnuovo Archivio di Stato della Spezia Provincia della Spezia su delega della Regione Fondazione della Cassa di Risparmio di Carrara Fondazione della Cassa di Risparmio della Spezia

Si ringrazia per la concessione di fotoriproduzione di proprî materiali: Archivio di Stato della Spezia Archivio di Stato di Firenze (Autoriz. Minister. nr. 2377 del 30.3.2009) Archivio Notarile Distrettuale di Archivio Storico del Comune di Istituto di Studi sui Conti di Lavagna - Genova Massimo Battolla Davide Marcesini (tratto da “La Lunigiana dei castelli”, Edizioni Giacché 2008) Edizioni Giacché Eliana M. Vecchi

Si ringrazia per la collaborazione: Il Sindaco Marzio Favini, Giorgio Baudone e Paola Moro del Comune di Castelnuovo Magra; il Sindaco Massimo Caleo e Stefano Milano del Comune di Sarzana; Elisabetta Arioti, già Soprintendente, Enrico Basso ed il personale della Soprintendenza Archivistica della Liguria; il direttore Antonino Faro ed il personale dell’Archivio di Stato della Spezia; Direzione dell’Archivio di Stato di Genova; il direttore Olga Raffo ed il personale dell’Archivio di Stato di ; il direttore Giovanna Quilici, Maria Grazia Aranzulla ed il personale dell’Archivio Notarile Distrettuale della Spezia; Patrizia Gallotti e il personale della Biblioteca Civica “U. Mazzini” della Spezia; don Ettore Garfagnini, parroco di Falcinello; Massimo Battolla; Riccardo Barotti; Werther Bianchini; Roberto Ghelfi; Pino Guelfi; Franco Mariano; Giuseppe Meneghini; Ugo Muccini; Giulia Petracco Sicardi; Alfredo Giuseppe Remedi.

Progetto e coordinamento editoriale: Eliana M. Vecchi

Progetto grafico e impaginazione: Irene Giacché

Segreteria redazionale: Teresa Passaro, Sara Lenzoni

Il Giornale Storico della Lunigiana è edito dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri, Sez. Lunense 1ª edizione 2009. 1ª ristampa 2011. Stampato a gennaio 2011 presso la Litografia Varo, S. Giuliano Terme (PI) per conto delle Edizioni Giacché, La Spezia. 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 3

ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI LIGURI SEZIONE LUNENSE LA SPEZIA

GIORNALE STORICO DELLA LUNIGIANA E DEL TERRITORIO LUCENSE

NUOVA SERIE - ANNO LIX 2008

Comune di Provincia Castelnuovo Magra della Spezia 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 4

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Ferdinando Carrozzi Presidente della Sezione Lunense dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri. (La Spezia 1927-2008) 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 5

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Questo volume è dedicato alla memoria dell’ing. Ferdinando Carrozzi, Presidente della nostra Sezione Lunense, che all’associazionismo culturale e all’attività pubblica ha dedicato, con passione, buona parte della Sua vita. 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 6

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Francesco Saverio Quadrio, I sette salmi penitenziali trasportati alla volgar prosa da Dante Ali- ghieri, Bologna 1753. 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 7

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PREMESSA AL VOLUME

«Alla Lunigiana ... il vanto d’aver, prima fra le terre d’Italia, compreso Dante, d’a- verlo saputo onorare, d’avergli addolcito le amarezze dell’esilio, dandogli quiete, riposo, uffici. In Lunigiana Dante scordò di esser esule, si sentì cittadino.» Parole di Giovanni Sforza, con le quali il 6 ottobre 1906 egli apriva le giornate di studio e visita ai luoghi danteschi in occasione del centenario del XX secolo e, insieme, anticipava la summa di quel «culto d’amore» per il Poeta che riconosceva nel cuore di tutti i lunigianesi: un discorso di prolusione, quindi, ma anche di conclusione di un già lungo percorso elaborativo dell’episodio dell’«ambasceria» lunigianese, con i suoi pro- tagonisti, così come della poesia dantesca e di quanto l’Alighieri veniva sempre più a rap- presentare per l’Italia. Ed è indicativo in tal senso il titolo del libretto miscellaneo, «Dan- te e l’anima nazionale», curato da Achille Pellizzari, nel quale nel 1922 (data significativamente vicina a quella dell’anniversario della morte del Poeta) furono raccolte, insieme con i di- scorsi introduttivi, le cronache di quei giorni d’inizio Novecento, spesso desunte dai gior- nali. L’unità, perseguita e rappresentata, di cui la pace del 1306 diveniva emblema, era anche quella del territorio lunigianese, con le sue differenze, soprattutto fra l’alta e bas- sa Val di Magra, che, con la fondazione di biblioteche ed istituti culturali legati da una vi- vace collaborazione intellettuale, provava a superare le divisioni, soprattutto ammini- strative. È stato certo un difficile confronto misurarsi, in occasione del nuovo centenario, con le manifestazioni di un secolo prima, durante le quali si era potuto infiammare anche l’a- nimus popolare, come ci hanno mostrato i materiali epistolari e giornalistici riuniti da Loris Jacopo Bononi nel volume «Il carteggio del Comitato per le celebrazioni dante- sche di Sarzana del 1906 (1306-2006)», edito dal Comune di Sarzana nel quadro cele- brativo. Nel nuovo millennio l’Alighieri continua a grandeggiare, anche nel web con edizioni, bibliografia, recensioni, perfino blog a lui dedicati. La formazione di un Comitato Istituzionale per la celebrazione dei 700 anni della “Pace di Dante” da parte dei Comuni di Castelnuovo Magra, ove la pace fu stipulata, di Mulazzo, capofeudo del marchese Franceschino Malaspina, e di Sarzana, ove fu rogato l’instrumentum di procura all’Alighieri, hanno portato all’organizzazione di due con- vegni di studio e di diverse manifestazioni collaterali. Non sono mancate anche iniziati- ve da parte di altre associazioni culturali, di cui la prolusione di Giuseppe Benelli, che apre la prima sezione del volume, rende ampiamente conto. In questo Giornale Storico si pubblicano gli atti del convegno tenutosi a Castel- nuovo Magra, proprio nella giornata del 6 ottobre, promosso - con la collaborazione scien- tifica dell’Archivio di Stato della Spezia e della Sezione Lunense - dall’Amministrazione comunale, che da alcuni anni celebra l’avvenimento anche con una ricostruzione stori- ca e che ha voluto apporre, accanto all’epigrafe commemorativa in marmo del 1906, un bassorilievo bronzeo con il profilo del Poeta e una dedica a Dante «costruttore di pace». 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 8

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Se, come afferma Sforza, «Firenze sapeva di avere in lui il suo poeta, l’Italia igno- rava di averlo», almeno prima della pubblicazione della Commedia, che fece di lui «il poeta dell’umanità tutta quanta», tuttavia «in Lunigiana giunse ignoto e la Lunigiana seppe divinarlo.» In effetti, codici della Commedia, accostati alla famiglia testuale dei Danti del Cento, si leggevano in Val di Magra già nella prima metà del Trecento e, nel suo intervento qui accolto, Loris Jacopo Bononi riporta l’attenzione alle epistole di Gio- vanni Manzini, che negli anni ottanta del XIV secolo scriveva brani emozionanti e vi- branti di passione sull’Inferno di Aldigerius Dantes. Altrettanto coinvolgente ci ap- pare la dedica – ricordo – colloquio, per Dante e con Dante, che Bononi ha stilato per questo volume. Guglielmo Gorni, rilevando la passione politica dell’Alighieri, che si traduceva in azioni politiche, scrive che «Dante, specialmente il Dante giovane, annetteva più im- portanza alla vita pratica, che a noi forse appare (a torto, ma inevitabilmente) come un diversivo dalla vocazione più vera di lui, quella di poeta, la sola che per noi conta.» Delle molte ambascerie che, anche con grande inventiva, gli sono state attribuite dalla storiografia, la partecipazione all’accordo di Castelnuovo è quella maggiormen- te certificata dalla documentazione notarile. Nell’ottobre del 1306, un notaio sarzanese, Giovanni di Parente di Stupio, stese nel suo cartulario il contratto di pace fra il vescovo conte lunense, Antonio da Camil- la, e i marchesi Malaspina del ramo dello Spino secco, dai quali l’Alighieri, ormai exul inmeritus da Firenze, aveva avuto una procura speciale per la stipulazione delle con- dizioni conciliative. L’accordo fu siglato nella forma di quei procedimenti infragiudiziali che sono chiamati “paci private”, per concludere una ricorrente serie di conflitti, durati decenni e divenuti, si potrebbe dire, strutturali, fra i due poteri antagonisti nel con- trollo politico e commerciale dei territori ed elementi nodali della Lunigiana, in parti- colare dei fasci viarî. Lotte, peraltro, alimentate dalla politica egemonica di città come Lucca, che dominava di fatto buona parte della Val di Magra. I conseguenti, necessari rapporti dei Malaspina con la città toscana, anche nell’ambito di avvenimenti interna- zionali in cui erano in ballo gli stessi interessi dei marchesi, sono qui accortamente lu- meggiati da Alessandro Soddu. La pace era stata preceduta nei decenni precedenti da lodi, arbitrati e sentenze giu- diziarie, quasi sempre legati alla Curia romana, intesa al sostegno del potere tempora- le dei vescovi, per i quali erano stati scelti come arbitri personalità di spicco della Cu- ria medesima, quali i cardinali Ottobuono Fieschi e Gerardo Bianchi, che ben conoscevano i termini della questione lunigianese ed avevano sostenuto con le loro deliberazioni le ragioni episcopali. Nel 1306 la volontà di “paciari” francescani, i rapporti del vescovo Antonio con i Malaspina tramite il consortile fliscano, le mutate condizioni politiche e, soprattutto, quelle della Curia romana, con il trasferimento in Francia del papato, pre- sumibilmente la stessa azione diplomatica dell’Alighieri, portarono a un esito ben di- verso dai precedenti. La presenza dei Fieschi, che nella Commedia si assomma specialmente nell’epi- sodio di Purgatorio XIX, 106-108, di cui è protagonista il papa Adriano V, per quanto rimasta finora appena sullo sfondo delle contingenze della pace, è invece fondamen- tale nella storia lunigianese di fine XIII- inizio XIV secolo, sia durante la dominazione 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 9

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di Niccolò, cui seguirono accordi e matrimoni con la casata dei Malaspina (celebre quel- lo di Alagia con Moroello), sia soprattutto per l’azione di membri della Curia pontificia, in particolare di Ottobuono prima dell’assunzione al papato. Del potente prelato Giu- seppe Indizio ha tratteggiato il profilo, con un accurato ricorso alle notazioni degli an- tichi commentatori, evidenziando particolarmente la sua azione politica, compreso il nepotismo, che lo avrebbe condotto alla condanna per quel peccato di “avarizia”, che oggi chiameremmo sete di potere. Daniele Calcagno, rileggendo i versi danteschi rela- tivi alla “conversione” del papa, considerati talvolta da parte della critica un errore di attribuzione biografica dell’Alighieri fondata su opere che in realtà si riferiscono ad un papa precedente, fornisce una nuova chiave di lettura tramite una persuasiva indagine, specie su fonti francescane. Infine Marina Cavana recupera, con intelligente analisi, i significati che stanno dietro alle rappresentazioni del cardinale e pontefice, peraltro au- torevole esponente della committenza artistica del periodo. Nel 1905, per il vicino centenario, i sette bifogli, chiamati da qual momento tabulae, che concernevano la pace e le remissioni di condanne alla parte malaspiniana, furono estratti dal cartulario notarile e incorniciati, per esser resi più visibile quali testimo- nianze della partecipazione dell’Alighieri. Il protocollo mutilato andò disperso duran- te la seconda guerra mondiale con tutti gli altri pezzi archivistici conservati nell’Archi- vio notarile distrettuale di Sarzana. Le tabulae, trasportate altrove, si salvarono. Solo nel 2005 il loro versamento all’Archivio di Stato della Spezia ha consentito al direttore, Antonino Faro, di avviare, secondo i principi della legislazione di tutela vigente, il ne- cessario procedimento di restauro conservativo e la progettazione d’idonei contenito- ri, entrambi affidati a Marco Sassetti, che ce ne dà ampio resoconto in questo volume, collocandoli nell’attinente quadro normativo. La soluzione dei contenitori, peraltro an- che eleganti, consente di operare trasferimenti di questi documenti- monumento senza sottoporre a rischi la loro integrità. Hanno, perciò, potuti esser esposti, per la prima vol- ta, proprio in occasione del convegno, nel salone di rappresentanza del Palazzo civico di Castelnuovo Magra. “Rileggere” le tabulae ha significato ricostruire le azioni di valorizzazione e tutela eseguite dagli inizi del Novecento ad oggi ed inquadrare gli instrumenta nell’evoluzio- ne delle pratiche notarili tardo antiche e medievali, come ha fatto Antonino Faro, quindi cercar di collocare l’attività notarile di Giovanni di Parente, di cui restano oggi soltanto ventidue atti, nel contesto locale, per meglio comprendere la forma del docu- mento, ricostruire il conflitto durato decenni, talvolta con caratteri di vera e propria fai- da, fra vescovo e marchesi, il ruolo dei francescani di Sarzana e l’attiva partecipazione di Dante nella stipulazione della pace, temi a me affidati. Il “Dante di tutti”, simbolo di un’universalità della sua poesia, senza poco perspi- caci rivendicazioni di appartenenza, è qui rappresentato da quattro saggi “policromi”, di grande impatto, per opera di notissimi studiosi simbolicamente provenienti dai (qua- si) quattro angoli del mondo, che affrontano alcuni temi particolari, fra i quali il rapporto della Commedia con le dantologie e il suo continuo esser adeguata al presente. L’attualità di Dante è, appunto, il tema di Federico Sanguineti, che a quella moder- nità ha contribuito anche operando un restauro testuale della Dantis Alagherii Co- media, da lui edita nel 2001 sulla base di un codice stemmatico della tradizione mano- 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 10

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scritta che ha portato ad un dettato in più luoghi diverso da quello della Vulgata, sen- sibilmente mutato e rinnovato nella forma linguistica. Jean-Charles Vegliante, che ci ha dato recentemente una nuova, preziosa edizione in lingua francese del Paradiso, riflette, con raffinata consapevolezza anche bibliogra- fica, sui problemi linguistico-filologici dell’edizione-traduzione, utilizzando esempi che ci riportano proprio ai brani della Commedia in cui compiono personaggi lunigianesi, quali il vapor di Val di Magra. Il tema dell’esilio, introdotto e concluso con citazioni di letteratura moderna ita- liana e americana, sia quello biografico, sia quello del rapporto dell’Alighieri con la dan- tologia, anzi, le dantologie americane, è per Wayne H. Storey il leit-motif di una rifles- sione sulla situazione degli studi negli Usa, su quel nuovo intellettualismo applicato a Dante che si è mostrato soprattutto nelle pubblicazioni per il New Millennium e, infi- ne, sulla responsabilità italiana di un collante internazionale per la cultura dantesca. La Commedia (Shinkyoku nel linguaggio critico giapponese), è stata conosciuta dalla cultura nipponica soltanto a partire dalla fine del XIX secolo, per opera di lette- rati che andavano confrontandosi con i diversi patrimoni culturali occidentali, a seguito della riapertura dei contatti con l’estero. Kuniko Tanaka ha ricostruito, con una nitida analisi, le diverse fasi di diffusione delle cantiche tradotte, e le difficoltà di radica- mento di un genere e di uno stile poetico diverso dalla sensibilità giapponese. Non si poteva meglio coniugare l’uscita del volume dedicato a questa importante celebrazione con un altro anniversario: i cento anni dall’edizione del primo numero del- la rivista (1909) ed i cinquanta dalla sancita volontà di rinascita della nuova serie, che fu dal 1950 sotto la direzione di Ubaldo Formentini. Siamo orgogliosi di aver potuto, at- traverso un’azione di puro volontariato culturale, continuare a sostenere una pubbli- cazione che raccoglie collaborazioni scientifiche di alto prestigio, come questo nume- ro dimostra. Ciò non sarebbe stato possibile senza costanti sponsorizzazioni, per le quali siamo grati alla Provincia della Spezia, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e alla Fondazione della Cassa di Risparmio della Spezia; per questa occasione, soprat- tutto, al Comune di Castelnuovo Magra, vero motore dell’evento, ed in particolare a Giorgio Baudone e Paola Moro, nonché all’Archivio di Stato della Spezia, con il quale vi è da tempo una proficua e amichevole collaborazione. Un grazie, infine, a Irene Giac- ché delle Edizioni Giacché. Un unico rimpianto: il nostro Presidente, Ferdinando Carrozzi, non ha potuto ve- dere completate le operazioni di stampa. Al Suo ricordo abbiamo voluto dedicare questo volume.

ELIANA M. VECCHI Direttore del “Giornale Storico della Lunigiana” 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 11

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SOMMARIO

PRESENTAZIONI

MARZIO FAVINI, Sindaco del Comune di Castelnuovo Magra...... pag. 13 GIORGIO BAUDONE, PAOLA MORO, Comune di Castelnuovo Magra...... »14 L. J. B., Ricordare Dante...... »16

IL NOSTRO DANTE E IL DANTE DI TUTTI 1306-2006 Atti del Convegno Castelnuovo Magra, 6 ottobre 2006

LA PACE DI CASTELNUOVO MAGRA. LA DOCUMENTAZIONE ARCHIVISTICA FRA STORIA E RESTAURO

GIUSEPPE BENELLI (Università di Genova), L’identità lunigianese nelle cele- brazioni dantesche del 1906 e del 2006...... »21

ANTONINO FARO (Archivio di Stato della Spezia), L’importanza dei documenti notarili custoditi negli Archivi di Stato. L’occasione per un viaggio nel- l’evoluzione storica del documento notarile...... »39

ELIANA M. VECCHI (Istituto Internazionale di Studi Liguri, Sezione Lunense), «Ad pacem et veram et perpetuam concordiam devenerunt»: il cartulario del notaio Giovanni di Parente di Stupio e l’instrumentum pacis del 1306...... »69 Appendice: Le vicende del cartulario di Giovanni di Parente di Stupio e l’Archivio Notarile Distrettuale di Sarzana...... » 176

MARCO SASSETTI (Università di Genova), Metodologia per il restauro conser- vativo. L’esempio della “Pace di Dante”...... » 195

TRADIZIONE E FORTUNA UNIVERSALE DI DANTE ALIGHIERI

EGIDIO BANTI (già Senato della Repubblica Italiana), Introduzione alla secon- da sessione...... » 215

JEAN-CHARLES VEGLIANTE (CIRCE - Université Sorbonne Nouvelle, Paris III ), Qualche eco della Commedia in francese sette secoli dopo...... » 217 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 12

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H. WAYNE STOREY (University of Indiana), Dante si è fermato a Genova...... pag. 229

FEDERICO SANGUINETI (Università di Salerno), Dante nostro contemporaneo...... » 241

KUNIKO TANAKA (Università di Bergamo), Dante nella cultura giapponese...... » 249

«... SCIAS QUOD EGO FUI SUCCESSOR PETRI ... ». INTORNO AD ADRIANO V ED AL CANTO XIX DEL PURGATORIO

GIUSEPPE INDIZIO (Società Dantesca Italiana), Adriano V in Dante e nel seco- lare commento. Leggenda e storia nel canto XIX del Purgatorio...... » 267

DANIELE CALCAGNO (Istituto di Studi sui Conti di Lavagna), In merito alla “con- versione” di Ottobuono Fieschi – Adriano V...... » 281

MARINA CAVANA (Istituto di Studi sui Conti di Lavagna), Ottobuono Fieschi – Adriano V: la raffigurazione e l’immagine...... » 297

MALASPINIANA

LORIS JACOPO BONONI (Museo della Stampa “Jacopo da ”), Giovan- ni Manzini di Fivizzano e l’Inferno di Dante. La più antica testimo- nianza scritta di una consapevolezza dantesca in Lunigiana?...... » 323

ALESSANDRO SODDU (Università di Sassari-Istituto Internazionale di Studi Li- guri, Sezione Lunense), I Malaspina fra Lunigiana, Lucca e Sardegna... » 341

RECENSIONI...... » 351 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 13

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Spero di riuscire, in queste poche righe, a trasmettere l’emozione e l’orgo- glio provati, il 6 ottobre 2006, nell’aver dato inizio ai lavori per celebrare i sette- cento anni della cosiddetta Pace di Castelnuovo e rendere omaggio agli avveni- menti che, appunto 700 anni prima, ebbero come teatro Piazza Querciola e il Castello dei Vescovi che ancora oggi, con la sua torre, spicca sulla Vallata della Magra e sulla piana di Luni. Siamo grati di avere avuto l’onore di poter commemorare una simile ricor- renza, insieme con insigni studiosi ed importanti personalità, come già avvenne il 6 ottobre 1906, con una fondamentale aggiunta: la possibilità di ammirare le pre- ziose tabulae, quelle sette carte ingiallite dal tempo, restaurate e riportate, per la prima volta dopo settecento anni, proprio nel luogo dove il poeta Dante Ali- ghieri e il Vescovo di Luni conclusero la pace che noi vogliamo elogiare. Una pace che, di fatto, riguardava poche terre e borghi, pochi possedimenti, ma che, in realtà, ebbe un valore politico ben superiore alla pura contesa geo- grafica: qui, nella Valle della Magra, l’annoso scontro tra i due poteri forti del tem- po, quello spirituale e quello temporale, terminò con una pace che ebbe rilevan- za per tutta l’Italia medioevale, frazionata in tanti stati e straziata da continue e sanguinose guerre. Perciò, nella nostra giornata celebrativa, se da un lato sono stati approfondi- ti gli alti meriti poetici e letterari per i quali Dante è universalmente conosciuto, grazie agli illustri studiosi di cui, nelle pagine seguenti, si potranno leggere i pre- ziosi contributi, dall’altro si è ritenuto di dover attribuire al poeta l’espressione di operatore di pace, legando in modo indissolubile la sua figura alla promozione della cultura di pace con cui ha onorato e onora ancora oggi Castelnuovo Ma- gra, le terre di Luni e tutta la Lunigiana. Nel nome di Dante hanno unito gli sforzi i Comuni di Sarzana, Mulazzo e Ca- stelnuovo, solitamente divisi da confini amministrativi, regionali e talvolta cam- panilistici, per dar vita, in sinergia, ad un ricco programma d’iniziative e di even- ti, proiettati oltre la semplice ricorrenza. L’intento emerso è di adoperarsi affinché in futuro la Pace di Dante, la Pace di Castelnuovo, continui ad essere un momento di riflessione e di confronto signi- ficativi, un tratto distintivo della storia di questo territorio. Rendere omaggio al nostro Dante, e al Dante di tutti, significa, infatti, ono- rare la cultura, la storia e la migliore tradizione italiana nel mondo.

MARZIO FAVINI Sindaco del Comune di Castelnuovo Magra 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 14

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Eravamo consapevoli che il settimo centenario della Pace di Castelnuovo avrebbe costituito per il nostro Comune una ricorrenza da celebrare in manie- ra adeguata all’importanza dell’evento e tale da poter almeno sostenere il con- fronto con le manifestazioni del 1906.

Che Castelnuovo abbia ospitato una vicenda che ha unito da allora, nella memoria storica, il proprio nome a quello del massimo poeta Dante Alighieri e, tutti e due questi nomi, a quello della pace, ci è sempre apparso un accadimen- to fortunato e straordinario.

Molto opportunamente nel preambolo allo Statuto del Comune, adottato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 39 del 15.10.1991, vengono men- zionati la data del 6 ottobre 1306 e il documento che indica nel Palazzo dei Vescovi di Luni l’unico luogo, con Sarzana, nel quale la presenza in questa regione del sommo poeta risulti documentata, traendo da questa eccezionale eredità storica un monito ed un impegno perché Castelnuovo e tutta la sua gente imparino a considerarsi degli operatori di pace.

Abbiamo quindi concorso a creare un Comitato Istituzionale per la celebra- zione dei 700 anni della Pace di Dante, comprendente i Comuni di Castelnuovo Magra, Mulazzo e Sarzana, insieme alla Regione Liguria, alla Provincia della Spezia e con il coinvolgimento di altri Enti e Associazioni. Per quanto di nostra competenza, poi, abbiamo ritenuto di dover affidare a Eliana Vecchi, della quale è assodata l’autorevolezza nell’ambito degli studi storiografici, l’incarico di curare la programmazione e l’organizzazione del convegno scientifico internazionale. L’incontro ha rappresentato il momento principale di un calendario della giornata che ha visto coinvolti le nostre scuo- le, la Pro Loco e un comitato di cittadini castelnovesi che si sono adoperati per il successo di questo 6 ottobre 2006.

Tra le iniziative collaterali occorre nominare innanzitutto l’esposizione, a Castelnuovo, delle tabulae della pace, protrattasi per tre giorni grazie alla cor- tese concessione dell’Archivio di Stato della Spezia; la ricostruzione storica dell’anniversario, curata dalla Pro Loco; l’inaugurazione del bassorilievo dedi- cato a Dante, donato alla comunità castelnovese dal maestro scultore Costantino Giannetti e collocato sulle antiche mura del Palazzo dei Vescovi, a fianco della lapide che rievoca la celebrazione del 1906; infine, in collaborazio- ne con le Poste Italiane, è stato realizzato un annullo commemorativo. 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 15

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Esce ora questo volume con gli atti del convegno, arricchito da nuovi quali- ficati apporti. Nel 1906 per la prima volta fu onorata la presenza dell’Alighieri in Val di Magra. Cento anni dopo abbiamo portato il nostro contributo.

L’auspicio è che il ricordo di Dante, insieme a quello della pace, inducano i contemporanei e le prossime generazioni a ricercare sempre le ragioni della cultura, della poesia e della gentilezza contro tutte le volgarità e le violenze.

PAOLA MORO GIORGIO BAUDONE Responsabile dell’Ufficio Cultura già Assessore alla Cultura del Comune di Castelnuovo Magra del Comune di Castelnuovo Magra 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 16

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RICORDARE DANTE

Imbrunirsi d’argento, il filamento del fiume Magra, e sul baratro della distan- za, profondissimi voli su Virgoletta, sfiorare Filetto, posarsi a Malgrate. Nel fon- dale, nei territori di Mulazzo, la sagoma ferrea di Groppoli Gavedo, torre gigante, e verso , la Pieve, la chiesa di S. Giorgio. In alto il passo di Monte Bar- done. La fantasia di una strada percorsa da mercanti armigeri pellegrini poeti. Via Romea, Francigena, che a Villafranca indugia, luogo di raccolta dell’olio. A Vallescura, la via Romana che inanella il castello di Castiglione del Terziere nel matrimonio con la storia. In casa, l’orazione del mattino, i consueti rumori, il cigolo della carrucola del pozzo, sbattere le ante aperte, a fatica schiavardare le porte serrate. Liturgia quo- tidiana, i cani, recitare l’abbaio di guardia ai passanti, come se ve ne fossero, come in antico. Una musica rock emergere a spruzzi di vento dal basso di un altoparlante, me- gafono di un merciaiolo ambulante, che incrina il torpore del silenzio. Il sole, infine, entrare, piallare le piagne sui tetti, increspare ombre sui pia- stroni, arrossire di lucido i mattoni consunti da passi ingorgati nel cuore. Questo mondo che trema sotto il passo fuggiasco che ci scampa da noi stes- si, innocenti (o colpevoli?) di come va il tempo che viviamo, lo immagino immo- to ora, traslocato in altra galassia, e che con noi, il sole la luna e altre luminose candele celesti, restino in attesa tutti di un’immortale misura.

Dante ebbe il suo sogno: un incubo e una felicità, e di mezzo, la sofferenza altrui, che ci consola della nostra. Non esiste più il limbo. Avevo tanto sperato in un piccolo scranno dove at- tendere che da me stesso nascesse la riflessione del perché? la conoscenza del chi? il turbamento del cosa? e che poi e infine, sull’uscio si sarebbe sporto di te- sta a mezze spalle l’uomo che chiama per cognome e nome e dà uno scontrino per la destinazione finale.

Dante: ci rivedremo poi, ora dobbiamo attendere, e farlo qui, dove si purgano l’amore mancato il desiderio frustrato la volontà sprecata, e dove la fortuna di es- sere veri e vivi ogni mattino attenua l’audace audacia dei giorni, nostri altrui di tutti.

L. J.B. 00primepagine gsl2010 v6 31-01-2011 9:57 Pagina 17

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COMITATO ISTITUZIONALE PER LA CELEBRAZIONE DEI 700 ANNI DELLA “PACE DI DANTE” Comune di Castelnuovo Magra Istituto Internazionale di Studi Liguri-Sezione Lunense Ministero per i Beni e le Attività Culturali- Archivio di Stato della Spezia

CON IL PATROCINIO DI Regione Liguria, Provincia della Spezia, Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, Comune di Mulazzo, Comune di Sarzana, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico della Liguria, Curia Vescovile della Spezia, Museo della Stampa “Jacopo da Fivizzano”, Centro Studi Umanistici “Niccolò V” di Castiglione del Terziere

IL NOSTRO DANTE E IL DANTE DI TUTTI

ATTI DEL CONVEGNO

Castelnuovo Magra, 6 ottobre 2006

A CURA DI ELIANA M. VECCHI Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 18 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 19

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LA PACE DI CASTELNUOVO MAGRA: LA DOCUMENTAZIONE ARCHIVISTICA FRA STORIA E RESTAURO Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 20

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Alla pagina precedente: Restituzione digitale della tabula 1r, con la parte iniziale del testo della procura a Dante (parti- colare). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 21

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L’ IDENTITÀ LUNIGIANESE NELLE CELEBRAZIONI DANTESCHE DEL 1906 E DEL 2006

Secondo una celebre affermazione di Benedetto Croce il carattere di un po- polo è «la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia» (1). Solo dal- la conoscenza storiografica nasce il senso dell’identità, che è tale quando diven- ta sentimento condiviso da chi vive la sua specificità attraverso determinate usanze e tradizioni, celebrando santi e eroi comuni, con particolari comportamenti e atteggiamenti mentali, cioè attraverso il carattere che la collettività ha acquisito nel tempo. La coscienza della propria storia, della continuità e dell’identità con se stessa, è condizione indispensabile per muoversi nel presente e progettare il futuro. Per questo il tema del carattere di un popolo emerge nei momenti di cri- si, quando non siamo più certi della nostra appartenenza alla tradizione di un ter- ritorio. Proprio la riflessione sull’identità è il segno che sta avvenendo un muta- mento nel modo di vivere e di pensare. Studiare sulla tradizione dantesca in Lunigiana significa cogliere un forte simbolo culturale di un territorio che, per la posizione geografica e la complessità della sua storia, fatica a conservare gli elementi costitutivi del proprio carattere. La Lunigiana è la terra che forse più di ogni altra è ricca di tradizioni e me- morie dantesche. La venuta di Dante in Lunigiana e gli atti della procura rogata in Sarzana e della pace di Castelnuovo Magra sono della massima importanza per ricostruire le vicende degli anni del lungo e travagliato esilio del poeta. Pochi e frammentari, infatti, sono ancora oggi i dati certi di quel periodo che ha visto Dan- te spostarsi di città in città e che rappresenta la stagione più feconda della sua at- tività letteraria. Il marchese Franceschino Malaspina di Mulazzo, il 6 ottobre 1306 «ante missam», nella piazza Calcandola di Sarzana, per rogito del notaio Giovanni di Parente di Stupio, a nome suo e dei congiunti Moroello del ramo di Giovagal- lo e Corradino, nominava Dante procuratore per dirimere col vescovo di Luni, Antonio di Nuvolone da Camilla, annose questioni di diritti vantati sui castelli di Sarzana, Carrara, Santo Stefano, Brina e Bolano. Subito dopo il poeta saliva al paese di Castelnuovo e nel palazzo vescovile, «in ora tertia», stipulava l’auspica- ta pace favorevole ai Malaspina. La scoperta dei due atti notarili, cioè la procura di Franceschino Malaspina e l’atto finale della pace, era avvenuta grazie a Man- fredi Malaspina, l’ultimo marchese di Terrarossa, che, volendo rivendicare certi suoi diritti sul feudo di Treschietto, aveva fatto eseguire alla metà del Settecen- to accurate indagini in tutti gli archivi della Lunigiana. I documenti sarzanesi, pub-

(1) Cfr. B. CROCE, La storia come pensiero e come azione, Napoli 2002. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 22

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blicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fiorentine «Novelle letterarie», ven- gono definiti dallo Zingarelli «la scoperta più importante dell’esilio di Dante» (2). Nel primo Novecento in tutta la Lunigiana la venuta di Dante era così pre- sente alla coscienza culturale da auspicare a Sarzana e Castelnuovo una degna commemorazione del sesto centenario della pace di Castelnuovo (3). Le cele- brazioni del 1906 hanno rappresentato un momento importante dello sviluppo della coscienza storica della Lunigiana. Da una storiografia che parlava difficil- mente di “storia”, ma più spesso di “notizie”, “contributi”, “lavori preparatori”, at- traverso lo studio della tradizione dantesca si delineavano i nuovi percorsi della cultura lunigianese. I convegni rappresentarono soprattutto un’occasione per ap- profondire l’identità culturale della Lunigiana, che la ricerca ottocentesca ave- va trascurato sotto l’urgenza dell’aspirazione all’unità nazionale. I convegni di Sarzana e Castelnuovo Magra coinvolsero i maggiori studiosi formatisi alla scuo- la della critica storico-positivistica: Alessandro D’Ancona, Isidoro Del Lungo, Gio- vanni Sforza, Francesco Luigi Mannucci, Ubaldo Mazzini, Carlo De Stefani, Pio Rajna, Giuseppe Vandelli, Francesco Novati, Tommaso Casini e Achille Neri. Le relazioni, stampate nel 1909 da Ulrico Hoepli nell’elegante volume Dante e la Lu- nigiana, nel sesto centenario della venuta del poeta in Valdimagra, MCCCVI - DCCCCVI, erano state coordinate da Giovanni Sforza (4). L’Ottocento è stato il secolo che ha segnato il punto di svolta della conoscenza dell’opera dantesca e della sua revisione critica. Ugo Foscolo faceva di Dante “il ghibellin fuggiasco”, il padre di tutti gli esuli politici (5). Ai protagonisti dell’unità d’Italia Dante appariva come «il genio tipicamente nazionale e, con una inter- pretazione generosamente anacronistica, il profeta del Risorgimento e il creato-

(2) Cfr. N. ZINGARELLI, Dante, Milano 1931, p. 500. I documenti sarzanesi furono pubblicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fiorentine «Novelle letterarie», XXVIII (1767), pp. 603-633. (3) Cfr. L. DELLE PERE, Discorso pronunciato a sostegno della proposta di commemorare e festeggiare nell’ottobre del 1906 il sesto centenario di Dante in Lunigiana, Sarzana 1905; L. J. BO- NONI, Il carteggio del comitato per le celebrazioni dantesche di Sarzana del 1906, Genova 2006. (4) AA.VV., Dante e la Lunigiana, nel sesto centenario della venuta del poeta in Valdima- gra, MCCCVI-MDCCCCVI, Milano 1909. Cfr. G. BENELLI, Le celebrazioni dantesche del 1906 in Lu- nigiana, tra storiografia erudita e nuovi orientamenti culturali, in «Studi lunigianesi», XXX-XXXI (2000-2001), pp. 5-38. Grazie alle sue conoscenze ed amicizie, Sforza aveva coinvolto i maestri de- gli indirizzi storico-filologici delle “scuole” fiorentina e pisana, che si rifacevano al lunigianese Adolfo Bartoli, professore di storia della letteratura italiana nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze, mor- to nel 1894. Sotto la guida del Bartoli gli studi danteschi universitari avevano preso un indirizzo positivo ispirato al “metodo storico”, in cui si fondevano la tradizione erudita tiraboschiana e la fi- lologia germanica. Cfr. S. VAZZANA, Adolfo Bartoli, voce in Enciclopedia Dantesca, Istituto della En- ciclopedia Italiana, Roma 1984, vol. I, p. 523; A. GRECO, Adolfo Bartoli, in AA.VV., Letteratura ita- liana. I critici. Storia monografica della filologia e della critica moderna in Italia, diretta da G. Grana, Milano 1987, pp. 345-379; L. J. BONONI, Adolfo Bartoli. 1894-1994, Accademia degli Imper- fetti, Fivizzano 1994. (5) Cfr. F. DI GIANNATALE, L’esule tra gli esuli, Pescara 2008. Il Foscolo pubblicava a Londra il Parallelo fra Dante e il Petrarca nel 1823 e il Discorso sul testo della Divina Commedia nel 1825. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 23

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re dell’anima nazionale, sia a coloro che, come il Balbo, il Troya, il Tommaseo, il Gioberti, ecc., guardavano a lui con spirito cattolico e neoguelfo, sia a coloro, come il Foscolo, il Mazzini, il Guerrazzi, il Piccolini, ecc., leggevano nelle sue ope- re i preannunzi della loro concezione ghibellina e laicista» (6). Fatta l’unità d’I- talia, in Dante si vedeva il “cemento” che doveva tenere unito un paese che ave- va tradizioni regionali estremamente diverse. Anche in Lunigiana il sesto centenario della venuta di Dante rappresentava l’occasione culturale importante per una riconquista dell’unità territoriale. Per questo Ubaldo Mazzini, direttore con Achille Neri del «Giornale Storico e Lette- rario della Liguria», presentava a Sarzana la puntuale relazione Valdimagra e la Magra, per confutare «le stramberie più grosse sull’argomento» (7). Sempre Maz- zini, che proveniva «dalla sana e critica erudizione ottocentesca» (8), con gli stu- di Luni, i monti di Luni e Carrara e esaminava i luoghi lunigianesi nel- l’opera dantesca per ricondurre le sue analisi all’unità storica ed etnica di una regione che si identificava con l’antica diocesi di Luni (9). Proprio dalla consta- tazione dei caratteri liguri e soprattutto dalla conoscenza dell’unità che aveva avu- to sotto la giurisdizione della diocesi di Luni, era iniziato quel fermento culturale che aveva determinato tra l’Otto e il Novecento un grande impulso agli studi di storia locale. Dal «Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e Letteratura» (1874- 1898) al «Giornale Storico e Letterario della Liguria» (1900-1908), la terra di Lu- nigiana era stata particolarmente al centro dell’attenzione degli studiosi che ne avevano rivendicato i caratteri identitari (10). Tutto questo risveglio di studi trovava il suo punto di riferimento nell’opera di Giovanni Sforza, il fondatore e il primo direttore dell’Archivio di Stato di Massa, dal 1903 sovrintendente agli archivi piemontesi (11). Familiare con Nicolò Tom-

(6) M. PUPPO, Manuale critico-bibliografico per lo studio della letteratura italiana, Torino 1976, p. 194. (7) U. MAZZINI, Valdimagra e la Magra, in AA.VV., Dante e la Lunigiana, nel sesto centenario della venuta del poeta in Valdimagra cit., pp. 91-92. (8) M. GIULIANI, Nel trentennale della morte di Ubaldo Mazzini, in «La Spezia. Rivista del Co- mune», XXII (1953), 3, p. 46. (9) Cfr. P. E. FAGGIONI, Introduzione, in U. MAZZINI, Poesie in vernacolo, a cura di P. E. FAGGIO- NI, con saggi di T. DE MAURO e G. PETRACCO-SICARDI, disegni inediti di M. MACCARI, Roma-Bari 1989, pp. 1-24. (10) Il «Giornale Ligustico» usciva come organo della Deputazione Ligure di Storia Patria. Il «Giornale Storico e Letterario della Liguria», anche se la direzione si trovava formalmente a Geno- va, dove viveva Achille Neri, è nato alla Spezia, sovvenzionato ed edito dalla Società d’Incoraggia- mento della Spezia. Cfr. A. C. AMBROSI, Il «Giornale Storico della Lunigiana», in AA.VV., Atti del convegno sullo sviluppo ineguale dell’Italia postunitaria. La regione apuo-lunense, Ammini- strazione Provinciale di Massa Carrara, Massa 1979, p. 343; G. PISTARINO, Prospettive storiografiche dal «Giornale Ligustico» al «Giornale Storico della Lunigiana e del Territorio Lucense», in AA.VV., Miscellanea in onore dl Ruggero Moscati, Napoli 1985, pp. 667-690. (11) A. D’ADDARIO, Giovanni Sforza studioso e ordinatore delle Fonti Archivistiche Apuo-Lu- nensi, in Atti del convegno sullo sviluppo ineguale dell’Italia postunitaria. La regione apuo-lu- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 24

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maseo e Alessandro Manzoni, Sforza era stato allievo del Bonaini, l’artefice del riordinamento degli archivi toscani dopo il decreto leopoldino del 1852; aveva fre- quentato la scuola del Guasti, il riordinatore dell’Archivio di Stato di Firenze; era stato alunno di Salvatore Bongi, il direttore dell’Archivio di Stato di Lucca, che gli fu «aiuto e freno, sprone e conforto»(12). Di Dante Sforza si era occupato collo studio Dante e i Pisani del 1868, ampliato nella seconda edizione del 1873 (13). Nel volume delle celebrazioni sarzanesi interveniva con l’articolo La lettera di fra- te Ilario tradotta da Luigi Muzzi e i profili di Emanuele Repetti, Emanuele Ge- rini e Sante Bastiani, lunigianesi studiosi di Dante. Col discorso di chiusura delle celebrazioni del centenario D’Ancona portava alla cultura lunigianese la voce della critica storico-positivista che per bocca del Carducci ammoniva di non far servire Dante «a tutti i partiti, a tutte le idee» e di gettare «tra le ciarpe certi giudizi assoluti, certe parziali estimazioni, certi con- cetti angusti e illiberali» (14). Ma la novità delle celebrazioni sarzanesi, come ha evidenziato Vasco Bianchi, era rappresentata dal contributo degli storici lunigia- nesi: «espressione di una raggiunta maturità critica di notevole livello e ulteriore manifestazione della validità della “scuola storica” di Lunigiana, già illustrata dal fivizzanese Adolfo Bartoli: un lavoro sistematico di notevole prestigio, che ha con- servato intatto il suo valore come testimone di una generazione di studiosi severi e, nello stesso tempo, ricchi di passione quasi romantica per la propria terra» (15). Proprio le celebrazioni del 1906 facevano emergere l’esigenza di una visione d’insieme che solo una diversa filosofia della storia poteva consentire. L’impo- stazione critica ottocentesca veniva posta sotto accusa e incolpata di non riu- scire a cogliere l’idea costitutiva dell’opera dantesca. L’impostazione erudita era respinta come mezzo inadatto a intendere la «poesia» di Dante. Il crescente risveglio delle tradizioni speculative nazionali, l’efficacia di pensatori stranieri, un certo diffuso spirito tra romantico e mistico, rendevano «intollerabile il gros- solano semplicismo positivistico, particolarmente nelle cose delicate dell’arte, della religione e della coscienza morale, e intollerabile, potrebbe dirsi, lo stesso suo stile o gergo» (16). L’invito crociano era di uscire dal chiuso delle univer- sità, dove negli ultimi decenni la filosofia languiva.

nense cit., pp. 317-330; P. BOSELLI, Giovanni Sforza, in AA.VV., Miscellanea di studi storici in ono- re di Giovanni Sforza, Torino 1923, p. 7. (12) G. SFORZA, Salvatore Bongi, in Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1916, rist. anast. Bolo- gna 1976, p. 742; R. ANDREOTTI, Coerenza storiografica di Giovanni Sforza, in «Archivio Storico per le Province Parmensi», s. IV, XII (1960), p. 204. (13) Cfr. G. SFORZA, Dante e i Pisani, studi storici, Bologna 1868; seconda edizione, accresciuta dall’autore, Pisa 1873. (14) G. CARDUCCI, Studi letterari, Livorno 1880, p. 241. (15) V. BIANCHI, Dante e la cultura in Lunigiana, in «Studi lunigianesi», II (1972), p. 92. (16) B. CROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari 1967, p. 226. Cfr. A. VALLONE, La critica dantesca nel Novecento, Firenze 1976. La reazione contro la scuola del «metodo storico» assume- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 25

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In occasione delle celebrazioni del 1906, a Mulazzo il 23 settembre, in aperta polemica col paludato mondo degli studiosi convenuti a Sarzana, si celebrava l’anniversario dantesco con oratore ufficiale Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, acclamato l’anno precedente come «il poeta di Apua», «il poeta eroico dei Ligu- ri» (17). L’epigrafe, posta sulla torre di Mulazzo, a cura del Comitato dantesco del- l’alta Val di Magra, riportava le parole di Ceccardo: «Posò su questi ermi sassi / un’orma di Dante / ma più di essi il popolo di Val di Magra / la serbò nel cuore / onde ancor oggi la grida / segno di cortesia. Autunno MCCCVI – FRANCESCHINO MA- LASPINA, ospite. / XXIII sett.bre MCMVI - IL MUNICIPIO DI MULAZZO, memore». L’ode saf- fica Dalla torre di Mulazzo, dedicata «al caro ed illustre Giovanni Sforza», can- tava i luoghi e i personaggi che rientravano nel mito dantesco lunigianese, contro gli storici dubbiosi sulla reale presenza di Dante. Anima del convegno di Mulazzo era Manfredo Giuliani, il giovane intellet- tuale pontremolese che da alcuni anni agitava l’esigenza di un rinnovamento ne- gli studi e nella cultura lunigianese. Frutto di questo clima è «Apua Giovane», la rassegna d’arte, storia e filosofia, di cui uscì solo il primo numero nel novembre del 1906 sotto la direzione di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (18). «Vero ma- nifesto di rivendicazione nazionale — scriverà più tardi il Giuliani — animato di spiriti mazziniani, dove quelle complesse aspirazioni tendevano ad esprimersi in una sintesi ideale di antico e di nuovo, in quanto la prolungata unificazione del di- viso territorio della scomparsa Luni, che aveva fuso vinti e vincitori, assumeva il significato di una restaurazione ligure-romana e l’auspicato riconoscimento del- la nuova metropoli regionale. La Spezia, schietta creazione della nuova Italia, rap- presentava la vittoria del Risorgimento contro le superstiti tracce delle divisioni dei vecchi Stati» (19). Le tematiche di «Apua Giovane» venivano riprese nel pe- riodico «Lunigiana», fondato e diretto dal Giuliani dal 1910 al 1914, in un conte-

va spesso toni violenti, come ha riconosciuto Luigi Russo. Cfr. L. RUSSO, Un maestro della «vecchia scuola storica», in AA.VV., Letteratura italiana. I critici cit., pp. 404-405. (17) Cfr. C. ROCCATAGLIATA CECCARDI, Dai paesi dell’anarchia, Genova 1894, in Tutte le opere, Carrara 1969, pp. 520-529. La sera del 17 dicembre 1905, nel Teatro della Rosa di , su in- vito degli amici Manfredo Giuliani, Ubaldo Formentini, Luigi Campolonghi, Giuseppe Buttini, Lui- gi Cocchi, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi aveva rievocato l’epopea dei liguri , declaman- do i sonetti di Apua Mater. Per applaudire l’amico poeta erano venuti da Genova Arturo Salucci, Vico Fiaschi e Plinio Novellini. Cfr. E. PISTELLI RINALDI, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi tra Otto- cento e Novecento, Savona 1978, p. 193. (18) Cfr. L. ANTIGA, Manfredo Giuliani. Bibliografia. Recensioni, in AA.VV., Studi storici. Mi- scellanea in onore di Manfredo Giuliani, a cura dell’Accademia Lunigianese di Scienze “Giovan- ni Capellini” della Spezia e della Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, 1965, pp. 7-43; G. BENELLI, L’antropologia culturale nell’opera di Manfredo Giuliani, in «Studi lunigia- nesi», VIII-IX (1978-1979), pp. 15-102. La bibliografia del Giuliani, a cura di Giuseppe Benelli, è in M. GIULIANI, Saggi di storia lunigianese, Pontremoli 1982, pp. XXXVII-LIV. (19) M. GIULIANI, Come nacque l’Apua di Ceccardo, in «Telegrafo», 30 novembre 1933; cfr. P. FERRARI, Ceccardo, la «Giovane Apua» e «Apua Giovane», in «Il Campanone, Almanacco pontre- molese», Pontremoli 1940, pp. 177-184. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 26

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sto più critico e meno scapigliato. La rivista intendeva esaminare l’unità etno- grafica, linguistica, economica della Lunigiana e promuoverla in campo amministra- tivo con la creazione di una provincia che comprendesse tutto il territorio della Val di Magra e il bacino della Vara (20). L’azione di «Lunigiana» si riconnetteva a quel fecondo movimento di cultura regionale che si svolgeva alla Spezia attorno al «Giornale Storico della Lunigia- na», fondato nel 1909 da Ubaldo Mazzini e Achille Neri, e all’«Archivio per la et- nografia e la psicologia della Lunigiana», fondato nel 1911 da Giovanni Sittoni e Giovanni Podenzana. Legata a queste medesime esigenze è la nascita alla Spe- zia nel 1919 delle «Memorie della società lunigianese “Giovanni Capellini” per la storia naturale della regione» (21). Tuttavia, nonostante questo sforzo di cul- tura e questo risveglio della coscienza regionale, non si giunse alla realizzazione della provincia di Lunigiana. La nascita della nuova provincia della Spezia, av- venuta nel 1923, comprendeva il circondario del Levante e della Val di Vara con l’esclusione di gran parte della Val di Magra. Proprio il circondario di Pontremo- li, la parte della regione più tormentata dal disagio del cattivo assetto provincia- le, veniva escluso dalla nuova provincia e relegato a rimanere nell’artificiosa pro- vincia di Massa (22). Gli anni del primo dopoguerra segnavano sul piano culturale un momento d’arresto della ricerca storiografica dal quale l’erudizione non doveva più ri- prendersi. Dal mondo universitario scomparivano i vecchi maestri dell’erudi- zione, Cipolla, Monticolo, Gabotto, e succedevano le giovani leve che, se non ri- pudiavano l’erudizione, la consideravano però un momento che lo storico doveva superare: erano Salvemini, Volpe, Rodolico con i loro discepoli. In questa età di trapasso l’antico nome di Lunigiana si animava dell’ansia indagatrice di nuovi in- teressi. Le celebrazioni dantesche hanno fortemente determinato a fare chia- rezza nella storiografia lunigianese. La storia, per tornare all’immagine delineata da Croce, è il racconto auto- biografico di un popolo, una forma di auto-rappresentazione rivolta, anzitutto, alla comunità politica che la costituisce. Così la Lunigiana, terra sventurata per la sua posizione geografica, figlia di un’antica città rovinata e scomparsa, premeva a ricerche storiche fondate su categorie diverse da quelle della storiografia tra- dizionale. Non basta più storicizzare il popolare, assegnargli dignità storica, si tratta ora di coglierne la propria funzione storica, in altre parole si tratta di leg-

(20) «Lunigiana» fu pubblicato in Pontremoli bimestralmente per i primi due anni, poi trime- stralmente fino all’aprile del 1914, quando cessò le pubblicazioni. Vi collaborarono i più noti intel- lettuali lunigianesi del tempo: Giovanni Sforza, Ubaldo Mazzini, Corrado Martinetti, Ceccardo Roc- catagliata Ceccardi, Ubaldo Formentini, Pietro Ferrari, Paride Chistoni, Enrico Lazzeroni, Luigi Buglia, Marco Vinciguerra. (21) Sulla nascita della «Capellini» si veda la recensione del Giuliani alle annate 1919-24 delle «Memorie», nell’«Archivio storico per le Province Parmensi», XXIV (1924), pp. 416-417. (22) Cfr. G. BENELLI, Lunezia. La regione emiliano-lunense, La Spezia 1999, pp. 42-47. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 27

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gere sempre meglio le aspirazioni etnostoriche dei popoli. In questo modo la sto- riografia lunigianese, sotto la spinta della questione regionalistica, anticipava la lezione degli storici francesi degli «Annales». Nel 1929 nasceva la rivista di Marc Bloch e Lucien Febvre, che insegnava a combattere la storia ideologica con il me- todo della storia globale. La ricerca consentiva il ritorno a una visione del pro- cesso storico in cui “lunga durata” e “microstoria” si rafforzavano e si verifica- vano a vicenda. In questo modo si otteneva un allargamento di orizzonte che si traduceva, in primo luogo, nell’estensione della ricerca storica a nuovi campi d’in- dagine e, in secondo luogo, nell’adozione di prospettive di analisi diverse da quel- le tradizionali. La ricerca storica veniva così a prediligere la permanenza al mu- tamento, la trasformazione secolare alla trasformazione rapida; studiava le culture marginali o subalterne che per tradizione erano trascurate nei confronti delle cul- ture cosiddette dominanti. In questo contesto culturale maturava un recupero della parola dantesca come riflessione poetica e come lettura della contemporaneità. Si abbandonava il tipo di interpretazione univoca che era data dalla tradizione romantico-risorgimenta- le e si arricchivano le modalità del recupero di materiali danteschi all’interno di nuovi percorsi poetici. Dante acquistava connotazioni multiformi che non era pos- sibile ricondurre ad un’unica formula che comprendesse e riassumesse tutte le esperienze. La cultura contemporanea trovava in Dante un campo di ricerca fe- condo per l’individuazione delle fonti, per lo studio dei testi, per la retta inter- pretazione del mondo medievale e delle sue forme, sia nei confronti del pensiero filosofico, religioso e politico, sia in rapporto alla lingua, allo stile e alla ricerca filologica. In particolare la ricostruzione della fortuna di Dante presso le classi popolari italiane diventava parte determinante della nostra identità. «Dire Dan- te» ha sempre significato affermare che in quei versi e in quella lingua uno «si ri- conosceva». È quello che, con la geniale inventività che lo contraddistingue, fa oggi in televisione e nelle piazze Roberto Benigni, parente stretto di quei popo- lani toscani che al Petrarca davano tanto fastidio. Per conoscere che cosa abbia rappresentato Dante per la Lunigiana e per approfondire la presenza della val di Magra nell’opera dantesca, fondamentale è il contributo di Livio Galanti. Nell’estate del 1965, per il VII centenario della na- scita del poeta, Galanti promosse a Mulazzo la mostra delle illustrazioni dante- sche di Salvator Dalì, alla presenza di Piero Bargellini, il celebre sindaco di Fi- renze. Nello studio Il soggiorno di Dante in Lunigiana Galanti dimostra, sulla base di un riferimento astronomico in Purgatorio VIII, il termine ad quem del- l’arrivo del poeta alla corte dei Malaspina (23). Nel canto VIII del Purgatorio l’a- nima di Corrado, per fissare il termine entro il quale Dante sarebbe stato accol- to in Lunigiana, dice: «il sol non si ricorca / sette volte nel letto che il Montone / con tutti e quattro i pie’ cuopre ed inforca». Per Galanti si deve leggere: il sole non

(23) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Pontremoli 1985. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 28

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si ricorca sette volte nel segno zodiacale dell’Ariete, cioè nel significato di «uscire dalla costellazione». Per cui l’incontro fra Dante e Corrado nella valletta dell’antipurgatorio «si sarebbe svolto nel far della sera del 10 aprile del 1300». «Il sole, dunque, sarebbe tramontato, avrebbe cioè lasciato la costellazione dell’A- riete, dove allora si trovava, appena dieci giorni dopo, cioè il 20 dello stesso mese; il che comporta che la prima uscita si verificava nello stesso anno in cui avveni- va il colloquio, cioè nel 1300: e, se la matematica non è un’opinione, ne sarebbe uscito per la settima volta sei anni e dieci giorni dopo, cioè il 20 aprile del 1306, che è il termine ad quem dell’arrivo di Dante alla corte dei Malaspina in val di Ma- gra» (24). Scrive Petrocchi: «Se Dante accetta la nomina a procuratore, vuol dire che egli è sul posto da qualche tempo per poter fruire della fiducia di tutti e tre i rami dei Malaspina, e già doveva aver svolto altre meno importanti incombenze consiliari» (25). Secondo Galanti, l’ipotesi più valida per spiegare la venuta di Dante in Luni- giana potrebbe trovare risposta in una precedente conoscenza del marchese Mo- roello Malaspina attraverso il comune amico Cino da Pistoia (26). L’episodio nar- rato dal Boccaccio del ritrovamento in Firenze dei primi sette canti dell’Inferno, affidati da Gemma a Dino Frescobaldi, il quale li recapita a Moroello perché per- suada l’autore a riprendere il lavoro interrotto con l’esilio, «si può collocare tan- to nell’autunno del 1306 quanto in un tempo immediatamente precedente» (27). È Andrea, figlio della sorella di Dante che ha sposato Leone Poggi, a raccontare a Boccaccio del ritrovamento e come abbia provveduto a far leggere i sette can- ti a Dino Frescobaldi, che poi li ha fatti pervenire al loro autore attraverso uno dei marchesi Malaspina del quale è ospite in Lunigiana. Dante nel momento in cui rientra in possesso dell’inizio del suo poema, oltre a volgerlo in volgare, lo adat- ta alla sua condizione di esule, alimentato di una nuova linfa nella quale si scio- glievano le sofferenze di quella condizione (28). Non c’è dubbio che Dante deve aver accettato l’incarico delle trattative col vescovo di buon grado, poiché la pace con Antonio da Camilla consentiva di raffor- zare la posizione dei Malaspina nei riguardi del guelfismo toscano, costituendo un elemento di speranza per il ritorno di Dante a Firenze. Il ruolo che l’Alighieri ha avuto in queste trattative deve esser stato molto delicato. Nella procura, in- tatti, si parla di misfatti ed irregolarità compiute dai Malapina e loro seguaci con- tro il vescovo e la sua diocesi. Al vescovo è fatto solo l’obbligo di restituire ai Ma- laspina ciò che ha avuto o riscosso in loro nome durante l’occupazione di alcuni loro territori, e di annullare ogni condanna o sentenza emessa contro di loro e i loro seguaci dai suoi tribunali. Così stando le cose, Galanti ipotizza che sia stato

(24) Ibidem, pp. 59-60. (25) G. PETROCCHI, Vita di Dante, Roma-Bari 2001, p. 99. (26) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante in Lunigiana cit., p. 44. (27) G. PETROCCHI, op. cit., p. 101. (28) A. ALTOMONTE, Dante. Una vita per l’imperatore, Milano 1985, p. 311-314. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 29

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proprio il vescovo da Camilla a sollecitare questo trattato coi signori di Val di Ma- gra allo scopo di assicurarsi le spalle ed avere le mani completamente libere per arginare l’ingordigia territoriale di Lucca. Dal canto loro i Malaspina avevano tut- to l’interesse ad aderire alla richiesta, in quanto il dominio temporale della paci- fica diocesi di Luni veniva a costituire un cuscino su cui poteva riposare tranquilla anche la loro integrità territoriale (29). In questa incerta situazione, l’opera di- plomatica di Dante si destreggia fra le giuste rivendicazioni morali e materiali avanzate dal vescovo e la necessità di dover salvaguardare l’orgoglio di una fa- miglia, tenacemente attaccata ai suoi diritti feudali. Dante, dunque, non sog- giornava da poco tempo in Lunigiana e rendeva omaggio alla casata che tanto ge- nerosamente lo aveva ospitato, immaginando di incontrare in una piccola valle fiorita dell’antipurgatorio Corrado Malaspina di Villafranca, nipote del caposti- pite Corrado “l’Antico” (30). Coi «Quaderni alla scoperta dei Castelli di Lunigiana seguendo le orme di Dan- te», dell’editore Bassani Cavanna, Galanti porta l’attenzione su luoghi danteschi lunigianesi, riproponendo la rivendicazione popolare che lega il nome del sommo poeta a borghi, case e castelli. Nel Quaderno, Dante e il castello di Fosdinovo, Ga- lanti sostiene con argomenti precisi che una presenza di Dante a Fosdinovo è «non solo possibile, ma addirittura storicamente richiesta, e costituisce quel nocciolo di verità che sta alla base di ogni sana, permanente tradizione» (31). Nel Quader- no Mulazzo nella tradizione dantesca di Lunigiana Galanti scrive: «...nel silen- zio pressoché assoluto da parte di Malnido di Villafranca e dell’impervia rocca di Giovagallo, Mulazzo ha sempre svolto un ruolo di primo piano», pur riconoscen- do giustamente che «Franceschino rappresenti globalmente quell’ospitalità che il Poeta ha potuto avere anche nelle singole corti degli altri suoi congiunti» (32). Nel Quaderno La lettera di frate Ilaro del Corvo propone la tesi che l’epistola sia au- tentica, ma scritta vari anni dopo la morte di Dante. Teoria discutibile, ma im- portante, perché si torna ad accettare la realtà storica dell’episodio di Ilaro con il superamento della posizione assolutamente negativa (33). Proprio rifacendosi agli studi di Livio Galanti, Mirco Manuguerra, fondatore e direttore del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, autore del volume Nova Lectura Dantis del 1996 (34), ha fatto degli studi lunigianesi su Dante una vera e propria branca disciplinare. Galanti, durante la sua vita dedicata allo studio del

(29) L. GALANTI, op. cit., p. 45. (30) R. PIATTOLI, Malaspina, Corrado I detto l’Antico, in Enciclopedia dantesca, vol. XI, Bi- blioteca Treccani, Mondatori, Milano 2005, p. 72. (31) L. GALANTI, Dante e il castello di Fosdinovo, in «Quaderni “Conoscere”. Alla scoperta dei Castelli di Lunigiana seguendo le orme di Dante», n. 3, Carrara 1984. (32) L. GALANTI, Mulazzo nella tradizione dantesca di Lunigiana, in «Quaderni “Conosce- re”. Alla scoperta dei Castelli di Lunigiana seguendo le orme di Dante», n. 5, Carrara 1984. (33) L. GALANTI, La lettera di frate Ilaro del Corvo, in «Quaderni “Conoscere”. Alla scoperta dei Castelli di Lunigiana seguendo le orme di Dante», n. 2, Carrara 1984. (34) M. MANUGUERRA, Nova Lectura Dantis, La Spezia 1996, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 30

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sommo poeta, aveva vissuto isolato non solo dal mondo accademico, ma anche dalle varie associazioni culturali lunigianesi. Nonostante fosse stato sindaco di Villafranca e di Mulazzo, le sue ricerche e le sue pubblicazioni non avevano avu- to la giusta attenzione e il meritato riconoscimento in Lunigiana. Contro questo isolamento e una dimenticanza spesso colpevole, il Centro Lunigianese di Studi Danteschi si è subito mobilitato per una diffusione della sua opera e delle sue fon- damentali scoperte. «Quando noi ci domandiamo — sostiene Manuguerra — qua- li siano le ragioni che stanno alla base dell’eccezionale elogio dei Malaspina in Purgatorio VIII; quando noi cerchiamo di stabilire l’autenticità, e a mio avviso ci riusciamo, dell’Epistola di frate Ilaro del Monastero del Corvo di Ameglia ad Uguccione della Faggiuola e le sue possibili implicazioni con il dominio alle- gorico dell’Ep. IV dal Casentino; quando noi ci interroghiamo su quella leggen- da singolare, tramandataci dal Boccaccio, secondo cui i primi sette canti dell’In- ferno sarebbero stati miracolosamente rinvenuti in Firenze, dopo l’esilio, e dunque rimessi nelle mani del Poeta proprio qui in terra Lunigiana, per il tramite dell’o- spite stesso, il marchese Moroello Malaspina di Giovagallo; e quando poi analiz- ziamo gli Atti della Pace di Castelnuovo, unica testimonianza certa della presenza di Dante in un dato luogo nel corso del lungo esilio; e, ancora, quando noi pren- diamo a definire con rigore le memorie e i luoghi danteschi di Lunigiana, stabi- lendo metodi e principi di indagine volti ad eliminare per quanto più possibile ana- lisi forzate e sterili campanilismi, e quando poi infine insorgiamo, ribellandoci a quella “Sindrome di Castelnuovo” per cui ancora oggi osserviamo con disarmante regolarità le referenze dantesche lunigianesi essere trattate con scarsa conside- razione e talvolta con nessun rispetto, quando noi facciamo un qualcosa di tutto ciò, non facciamo altro che compiere un atto in ordine ad un dominio di indagi- ne e di conoscenza ben preciso che noi indichiamo con il termine di Dantistica Lunigianese» (35). Con la nascita del Comitato Organizzatore del VII Centenario, nell’ottobre del 2002, il Centro Lunigianese di Studi Danteschi si dota di un proprio bollettino on- line denominato «Lunigiana dantesca» (36). Il 21 giugno 2003 si inaugura a Mu- lazzo il Museo Dantesco Lunigianese “Livio Galanti”. All’atto della cerimonia, alla presenza dell’ambasciatore Bruno Bottai, presidente della Società Dante Alighieri, è istituita la Biblioteca Dantesca Lunigianese, ove confluisce l’intera dotazione

(35) M. MANUGUERRA, Il significato di un Museo e di una Biblioteca dedicati alla presenza di Dante in Lunigiana, in Atti della Cerimonia di Inaugurazione del Museo Dantesco Lunigiane- se “L. Galanti” di Mulazzo [Parte I], in «Lunigiana dantesca», 6 (2003), pp. 2-3. Cfr. G. BENELLI, Il VII Centenario della venuta di Dante in Lunigiana, in «La Casana», 1 (2006), pp. 36-43. (36) Cfr. M. ANGELLA, Studi Danteschi: il bollettino lunigianese diventa una vera rivista, in «Il Tirreno», 8 febbraio 2004, p. IX. La costituzione del Comitato viene decisa nel corso di una cena conviviale del Centro Lunigianese di Studi Danteschi tenutasi presso il ristorante Manganelli di Villafranca, la sera di giovedì 10 ottobre 2002. Sono presenti a quell’incontro, oltre allo scrivente, Andrea Baldini, Oreste Burroni, Germano Cavalli, Lucia Maesano, Dante Pierini, Gianluca Rocchi. Erano assenti, ma rappresentate, la famiglia Galanti e Silvia Magnavacca. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 31

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del Fondo Galanti (37). Nel corso della medesima giornata si tiene a Villafranca il primo evento ufficiale di Lectura Dantis Lunigianese con la lettura e il com- mento del canto VIII del Purgatorio. L’intuizione del modello di pace universa- le, che troviamo formalizzato nella Monarchia, viene per la prima volta ricono- sciuta nella struttura allegorica generale del canto. Si ufficializza la proposta della maiuscola sull’appellativo di Corrado detto “l’Antico” (38). Ad una rinnovata lettura della concezione dantesca della nobiltà ha fatto seguito una rettifica del sintagma della “Valletta dei Principi”, in Antipurgatorio, trasformato nel più cor- retto “Valletta dei Nobili” (39). Nello stesso 2003 Eliana Vecchi in uno studio su Moroello Malaspina fa risa- lire la morte del marchese di Giovagallo al 15 aprile del 1315, un dato molto im- portante ai fini della datazione dell’Epistola di frate Ilaro e, indirettamente, della stessa cantica del Purgatorio (40). Inoltre la studiosa, lavorando sulla do- cumentazione archivistica malaspiniana anche inedita, pubblica sempre in quell’anno l’elegante volumetto Alagia Fieschi marchesa Malaspina: una do- mina di Lunigiana nell’età di Dante. Lo studio fa emergere la personalità etica e politica dì Alagia della famiglia dei Fieschi, venuta in Lunigiana come moglie di Moroello Malaspina e glorificata da Dante nel Purgatorio (XIX,142-145) come la sola “buona da sé”, ma a rischio di diventar “malvagia” per il cattivo esempio di vizi e avidità della sua famiglia (41). Ancora nel 2003 Carlo Dolcini scopre una pa- rafrasi delle Variae di Cassiodoro nel preambolo dell’atto di pace di Castelnuo- vo, subito riconosciuta come una chiara matrice dantesca (42). Alessandro Raf- fi, nel presentare nuove ed importanti evidenze platoniche della III Cantica, riafferma la presenza di Cassiodoro nella biblioteca personale di Dante, avvalo- rando in via pressoché definitiva la parafrasi scoperta da Dolcini (43). Su questa scoperta, l’anno successivo viene organizzata la giornata di studi «Il ruolo della

(37) M. MANUGUERRA, Lunigiana Dantesca, Edizioni del Centro Lunigianese di Studi Dante- schi, Sarzana 2006, pp. 190. Per l’occasione il Centro Lunigianese di Studi Danteschi ha organizza- to una esposizione straordinaria di Dolores Puthod sul tema dell’Inferno dantesco. La nuova se- zione museale si arricchisce ben presto di libri della tradizione esegetica lunigianese dal XVI secolo fino ai giorni nostri. (38) M. MANUGUERRA, Purgatorio VIII: il Colloquio di Dante con Corrado Malaspina il Gio- vane, marchese di Villafranca, in «Lunigiana dantesca», 6 (2003), pp. 6-11. (39) M. MANUGUERRA, Lunigiana Dantesca cit., pp. 73 e 87-88. (40) E. M. VECCHI, La data di morte di Moroello Malaspina, signore di Giovagallo, e il pro- blema della sua sepoltura in Genova, in «Studi Lunigianesi», XXXII-XXXIII (2003), pp. 81-90. (41) E. M. VECCHI, Alagia Fieschi marchesa Malaspina: una domina di Lunigiana nell’età di Dante, Lucca 2003. (42) C. DOLCINI, Qualcosa di nuovo su Dante: sue tesi politiche nel 1306, in «Pensiero Politi- co Medievale», 1 (2003), pp. 19-25. La scoperta del Dolcini è avvalorata da E. BERTIN, La pace di Ca- stelnuovo Magra (6 ottobre 1306). Otto argomenti per la paternità dantesca, in «Italia Medioevale e Umanistica», XLVI (2005), pp. 1-34, recensito da A. MAZZUCCHI, in «Rivista di Studi Danteschi», VI/2 (2006), pp. 410-411. (43) A. RAFFI, Origine e storia del lessema “con flati”, in Atti della Giornata di Studi “Nuovi Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 32

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Lunigiana nella formazione politica di Dante». Da quell’incontro emerge l’im- portanza di trovarsi di fronte alla prima forma di un pensiero compiutamente po- litico in Dante (44). È nel trauma dell’esilio che Dante prende coscienza del tra- monto di una civiltà secolare, di quello che sarà chiamato l’autunno del Medioevo. Sono in crisi la Chiesa e l’Impero, supremi regolatori della vita spirituale e civi- le. La decadenza investe anche i Comuni, l’un contro l’altro armati. E Dante giu- dica l’apparente anarchia, che prelude a un nuovo mondo, confrontandola ge- nialmente con l’eterno, l’immobile, il perfetto. Non importa che la sua visione sia contrassegnata da una utopia, perché il senso della giustizia, una religiosità più pura, una autorità condivisa che trascenda gli interessi particolari e porti la pace tra gli uomini sono valori che appartengono alla natura umana. Dante ci offre «qualcosa di più di un puro messaggio poetico: non soltanto una parola bella, ma una parola persuasiva e vivente» (45). Nel 2004 il Centro Lunigianese di Studi Danteschi riunisce nel monastero del Corvo di Ameglia gli studiosi Cesare Vasoli, Enrico Malato, Silvia Magnavacca, Mirco Manuguerra, Franco Quartieri, Alessandro Raffi e Giuseppe Benelli per esaminare il tema dell’allegorismo dantesco (46). Nel 2005 esce l’aggiornamento di una monografia di Beniamino Geminiani, che giustamente considera dante- sche tutte le località citate negli Atti della Pace di Castelnuovo e il riconoscimento di un possibile riferimento alle Alpi Apuane in Rime, CXIII (47). Nell’aprile di quel- lo stesso anno uno studioso lunigianese, nativo di Villafranca, il fisico Leonardo Ricci, ricercatore presso l’Università di Trieste, pubblica una memoria sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale «Nature», ove dimostra la presenza nel canto di Gerione (Inferno XVII) di una accurata descrizione dell’invarianza galileiana, ovvero il fenomeno che sta alla base del Principio Ristretto di Relati- vità (48). Da segnalare che parallelamente allo sviluppo degli studi e delle ricerche si assiste su tutto il territorio lunigianese ad una intensa ed estesa attività di recu- pero, valorizzazione e indagine delle antiche emergenze dantesche. A Mulazzo sono sottoposte a interventi riqualificativi alcune pertinenze della zona dantesca.

elementi di filosofia dantesca” (Mulazzo, Museo Dantesco Lunigianese “L. Galanti”, 12 febbraio 2005), in «Lunigiana dantesca», 25 (2005), pp. 2-7. (44) Cfr. Atti del Convegno “Il ruolo della Lunigiana nella formazione politica di Dante” (Mu- lazzo, Museo Dantesco Lunigianese “L. Galanti”, 1 maggio 2004), in «Lunigiana dantesca», 16 (2004), pp. 1-9. (45) N. SAPEGNO, Introduzione alla «Divina Commedia», Torino 2002. (46) Cfr. Dantisti e filosofi a confronto sul Sommo Poeta nel monastero, in «La Nazione», 20 febbraio 2004, p. XII; M. ANGELLA, ‘Dante e l’allegoria’, convegno allo storico monastero del Corvo, in «Il Tirreno», 21 febbraio 2004, p. IX. (47) B. GEMINIANI, Dante, Carrara e Val di Magra, Carrara 2005. (48) L. RICCI, Dante’s insight into galileian invariance, in «Nature», 434 (7 aprile 2005), p. 717. La notizia della scoperta fa il giro del mondo; cfr. A. MASSARENTI, Quando Dante anticipò Galilei, in «Il Sole 24 Ore», 12 aprile 2005, p. 10. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 33

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Nel Sarzanese, per proposta del locale Club Alpino Italiano, a cura della Soprin- tendenza per i Beni archeologici della Liguria e di archeologi dell’Università di Pisa, sono riportate alla luce sulle alture di Ponzano Magra le vestigia dell’anti- chissimo castello della Brina, una delle due fortezze, assieme a quella di Bolano, la cui occupazione da parte guelfa fu all’origine dei contrasti che stanno alla base dell’intervento diplomatico di Dante. Al Monastero del Corvo, a Bocca di Ma- gra, si compie un primo scavo archeologico sotto la navata dell’antico cenobio benedettino, che modifica scontati convincimenti architettonici. A Villafranca uno scavo scientifico, operato su una navata della chiesina di San Niccolò in Mal- nido, ha portato alla scoperta della cripta dei principi malaspiniani ammirati da Dante. Gli Atti della Pace di Castelnuovo sono assegnati alla custodia dell’Ar- chivio di Stato competente e sono sottoposti ad un intervento di restauro con- servativo. Mancava in Lunigiana una Lectura Dantis come esiste da tanti anni in altre regioni (49). Il primo ciclo di Lectura Dantis Lunigianese del Centro Lunigia- nese di Studi Danteschi è inaugurato a Pontremoli il 7 luglio 2004 con l’interven- to di Vittorio Sermonti nel Teatro della Rosa. Sermonti – che ha curato, fra il 1987 e il 1992, una serie di trasmissioni radiofoniche sulla Commedia, e le ha poi pubblicate in tre volumi, con la supervisione di Gianfranco Contini (per le pri- me due cantiche) e Cesare Segre (per la terza cantica) – da anni affronta con gran- de successo la sfida di portare Dante nelle piazze e nelle grandi chiese (50). Altro ospite è l’attore Antonio Piovanelli, inimitabile interprete della Divina Comme- dia. Gli altri interventi esegetici, con la lettura attenta e matura di Roberto Alin- ghieri, apportano contributi originali sull’opera dantesca. Mirco Manuguerra l’11 luglio a Villafranca, nello spiazzo sopra la tomba di Corrado Malaspina, ai piedi del campanile di San Nicolò, rivede le interpretazioni di concetti e personaggi, quali la Profezia del Veltro, Francesca da Rimini, Ulisse e il Canto VIII del Purga- torio. A Mulazzo in piazza Dante, di fronte al monumento dello scultore Dazzi, il 25 luglio Alessandro Raffi porta chiarificazioni dell’Inferno, che promettono nuo- ve concezioni del linguaggio dantesco. Il 7 agosto, nella chiesa di San Geminiano a Pontremoli, Renato Del Ponte inquadra la figura di Pier delle Vigne, protagoni- sta della selva dei suicidi in Inferno XIII, fatto abbacinare da Federico II nel 1249 proprio nella piazzetta davanti alla chiesa pontremolese, secondo una fonte ma- noscritta fiorentina della seconda metà del Trecento (51).

(49) La Lectura Dantis Scaligera, la Lectura Dantis Romana, la Lectura Dantis Ravennate identificano precise tradizioni di scuole dantesche. (50) V. SERMONTI, L’altre stelle nel mezzo (Pontremoli, Teatro della Rosa, 7 luglio 2004), in «Lunigiana dantesca», 18 (2004), pp. 2-4 e 19 (2004), pp. 2-6. (51) Il programma completo del primo ciclo di Lectura Dantis Lunigianese del Centro: V. SER- MONTI, L’altre stelle nel mezzo (lecture da Inferno I e Paradiso XXXIII), 7 luglio, Pontremoli, Tea- tro della Rosa; M. MANUGUERRA, Purgatorio VIII: la Lunigiana di Dante, 11 luglio, Villafranca, an- tico sagrato di San Niccolò in Malnido, declamazione di Roberto Alinghieri; A. RAFFI, Inferno VII: Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 34

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Al grande Cancelliere dell’Imperatore dal maggio 2005 al febbraio 2006 è de- dicato il convegno itinerante «Pier delle Vigne in catene da Borgo San Donnino alla Lunigiana medievale», promosso dagli Archivi di Stato di Massa, Parma e la Spezia, con la partecipazione dei Comuni di Santo Stefano Magra, Fornovo, Pon- tremoli, Massa, Sarzana e Fidenza in collaborazione con l’Associazione Cultura- le “ Le Vie del Sale”. A Fidenza, il 28 maggio 2005, intervengono Graziano Tonelli (Archivio di Stato della Spezia), Marzio Dall’Acqua (Archivio di Stato di Parma), Renato del Ponte; a Ponzano Superiore, il 4 giugno, Monica Baldassarri (Uni- versità di Pisa), Mario Nobili (Università di Pisa), Giuseppe Benelli (Università di Genova); a Fornovo, il 30 luglio, Enrica Salvatori (Università di Pisa), Simone Bordini (Università di Parma), Fabrizio Benente (Università di Genova); a Pon- tremoli, il 6 agosto, Olga Raffo (Archivio di Stato di Massa), Fabrizio Franceschini (Università di Pisa), Fulvio Delle Donne (Università di Napoli), Gilda Caiti Rus- so (Università di Montpellier), Prospero Calzolari; il 1° ottobre 2005, a Massa in- tervengono Mauro Ronzani (Università di Pisa), Enrica Salvatori, Roberto Ricci e Alessio Zoppi; a Sarzana, il 10 febbraio 2006, Graziano Tonelli e Roberto Greci (Università di Parma). Gli atti del convegno itinerante su Pier Delle Vigne esco- no nel 2006, a cura di Graziano Tonelli (52). Per tutto il 2005 continua il ciclo di Lectura Dantis Lunigianese del Centro Lunigianese di Studi Danteschi. Franco Quartieri, Mirco Manuguerra, Andrea Bal- dini, Giuseppe Benelli, Alessandro Raffi, Luigi Camilli portano la lettura e il com- mento di Dante nel piazze, nei teatri e nei borghi della Lunigiana (53). Il secon- do ciclo di lettura, oltre ad animare e arricchire gran parte del periodo estivo, è

l’enigma di Pluto, la Fortuna e lo Stige: elementi di filosofia e semiotica della dannazione, 25 luglio, Mulazzo, Piazza Dante, declamazione di Roberto Alinghieri; M. MANUGUERRA, I Messaggeri del Veltro: dalle Tre Sante Donne alla “Visio Dei” passando per Francesca da Rimini e il “folle volo” di Ulisse, 31 luglio, Pontremoli, Teatro della Rosa, declamazione di Antonio Piovanelli; R. DEL PONTE, Inferno XIII: La Lunigiana fatale di Pier delle Vigne, 7 agosto, Pontremoli, Chiesa di San Geminiano. Cfr. Lectura Dantis Lunigianese – Il programma completo, in «Il Secolo XIX», 7 luglio 2004, p. 31. (52) G. TONELLI (a cura di), Pier Delle Vigne in Catene - Atti del Convegno Itinerante, Sarza- na 2006. (53) Questo il programma completo del secondo ciclo di Lectura Dantis Lunigianese: F. QUAR- TIERI, Purgatorio VI - XVI: la Politica di Dante, 22 luglio, Villafranca, antico sagrato di San Niccolò; F. QUARTIERI, Inferno V: Dante e le pene d’amore, 23 luglio, Sarzana, via Fiasella; M. MANUGUERRA, Inferno XXVI: le sirene di Ulisse, 24 luglio, Sarzana, via Mascardi; M. MANUGUERRA, Inferno V: l’altra faccia di Francesca, 4 Agosto, Castelnuovo Magra, vestigia del Castello Vescovile della Pace di Dante; A. BALDINI, G. BENELLI, Libere letture dalla Divina Commedia, 1 settembre, Pontremoli, Piazza del Duomo; A. RAFFI, Paradiso IV: Dante e Platone tra simbolo e allegoria, 9 settembre, Fosdinovo, Torre Malaspiniana; A. BALDINI, G. BENELLI, Libere letture dalla Divina Commedia, 10 settembre, Mulazzo, Museo Dantesco Lunigianese; A. RAFFI, Paradiso XXVI: il tramonto di Babe- le, 17 settembre, Ortonovo, Zona Archeologica dell’antica città di Luni. Tutte le serate, ad eccezio- ne di quelle di Baldini e Benelli, sono accompagnate dalle declamazioni dei Canti di Luigi Camilli. Cfr. M. ANGELLA, Letture di Dante, otto incontri in Lunigiana e in Val di Magra, in «Il Tirreno», 12 luglio 2005, p. VII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 35

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accompagnato dalle ripetute esposizioni di ex libris della collezione Mainardi te- nute presso il Museo Dantesco Lunigianese di Mulazzo (54). Claudio Palandrani pubblica il volume Dante, i Malaspina e la Lunigiana, dall’ottimo corredo di illustrazioni, pensato per un’ampia divulgazione della materia e particolarmen- te indicato per il mondo della scuola (55). A proposito dell’opera di divulgazio- ne del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, il 9 febbraio 2005 compare col quo- tidiano “la Repubblica” l’inserto di 14 pagine (più l’intera copertina con richiamo esclusivo del titolo) che il settimanale nazionale “I Viaggi di Repubblica” dedica all’intero progetto di valorizzazione dantesca proposto dal Centro (56). Il 19 aprile 2006 le amministrazioni di Castelnuovo Magra, di Sarzana e Mu- lazzo, riunite nella sala di rappresentanza del palazzo civico di Castelnuovo Ma- gra, alla presenza dell’assessore alla cultura della Regione Liguria e del presidente del consiglio provinciale della Spezia, sottoscrivono un protocollo d’intesa per realizzare un calendario comune delle manifestazioni, che culmineranno nelle giornate del 6, 7, 21 e 28 ottobre 2006. Alla realizzazione danno apporto e coor- dinamento scientifico la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Et- noantropologico della Liguria, l’Archivio di Stato della Spezia, la Sezione Lu- nense dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, il Museo della Stampa “ Jacopo da Fivizzano”, il Centro di Studi Umanistici “Niccolò V” di Castiglione del Ter- ziere. Il convegno che si svolge a Castelnuovo Magra il 6 ottobre, dal titolo «Il no- stro Dante ed il Dante di tutti», i cui atti sono raccolti in questo volume, si arti- cola nella mattinata sulla documentazione archivistica che ci ha trasmesso la me- moria dell’evento. Vengono presentate le sette tabulae dantesche, cioè le carte del protocollo notarile di Giovanni di Parente di Stupio, rogatore della procura e del trattato di pace, conservate presso l’Archivio di Stato della Spezia, dopo il restauro e la sistemazione in idonei espositori di conservazione. I relatori illu- strano la travagliata storia archivistica delle carte e il ruolo del notaio medieva- le (Antonino Faro), le caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei documenti danteschi ed il contesto politico (Eliana M. Vecchi), le problematiche del re- stauro (Marco Sassetti). Nel pomeriggio quattro studiosi di paesi diversi, Jean- Charles Vegliante (Francia), H. Wayne Storey (America), Federico Sanguineti (Ita- lia), Kuniko Tanaka (Giappone), espongono alcuni punti nodali della dantistica

(54) Per la cura diretta del collezionista, Mauro Mainardi, presidente dell’Associazione Italia- na Ex libris, sono allestite le rassegne: L’Inferno di Dante (2003), Il Purgatorio di Dante (2004) e Il Paradiso di Dante (2005). Cfr. M. ANGELLA, Collezione Mainardi da vedere, in «Il Tirreno», 13 di- cembre 2003, p. IX. (55) C. PALANDRANI, Dante, i Malaspina e la Lunigiana, tavole di Marco Host, Massa 2005. (56) Realizzato grazie alla collaborazione tra il Centro Lunigianese di Studi Dantesche e la Fon- dazione Città del Libro, il servizio si deve all’ottimo lavoro svolto da Lunipress, ufficio stampa del- la giornalista Angela Macaluso. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 36

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nelle loro nazioni e, dopo la loro relazione, leggono nella propria lingua madre un brano della Commedia (57). L’incontro del 7 ottobre in Sarzana è dedicato a «Bernabò Malaspina, un ve- scovo nell’età di Dante», morto nel 1338, la cui pregevolissima tomba monumentale posta in San Francesco di Sarzana è stata sottoposta a restauro dalla Soprinten- denza. Nella seduta della mattinata, le relazioni offrono un quadro biografico del personaggio, appartenente al ramo malaspiniano dello Spino fiorito, la cui madre fu sorella di Alagia Fieschi, ricordata da Dante e la cui ascesa al soglio lunense può considerarsi un’estrema conseguenza della pace dantesca (Eliana M. Vec- chi). La politica della famiglia Fieschi, che diede due papi e diversi cardinali alla chiesa (Daniele Calcagno) e quella malaspiniana anche nella espansione della ca- sata in Sardegna (Alessandro Soddu), contestualizzano storicamente il perso- naggio. Segue una lectura di Purgatorio XIX in cui Dante fa comparire Adriano V, papa Fieschi, zio della madre (Giuseppe Indizio). Nel pomeriggio le relazioni tracciano la storia del monumento funebre nel suo contesto: una rilettura critica della cospicua storiografia sulla tomba e le osservazioni sul maestro e la botte- ga che produsse l’opera alla luce delle importanti novità emerse dai restauri (Pie- ro Donati), le raffinate indagini tecnico scientifiche sul marmo (Marco Realini, Chiara Colombo) ed il procedimento seguito dal restauratore (Gianni Caponi), le relazione sui rapporti di interscambio all’epoca fra le diverse arti nel territorio lu- nigianese (Clario Di Fabio). A Pontremoli ed a Mulazzo dal 25 al 27 maggio si tiene il convegno interna- zionale “La fama che la vostra casa onora”. La Lunigiana e i Malaspina nel- l’opera di Dante Alighieri a 700 anni dal soggiorno lunigianese (1306-2006), con il coordinamento di Michelangelo Zaccarello dell’Università di Verona e la collaborazione di Master di Storia e Tecniche dell’Editoria e Antiquariato libra- rio, della stessa Università di Verona, del Centro Studi Malaspiniani di Mulazzo, che vede la partecipazione di numerosi dantisti: Marcello Ciccuto (Università di Pisa), Michelangelo Zaccarello (Università di Verona), John C. Barnes (Univer- sity College Dublin), Giuseppe Indizio (Università “L. Bocconi” di Milano), H. Way- ne Storey (University of Indiana), Paola Allegretti (Università di Perugia), Luca Carlo Rossi (Università di Bergamo), concluso dalla lettura della Canzone “mon- tanina” e del canto VIII del Purgatorio. I contributi vengono editi sulla presti- giosa rivista americana «Dante Studies» (58). Il 21 ottobre, ancora una volta a Mulazzo, il particolare rapporto fra il fran- cescanesimo e Dante viene raccontato in una libera rielaborazione scenica, ba- sata su testi della vita del santo.

(57) Gli atti del convegno sono raccolti in questo volume. (58) Numero monografico della rivista «Dante Studies», 124 (2006), New York, Fordham Uni- versity Press, edita nel 2008. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 37

L’ IDENTITÀ LUNIGIANESE NELLE CELEBRAZIONI DANTESCHE DEL 1906 E DEL 2006. 37

Infine il 28 ottobre a Sarzana viene presentato il volume di Loris Jacopo Bo- noni, Il carteggio del comitato per le celebrazioni dantesche di Sarzana del 1906, che offre materiale inedito sul carteggio intercorso fra i diversi studiosi promo- tori, dal quale emergono le tensioni e le valenze politiche di cui l’avvenimento ven- ne caricato (59). Nel luglio 2006 esce la monografia di Mirco Manuguerra, edita dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi, che ristruttura la materia lunigianese partendo dalla lezione di Livio Galanti (60). Sabato 30 settembre e domenica 1 ottobre, si tiene il Congresso internazionale «Dante e la Lunigiana», organizzato e diretto dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi. Il convegno, nato sotto gli auspici della Società Dante Alighieri, si tiene a Bocca di Magra presso il Monastero di S. Cro- ce del Corvo. Intervengono gli accademici Cesare Vasoli (Università di Firen- ze), Carlo Dolcini e Giuseppe Ledda (Università di Bologna), Mario Nobili e Pier Lorenzo Secchiari (Università di Pisa), Claudio Bonvecchio (Università di Vare- se), Leonardo Ricci (Università di Trento), Federico Sanguineti (Università di Sa- lerno), Silvia Magnavacca (Università di Buenos Aires), Roberta Morosini (Wake Forest University of North Carolina), Giuseppe Benelli (Università di Genova), i cui contributi sono raccolti in un’edizione digitale su cd (61). Tra le altre perso- nalità si annoverano le presenze del romanziere Roberto Pazzi e del critico let- terario Roberto Bugliani (62). L’evento porta all’attenzione sia il basilare termine ad quem di Livio Galanti, sia alcune esegesi care alla Dantistica Lunigianese con- temporanea: le innovative interpretazioni degli enigmi secolari del Veltro, del- l’ultimo viaggio di Ulisse e dell’allegoria dei due angeli e del serpente in Purga- torio VIII (con tutto il suo bagaglio filosofico intorno al tema della pace universale); il significato basilare che riveste in Dante la filosofia del linguaggio e, infine, la scoperta dell’invarianza galileiana in Inferno XVII. Singolare risalto è stato dato dalla stampa locale alla variante di Purgatorio VIII per il nome di Corrado detto “l’Antico”, accolta dal filologo Federico Sanguineti (63). Dal congresso del Monastero del Corvo nascono due progetti del Centro Lu- nigianese di Studi Danteschi: la costituzione del Parco Letterario “Dante Ali-

(59) L. J. BONONI, Il carteggio del comitato per le celebrazioni dantesche di Sarzana del 1906 cit. (60) M. MANUGUERRA, Lunigiana Dantesca cit., pp. 7-8. (61) Dante e la Lunigiana, Atti del Congresso internazionale (Monastero del Corvo, Bocca di Magra 2006), a cura di M. MANUGUERRA, C. PALANDRANI, A. RAFFI, Centro Lunigianese di Studi Dan- teschi, 2006, ipertesto, con altri apporti, in particolare dal precedente Lunigiana dantesca cit. di M. Manuguerra. (62) Cfr. G. MIGNANI, Si celebra il centenario dantesco, in «L’Avvenire», 24 settembre 2006; La Poesia del “divino” Dante in 700 anni di storia e cultura, in «La Nazione», 28 settembre 2006, p. XI; Dante Alighieri in Lunigiana, in «Il Secolo XIX», 2 ottobre 2006, p. 16; Dantisti a congresso, in «Il Secolo XIX», 4 ottobre 2006, p. 31. (63) Federico Sanguineti, docente di Linguistica italiana all’Università di Salerno, che nel 2001 ha curato il restauro testuale della Dantis Alagherii Commedia, Edizioni del Galluzzo per la Fon- dazione Ezio Franceschini di Firenze, tiene al convegno la relazione Filologia di Purgatorio VIII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 38

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ghieri – Lunigiana Storica”, nel quadro del progetto nazionale dei Parchi Lettera- ri di cui è fautrice la Fondazione Ippolito Nievo, e la trasformazione della Via Dan- tis in rappresentazione stabile (64). Ma il futuro della Lunigiana dantesca è rap- presentato dalla nascita e dallo sviluppo del “Dante Lunigiana Festival”, previsto per la prima settimana di luglio di ogni anno, con sede primaria a Fosdinovo. Il Fe- stival comprende la Via Dantis, i cicli di Lectura Dantis Lunigianese, il Con- gresso Internazionale di Filosofia della Pace Universale “Pax Dantis” e il Pre- mio Internazionale di Letteratura “Frate Ilaro del Corvo”. Il premio letterario, di tradizione quasi trentennale, consegnato al Centro Lunigianese di Studi Dan- teschi dal Comitato della Società Dante Alighieri della Spezia, è oggi riservato al tema della Pace Universale (65). La numerosa partecipazione del pubblico e il consenso del mondo culturale spronano a continuare su questa strada che intende portare Dante nelle piazze, nei teatri, nei castelli e nelle scuole di Val di Magra. In tempi come i nostri, dove il sentimento unitario sembra indebolito e si affacciano alla scena della storia d’I- talia nuovi orizzonti federalisti, il ricorso alle numerose “letture” della Comme- dia tendono a rafforzare il sentimento nazionale attraverso l’opera di Dante, “pa- dre della lingua italiana”. Su questo, forse, dovremmo tornare a ragionare in un momento in cui l’Europa si interroga sulla propria identità, incapace di darsi ri- sposte che non si assoggettino alla logica dell’emergenza e del pregiudizio. L’i- gnoranza del passato compromette la conoscenza del presente, così come la co- noscenza del presente è necessaria alla comprensione del passato. Se è vero che la formazione di una coscienza civile e l’educazione alla comprensione del- la diversità trovano il loro fondamento in una corretta conoscenza delle proprie radici storiche, è evidente che non si deve e non si può rinunziare ad un canale così importante di formazione civica come la storia locale. La “memoria sociale”, conservata in varie forme, attraverso l’elaborazione di miti, le testimonianze de- gli anziani, la ricostruzione storiografica, rappresenta la presa di coscienza del- l’eredità che la storia ha lasciato. Per questo l’augurio è che le celebrazioni dan- tesche lunigianesi del 2006, portando a compimento sette secoli di onorata tradizione di studi, possano segnare nuovi punti di partenza per la dantistica del XXI seco- lo e avviare una tanto attesa rinascita della Lunigiana, una terra che nel cuore di Dante fu prediletta.

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(64) Dal luglio 2007 la Via Dantis è stata affidata dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi alla regia di Oreste Valente e all’organizzazione dell’Associazione Teatrale Reatto; si è inoltre affianca- ta all’operato degli attori l’arte musicale di Livio Bernardini e di Egildo Simeone. Cfr. Ma Dante è tornato anche a Fosdinovo, in «Il Secolo XIX», 29 luglio 2007. (65) Il premio, giunto alla XXVI edizione, fu creato dal presidente del comitato spezzino della Società Dante Alighieri, Carlo Clariond, e dallo studioso amegliese Ennio Silvestri. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 39

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L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Premessa In Italia, in ogni capoluogo di provincia è presente un Archivio di Stato (con o senza sezioni distaccate nel territorio provinciale) con il compito di ricevere, conservare, gestire, ma anche ordinare e inventariare la documentazione ammi- nistrativa e giudiziaria proveniente dagli organi ed uffici periferici statali della provincia (1). Questa documentazione viene messa a disposizione del pubblico che voglia accedervi, per interesse di studio o per esigenze amministrative os- servando le norme che limitano l’accesso ai documenti con determinate carat- teristiche (2). Gli Archivi di Stato, per disposizione di legge, custodiscono anche il vasto pa- trimonio archivistico che riguarda gli archivi degli Stati pre-unitari (3) ed inol- tre, una notevole mole di archivi dei notai, su cui focalizzeremo l’attenzione nella seconda parte di questo contributo.

(1) Art. 41, comma I° del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, anche noto come “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”. (2) Il decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 ( detto “Codice in Materia di Dati Personali”) e le leggi in materia hanno posto limiti alla consultabilità della documentazione, presente negli Ar- chivi di Stato, con riferimento agli atti relativi alla politica interna ed estera, che possono essere esa- minati dopo cinquant’anni dalla loro data. La limitazione alla consultabilità è prevista anche per i documenti contenenti dati “sensibili”(riguardanti le idee politiche, sindacali e religiose dei cittadi- ni) e quelli relativi a provvedimenti di natura penale, la cui consultabilità inizia trascorsi quarant’anni dalla data del documento. Infine la limitazione riguarda i documenti contenenti dati “sensibilissi- mi” relativi alla salute, la vita sessuale o i rapporti di tipo familiare, per i quali la consultabilità ini- zia settant’anni dopo la data dell’atto. (3) Dopo l’Unità d’Italia, lo Stato italiano si ritrovò a gestire un immenso patrimonio archivi- stico ereditato dalla frammentata realtà politica dell’Italia pre-unitaria. In particolare, in tutte le ex capitali ed in altri capoluoghi, si trovavano archivi che, pur collocati fisicamente in luoghi diversi, erano riconducibili alla documentazione appartenente agli archivi centrali dei rispettivi Stati preunitari, o ad altri archivi di pertinenza non statale, ma di rilevante importanza storica, quali: gli archivi dei Comuni, degli Enti ecclesiastici, delle Corporazioni professionali, delle “Arti e Mestieri” e delle “Istituzioni di Assistenza e Beneficenza”. A completamento di quanto sopra detto, si precisa che l’articolo 41 del menzionato “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, confermando la legi- slazione precedente, obbliga gli organi periferici amministrativi e giudiziari al versamento. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 40

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Le sette tavole del cartulario di Giovanni di Parente di Stupio Presso l’Archivio di Stato della Spezia sono oggi custodite sette unità archivi- stiche dell’anno 1306, facenti parte di un cartulario, cioè un registro notarile, del no- taio Giovanni di Parente di Stupio, rogante in Sarzana, dal contenuto estremamen- te interessante per la storia locale, oltre che per la storiografia dantesca (fig. 1). Si tratta di sette bifogli o tabulae, in carta cellulosa, scritti in recto e in verso (quindi di quattordici facciate) che sono stati sottoposti recentemente a restauro in quanto risultavano deteriorati dal tempo e danneggiati dall’intervento umano, forse nel tentativo di migliorarne la leggibilità (fig. 2). L’impegno finanziario della Direzione Generale per gli Archivi (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) ha consentito di avviare una complessa opera- zione di restauro, compiuto dapprima con un’innovativa tecnica digitale esegui- ta dalla ditta “Fotoscientifica” di Parma che ha permesso di riportare alla luce par- ti di scrittura ormai illeggibile e, successivamente, con il restauro vero e proprio eseguito dalla Ditta “Laboratorio Sant’Agostino” della Spezia di Marco Sassetti, che, oltre alla procedura di recupero tradizionale, ha inserito dette tabulae in spe- ciali teche che consentono la consultazione e, nello stesso tempo, le mettono al riparo da qualsiasi possibile danno fisico (4). È giusto sottolineare l’importanza che riveste la presenza di tale documenta- zione per l’Archivio di Stato della Spezia: innanzi tutto tali carte sono le più anti-

Fig. 1 - Archivio di Stato della Spezia, mostra documentaria. Esposizione dei sette bifogli nelle ap- posite teche di conservazione e delle riproduzioni fotografiche del restauro digitale (particolare).

(4) Per i particolari si rimanda al saggio di Marco Sassetti in questi atti. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 41

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 41 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Fig. 2 - Particolare di una carta del protocollo notarile prima del restauro.

che tra quelle custodite (l’altra documentazione antica ha una datazione che parte dalla metà del 1400), costituiscono anche uno strumento unico di rappre- sentazione delle vicende del nostro territorio (5). Questi documenti, rogati, cioè redatti, da un apprezzato e stimato notaio del tempo, mettono in luce fatti e personaggi importanti di quel particolare periodo storico in cui si verificava, sul territorio, la sovrapposizione di poteri forti (quel- lo ecclesiastico e quello signorile feudale), con un inevitabile scontro d’interes- si. Inoltre, va ricordato che tali documenti testimoniano, costituendo un innega- bile riscontro, la presenza ed il soggiorno del “sommo poeta” in Lunigiana e Val di Magra. Volendo descrivere brevemente il contenuto di tali carte, in ordine di tra- scrizione, ricordiamo che: la prima tabula contiene il Mandatum (a Dante Ali-

(5) Sui fondi conservati nell’Archivio di Stato della Spezia (d’ora in poi citato ASSp) è oggi con- sultabile in rete la sezione pertinente della Guida agli Archivi di Stato, all’indirizzo http://www.ar- chiviostatospezia.org/patrimonio.htlm. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 42

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Fig. 3 - Restituzione digitale della tabula 1r, con la parte iniziale del testo della procura a Dante.

ghieri): la mattina del 6 ottobre 1306, in piazza della Calcandola a Sarzana (oggi piazza Matteotti), Dante Alighieri ricevette la procura, dalle mani del notaio Giovanni di Parente di Stupio, da parte di Franceschino Malaspina di Mulazzo e per lui, da tutto il casato malaspiniano detto dello “Spino Secco”. Si trattava di una procura plenipotenziaria, ovvero generale e speciale che, presupponendo un’ampia fiducia nei confronti del mandatario, consentiva di procedere senza par- ticolari vincoli materiali e giuridici per arrivare ad una pacificazione con l’auto- rità ecclesiastica (fig. 3). Si presume che i Malaspina (Franceschino, Moroello e Corradino), in mag- gioranza fieri ghibellini, affidandosi alla mediazione di un “guelfo di parte bian- ca”, rafforzassero la loro posizione nei confronti del guelfismo ed acquistassero, nel contempo, maggiore credibilità al cospetto della controparte, il potente Ve- scovo della diocesi di Luni, Antonio di Nuvolone da Camilla. Per Dante Alighieri tale incarico avrebbe potuto costituire un’ottima creden- ziale nei confronti dell’autorità ecclesiastica a sostegno dell’agognato, ma mai compiuto, ritorno in patria. Il Vescovo, da parte sua, durante la lunga trattativa che condusse alla pace, si avvalse della mediazione di due frati: Guglielmo Malaspina e Guglielmo da Godano. Il primo di questi venne ad assumere una funzione di garante (sia degli Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 43

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 43 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

interessi ecclesiastici che di quelli marchionali), in quanto ritenuto probabile fra- tello di Corrado Malaspina il Giovane. Il cosiddetto Instrumentum pacis, presente nella seconda, terza e quarta car- ta, descrive la ratifica della pace del 6 ottobre 1306 in Castelnuovo tra la famiglia Malaspina e il vescovo di Luni, che fu suggellata dal bacio in pubblico tra il ve- scovo e Dante in veste di ambasciatore. Il reciproco intento era quello di porre fine alle conflittualità che perduravano da troppo tempo e che vedevano con- trapposti schiere di milizie, di clienti, di amici e di vassalli. Questa pace consen- tiva ad ambo le parti di poter esercitare i propri diritti sui castelli di Brina e di Bolano, considerati tra i principali oggetti del contendere. La Remissio de condemnationibus (letteralmente, remissione o perdono di condanne) si ritrova da circa metà della quinta tabula fino alla sesta; il contenuto si riferisce a delle condanne sentenziate da autorità munite di potere giurisdizio- nale che si erano precedentemente espresse in tal senso. Gli accordi contenuti nelle tabulae, definibili anche come pacta, dedicano ampio spazio alla risoluzio- ne delle pendenze in corso tra i rispettivi schieramenti su una serie di territori con- tesi: Arcola, Beverino, Bolano, Calice, Sarzana e Carrara. Le parti, con l’intento di ripristinare l’ordine nel territorio e la pace nelle co- munità, s’impegnavano a rinunciare ad ogni forma di rivalsa sia economica che giuridica, per quanto già accaduto. Si riconfermavano, peraltro, le rispettive com- petenze e giurisdizioni ma, anche, risolvevano le pendenze conseguenti ai danni subiti per tutti gli atti criminali perpetrati da entrambi gli schieramenti. La settima tabula contiene un atto di disposizione testamentaria o codicillum recante le volontà di Tommaso da Giovagallo. Essa si riferisce ad un lascito te- stamentario da lui disposto, pro anima sua e della marchesa Orietta Malaspina, da eseguire dopo la sua morte, sotto la vigilanza della Marchesa Alagia Malaspina Fieschi e di quattro frati minoriti del convento di San Francesco di Sarzana, tra i quali frate Guglielmo Malaspina.

Il primo restauro delle carte dantesche (1903-1905)

Presso l’Archivio di Stato della Spezia, nel Fondo Tribunale della Spezia, sono conservati tre pezzi archivistici, contenenti uno scambio epistolare tra due auto- rità (la prima amministrativa, la seconda giudiziaria) che ci proiettano agli inizi del secolo scorso quando si cominciò a considerare la necessità di un intervento conservativo delle carte (6). Il primo pezzo è dattiloscritto e gli altri due mano- scritti.

(6) ASSp, Fondo Tribunale della Spezia, busta 73. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 44

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Essi fanno luce sui rapporti tra le autorità dell’epoca, coinvolte nella que- stione del restauro o, come affermato, della conservazione dei documenti dan- teschi, redatti dal notaio sarzanese Giovanni di Parente di Stupio, contenenti l’at- testazione della presenza attiva di Dante in Lunigiana agli inizi del 1300. I protagonisti erano a livello nazionale il Ministero di Grazia e Giustizia ed il Ministero della Pubblica Istruzione, mentre, a livello periferico, il Collegio del Di- stretto Notarile di Sarzana (ove erano custoditi gli atti suindicati) e la Procura del Re presso la Corte d’Appello di Genova. Tali documenti chiariscono la fase istruttoria che precedette il restauro de- gli antichi instrumenta danteschi, abbracciando un arco di tempo che va dal set- tembre 1903 al dicembre 1905. Fu un tempo necessario per portare a termine un’im- portante operazione che aveva come scopo ultimo, a nostro avviso, la preparazione della Celebrazione del “Sesto Centenario della Venuta di Dante in Lunigiana”, even- to culturale che si realizzò con successo nel 1906, ampliamente riportato dalle cro- nache e dalle immagini fotografiche del tempo. Il primo documento, costituito da due facciate, proviene dalla Procura Ge- nerale presso la Corte d’Appello di Genova ed è indirizzato all’Archivio Notarile di Sarzana. Vista la delibera ministeriale (scilicet del Ministero di Grazia e Giustizia), comunicata per tramite del Consiglio Notarile di Sarzana il 25 settembre 1903, si richiedeva (in data 20 dicembre 1903) alla Procura del Re, competente per terri- torio, il restauro dei suddetti documenti, proponendo a questa il necessario fi- nanziamento dell’opera. Il Procuratore del Re presso la Corte d’Appello di Genova, in risposta a tale ri- chiesta, il 23.04.1904 dichiarava all’Ufficio del Collegio Notarile del Distretto di Sarzana che il Superiore Ministero aveva dato il parere favorevole all’intervento, coinvolgendo nell’impegno finanziario il Ministero dell’Istruzione ed ottenendo da quest’ultimo la promessa di un contributo straordinario di lire 100 per il detto restauro. Il Procuratore genovese assicurava che la somma di lire 239,70 prevista per i lavori di restauro (compresa la preliminare perizia tecnica) doveva essere «pre- levata dai sopravanzi in genere, dell’archivio anzidetto», a copertura «dell’appo- sito capitolo straordinario del bilancio ‘Uscite’ dell’archivio stesso, per l’esercizio in corso». Concludeva chiedendo di essere informato «sui lavori anzidetti» per poter richiedere, alla loro conclusione, il contributo del Ministero della P. Istru- zione. Il secondo documento proviene dall’Ufficio del Consiglio Notarile di Sarzana, scritto dalla mano del Presidente stesso del Consiglio Notarile, è indirizzato al Procuratore del Re della Corte d’Appello di Genova, con la richiesta di un’auto- rizzazione da parte di quest’ultimo. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 45

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 45 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Esso è formato, a sua volta, da due parti: la prima, in tre facciate, riepiloga le fasi del lavoro di conservazione degli atti danteschi, in ordine cronologico, e le problematiche incontrate; la seconda, in quattro facciate, riguarda il verbale del- l’Adunanza del Consiglio stesso con il riepilogo del precedente contenuto, oltre al verbale dell’approvazione del bilancio preventivo dell’Archivio Notarile. Il documento, che contiene una breve descrizione dei fatti, è steso con un cer- to impegno narrativo, quindi risulta interessante e piacevole alla lettura: una descrizione minuziosa, in primo luogo, di come dovranno essere eseguiti i lavo- ri: « …dovranno consistere, secondo il consiglio avuto dalle persone più com- petenti, nella costruzione di un armadio e di parecchie cornici a doppio vetro in cui alloggiare i documenti e nella copertura e rinforzo mediante carta crepeline dei fogli del detto minutario.» In secondo luogo descrive ciò che fu effettivamente compiuto: «Si diede per- tanto mano alla costruzione dell’ armadio e delle cornici, la quale fu compiuta con- venientemente dall’artefice del luogo signor Pellegro Marchi secondo il disegno e il preventivo approvato.» Tuttavia, giunti alla fase della ricopertura dei fogli stessi, con la suindicata car- ta (utilizzata allora per il rammendo o restauro), si mutò convincimento sul da far- si. Infatti prosegue il racconto: «Anche se si era stabilito che il Conservatore del- l’Archivio, Teodoro Navarrini, si fosse recato a Firenze coi documenti Danteschi, e lì, sotto la sua sorveglianza e col consiglio delle persone competenti che si tro- vano nelle Regie Biblioteche, avesse dovuto far eseguire il lavoro, egli ha affac- ciato il dubbio che il trasporto, il maneggiamento necessario possa recare dan- no ai documenti già abbastanza offesi dal tempo e dall’uso.» Il dubbio sollevato dal Conservatore del Consiglio Notarile fu presto condi- viso, oltre che dall’autore dello scritto in esame, da tutto il Consiglio, che optò per una diversa soluzione : « ... il lavoro si potrebbe eseguire egualmente bene, e senza sortire dai limiti della spesa, già altrimenti assegnata, facendo venire sul luo- go a Sarzana dalla città di Firenze un artefice legatore capace ed esperto, il quale …. compisse l’opera …. un certo Tartaglia.» Il 13 gennaio 1903 il “Premiato Stabilimento di Legatoria di Libri Cesare Tar- taglia e Figlio” di Firenze, provvedeva ad inviare al Conservatore dell’Archivio No- tarile di Sarzana una richiesta di pagamento «..per compenso per l’applicazione di una reticella serica agli atti Danteschi, con le spese annesse e di due spazzole per la ripulitura degli atti, oltre alle spese di viaggio di andata e ritorno e soggior- no di due giornate a Sarzana. » L’ultimo pezzo, datato 13 dicembre 1905, venne inviato dal Consiglio Notari- le Distrettuale di Sarzana al Procuratore del Re; consisteva nella richiesta di inol- trare il sollecito di pagamento del contributo di lire cento promesso, al superio- re Ministero, « dopo la presente relazione sull’intera opera [di restauro] compiuta, dalla quale risulta la qualità, il modo dei lavori eseguiti, e le spese incontrate e già soddisfatte…., essendo da tempo ultimati convenientemente quei lavori.» Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 46

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Archivio di Stato ed Archivio Notarile: due istituzioni in decennale con- correnza per la detenzione delle carte antiche del notaio Giovanni di Parente di Stupio. La determinazione del “legittimo ufficio detentore” dei documenti del notaio sarzanese Giovanni di Parente di Stupio, lungi dall’apparire un vero “caso di conflitto” tra organi statali, rappresenta un esempio di aperta concorrenza che la semplice interpretazione delle leggi in materia non è riuscita per lungo tempo a risolvere. Dalla lettura della documentazione presente nell’archivio ammini- strativo dell’Archivio di Stato si può ricostruire un serrato confronto istituziona- le tra i due uffici. Senza mai assumere toni aspri, l’incertezza sull’attribuzione dei documenti notarili nei quali si trova protagonista Dante Alighieri, nel ruolo insolito di pro- curatore dei Marchesi Malaspina, e su cui si è concentrato l’interesse di molti stu- diosi da più di mezzo secolo, impegnò parallelamente due amministrazioni sta- tali in uno corposo scambio epistolare che, a dire il vero, non fu mai apertamente polemico. La questione, oltretutto, ebbe inizio casualmente con la costituzione e l’inse- diamento, nel 1956, della sede della Sezione d’Archivio di Stato spezzina, dive- nuta Archivio di Stato nel 1963. L’esame delle lettere presenti nel carteggio, ora in possesso dell’Archivio di Stato della Spezia, ci consente di ricostruire una breve cronistoria (7).

Richiesta dei documenti da parte della Sezione d’Archivio della Spezia. Nell’estate 1956, con lettera datata 1° agosto e recante la firma del Ministro dell’Interno, l’Ufficio Centrale degli Archivi di Stato, Direzione G.N. Civile, por- tava a conoscenza la Direzione Generale Affari Civili e Libere Professioni del Ministero di Grazia e Giustizia che avrebbe consentito il temporaneo deposito presso l’Archivio di Stato di Genova del cartulario notarile di Parente di Stupio, di pertinenza dell’Archivio di Stato della Spezia, ma non ancora versato mate- rialmente presso il predetto Archivio. Tale operazione poteva avvenire in base al disposto dell’art. 83 (8), precisan- do che la Sezione d’Archivio spezzina ne avrebbe curato l’inoltro all’Archivio di Stato di Genova, con le dovute cautele richieste dalla preziosità delle carte, al fine

(7) Per la parte antecedente al 1956 si rimanda al contributo di Eliana M. Vecchi in questi atti. (8) L’art. 83, ultimo comma del R.D. del 2 ottobre 1911, n. 1163, così recita: «In via eccezionale e dietro autorizzazione del Ministero dell’Interno, le varie direzioni possono comunicarsi tempo- raneamente documenti esistenti nei rispettivi archivi per darne visione ai privati a solo scopo let- terario e scientifico». Fino all’entrata in vigore della legge istitutiva del Ministero dei Beni cultura- li ed ambientali (n.° 5 del 29.04.1975), gli Archivi di Stato dipendevano dal Ministero dell’Interno. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 47

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 47 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

di consentirne, in quella sede, lo studio. La medesima comunicazione veniva re- capitata, per conoscenza, ai direttori della Sezione d’Archivio della Spezia, del- l’Archivio di Stato di Genova, nonché a quello dell’Istituto di Studi Medievali del- l’Università di Genova. Dopo tale “pronunciamento chiarificatore” da parte del Ministero dell’Inter- no, la Direzione Generale Affari Civili e Libere Professioni del Ministero di Grazia e Giustizia, con nota 242/2826 del 10/09/1956, ordinava al subordinato (gerarchi- camente) Archivio Notarile della Spezia di consegnare i documenti notarili in oggetto, affinché il prof. Venturi, direttore dell’Istituto di Storia Medievale del- l’Università di Genova, potesse procedere all’approfondito di tali carte e alla tra- scrizione del testo.

Consegna dei documenti alla Sezione d’Archivio della Spezia.

Come risulta dal verbale di consegna, datato 18 dicembre 1956, il rilascio della documentazione suddetta avvenne, accompagnato da ogni elemento di uf- ficialità, presso l’Archivio Notarile Distrettuale alla Spezia. Erano presenti: il dott. A. Aiello, conservatore dell’Archivio Distrettuale del- la Spezia, ed il dott. G. Arsento, direttore dell’Archivio di Stato di Massa-Carrara, in qualità di direttore reggente della Sezione di Stato della Spezia. Non mancò la presentazione dell’elenco dei singoli documenti: un cartolare notarile, mutilo di alcuni fogli e reso in parte illeggibile dall’ingiuria del tempo, contenente atti rogati tra il 1293 e il 1294 dal notaio Parente di Stupio (alcuni vergati in un momento successivo dal di lui figlio Giovanni che gli successe nella professione); una documentazione successiva (1306), contenente l’atto di procu- ra a Dante, l’instrumentum pacis col vescovo di Luni, gli atti di remissione e perdono da parte del vescovo nei confronti degli amici e seguaci dei Malaspina e, per ultimo, il codicillo sottoscritto da Tommaso di Giovagallo riguardante un tributo in denaro alla marchesa Alasia Malaspina Fieschi. Il dott. Arsento, nel prendere in consegna gli elencati documenti, assicurava l’assoluta salvaguardia delle carte e soprattutto la loro restituzione «non appena i lavori di trascrizione dei medesimi si sarebbero conclusi».

La richiesta di restituzione da parte dell’Archivio Notarile Distrettuale del- la Spezia.

Trascorsi circa due anni e mezzo da quando i documenti erano stati inviati a Genova, il 24. 04.1959 il Conservatore dell’Archivio Notarile Distrettuale spezzino, dott. Mario Demaldé, inviava la richiesta di restituzione alla direzione dell’Archi- vio di Stato di Genova, pretendendo che la riconsegna avvenisse alla Spezia, ed in- dicando, come luogo, la sede dell’Archivio Notarile. Richiedeva, altresì, la data esat- ta della consegna, vista la necessità di tenere informato il superiore Ministero. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 48

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Dopo alcuni giorni anche la Direttrice reggente dell’Archivio di Stato della Spe- zia, dott.ssa Maria Gualdì, agiva con lo stesso intento, inviando una lettera al- l’Archivio di Stato di Genova (9) e motivando la sua richiesta con la considera- zione che «alcuni studiosi spezzini ne avevano fatto sovente richiesta». Quest’ultima circostanza ci induce a credere che la questione non fosse sol- tanto di ordine burocratico, ma che assumesse contorni più ampi, coinvolgendo interessi che andavano oltre i singoli ruoli istituzionali.

La riconsegna dei documenti all’Archivio Notarile Distrettuale della Spezia.

Come si ritrova nel verbale (10) presente in archivio, i dottori Giorgio Costa- magna e Giuseppe Arsento, il 30.05.1959, si presentavano presso la sede della Sezione d’Archivio di Stato ed affidavano alla collega direttrice, dott.ssa Maria Guardì, i documenti redatti dal notaio Giovanni di Parente di Stupio, racchiusi nel- le loro cornici munite di vetro, incaricandola di passare il materiale all’Archivio Notarile Distrettuale della città (fig. 4).

Fig. 4 - Una delle cornici a vetro e le teche che le racchiudevano, approntate per l’esposizione de- gli instrumenta nei primi anni del XX secolo.

(9) ASSP, Carteggio amministrativo, lettera del 4.05.1959, prot. 795/VIII. (10) ASSP, Carteggio amministrativo, verbale di riconsegna del 30.05.1059, prot. 866/VIII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 49

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 49 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Di quest’ultima restituzione non vi è traccia, ma la si può desumere dal teno- re delle lettere successive tra le due Istituzioni spezzine (anche, a dire il vero, a li- vello di uffici centrali). Per entrare meglio nella questione e cercare d’indagare sulle ragioni che portarono, da lì a poco, ad un cambiamento di posizione istituzionale, occorre in- nanzitutto precisare che la normativa archivistica subì una radicale modifica con l’introduzione del D.P.R. del 30 settembre 1963 n. 1409, anche se riteniamo che al- tre ragioni, non ufficiali, predisposero al cambiamento di pensiero delle persone che erano immedesimate in un ruolo pubblico. Ricordiamo che la citata normativa del 1963, considerata legge cardine del- l’Organizzazione degli Archivi di Stato, portò anche alla creazione di Archivi di Stato in ogni capoluogo di provincia, compresa La Spezia. Soffermandoci, in particolare, sulla materia della “Conservazione degli Archivi e dei Documenti” l’articolo 23 al titolo III, comma I°, così recita: «Gli archivi no- tarili sono tenuti a versare gli atti notarili ricevuti dai notai che cessarono dall’e- sercizio della professione anteriormente all’ultimo centennio.» Da ciò si ricava che spetta agli archivi notarili curare la conservazione degli atti dei notai cessati o defunti per un periodo di 100 anni e, dopo tale periodo, ver- sare gli stessi all’Archivio di Stato competente territorialmente. Viene, quindi, escluso che possano tenersi in custodia archivi storici da par- te sia dell’Archivio notarile, sia di ogni altro Ufficio Statale. Il principio del ruolo fondamentale ed unico degli Archivi di Stato è stato confermato, senza ombra di dubbio, dalle normative successive in materia, ed in particolare, dall’art. 41 comma 2 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, definito “Il Codice dei Beni Culturali”. Tornando alla questione in oggetto, appare singolare che l’incertezza relati- va a chi spettasse tale documentazione si sia protratta per diversi decenni. Soltanto il 15 luglio 1996, l’Ufficio centrale per i Beni Archivistici del Mini- stero per i Beni Culturali ed Ambientali, con nota n. 2.407/8901.16, riaprì la que- stione. Si richiedeva agli Archivi di Stato italiani di operare una ricognizione dei versamenti della documentazione proveniente dagli Archivi Notarili Manda- mentali (11) e dagli Archivi Comunali soppressi (12).

(11) Questi erano dipendenti dai Comuni e non rientranti nell’amministrazione di quelli stata- li: soppressi anch’essi, la documentazione più antica è stata destinata, in virtù dell’art.1 della Legge 723 del 1961, agli Archivi di Stato, mentre quella recente agli Archivi Notarili distrettuali. (12) L’aggettivo comunale si riferisce all’ambito territoriale e non ad un rapporto di dipenden- za gerarchica dai comuni. L’art. 58 della stessa norma stabiliva che gli Archivi Notarili Comunali do- vessero cessare la loro attività e tutti gli atti essere versati agli Archivi di Stato competenti per ter- ritorio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 50

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A seguito di tale ricognizione, si poneva in evidenza il mancato versamento dei documenti danteschi e la necessità di provvedervi quanto prima. D’altra parte anche l’Ufficio Centrale del suindicato Ministero, con nota del 14 luglio 1997, ingiungeva al Direttore dell’Archivio Notarile Distrettuale della Spe- zia di versare al locale Archivio di Stato i documenti in oggetto, in osservanza del D.P.R. 1409 del 30 settembre 1963. Il Conservatore dell’Archivio Notarile Distrettuale, sul presupposto di una in- terpretazione divergente, con nota del 4 novembre 1997, rispondeva all’Ufficio Centrale dei Beni Archivistici del M.i.B.A.C. che, a norma del già citato D.P.R., l’ob- bligo di versamento all’Archivio di Stato riguardasse letteralmente solo gli atti «dei notai che cessarono l’esercizio professionale anteriormente all’ultimo centennio» e non altro materiale documentario, qualificabile come “beni di particolare pre- gio”, che era regolarmente inventariato come proprietà dell’Archivio notarile. Ad avvalorare tale ipotesi interpretativa il Conservatore adduceva che il supe- riore Ministero di Grazia e Giustizia, con nota del 22 di ottobre (foglio 5315), non aveva autorizzato il trasferimento all’Archivio di Stato dei “beni indicati in oggetto”. Il 15 dicembre 1997, tuttavia, l’Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, con un cambio di strategia nella conduzione dell’affaire, pur di arrivare ad una solu- zione positiva del problema, comunicava (con nota 8901.29.2) al Direttore del- l’Archivio di Stato della Spezia che, constatato l’atteggiamento contrario mani- festato dall’Archivio Notarile Distrettuale e, per esso, dal superiore Ministero di Grazia e Giustizia, a versare l’antica documentazione notarile, si stabiliva la con- vocazione straordinaria di una Commissione di Sorveglianza per indurre la con- troparte ad un definitivo chiarimento in merito alla questione. Inoltre, in data 22 febbraio 1999 con nota n. prot. 3.838 si ordinava al diretto- re dell’Archivio di Stato della Spezia di procedere ad “una valutazione tecnico- economica sul materiale di particolare pregio” conservato in quell’Istituto, per sollecitazione dello stesso conservatore dell’Archivio Notarile della Spezia. Con lettera di risposta del 12 marzo 1999, prot. n.469, la Direttrice dell’Archi- vio di Stato della Spezia, dott. Maria Trapani, dava assicurazioni che avrebbe pro- ceduto secondo le direttive impartite. Nel 2004 avvenne la svolta che ha mutato l’atteggiamento dell’amministra- zione facente capo al Ministero della Giustizia: da ferma indisponibilità a colla- borazione partecipe. Si ritiene che la nuova normativa introdotta con il Codice per Beni Culturali abbia dissipato ogni residuo dubbio interpretativo. In data 17 giugno 2004, il direttore generale dell’Ufficio Centrale degli Archi- vi Notarili del Ministero della Giustizia ordinava al Conservatore dell’Archivio No- tarile Distrettuale della Spezia di procedere al versamento dei documenti indi- cati, derubricandoli dall’inventario dell’Istituto, «in ottemperanza al dettato del d. legislativo n. 41 del 2004 (Codice dei Beni Culturali), per consentire una cor- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 51

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 51 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

retta conservazione ed una maggiore fruibilità degli stessi, in considerazione del loro valore culturale». Si trattava, per il momento, solo dei pezzi archivistici sto- rici provenienti dai due cartulari. Con lettera del 29.6.2004 la direttrice dell’ Archivio Notarile Distrettuale del- la Spezia, dichiarava la disponibilità alla consegna degli atti. In data 22 novembre 2004, il direttore dell’Archivio di Stato della Spezia, con nota protocollata n.1868, si dichiarava pronto e disponibile al ricevimento, anche entro l’anno in corso, di quel materiale archivistico antico che era già stato «sot- toposto a notifica», e che tale disponibilità a ricevere comprendeva anche il ma- teriale antico al momento sottoposto al restauro presso l’Istituto Centrale per il Restauro del Libro in Roma (appena completate le necessarie operazioni di re- stauro) (13). Il 20 gennaio 2005 alle ore 11, presso l’Archivio Notarile Distrettuale della Spe- zia il Conservatore dell’Istituto, avv. Giovanna Quilici, consegnava nelle mani del direttore dell’Archivio di Stato, sig. Graziano Tonelli, le sette tabulae notarili del notaio Giovanni Parente di Stupio.

EVOLUZIONE DEL DOCUMENTO NOTARILE

Per una maggiore comprensione della natura giuridica dei documenti dante- schi e del ruolo del notariato nel Medioevo si ritiene opportuno inserire una bre- ve sintesi sull’evoluzione del documento medievale (14). L’importanza di conservare gli atti rogati dai notai era già stata avvertita nel- l’antichità. A Roma, l’uso di documentare i negozi giuridici andò generalizzandosi verso la fine dell’età repubblicana, ma l’importanza dell’atto scritto era praticamente minima, non servendo esso che per facilitare la prova ed aiutare la memoria dei testimoni, sia che venisse redatto da scrivani al servizio dei privati (notarii), pra- tici nell’uso di note tachigrafiche e paragonabili a una sorta di moderni stenogra- fi, che da scrittori di professione: stationarii o forenses, e più tardi, tabelliones.

(13) Nella fattispecie il cartulare di Parente di Stupio per il cui restauro cfr. i diversi saggi di AA. VV., Il registro notarile di Parente di Stupio, in Libri e carte. Restauri e analisi diagnostiche, a cura di R. CARRARINI, C. CASETTI BRACH, Quaderni I, Istituto Centrale per la Patologia del libro, Roma 2006, pp. 15-58. (14) Per la principale bibliografia sull’argomento si rimanda a: C. PAOLI, Diplomatica, rist. Fi- renze 1942; F. VALENTI, Il documento medievale, 1961; G. CENCETTI, Dal tabellione romano al notaio medievale, in Il notariato veronese attraverso i secoli. Catalogo della mostra in Castel- vecchio, Verona 1966, pp. XIX-XXIX; G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano, L’Alto me- dioevo, Roma 1975; A. PETRUCCI, Studi di storia medievale e diplomatica, Milano 1978; A. PRATE- SI, Genesi e forma del documento medievale, Roma 1979; E. FALCONI, Lineamenti di diplomatica notarile e tabellionale, Parma 1983. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 52

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Quest’ultima categoria di pubblici redattori “teneva studio” presso il Foro cit- tadino (da cui anche l’altra denominazione di forenses) al tempo dell’imperatore Giustiniano, ed era autorizzata ad esercitare la pubblica professione in virtù di una concessione (auctoritas) sotto lo stretto controllo di pubbliche autorità, ma continuò a rimanere estranea all’attività di redazione di documenti per conto dei privati. Ai tabelliones venne affidato il compito della conservazione degli atti, della stesura sia dei documenti pubblici (instrumenta publice confecta) sia di quelli concernenti i diritti dei privati. Tutto ciò si può ricavare dalla descrizione che ci viene tramandata dal giureconsulto Ulpiano (15), il quale puntualizzava: «pubbli- cum ius est quod ad statum rei romanae spectat, privatum quod ad singulorum uti- litatem» e, relativamente alla competenza dei notai, così puntualizzava: «instru- menta formare, libellos concipere, testationes consignare, testamenta ordinare vel scribere et signare», attribuendo a costoro la capacità di conferire “piena fede”, efficacia e validità limitatamente all’ambito delle prove cosiddette giuridicamen- te rilevanti. Anche i romani, grazie all’influenza ellenistica, adottarono il documento au- tentico e poiché tale autenticità non poteva avere altro presupposto che il pub- blico potere, la si raggiunse attraverso il riconoscimento ad amministrazioni cen- trali e locali dello ius gestorum, cioè della facoltà di accogliere (con una insinuatio, allegatio) nei propri registri (acta o gesta) i contratti dei privati ad opera di un can- celliere (exceptor) e di rilasciarne copie ufficiali, rivestite di forma pubblica. Sotto l’aspetto squisitamente tecnico-formale, la Costituzione di Giustiniano impose l’uso del foglio di papiro («quod vocatur protocollum») recante nella par- te iniziale il nome del compilatore, «comes sacrarum largitionum», e la data di fabbricazione. Inoltre nei contratti in cui la forma scritta era richiesta ad sub- stantiam per la validità dell’atto, era necessario che si pervenisse alla redazione del documento definito in ogni suo aspetto, cioè dell’istrumentum in mundo, re- datto in pulchra charta e quindi traditum partibus contrahentibus, affinché po- tesse sorgere l’obbligazione tra due parti, non ritenendo sufficiente redigere la semplice minuta del documento o scheda. Con le successive disposizioni di Giustiniano (anni 528, 536, 538), relative al- l’attività dei tabelliones, si concesse loro di redigere, oltre che documenti “tabel- lionati”o instrumenta publice confecta, anche documenti “non tabellionati”, cioè instrumenta privata, ma simili, nella forma, ai documenti pubblici. Così, col tempo, i pubblici tabelliones ed i notarii, professionisti che redige- vano documenti nell’interesse privato, finirono per riunirsi e per confondere le

(15) Ulpiano Domizio (nato a Tiro circa il 170 e morto a Roma nel 228 d. C.) fu esponente dei giu- risti compilatori, cui si deve la sistemazione delle opere dei giuristi dell’età classica e la loro esposi- zione in manuali didattici. Circa un terzo dei materiali inclusi nel Digesto proviene dai suoi scritti. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 53

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 53 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

loro rispettive attribuzioni. Le cose andarono diversamente nel Medioevo, infatti, dopo la caduta dell’Im- pero Romano d’Occidente, nella penisola italiana convissero due realtà politiche e giuridiche: una parte conquistata dai Longobardi dal 568, l’altra rimasta più a lun- go sotto la dominazione bizantina: l’Esarcato, corrispondente all’odierna Roma- gna, la Pentapoli, ducato romano coincidente con le odierne Marche ed altri ducati del meridione italiano e la Maritima Italorum, comprendente la riviera ligure. Dove regnavano i Longobardi le modalità di produzione e di “tradizione” dei documenti redatti dai notai per i privati non richiesero più le formalità previste nei territori sottoposti a Costantinopoli, neanche per la redazione dei documen- ti più importanti. Nonostante le differenziazioni accennate e pur tenendo in conto alcune for- me di “particolarismo” presenti in alcune zone ristrette, la figura ed il ruolo del no- taio apparivano similari in entrambi i territori. La situazione mutò significativa- mente solo dopo la sconfitta dei Longobardi. I notarii o cancellarii, sotto l’impero di Carlo Magno, esercitarono la loro competenza all’interno di ogni contea. Con la riforma del 781, Carlo Magno deci- se di porre sullo stesso piano le figure dei notai comitali e dei giudici. Nell’803, a conferma della volontà dell’Imperatore franco di mantenere il con- trollo di tale categoria in tutti i territori dell’impero per mezzo dei notai comitali o di quelli vescovili o dei cancellieri dei “tribunali dei placiti” (16), si stabilì che missi imperiali nominassero direttamente, nei luoghi dove venivano inviati, gli scabini, gli avvocati ed i notai. I “conti palatini”, quindi, concedevano nei territo- ri dell’Impero il diritto ai notai di esercitare la loro professione. Così il notaio, per poter dimostrare il possesso della cosiddetta manus o fi- des publica, esercitò la sua professione grazie all’investitura imperiale: impe- riali auctoritate notarius o diversamente per investitura papale: Apostolicae se- dis notarius e, solo successivamente, per conto del Comune: communis... auctoritate notarius. Ai notai s’impose, peraltro, l’obbligo di utilizzare particolari segni grafici e for- mule ben precise che, da un lato, testimoniassero il legame con l’autorità pubbli- ca da cui traevano legittimità e, dall’altro, comprovassero l’esatta corrisponden- za di quanto riportato sull’atto con la volontà delle parti (di cui parleremo). Ancora per due secoli, IX e X, non si registrarono cambiamenti significativi ri- guardo al ruolo dei notai e cancellieri ma, a partire dall’XI secolo si espresse la vo- lontà di concedere maggiore autonomia alla professione notarile. Erano matura- te, specificatamente nei territori italiani, condizioni favorevoli per lo sviluppo

(16) Assemblee convocate dal re o dai conti con funzioni giurisdizionali, alla stregua di corti giudicanti. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 54

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spontaneo dell’attività notarile. Presto i notai furono in grado di produrre docu- menti giuridicamente validi nei rapporti giuridici tra le parti private, oltre che a fornire un importante mezzo di prova in un giudizio. Lo sviluppo complessivo del- la società che si riscontra già a partire dai secoli successivi all’“anno mille”, ri- chiese sempre più l’opera dei notai, i quali guadagnarono maggiori spazi di auto- nomia, svincolandosi dai legami dell’oppressiva organizzazione feudale. Gli assetti politici che si andavano delineando permisero la nascita di nuove realtà sociali, forme di associazione e di governo che assunsero la caratteristica di stabili isti- tuzioni comunali, come a Genova, Firenze, Bologna, Venezia ecc... Nel XII secolo le autorità comunali si sentirono forti abbastanza, rispetto al potere imperiale, per avanzare la richiesta di poter porre sotto il loro controllo l’attività notarile, visti i delicati equilibri e gli ingenti interessi che li coinvolgeva- no. In alcune realtà, la funzione di controllo dell’attività dei notai poté essere de- legata dall’Impero alle autorità comunali consentendo di disporre direttamente la nomina. A Genova, ad esempio, fu data la concessione con la formula: “dona- mus et concedimus liberam potestatem consulibus vel potestati Janue facendi notarios” (17).

Documenti notarili di natura pubblica

Oggi possiamo affermare che il documento pubblico è quello che viene emes- so da una pubblica autorità, in forma tale che i mezzi di autentificazione proma- nano dall’ autorità stessa che compie l’atto documentato. Il documento privato, invece, è quello con cui l’autore dell’azione o della do- cumentazione, da privato cittadino, necessita di cercare i mezzi di autentificazione al di fuori della propria persona o della cerchia della propria autorità. Nell’Italia dei liberi Comuni, ove mancava una grande struttura di produzio- ne normativa e amministrativa, quale quella costituita dalla burocrazia imperia- le germanica o da quella papale, si rivelò utile che venissero “stesi a ministero di notaio” anche i documenti e gli atti più importanti di una comunità, così come av- verrà più avanti nel tempo, nei nascenti potentati feudali e nelle prime signorie. Per dare valore giuridico agli atti di volontà dei privati era necessario che tali atti o provenissero da una cancelleria detentrice di sovrana potestà (dall’au- torità imperiale o papale) oppure ci si rivolgesse alla manus publica di chi go- deva della fiducia delle autorità. Gli atti dei notai rivestivano, in tale contesto, un valore “intrinsecamente statale” nonostante che, quando ci riferiamo al con- cetto di Stato, dobbiamo tener presente che nel Medio Evo l’accezione non fos- se univocamente definita.

(17) Per il notariato a Genova si rimanda ai fondamentali studi di Costamagna, in particolare G. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma 1970. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 55

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 55 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Ma altri aspetti, in questa sede, meritano di essere valutati. Se la categoria dei documenti notarili, in gran parte, è ed è stata di natura privatistica, in età medie- vale una parte di essi assunse i connotati propri di atti di diritto pubblico, spesso accompagnata da una precisa rilevanza politica. Ci riferiamo a quei documenti come gli statuti, le delibere di organi comuna- li, gli atti di dedizione, le sentenze, le investiture, le nomine, le credenziali, i trat- tati tra Comuni con Signorie, Principati, Stati Sovrani. Il notaio, quindi, in tale periodo si ritrovò a ricoprire una veste prevalente- mente pubblica e a far parte di una vera e propria struttura di tipo burocratico (come in età romano-imperiale) alla stregua di un cancelliere, segretario o uffi- ciale di vario grado ed appellativo, o come redattore di documenti di contenuto non solo giudiziario, ma anche normativo, politico e amministrativo. Ciò è dimostrato dal fatto che i Comuni, sia pur per brevi periodi, fecero ri- corso sistematico ai notai (impegnati nel contempo nell’attività con i privati), allo scopo di dare assicurazione dell’adempimento dei compiti pubblici assunti e del- la validità e dell’efficacia delle loro scritture all’intera comunità che erano stati chiamati a rappresentare. Proprio tra il XII e XIV secolo, la classe politicamente emergente insediata al potere, ogni qual volta non riusciva a fornire la necessaria autorevolezza ai pro- pri atti di governo, si rivolgeva alla categoria dei notai per autenticare gli atti che, in tal modo, acquistavano la necessaria credibilità. Si comprende allora perché, nell’Italia comunale, la figura del notaio occupò l’ambito degli uffici e delle istituzioni, riuscendo a consolidare, da un lato, il pro- prio prestigio nella vita cittadina ma anche ad ambire direttamente, in alcuni casi, alle leve del potere locale (come ad esempio fece a Bologna il personaggio Ro- landino) (18). In tale contesto nuovo ed articolato il ruolo dei notai rimarrà centrale fino al suo inserimento nelle successive istituzioni dell’età signorile. Ricordiamo, a tal proposito, i notai del podestà, i notai del “Consiglio”, i notai giudiziari e quelli degli uffici finanziari.

Il notariato nell’Italia meridionale

Ben altra caratterizzazione assunse il notariato dell’Italia meridionale e, in par- ticolare, quello del regno normanno-svevo (19).

(18) Si rimanda ai diversi saggi in G. TAMBA (a cura di), Rolandino e l’ars notaria da Bologna al- l’Europa, Atti del convegno internazionale di studi storici sulla figura e l’opera di Rolandino (Bo- logna 2000), Bologna 2002. (19) AA. VV., Per una storia del notariato meridionale, Studi storici sul notariato italiano, VI, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 56

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Federico II, nel perseguire la sua azione di governo, scelse di sopprimere i cen- tri di potere rappresentati dalle curie notarili di Napoli ed Amalfi e di altri centri del suo regno, delegittimando le curie e privando di valore giuridico quei documenti stilati giusto attraverso l’uso di formulari, o vergati dalle associazioni notarili. Una scelta, quest’ultima che, contrariamente a quanto avveniva nei Comuni del nord Italia, pose un freno allo sviluppo del notariato, alla diffusione dei do- cumenti da questi redatti, ed alle ambizioni dell’intera categoria dei notai. Per volontà del sovrano nel Regno meridionale, di fatto, il notariato venne co- stretto a rimanere a ridosso del potere giudiziario e della cancelleria sovrana, a causa del carattere fortemente accentratore della politica federiciana manifesta- ta nel campo politico-amministrativo dello Stato meridionale. Emblematica ci ap- pare, a tal proposito, la vicenda drammatica di un importante personaggio quale Pier delle Vigne! (20).

La ripartizione del documento ufficiale

Si ricorda brevemente che in Italia, nel secolo XI, si stava sviluppando la let- teratura delle artes dictaminis, ovvero l’insegnamento del metodo di redigere i documenti sia pubblici che privati. I maestri di tale disciplina, già insegnata nelle scuole ecclesiastiche dell’alto medioevo, si spingevano verso l’elaborazione di nuovi metodi di compilazione del documento, abbandonando la pura imitazione di modelli già utilizzati che aveva caratterizzato in precedenza la loro attività professionale, determinati a creare veri e propri trattati di carattere sia dottrinale che pratico. Gli insegnamenti di grammatica, retorica, stilistica, del diritto confluirono nei manuali di “arte del dettare” con l’enucleazione di precise regole e teorie sul cursus dei documenti, comprendendo quelli di natura privata. Più che dei caratteri di un “documento-tipo” da ricercarsi a tutti i costi, questi paradigmi formali rappresentavano dei “pilastri” attorno ai quali era possibile de- finire i canoni del documento privato, sulla falsariga delle ripartizioni del documento pubblico, pur nella consapevolezza del limite di poca adattabilità di questa tipolo- gia documentale alle forme di schematizzazione caratteristiche di quest’ultimo.

Roma 1982; P. CORDASCO, Il notariato in età normanno-sveva: alcune osservazioni, in Mezzogior- no- Federico II- Mezzogiorno, Atti del Convegno internazionale di studio (ottobre 1994), Roma 1999, pp. 99-118. (20) Pier delle Vigne (1190-1249), poeta ed epistolografo, fu protonotaro, alto cancelliere e se- gretario presso la corte siciliana dell’imperatore Federico II di Svevia. Egli, per motivi non chiari- ti, cadde in disgrazia e venne destituito, poi arrestato ed accecato per volontà dell’imperatore stesso, morendo, forse, suicida. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 57

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 57 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Per la redazione del documento privato si cominciò a seguire un modello, di- stinguendolo in tre parti essenziali: protocollo, mesocollo (o meglio testo), esca- tocollo (ovvero parte iniziale, centrale e finale). Per similitudine potremmo definire il protocollo e l’escatocollo come la cor- nice del documento, mentre il testo rappresenterebbe il quadro. Ognuna di queste parti dà luogo ad un’ulteriore suddivisione in “formule”, al- cune delle quali, come il dispositivo, non potevano mai mancare in un documento. Il protocollo, che nella legislazione giustinianea indicava una particolare inte- stazione apposta d’ufficio sulla carta dei tabelliones, comprendeva: l’invocatio (in- vocazione alla divinità), l’intitulatio (indicazione dell’autore o intestazione), l’in- scriptio (indicazione del destinatario), conservatisi soprattutto nei documenti pubblici. Il testo era a sua volta formato dall’arenga o preambolo, dalla narratio (nar- razione di precedenti che hanno condotto all’atto), dalla promulgatio o notifica- zione, dalla dispositio (dispositivo), dalla sanctio o minatio (fissazione della pena per chi contravvenga al disposto dell’atto), dalla corroboratio o roboratio (an- nuncio dei mezzi di convalidazione). L’escatocollo, parte finale, comprendeva: la subscriptio (sottoscrizioni), la re- cognitio, la datatio, l’apprecatio (formula finale di augurio). Il documento privato, pur rispecchiando lo schema ora accennato, risultava meno articolato ed aveva, talvolta, a differenza del documento pubblico, la ten- denza a porre la datatio nel protocollo. Oggi, tale modello formale sia pur riadattato ed attualizzato, è riconoscibile nello schema della stesura di documenti di natura giuridica e amministrativa, tan- to pubblici che privati.

Il rinnovamento della ars notarile e i formulari

Ai notai, in particolare, si attribuì il ruolo di mediatori tra l’elaborazione com- piuta dalla Scuola di diritto e dalla dottrina giuridica e la società del tempo che, all’inizio del XII secolo, si accingeva ad abbandonare l’economia del feudo per tra- sferirsi nei grandi agglomerati urbani, per poter meglio concentrare e sviluppare le proprie attività, con importanti risultati positivi di cambiamento in termini eco- nomico-sociali. Se per un certo periodo gli strumenti giuridici, con cui i notai operarono, non sembravano distaccarsi dalle primitive formule ereditate dai loro predeces- sori, nuovi trattati di arte notarile, tra il XII ed il XIII secolo, s’affermarono arric- chendo i documenti sia di commenti e di “glosse”, che di apparati dottrinari ela- borati dai doctores legum e da quegli studiosi del “diritto giustinianeo” operanti presso le costituite Università degli Studi, finendo in tal modo con l’elevare a mag- giore lustro l’intera categoria dei notai, nel quadro del fenomeno complessivo di rinascita degli studi giuridici che, oltretutto, portò all’introduzione dell’insegna- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 58

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mento del notariato nelle Università degli Studi. Tra costoro ricordiamo Rolandino Passeggeri con la sua opera “Summa to- tius artis notari”, Ranieri da Perugia col “Liber formularius, Ars notari”, Sala- tiele con “Ars notarile”, Irnerio con “Formularium Tabellionum”. L’esistenza di formulari trova giustificazione nella circostanza che il conte- nuto dei documenti, un po’ per il formalismo caratteristico della prosa medieva- le e soprattutto per il fatto di riferirsi a situazioni giuridiche fisse e ricorrenti, ten- deva a svilupparsi secondo strutture tipiche che, una volta determinate, si ripetevano pressoché immutate in tutti i casi simili.

La struttura formale del documento notarile: cornice e quadro

Tutti i documenti medievali iniziavano con una invocazione alla divinità espres- sa o in forma simbolica (una croce o un chrismon) (21) o verbale (fig. 5), il cui

Fig. 5 - Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Malaspina, 1294 settembre 28, testamento del mar- chese Corrado Malaspina, protocollo (Autoriz. Minist.).

(21) Il chrismon è costituito dal monogramma formato sulla base della lettera C, iniziale di Christus, spesso intrecciata con la lettera I di Iesus. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 59

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 59 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

uso era, dai testi di ars notarile, considerato obbligatorio almeno per i documenti più solenni ed importanti (ma non era da ritenersi tuttavia una forma di publica- tio, di cui si parlerà). Dai trattati di arte notarile si evidenzia la fondamentale distinzione, presente nella redazione degli atti dei notai: le publicationes ed il negocii tenor. Infatti il documento notarile doveva contenere con precisione le coordinate di tempo e di luogo e i dati che permettessero la precisa individuazione dei sog- getti interessati alla stesura dell’atto, nonché i dati di riferimento dei testimoni e dell’estensore del documento. Le publicationes rivestivano grandissima importanza sotto l’aspetto formale, poiché con esse veniva esercitato indirettamente un controllo di legittimità del documento, allo scopo di valutare la sua autenticità. Esse erano così denominate in quanto apposte al documento da publica persona, cioè dal notaio nominato da pubblica autorità, per venire incontro alle esigenze di tutti i cittadini, per le finalità pertinenti alle autorità e per la tutela del diritto. Si accompagnavano indifferentemente a tutti i tipi di documenti notarili, oc- cupandone la parte iniziale e finale, dando certezza giuridica alle scritture con la conseguente attitudine a fornire prova sicura della validità del diritto contenuto nell’atto. Come numero erano in tutto sei: le prime tre facevano riferimento alla data- zione cronica, composta rispettivamente dall’anno, indizione (22), giorno del mese; la quarta era la datazione topica (il luogo ove avveniva l’incontro delle manife- stazioni di volontà dei contraenti traducendosi in un ordine impartito al notaio di scrivere il documento); la quinta era costituita dai testimoni (un minimo di due, indicati, come avveniva al tempo, con l’indicazione del nomen, o nome proprio, il prenomen, designante una relazione di parentela, oppure il cognomen o nome gentilizio, l’agnomen, derivante dall’ufficio ricoperto o dalla professione svolta, il nomen loci, che descriveva il luogo di provenienza); infine la sesta costituita dal nome del notaio. Quest’ultima, che conteneva la sottoscrizione del notaio esten- sore ed autore del documento, aveva il valore, più specificatamente, di completio ed era, a sua volta composta dal signum (fig. 6), simbolo grafico di ciascun no- taio elaborato all’inizio della carriera (che normalmente nel tempo non andava più sostituito) e dal nome e la qualifica di notarius, con l’indicazione dell’autorità che aveva attribuito tale qualifica (per esempio: Sacri Palatii notarius o, come già detto, communis Bononie auctoritate notarius). Quest’ultimo aspetto ben chiariva la provenienza del notaio e di conseguenza la sua credibilità.

(22) L’indizione è un sistema di computo, considerato di origine egiziana, calcolato sulla base di periodi di 15 anni. Esso venne utilizzato nel sistema di datazione occidentale dal tardo antico sino al XVIII secolo. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 60

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Fig. 6 - Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Malaspina, 1282 ottobre 21, testamento del mar- chese Manfredi Malaspina, escatocollo con completio notarile (Autoriz. Minist.).

Il secondo degli elementi formali del documento notarile codificato nei trat- tati di arte notarile era costituito dal negotii tenor, che corrispondeva al conte- nuto del negozio, o contratto, posto nel documento, ed era rappresentato dal- l’articolata successione di contenuti negoziali per lo più strutturati come indicato precedentemente, affinché l’espressione delle manifestazioni di volontà, nei ne- cessari elementi di diritto e di fatto, risultasse ben calibrata. Già nel corso del XIII secolo vennero accolti da parte dei notai, per redigere i documenti, gli adattamenti e le integrazioni che il mutare delle norme di diritto positivo andava imponendo all’espressione della capacità negoziale dei singoli. La strutturazione formale del documento notarile, così come definita a par- tire dal XIII secolo, si sarebbe mantenuta fino ad arrivare ai giorni nostri. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 61

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 61 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

La chartula e il breve

Risulta utile, a questo punto, ricordare i principali tipi di atto notarile medie- vale secondo un ordine cronologico, in cui si riflette l’accresciuta fiducia da par- te delle autorità e delle persone comuni sulla capacità del notariato di attribuire legittimità e valore probatorio ai documenti, soffermandoci sull’evoluzione di alcune formule e pratiche documentarie dei notai. Nel tardo medioevo, nel campo del diritto privato, si possono individuare due diversi modi di documentare un negozio giuridico: il primo redatto in forma di- chiarativa, cioè in prima persona (anche se trascritto da uno scrivano), che veni- va chiamata charta, l’altro in forma di narrazione e quindi in terza persona, chia- mato notitia o breve. La chartula o charta, perché risultasse valida, richiedeva l’intervento attivo delle parti e dei testimoni e doveva essere accompagnata da una procedura rituale, la traditio, ritenuta essenziale per conferirle credibilità. Essa consisteva nel passaggio di mano della chartula stessa tra i soggetti interessati: l’autore (colui che compie l’azione giuridica), l’estensore del documento, il destinatario e i te- stimoni (roboratio testium), che con la loro presenza davano solennità alla vo- lontà negoziale espressa nell’atto. Col testo in formulazione soggettiva si voleva attribuire rigore all’osservanza delle varie fasi in cui l’atto si articolava. Il notaio completava il documento con la formula: “post roborata a testibus, tradita, vidi, complevi, dedi et absolvi”. Il breve, o notitia, dalle caratteristiche meno uniformi rispetto alla tipologia precedente, si differenziava dalla charta in quanto non necessariamente redatto dalla mano di un notaio ed era destinato solamente a fornire la prova di un rap- porto giuridico costituitosi autonomamente (non in un contesto formale come il primo) o anche in uno spazio temporale precedente ed a seguito di semplici di- chiarazioni delle parti. A partire dall’XI secolo si ebbe una progressiva contaminazione dei due tipi di documenti che persero i loro rilievi distintivi e si fusero insieme (23). Ci si avviava lentamente verso la creazione di un tipo di documento più ma- turo e completo nella sua espressione: l’instrumentum.

(23) Per un’analisi delle forme del documento cfr. S.P.P. SCALFATI, Charta, breve, instrumentum. Documenti privati e notariato nell’Italia medioevale, in El Notariado andalúz en el tránsito de la Edad Media a la Edad Moderna. Jornadas sobre el Notariado en Andalucía (23- 25 febrero 1994), ed. P. OSTOS SALCEDO, M. L. PARDO RODRÍGUEZ, Sevilla 1995, pp. 33-46. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 62

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L’instrumentum

L’instrumentum, oggi denominato rogito, rappresenta la più importante ca- tegoria di documento notarile che si andò perfezionando, all’incirca, nella seconda metà del XII secolo. Redatto sempre da un notaio doveva essere consegnato alle parti private per attestare e certificare la volontà negoziale trasfusa nel documento e le conseguenti modificazioni giuridiche intervenute nella sfera dei loro diritti. La consegna dell’originale ad una delle parti la investiva direttamente della re- sponsabilità della conservazione del documento, di ogni conseguenza derivante dalla perdita, sottrazione e smarrimento di esso, diversamente da quanto avviene ai giorni nostri (oggi l’originale viene conservato agli atti e si rilascia copia alle parti). La tipologia dei rogiti notarili è ben presente negli Archivi di Stato italiani, sia in supporto pergamenaceo sia cartaceo e il loro numero, fortunatamente, va ancor oggi accrescendosi con acquisizioni di archivi di famiglie o di enti o di altri soggetti (fig. 7). Nell’instrumentum, sotto l’aspetto formale, si può scorgere l’intero percor- so evolutivo del documento notarile espresso attraverso un linguaggio certamente codificato. Parallelamente esso fa affiorare l’evoluzione della società ed eviden- zia il maggior prestigio via via assunto dalla professione notarile. Sotto l’aspetto del contenuto, esprime una grande varietà di tipologie di atti negoziali, divenendo una sicura testimonianza della “volontà dispositiva” delle parti e delle loro capacità relazionali e giuridiche, nel corso di numerosi secoli. L’instrumentum, di cui il soggetto privato era entrato in possesso, rappre- sentava il mezzo più sicuro ed efficace per garantire i propri interessi e tale da po- ter essere validamente prodotto in giudizio a difesa dei diritti direttamente im- plicati nell’atto medesimo: il bene acquistato, il credito concesso, le transazioni effettuate, le volontà testamentarie. Tale documento, poi, consegnato alle parti ri- chiedenti, assolveva al compito di munimen, di baluardo non solo dei diritti delle parti richiedenti nei confronti dei terzi, ma anche dei subentrati nella tito- larità dei diritti in esso contenuti, sia inter vivos sia mortis causa, sia che fosse- ro acquirenti o eredi. In altri termini veniva assicurata la certezza del diritto, a tutela della parte de- tentrice del documento, ma veniva anche perseguita un’importantissima finalità collettiva riguardante l’intera comunità, con la garanzia del mantenimento degli equilibri economico-sociali esistenti nella società.

L’imbreviatura

In regime di instrumentum, cioè mentre tale tipologia documentaria costi- tuiva la forma più importante di documento notarile, si consolidò la pratica che bastasse compilare l’atto rappresentato dalla semplice annotazione del negozio Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 63

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 63 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Fig. 7 - Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Malaspina, 1221 agosto 24, divisione di beni fra Corrado e Opizzino Malaspina (Autoriz. Minist.).

giuridico fatta dal notaio nelle sue “schede” o nei suoi registri per porre in essere un nuovo rapporto giuridico. Ricordiamo che il notaio, già fra la fine dell’XI ed il XII secolo, prendeva degli ap- punti su ciò che le parti manifestavano dinnanzi a lui ed è presumibile che egli, per proprio comodo, tra il momento in cui le parti private avevano manifestato la pro- pria volontà negoziale e la stesura definitiva, facesse trascorrere un certo lasso di tempo utile per completarlo in ogni sua parte e nel rispetto della forma prescritta. Dall’appunto, la cosiddetta sceda, nota, notula, dicta, rogatio, il notaio traeva gli elementi necessari per trascrivere il documento definitivo che, sia pur succin- tamente, avrebbe contenuto tutti i dati utili per ricostruire la volontà negoziale ma- nifestata dalle parti. Queste, una volta manifestata la loro volontà dinanzi al notaio, si accontentavano di una trascrizione dell’accordo in forma semplificata, astenen- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 64

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dosi talvolta dal richiedere l’instrumentum, vista anche la grande fiducia che ri- ponevano nella persona del notaio, rinunciando al documento definitivo che, si- curamente, per la formalità che lo accompagnava doveva risultare più oneroso. Si può immaginare che tale tipo di atto notarile semplificato rispecchiasse le esigenze di maggiore elasticità degli scambi economici del tempo e che ciò per- mise, conseguentemente, a partire dalla seconda metà del dodicesimo secolo, l’e- voluzione della figura del notaio stesso, sempre più autorevole e slegato da for- malismi che ne limitassero l’attività. Si andò lentamente affermando la prassi che il notaio, redigendo tale scrittu- ra, si limitasse a consegnare il documento definitivo (instrumentum) solo ad even- tuale richiesta delle parti. Ciò poteva accadere, ad esempio, per utilizzare l’atto notarile in giudizio al fine di dirimere una controversia. Fu così che la bozza o promemoria del notaio, non seguita dall’atto ufficiale, rimase la sola testimonianza dell’accordo tra le parti e venne utilizzata, anche a distanza di tempo, dallo stesso notaio o da un notaio diverso dal redattore origi- nario, come promemoria e base documentale su cui ricostruire le vicende nego- ziali delle parti. L’eccessivo ricorso a tale pratica dei notai suggerì tanto ai Collegi notarili, che alle autorità comunali, allarmate dal fenomeno, di ordinare l’accorpamento di tali imbreviature in appositi registri.

Il cartulario

Esso si presentava in forme varie e con nomi diversi: registrum, regestum, pancharta, codex, liber memorialis instrumentorum o liber instrumentorum, traditionum, chartarium, cartularium. Era costituito da una raccolta di unità rilegate contenenti trascrizioni di do- cumenti originali nella loro integrità eseguiti per conto dei soggetti interessati qua- li le famiglie, i signori, le corporazioni, i monasteri, le chiese, i capitoli, le città. Il loro contenuto era rappresentato da un atto giuridico, con un titolo (acqui- sto, vendita, privilegi, immunità) di cui si intendeva conservare la memoria storica. Le raccolte di cartolari conservati dalle istituzioni comunali, ad esempio, ri- vestivano una finalità politica, come prova di diritti concessi alla Comunità su par- ti di territorio. I cartolari contenevano altri importanti documenti quali dei rico- noscimenti speciali ricevuti da parte delle massime autorità religiose o imperiali, dei censi, dei trattati di alleanza o di pace, ecc. Tali registri venivano, a volte, cu- stoditi in archivi segreti (secreta). Nel caso in cui gli originali andassero disper- si, copie autenticate di essi acquistavano valore di fonte primaria. L’analisi di tale documentazione si presenta complessa e rimanda alla disciplina della diplo- matica, relativamente all’aspetto importante dell’autenticità dei documenti. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 65

L’ IMPORTANZA DEI DOCUMENTI NOTARILI CUSTODITI NEGLI ARCHIVI DI STATO. 65 L’ OCCASIONE PER UN VIAGGIO NELL’EVOLUZIONE STORICA DEL DOCUMENTO NOTARILE

Il ruolo delle istituzioni Per evitare la dispersione degli atti, viste le forti implicazioni dell’attività dei notai nella vita comunale, alcuni Comuni imposero ai notai di mantenere i registri delle imbreviature in perfette condizioni per poter essere opportunamente con- sultati e trarre da essi i documenti definitivi, ogni qual volta ciò fosse necessa- rio. Accadeva di frequente, soprattutto nei secoli XIII e XIV, che nelle imbrevia- ture notarili venisse riportata una successione ininterrotta di frasi di rito, di for- mule appena accennate, con un et cetera (da qui l’espressione “formule cetera- te”), che divenivano di faticosa interpretazione anche per un lettore esperto. I Comuni intervennero e negli Statuti comunali si ordinò che le imbreviature fossero complete in ogni parte, richiamando i notai ad abbandonare l’uso di scri- vere succintamente e di sveltire al massimo le procedure di redazione, per far fron- te all’enorme richiesta di documenti privati. S’impose anche che i notai rileggessero alle parti, scrupolosamente, il conte- nuto dell’atto nella sua formulazione definitiva, non trascurando di assicurarsi il consenso dopo la lettura dell’ultima formulazione scritta. Tutte queste precauzioni da parte delle autorità comunali non potevano di cer- to rallentare la fase storica caratterizzata da una notevole mole di transazioni. Col trascorrere del tempo si finì per ammettere il valore giuridico non solo de- gli instrumenta, ma anche delle scritture preparatorie presenti sul registro del notaio purché nell’atto fossero presenti gli elementi di autentificazione tipici del- l’instrumentum. Un’altra disposizione delle autorità comunali stabilì che, in caso di cessazio- ne dell’attività del notaio o alla sua morte, fosse obbligatoria la consegna dei re- gistri delle imbreviature ad altro notaio designato dalle autorità. Sempre più diffuso divenne l’istituto della “Commissione”, che consentiva ad un notaio autorizzato, diverso da quello che aveva redatto l’imbreviatura, di tra- scrivere l’atto definitivo estratto dal contenuto del documento inserito nell’im- breviatura affidatagli per la conservazione. In alcune realtà comunali tale possibilità veniva riservata esclusivamente ai giudici ordinari, non ritenendo le autorità che la classe notarile potesse gestire tale attività con la necessaria imparzialità. Non casualmente i Comuni, per il diffon- dersi del fenomeno delle falsificazioni, decisero di prendersi carico direttamente del compito della custodia dei registri delle imbreviature, a tutela dell’interesse di tutta la collettività. Ricordiamo che, nel XIV secolo, furono istituiti gli Uffici dei “Vicedomini” a Trieste e quello dei “Memoriali” a Bologna, i quali rappresentano validi esempi di Collegi notarili comunali ante litteram, allo scopo di imporre precise regole di redazione e registrazione ai notai ma, anche, di contenere, con una decisa pre- senza pubblica, le posizioni settoriali di prestigio assunte dal ceto notarile. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 66

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In generale le pubbliche autorità avvertirono la necessità, de iure o de facto, di prendere sotto il proprio controllo l’istituto del notariato, nel timore che la clas- se notarile, ormai ampiamente accreditata presso le autorità e la società civile, ac- quistasse troppo peso politico. A Genova, nel XVII, il Comune prese la decisione di farsi carico delle spese per il mantenimento di un locale ove concentrare le scritture dei notai defunti. Alla fine del XVIII secolo i notai esercitanti l’attività extra moenia risultavano presenti in ben sessanta località del dominio della Repubblica (oltre la capitale). S’imponeva la consegna all’archivio del Collegio Notarile di una copia di cia- scun atto trascritto. Se da quest’ultimo intervento ne derivavano maggiori oneri sia per il notaio rogante che per le parti, dall’altro canto si esprimeva chiaramen- te la volontà del Comune di sorvegliare più capillarmente l’attività sia della cor- porazione dei notai che dei soggetti privati. Due decreti del Senato genovese (1652-1653) disciplinarono i sistemi di repe- rimento e di conservazione degli atti rogati dai notai defunti, accogliendo il prin- cipio della consegna delle scritture ad altro notaio: colui che riceveva le scritture del collega morto doveva prendersi cura di compilarne l’inventario e depositar- lo presso l’archivio del collegio notarile. Il cancelliere del Collegio dei notai, poi, sulla base degli inventari ricevuti, for- mava una “pandetta” degli atti del notaio morto, dalla quale doveva risultare, in- nanzitutto, il nome del notaio che era stato incaricato della conservazione degli atti del collega defunto. Nell’Archivio Notarile genovese non si custodirono esclusivamente i registri di imbreviature, i cosiddetti “cartolari”. Ma accanto ad essi, vennero depositati al- tri registri, come ad esempio, i manuali (contenenti una prima e succinta rela- zione delle imbreviature) e le cosiddette notule (ritagli di pergamene e di carta re- canti appunti preparatori) del tutto simili alle registrazioni presenti nel manuale ed ai quali il notaio poteva ricorrere in alternativa a quest’ ultimo. È interessante notare che notule e manuale documentano la prima delle tre fasi nelle quali si articolava la redazione di un documento notarile genovese, già prima del XIII secolo (24). La presenza negli archivi notarili di tale tipo di atti rap- presenta la più chiara conferma che ogni attestato recante una manifestazione di volontà negoziale meritava di essere preservato (accolto quantomeno come sem- plice mezzo di prova), in quanto proveniente da quel notariato che a Genova si guadagnava sempre più ampia credibilità, quella publica fides necessaria per ga- rantire la certezza di prova e quindi certezza del diritto (25).

(24) Cfr. G. COSTAMAGNA, La triplice redazione dell’instrumentum genovese, Genova 1961. (25) Vd. i diversi contributi di: ‘Hinc publica fides’. Il notaio e l’amministrazione della giu- stizia, Atti del Convegno internazionale di Studi Storici (Genova ottobre 2004), a cura di V. PIER- GIOVANNI, Milano 2006. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 67

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Considerazioni finali

Per voler ricordare un altro passaggio cruciale nella regolamentazione del- l’attività notarile si precisa che il Regolamento sul notariato del 1806, del Regno d’Italia, d’ispirazione napoleonica, impose l’istituzione di un Archivio notarile in ogni dipartimento in cui era stato diviso il territorio. Dopo l’unità d’Italia, la “legge sul notariato” (luglio 1875), confermò l’impo- stazione di inizio secolo (emanata solo per il Regno di Sardegna) rendendo omo- genea, su tutto il territorio italiano, la regolamentazione dell’attività notarile e la conservazione dei documenti da essi redatti. D’altra parte, essendo il notaio anche oggi investito di facoltà certificante in nome dello Stato, i suoi atti o il suo archivio professionale sono da considerarsi di pertinenza statale ed ancora oggi, negli archivi notarili, trovano collocazione gli atti dei notai defunti o che avevano cessato la professione. Gli Archivi notarili, sotto l’aspetto della competenza territoriale, sono stati de- nominati prima comunali, poi mandamentali, dalla suddivisione territoriale in- trodotta dai Savoia costituita dal mandamento, cioè la sede periferica del giudice minore nel Regno sardo, che successivamente venne chiamata pretura, oggi soppressa dal vigente ordinamento giudiziario. Infine, ai giorni nostri, sono di- strettuali, condividono in parte la medesima circoscrizione territoriale del di- stretto dei Tribunali a cui sono legati, dipendendo dal Ministero della Giustizia. Negli Archivi di Stato italiani, osservando la moltitudine di atti di notai con- servati, possiamo tenere distinti le imbreviature o i protocolli notarili o i carto- lari o i registri dai cosiddetti instrumenta. I primi sono versati nei nostri istituti dagli archivi notarili, in osservanza del- le disposizioni di legge che ne prevedono il versamento dopo i cento anni di sosta in archivi notarili dalla cessazione dell’attività dei notai. Inoltre, le scritture notarili possono provenire anche dagli archivi di Antico Regime e da altri uffici. Gli instrumenta, negli Archivi di Stato, invece, sono rintracciabili nella do- cumentazione di enti, organi e soggetti destinatari di atti (comuni, enti ecclesia- stici, corporazioni, famiglie, ecc.), che erano interessati direttamente alla loro cu- stodia per attestare i loro diritti e privilegi. Va ricordato ancora che entrambi i tipi di documentazione possono ritrovar- si inseriti in un unico blocco documentario, frutto di un raggruppamento artifi- cioso che è chiamato “Fondo diplomatico”, che, secondo una visione e metodo- logia archivistica di “Ordinamento per materia” (26), fu ricomposto dagli archivisti

(26) Dall’ordinamento per materia scaturì l’assai discusso metodo peroniano, denominato così dall’archivista Luca Peroni, direttore dell’Archivio di Stato di Milano, a lui si attribuisce lo smem- bramento dell’ordine della documentazione, operato all’inizio del diciannovesimo secolo, degli Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 68

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del diciottesimo secolo, in alcuni archivi italiani degli Stati preunitari, come ad esempio, a Milano. A conclusione, va particolarmente sottolineato che proprio negli Archivi di Stato italiani avviene l’uniformità di conservazione necessaria per tutte le testi- monianze rilevanti per i diritti dei privati, che, negli atti dei notai, hanno trovato piena e valida espressione divenendo anche fonte primaria per la ricerca storica.

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archivi delle “magistrature morte” (passate) della Lombardia, con la conseguente fusione di esse in un nuovo sistema di conservazione ordinato secondo identiche materie di amministrazione. Suc- cessivamente, in Italia, tale metodo venne abbandonato a favore del metodo storico che, diversa- mente da esso, tende a preservare l’ordine originario dei documenti voluto dal soggetto o ente au- tore, in ossequio al principio del “rispetto dei fondi”: cfr. P. CARUCCI, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma 1983. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 69

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«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO EL’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Premessa Con questo contributo, pur considerando brevemente alcuni filoni ormai con- solidati della ricerca storiografica otto-novecentesca, vorrei portare precisazioni e nuovi dati alla storia e al significato dei sette bifogli, poi chiamati tabulae, estrat- ti dal cartulario del notaio sarzanese Giovanni di Parente e divenuti celebri come scrittura prodotta nell’ambito della stipulazione della pace del 1306 fra il ve- scovo di Luni ed i marchesi Malaspina, soprattutto per l’attestazione documen- tale della presenza di Dante Alighieri in funzione di procuratore dei marchesi. Per quanto la scrittura notarile sia rapportabile ormai soltanto ad una minima parte dell’intera produzione del notaio che la redasse, cercherò di considerare la forma dell’accordo di pace del 6 ottobre e se, anche negli atti superstiti ad esso collegati, si possano cogliere comportamenti rilevanti del rogatore ed estensore degli instrumenta rispetto alla sua produzione di routine e se, perciò, le scrittu- re documentali abbiano anche la responsabilità di manifestare nella circostanza il prestigio e lo spessore rappresentativo degli autori giuridici. Sullo sfondo la vexata questio se sia stato l’Alighieri il principale intermedia- rio della pacificazione, soprattutto relativamente alle clausole operative presen- ti nei pacta annessi, nonché il preminente «estensore» del testo dell’instrumen- tum pacis (1) - da intendersi soltanto come responsabile delle condizioni stipulate, non certo come rogatore -, oppure se, come diversi studiosi hanno proposto con persuasivi confronti, anche recentemente, debba considerarsi autore almeno del prologo, arenga adeguata all’occasione, ma anche ponderata riflessione filosofi- ca sulla pace ed insieme legittimazione a sigillo della sua attività mediatrice. E poi, è davvero indubbia la rilevanza del patto di concordia per il contesto politico lunigianese, così come per quello sovra-regionale, nello scenario di guer- ra originatosi nel precedente trentennio e nelle congiunture in cui si determina- rono le condizioni dell’accordo pacificatorio? Nell’ampio saggio storico che a tutt’oggi rimane testo imprescindibile sui po- teri signorili nella Lunigiana medievale, Gioacchino Volpe assunse una posizio- ne nettamente discordante dalla storiografia dei primi decenni del Novecento che

3 (1) Tale definizione in N. ZINGARELLI, La vita, i tempi e le opere di Dante, Milano 1931 , p. 500. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 70

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si era occupata, sotto diversi aspetti, della pace di Castelnuovo Magra. Egli liquidò in poche righe l’episodio, inserendolo nel contesto dell’ormai imminente collas- so della signoria vescovile fra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV (2), quasi in un epitaffio per il potere temporale dei vescovi lunensi, a seguito della scom- parsa del presule Enrico da Fucecchio, combattivo e riformatore, salito alla cat- tedra lunense nell’aprile del 1273 (3) e subito entrato in contrasto con le signorie zonali e le comunità. Il Volpe sembra anche voler sorvolare sull’accordo stipulato il 6 ottobre 1306 nella camera del palazzo vescovile del Castrum Novum, oggi Castelnuovo Magra (fig. 1), durante l’episcopato del suo successore, Antonio di Nuvolone de

2 (2) G. VOLPE, Toscana medievale, Massa Marittima, Volterra, Sarzana, Firenze 1963 , ried. di Lunigiana medievale, Firenze 1923, pp. 519 e 523: «Morto Enrico da Fucecchio, fra il 1295 e 1296, ogni anno che passa è peggiore del precedente per la signoria dei Vescovi e per l’indipendenza del- le loro terre. Si direbbe che lo sforzo ultimo abbia esaurito energie già affievolite dalla vecchiaia». (3) F. UGHELLI, Italia sacra sive de episcopis Italiae ..., t. IV, 2a ed. a cura di N. COLETI, Venetiis 1719 (ed. anast. Forni, Bologna 1972-74), col. 853 data l’elezione di Enrico al 1273, aprile 3, indicando un generico 1296 per la data di morte. Nell’ampia scheda biografica sul presule di G. FRANCHI, M. LALLAI, Da Luni a Massa Carrara- Pontremoli, Il divenire di una diocesi fra Toscana e Liguria dal IV al XXI secolo, t. I, p. I, Modena-Massa 2000, pp. 61-66 (d’ora in poi citato FRANCHI, LALLAI), si sottolinea la diretta nomina pontificia, il titolo di magister, che indica un corso di studio completo, forse fatto in Francia, e il suo ingresso in diocesi il 25 aprile 1273 con solenni cerimonie nell’antica cattedrale di Luni, sulle quali Il regesto del Codice Pelavicino, a cura di M. LUPO GENTILE, d’ora in poi citato come CP, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria» XLIV (1912), doc. nr. 9 dell’Ad- denda, nel proseguo indicati con «ASLSP». A. GALLO, La data di morte di Enrico da Fucecchio, in «Giornale Storico della Lunigiana» (= GSL), n. s. VII (1956), 1-2, pp. 43-45 segnala, sulla base delle litterae exsecutoriae dell’8 marzo 1297 per la successione sulla cattedra lunense, da lei trascritte dai registri di papa Bonifacio VIII, la libera resignazione di Enrico, ivi appellato bone memorie, av- venuta probabilmente fra la fine del 1296 e i primi del 1297, tramite procuratore, nelle mani del car- dinale Gerardo Bianchi, vescovo di Sabina. Può esser ulteriormente puntualizzato il termine post quem della rinuncia alla cattedra episcopale grazie ad un atto del 24 ottobre 1296, in cui è attore, su procura del vescovo Enrico, il suo gastaldo Niccolò da Soliera. Il documento è riportato dall’abate Gerini nel codice diplomatico rimasto inedito: Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASFi), E. GERINI, Codex documentorum illustrium ad historicam veritatem Lunexanæ Provincæ, 1820, ms. cart. nr. 714, doc. LXXIII, pp. 76-77, citato in seguito come E. GERINI, Codex documentorum illu- strium. Problematici rimangono, invece, i motivi e l’eventuale durata di quanto affermato da C. EU- BEL, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi ... ab anno 1198 usque ad annum 1431 2 perducta e documentis Tabularii praesertim Vaticani collecta, I, Monasterii 1913 , p. 517, nota 4: l’8 ottobre 1294 il papa Celestino V avrebbe commesso l’amministrazione della Chiesa lunense al vescovo Tyrensis. Per osservazioni sul periodo di vescovato vd. anche G. SFORZA, Enrico vescovo di Luni ed il Codice Pelavicino dell’Archivio Capitolare di Sarzana, in «Archivio Storico Italia- no», XII (1894), pp. 81-88; L. PODESTÀ, I vescovi di Luni dall’anno 895 al 1289, Studi sul Codice Pe- lavicino dell’Archivio Capitolare di Sarzana, in «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Pa- tria per le Provincie Modenesi», s. IV, VI (1895), specie pp. 93-113; G. PISTARINO, Una fonte medievale falsa ed il suo presunto autore, Saladino de castro Sarzane ed Alfonso Ceccarelli, Genova 1958, pp. 25 nota 1, 132-133, 65-66 nota 2. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 71

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 71 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Fig. 1 - La turris magna del castrum di Castelnuovo Magra. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 72

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Camilla (1297-1307), genovese (4), per tentare di sanare definitivamente un lun- go periodo avvelenato da scorrerie e assalti armati condotti dai marchesi Mala- spina, insieme con i loro seguaci, ai danni del presule e dei vassalli della curia vescovile, sostenuti per di più dal Comune di Lucca. Lo studioso, che scriveva qua- si venti anni dopo le prime, fastose, celebrazioni del sesto anniversario dell’atti- vità diplomatica dell’Alighieri in Lunigiana, quale procuratore del marchese Fran- ceschino Malaspina, anche nell’interesse di altri membri del ramo della famiglia detto dello Spino Secco (5), si limita a indicarne la presenza (6). Dedica, invece,

(4) C. EUBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi cit., p. 317 data sulla base del mandato citato alla nota precedente (Les registres de Boniface VIII, par G. DIGARD, M. FAUCON, A. THOMAS, R. FAW- TIER, I, 1, Paris 1884, nr. 1747, col. 661) la sua elezione per provvista pontificia l’8 marzo 1297 e la morte intorno al 1309. L’anno preciso della scomparsa è indicato nel 1307 in Le cronache di Gio- vanni Sercambi lucchese pubblicate sui manoscritti originali, a cura di S. BONGI, Lucca 1892, p. 54, e ristretto al periodo fra luglio ed il 19 agosto, quando risulta ormai defunto, da A. FERRETTO, Co- dice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265- 1321), in «ASLSP», XXXI (1901-1903), I, pp. XXXI-XXXVI, che ne disegna per primo il profilo, cor- reggendo definitivamente la lettura de Canulla comparsa nelle prime edizioni dell’instrumentum pacis del 1306. G. SFORZA, Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana, Ricerche sto- riche, in «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Par- mensi», s. III, VI/II (1891), pp. 306-307, sulla base di un atto rogato dal notaio lucchese Orlando de’ Ciapporoni, rileva che il 20 ottobre 1308 (stile Incarnazione con computo pisano) da ridursi al 1307 dello stile comune, era già stata fatta l’elezione del successore dai canonici di parte bianca, per cui vd. infra e note 194-199. Scheda sul presule in FRANCHI, LALLAI, pp. 66-71, che non considerano tut- tavia né la casata e le relazioni con i Fieschi, nè il curriculum, limitandosi a ipotizzarne l’origine ge- novese. Relativamente ai legami familiari vd. infra, specie note 215-220. (5) Sui Malaspina dello Spino secco, oltre gli ancora fondamentali E. BRANCHI, Storia della Lu- nigiana feudale, tt. I-III, Pistoia 1897-98, Genealogie medievali di Sardegna, a cura di L. BROOK, R. PAVONI ET ALII, Cagliari - Sassari 1985, G. FIORI, I Malaspina. Castelli e Feudi nell’Oltrepò Pia- centino, Pavese, Tortonese, Piacenza 1995, si citano i contributi più recenti e di relativa attinenza: R. PAVONI, I Malaspina di Lunigiana al tempo di Niccolò V, in Papato, Stati regionali e Lunigia- na nell’età di Niccolò V, Atti delle Giornate di Studio (La Spezia, Sarzana, Pontremoli, 2000), a cura di E. M. VECCHI, La Spezia 2004, pp. 399-490; I Malaspina e la Sardegna, Documenti e testi dei secoli XII-XIV, a cura di A. SODDU, Cagliari 2005, con ampia bibliografia e ID., Struttura familiare e potere territoriale nella signoria dei Malaspina, in Il Cavaliere di Castel dell’Aqui- la, Il ritrovamento, lo scavo archeologico e gli studi antropologici, la storia del castello, a cura di E. M. VECCHI, S. RICCI, «GSL», n. s. LV (2004, ma 2007), pp. 135-152 e l’ampio excursus bibliografico di E. SALVATORI, Tra la corte e la strada: antichi studi e nuove prospettive di ricerca sui Malaspi- na (secoli XII-XIV), in Atti del seminario di studi “Dalla marca di Tuscia alla Toscana comu- nale” (Pisa, 2004), a cura di G. PETRALIA, M. RONZANI, c. s., distribuito in formato digitale da Reti Me- dievali. Vedi poi i diversi lemmi in Dizionario Biografico degli Italiani (= DBI), vol. 67, Roma 2006. (6) G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., p. 523. Riportiamo interamente il breve testo, perché è indicativo di una lettura dell’episodio che si discosta dall’enfasi con cui la storiografia lunigiane- se aveva sottolineato, agli inizi del XX secolo, il ruolo dell’Alighieri: «L’alba del 1300, come già l’al- ba del XIII, come già quella del XII secolo, vede nuova guerra fra Vescovo e Marchesi, la guerra che l’Alighieri conobbe, quando, intento alle cose di Firenze, perché fiducioso di ritornarvi, si in- dugiava per la contrada avanti di passare l’Appennino e bussar alle porte degli Scaligeri ospitali». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 73

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 73 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

una più attenta cura storiografica ai caratteri della potestà vescovile tardo due- centesca, che è per lui il vero nucleo e causa dello scontro fra le potenze signori- li, delineando le diverse forze in campo alla chiusura di una stagione che qualifi- ca come sogno, quello di un vescovo combattivo come Enrico da Fucecchio che aveva tentato di consolidare l’antico comitato lunense, anche con l’edificazione di notevoli strutture fortificate e – aggiungiamo – con il controllo, politico ed eco- nomico, del sistema viario. L’episodio di mediazione e tregua è, dunque, per il Vol- pe ininfluente nell’evolversi del processo storico, soprattutto non portatore di no- vità nella dinamica articolazione dei poteri territoriali e nell’espansione egemonica delle città limitrofe, prime fra tutte Lucca e Genova, che in quel periodo attenta- vano sempre più da vicino alla potestà signorile del vescovo, dando fiato in tal modo anche alle aspirazioni di autonomia del Comune sarzanese, del borgo e del castrum,che si proponevano, già dall’inizio del secolo XIII, come eredi della ormai decaduta città di Luni. Il successore Antonio da Camilla gli appare un interlocutore scialbo, così stret- to in un contesto politico obbligato, da trovarsi, poco dopo il 1306, ad esser «mes- so sotto tutela» da parte del Comune lucchese, da molti decenni ingombrante pre- senza politica nel territorio, con cui del resto era utile agli stessi marchesi Malaspina dialogare (7). La posizione storiografica del Volpe risulta eccentrica dopo le manifestazioni commemorative del sesto centenario del soggiorno di Dante in Lunigiana, inizia- te nel 1905 (8) e concluse fra il settembre e l’ottobre 1906 nei «luoghi danteschi». Promosse da cenacoli culturali e da un comitato appositamente costituito (9), sug- gellate infine con la pubblicazione dei discorsi di prolusione e dei contributi sag- gistici nel volume Dante e la Lunigiana, uscito appunto tre anni dopo, avevano contribuito a consacrare il valore storico, ma anche simbolico, della documenta- zione archivistica. I luoghi danteschi, intesi come riferimenti nei passi della Commedia e come realtà topografiche del territorio, erano stati esaminati e ne era stata fatta un’ac-

(7) Per i rapporti fra i Malaspina e Lucca agli inizi del secolo XIV si rimanda al saggio di Ales- sandro Soddu in questo volume. (8) Con la conferenza tenutasi nella Sala consiliare in Sarzana il 30 aprile 1905 da A. D’ANCONA, Il canto VIII del Purgatorio, pubblicata in Dante e la Lunigiana. Nel sesto centenario della Venu- ta del Poeta in Valdimagra, MCCCVI-MDCCCCVI, Milano 1909, pp. 1-31, d’ora in poi citato come Dante e la Lunigiana. (9) Su cui si vedano i dettagliati contributi di G. BENELLI, Le celebrazioni dantesche del 1906 in Lunigiana, tra storiografia erudita e nuovi fermenti culturali, in «Studi Lunigianesi», XXX- XXXI (2000-2001), pp. 5-38, citato d’ora in poi «SL»; ID., Le celebrazioni dantesche del 1906 in Lu- nigiana, in Dante e la Lunigiana, prolusione alla ristampa anastatica, Genova 2002, pp. IX-XLII e di L. J. BONONI, Il carteggio del Comitato per le celebrazioni dantesche di Sarzana del 1906 (1306- 2006), Genova 2006. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 74

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corta puntualizzazione (10). Erano stati esaltati i rappresentanti della casata malaspiniana, cui era stato particolarmente dedicato dal poeta l’elogium di Purg. VIII, 109-139, e si era discusso sulla loro identificazione nei diversi rami del casa- to (11). Si era poi focalizzato il ruolo rappresentativo dell’Alighieri nella stipula dell’accordo di pacificazione nel castrum di Castelnuovo, più che di attento cu- stode delle trattative e perfezionatore della composizione fra le parti, di vero e proprio ambasciatore di pace, come si cercava di mettere in risalto. Si era anche rilevato il possibile rapporto fra il suo pensiero politico e filosofico e il prologo dell’atto documentale, su cui si era iniziato a riflettere, per la verità, già sul finire del secolo precedente (12). Lo studioso Giovanni Sforza, già fondatore e direttore dell’Archivio di Stato di Massa (13), era stato il principale coordinatore scientifico e il più autorevole promotore delle cerimonie rievocative lunigianesi che avevano portato ad im- portanti risultati, pur essendosi svolte in un’atmosfera non sempre distesa. Anche attraverso numerosi articoli giornalistici, manifesti e volantini, che avevano sol- levato discussioni e diatribe, si era creata una partecipazione entusiastica del pub- blico e un tale interesse verso l’episodio storico nobilitato dalla presenza dell’A- lighieri da farlo sfumare in leggenda popolare. Avevano contribuito alla creazione di un’occasione celebrativa tanto sentita diverse linee tematiche – storiche, letterarie e socio-politiche – che innervavano l’opera degli intellettuali dell’epoca, alcune delle quali avevano avuto le loro ra- dici nella seconda metà-fine del secolo precedente, quando, conclusosi il processo risorgimentale, l’unificazione dell’Italia aveva spinto, per converso, ad una ricer- ca ed approfondimento della storia dei singoli territori. La fondazione di Depu- tazioni e Società di Storia Patria, l’apertura degli archivi, localmente, in partico- lare, la creazione del Notarile Distrettuale di Sarzana (1881) con il versamento dei notai antichi (14), l’affermarsi del ‘metodo storico’ per l’utilizzo della documen- tazione, venivano a confluire idealmente tanto con l’istituzione della Società Dan- tesca Italiana (1888) quanto con l’approccio storicistico all’opera del Poeta. Come lucidamente illustra Giuseppe Benelli nel suo ripercorrere con ampie considerazioni i saggi e le biografie compresi nel volume del centenario nove-

(10) Per la quale si rimanda alle opere citate nelle note 29, 30. (11) Su cui vd. infra e nota 24. (12) Vd. nota 328. (13) Sulla personalità dello studioso AA.VV., Miscellanea di studi storici in onore di Giovan- ni Sforza, Lucca 1920; A. D’ADDARIO, Giovanni Sforza studioso e ordinatore delle fonti archivi- stiche apuo-lunensi, in Atti del convegno sullo sviluppo ineguale dell’Italia post-unitaria. La regione Apuo-Lunense (Massa 1979), Carrara 1983, pp. 317-330; Carteggi di Cesare Guasti, a cura di F. DE FEO, vol. IX, Firenze 1984, specie pp. 479-553. (14) Si rimanda per queste tematiche e relativa bibliografia all’appendice a questo saggio (ci- tata d’ora in poi come Appendice), alla quale dovrà esser fatto riferimento anche per la storia di con- servazione delle tabulae dantesche. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 75

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centesco, animava gli intellettuali lunigianesi anche un forte sentimento di iden- tità, di rinascita della coscienza regionale attraverso la cultura, per cui «… sotto la spinta delle celebrazioni dantesche, si era venuto a sviluppare quel movimento culturale che porterà alla ‘battaglia’ per una provincia comprensiva di tutto l’an- tico municipio romano e della diocesi lunense ...», determinando anche «... un pre- ciso indirizzo della storiografia lunigianese» del Novecento (15).

Dal cartulario alle tabulae, documento-monumento Nonostante il grande risalto dato in pubblico, anche lo Sforza, da storico che sapeva leggere i documenti e che aveva in preparazione per le stampe la mono- grafia (16) che avrebbe collazionato le sue ricerche archivistiche con i nodali con- tributi della dantistica (fig. 2), in una lettera privata ridimensionava il ruolo del- l’Alighieri. Notava infatti: «Non recò né quiete né pace: la pace fu conclusa da fr. Guglielmo Malaspina e da fr. Guglielmo da Godano; Dante non fece altro che ra- tificarla a nome e per incarico de’ Malaspina. Del resto la pace durò pochissimo e morto nel 1307 il Vescovo, si tornò alle solite.» Da rilevare che anche nella prolu- sione tenuta per le celebrazioni lo Sforza aveva affermato che la pace era stata principalmente opera dei due frati e aveva attribuito la stesura dell’instrumen- tum pacis, prologo compreso, alla sola opera del notaio (17). Il confronto, quan-

(15) G. BENELLI, Le celebrazioni dantesche del 1906 cit., specie pp. XXXIII-XLI, che sottoli- nea anche le due componenti, quella più accademica, che diresse le maggiori manifestazioni, e quel- la giovanilistica, con il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi e soprattutto Manfredo Giuliani, che promosse la nascita di riviste come «Lunigiana» e «Apua giovane» (ottobre 1906), il cui primo (ed unico) numero fu proprio dedicato «all’ombra di Dante». Per il problema dell’identità lunigianese e della creazione di un’unità amministrativa che rispettasse le radici etnico-storiche ID., Lunezia. La regione emiliano-lunense, La Spezia 1999 e la prolusione in questo volume. (16) La monografia è menzionata in apertura del volume del 1909 con il titolo Dante e i Mala- spina e la dicitura: «Sotto i torchi»; il ms., rimasto in realtà inedito, è oggi conservato presso la Bi- blioteca Civica «U. Mazzini» della Spezia (n. i. MS. IV, 6/7, s. d.). La minuta, stesa con larga e chiara grafia, con alcune correzioni, su fogli di vario formato, scritti solitamente sul recto, divisa in sette capitoli in diverso stato di completamento, è ora rilegata in due volumi, conservati con le numero- se carte di appunti (Spogli, MS. V, 4) lasciate dallo studioso alla Biblioteca medesima, insieme con la sua personale raccolta di libri. Reca sulla costolatura il differente titolo Dante e la Lunigiana. Il valore dei diversi capitoli, considerato il tempo e, soprattutto, la bibliografia trascorsa, ci appa- re oggi disuguale, ma le notazioni tratte da documenti di archivio, con la consueta cura ed intelli- genza interpretativa, rimangono preziosissime, e vi si dovrà fare costante riferimento soprattutto per quelle informazioni che non sono più recepibili dopo la scomparsa dei registri del notaio sar- zanese Giovanni di Parente, insieme con tutto il materiale del Notarile di Sarzana. Sul ms., nel qua- dro dell’attività dello Sforza per le celebrazione del 1906, vd. anche G. L. COLUCCIA, “Se novella vera di Val di Magra o di parte vicina”, Dante e i Malaspina di Giovanni Sforza, in «Archivio Sto- rico per le Province Parmensi», d’ora in poi «ASPP», s. IV, LV (2003), pp. 55-82. (17) Discorso di Giovanni Sforza, in A. PELLIZZARI, Dante e l’anima nazionale, Firenze 1922, pp. 24-25, miscellanea di articoli giornalistici, lezioni inaugurali e testi epigrafici delle manifesta- zioni del 1906. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:53 Pagina 76

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Fig. 2 - Appunti autografi di Giovanni Sforza da utilizzarsi nella monografia Dante e i Malaspina (coll. Massimo Battolla).

to a valutazione storica, di tale lettera non soltanto con la prolusione, ma anche con gli ampi estratti di articoli giornalistici (18) e gli scambi epistolarî fra gli or- ganizzatori, ricreano efficacemente l’atmosfera del periodo e, soprattutto, deli- neano le puntuali strategie culturali verso una celebrazione commemorativa che doveva consacrare la fama di Dante in terra di Lunigiana. Al tempo in cui scriveva lo studioso lunigianese, l’instrumentum pacis del 1306 e quello procurationis per l’Alighieri potevano ancora essere integrati, dal 1904 almeno virtualmente (19), fra le altre carte del protocollo, e quest’ultimo fra

(18) Cfr. L. J. BONONI, Il carteggio del Comitato cit., tanto per la lettera menzionata che per i coevi articoli di giornali. (19) Anno in cui, dopo l’estrazione dei bifogli ed il loro restauro, autorizzato nel 1904 e con- clusosi nel gennaio 1905, si perse l’integrità dell’unità archivistica. Si rimanda all’Appendice ed al saggio di A. Faro, quivi, per ulteriori dati sullo smembramento del cartulario. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 77

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gli altri registri del notaio estensore, Giovanni di Parente di Stupio da Sarzana, at- traverso i quali si sarebbe potuto rilevare una più precisa articolazione della realtà politica sarzanese e lunigianese dell’epoca ed anche delle condizioni e dei com- promessi diplomatici che avevano condotto alla stipula della pace. La considerazione dei rogiti, peraltro, dopo le edizioni che avevano divulga- to nel secolo XVIII l’esistenza dei documenti, originata all’inizio da indagini a fini patrimoniali e fiscali, si era poi celermente trasformata in encomio della no- biltà malaspiniana. Gli atti, come è noto, erano stati conosciuti attraverso una copia autentica, ri- chiesta del marchese Manfredi Malaspina, tratta il 22 settembre 1765 (20) dal sud- detto protocollo conservato nell’Archivio Civile della città di Sarzana (fig. 3), con l’aggiunta della completio del notaio archivista Gio. Antonio Vivaldi (e non Ni- valdi, come apparve a stampa). Lo Sforza tuttavia ipotizzava, a ragione, che l’ar- chivista non avesse la necessaria competenza per la trascrizione, che doveva es- ser stata da lui solo autenticata, e suggerì come autore un uomo di cultura quale il canonico sarzanese Nicolò M. Torriani (21). In effetti, alcuni decenni dopo, il Vi- valdi cercò di attribuirsi il merito (ed i relativi compensi) di una ricerca archivi- stica commissionatagli da Giuseppe Buonaparte per l’individuazione di attesta- zioni di origine nobiliare della sua famiglia, studio che invece venne eseguito da Domenico M. Bernucci (22).

(20) Quella trascrizione fu, come è noto, stampata da G. LAMI, in «Novelle letterarie», t. XX- VIII (1767), coll. 603-606, 610-617, ma l’edizione che ebbe maggior diffusione fu quella di M. MAC- CIONI, Codex diplomaticus Familiae Marchionum Malaspinarum…, Pisis 1769, nr. XIV, pp. 20-21; nr. XV, pp. 21-24. La parte finale del secondo documento, contenente i pacta, venne però edita più tardi da W.WARREN VERNON, Dantis Alighieri legatio pro Francischino Malaspina …, Pisis 1847, pp. III- IV, V-XII, riedizione anastatica dei documenti a cura del Centro di Studi Umanistici ‘Nic- colò V’ di Castiglione del Terziere, con introduzione di L. J. BONONI, Firenze 2006. L’edizione di rife- rimento per l’instrumentum di procura a Dante Alighieri e per quello di stipula della pace rimane ancor oggi quella, ovviamente assai posteriore, di R. PIATTOLI, Codice diplomatico dantesco, Fi- renze 19502, nr. 98, pp. 116-118; nr. 99, pp. 118-125, verisimilmente condotta, considerata la data del- la prima edizione (1940), sulla documentazione all’epoca depositata nell’Archivio Notarile di Sar- zana, considerata nella sua integrità archivistica, così come viene indicato: «... serie 342, nr. 5, imbreviature di ser Giovanni di Parente Stupio» (sic). Il Piattoli non inserì nel Codice diplomatico, non considerandoli strettamente pertinenti alla presenza e attività dell’Alighieri, che pure vi veniva citato, i posteriori documenti, di cui è autore giuridico il vescovo, relativi alla risoluzione delle con- danne e scomuniche della parte malaspiniana, considerati invece da altri studiosi anch’essi parte considerevole della documentazione dell’attività del poeta nella sua vita da esule. (21) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. I, p. 5. (22) Per questo episodio A. N. (NERI), Giuseppe Buonaparte in cerca di nobiltà, in «Giornale Ligustico», XIII (1886), pp. 471- 478, che ebbe fra le mani una dozzina di lettere del Buonaparte re- lative alla ricerca archivistica, da lui commissionata nel 1798. Lo Sforza si occupò più compiuta- mente dell’episodio in Gli antenati di Napoleone I in Lunigiana, in «Miscellanea di Storia Italia- na», ser. III, XVII (1915), pp. 23-120. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 78

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Fig. 3 - Le edizioni della procura a Dante di Giovanni Lami e Migliorotto Maccioni.

Nel 1787 Lorenzo Pavesi, patrizio pontremolese, alludeva all’accoglienza ri- cevuta in Mulazzo, dal «Tosco Cantor che vinto dal disio / di quella torre, che a tuo scampo aprì / Morello un dì t’aggiri ombra fra noi» in un sonetto per nozze, in oc- casione del matrimonio della marchesa Marianna Malaspina di Mulazzo con Lo- renzo de’ Cambi di Firenze (23). Chiaramente si riferiva ogni onore e gloria al Mo- roello del ramo dei marchesi di Mulazzo, in realtà agli inizi del Trecento defunto, e cominciava la confusione interpretativa relativamente agli omonimi dei vari rami familiari (24).

(23) L. PAVESI, Sonetto a Sua Eccellenza la Signora Marianna de’ Marchesi Malaspina di Mu- lazzo…, s.l. [1790]. (24) Il quesito sull’identità del Moroello citato nella pace fu all’attenzione degli storici so- prattutto fra la metà e la fine dell’Ottocento, riverberandosi sulla dantistica. Si citano alcuni esem- pi delle discussioni ottocentesche: Sopra alcune particolarità della vita di Dante, Lettere di Eugenio Branchi a Pietro Fraticelli seguite da un documento inedito del 1301, Firenze 1865, in particolare la lettera Sul vero Moroello Malaspina ospite ed amico di Dante, pp. 11-22 e la seguente, pp. 23-33, ove lo si identifica con Moroello di Alberto, signore di Val Trebbia, in risposta all’opinione del Fraticelli che optava per Moroello, fratello di Corradino e figlio di Opizzino/Opizzone di Villa- franca (Chi fossero i due Malaspina amici e ospiti di Dante. Lettera di Pietro Fraticelli ad Ales- sandro Torri, Firenze 1846), interpretazione espressa anche in Storia della vita di Dante Alighieri Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 79

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 79 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Sempre ad una donna della casata, Annetta della Bastia, sono dedicati i versi sciolti di Vincenzo Monti nella dedicatoria dell’Aminta del Tasso per i tipi di G. B. Bodoni (25). La figura dell’esule ramingo, l’ospitalità offerta dalla corte malaspi- niana, rappresentata però non da Franceschino o dai marchesi di Giovagallo, ma dal più anziano Moroello di Mulazzo, la torre come emblema della casata del ramo mulazzese e del capofeudo che diveniva il luogo simbolo della dimora lu- nigianese del poeta (fig. 4), sono già i leit-motiv tematici di un’epopea dantesca che giungerà fino ai nostri giorni, riverberandosi sui principali castelli feudali del- la Lunigiana (26). Se nel corso dell’Ottocento, anche con il crescere dell’interesse per gli studi danteschi, si erano avuti maggiori riferimenti storiografici alla documentazione notarile lunigianese, ai luoghi danteschi e alla prosopografia dei protagonisti (27),

compilata da Pietro Fraticelli, Firenze 1861, pp. 163-174, ove lo ritiene anche il destinatario del- la seconda cantica della Commedia. Tale identificazione era già stata sostenuta da C. BALBO, Vita di Dante, Firenze 1853, pp. 140-141. Invece E. GERINI, Memorie storiche di illustri scrittori e uo- mini insigni dell’antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1829, pp. 31, 43, 49-51, aveva ordinata- mente analizzato tutti i pressoché coevi Moroello, per orientarsi decisamente verso il signore di Giovagallo, anche quale ‘vapor di Val di Magra’. L. STAFFETTI, I Malaspina ricordati da Dante, in Storia della Letteratura italiana di Adolfo Bartoli, t. VII/2, pp. 297-306 ritenne di risolvere la questione con la presenza nella pace di due Moroelli, quello di Giovagallo e quello di Olivola; N. ZIN- GARELLI, Dante, in Storia letteraria di Italia, 1903, pp. 219-220 opta per il Giovagallo; lettura que- sta divenuta in seguito preponderante. Vd. poi P.LITTA, Famiglie celebri italiane, Malaspina, VIII, disp. n. 133, Milano- Napoli 1852, tv. II, preferibile per la struttura di questa famiglia a E. BRANCHI, op. cit., I, pp. 501-513; S. SAFFIOTTI BERNARDI, s.v. Malaspina, Moroello, in Enciclopedia Dantesca (d’ora in poi citata ED), III, Roma 1969, pp.78-79; L. BROOK, R. PAVONI (a cura di), Malaspina di Gio- vagallo, in Genealogie medievali di Sardegna cit., tv. XXIV, lemma 2; G. FIORI, I Malaspina. Ca- stelli e Feudi cit., tv. XXII, p. 344. (25) Cfr. Aminta favola boschereccia di Torquato Tasso, Parma 1789: «Del gran padre Alighier ti risovvenga / quando ramingo dalla patria e caldo / d’ira e di bile ghibellina il petto, / per l’itale vagò guaste contrade, / fuggendo il vincitor guelfo crudele, / simile ad uom che va di porta in porta / ac- cattando la vita. Il fato avverso / stette contra il gran Vate, e contra il fato / Morello Malaspina. Egli all’illustre / Esul fu scudo: liberal l’accolse / l’amistà sulle soglie, e il venerando / Ghibellino parea Giove nascoso / nella casa di Pelope ...». Sulla nobildonna vd. G. BENELLI, Il salotto letterario di An- netta Malaspina della Bastia alla corte di Parma, in «SL», XXI-XXIX (1991-1999), pp. 35-60. (26) È stato recentemente pubblicato L’Album della Lunigiana di Eugenio Branchi. Testi e di- segni, a cura di D. MANFREDI, Pontremoli 2008, conservato nella collezione privata Bertelé, volu- metto manoscritto con appunti, disegni e 33 vedute di castelli, stesi a partire dal 1840 e base della posteriore monografia malaspiniana del Branchi. (27) Nei primi decenni dell’Ottocento la partecipazione del poeta alla pacificazione fra vesco- vo e marchesi era già divenuta una componente importante della biografia dantesca: cfr. P. COSTA, Vita di Dante, in Commento alla Divina Commedia di Dante Alighieri, Londra 1828, pp. XXII- XXII. Si rimanda poi all’ampia bibliografia raccolta nel volume Dante e la Lunigiana, pp. 553-582, a V. BIANCHI, Dante e la cultura in Lunigiana, in «SL», II (1972), pp. 49-99; ID., Presenze dantesche in Lunigiana, in «Cronaca e storia di Val di Magra», V (1976), pp. 35-58, riedito con altri saggi in ID., Scritti danteschi e malaspiniani, Con un ricordo di Loris Jacopo Bononi, a cura di D. MANFRE- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 80

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Fig. 4 - La torre poligonale di Mulazzo (foto Davide Marcesini, da La Lunigiana dei castelli, Edizioni Giacché, 2000). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 81

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 81 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

dai primi anni del Novecento, nella prospettiva delle celebrazioni del 1906, ma an- che sotto lo stimolo di altre motivazioni, il cartulario con l’instrumentum della pace divenne un «documento-monumento», oggetto perciò di grande considera- zione. La consapevolezza di avere un’oggettiva, e assai rara, testimonianza degli itinerari e dell’attività di Dante durante l’esilio, per di più chiaramente datata, in- dusse, però, ad una sorta di ritualità nella custodia della documentazione, anche se ciò causava la messa in ombra di un’equilibrata comprensione della cultura e prassi giuridica del notaio. Indubbiamente erano state foriere di stimoli alcune opere edite a secolo ap- pena iniziato, che offrivano agli studiosi una più accessibile consultazione delle fonti, prima di tutto il Codice diplomatico dantesco di Biagi e Passerini che pre- sentava, oltre all’edizione, facsimili fotografici delle relative carte del protocollo notarile (28), i quali richiamavano l’attenzione su alcuni caratteri estrinseci degli instrumenta, nonché sulle non buone condizioni in cui versava la documenta- zione stessa. Il Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Luni- giana di Arturo Ferretto, poi, con i regesti di molti documenti pertinenti e la re- lativa introduzione, sintetica ma densa, abbozzava i profili di molti dei personag- gi coinvolti (29). Infine c’era il ‘tema del viaggio’ dell’esule, che si proponeva nell’edizione ita- liana del Bassermann, uscita proprio in quegli anni, tramite l’identificazione e la visitazione diretta di località citate nella Commedia (30).

DI, Pontremoli 2006, vedi anche gli aggiornamenti in M. MANUGUERRA, Lunigiana Dantesca, La Spe- zia 2006, pp. 175-183. (28) G. BIAGI, G.L. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco: i documenti della vita e della famiglia di Dante Alighieri riprodotti in fac-simile, descritti e illustrati con monumen- ti d’arte e figure, disp. VIII, Firenze 1903, pp. 5-16, con nuova edizione delle cc. 270r- 274r ed ag- giunta anche delle remissioni di condanne del 13, 18 e 19 ottobre 1306 (cc. 274v-275v) da parte del vescovo Antonio, «volens adimplere promissionem factam per ipsum Danti Alegerij de Florentia procuratori magnifici et excelsi virj dominj Franceschini Marchionis Malaspine….», che possono considerarsi ulteriori ‘documenti danteschi’. La tabula VII relativa ad un atto in cui compariva la marchesa Alagia Malaspina veniva invece brevemente riassunta (pp. 3-4). (29) A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni cit., in particolare il capitolo Relazioni fra Genova e Firenze al tempo di Dante, pp. VII-XLVII. I rapporti fra l’Alighieri e il territorio furono più coralmente tratteggiati nel posteriore volume AA. VV., Dante e la Liguria, Studi e ricerche, Mi- lano 1925: particolarmente inerenti ai nostri temi la raccolta di alcuni precedenti saggi del Ferretto, pp. 50-87, e la terza sezione dedicata ai frammenti di codici liguri della Commedia, pp. 251-282. (30) A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia. Vagabondaggi e ricognizioni, trad. ital. di E. 2 Gorra, Bologna 1902 . L’analisi del rapporto fra territorio lunigianese e Dante, arricchita dalla pro- blematica interpretazione della visita del poeta al monastero del Corvo, raccolta nella lettera di fra Ilaro riportata dal Boccaccio, e da quella del ritrovamento dei primi sette canti dell’Inferno, ha fortemente influenzato monografie, alcune a carattere divulgativo, della letteratura lunigianese, vd. V. DA MILANO, Dante in Lunigiana, Sarzana 1966; V. BIANCHI, Lotte feudali in Lunigiana, in «SL», Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 82

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Agli inizi del secolo scorso, fra il 1904 ed il 1905, perciò, anche per il precario sta- to di conservazione (31), cui si doveva metter mano con un restauro, tagliando la ri- legatura di due diversi fascicoli e scartando le carte intermedie, vennero estratti dal cartulario sette bifogli cartacei (quindi quattordici carte, scritte recto e verso) (32), per

V (1975), pp.159-179; AA. VV., Alla scoperta dei castelli di Lunigiana seguendo le orme di Dante, Quaderni Conoscere, voll. 5, Carrara 1984; L. GALANTI, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Cen- tro Dantesco della Biblioteca comunale di Mulazzo, Pontremoli 1985, saggio vincitore di premio nel 1965, edito vent’anni dopo la stesura; ID., La Lunigiana nella ‘Divina Commedia’. III. Pier della Vigna, in «Il Corriere Apuano», 22 marzo 1980; ID., La lupa e il veltro. La Chiesa e i nuovi Ordini Mendicanti nel pensiero politico religioso di Dante, Pontremoli 1983; ID., Il secondo soggiorno di Dante in Lunigiana e la composizione del Purgatorio, Pontremoli 1993; ID., ‘Io dico seguitan- do’. Il ritrovamento dei primi sette canti dell’Inferno e la ripresa della composizione della Com- media, Mulazzo, Centro di Studi Malaspiniani, 1995; E. SILVESTRI, Ameglia nella storia della Luni- giana, Appendice IV, Ameglia 1991, pp. 427-440. Sulle «orme» del Bassermann si veda anche P. GIANNANTONIO, Dante e la Lunigiana, in Dante e le città dell’esilio, Atti del Convegno Internazio- nale di Studi (Ravenna 1987), a cura di G. DI PINO, Ravenna 1989, pp. 33-46 ed ora R. CAVALIERI, Il viaggio dantesco. Viaggiatori dell’Ottocento sulle orme di Dante, Roma 2006. (31) Per il quale può vedersi, oltre le citate riproduzioni in G. BIAGI, G.L. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco cit., pp. 9-11, quanto scritto da A. BASSERMANN, Orme di Dante cit., pp. 367-371, che sembra avere fatto un esame autoptico della documentazione archivistica durante il suo viaggio di studio alla fine del XIX secolo. Le sue imprecisioni descrittive sono, però, notevoli. Egli parla non di cartulario cartaceo, ma di «due documenti che si leggono su di una pergamena, in un grosso volume in foglio, il quale appartiene agli atti di Parente Stupio». Addebita, inoltre, «lo stato deplorevole di conservazione» a reagenti chimici che sarebbero stati utilizzati per cercare un’improbabile firma dantesca, non certo prevista dalla forma di redazione di un instrumentum, ma di cui aveva fatto menzione lo stesso Fraticelli: Storia della vita di Dante Alighieri, compila- ta da Pietro Fraticelli sui documenti in parte raccolti da Giuseppe Pelli, in parte inediti, Firen- ze 1861, p. 174: «...la conchiuse apponendo la firma, unitamente al vescovo, all’atto solenne che nel- lo stesso giorno fu rogato in Castelnuovo dal notaro Parente di Stupio». É da rilevare che alcune di queste inesattezze sono continuate nella storiografia contemporanea: A. ROSSI, Per una ridefi- nizione del canone delle opere di Dante, in «Poliorama», I (1990), p. 8 definisce il protocollo «un bastardello di carta pergamenata di sette fogli complessivi», pur essendo al corrente della loro estra- polazione dal registro originario. (32) Per i motivi sopraesposti sono sette, e non cinque, come apparirebbe, invece, anche dal recentissimo ed importante contributo di E. BERTIN, La pace di Castelnuovo Magra (6 ottobre 1306): otto argomenti per la paternità dantesca, in «Italia medioevale e umanistica», n.s. XLVI (2005), pp. 1-34, specie p. 3. Le sette tabulae sono state versate il 20.01.2005 dall’Archivio Notarile Distrettua- le all’Archivio di Stato della Spezia (d’ora in poi citato ASSp) e sono state quindi sottoposte a re- stauro conservativo, prima della sistemazione in più idonei contenitori, su cui M. Sassetti in questi atti. Con tali misure di salvaguardia, oggi giustamente adeguate alla tutela, la percezione dei carat- teri estrinseci del cartulario si è, però, profondamente modificata. Le tabulae corrispondono al rec- to e verso delle cc. 186, 187; 220, 221, 222, 223, 224, 225, 270, 271, 272, 273, 274, 275 del protocollo di imbreviature e sono denominate non secondo l’ordine cronologico di stesura nel protocollo, ma secondo quello di importanza, per cui le carte stese nei primi mesi dell’anno 1306 sono in realtà parte della VII tabula, mentre la prima raccoglie la procura del 6 ottobre che inizia da c. 270r: tabula I, Mandatum; II-V recto, Instrumentum pacis; V verso-VI, Remissio de condemnationibus; VII, Alasia Malaspina. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 83

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 83 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

esser conservati a parte, in un’incorniciatura con vetro che metteva ulte- riormente in ombra gli al- tri atti contenuti nelle car- te medesime (fig. 5). Le tabulae, numerate senza rispetto dell’ordine cro- nologico di stesura e sciol- te dagli imprescindibili nessi con la restante do- cumentazione del perti- nente cartulario, nonché degli altri cartulari su- perstiti del notaio, ven- nero riposte nella stanza del Conservatore dell’Ar- chivio Notarile di Sarza- na, in un apposito arma- dietto, sopra il quale fu apposta una dedica all’A- lighieri incorniciata (33). Fu dunque davanti a questo espositore (vedi figg. 5-6 dell’Appendice) che sfilarono gli studio- Fig. 5 - Archivio di Stato della Spezia, tabula IV verso, escatocollo si della Società Dante- dell’instrumentum pacis ed inizio dei pacta. sca e i notabili lunigia- nesi durante le solenni manifestazioni del 1906. Nella stanza del Conservatore, definito «fortunato possessore del documento», firmarono il verbale tuttora con- servato nel Notarile della Spezia (34).

(33) Il quadro-dedica e l’armadietto, restaurato «alla moderna», pur se privato degli originali piedi sagomati e senza più il suo basamento, sono tuttora conservati nell’Archivio Distrettuale della Spezia. Per i particolari si rimanda all’Appendice. (34) Archivio Notarile Distrettuale della Spezia (= ANDSp), senza signatura. Si tratta di un fo- glio rigato, del tipo a protocollo, oggi custodito nella cassaforte dell’ente che ricorda, nella forma di documento ufficiale steso dal Conservatore dell’archivio, avv. Teodoro Navarini, e sottoscritto dai presenti, la visita della Società Dantesca Italiana, avvenuta il 7 ottobre 1906 alle ore 9, nel corso del- le celebrazioni del centenario, con l’accompagnamento del locale «patriottico» Comitato, su invito «con geniale pensiero» del Presidente del Consiglio notarile, avv. Vincenzo Almayer. Seguono le fir- me di Isidoro del Lungo, vicepresidente della Società Dantesca, di Giovanni Sforza, presidente del Comitato dantesco sarzanese, di Alessandro D’Ancona e di molti altri. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 84

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Nessuno si pose probabilmente il problema di come, con questa scelta, si smembrasse un’unità archivistica integra, disorganizzandola e rendendo meno in- tellegibili anche gli stessi atti estratti. Si può poi solo supporre che il cartulario mutilato, non riposto nello stipo, rimanesse conservato con il restante materiale antico. Questa operazione ebbe, però, una conseguenza, che può solo parzial- mente considerarsi meritevole: quella di salvaguardare le carte, o meglio i soli «ci- meli danteschi» come ormai venivano chiamati, durante le aspre operazioni del- la seconda guerra mondiale sul suolo italiano. Nel 1943 le tabulae furono trasportate da Sarzana a Falcinello, insieme con alcuni frammenti di un codice membrana- ceo della Commedia (35), che attesta una tradizione lunigianese abbastanza pre- coce di conoscenza dell’opera di Dante, e con il registro cartaceo di imbreviature di Parente di Stupio, padre di Giovanni (36) che, in qualità di cartulare più antico dell’archivio, aveva del tutto oscurato il valore storico della restante produzione notarile del figlio, con il quale del resto venne e verrà, anche in tempi recenti, con- fuso. Questo materiale archivistico poté, perciò, esser sottratto alla distruzione del- l’intero patrimonio documentario del Notarile di Sarzana, avvenuta durante gli eventi dell’ultima guerra, a seguito della quale sono andati purtroppo perduti tutti i protocolli superstiti del notaio Giovanni di Parente (37).

Fare il notaio a Sarzana. Notariato pubblico e notariato di curia. Il notariato sarzanese, particolarmente dai primi anni del secolo XIII, ebbe for- ti vincoli, di obbligazioni e insieme di convenienze, nei confronti dei vescovi lu- nensi, i quali esercitavano, oltre al magistero spirituale, poteri pubblici. Si può par- lare di obbligazioni per la subordinazione al controllo che gli ordinari stabilirono, con appositi strumenti giuridici, sull’articolazione ed il ‘protocollo’ del cursus pro- fessionale, ma anche di proficue offerte di opportunità di carriera nelle strutture curiali ed in quelle comunali, che in certi periodi si intrecciarono in modo osmo- tico, oppure si sovrapposero, alle strutture controllate dal governo episcopale. Nelle terre della signoria vescovile, specie dopo la concessione degli iura comi- tali da parte dell’imperatore Federico I (38), per i presuli fu sicuramente Sarzana la più idonea sede di provvista di notai per il funzionamento delle strutture bu- rocratiche e diocesane.

(35) I frammenti del codice sono oggi conservati in ANDSp, Codici Danteschi, Frammenti del- la Divina Commedia, inv. nr. 343, ctg. nr. 173, nello stesso fascicolo del protocollo della visita ci- tata. Si rimanda per i particolari all’Appendice, in particolare note 38-39. (36) Per il quale vd. nota 66. (37) Soprintendenza Archivistica della Liguria, fasc. Cimeli danteschi. Istituzione in Sarza- na di una sottosezione di Stato. Si rimanda all’Appendice citata. (38) Le concessioni imperiali del 1183 e 1185 sono riportate in CP, nr. 369, 1183, giugno 30; nr. 21, 1185, luglio 29. Per tale argomento si rimanda al § Scontro fra poteri in un’area di strada. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 85

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 85 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

L’auctoritas vescovile si rileva nella spinosa materia del controllo dell’attività notarile pubblica in un paragrafo dei patti e convenzioni dell’inizio del secolo XIII, stesi allorquando si stava per metter mano al progetto per la traslazione della sede diocesana, che avrebbe dovuto elevare – ma così non fu per molto tempo anco- ra – la terra al rango di civitas. Nei pacta et conventiones del 1201, stipulati fra il vescovo Gualterio ed il capitolo con il console e i membri del locale consiglio nella prospettiva del trasferimento della ecclesia maior da Luni nel borgo sar- zanese e della creazione di una futura realtà cittadina, si disponeva che la con- cessione dell’esercizio del tabellionato, o notariato, attenesse al vescovo (39), che evidentemente intendeva soprintendere e disciplinare nomine e probabilmente zone di attività dei tabelliones, ma non mostrava ancora preoccupazioni, almeno in quella sede, per la prassi redazionale, alla quale non si fa alcun cenno, e nep- pure per la conservazione e trasmissione del patrimonio documentario. Operavano del resto sfavorevolmente le stesse condizioni logistiche. Il terri- torio era in pratica privo di un centro urbano cittadino con propria sede di gover- no, anche dopo il progetto di traslazione della sede vescovile, che vide effettiva- mente agli inizi del XIII secolo il trasferimento del capitolo cattedrale nel borgo di Sarzana posto sulla , e la stipulazione di patti con i burgensi per l’ampliamento insediativo e la nuova forma dell’abitato (40), che rimase comun- que per secoli una ‘quasi città’ (41). La residenza dei vescovi, poi, fu discontinua. Dimoravano soprattutto nei principali castelli episcopali, sentiti come centro del- la distrettuazione signorile, primo fra tutti Sarzanello, il castrum Sarzane, aven- do nel vicino borgo solo domus (42). Luni, retratta ad alcuni ridotti nuclei inse- diativi ed all’area fortificata che verrà chiamata in età moderna «la Cittadella» (43),

(39) In CP, doc. nr. LXIV, datato nel regesto del Lupo Gentile 1201, aprile 22. I patti, come si de- duce dal testo, furono fatti e confermati il seguente 24 giugno: «Nullum verum tabellionem habe- bunt homines de terra illa, nisi quem dominus episcopus et eius successores eis assignabunt». (40) Vd. ad es. lo scriptum memoriale sulla strutturazione e regolarizzazione dell’abitato in CP, doc. nr. 37, 1230, settembre 3. (41) Per questo concetto, divenuto un vero topos storiografico, G. CHITTOLINI, “Quasi-città”, Borghi e terre in area lombarda nel tardo Medioevo, in «Società e storia», 47 (1990), pp. 3-26. (42) Come si può dedurre dalle datazioni topiche della documentazione vescovile, specie in CP, per le quali cfr. nota 126. Si rimanda per la problematica sui patti di traslazione del 1202-1204 e la precedente bibliografia ai diversi contributi in Da Luni a Sarzana, 1204-2004. VIII Centena- rio della traslazione della sede vescovile, Atti del convegno internazionale di studi (Sarzana 2004), a cura di A. MANFREDI, P. SVERZELLATI, Città del Vaticano 2007. (43) Il recinto quadrilatero murato, sito nel quadrante sud occidentale della città romana, for- se da identificarsi con il castrum citato in un documento del 1140, fu appellato nella cartografia di età moderna il Novo (sottinteso Castelo Lune) o, più frequentemente, è menzionato dal XVI seco- lo come la Cittadella, a sottolinearne le caratteristiche difensive. Per il documento citato Archi- vio Capitolare Lunense di Sarzana, filza K, c. 125 a, 1140 marzo, edito da M. FILANNINO, Carte del- l’Archivio Capitolare di Sarzana (1095-1320), Università agli Studi di Pisa, tesi di laurea, a.a.1983-84, rel. prof. Silio P. P. Scalfati. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 86

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Fig. 6 - Archivio Storico del Comune di Sarzana, Registrum Vetus, litterae solemnes di Paolo II per la traslazione della sede episcopale in Sarzana, copia di mano di Antonio Ivani (particolare).

articolatasi intorno all’antica cattedrale di S. Maria, all’episcopio e alla canonica, ma priva di un abitato popoloso a carattere cittadino (44), continuava tuttavia a rimanere, sotto il profilo giuridico, l’unico centro con qualificazione di civitas. E così fu fino alla ratifica pontificia nel 1465 della traslazione della sede episcopale a Sarzana, con l’elevazione a cattedrale della collegiata di S. Maria (fig. 6), da ol- tre due secoli e mezzo sede del capitolo dei canonici, cui seguì nel 1469 il confe- rimento del titolo di città all’oppidum sarzanese anche da parte imperiale (45).

(44) Per la topografia della città altomedievale sotto il profilo degli scavi archeologici, vd. S. LU- SUARDI SIENA, L’antica Luni e la sua cattedrale, in Da Luni a Sarzana. 1204-2004 cit., pp. 117-152 e la precedente sintesi in Città antica di Luna. Lavori in corso, a cura di A. M. DURANTE, La Spezia 2001, specie pp. 30-61. (45) Cfr. i diversi saggi in Niccolò V nel sesto centenario della nascita, Atti del Convegno In- ternazionale di Studi (Sarzana ottobre 1998), a cura di F. BONATTI, A. MANFREDI, Biblioteca Aposto- lica Vaticana, Città del Vaticano 2000 e in Da Luni a Sarzana, 1204-2004 cit., nonché i contributi sulla collegiata, poi cattedrale sarzanese, e sul capitolo in Santa Maria Assunta di Sarzana, a cura di P. DONATI, G. ROSSINI, c.s. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 87

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 87 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Per tornare al rapporto dei presuli con il notariato, non abbiamo, o forse non ci sono pervenute, attestazioni di un intervento vescovile per la determinazione delle caratteristiche e qualificazioni di quello di servizio curiale (46). In diverse scritture, per lo più raccolte nel Codice Pelavicino, è attestata, a partire dall’XI secolo, la presenza di notai pubblici laici collegati in vari modi alla curia da relazioni fiduciarie o di fidelizzazione, quale quelle di giudici che furo- no anche advocati curie. Nella seconda metà del secolo XII, dopo che i presuli ebbero ottenuto dai pontefici la conferma della propria autorità sulle strutture- quadro per la cura animarum, sia quelle plebane sia altri antichi e importanti enti ecclesiastici diocesani (47), ed a seguito della formazione del comitato ve- scovile lunense, con conseguenti più ampie esigenze giuridico-gestionali nel- l’apparato di governo, compaiono i Lunensis curiae notarii (48), qualifica atti- nente alla funzione esercitata, che testimonia un passaggio ad un inquadramento di tipo funzionariale, che non impediva loro tuttavia una contemporanea atti- vità professionale nell’ambito sarzanese o della bassa Val di Magra (49). D’altra parte i vescovi si servivano spesso anche di notai pubblici non curiali per la re- dazione di scritture nella forma del documento privato, con i quali, evidentemente, esistevano rapporti di fiducia e di saltuaria collaborazione amministrativa (50). Non si hanno attestazioni specifiche nei secoli XII- XIII del conferimento al ve- scovo lunense della potestas faciendi notarios, che rientrava, tuttavia, nei po- teri di tipo pubblico (51). La nomina di notai da parte del Lunensis episcopus et

(46) Per l’importanza del notariato di curia è d’obbligo il rimando a G. CHITTOLINI, “Episcopalis curiae notarius”. Cenni sui notai di curie vescovili nell’Italia centro-settentrionale alla fine del medioevo, in Società,istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, Spoleto 1994, pp. 221-232; vd. poi G. G. FISSORE, Problemi della documentazione vescovile astigiana per i secoli X- XII, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», LXXI (1973), pp. 417-510; M.C. ROSSI, I notai di curia e la nascita di una “burocrazia vescovile”: il caso veronese, in Vescovi medievali, a cura di G. G. MERLO, Milano 2003, pp. 73-164; I notai della curia arcivescovile di Milano (secoli XIV-XV), Repertorio, a cura di C. BELLONI, M. LUNARI, coordinamento di G. CHITTOLINI, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Roma 2004, particolarmente l’Introduzione. (47) G. PISTARINO, Le pievi della Diocesi di Luni, Bordighera-La Spezia 1961. (48) R. PAVONI, Il sigillo di Enrico da Fucecchio e la diplomatica vescovile di Luni nei secoli X-XIII, in Miscellanea di Storia italiana e mediterranea per Nino Lamboglia, Genova 1978, pp. 21-42, specie pp. 25-27. Il saggio è l’unico che affronti, con sintetica efficacia, aspetti dell’organiz- zazione della produzione documentaria vescovile medievale lunense, offrendo una scansione per fasi, anche se, come l’A. avverte sottolineandone gli impliciti limiti, fatta soltanto sulla base della documentazione del Codice Pelavicino nel regesto del Lupo Gentile, non sempre fedele nella tra- scrizione dell’escatocollo documentale con le subscriptiones notarili. (49) É il caso del notaio Lombardus, assai attivo sotto il governo del primo vescovo-conte Pie- tro, il quale rogò nel 1188 un’investitura di terre da parte di laici, pur legati al vescovo, al priore di S. Michele del Monte: ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1188, aprile 29. (50) Per i diversi esempi R. PAVONI, Il sigillo di Enrico da Fucecchio cit., pp. 31-33. (51) Per i quali vd. A. MEYER, Felix et inclitus notarius. Studien zum italienischen Notariat vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Tübingen 2000, specie pp. 12-47. Per il caso ascolano, ove i pre- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 88

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comes è verificabile nella documentazione superstite soltanto per il XV secolo inoltrato (52). Quando la burocrazia vescovile fu costretta a convivere, spesso forzatamen- te, con le aspirazioni autonomistiche dei comuni rurali, oltre che con la nobiltà di diritto o di fatto, e dopo che, per il controllo egemonico dell’apparato burocrati- co di governo, i vicini stati cittadini (dapprima Pisa, Genova, Lucca) ebbero espor- tato proprî giuristi e proprie procedure di amministrazione, il problema della cu- stodia degli atti, e quindi della loro redazione, divenne nodale (53), con una conseguente crescita dell’attenzione al notariato, che d’altra parte veniva pene- trato da tali influssi giuridico - notarili (54). Alla metà del XIII secolo l’apparato curiale, permeato di elementi forestieri imposti dalla struttura politico-gestionale durante l’alterna egemonia delle città di Pisa e di Lucca, si evolse verso una struttura amministrativa vicariale (55), con una propria burocrazia, anche di scribi, dipendenti dal vicario, determinata dal ‘condominio’, particolarmente su Sarzana e la bassa Val di Magra, del vescovo e del comune lucchese (nei primi anni cinquanta del XIII secolo per la verità di quel-

suli esercitavano simile prerogativa anche prima del conferimento di effettiva potestà, ottenuto nel 1231 dal papa Gregorio IX, M. CAMELI, Notai vescovili, notai chierici, notai con duplice nomina nella chiesa ascolana del XIII secolo, testo distribuito in formato digitale in «Scrineum rivista», 2 (2004), specie pp. 5-6, 9-13. (52) Archivio di Stato di Massa (= ASMs), sezione di Pontremoli, Notarile di Pontremoli, b.1, Bartolomeo Borborini, c. 69r: il vescovo lunense Francesco da Pietrasanta crea nel febbraio 1451 tre «veros et legitimos tabelliones et ordinarios», alcuni dei quali avrebbero poi rogato per la sua stessa curia; cfr. E. M. VECCHI, Gio. Lorenzo Villani, un notaio di curia alla corte pontificia nella metà del Quattrocento, in «ASPP», n.s. L (1998), pp. 50-85. (53) Per il rapporto fra conservazione e comuni, è ancora utile la sintesi in M. BERENGO, Lo stu- dio degli atti notarili dal XIV al XVI secolo, in Fonti medioevali e problematica storiografica, Atti del Congresso internazionale tenuto in occasione del 90° anniversario della fondazione dell’Istitu- to Storico Italiano per il Medioevo, Roma 1977, pp. 149-172. (54) Più indagato, anche per la maggiore ricchezza di cartulari conservatisi, è il notariato nel- l’area di dominio genovese, in particolare a Porto Venere, ove si può registrare un significativo di- namismo notarile per la complessa gestione degli affari del comune e per la vivace imprenditoria- lità commerciale della clientela privata, entrambe di portata mediterranea. Ne venne favorito, soprattutto a partire dalla prima metà del XIII secolo, un vigoroso rampollare della classe di notai locali, spesso elementi di dinastie professionali familiari, con alternanza dell’attività di rogazione di atti privati con quella di atti pubblici per i rappresentanti del comune, che inducevano talvolta i notai, onde espletare adeguatamente le loro mansioni, a trasferte fuori sede, e questo per entram- bi i settori della produzione documentale, assimilatasi dal XII secolo avanzato con quella ligure: cfr. G. FALCO, G. PISTARINO (a cura di), Il cartulario di Giovanni di Giona di Portovenere (sec. XIII), 2 Borgo S. Dalmazzo 1955 , specie pp. VIII-X dell’introduzione; G. PISTARINO, Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro (1258-59), Genova 1958; ID., Corsica medievale: le terre di San Venerio, in Miscellanea di studi liguri in onore di Giorgio Falco, Milano 1962, specie pp. 19-104. (55) R. PAVONI, Il sigillo di Enrico da Fucecchio cit., pp. 34-37 sul rapporto fra la vicaria, testi- moniata dal 1252, l’alternarsi del predominio pisano e lucchese e la trasformazione della struttura burocratica notarile. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 89

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lo pisano) e con una più ordinata gestione delle scritture giudiziario-ammini- strative. L’organizzazione comunale sarzanese si era a sua volta predisposta, già pro- babilmente a partire dalla prima metà del XIII secolo, sotto la podesteria di Mar- chesello di Mulazzo (56), sicuramente dal 1269, a portare particolare attenzione ai ruoli e incombenze dei notarii communis, al mantenimento dell’archivio cor- rente, all’allestimento di registri specializzati, alla conservazione dei complessi statutari (57). I punti di forza della legislazione sarzanese medievale sul notariato per il bas- so medioevo sono il corpo statutario e normativo del 1269 (58), in cui compare an- cora forte il rapporto consuetudinario fra podestà, insieme con il funzionariato burgense, e vescovo, in un’ottica di più o meno velato controllo lucchese (59) ed i seguenti statuti del 1330 (60), redatti durante il dominio pisano su Sarzana. Non fu certo un caso che proprio nello stesso terzo decennio del XIV secolo il Co- mune sarzanese decidesse di «avere ordinatamente sottomano le pezze giustifi- cative della propria struttura giuridica, della propria entità patrimoniale, della pro- pria organizzazione civile», affidando la redazione di quella che è oggi considerata la parte più antica del suo primo liber iurium (61), il Registrum, chiamato prima

(56) Così si afferma relativamente alla conservazione dei quinterni officialium communis, ma anche dei privilegia e instrumenta negli statuti del 1269. Si cita da Corpus statutorum luni- gianensium, I (1148-1308), a cura di M. N. CONTI, La Spezia 1979, p. 142. (57) Sulla formazione dell’Archivio Comunale vd. ora A. ROCCATAGLIATA, La legislazione ar- chivistica del Comune di Sarzana, relazione presentata a Dall’isola del Tino e dalla Lunigiana al Mediterraneo e all’Atlantico, In ricordo di Geo Pistarino (1917-2008), Convegno di studi (La Spe- zia 22-24 maggio 2009), c.s. (58) In CP, nr. 60, 1269, novembre 5, edito da L. PODESTÀ, Gli statuti di Sarzana dell’anno MC- CLXIX, in «Monumenti di Storia Patria delle Province Modenesi. Serie degli statuti», IV/1 (1893), pp. 1-121; ripreso in Corpus statutorum lunigianensium cit., pp. 127-178, specie pp. 136, 163-164 per il notariato. (59) Da ricordare il memoriale di Enrico da Fucecchio nel quale egli si arroga il merito di aver «per potentiam et auctoritatem Romane Ecclesie» espulso il comune lucchese e i suoi uomini da tutto l’episcopato, «qui dicebant et vindicabant eius habere et iurisditionem episcopatus in omni- bus terris ... ponendo ibidem annuatim vicarios, iudices et notarios ... pro eorum libito voluntatis...»: CP, Addenda, nr. 4, s.d. (60) Gli statuti di Sarzana del 1330, a cura di I. GIANFRANCESCHI, Bordighera 1965, specie pp. 85-88, 201. L’inizio dell’elaborazione per l’aggiornamento legislativo viene posto dall’editrice nel- l’ottobre del 1329. Ebbe due revisioni presso commissioni di cittadini pisani, al fine dell’approva- zione e promulgazione, rispettivamente il 31 maggio e il 20 ottobre 1330. Il codice, denominato Li- ber statutorum Communis Sarzane, è in realtà diviso in tre libri, i primi dei quali si mantengono nel solco degli statuti del 1269, mentre il terzo discende dai Constituta legis Pisanae civitatis. È conservato in Archivio Storico del Comune di Sarzana (= ASCSr) ed è una copia semplice, coeva. (61) Il ‘Registrum Vetus’ del Comune di Sarzana, a cura di G. PISTARINO, Fonti e studi dell’I- stituto di Storia medioevale e moderna dell’Università di Genova, VIII, Sarzana 1965, p. X dell’in- troduzione, d’ora in poi citato come Il ‘Registrum Vetus’, contenente 108 documenti datati fra il Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 90

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Civitatis Sarzane ed infine Registrum Vetus (fig. 7), al notaio Tommasino del fu Bonaccorso da Sarzana (62), scriba e notaio pubblico sulla cui figura dovremo ritornare. Negli statuti del 1269 sono presenti paragrafi prescrittivi dell’attività dei no- tarii communis e di quelli civili, questi ultimi tanto di nascita sarzanese, quanto solo residenti, nonché della trasmissione, e quindi della conservazione del valore legale delle scritture e dell’estrazione di documenti da cartulari di notai defunti, che deve esser preventivamente concessa da un’autorità riconosciuta, prassi que- st’ultima che non sembra sempre osservata. I notai comunali dovevano rogare gli acta communis su quinterni, che veni- vano consegnati l’anno seguente nel primo consiglio, alla presenza di podestà o di consoli o loro vicari, per un’adeguata ispezione e la seguente conservazione in scrineo, rimessa al camerario, mentre per quelli civili si imponeva, tramite giu- ramento, quella che è stata definita «la triplice redazione dell’instrumentum» (63), con l’obbligo, cioè, di non imbreviare od estrarre atti senza averne prima re- datta la relativa sceda o nota, la scrittura schematica stesa al momento del nego- zio, in forma di sunto giuridico esaustivo, ma con valore pubblico, da leggersi al momento della stipula ai contraenti (64), prima di dar luogo alla stesura dell’atto con le prescritte publicationes. Le scedae dovevano poi esser riportate nel liber

1153-1154 ed il 1592, 49 dei quali del secolo XIV. Per la tipologia dei libri iurium si rimanda a P. TORELLI, Studi e ricerche di diplomatica comunale, Studi storici sul notariato italiano, V, rist. Roma 1980 e ai diversi contributi in Civiltà Comunale: libro, scrittura, documento, Atti del convegno del- l’Associazione italiana dei paleografi e diplomatisti (Genova 1988), in «ASLSP», n.s. 29/2 (1989), spe- cie ad A. ROVERE, I Libri iurium dell’Italia comunale, ibidem, pp. 157-199; per una sintesi tipologi- ca e storiografica EAD., Tipologie documentali nei Libri iurium dell’Italia comunale, in La diplomatique urbaine en Europe au Moyen Âge, Actes du Còngres de la Commission internationale de Diplo- matique (Gand 1998), a cura di W. PREVENIER, T. DE HEMPTINNE, Louvain-Apeldoorn 2000, pp. 417-436; D. PUNCUH, La diplomatica comunale in Italia: dal saggio di Torelli ai nostri giorni, in La di- plomatique urbaine en Europe au Moyen Âge cit., pp. 383-406, disponibile anche in formato digi- tale nel web; ID., Notaio d’ufficio e notaio privato in età comunale, in Hinc publica fides. Il no- taio e l’amministrazione della giustizia, Convegno internazionale di studi storici (Genova 2004), a cura di V. PIERGIOVANNI, Milano 2006, ora riedito in All’ombra della Lanterna. Cinquant’anni tra archivi e biblioteche, 1956-2006, a cura di A. ROVERE, M. CALLERI, S. MACCHIAVELLO, Genova 2006, pp. 883-904. (62) Tommasino esempla come scriba del comune i primi documenti de Il ‘Registrum Vetus’ (nrr. 1-51, 54, 56-57, 68, 77-88, cc. 3r-26v), l’ultimo dei quali datato al 1326, aprile 2, con tutta proba- bilità copiati posteriormente alla data di rogazione, e roga come notaio pubblico, convalidando l’at- to con il proprio signum tabellionis, i nrr. 59-67 fra il 1331, febbraio 20 e il 1332, novembre 8, cfr. ibidem, pp. XIX-XXV; XXIX-XXX dell’introduzione. (63) G. COSTAMAGNA, La triplice redazione dell’instrumentum genovese, Genova 1961. (64) Sono esclusi dalla procedura gli instrumenta appellationum, denunciationum, requi- sitionum et protestationum et procurationum, che possono esser solo letti e poi scritti. Le scedae erano usate dai notai di curia Lombardo e Conforto già dalla fine del secolo XII: cfr. CP, nr. 534, 1185, dicembre 22; nr. 146, 1198, febbraio 1. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 91

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Fig. 7 - Archivio Storico del Comune di Sarzana, Registrum Vetus, completio di Tommasino del fu Parente di Stupio, copia di mano di Tommasino del fu Bonaccorso da Sarzana.

o quinternus, cioè nei suis registris… ad scedas publicas scribendas deputatis, infine si passava alla redazione del mundum in pergamena, da consegnarsi alle parti che lo avessero richiesto, come probativo dei loro diritti, entro l’ottavo gior- no dal pagamento. Sono particolarmente all’attenzione del legislatore i modi di trasmissione sia delle scedae, di cui si conferma espressamente la validità giuridica, sia delle im- breviature, da parte degli eredi di un notaio morto, di notai allontanatisi da Sar- zana oppure di notai malati, ad un successore cui fosse stata data da un’autorità la specifica potestà di completio e pubblicazione. Specie nel primo caso si trat- tava di un patrimonio cospicuo, anche in termini finanziari, per cui l’eredità do- cumentale delle scedae da redigersi in pubblica forma, spesso da portare da una forma imbreviata a quella in extenso, doveva esser trasmessa con l’assenso e la supervisione del consiglio sarzanese, alla presenza dei consoli o del podestà, an- che per le necessarie implicazioni economiche che si mantenevano verso la fa- miglia dell’originario rogatore. Gli statuti trecenteschi mostrano un’elaborazione della disciplina normativa, tanto nella selezione dei rogatari quanto nella prassi di rogazione (65), che dove- va andare a codificare una pratica già diffusa, per quanto possiamo giudicare dal- le consuetudini di redazione degli atti di Giovanni di Parente e di altri notai suoi contemporanei. Vi è, ormai, un collegio notarile che vaglia gli iscritti, una vera e

(65) Gli statuti di Sarzana del 1330 cit., in particolare pp. 85-88. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 92

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propria corporazione, certamente non esente dalla vigilanza dei giusdicenti pisa- ni dell’epoca: essa fa giurare ai notai ogni anno di rispettare le norme statutarie, controlla le formalità giuridiche della loro produzione, impedendo di fatto l’e- sercizio professionale a quanti non siano o pisani o parte attiva del collegio me- desimo. Detta anche le regole di stesura per la redazione in pubblica forma: i con- tratti devono esser riportati non su foleis, ma su un quaternus di cinquanta fogli, entro il quindicesimo giorno dalla stipula, il quale quaderno deve recare, sia all’i- nizio sia alla fine, gli stessi elementi della completio: il signum tabellionis e la sub- scriptio del notaio che occorre contenga precisi dati biografici del rogante. La completio è una delle «forme della credibilità» dell’escatocollo, la parte finale del- l’atto, forme cioè autenticatorie anche della personalità giuridica del notaio, ba- silari circa le funzioni di attendibilità, valore e capacità probatoria per le quali ven- gono redatti i contratti e senza le quali il mundum, l’atto consegnato alle parti, non avrebbe perfezione formale. Si prescrive anche che compaia nella subscrip- tio l’autorità che ha costituito il notaio. La trasmissione degli atti dei notai cessati passava attraverso la scelta di un membro del collegio come depositario, prima, e tramite la consegna dei registri ad opera del podestà o del giudice del Comune, poi. Regime protezionistico, dun- que, ma ove è maggiormente affermata, rispetto al sistema delle scedae, la tenuta dei protocolli notarili, che già intorno agli anni ’90 del XIII secolo possiamo con- siderare pratica comunemente osservata. Il più antico esempio pervenutoci è il registro di imbreviature di Parente di Stupio (66), unico oggi conservatosi dei ci- tati protocolli notarili scomparsi dal Notarile di Sarzana. Nell’ultimo quarto del Duecento si affinarono anche le pratiche di conserva- zione della documentazione inerente la curia vescovile lunense, soprattutto nel- la forma di un «archivio thesaurus», un archivio di destinazione adibito a racco-

(66) Il registro di Parente di Stupio non è oggi consultabile, perché, dopo esser stato conser- vato per anni in una cassetta di ferro presso l’Archivio Notarile Distrettuale della Spezia, è stato affidato nel 2003 al Laboratorio per la conservazione ed il restauro dell’Istituto Centrale per la Pa- tologia del libro, affinché si procedesse al consolidamento e restauro, resi impellenti dalle condi- zioni del manufatto, di cui è dato conto con interessanti relazioni in AA. VV., Il registro notarile di Parente di Stupio, in Libri e carte. Restauri e analisi diagnostiche, a cura di R. CARRARINI, C. CA- SETTI BRACH, Quaderni I, Istituto Centrale per la Patologia del libro, Roma 2006, pp. 15-59. Compo- sto da sei fascicoli di carta araba occidentale di fibre di lino, forse di provenienza spagnola, che pre- sentano in due fogli la particolare marca dello «zig-zag», per un totale di cc. 222, raccoglie 464 (o 474 secondo Pistarino, citato infra) rogiti, che vanno dal 9 marzo 1293 al 14 dicembre 1294, sia pure con una lacuna per inattività. P. CHERUBINI, Il registro di imbreviature di Parente di Stupio da Sar- zana, ibidem, pp. 55-58, ne dà una sintetica descrizione. Vd. poi G. PISTARINO, Una fonte medieva- le falsa cit., pp. 50, 90, 94-97 e passim, che utilizzò ampiamente il registro per la comparazione dei modi di rogazione e del tenore degli atti con il protocollo di Saladino, in precedenza erroneamente supposto duegentesco, in realtà opera di falsario, dedicando alcune pagine anche ai caratteri estrin- seci del registro. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 93

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gliere i fondamentali documenti pertinenti la chiesa lunense, principalmente per la parte di formazione e governo del patrimonio (67). In parallelo, infatti, con l’azione di consolidamento e recupero dei punti di for- za del proprio potere signorile (castelli, aree portuali, strade, dogane) e di deter- minazione di rapporti giuridici, nonché di concessioni ricevute dall’autorità im- periale (status di uomini e comunità nel dominio temporale e nella sua curia, prerogative concesse dai suoi predecessori al capitolo canonicale, diritto di bat- ter moneta), il vescovo Enrico da Fucecchio prese anche la decisione di racco- gliere i principali strumenti attestativi di diritti, possessi, negozi della Chiesa lu- nense, salvandone e razionalizzandone il patrimonio documentale inerente, che era stato già in piccola parte esemplato nel liber iurium Ecclesie Lunensis, det- to in seguito Codice Pelavicino (68). Con la creazione di tale liber il presule si conformava a quanto veniva fatto nelle sedi comunali, per motivi di opportunità politica, con fini di rivendicazione dei propri diritti davanti ai sempre più eviden- ti tentativi di emancipazione delle comunità e dei singoli, così come di concorrenza dei consorzi signorili nella sua diocesi-comitato, ma, oltre che di preminenza di potestà temporale, anche di memoria di antichità della chiesa. Il progetto non fu continuato da Antonio da Camilla, nonostante che nei primi anni del suo episco- pato l’azione di difesa e rivendicazione di giurisdizione, di cui abbiamo qualche traccia nelle lettere pontificie (69), si mantenesse nella linea operativa del suo pre- decessore. Un solo documento, per l’anno 1297, è stato copiato nel Pelavicino (70). La parte relativa ai beni patrimoniali posseduti dall’episcopato e ai relativi in- troiti, particolarmente nel distretto sarzanese, era stata in precedenza raccolta - previa indagine conoscitiva degli strumenti archivistici relativi e di testimo- niali - in un «liber et memorialis possessionum reddituum fictuum pensionum et

(67) Per il concetto di archivio thesaurus, largamente citato e ripreso dalla seguente biblio- grafia, F. VALENTI, Riflessioni sulla natura e struttura degli archivi, in ID., Scritti e lezioni di ar- chivistica, diplomatica e storia istituzionale, Roma 2000, pp. 90-91, già edito in «Rassegna degli Archivi di Stato», XLI (1981), pp. 9-37. Vd. poi G. CHIRONI, La mitra e il calamo. Il sistema docu- mentario della Chiesa senese in età pretridentina (secoli XIV-XVI), Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi nr. 85, Roma 2005, pp. 54-55. (68) Sul processo formativo del Pelavicino cfr. G. PISTARINO, Gli scrittori del codice Lunense (Pelavicino), in «Bollettino Ligustico», IX, 1-4 (1957), pp. 3-20, che sinteticamente descrive anche l’ordinamento all’epoca delle carte dell’archivio vescovile, contenute in cascete e tasche con ordi- ne topografico e per materia. Lo studioso si sofferma brevemente anche sulla relazione con il Liber Magister, ivi esemplato, contenente la documentazione relativa a redditi e proventi della Chiesa Lu- nense, che ritiene precedente e compilato nel quarto decennio del XIII secolo. Sui rapporti con le raccolte documentarie comunali e la legislazione statutaria ID., Il Codice Pelavicino, il Registrum Vetus e gli antichi statuti di Sarzana e Sarzanello, in «GSL», XIV (1963), pp. 81-91. (69) Les registres de Boniface VIII cit., nr. 3095, 1299, giugno 1, concessione di indulgenza a fa- vore del recupero delle chiese e cimiteri violati; nr. 3106, 1299, giugno 1, mandato al vescovo di Pi- stoia relativo ad una richiesta di permuta da parte del de Camilla, sui quali più ampie notizie infra. (70) CP, Addenda, nr. 19, 1297, novembre 10. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 94

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conditionum et aliorum iurium curie et episcopatus Lunensis» ad opera di un ga- staldo. Il vescovo Enrico ne aveva fatta quindi solenne deliberazione. L’investi- gazione fatta, oltre che «per bonos homines fidedignos», «per libros antiquos et cartas et scripturas», indica l’esistenza di precedenti registri della curia (71). La presenza di documentazione su registri (72) per le pratiche correnti, che non ci sono peraltro pervenuti, è testimoniata anche da altri due documenti, ri- portati anch’essi nel Pelavicino. Si menzionano quale exemplares del copista un liber preceptorum (73) ed un liber extraordinarius de preceptis et aliis scrip- turis extraordinariis, ambedue composti per il vicariato vescovile in provincia Lunexane. Il vescovo Enrico aveva dunque mantenuto la forma strutturale della burocrazia impiantata da Lucca, sostituendo la propria autorità a quella della città toscana (74).

(71) CP, nr. 27, 1285. (72) Sull’importanza dei registri ecclesiastici si rimanda ai contributi in I registri vescovili del- l’Italia settentrionale (secoli XII-XV), Atti del Convegno di studi (Monselice 2000), a cura di A. BAR- TOLI LANGELI, A. RIGON, Roma 2003; G. GARDONI, “Per notarios suos”. Vescovi e notai a Mantova tra XII e XIII secolo, in «Archivio storico lombardo», CXXXI-CXXXII (2005-2006), pp. 149-192. Nella diocesi di Luni i primi registri di acta curie della diocesi lunense conservatisi risalgono alla prima metà del XV secolo, su cui E.M. VECCHI, Alcuni spunti sulla società pontremolese alla metà del secolo XV dai cartolari notarili, in Papato, Stati regionali e Lunigiana nell’età di Niccolò V, Atti delle Giornate di studio (La Spezia-Sarzana-Pontremoli-Bagnone 2000) a cura di EAD., La Spezia 2004, specie pp. 518-519. L’organizzazione curiale vescovile era all’epoca strettamente col- legata alle dinastie notarili di Pontremoli, terra posta sotto il dominio milanese e sede ormai an- che della curia del vescovato di Brugnato. Il presule lunense Francesco da Pietrasanta (1415- 1469) vi si era trasferito nel 1437, divaricando l’azione pastorale da quella del collegio capitolare. Alla metà del secolo XV, quasi nella prospettiva ed aspettativa dei mutamenti istituzionali di tra- slazione di sede diocesana, di cui il capitolo era autorevole fautore, si cominciò anche a conserva- re in registri, organizzati ad opera degli stessi canonici, la documentazione della loro attività ec- clesiastica ed economica e a raccogliere in libri (chiamati poi volumina) quella relativa ai possessi capitolari. Il capitolo era, invece, fortemente integrato con l’ambiente sarzanese, ove risiedeva, e con il locale ceto notarile. Poteva per di più contare sul forte sostegno della Curia romana, di cui fu il principale interlocutore nelle pratiche di governo diocesano, particolarmente durante il pon- tificato del conterraneo Tommaso Parentucelli, papa Niccolò V (1447-1455), e poi durante il lungo cardinalato del fratellastro, Filippo Calandrini, entrambi usciti dalle sue file. Su questo E. M. VEC- CHI, Lettere e brevi di Niccolò V per il Capitolo di Luni, in Niccolò V nel sesto centenario della nascita cit., specie pp. 582-586 ed Appendice. (73) CP, doc. 29, 1285, aprile 4: il rogatore del precetto, «actum Sarzane, in domo domini epi- scopi», si qualifica come «scriba publicus». (74) CP, doc. 522, 1279, febbraio 20. Il registro viene anche genericamente definito «acta cu- rie vicarie lunensis sive terrarum domini episcopi». L’organigramma amministrativo-giudiziario del- la vicaria è descritto nel «titulo sive rubrica» del registro, fedelmente riportato: oltre il vicario, un giudice e assessore, infine due notai. I due acta esemplati, uno di seguito all’altro, sono particolar- mente importanti perché il primo è relativo al giuramento di precepta et sequimenta da parte de- gli uomini della Brina, distretto castrense oggetto di contrasto con i Malaspina e uno dei termini più rilevanti dei pacta del 1306, il secondo è la cerna dei comuni della bassa Val di Magra. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 95

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 95 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Nonostante la formazione di una burocrazia strutturata dopo la creazione del- la vicaria, nella diocesi lunense risultò più complessa che in altre sedi quella di un vero complesso di cancelleria della curia, con ordinata organizzazione dei pro- dotti dell’azione di governo dei vescovi. Il cardine della redazione documentaria rimase il rapporto con il notariato pubblico locale, con la traduzione dei contrat- ti nella forma di atti privati, la cui forza probativa dipendeva, quindi, dalla perso- na del notaio, stesi il più delle volte senza formule precettive o una qualche forma corroborativa vescovile. Tuttavia, soprattutto per azioni inerenti il governo spi- rituale, non si esitava in questo periodo ad emanare documenti di tipo cancelle- resco (75), quindi di autorità sovrana, in particolare nella forma delle lettere pon- tificie (76). Per quanto anche prima non manchino scritture vescovili in originale che guar- dino al documento pubblico pontificio (77), non è al momento possibile collegarle alla presenza di una cancelleria organizzata con azione continuativa o, invece, alle preferenze per atti in forma solenne, anche per motivi di immagine e prestigio, di singoli presuli di grande personalità, come Enrico da Fucecchio.

(75) R. PAVONI, Il sigillo di Enrico da Fucecchio cit., p. 21 edita un atto di Enrico da Fucec- chio del 1279, agosto 8, conservato nell’Archivio di Stato di Genova, steso secondo la tipologia del- le litterae exsecutoriae, munito di cordicella di canapa e sigillo pendente plumbeo, indicativo an- che nella rappresentazione iconografica di prerogative di autorità sovrana. Per valutazioni sul rapporto lettera- cancelleria-immagine di prerogative di sovranità A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moderne. Actes de la table ronde organisée par le Centre national de la recherche scientifique et l’École française de Rome (Roma 1984), Roma 1985, pp. 35-55. (76) La lettera, su supporto membranaceo, presenta elementi cancellereschi consolidati come l’intitulatio con formula di umiltà, l’inscriptio delle lettere patenti e la salutatio classica, breve narratio relativa allo stato di degrado della chiesa di S. Jacopo di Cignano che prelude alla richie- sta ai fedeli di contributo all’opera e di concessione di indulgenza nelle note formule. La datazione (millesimo, indizione, giorno del mese) è introdotta dal datum. Nessun annuncio del sigillo, e nep- pure, d’altra parte, alcuna completio notarile. Per la varietà di usi nel contesto arcivescovile geno- vese D. PUNCUH, Influsso della cancelleria papale sulla cancelleria genovese: prime indagini, in Papsturkunde und europäisches Urkundenwesen. Studien zu ihrer formulen und rechtlichen Kohärenz vom 11. bis 15. Jahrhundert, a cura di P. HERDE, H. JAKOBS, Köln-Weimar-Wien 1999, pp. 39-60, ora edito in All’ombra della Lanterna cit., specie pp. 679-686. (77) Ad esempio il privilegium Lunensis episcopi (così definito in un’annotazione tergale coe- va) con cui il vescovo Guidone nel 1057, dedicato a Dio il monastero di San Venerio del Tino e con- sacrato l’abate, ne riconosce i possessi: l’intitulatio, la lunga arenga, le formule corroborative e la sanctio, le sottoscrizioni autografe del vescovo e dei canonici testimoni avvicinano in effetti que- sto decretum, così definito nella parte dispositiva, ai privilegi pontifici. Non era presente il sigillo. Edizione in G. FALCO (a cura di), Le carte del monastero di San Venerio del Tino, I, 1050-1200, Bi- blioteca Società Storica Subalpina, XCI/1, Torino 1917, doc. nr. XIII, 1057, novembre 12. Per un qua- dro generale con periodizzazioni della produzione diplomatica vescovile si veda la silloge di fon- damentali contributi sull’argomento in La memoria delle chiese. Cancellerie vescovili e culture notarili nell’Italia centro-settentrionale (secoli X-XIII), a cura di P. CANCIAN, Torino 1995, con pre- cedente bibliografia. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 96

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Il notaio Giovanni fra mercanti, marchesi e clero Per l’accordo di pace del 1306 non si scelse di far ricorso ad alcuno degli of- ficiali della vicaria, nei quali il vescovo stesso poteva nutrire poca fede, se colle- gati agli amministratori sarzanesi ribelli; se fedeli al presule, non erano accetta- bili per i Malaspina, che non avevano una propria cancelleria, ma solo notai di fiducia. Non si scelse neppure un lodo arbitrale, l’ultimo dei quali era stato espe- rito negli anni ottanta del secolo precedente, con il tramite di un’autorità eccle- siastica (78). Ci si rivolse all’autorità e validazione giuridica per publica fides di notai sarzanesi ed alla forma dell’instrumentum per un contratto fra due parite- tici autori giuridici, ognuno dei quali rinunciava, nella sostanza, a forme che im- plicassero la manifestazione di sovrastanti poteri comitali o signorili. Pur se non pienamente incardinati nella burocrazia dei poteri territoriali, ci- vili od ecclesiastici, i professionisti prescelti dovettero avere, però, una qualche legittimazione, sia tramite il loro stesso cursus, sia per ruolo sociale e rapporti fi- duciari nei confronti delle parti che avevano loro commesso la responsabilità di documentare l’accordo. I notai coinvolti nella stipulazione della pace furono due. Non si è finora fatto caso ad un’affermazione contenuta in un inciso introdotto dal participio volens, che attesta appunto l’impegno di mantenimento dei patti siglati, presente nella breve narratio dell’ultimo atto pervenutoci, con il quale il vescovo Antonio, quale attore, rimette, come si era stabilito, agli amici e seguaci dei marchesi Ma- laspina ogni processo, sentenza e bando in cui fossero incorsi per le passate vio- lenze perpetrate fino al fatidico 6 ottobre. Giovanni di Parente afferma chiara- mente che i pubblici instrumenta (al plurale), nei quali è contenuta la composizione, sono stati scritti da lui medesimo e dal notaio Tommaso del fu Bonaccorso (79), che sarà in seguito, come abbiamo visto, scriba del comune sarzanese e spesso in rapporti di ufficio con i figli di Parente e di cui si conservavano protocolli nel- l’Archivio Notarile Distrettuale di Sarzana (80). Poiché niente ci è pervenuto

(78) È l’arbitrato del card. Gerardo Bianchi di Parma, vescovo di Santa Sabina, su cui tornere- mo più volte: CP, doc. nr. 526, 1281, maggio 6. (79) Tabula VI retro (c. 275v), 1306, ottobre 18: «... in compositione pacis inite inter ipsum do- minum episcopum et dictum Dantem, nomine predictorum dominorum marchionum et amicorum et sequacium eorundem, de qua pace continetur publicis instrumentis scriptis manu mei infrascripti no- tarii et Tommasii condam Bonacursii de Sarzana in presenti millesimo et inditione, die VI octubris ...». (80) Il ‘Registrum Vetus’, docc. nr. 59-64, 66-67: il giudice Tommasino di Parente è testimone di tutti gli atti, relativi soprattutto alla vendita di case da parte di privati, rogati fra il febbraio 1331 ed il novembre 1332 da Tommaso di Bonaccorso nell’interesse del comune di Sarzana e da lui quindi riportati nel registro comunale; doc. nr. 65, 1332, novembre 3, Tommasino stesso vende una casa, di cui è comproprietario con altri, al comune. Nel 1318, maggio 14, il figlio di Parente era stato uno degli ufficiali eletti quali provisores, terminatores et recuperatores iurium del comune di Sarza- na, in particolare per il riattamento e allargamento della Strada romea: ibidem, doc. nr. 43. Per i registri di Tommasino di Bonaccorso già nel Notarile di Sarzana vd. nota 37 dell’Appendice. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 97

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 97 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

della menzionata documentazione emanata da Tommaso, si possono fare solo ipo- tesi: o che i due notai abbiano collaborato nella stesura degli instrumenta pacis nelle diverse funzioni di dictator, estensore e rogatore, ma di ciò non vi è alcuna traccia, come invece dovrebbe essere, nella completio dell’atto di Giovanni, o che siano stati stesi altri atti, di eguale essenza contrattuale. Gli stessi pacta costitui- scono nell’instrumentum di Giovanni di Parente quasi un’appendice, non ben connessa al tenor, che avrebbe potuto aver necessità di una formulazione più am- pia e congegnata giuridicamente. La presenza di altri atti rogati renderebbe ra- gione anche del fatto che non furono estratti mundia dal cartulario di Giovanni. Oppure, come accadeva spesso in tal genere di composizione di conflitti (81), si stipularono clausole collaterali, soprattutto a carattere finanziario, che non tro- varono luogo nel documento di base, ma in atti separati. Può infine esser possi- bile che Tommasino abbia rogato nell’interesse del comune di Sarzana e dei suoi amministratori, che erano interessati alla remissione di condanne giudiziarie e re- ligiose da parte del vescovo. Se nel Bonaccorso che roga una procura a nome dei marchesi nel contesto del già citato arbitrato del 1281 potessimo riconoscere il padre di Tommaso (82), il rapporto fiduciario dei marchesi con questo notaio, che appare nella prima metà del XIV secolo ben inserito nella struttura burocratica comunale sarzanese, ne sa- rebbe confermato. Cerchiamo ora di vedere, per quello che ci consente la documentazione su- perstite, che può paragonarsi a meri frustuli documentali, quali fossero i pregi pro- fessionali del notaio Giovanni di Parente da Sarzana. Il rogatore dei documenti della pace apparteneva ad una stirpe di notai e uo- mini di legge che traeva origine da uno Stupio speziario (83), sempre indicato come

(81) Per la consuetudine in Toscana di non far comparire nell’atto di pace le transazioni fi- nanziarie per rimborso di danni o simili A. ZORZI, Pluralismo giudiziario e documentazione, in Pra- tiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Age, Ac- tes du colloque international (Avignon, 2001), a cura di J. CHIFFOLEAU, C. GAUVARD, A. ZORZI, Roma 2007, specie pp. 153-154. (82) CP, nr. 523, 1281, maggio 6. Nella completio dell’instrumentum procurationis inserto si nomina «Bonacursius notarius domini Guilielmi de Advocatis de Luca», mentre nella precedente narratio dello stesso documento è chiamato «Bonacurselli notarii de Montebello», località pres- so Bolano. (83) A. NERI, Intorno ai protocolli dei Griffi, in «GSL», V/1 (1913), pp. 15-37, lo identifica con uno Stoppium, citato in causa dal procuratore del vescovo lunense Guglielmo davanti a Norman- nino < de Bernarduccis>, iudice et locum vicarii tenente in provincia Lunensi, per un pezzo di terra in località Paternulo, documento in CP, nr. 123, 1269, maggio 30. Occorre rilevare che il Lupo Gentile nel regesto legge, dopo il nome, Speciavinum de Sarzana, mentre la corretta lettura è, in effetti, specia(r)ium de S(arzan)a. Ibidem, nr. 124, 1269, dicembre 9 è nominato come Stuppii speciarii in indicazioni confinarie. La conferma della proprietà di una bottega di famiglia, non sap- piamo però se quella originariamente di speziale, è nei protocolli notarili del nipote. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 98

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ascendente nelle sue subscriptiones, da cui era disceso Parente, notaio, quindi Giovanni e Tommaso o Tommasino, notai e giudici. Si conoscono i nomi di altri fratelli: il magister Stupio e Ottobono sono indicati dallo Sforza (84), Cherubini rileva nominati nelle carte di Parente solo tre figli: oltre ai due summenzionati no- tai-giudici, un tal Ioannello (85). Infine un Iambonus Parentis compare il 22 ot- tobre 1333 nell’elenco degli anziani e consiglieri di Sarzana (86). Potrebbe esser forse un altro fratello di Giovanni, pure lui presente nella lista come Iohannes Pa- rentis, senza l’indicazione di quondam per il patronimico, che sembra tendere a farsi appellativo cognominale, oppure il figlio di un omonimo. La tradizione no- tarile prosegue anche con i discendenti di Giovanni (87). La famiglia è considerata dalla storiografia lunigianese un ramo collaterale di quella che sarà la casata dei Griffi di Fosdinovo, di una diramazione provenien- te, però, da Falcinello. Inurbatisi come i loro collaterali a Sarzana, si consolida- rono in seguito per matrimonio in un unico ceppo, dal quale provennero quei no- tai quattrocenteschi che ci hanno dato nei loro protocolli molte notizie sulle famiglie dei Parentucelli e Calandrini (88). La famiglia di Giovanni era piuttosto abbiente e bene inserita nelle aree abi- tate dal ceto magnatizio sarzanese. Nelle datazioni topiche di alcuni atti, infatti, è citata la curia domus magne Parentis Stupii, ove viveva il nostro notaio, posta in Cantono, affacciata sulla porzione di strada romea o Francigena che attraver- sava il borgo e in prossimità della platea de Carcandula; era adiacente ad un’al- tra unità immobiliare di proprietà, una domus parva, anch’essa porticata e con orti (89). Una bottega o apotheca risulta poi appartenere a Giovanni, forse pro- prio quella del nonno speziale (90).

(84) Da G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, p. 234, dagli atti di Giovanni di Paren- te: il primo divise parte dell’eredità paterna con il fratello Tommaso il 30 luglio 1311. Sforza non usa purtroppo far riferimento né alla cartulazione, sia pure di mano archivistica, né ad un eventuale nu- mero di corda del cartulario utilizzato per tali dati. (85) P. CHERUBINI, op. cit., p. 55. (86) Il ‘Registrum Vetus’, p. 191. (87) Come si ricava dalla sottoscrizione in un atto rogato dal nipote Iacopino, figlio del fu magister Angelus physicus olim ser Iohannis Parentis de Sarzana, cfr. Il ‘Registrum Vetus’, nr. 85, copia autentica del 1383, settembre 3. (88) Cfr. G. SFORZA, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolò V, Lucca 1884, trad. tedesca Innsbruk 1887, passim. (89) ID., Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, pp. 234-235. Mi viene segnalato da Pino Meneghini, che ringrazio, che il toponimo r’ cantou o r’ cantòn, coincidente topograficamente anche con il can- to di San Rocco, detto così dall’omonima chiesa oggi scomparsa, è localizzato nell’angolo che cor- risponde all’immissione dell’antica via Grande (via Mazzini), settore della via Francigena, nella Piaz- za della Calcandola, oggi Matteotti. (90) Cfr. la datazione topica in ASSp, tabula VI verso, c. 220v, 1306, luglio 17: «Actum Sarzane in apotheca dicti Iohannis». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 99

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 99 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Non possiamo fare supposizioni sul suo percorso formativo ma, appartenen- do ad un ceto notarile, l’apprendistato professionale si svolse probabilmente a contatto con il consorzio familiare e nell’ambiente lucchese: con il fratello, che compare spesso fra i testi di scritture rogate sia da Giovanni sia dal padre, com- preso quelle del 6 ottobre 1306, dovrebbe aver condiviso il primo suo protocollo conservato (91). Nel nostro egli si qualifica come notarius et iudex ordinarius. Parente, e soprattutto il figlio, sembrano avere agli inizi del Trecento sul mercato della redazione di atti in Sarzana un maggiore prestigio sociale rispetto ad altri professionisti coevi. La concorrenza professionale non doveva mancare, visto che dal cartulario di Parente si rileva che vi operavano nella seconda metà del XIII secolo, fra nativi e residenti, ventitré giudici e notai, che raggiungono la trentina considerando anche quelli della bassa Val di Magra (92). Se il padre pare sapersi ben destreggiare soprattutto nell’ambito delle transazioni relative al com- mercio di panni (93), il figlio, oltre che rappresentanti dello stesso ambiente mercantile (94), ha fra i propri clienti i personaggi più ragguardevoli della vita ci- vile e religiosa lunigianese. Nel 1913 Achille Neri aveva individuato nell’Archivio di Stato di Genova, e quin- di pubblicato, documenti relativi alla spedizione di numerose scritture, conser- vate nella città di Sarzana ed anche presso privati, richieste nel marzo 1589 dal Se- nato genovese tramite il cancellarius dei procuratori, Andrea Rossano, inviato appunto «per ricercare alcune scritture toccanti al servitio nostro» tanto in Sar- zana quanto presso i notai Reghini in Pontremoli. I protocolli, fogliazzi e carte sciolte raccolti furono stipati in sei sacchi, del contenuto dei quali si dovette fare inventario, come si apprende dalla risposta del Commissario l’11 aprile e dalla suc- cessiva corrispondenza. Vennero spediti a Genova, in cinque casse legate e sigil-

(91) Cfr. infra. Il protocollo, oggi scomparso, avrebbe potuto indicare una compartecipazione o nella rogazione o nella stesura degli atti, ma anche essere il risultato della posteriore rilegatura di quaterni individuali dei due notai fratelli. (92) Si tratta, tuttavia, di cifre assai modeste di presenze professionali, se paragonate alle di- verse centinaia di notai testimoniati in insediamenti cittadini ad alta densità professionale, per cui Bartoli Angeli ha potuto parlare di scarso numero di notai in Genova (200) e Venezia (66), anche per la pratica del ‘numero chiuso’ stabilito dagli statuti collegiali: A. BARTOLI LANGELI, Il notariato, in Ge- nova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV. Atti del convegno (Genova 2000), «ASLSP», XLI/1 (2001), pp. 73-102: p. 83 e nota 26. (93) G. PISTARINO, Una fonte medievale falsa cit., pp. 40- 41 calcola sulla base del protocollo di Parente che circa dieci aziende operassero nel settore della lana lavata e dei panni forestieri che confluivano in Sarzana soprattutto dalle piazze genovesi, toscane, lombarde e di Oltralpe; P. CHERUBINI, op. cit., p. 57 quantifica nel 57% del totale di atti rogati da Parente quelli riguardanti tale settore, con un movimento di 2300 braccia di panni lavorati. L’elenco nominativo dei notai e giudi- ci coevi è dato dal Pistarino a p. 58. (94) Cfr. i contratti riportati in ASSp, tabula VI verso, c. 220. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 100

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late, dal Capitano Commissario in Sarzana, Giacomino Cattaneo, insieme con l’in- ventario redatto dal cancelliere Francesco Negro (95). Le scritture requisite, principalmente del secolo XIV, risultavano rinvenute nella casa del magnifico ser Nicolò Griffi e dei suoi fratelli, che avevano un vero patrimonio di cartulari e filze di notai defunti, specie dei propri ascendenti. Fra questi protocolli ben venti appartenevano a Giovanni di Parente, con estremi cro- nologici dal 1290 al 1335 (96), compreso il registro in comune con il fratello Tommaso, per un numero presumibile di carte da tremila a cinquemila (97) e quin- di una quantità almeno doppia di atti: un notevole volume di traffico notarile, con produzione di scritture derivate da una domanda sempre più considerevole, e per- ciò adeguata alle moltiplicate esigenze negoziali della società sarzanese, per una carriera durata circa quarantacinque anni. Al padre, ser Parente q. Stupii, appartenevano, secondo il citato elenco, cin- que cartulari (rogati dal 1293 al 1305), uno solo dei quali ci è pervenuto (98). È da ricordare che Parente sarebbe defunto sul finire del 1306, secondo una nota di mano dello stesso Giovanni stesa sulla coperta pergamenacea di un proprio car- tulario (99), perciò le due carriere si sarebbero intrecciate per circa tre lustri, pro- babilmente con accorta diversificazione nel mercato degli atti. Si può rilevare che furono raccolti dagli incaricati genovesi solamente quat- tro registri di altri notai operanti negli stessi anni. In seguito alla morte dei roga-

(95) A. NERI, Intorno ai protocolli dei Griffi cit., passim indica le seguenti collocazioni ar- chivistiche per la corrispondenza fra il giusdicente e il Senato: Archivio di Stato di Genova (d’ora in poi ASGe), Manuale del Senato, n. g. 835, 1589 marzo 22; Litterarum, reg. 586, 1589 marzo 24; Let- tere al Senato, filza 148, 1589 aprile 1 e 11. È oggi reperibile in Litterarum, 10 il solo inventario, che fu steso per la maggior parte del materiale documentale raccolto all’epoca. (96) Si danno nell’ordine di citazione gli estremi cronologici dei diversi protocolli indicati nel- l’inventario, che mostrano una quasi completa sequenza di redazione, indice peraltro anche di un buon livello conservativo: un libro in forma longa (1308-1310); uno simile (1310-1312); uno in forma larga del 1328; uno simile del 1326; un libro longo (1333); due simili (1324-1331, 1332-1335); un libro longo (1320-1321); sette simili (1321-1322, 1318-1320, 1301-1304, 1323-1324, 1314-1316, 1304- 1306, 1291-1292); un libro largo (1300); uno simile (1299); un libro longo (1316-1317), uno simile (1307-1308). La data 1299 è letta erroneamente 1229 dal Neri. Il protocollo del 1290-1296 è quello steso da Giovanni insieme al fratello Tommaso. (97) Il cartulario contenente l’instrumentum della pace era composto da oltre 275 carte, quel- lo del padre da oltre 220. Il calcolo del totale è, però, del tutto indiziario, perché i protocolli, anche di formato diverso, non avevano la stessa consistenza di fascicoli e soprattutto potevano esser di altra tipologia, come i minutarî. (98) Un libro longo (1298); quattro simili (1288, 1295-96, 1293, 1201-1205). Relativamente a que- st’ultimo protocollo Neri ritenne, con ogni probabilità a ragione, di dover correggere la data offer- ta dall’inventario in 1301-1305. È possibile che quello oggi conservato possa identificarsi con il re- gistro datato 1293, oppure che non sia compreso nell’elenco. (99) A. NERI, Intorno ai protocolli dei Griffi cit., pp. 21-22; G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, p. 234 la riporta integralmente: «Hobuit Parens pater meus M.CCC.VI, indictione IIIIa, die tertio decembris». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 101

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 101 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

tari, erano evidentemente passati anche questi ai Griffi, in ottemperanza alle nor- me statutarie sulla conservazione. Alla fine dell’Ottocento - inizi del Novecento si conservavano di Giovanni an- cora otto protocolli, secondo la testimonianza di Sforza (100), versati dopo il 1881, in data non accertata, al locale Archivio Notarile Distrettuale, provenienti dal- l’Archivio Civile della città di Sarzana, formatosi nel primo quarto del XVII seco- lo, ove erano sicuramente custoditi nel XVIII (101). Lo Sforza fedelmente riproduce anche la formula autenticatoria che compa- re sulla prima pagina del cartulario (102), seguita dalla subscriptio con signum tabellionis, cioè la sottoscrizione cui era premesso l’individuale simbolo della personalità giuridica del rogatore, indispensabile alla perfezione e regolarità del- l’atto e alla sua autenticità. Entrambi necessari per validare il contenuto degli atti

(100) Ibidem, nota 5 p. 320: i cartulari avevano questi estremi cronologici: 1) 25.3.1303-12.10.1303 2) 3.1.1304-23.12.1306; 3) 21.12.1310-24.4.1312; 4) 20.5.1312-24.12.1312; 5) 13.12.1314-28.12.1316; 6) 3.5.1318-15.1.1320; 7) 17.1.1320-21.1.1321; 8) 17.8.1321-7.3.1322. All’ultimo era unito anche un frammento di registro con atti dal 5.3.1330 al 4.6.1330. Quello contenente l’instrumentum pacis è il secondo dell’elenco di Sforza: un bastardello di oltre 275 cc. che potrebbe identificarsi con il «li- bro longo de contrati» «de 1304 insino a 1306» inventariato nel XVI secolo. Soltanto sei degli otto protocolli citati dallo Sforza sono congruenti per datazione con quelli presenti nell’inventario cin- quecentesco, il che potrebbe anche far presumere che, oltre ai volumi raccolti presso i Griffi per es- ser inviati a Genova, ne esistessero altri. Il Neri, Intorno ai protocolli dei Griffi cit., p. 27 sottolinea come, nell’inventario del 1625, di cui alla nota seguente, non compaiano che sette protocolli di Gio- vanni. (101) Come attestato dalla già citata autentica dell’archivista sarzanese Gio. Antonio Vivaldi in M. MACCIONI, Codex diplomaticus familiae Marchionum Malaspinarum cit., pp. 21, 24. L’Archivio presso il comune di Sarzana si era costituito fra il 1619 e il 1625, con il versamento dei materiali con- servati presso diversi notai, fra cui gli stessi Griffi: ASCSr, Liber collegii notariorum, 1625, maggio 17. Il Troja, che volle toccare con le proprie mani nell’archivio sarzanese, nel 1824, le scritture che riteneva redatte da Dante, afferma che dopo l’edizione del Maccioni «eransi dileguate nel corso del- le susseguenti guerre d’Italia», forse riposte al sicuro per motivi di sicurezza: C. TROJA, Appendice di dissertazioni al codice diplomatico longobardo, ovvero al quarto volume della Storia d’Italia del Medio Evo, Napoli 1855, pp. XXIII- XIV. Il Bassermann, se la traduzione dalla lingua madre è fe- dele, negli ultimi anni del XIX secolo, li dice custoditi «nell’archivio di stato di Sarzana», che in pre- cedenza ha chiamato «pubblico archivio», rendendo impossibile capire se fossero già stati versati al da poco costituito Archivio Notarile Distrettuale sarzanese. Per la verità tutto il brano relativo è infarcito di errori o superficialità (già commentate), quasi che l’autore non avesse fatto una diret- ta ricognizione delle carte, anche se sono da rilevare, nelle note al testo, i suoi personali rapporti con l’avv. Allmayer, attento frequentatore del Distrettuale, che sarà fra gli animatori delle giornate del centenario del 1306: A. BASSERMANN, Orme di Dante cit., pp. 367-370. (102) La riportiamo con le indicazioni degli a capo dell’originale e la grafia presenti in G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, pp. 232-233: «In nomine Domini. Amen. Anno a Nati- vitate ejus Millesimo / CCCVJ° indictione jjjja. Infrascripti sunt contractus / facti et abreviati per me Johannem filium Parentis / Stupij notarium de Sarzana. Qui si redegi opportebit / in publica forma reducuntur et fiant secundum formam / contractuum non mutando formam contractus / et scripti sint sive fuerint manu mei dicti notarii.» Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 102

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abbreviati ivi contenuti (103), ci permettono alcune considerazioni sulla prassi redazionale. Il notaio si qualifica sia come rogatore che come estensore degli instrumenta redatti in parte in forma abbreviata nel cartulare, chiamato liber o volumen, quindi considerato contenitore compiuto di fascicoli, dal quale pote- vano esser tratte le pergamene in publicam formam da consegnare agli attori e destinatari dei negozi, e nominato con la stessa terminologia delle raccolte di scrit- ture comunali e vescovili, legislative e documentarie (104). Non sappiamo – or- mai – se, come nel caso del padre, la subscriptio si ripetesse per autentificazione di ogni fascicolo inizialmente sciolto o se questa prassi fosse stata superata. Giovanni si identifica, applicando quanto prescritto dagli statuti, come sarza- nese, con il patronimico e con l’ascendente paterno. Si sottoscrive con la qualifi- ca di notaio e giudice ordinario, aggiungendo il «cuius sit auctoritate constitutus» richiesto dalla legislazione: attesta, cioè, di esser stato creato tale dal dominus Marzucco di Rusticuccio de Advocatis di Lucca e premette il suo signum tabel- lionis elaborato in eleganti forme gotiche stilizzate. La nomina a notaio per investitura da parte di un membro della famiglia co- mitale degli Avvocati di Lucca (105), secondo una prassi che venne codificata dal- lo statuto del 1308 (106), ma evidentemente seguita anche prima in Sarzana (107),

(103) Ibidem, p. 233: «Ego Johannes filius Parentis Stupii / de Sarzana notarius et iudex ordi- narius a domino / Marzucho olim domini Rusticucii Advocati / de Advocatis de Luca omnibus et sin- gulis / contractibus seu instrumentis scriptis in isto / libro seu volumine manu mei supradicti nota- rii interfui et rogatus / scripsi». In Dante e la Lunigiana cit., a pag. 179 è riprodotta una sua analoga subscriptio. (104) Nell’area notarile di influsso genovese risulta, invece, abbastanza comune la definizio- ne cartularium. (105) La subscriptio è rilevabile anche nella pergamena, rogata da Giovanni, oggi conservata in ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1302, luglio 3, relativa all’esecuzione delle volontà testamentarie del- la marchesa Orietta Malaspina, oltre che in copie semplici del Registrum Vetus, di cui alla nota 109. (106) Sulla quale A. MEYER, Felix et inclitus notarius, cit. Per il testo dello statuto cfr. Statuto del Comune di Lucca dell’anno MCCCVIII, ora per la prima volta pubblicato, edid. S. BONGI, L. DEL PRETE, (Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, t. III, parte III), Lucca 1867, cap. LXI: «Et quod nullus notarius Lucani districti et fortie possit fieri qui habeat minorem etatem XVIII an- norum et etiam qui non sit examinatus et adprobatus per unum domus Advocatorum simul cum uno saltem ex consulibus collegii iudicum Lucane civitatis subtus portichum domus Advocatorum, seu in ecclesia Sancti Michaelis domus Advocatorum vel Sancti Donnini vel in eorum curia, que dici- tur Advocatorum». (107) Tanto nel Codice Pelavicino che nel Registrum Vetus compaiono notai e giudici operanti nella seconda metà del XIII secolo, costituiti tali da membri della famiglia degli Avvocati. Oltre al Bonaccurso citato in precedenza, se ne riportano alcuni altri: CP, nr. 521, 1279, febbraio 20, Palea- logus filius Petri notarii de castro Sarzane; nr. 126, 1281, febbraio 2, Addornellus de Sarzana; nr. 33, 1286, marzo 18, Oppizo quondam domini Aldebrandi de Pistina. Da Il ‘Registrum Vetus’, nr. 12, 1253, novembre 4 o 5, Jacopus filius Verni de Sarçana; nr. 17, 1295, giugno 25, Raynerius fi- lius quondam Buroni de Sarçana; nr. 19, 1295, luglio 11, Symon filius Robertini de Vezano; nr. 13, 1296, novembre 6, Bonaventura filius quondam Bartolomei de Sarçana. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 103

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Fig. 8 - Archivio Storico del Comune di Sarzana, Registrum Vetus, rogito di Giovanni di Parente di Stupio, copia di mano di Tommasino del fu Bonaccorso da Sarzana.

indica stretti contatti di Giovanni con il milieu politico e amministrativo lucche- se, che possono esser stati un utile supporto per ottenere credito nella società locale controllata già da diversi anni dalla città toscana. Secondo lo Sforza, nel 1312 Giovanni si trattenne a Lucca per alcuni mesi e vi rogò contratti, come si poteva dedurre dai suoi registri (108). Nel Registrum Vetus sono esemplati, in co- pia semplice, due atti da lui rogati (fig. 8), il primo dei quali tratto da un registro di cancelleria, il Liber consiliorum et consiliarorum burgi et castri Sarçane. Sono entrambi inerenti le attività del Consiglio e del podestà, il lucchese Guglielmo de Podio, per il quale evidentemente Giovanni prestò nel 1297 la sua attività (109): ri- guardano la nomina del vicario, Dino Porco di Lucca, e il giuramento di obbedienza del procuratore della comunità e università di Castelnuovo. Fu proprio sotto Gu- glielmo de Podio, podestà anche del castrum Sarzane, che si verificarono fra il 1296 e il 1297 le ultime azioni contro il vescovo Enrico, mosse da «spiritu rebel- lionis», e la seguente resistenza degli homines del borgo e del castrum all’appli-

(108) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, p. 336. (109) Il ‘Registrum Vetus’, nr. 14, 1297, gennaio 18, pp. 38-39 e nr. 16, 1297, gennaio 24, pp. 40-41. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 104

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cazione della giurisdizione temporale del nuovo presule, Antonio da Camilla (110). Dunque l’attività di Giovanni si svolgeva in piena sintonia con gli amministratori lucchesi. Egli opera, come si è precedentemente detto, in un ambito notarile in cui è or- mai consolidata la fisionomia del protocollo di imbreviature. Il poco materiale su- perstite induce, però, a considerazioni con valore soprattutto indiziario, se non addirittura a supposizioni. Può in parte esser integrato con una ridotta selezione, in forma di regesto, dei suoi atti di cui furono attori o destinatari i Malaspina e loro familiares, raccolta dallo Sforza, ma non di sua mano, oggi conservata nell’Ar- chivio di Stato di Massa (111). Come lo studioso ci attesta indirettamente, riportando la già citata nota au- tografa di Giovanni relativa alla morte del proprio padre Parente posta sulla co- pertura in pergamena (112), il cartulario aveva avuto una legatura da parte dello stesso notaio. Diviso in fascicoli, come è ancora oggi accertabile, aveva la forma rilegata, con spago, del libro, non più percepibile neppure nelle dimensioni, con- siderato l’odierno modo di conservazione degli atti superstiti. È autografo, perciò Giovanni compie personalmente la redazione, senza collaborare, per quanto si può ricavare dai frammenti residui, con altri professionisti. Ciò è deducibile dal confronto con la già citata pergamena del 1302 (113) che mostra, quale mundum, un ductus più posato, di buona educazione grafica: la cancelleresca documentaria è elegante, non mancano capilettere ornati, forme grafiche di maggiore preziosità, probabilmente per la natura del contesto di clien- tela prestigiosa in cui il notaio si trova in quel momento ad operare (fig. 9). I sette bifogli estratti provengono, per taglio dello spago, con scarto delle car- te intermedie, da due fascicoli del protocollo, non completi. Le misure non identi- che, nonostante una raffilatura, indicano approntamenti diversi (114). La carta pre- senta come watermark una filigrana a giglio del tipo Briquet 6733, che risulterebbe diffusa anche in area toscana dall’ultimo quarto del secolo XIII, mentre in Geno- va si segnala, ma non con esempio ad unguem, nel primo quarto del XIV (115).

(110) G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., pp. 520-521 e CP, Addenda, nr. 19, 1297, novembre 10, per cui vd. infra. (111) ASMs, ms. nr. 73, Gruppo I, Memorie e Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, d’ora in poi citato come Documenti riguardanti la famiglia Malaspina. Si tratta di 15 regesti dal 1305, aprile 6 al 1312, marzo 7, numerati da 8 a 22. I regesti nr. 9, 15, 16, 18 si riferiscono agli in- strumenta delle tabulae. (112) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, c. 234. (113) Vd. nota 105, per il dispositivo vd. infra. (114) Si va dai mm 328 x 238 della tabula VII, che è quella cronologicamente antecedente, a mm 310 x 250 delle tabulae I, II, III; a mm 310 x 232 della IV; a mm 312 x 227 della V; a mm 236 x 315 della VI. (115) Per le caratteristiche del supporto si rimanda al saggio di Marco Sassetti quivi. Per Ge- nova cfr. Ch.-M. BRIQUET, Les filigranes des archives de Genes, in «ASLSP», XIX (1888), nr. 294. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 105

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Fig. 9 - Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Malaspina, mundum di Giovanni di Parente, 1302 (Autor. Minister.).

La scrittura è a pagina intera, con margini laterali ridotti; uno spazio bianco, di dimensioni non sempre regolari fra un atto e l’altro, è talvolta delimitato da un tratto rettilineo con un breve svolazzo a sinistra ed è funzionale anche ai neces- sari aggiornamenti nel cartulare della gestione dei contratti (116). Nel caso in

(116) A c. 220v (tabula VI retro), per esempio, nello spazio bianco prima della linea divisoria il notaio appunta la frase: «Non satisfactum fuit mihi de contractu et recordaris», introdotta da un Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 106

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cui le notazioni siano troppo ampie, trovano luogo dopo altri atti, con apposito se- gno di richiamo. Significativa per la conoscenza del processo redazionale quella relativa ad un contratto di vendita di terra da parte di Ughettus q. Guillelmi Cal- zolarii de Sarzana, insieme con la propria moglie, dalla quale si apprende che il fratello Averellus ha dato il suo consenso dopo che era stata «lecta primo sibi for- ma dicte venditionis» (117). Le condizioni di conservazione dei frammenti di fascicoli sono generalmente non buone, così da non consentire talvolta la completa lettura testuale. La scrit- tura di alcuni atti, infatti, stesi con modulo variato, con inchiostri diversi a causa dei diversi momenti di redazione, è in parte vanita, soprattutto nella sezione in- feriore dei fogli, laddove si registrano le motivazioni di cassature e risoluzioni del contratto, mentre vaste macchie e conseguenti perdite di materiale per lacera- zioni segnano la parte destra del recto delle carte con possibile epicentro a c. 271r, dove inizia l’instrumentum pacis. Il restauro digitale recentemente condotto ha potuto dare un contributo proficuo per un maggior risalto dell’inchiostro nel- le parti un po’ vanite, meno utile per quelle ammalorate (118). Nelle 14 carte sono contenuti 22 instrumenta, non sempre riportati nel pro- tocollo nella sequenza cronologica di rogazione, che testimoniano, con ampie lacune, l’attività prestata dal notaio fra il 27 febbraio ed il 18 ottobre del 1306: 6 sono quelli che hanno determinato per fini conservativi e onorifici l’estrapolazione delle carte, sui quali esiste una bibliografia, per alcuni cospicua; 16 quelli che tro- vavano spazio di seguito e non sono stati presi in esame, per la scarsa evidenza sociale di coloro al cui nome gli atti stessi sono intestati o per la supposta non con- gruità con le azioni giuridiche considerate storicamente interessanti. Tuttavia 6 di essi, o forse 7 (119), sono collegabili all’azione contenuta nella tabula VII, conservata per la presenza del nome della marchesa Alagia Malaspina, moglie di Moroello di Giovagallo, sui quali ci soffermeremo ulteriormente. Gli atti sono tanto in forma imbreviata quanto in extenso, in tal caso con po- chissime o nessuna formula ceterata, molto vicini perciò all’originale che doveva esser posteriormente redatto in pergamena per la consegna alle parti. Ciò fa pre- supporre una precedente minuta, sia nella forma sintetica della sceda, sia in una stesura sommaria, raccolta in un minutario.

segno di forma rettangolare. L’atto, un contratto di vendita di panni verdi con pagamento differito di un mese, stipulato nell’apotheca di Giovanni, è imbreviato. (117) A c. 187v. L’atto è in extenso e presenta l’indicazione dell’estrazione del mundum. (118) Inoltre gli interventi grafici di mano archivistica sulle tracce di lettere complicano in al- cuni casi la lettura. (119) Di un altro atto (tabula VI fronte, c. 220r) rimane poco più dell’escatocollo, per cui non si conoscono gli attori, tuttavia dalla data topica (il convento minorita di Sarzana) si potrebbe ipo- tizzare che anche questo fosse pertinente al citato raggruppamento di 6. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 107

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La compresenza di due diversi tipi di redazione delle scritture incluse nel pro- tocollo sembrerebbe indicare, pur nell’identica capacità di valore giuridico degli atti, una differenza di considerazione della forma documentale, che appare ac- centuarsi proprio nel caso degli atti ‘danteschi’. Rimangono esempi della lineatura di Giovanni: cassature con indicazioni del- la motivazione, annotazioni in margine di estrazione del mundum tramite il ter- mine abbreviato facta, che sottintende carta (120). Le date croniche negli atti in estenso, che sono soprattutto quelli relativi alla pace e ai negozi del convento francescano, ma anche alcuni per affari a caratte- re mercantile (121), si accodano all’invocatio verbale, secondo una formula consueta che reca l’indicazione dello stile adoperato dal notaio (quello della Na- tività), anno, indizione, giorno in forma numerale e mese (122). In quelli imbre- viati è presente, come titolatura, l’indicazione del giorno e del mese, talvolta del- l’anno; se più atti sono redatti nella stessa occasione si usa la consueta formula ea die, oppure quella più ampia: ea die, loco, tempore et coram testibus sopradictis. L’indicazione dell’ora compare solo nella procura e nell’instrumentum pacis (123). La datazione topica è variata: per la maggior parte Giovanni roga in abitazio- ni private degli autori giuridici o destinatari dell’atto, soprattutto il convento e la chiesa francescana, poi nella propria abitazione o bottega, qualche volta nella do- mus di semplici privati. L’atto di procura per Dante risulta stipulato all’aperto, nella platea della Cal- candola, e i quattro atti seguenti nel palacium vescovile di Castelnuovo, costrui- to da Enrico da Fucecchio (124), per la precisione in camera episcopalis palacii. Un lettura un po’ ingenua di questa datazione topica, ripresa anche di recente (125), ha collegato la ‘camera’, termine con cui si indica nei documenti, pure per il ca- strum di Ameglia, l’ambiente di vita e di rappresentanza del castello, solo nel caso di Sarzanello distinto dalla camera curie per gli affari di governo, ad una presun- ta malattia del vescovo, costretto dunque a ricevere colà Dante ed i testimoni. A voler esser coerenti nell’interpretazione di semplice ‘camera da letto’ si dovreb-

(120) Giovanni chiama, come è consuetudine, la pergamena da estrarsi carta, termine usato in modo equivalente alla sceda, con pubblico valore, come si può rilevare dall’espressione da lui uti- lizzata in Il‘Registrum Vetus’, nr. 16, 1297, gennaio 24: «sicud de ipso sindacatu constat per car- tam seu scedam publicam factam de manu…». (121) Per esempio tabula VI retro, c. 220v, 1306, luglio 17: da sottolineare che segue un altro atto, redatto nello stesso giorno e con l’indicazione di data abbreviata. (122) Poiché l’indizione dominante il 1306 non muta nei contratti di Giovanni da febbraio ai pri- mi di dicembre, egli dovrebbe usare l’indizione romana. (123) Tabula I fronte, c. 270r: ante missam; tabula II fronte, c. 271r: in hora tertia. (124) CP, Addenda, nr. 4, Autobiografia del vescovo Enrico, s. d.: «... in Castronovo fecimus fieri palacium et turrim magnam et claustrum vinee». (125) G.L. COLUCCIA, Missione diplomatica di Dante a Sarzana e Castelnuovo (1306), Postilla giuridico-politica, in «Cronaca e storia di Val di Magra», XXXIII-XXXIV (2004-2005), pp. 29, 37. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 108

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be ammettere che egli rimanesse ammalato per quasi tutto il mese di ottobre, con- siderato che il luogo di rogazione rimase lo stesso anche per gli atti seguenti! La scelta della sede per la stipula conclusiva dei patti di pacificazione fra i due poteri, piuttosto vicina a Sarzana, ma pur sempre emblema fortificato della si- gnoria vescovile, in particolare di quella del bellicoso Enrico, ha un indubbio va- lore rappresentativo, in bilico fra la realtà dei mutati rapporti con i Malaspina (e con Sarzana e Sarzanello) e quella di un ancor saldo prestigio del presule. Proprio nel palazzo Antonio da Camilla, nel settembre del 1297, aveva vigilato sul com- puto finale fatto dal collettore, il priore Bertolotto, con la ratio reddita della pri- ma e seconda paga del secondo anno della decima triennale pro subsidio Rengni Cicilie decretata dal pontefice Bonifacio VIII (126). Nel borgo di Sarzana era in- vece una domus del vescovo «ubi iura redduntur», che era più adatta al disbrigo degli affari di governo correnti. Se era la stessa acquistata dal predecessore En- rico per «bene habere dominium Sarzane», doveva essere anche in posizione dominante, giacché questo edificio, in precedenza di proprietà di un tal Segnuc- cio, era stato una testa di ponte dell’occupazione della terra da parte del mar- chese Moroello Malaspina, che aveva così potuto togliere al vescovo il controllo di Sarzana (127). Il numero dei testi presenti ai diversi atti risulta variato, da due ad otto, anche per i negozi commerciali. Dei tre presenti alla stesura della procura all’Alighieri, solo due, il frate minorita Guglielmo Malaspina e il fratello del notaio, Tommasi- no, risultano partecipare anche all’atto seguente. Ad essi si aggiungono nel pa- lazzo di Castelnuovo testi qualificati, che rappresentano elementi mediatori o co- munque vicini ad ambedue le parti. Se Percivalle da Camilla (128) e Franceschino di Pietro Pellacane da Sarzana, giudice e dicreta persona in legibus et decreta- libus (129), sono rispettivamente fratello del vescovo e membro dello staff della curia vescovile, un altro frate minorita, Gasparino e l’arcidiacono Bartolo, sono

(126) G. PISTARINO, Le pievi della diocesi di Luni cit., p. 88, 1297, settembre 23: «in palacio ipsius domini episcopi». R. BAROTTI, La documentazione archivistica del vescovo e del capitolo, in Da Luni a Sarzana, 1204-2004 cit., p. 415 rileva dalle datazioni topiche che il 45 % delle residen- ze vescovili registrate negli atti sono nel castrum Sarzane, vero e proprio centro dell’amministra- zione della curia dell’episcopato, seguite da quelle nel castrum di Ameglia. Per la camera palatii, ovvero la camera domini episcopi in curia Amelie, cfr. ibidem. (127) ID., Una fonte medievale falsa cit., p. 35, ricava dal manuale di Parente la notizia della do- mus di Antonio. Per Enrico da Fucecchio cfr. CP, Addenda, nr. 4, s.d.: «... ex eo quod dominus Mo- roellus occupaverat dictam domum et per consequens terram totam tenebat». (128) Brevi indicazioni biografiche in G. BIAGI, G.L. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco cit., p. 3, ed in A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni cit., passim. (129) Sulla cui attività svolta per sette o otto anni al servizio del vescovo e sulla contesa giuri- dica contro Percivalle de Camilla per il salario non ricevuto dopo la morte del presule, L. BALLET- TO, Franceschino di Pietro Pellacane, giurista sarzanese del tempo di Dante, in «GSL», n.s. XXIV-XXV, 1-5 (1973-1974), pp. 147-161. Le qualifiche del Pellacane riportate sono fornite dai testi- moni della querelle. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 109

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 109 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

le voci rispettivamente dei minoriti, insieme all’autorevole fra Guglielmo, che ri- mane pur sempre un Malaspina, e del capitolo cattedrale. Un discorso un po’ più ampio merita il dominus Mazzingo da Prato. I suoi buoni rapporti con l’entoura- ge notarile, in particolare con quello dei figli di Parente, sono dimostrati dalla sua partecipazione, insieme a Tommasino, all’arbitraggio di una lite per la metà di una dote (130). Nel 1325 Mazzingo de Mazamucis de Prato, giurisperito, è presente in qualità di teste a Genova (131), dove Alagia Fieschi, vedova da dieci anni del marchese Moroello Malaspina, risiede in contrata Sancti Francisci presso la domus posta in carubio beguinarum dicti ordinis, di proprietà della cognata Manfredina, ve- dova a sua volta di Alaone Grimaldi, sposato in seconde nozze (132). Nel 1335 domina Alagia si costituisce davanti a lui ed al notaio giudice che roga l’atto, Arrigo Arrighi da Firenze, richiedendo la nomina del proprio mun- dualdo, Tommasello di Bonavere di Giovagallo, con il consenso del quale possa obbligarsi ad alcuni negozi. Ciò ottenuto, alla presenza dei medesimi e con il con- senso del mundualdo, nomina procuratori la figlia Fiesca, moglie di Marcovaldo del fu conte Ruggero de Doadola, benché assente, e Dosso fu ser Matteo di Firenze, affinché lavorino di conserva o separati in tutte le cause che ella possa avere nel distretto di Firenze oppure altrove: Fiesca potrà vendere o cedere, fare instru- menta e patti, mentre Dosso sarà rilevato da ogni onere di soddisfazione che de- rivi dalle cause; fra i testi il figlio di Mazzingo, Candaleone (133). Questa ripetuta frequentazione, da parte di uno stimato uomo di legge, della domus fliscana-ma- laspiniana suggerisce che già nel 1306 egli fosse o rappresentante o comunque vi- cino agli interessi della casata di Giovagallo. In tal caso la sua presenza alla ro- gazione dell’atto in Castelnuovo sarebbe un ulteriore elemento a favore di un

(130) Tabula VI retro, c. 200v, 1306, luglio 17. (131) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1325, ottobre 5. Si tratta del rogito di una donazione a ca- rattere restitutivo per prestiti e benefici ricevuti, fatta in Genova da Giovanni di Vico del Terziere alla propria sorella, sotto il ‘patronato’ di Alagia. Fra gli altri testi anche il cappellano della donna, Giovanni di Giovagallo, e Bonaccurso detto Bastardo Malaspina. Per questi aspetti della vita vedo- vile della domina cfr. E. M. VECCHI, Alagia Fieschi marchesa Malaspina, Una domina di Luni- giana nell’età di Dante, Lucca 2003, specie pp. 59-64. (132) Per il secondo matrimonio di Manfredina, spesso non riconosciuto dalla storiografia, che fece seguito a quello con il conte Banduccio di Ugolino della Gherardesca, il cui sponsalicium per procura fu celebrato in Villafranca il 15 gennaio 1285, vd. EAD., Legami consortili fra i Malaspina e i Fieschi nell’età di Dante, in Saggi in memoria di Augusto C. Ambrosi, La Spezia 2004, pp. 236- 238 e nota 26. (133) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1335, aprile 18: «Domina Lagia vidua uxor olim nobilis viri domini. marchionis Morrelli Malespine, de Ienua, constituta et in presentia sapientis et discre- ti viri Maççinghi de Prato iurisperiti et mei Arrighi notarii et iudicis ordinarii, petiit a Maççingho et a me, auctoritate qua fungimur, sibi dari, decerni et confirmari in suum legiptimum mundualdum Tomasellum Bonavere de Giovagallo». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 110

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coinvolgimento consenziente, nei patti da stipularsi da parte dei consorti, di Mo- roello di Manfredi, assente dalla Lunigiana perché implicato proprio in quegli anni in complesse azioni di guerra contro i pistoiesi, che, sia pure non continuativa- mente, lo tennero sul campo dal 1302 al 1306, cioè dal più celere, ma violento, assedio di Serravalle alla lunga agonia della caduta di Pistoia (134). Due episodi questi in cui il marchese dimostrò quella determinazione e vigorosa risolutezza di comando militare adombrate nelle immagini meteorologiche dei versi profetici di Vanni Fucci (Inf., XXIV, 143-150), relativamente ai quali non è del tutto certo se Dante intendesse riferirsi specificatamente a Serravalle o a Pistoia, anche se è pre- ferita dai commentatori la prima opzione (135). Nominato nel marzo1306 capitano della Taglia guelfa, a capo di oltre 700 ar- mati, Moroello fu impegnato dapprima, in primavera, nelle operazioni che porta- rono il 10 di aprile alla caduta di Pistoia. Dal luglio si dedicò all’assedio, nel Mu- gello, del castello di Montaccianico, posto sotto la signoria degli Ubaldini, che erano entrati nella coalizione con Pistoia ed i fuoriusciti bianchi e ghibellini di Fi- renze, con l’appoggio dei ghibellini romagnoli. L’assedio all’imponente rocca durò tre mesi, fino alla resa degli assediati, e la fortificazione fu completamente rasa al suolo con la proibizione di riedificazione (136). Ritroviamo, con sicurezza, il mar- chese in Val di Magra, attento ai suoi interessi finanziarî lunigianesi, nel maggio del 1307 (137). In tali contingenze, anche se non sarebbe certo riuscito ad occuparsi diretta- mente delle questioni lunigianesi, poteva valersi di suoi emissari quali fidati por- tatori della sua volontà. In passato, infatti, aveva commesso normali pratiche fi- nanziarie a procuratori, proprio mentre era impegnato in azioni di guerra (138).

(134) E. GERINI, Memorie storiche cit., II, pp. 42-43. Sui fatti di Serravalle: Storie Pistoresi (1300- 1348), edid. S. A. BARBI, in Rerum Italicarum Scriptores, Città di Castello 1907-27, XI, V, pp. 14- 17; Nuova cronica di Giovanni Villani, edid. G. PORTA, Parma 1991, lib. VIII, 82; cfr. poi N. RAUTY, Serravalle dalle origini all’età comunale, Quaderni del Territorio Pistoiese, Pistoia 1988, pp. 27-29. (135) Vd. F. TORRACCA, Sopra Campo Piceno, in «Rassegna critica della letteratura italiana», VIII, I (1903), pp. 1-10. (136) R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, trad. ital., Firenze 1956-1978, III, pp. 440, 450-453; E. SAL- VATORI, s. v. Malaspina, Moroello (Moroelllo il Giovane), in DBI, vol. 67, Roma 2006, p. 788. (137) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1307, maggio 16: confessione di debito del marchese Fran- cesco fu Bernabò a Moroello, con data topica in Virgoletta. Per il rapporto fra la famiglia marchio- nale di Giovagallo ed il centro castrense di Verrugoleta E.M. VECCHI, Legami consortili fra i Ma- laspina e i Fieschi nell’età di Dante cit., specie note 10 e 16. (138) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1302, agosto 20, Moroello fu Manfredi costituisce suo procuratore Bonaccorsello di Giovagallo, per esigere e riscuotere alcuni crediti, con atto rogato in una casa ospitante detto marchese, presso il campo dell’esercito di Lucca in guerra contro Pistoia e Serravalle. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 111

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 111 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Il nobile Tommaso di Giovagallo, la marchesa Orietta Malaspina e i fran- cescani

Il primo frammento del cartulario, corrispondente alle cc. 186 e 187 del primo fascicolo pervenutoci, conserva tre instrumenta, stipulati fra il 27 febbraio ed il 7 marzo 1306 (139), tra i quali le disposizioni del codicillo testamentario del vir nobilis dominus Tommaso del fu Rosso da Giovagallo (140), che consentono un’a- pertura sui rapporti di questo potente miles con i francescani di Sarzana, i Mala- spina, i Fieschi, cioè quelle figure che, a vario titolo, ebbero influenza sull’accor- do di pace. Tommaso è un rappresentante di quel medio ceto signorile, costituito da fa- miglie e consorzi emersi soprattutto fra XI e XII secolo e resisi condomini o vas- salli dei vescovi lunensi, specie dopo la concessione da parte di Federico Barba- rossa ai presuli, nel 1183, degli onori comitali, sulla base dei quali questi operarono per sovrapporre un potere territoriale alla struttura ecclesiastica diocesana che da loro dipendeva. Altri consorzi, invece, si fecero fideles dei marchesi, specie in seguito all’espansione egemonica dei Malaspina, eredi del titolo comitale ober- tengo, sempre più deprivato del proprio originario valore pubblico (141). Questi domini sono spesso collegabili nella documentazione scritta con la struttura- zione territoriale originata dal processo di incastellamento (142) e dal formarsi delle corrispondenti distrettualità castrensi.

(139) Corrisponde alla tabula VII, che reca la cartellinatura «Alasia Malaspina». Non compa- re la cartulazione originaria; il segnato moderno, di mano archivistica, è posto, come nelle altre car- te, al centro o a sinistra del margine inferiore. La moderna distinzione ‘fronte’ e ‘retro’ della tabula è, comunque, determinata esclusivamente dalla partecipazione all’atto di un personaggio dantesco. (140) L’atto è riassunto in BIAGI, G. L. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco cit., disp. VII (marzo 1903), pp. 3-4 (senza facsimile fotografico). (141) Su questo ceto vedi le belle note di G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., specie pp. 332- 337; 340-342, 400-416 e la lucida sintesi di M. NOBILI, Famiglie signorili di Lunigiana fra vescovi e marchesi (secoli XII e XIII), in I ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII, Atti del II convegno di studi dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze 1979), Pisa 1982, ripubblicato in Gli Ober- tenghi ed altri saggi, Spoleto 2006, pp. 353-383; ID., Signorie e comunità nella Lunigiana orien- tale fra XI e XII secolo, ibidem, pp. 423-454; ID., Potere vescovile e società nel borgo e castello di Sarzana tra XI e XIII secolo, in Da Luni a Sarzana, 1204-2004 cit., pp. 243-254; R. RICCI, Poteri e territorio in Lunigiana Storica (VII- XI secolo). Uomini, terra, poteri in una regione di confi- ne, Spoleto 2002. (142) Per le caratteristiche generali dell’incastellamento nel territorio A.A. SETTIA, Castelli e borghi di Lunigiana, in Società civile e religiosa in Lunigiana e nel vicino Appennino dal IX al XV secolo, Atti del convegno ( ottobre 1984), Aulla 1986, pp. 272-286; R. FRANCOVICH ET ALII, Verso un atlante dei castelli della Toscana: primi risultati, in S. GELICHI (a cura di), Atti del I Con- gresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 29-31 maggio 1997), Firenze 2000, pp. 97-101; A. AUGENTI, Dai castra tardoantichi ai castelli del secolo X: il caso della Toscana, in Castelli. Sto- ria e archeologia del potere nella Toscana medievale, a cura di R. FRANCOVICH, M. GINATEMPO, I, Fi- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 112

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Un Ribaldo da Giovagallo (143) compare nel 1188 fra i testi della donazione che Lombardello di Burcione fa al vescovo Pietro della propria quota parte del ca- strum della Brina, il castello il cui possesso sarà un secolo più tardi una delle ra- gioni principali all’origine dello scontro del vescovo Enrico da Fucecchio con i Malaspina. Nel maggio del 1202 i domini et populus de Zovagallo risultano pre- senti ad una di quelle riunioni assembleari di pacificazione e accordo (o meglio sa- rebbe dire di tregua regolata, sia pure non sotto il profilo del diritto, a causa delle difficoltà di mantenimento degli equilibri sanciti), in cui possiamo vedere una del- le tante anticipazioni delle risoluzioni di controversie, quali la stessa pace di Ca- stelnuovo Magra. Con altri consorzi signorili, talvolta elencati insieme con gli as- sociati dei nascenti comuni rurali, come nel caso di Giovagallo, i domini intervennero quali iuratores alla stipulazione della concordia et societas fra il vescovo di Luni Gualtiero ed i marchesi Guglielmo, Alberto e Corrado Malaspina. A seguito del noto arbitrato, detto di Truffa da Castello e di Ubaldino da Parente, due dei quat- tro arbitri prescelti dalle parti, si metteva fine con un accordo giurato ad un lungo periodo di contrasti e di reciproche aggressioni fra le due potestà (144), delineando altresì il territorio oggetto della contesa e l’area ove si doveva realizzare la pace,

renze 2000, pp. 25-66; F. BENENTE (a cura di), L’incastellamento in Liguria, X-XII secolo. Bilancio e destino di un tema storiografico, Atti della Giornata di Studio (Rapallo 1997), Bordighera 2000. Vd. poi sulle fortificazioni le opere di sintesi: P. FERRARI ET ALII, Castelli di Lunigiana, Pontremoli 1927; Castelli e fortificazioni della provincia di Massa-Carrara, a cura di M. BERTOZZI, Massa 1996; N. GALLO, Guida storico- architettonica dei castelli della Lunigiana toscana, Prato 2002; P. SPA- GIARI (a cura di), Nel territorio della Luna, Castelli fra terra e mare, Castrum- Nuovi luoghi anti- chi, Poggibonsi - La Spezia 2006. Per la cultura materiale N. GALLO, G. MARSELLI, Caratteri archi- tettonici e strutturali di alcuni impianti fortificati in area lunense tra alto medio evo e medio evo, in «GSL», n.s. XL (1989), pp. 109-122; T. MANNONI, L’esperienza ligure nello studio archeolo- gico dei castelli medievali, riedito in Archeologia dell’Urbanistica, Genova 1994, pp. 194-209; N. GALLO, Appunti sui castelli della Lunigiana, Firenze 2004; M. BALDASSARRI, Il contributo delle fon- ti archeologiche allo studio dell’economia lunigianese nel basso Medioevo (X-XV secolo). Appunti per lo sviluppo della ricerca, in Pier delle Vigne in catene, Da Borgo San Donnino alla Lunigia- na medievale, Atti del convegno itinerante (maggio 2005- maggio 2006), a cura di G. TONELLI, pp. 3-32, specie pp.7-18; F. BONI, C. MAZZINI, Studio archeologico e valorizzazione di un tipo partico- lare di castello: il Cacciaguerra di Pontremoli (MS), in «Archeologia dell’Architettura», V (2000), pp. 175-192; D. FERDANI, I castelli nella media e alta Lunigiana. Il contributo dell’archeo- logia dell’elevato, tesi di laurea presso l’Università di Parma, a. a. 2005-2006, rel. prof. Gianluca Bot- tazzi. (143) CP, nr. 517, 1188, ottobre 17. (144) CP, nr. 540, 1202, maggio 12 e 31; nr. 539, 1201, febbraio 23 (si corregga così la data del re- gesto) per la nomina degli arbitri ed il loro seguente precetto, nel quale si prescrive fra l’altro che il vescovo non debba dare consiglio e aiuto contro i marchesi, a illis de Moregnano, vel de Pani- gale, vel de Calesa, vel deGovagallo ¸ . Vd. G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., specie pp. 363-364; M. NOBILI, I vescovi di Luni e i signori, i castellani ed il popolo di Fosdinovo, in Signori e popolo di Fosdinovo nel basso Medioevo, Atti del convegno (Fosdinovo, 2002), «Memorie dell’Accademia Lu- nigianese di Scienze ‘G. Capellini’», d’ora in poi citate MALC, LXXII (2002), La Spezia 2002, pp. 11- 22, ripubblicato in Gli cit., pp. 537-552. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 113

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 113 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

anche con il concorso dei vassalli delle due parti (145). Ma, per dirla con Giovan- ni Sforza, anche in questo caso dopo pochi anni si ‘fu alle solite’: nel 1206 il con- sole lucchese Tancredo Honeste ed i suoi colleghi prescrissero una pace durevo- le fra il vescovo Gualtiero e i marchesi Guglielmo, Corrado e figli del fu Alberto (146), soprattutto in funzione e nell’interesse del mantenimento della strata (pro facto strate) e del suo pacifico utilizzo. Il precetto consolare prescriveva la protezione e custodia da qualsiasi tipo di offesa de ‘la strada’ e dei viaggiatori, sia accompagnati da carichi, sia senza («.. ut salvetis et custodiatis, deffendatis stratam et omnes et singulos homines et personas transeuntes vel redeuntes seu stantes per stratam vel prope stratam cum rebus et sine rebus, et ut non permet- tatis offendi stratam vel homines seu personas…»), controllando e ponendo ri- medio agli interventi dannosi da parte degli uomini dei propri distretti contro i viandanti, specie quelli da Lucca e centri del suo distretto. Questa indeterminata indicazione del tracciato vuol forse alludere al percorso della Francigena, inten- dendo con ciò non soltanto il più noto itinerario, lungo la vallata della Magra fino a Sarzana e quindi Avenza, Carrara, Massa (147) e poi la Versilia, percorso det- to oggi di Sigerico, ma anche un ventaglio di tracciati, fra cui alcuni di taglio, come quello tramite Giovagallo fino a Calice, con la possibilità dell’attraversamento del- la Vara per il mezzo crinale della sponda destra o il collegamento a quella che vie- ne oggi chiamata l’Alta Via dei Monti Liguri, la quale fino al XVIII secolo fu il più importante asse viario verso il genovesato e il piacentino (148). Fra le clausole

(145) CP, nr. 540, 1202, maggio 12: dal Ponte de strata in Versilia e dalle curie di Corvaria e Vallecchia al Monte Sella, e lungo i crinali appenninico-apuani fino alla Cisa, quindi al distretto di Pontremoli, a quello di Mulazzo, Giovagallo e Calice, indi a Padivarma e di qui fino a Carpena, con i distretti di Carpena, Vezzano, Follo, Valeriano, Beverino, Vesigna, Polverara, poi lungo il litorale fino a Brancaliano, sul confine lunense-lucchese, per ricollegarsi a Pons de strata. L’area, che non corrisponde pienamente ai confini diocesani, è costituita da circoscrizioni castrensi importanti che, soprattutto, controllavano le vie naturali di percorrenza, con i tagli trasversali di percorso fra il li- torale e Val di Magra e Val di Vara. (146) CP, nr. 529, 1206, luglio 22. (147) F. LEVEROTTI, Massa di Lunigiana alla fine del Trecento. Ambiente, insediamenti, pae- 2 saggio, amministrazione, Massa 2007 , pp. 94-111, ricostruisce la viabilità nel XIV secolo partico- larmente sulla base dell’estimo del 1398-1401, dei toponimi e delle tracce esistenti, anche della cen- turiazione: alcune strade, che appaiono agli studiosi legate ad un reticolo centuriale, ripetevano nel Medioevo tracciati di probabile epoca romana. Due, una delle quali prossima alla linea di costa, sono collegabili al toponimo Silcia, tipico delle strade di traffico pavimentate. La via di lunga percorrenza Francigena-romea, con un percorso spostato più verso l’interno, probabilmente a causa dell’impa- ludamento costiero, che solo in pochi tratti ripeteva il percorso romano, sarebbe nata come alter- nativa ai vecchi tracciati soltanto nella seconda metà del secolo XIII. (148) Sulla viabilità verso Genova cfr. i diversi saggi in T. MANNONI (a cura di), Strade di Ligu- ria. Un patrimonio da scoprire, Genova 2007; R. GHELFI, Matteo Vinzoni e Sarzana. Rapporti ufficiali e personali del celebre cartografo della Repubblica di Genova con la città lunigianese, in «Studi Sarzanesi», I (2002), pp. 27-68; A. PARODI, L’Alta Via dei Monti Liguri e i principali sentie- ri ad essa collegati, Novara 2008. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 114

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esplicitamente menzionate compare, infatti, anche la restituzione da parte del ve- scovo Gualtiero del possesso dei castelli di Giovagallo e Calice ai Malaspina, con l’impegno di non dare o promettere aiuto agli homines contro i marchesi (149). Pur nei limiti posti dall’omaggio e dalla fidelitas ai domini principalores, i domini di Giovagallo mantennero spiccati caratteri gentilizi, anche destreggian- dosi all’occasione con la politica concorrenziale che opponeva i marchesi ai ve- scovi lunensi nella rivendicazione non solo di una qualificazione di supremazia, ma - soprattutto - del relativo pieno controllo del territorio lunigianese e delle sue risorse. Per i domini della parte malaspiniana contava, oltre che la necessità di tenuta dei castelli con le relative distrettuazioni, anche la frequente assenza dei marchesi nella conduzione dei loro feudi, frammentati in più regioni. Tommaso compare nella documentazione notarile dell’ultimo quarto del XIII secolo e dei primi anni del seguente con indubbi tratti distintivi di prestigio, autorevolezza e ricchezza, spesso testimoniata da notevoli prestiti in denaro e azioni di assistenza anche nei confronti delle donne del casato malaspiniano del ramo dello Spino Secco (150), dal possesso di terre nella Lunigiana costiera ed in- terna, nonché in Sardegna, e dal controllo di diritti esattivi sui pedaggi stradali che erano nell’interesse della casata malaspiniana. Nel 1302 il nobilis miles Tomma- so cedette, infatti, a Tobietta Spinola, vedova di Opizzino Malaspina e tutrice dei figli pupilli, ogni diritto sui pedaggi che Corrado e Opizzino seniori avevano in Aul- la, Villafranca e Licciana (151). Nel marzo 1281 era presente in Sarzana alla rogazione dell’instrumentum pro- curationis con cui Moroello Malaspina fu Corrado nominava il dominus Gual- tierotto, zio di Tommaso, procuratore e nunzio speciale per le cause, negozi e con- troversie esistenti con il vescovo lunense Enrico da Fucecchio, in funzione del componimento tramite lodo, che verrà pronunciato pochi mesi dopo dal card. Ge-

(149) CP, nr. 431. Tuttavia nel 1235, giugno 2, il vescovo Guglielmo investiva di un podere in Montebello (presso Bolano) Bernardino del nobile Aimerico di Giovagallo, quale dote della pro- messa sposa, con il consenso del futuro suocero già tenutario del medesimo, alla presenza di nu- merosi testimoni del consortile. Il vescovo, dunque, non disdegnava di continuare a tesser buoni rapporti con i domini di Giovagallo. (150) In particolare Orietta, per cui vd. infra, e Tobia Malaspina, relativamente alla quale si par- la di un mutuo di 201 lire in Sardegna, che Bonaccorso del fu Ugolino, procuratore dell’ormai de- funto Tommaso, accettò fosse versato da Bastardo detto Figliastro, a nome di donna Tobia, ma che in realtà non venne onorato: regesto in Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr. 12, 1306, agosto 25, p. 20. Per l’eredità di Opizzino Malaspina e per il mundualdo di Tobia, Bastardus, figlio naturale di Corrado, cfr. A. SODDU (a cura di), I Malaspina e la Sardegna cit., doc. nr. 52, 1302, giu- gno 22. (151) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1302, agosto 25. I figli sono Corradino che diverrà mag- giorenne nel 1305, Manfredo, Federico, Moroello, Azzone, Giovanni. Vi era poi Franceschino, già maggiorenne. Non sono nominate le femmine della casata, Orietta e Bettina, presenti in un docu- mento del 22 giugno 1301. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 115

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rardo apud Urbem veterem, in capella predicti domini episcopi Sa- binensis (152). Ma ritorniamo al codicillo testamentario di Tommaso della tabula VII, che non fu l’unico nel quale egli aveva sviluppato le proprie volontà. Nell’aprile del 1305 fissò, infatti, le diverse quote di un legato, già stabilito, di 100 lire sulle proprie ter- re di Lunigiana e Sardegna a favore degli eredi dei marchesi Opizzino e Tommaso Malaspina. Nel medesimo codicillo si fa riferimento anche a legati per Moroello e Franceschino, non esplicitati nei dettagli nel regesto qui utilizzato (153). La ro- gazione della postilla, che non richiedeva di esser redatta con particolari forme giuridiche se era accertata la testamenti factio attiva, sembrerebbe seguire la nor- male consuetudine notarile. Diversa invece è la prassi per il codicillo di Tommaso scritto quasi un anno pri- ma, che è del genere testamento non confirmatus. Come attesta Giovanni di Pa- rente, per sua diretta presa visione, nel testamento del miles, steso dal notaio pon- tremolese Pietro de Dalphinellis (154) il 22 giugno 1304, si faceva infatti esplicito riferimento soltanto ad una lictera seu cedula, che risulterebbe composta presso i frati Minori di Sarzana il 24 giugno, da aprirsi dopo la sua morte, suggellata al- l’esterno da cera verde con impronta del suo personale sigillo e all’interno con quello dell’anello del dominus, nella quale venivano date precise disposizioni re- lative ad un lascito di 550 libbre di genovini, la cui distribuzione era affidata ad al- meno tre dei cinque fedecommissari ivi nominati: i minoriti fra Guglielmo Mala- spina, fra Guglielmo da Godano, fra Prefetto e fra Marco e la dominam Alasiam marchionissam Malaspinam, elencata subito dopo il Malaspina (fig. 10). Gli ere- di non venivano infatti nominati direttemente nel testamento, quindi si doveva ri- correre alla prassi del fedecommesso. Nel 1305, il 31 agosto, la lettera, tramite rogito dello stesso notaio, fu conse- gnata da Alagia, che l’aveva in custodia e che non poteva comode partecipare al- l’apertura del documento, ai frati, i quali, il 27 febbraio 1306, essendo evidente- mente morto il testatore (155), si riunirono in Sarzana per apprendere le modalità

(152) CP, inserto della procura data il 18 marzo 1281 nel nr. 523, 1281, maggio 6. Per il lodo nr. 524, 1281, maggio 8. (153) Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr. 8, 1305, aprile 6, p. 19. (154) I Delfinelli o Dalfinelli furono notai di fiducia dei Malaspina. Il notaio suddetto fu l’e- stensore anche del testamento di Moroello Malaspina († 1315), che non ci è pervenuto, ma di cui si ha notizia attraverso le disposizioni in favore della figlia Fiesca: ASFi, Diplomatico, Malaspi- na,1327, maggio 29. Per la morte di Moroello cfr. E. M.VECCHI, La data di morte di Moroello Mala- spina, signore di Giovagallo, e il problema della sua sepoltura in Genova, in «SL», XXXII-XXXIIII (2002- 2003), pp. 81-90. (155) Tommaso compare ancora come procurator heredum quondam Andrioli Tartaro de Ia- nua il 5 aprile 1305, documento citato da G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., II, cap. I, pp. 20-21, nota 40, che lo dice morto poco prima della fine di febbraio del 1306. Il suo patrimonio risultava così cospicuo che, per la curatela della parte di eredità spettante al terzo figlio Nicolosio ancora pupil- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 116

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Fig. 10 - Archivio di Stato della Spezia, tabula VII fronte, disposizioni di Tommaso di Giovagallo (a destra, dopo il restauro digitale).

del lascito e incaricarono il notaio Giovanni di redigerne pubblico istrumento. Tommaso aveva disposto che la somma, previo beneplacito del Capitolo provin- ciale, fosse impiegata per l’acquisto, la costruzione o il riattamento di un’area re- sidenziale per i frati minoriti presso Pietrasanta, vicaria di Lucca (156), fondata

lo, il di lui fratello Gualtiero, suo tutore, richiese presso la curia vicariale di Lunigiana la nomina di due altri curatori il 25 febbraio 1306, non potendo amministrare personalmente i beni posti in di- versis locis. Immobili e terreni in Lerici e Trebiano erano stati lasciati ai familiares del dominus. Da un documento citato dallo Sforza nella predetta nota 40, si deduce che avesse anche una casa di abitazione in prossimità dello stesso convento francescano in Sarzana. Forse la morte del testato- re è da anticiparsi a poco prima della fine di agosto del 1305, quando la marchesa Alagia consegnò con tutti i crismi legali la lettera ai frati. (156) Statutum Lucani Communis, MCCCVIII cit., rist. anast. Lucca 1991, pp. 42, 67, 77, 97; p. 320 per la conferma delle primitive convenzioni. A riprova degli stretti rapporti con Sarzana, am- ministrata da un podestà miles e obbligata anch’essa nel mese di settembre a portare un cero di ben 40 libbre per la luminaria della vigilia di Santa Croce (p. 42), nel libro I, capitolo XL degli statuti (p. 34) si stabilisce che «omnes persone que fuerunt de Corvaria et Vallechia et confinibus de Sarresana ... cogantur per Lucanum Commune redire et stare ad habitandum in borgo de Petrasanta...». An- che il vescovo lunense è obbligato a partecipare insieme con i comuni di Carrara, il castrum et bur- gus di Sarzana e gli altri comuni della sua giurisdizione alla luminaria (pp. 45-46). Vd. poi M. PI- LONI, Pietrasanta ed i Medici (1255-1513), Ipotesi di ricerca, Pietrasanta 1983. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 117

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 117 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

a danno dei distretti di Corvaia e Vallecchia, appena un cinquantennio prima ad opera del podestà Guiscardo da Pietrasanta, che aveva anche stipulato i primi pat- ti e convenzioni con gli uomini del borgo. Altrimenti il lascito poteva destinarsi pro laborerio faciendo per la chiesa della comunità conventuale sarzanese, che sappiamo da altre fonti esser in costruzione in quegli anni. Il legato veniva fatto pro anima domine Oriette marchionisse Malaspine, oltre che per quella dello stesso Tommaso, che chiedeva anche che fossero apposti syngna domine Oriet- te et mea ad perpetuam rei memoriam, cioé i loro blasoni, presso lo stesso edi- ficio sacro. Tommaso manifestava dunque la volontà di destinazione di parte dei propri beni secondo una prassi complessa per una cedola testamentaria, ove è sottoli- neato il carattere di rango signorile del testatore (157) e con speciale riservatez- za, in totale accordo e con piena fiducia nella marchesa Alagia Malaspina. Lei, don- na, laica e non ancora vedova, appare per altro operare su un piano di parità con i frati sarzanesi, quasi fosse un autorevole membro rappresentativo sia della fa- miglia marchionale che deteneva i diritti feudali su Giovagallo, sia forse anche de- gli altri rami dello Spino Secco, in special modo quello dei discendenti di Federi- co di Villafranca. La richiesta, inoltre, da parte di Tommaso di apporre le proprie insegne e quelle di Orietta, forse con l’aggiunta di un’epigrafe commemorativa del lascito (158), palesa uno stretto rapporto fra i due, la cui natura non è facile de- terminare. In altri documenti rogati da Giovanni di Parente questo legame sembra ampio e continuo, sia per la menzione di prestiti o mallevadorie di Tommaso alla mar-

(157) L’impronta dell’anello citato viene minutamente descritta nell’atto notarile: «…in quo erat sculta quedam testa cum litteris circumcirca, continentibus: ‘Annulus Tomasii de Zovagallo’». Se ne ha ricordo in ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1305, gennaio 31: Tommaso del fu Rosso di Giovagallo e Bonaccorso del fu Ugolino, nella domus superna di Tommaso a Planari ricevono, per sé ed i pro- pri eredi, il giuramento degli homines di Montedivalli lì congregati ad iurandum fidelitatem et ho- magium de omnibus eorum bonis et possessionibus in toto territorio et districtu de Montedevai. Dopo le rituali formule di obbligazione Tommaso, anche a nome di Bonaccorso, locavit dedit et in- vestivit cum anulo que tenebat in manibus. (158) Nel XV secolo il cronista Da Faie vide in San Francesco, insieme alle due tombe monu- mentali del vescovo Bernabò Malaspina e dell’infante Guarnerio, figlio di Castruccio Castracani, ancor oggi conservate, con due note epigrafi da cui il Da Faie apprese alcuni dati biografici o ono- rifici, quella «de una dona [m]archionesa Malaspina nominata», che è invece perduta: GIOVANNI ANTONIO DA FAIE, Libro di cronache e memoria e amaystramento per lavenire, La Spezia 1997, c. 67v, p.144. ASFi, Malaspina,179, fol. 4: in tale fogliazzo, che contiene uno zibaldone di notizie sui Malaspina desunte da fonti diverse, si ha notizia (sotto l’anno 1331) della sepoltura in San France- sco di Sarzana di una Orietta Malaspina. Non è possibile dire se si tratti della nostra o se, più pro- babilmente, per vicinanza cronologica con la data riportata, sia quella della tumulazione, non ne- cessariamente monumentale, di una più giovane omonima, per esempio la figlia di Giovanni e Caterina di Castruccio degli Antelminelli, del ramo di Mulazzo: E. M. VECCHI, Legami consortili fra i Mala- spina e i Fieschi cit., pp. 249-252. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 118

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chesa, sia per i beni della donna rimasti nelle sue mani dopo la di lei morte, dei qua- li i figli del dominus dovranno rendere conto in seguito tramite numerose cause. In un atto contenuto nella tabula V retro, infatti, il maggiore, Gualtiero di Gio- vagallo, nel luglio 1306, a nome proprio e dei due fratelli Simonello e Nicolosio di cui ha la tutela, tramite un procuratore, il notaio Lorenzo di Licciana, dà pote- stà al giudice Franco di Trebiano e a fra Gasparino di Sarzana di sentenziare in una controversia che lo oppone a due creditori fiorentini di Orietta, che aveva da loro acquistato beni e diritti per 725 lire di genovini, dei quali aveva dato mal- levadoria Tommaso e che erano poi pervenuti con l’eredità ai di lui figli. Nello stes- so periodo Gualtiero è implicato in un contenzioso per un valore di lire 842, sol- di 10 di genovini e lire 768 di imperiali lunensi, nonché per il valore di masserizie, tovaglie e forniture di letto, appartenuti ad Orietta ed in possesso di Tommaso, e per un fitto di olio, da lui concesso ad una certa Alasia da Trebiano, di cui i frati fedecommissarî chiedono la completa restituzione (159). Nello stesso giorno ri- conosce di dover loro 281 stai di frumento che Tommaso raccoglieva a titolo en- fiteutico (160). Dei sei atti relativi all’affaire dell’eredità di Orietta, in parte assai lacunosi, che sono contenuti nel secondo fascicolo rimastoci di Giovanni, cinque sono rogati nello stesso giorno, in domo fratrum Minorum de Sarzana, e parti- colarmente nel chiostro. Gualtiero, disposto al saldo dei debiti per volontà o per necessità, non sembra peraltro avere lo stesso ascendente del padre, poggiato su personale prestigio, soprattutto considerato che sembrerebbe che sia la morte di Tommaso l’occasione per aprire le richieste di recupero di beni dell’eredità della marchesa. Egli, come i suoi ascendenti, fu tuttavia ancora procuratore di Moroello, anche per questioni delicate che sembrano porsi fra gli antecedenti della pace di Castelnuovo (161). Il rapporto di fidelitas fra i vassalli di Giovagallo e i marchesi Malaspina non continuò nelle generazioni successive, tanto che si giunse verso la metà del se- colo ad una vera e propria ribellione dei domini del feudo di Giovagallo nei con- fronti di Manfredi, figlio del fu Moroello (162).

(159) ASSp, tabula V retro, c. 221r, 1306, 21 luglio per la nomina degli arbitri; tabula III fronte, c. 223v, 1306, luglio 21. Regesto in Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr. 11, p. 20. (160) ASSp, tabula II fronte, c. 224v, 1306, 21 luglio. L’intera trafila finanziario-giudiziaria è in- tegrabile con altri documenti attinenti, non più reperibili, ma di cui Giovanni Sforza ci ha lasciato breve memoria (in Dante e la Lunigiana cit., II, p. 21, nota 40): Gualtiero dà alcuni anticipi e si ob- bliga a sborsare le restanti 1172 lire e soldi 15 di Genova in quattro rate semestrali. (161) Regesto in Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr.14, p. 20, 1306, settem- bre 24: Gualtiero del fu Tommaso di Giovagallo subentra come procuratore di Moroello Malaspina per l’esazione di lire 600 di imperiali lunensi spesi dal marchese per la custodia dell’episcopato lu- nense e del castrum Sarzane. (162) ASFi, Diplomatico, Riformagioni Malaspina, 1344, maggio 2: Manfredi fu Moroello con- cede, con la rituale investitura feudale, a Masino quondam Gualterii olim domini Thomaxii de Çovagallo il castrum, teram, iurisdictionem et districtum, mixtum et merum imperium di Gio- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 119

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Relativamente all’identità di Orietta è verisimile che si tratti della medesima persona che aveva fatto testamento il 18 novembre 1301, presso il notaio Gaspa- rino de Sarzana, a favore di Litolfino quondam Petri Litolfi, il quale pochi mesi dopo, preso possesso dell’eredità, che venne dichiarata inferiore a 300 o 500 au- reos, senza trattenere per sé alcunché, ne fece irrevocabile donazione inter vivos a fra Guglielmo Malaspina, fra Guglielmo da Godano, domino Tomasio de Zova- gallo e Bonucio q. Raynerii Lumbardi de Sarzana, già nominati dalla domina in qualità di fedecommissari ed esecutori dell’impiego dei beni ereditati (163). Ma non si trattava di una pia donazione pura e semplice (164). Il 23 luglio 1306 i tre esecutori superstiti nominarono procuratore un altro frate minore per prendere corporale possesso a loro nome dei beni, terre, case e redditi che furono già del- la domine Aurie marchionisse Malaspine, concedendogli piena capacità giuri- dica di far rogare instrumenta notarili, sia per gestire economicamente le pro- prietà ereditate, sia per agire giudizialmente nel foro ecclesiastico o civile a difesa dei propri diritti. Si trattava di recuperare o esigere omnia ficta, redditus, tera- tica, oleum et vina et fructus derivanti da possessi della domina posti tam in ri- peria Ianue quam aliunde, era dunque in ballo un cospicuo patrimonio fondia- rio. La procura risulta poco dopo utilizzata proprio per fini giudiziari (165). Lo Sforza ci attesta che la liquidazione dei beni di Orietta ereditati dai frati si pro- trasse ancora per cinque anni, essendo stato rogato nel 1311 l’ultimo contratto di vendita di un fitto annuo di staia di frumento, dato questo desumibile ancora una volta dai perduti protocolli di Giovanni di Parente (166). Per motivi cronologici e sulla scorta delle conoscenze prosopografiche attuali la marchesa dovrebbe identificarsi con l’Orietta o Auriecta (167), moglie di Cor-

vagallo e i beni già detenuti dal padre Gualtiero, ritornati di disposizione marchionale non essen- do stato prestato dal figlio del vassallo, dopo la morte del padre, il giuramento di fedeltà entro il ter- mine di un anno e un giorno, e anche i beni e diritti giurisdizionali degli zii paterni Symonelli et Ni- choloxii, che avevano perduti propter enormem et nefandam prodictionem olim factam contram ipsum dominum Manfredum… tenentes dictum castrum et terras Çovagalli in rebellionem. (163) Pergamena rogata da Giovanni di Parente di Stupio conservata in ASFi, Diplomatico, Ma- laspina, 1302, luglio 3. L’atto è steso in districtu Sarzane prope domum fratrum Minorum in capella Sancte Cataline, alla presenza di numerosi frati francescani, fra cui il già citato fra Marco. (164) Come pia donazione è indicata in U. FORMENTINI, Arte francescana, monumenti e mar- mi gotici a Sarzana, La Spezia 1926, p. 32. (165) ASSp, tabula IV fronte, c. 222v. (166) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., II, cap. I, p. 21, nota 41, doc. 1311, marzo 1. Alcuni beni erano già stati messi in vendita dai fedecommissari ed esecutori testamentari a partire dal 27 marzo 1306: Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr. 10, p. 19. (167) La domina, che viene appellata Auriecta, Auria o Orieta nel corso dello stesso docu- mento, è sempre qualificata da Giovanni di Parente come marchionissa Malaspina, senza patro- nimico e senza il nome del marito, vivo o defunto nel caso di vedovanza. Anche Alagia viene indi- cata dal medesimo notaio con il semplice titolo nobiliare e gentilizio acquisito col matrimonio. Il nome Orietta, molto attestato pure nella forma Aurietta nella Liguria medievale, e soprattutto nel genovesato, è il diminutivo, solitamente preferito, di Oria/Auria, a sua volta derivato dal latino Au- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 120

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rado del fu Federico (168), il Corrado di Purg. VIII, cui diede un’unica figlia fem- mina, Spina, la quale è personaggio, con i genitori, di una nota novella del Boc- caccio (169). Orietta vi è descritta come «donna valorosa e santa» che, imbarca- ta su un «legnetto di pisani», di ritorno al fianco del marito da un pellegrinaggio a «tutti i santi luoghi li quali nel regno di Puglia sono», trovata sull’isola di Ponza donna Beritola, moglie di Arrighetto Capece, lì abbandonata per diverse tristi vi- cende politiche e personali e perciò ridottasi a vita selvaggia, la riporta garbata- mente al viver civile e, convintala a seguirli in Lunigiana, la tiene come sua dami- gella fino all’imprevisto lieto ricongiungimento con i suoi cari e al relativo ritorno al suo rango sociale (170). Non appaiono estranee a questa conclusione i muta- menti nelle vicende politiche, quale la conquista della Sicilia da parte di Pietro di Aragona.

rea. Viene ovviamente in mente un possibile rapporto con la famiglia genovese dei D’Oria, tanto più che il lascito della marchionissa è costituito prevalentemente da beni posti in riperia Ianue. Con la rilettura di un brano del commento di Pietro Alighieri alla Commedia e anche sulla scorta di documentazione aragonese, Soddu ha posto l’ipotesi che i beni malaspiniani in Sardegna siano per- venuti ad un Corrado Malaspina, identificato dall’A. con il figlio di Federico, attraverso la dote del- la donnicella Urìca, figlia naturale di Mariano di Torres, cosa che potrebbe portare ad una possibi- le identificazione di Urìca con Orietta: A. SODDU, Il castello Malaspina di Bosa, fonti cronachistiche e documentarie, in «Santu Antine, Studi e ricerche del Museo della Valle dei Nuraghi del Logu- doro- Meilogu (Torralba)», I (1996), p. 93 e nota 15. Occorre tuttavia vedere se questa identità possa spiegarsi almeno dal punto di vista onomastico. Vi sono due possibilità: a) una trasposizio- ne per assonanza del nome sardo, rarissimo, nel più omofono dei nomi femminili genovesi b) un adattamento da Urìa, attraverso il diminutivo Urichetta /Uriecta in Urietta, con l’alterazione del gruppo -ct- dopo sillaba accentata, fenomeno fonetico, questo, tuttavia non consueto in tale area. Devo queste informazioni alla prof.ssa Giulia Petracco Sicardi che sentitamente ringrazio. Per Ge- nealogie medievali di Sardegna cit., tv. XXII, lemma 11, Urìca sarebbe invece vissuta verso la metà del secolo XIII, avendo sposato, senza averne figli, Corrado di Moroello. A. SODDU, I Malaspina nel- la Sardegna dei giudici (XII- XIII secolo), in Poteri signorili ed enti ecclesiastici dalla Riviera di Levante alla Lunigiana. Aggiornamenti storici ed archeologici, a cura di E. M. VECCHI, «GSL», n.s. LIV (2003), pp. 192-193 aderisce, con cautela, anche all’ipotesi di una possibile paren- tela della domina con gli Spinola o gli Zanche, ipotizzata sulla base dell’eredità lasciata in Sardegna a Giacomina del fu Giacomino Spinola e Richelda Zanche, per il qual documento A. FERRETTO, Una figlia sconosciuta di donno Michele Zanche, in «Archivio Storico Sardo», IV (1908), pp. 357- 362, doc. II, pp. 361-362. Il lascito, come dimostra del resto l’affaire sarzanese, poteva però non di- scendere necessariamente da legami familiari. (168) E. GERINI, Memorie storiche cit., pp. 28-29; E. BRANCHI, op. cit., II, pp.11-12; Genealogie medievali di Sardegna cit., Malaspina di Villafranca, p. 323, tabula XXII, lemma 6; A. SODDU, I Ma- laspina nella Sardegna dei giudici cit., passim, con importanti notizie anche biografiche. Su Cor- rado il Giovane cfr. i lemmi s.v. Malaspina,Corrado II, a cura di S. SAFFIOTTI BERNARDI, in ED, t. III, Roma 1969, pp.779-780; Malaspina,Corrado (Corrado il Giovane), a cura di E. SALVATORI, in DBI, vol. 67, Roma 2006, pp. 765-767. (169) G. BOCCACCIO, Decameron, II, 6. (170) Per la cortesia, il nobile retaggio di dignità e regole del codice feudale di cui Corrado è il simbolo nella novella boccacciana M. CICCUTO, Malaspina ‘prodi’ della Commedia e l’etica corte- se dantesca, in «Dante Studies», CCXXIV (2006), pp. 25-33, d’ora in po abbreviato «DS». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 121

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Il marchese Corrado, che nel 1281 dichiarava la dote di Orietta (171), non la nominò espressamente nel suo testamento del 1294, con il quale, in mancanza di figli maschi legittimi, lasciava eredi i propri fratelli, decidendo la destinazione dei beni in un’ottica perciò squisitamente agnatizia, a danno della linea femminile del- la famiglia, il che potrebbe esser stigmatizzato nell’episodio dantesco di cui è pro- tagonista (172). Assai diversa appare in verità questa disposizione testamentaria di Corrado rispetto a quella dello zio Manfredi, padre di Moroello, nei confronti della propria moglie Beatrice (173), cui fu destinato un lascito extradotale, sta- bilito anche nella previsione di un nuovo matrimonio della donna. Nel 1301 Orietta risulta, alla morte di Opizzone, ancora creditrice per lire 375 di genovini per la restituzione della sua dote (174). Il cognato ne rispondeva probabilmente in qualità di erede di Corrado, forse anche per la messa in comu- ne, per necessità di tutti gli appartenenti alla casata malaspiniana, delle doti del- le proprie spose, dopo la dichiarazione del rispettivo valore (175). Un altro resi- duo di debito di 108 lire, sulle originali 700 di imperiali lunensi, era dovuto da Opizzone, secondo l’inventario del 1301, allo stesso Tommaso di Giovagallo per la vendita del pedaggio di Villafranca, insieme ad un secondo di 44 fiorini d’oro, anch’esso resto di una somma di 300 lire di genovini, per motivi non specificati. Per rimanere nel tema debiti, suscita qualche interesse anche nel testamen- to di Corrado, il complesso legato per il rimborso di cospicue somme di denaro, di cui egli è creditore ad un Tommaso non meglio specificato, in cui il testatore ri- pone grande fiducia e che raccomanda agli eredi, il quale potrebbe essere nuo- vamente il nostro di Giovagallo. La procura generale del 1296 (176) a Tommaso da parte di Opizzino/Opizzone del fu Federico, anche a nome del fratello, e di Mo- roello, sui loro beni e diritti per eventuali alienazioni, potrebbe esser connessa con la gestione dei beni discendenti dall’eredità di Corrado o forse con ampi de- biti accumulati dai Malaspina, la cui risoluzione è affidata al potente vassallo.

(171) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1281, febbraio 3. (172) Ibidem, 1294, settembre 28. Cfr. Purg.,VIII, 109-120, su cui recentemente N. TONELLI, Pur- gatorio VIII 46-139: l’incontro con Nino Visconti e Corrado Malaspina, in «Tenzone», III (2002), pp. 263-281. Sulla possibile sepoltura di Corrado nella cripta della chiesa di San Niccolò di Villa- franca, cfr. G. CAVALLI, Il sepolcro di Corrado Malaspina il Giovane in Malnido di Villafranca, in Dante e la Lunigiana, Atti del Congresso internazionale (Monastero del Corvo, Bocca di Magra 2006), a cura di M. MANUGUERRA, C. PALANDRANI, A. RAFFI, Centro Lunigianese di Studi Danteschi, 2006, ipertesto. (173) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1282, ottobre 21. (174) Sopra alcune particolarità della vita di Dante cit., Documento inedito dell’anno 1301, 22 di giugno, p. 47; E. BRANCHI, op. cit., II, p. 11, n. 2: il debito che si rileva dall’inventario fatto da un notaio fiorentino dopo la morte di Opizzone doveva esser sanato a rate di trenta soldi e dieci genovini, per le quali fu dato ad Orietta il pedaggio di Madrignano. (175) Ibidem e p. 169 nota 3; E. GERINI, Memorie storiche cit., II, p. 29 e pp. 28, 304. (176) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1296, luglio 26. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 122

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Se Litolfino appare un esecutore della volontà di Orietta più che un autono- mo benefattore (non è qualificato inoltre come un dominus), ci rimane qualche dubbio sull’effettivo ruolo di Tommaso, se la sua donazione discenda semplice- mente da un orgoglioso omaggio al ricordo della feudataria o non si tratti anche in questo caso, per i caratteri di grande riservatezza del lascito, di un fideiusso- re, a più alto livello, per destinazioni di lasciti in denaro.

Frate Guglielmo Malaspina, dal convento al soglio episcopale «...eundumque effectum operis amplexantes mediante tractatu venerabilis et devoti viri domini fratris Guillielmi Malaspina et fratris Guillielmi de Godano, sanc- tissimi ordinis fratrum Minorum...»: con questa frase, che segue immediatamen- te un motto evangelico fra i più noti (Johan., XIV, 27), presente nella liturgia del- la messa e nell’innologia sacra (177), si collega con un pertinente inciso nel testo dell’accordo di pace l’opera di fra Guglielmo Malaspina (e di fra Guglielmo da Godano) con le negoziazioni ed i patteggiamenti precedenti la soluzione paci- ficatoria. Il frate, sempre identificato con il cognome di famiglia, ci appare, attraverso gli instrumenta di Giovanni di Parente su cui ci siamo in precedenza soffermati, avere grande autorità, sapersi ben destreggiare, in accordo con i confratelli, nel- le contingenze che interessano la nobiltà cui appartiene e l’Ordine. Non sarebbe perciò difficile riconoscergli un ruolo di paciaro dei contrasti fra il vescovo An- tonio da Camilla e i Malaspina, giacché avrebbe potuto far leva, per la composi- zione delle gravi discordie e gli scontri avvenuti, sia sui legami di parentela e di contiguità intercorrenti fra il vescovo ed i Fieschi (178), a loro volta collegati al suo casato, sia sui forti rapporti che le due famiglie, specie quella fliscana, ave- vano da decenni con le istituzioni francescane, per adesione spirituale e scelta delle chiese minorite come luogo di sepoltura, ma anche per una committenza di fondazione e sostegno di conventi (179). Federico Fieschi, morto verso il

(177) ASSp, c. 271r: «...prefati domini episcopus et marchiones, Summi Patris inherentes exem- plo, suis dicentis apostolis: ‘Pacem meam do vobis, pacem meam relinquo vobis’, eundemque ef- fectum operis amplexantes ...». (178) Per la discussione di questo aspetto vd. infra e note 215-216. (179) A. SISTO, Chiese, conventi e ospedali fondati dai Fieschi nel secolo XIII, in Atti del convegno internazionale per l’VIII centenario dell’urbanizzazione di Chiavari (Chiavari 1978), Chiavari 1980, pp. 317-331. La stessa fondazione di San Francesco in Castelletto di Genova è nel Li- ber anniversariorum della chiesa minorita riferita ad Andrea Fieschi, arcidiacono genovese, che avrebbe avuto nel 1250 una sepoltura terragna nel coro sub clapa alba. I Fieschi vi ebbero una cappella, la cui costruzione è attribuita a Federico miles, nel 1253: V. PROMIS (a cura di), Il libro degli anniversari del convento di San Francesco di Genova, in «ASLSP», X/IV (1874), pp. 385-453. Sull’edificio G. ROSSINI, San Francesco di Castelletto: dagli inizi alle demolizioni ottocentesche, in Giovanni Pisano a Genova, Catalogo della mostra, a cura di M. SEIDEL, Genova 1987, pp. 229-261, che pone l’inizio della costruzione del complesso fra il 1250 e il 1255, la consacrazione nel 1302. Vd. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 123

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 123 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

1303 proprio a Sarzana, dopo esser stato esiliato da Genova (180), aveva ricor- dato nel proprio testamento anche il locale convento (181). Il cardinale Luca Fieschi (182), inoltre, fin dagli inizi del Trecento aveva ereditato l’autorità che era stata dello zio Ottobuono non soltanto nei riguardi dei possessi del consorzio fa- miliare, ma, grazie anche ai matrimoni delle sorelle Alagia e Fiesca con esponen- ti delle casate malaspiniane, pure nell’ immistione, diretta o indiretta, nei pro- blemi politici lunigianesi (183). Se gli Ordini mendicanti erano divenuti fra Duecento e Trecento, per ideolo- gia e collaborazione, tramite le loro predicazioni per la composizione dei conflit- ti urbani e feudali, importanti punti di riferimento anche nell’ottica di ordinamento e disciplina della società (184), Guglielmo poteva coniugare le sue origini nobi- liari con la capacità di rapportarsi con i poteri locali e con l’aura di santità che do- veva circondare la sua conversione alla vita regolare. Non è del tutto sicuro a quale ramo familiare appartenesse. Solitamente è ri- tenuto figlio di Federico di Villafranca, quindi fratello di Opizzino e Corrado il gio- vane e cugino di Moroello di Giovagallo e di Franceschino di Mulazzo (185). Lo Sforza suggerisce, invece, dopo avere criticamente analizzato le altre ipotesi ge-

inoltre J. GARDNER, The artistic patronage of the Fieschi family, 1243-1336, in Le vie del Medioe- vo, Atti del convegno (Parma 1998), a cura di A. C. QUINTAVALLE, Milano 2000, pp. 309-318. Partico- larmente per Ottobuono si rimanda poi al saggio, con relativa bibliografia, di Daniele Calcagno, in questo volume. Moroello Malaspina e suo figlio Luchino compaiono, con la propria data di morte, nei mesi di aprile e settembre del Liber anniversariorum del convento genovese del Castelletto, per cui potrebbe desumersi che anche loro abbiano avuto ivi la propria sepoltura: E. M.VECCHI, La data di morte di Moroello Malaspina cit., specie pp. 85-86. (180) Per il quale cfr. il lemma di G. NUTI, sub voce, in DBI, vol. 47, Roma 1997, pp. 442-444. (181) Nel testamento, steso in Sarzana, il primo legato, di lire 100 di genovini, è per ecclesie fra- trum Minorum de Ianua ubi elligimus corpus nostrum sepeliri debere, il secondo di lire 20 di im- periali lunensi è destinato ai francescani di Sarzana ad opus nove ecclesie ... que ad presens con- struitur: edito da A. SISTO, Genova nel Duecento. Il capitolo di San Lorenzo, Genova 1979, pp. 145 -149. (182) Su cui Z. HLEDIKOVA, Raccolte praghesi di scritti di Luca Fieschi, Praha 1985, partico- larmente pp. 41-107 dell’Introduzione; TH. BOESPFLUG, sub voce, in DBI, vol. 47, Roma 1997, pp. 488- 491. Sul suo monumento funebre vd., per ultimo, C. DI FABIO, I sepolcri della regina Margherita, del cardinale Luca Fieschi e dei dogi Simone Boccanegra e Leonardo Montaldo. Prezzi e valori in Giovanni Pisano e in tre monumenti funerari del Trecento genovese, in «Bollettino dei Musei Civici Genovesi», XXI/1 (2000), pp. 7-20, con precedente bibliografia. (183) E. M. VECCHI, Alagia Fieschi marchesa Malaspina cit., pp. 40-41. (184) Vd. R. MICHETTI, François d’Assise et la paix révélée. Réflexions sur le mythe du paci- fisme franciscain et sur la prédication de paix dans la société communale du XIIIe siècle, in Prê- cher la paix et discipliner la société. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe siècles), par R. M. DESSÌ, Turnhout 2005, pp. 279-311; più in generale Pace e guerra nel basso medioevo, Atti del XL Convegno internazionale (Todi 2003), Spoleto 2004. (185) E. BRANCHI, op. cit., II, pp. 8, 15-16, seguito anche da Genealogie medievali di Sardegna cit., tavola XXV, lemma 4. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 124

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nealogiche (186), un’altra eventualità, sulla base di una petizione presentata nel 1349 all’arcivescovo e signore di Milano, Giovanni Visconti, da Argentina Grimaldi, vedova di Moroello Malaspina fu Manfredi e madre ed erede del loro figlio Gio- vanni, premortole (187). Per rivendicare i propri diritti sul castello di Croce in Val di Trebbia, occupato da Niccolò Fieschi, Argentina riassume le ragioni per le qua- li le era pervenuta, a seguito della divisione fatta il gennaio 1293 fra i Malaspina dello Spino Secco, metà delle quote parti di quella giurisdizione castrense, con- divisa originariamente da Moroello, detto Moruccio (188), Franceschino e Ber- nabò; costui postea dedicavit et ordinem sive monasterium intravit, per cui ri- nunciò alla parte a lui spettante. Sforza ritenne così di poter identificare questo Bernabò con il fratello di Fran- ceschino che, prendendo i voti, avrebbe cambiato il nome secolare in Guglielmo, mantenendo tuttavia quello di famiglia. Se questa ipotesi è accettabile, la sua en- trata nell’Ordine dovrebbe esser posteriore al maggio 1294, data in cui compare ancora come Bernabò in un atto stipulato da Franceschino anche a suo nome, ed anteriore al novembre 1296 (189). La supposizione non porterebbe rilevanti cambiamenti di lettura nell’opera mediatrice del frate, se non quello di sottolineare ulteriormente l’impegno diret- to nella pacificazione da parte del casato mulazzese. Franceschino si manterrà leale sia nei confronti dei patti stipulati, sia verso lo stesso vescovo Antonio. In- sieme con i frati minoriti il marchese presenzierà come teste, proprio nel palazzo vescovile di Castelnuovo, alla remissione di condanne, processi e banni pronun-

(186) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana, vol. II, cap. VII [ma I], pp. 13-20: oltre il Branchi, P. LIT- TA, Famiglie celebri italiane cit., tv. III, Milano 1852, il quale riteneva, invece, che il francescano im- pegnatosi nelle trattative di pace fosse l’omonimo figlio di Franceschino di Bernabò di Olivola. (187) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1349, settembre 4; E. BRANCHI, op. cit., I, p. 512, trascri- zione in E. GERINI, Codex documentorum illustrium, doc. LXXXXIX, pp. 107-108. Per l’eredità del- la casata di Giovagallo dopo la morte dell’infante Giovanni (ante 1349) vedasi anche il diploma con- cesso da Carlo IV di Lussemburgo del 18 agosto 1351 a Galeotto di Azzone di Fosdinovo per l’investitura dei diritti feudali già di Moroello di Manfredi († post 1347), ritornati nella disponibilità del sovra- no, ma richiesti da Galeotto soprattutto sulla base del matrimonio con la vedova Argentina Grimaldi, erede dei beni allodiali di Moroello. É edito da F. BONATTI, Una investitura imperiale nella Luni- giana del ’300, in «SL», VI-VII (1976-77), pp. 165-177: vi sono enumerati - per la diocesi lunense - i diritti feudali sui castra di Madrignano, Giovagallo, de Richo (Riccò), Virgoletta e in Villafrancha. (188) Diminutivo con cui Moroello nel 1282 compare anche nel testamento paterno, rogato in Villafranca, nel quale è nominato erede con la sorella Manfredina: ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1282, ottobre 21. (189) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1294, maggio 7: confessio debiti per 100 lire di France- schino del fu Moroello Malaspina, anche a nome del fratello Bernabò, nei confronti di Moruccio (Moroello) del fu Manfredi. Potrebbe trattarsi del debito di lire 100, da restituirsi ad un anno, con- tratto l’anno prima: ibidem, 1293, novembre 18. Il frate Guglielmo è invece presente alla promessa di mutua eredità scambiata fra Moroello, Franceschino e Opizzino: E. GERINI, Codex documento- rum illustrium, doc. LXXV, 1296, novembre 26. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 125

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ciata dal presule nei confronti dei seguaci malaspiniani, e poco dopo sarà nomi- nato suo esecutore testamentario (190). Verrebbe poi meglio lumeggiato l’atteggiamento del francescano, che indi- rizza, dopo la rinuncia ad un alto stato sociale nella vita secolare, la sua conver- sione ad opere di conciliazione e pace, consuete agli Ordini Mendicanti specie in quel periodo storico, ma per lui assai più coinvolgenti, dati gli stretti legami mantenuti con il proprio casato. Questi sono desumibili anche dalle sue presen- ze testimoniali alla stipulazioni di rogiti per ‘affari di famiglia’, quasi in un rapporto di mediazione e sorveglianza della concordia parentale ben adatto al suo ruolo di religioso, ma anche dalla cura con cui seguì, come teste, l’applicazione da parte del vescovo di quanto stabilito il 6 ottobre. Restituendo il frate al ramo dei marchesi di Mulazzo si avrebbe poi anche la spiegazione di un errore di attribuzione genealogica, per omonimia, che ha inte- ressato quel Bernabò divenuto vescovo di Luni, per speciale riserva apostolica, il 20 agosto 1320, considerato spesso in passato come proveniente dall’Ordine mi- norita e dalla stirpe mulazzese. In realtà, come dimostra anche lo stemma recan- te lo Spino Fiorito posto sulla sua tomba, egli apparteneva al ramo del Terziere e prima dell’assunzione al vescovado era costituito negli ordini minori (191). Fu proprio Guglielmo il primo ‘frate in cattedra’ nella diocesi di Luni (192), an- che se solo come electus. Il suo tentativo di farsi vescovo, sostenuto subito dopo la morte di Antonio da Camilla, nel 1307, da parte degli elettori capitolari che guarda- vano favorevolmente ai guelfi di parte bianca di Lucca, riunitisi nella chiesa di Ponzanello per l’elezione (fuori perciò dalla sede ordinaria dei canonici lunensi in Sarzana, ove si procedette ad altra designazione, di orientamento di parte nera e fi- lolucchese), non andò a buon fine. Il capitolo, anche se diviso, si rifaceva alle anti-

(190) La presenza in Castelnuovo è desumibile dall’elenco dei testi dell’atto del 18 ottobre 1306, a c. 275v. Per il suo ruolo di esecutore testamentario G. SFORZA, Dante e la Lunigiana, vol. II, cap. VII, p. 22 e nota 42: la notizia deriva da un atto di Giovanni di Parente di Stupio, steso nel chiostro di San Francesco il 18 febbraio 1308 per la richiesta dei beni del defunto vescovo Antonio da parte di emissari del legato pontificio card. Orsini e del vescovo eletto, dal quale atto si apprende che gli esecutori dei codicilli testamentari erano il francescano fra Simone degli Enrighini di Pontremoli ed il marchese Franceschino. (191) Su cui E. M. VECCHI, Per la biografia del vescovo Bernabò Malaspina del Terziere († 1338), in «SL», XXII-XXIX (1992-99), pp.109-142, in particolare nota 3. Per la tomba monumentale del vescovo in San Francesco di Sarzana M. RATTI CARPENZANO, Monumento sepolcrale del vescovo Bernabò Malaspina, in Niveo de Marmore, L’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XIV se- colo, a cura di E. CASTELNUOVO, Catalogo della Mostra (Sarzana 1992), Milano 1992, scheda nr.121, pp. 327-329; P. DONATI, F. BONATTI, Le arti a Sarzana, Sarzana 1999, pp. 7-8, 320-323. (192) Sull’ascesa di membri degli Ordini mendicanti a cattedre vescovili in Liguria ha richia- mato l’attenzione V. POLONIO, Frati in cattedra. I primi vescovi mendicanti in ambito ligure (1244- 1330), in Legislazione e società nell’Italia medievale, Atti del Convegno per il VII centenario degli Statuti di Albenga (Albenga 1988), Bordighera 1990, pp. 459-502. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 126

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che prerogative capitolari di elezione, di cui tuttavia il collegio era già stato priva- to dal pontefice Urbano IV nel 1263 per il favore prestato a Manfredi di Svevia (193). Vi fu un incerto bilanciamento nella Curia pontificia, presso cui si recò per- sonalmente, oltre Guglielmo, l’altro eletto dalla parte avversaria del capitolo, Ghe- rardino, anch’egli cognominato Malaspina (194). Questi apparteneva, però, non al ceppo marchionale, ma ad un’importante consorteria guelfa toscana, essendo figlio del cittadino lucchese Guglielmo Malaspina de Obicis, giurisperito e già po- destà di Padova (195), quondam nel 1302. Il cognome avrebbe un’origine ono- mastica, da un Malaspina vissuto nella seconda metà del XII secolo (196). Il ri- sultato della doppia elezione fu un lungo procrastinarsi della consacrazione episcopale ed infine la nomina da parte del pontifice dell’eletto lucchese. Come già Antonio da Camilla, anche Gherardino impiegò nel governo dell’e- piscopato suoi stretti congiunti, nominando il fratello Luto visconte, carica che questi tenne fino al subentro di Castruccio Castracani degli Antelminelli il 14 lu- glio del 1314 (197). Che il fratem Guillelmum ordinis Minorum in sacerdotio constitutum no- minato nella citata lettera di Clemente V, non appellato – come del resto Gherar-

(193) J. GUIRAUD (a cura di), Les registres d’Urbain IV (1261-1264), Paris 1900, I, doc. nr. 459, p. 222. (194) I particolari dell’elezione sono minutamente riportati da G. SFORZA, Castruccio Castra- cani degli Antelminelli cit., pp. 305-307, sulla base della narratio nelle lettere pontificie di Cle- mente V che annunciano al Malaspina (lucchese), al clero, ai giusdicenti e popolo lunigianesi ed all’imperatore Arrigo VII l’annullamento delle due elezioni capitolari e la nomina per provvista pon- tificia dello stesso Gherardino, per le quali ibidem, Documenti, I, 1312, maggio 9, pp. 450-452. (195) Per la precisazione, ancor oggi non accolta da parte della bibliografia recente, che lo ri- tiene di solito un Malaspina del ramo dello Spino Fiorito, particolarmente di quello di Filattiera, A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni cit., p. XXXVII. Lo si può rilevare del resto dai regi- stri pontifici: E. LANGLOIS (a cura di), Le registres de Nicolas IV, I, Paris 1886, p. 470, Orvieto, 1290, luglio 1, lettera apostolica al vescovo lucano per dispensa da difetto di età, relativa al plebanato del- la plebs de Vigo, che ha 16 parrocchiani e 20 fiorini d’oro di reddito, a favore di Gherardo clericus nato nobilis viri Guillelmi Malaspina, civis Lucani. Anche nel lemma dell’Enciclopedia Dante- sca lo si considera della stirpe marchionale: G. BARUFFINI, s.v. Malaspina, Gherardino da Filat- tiera, in ED, III, Roma 1969. Per altri interventi pontifici in suo favore vd. G. MOLLAT (a cura di), Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, t. II, Paris 1905, nrr. 6231, 6981, 7679. (196) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana, vol. II, cap. VII, p. 9 e nota 14, sulla base di spogli negli archivi di Lucca: Malaspina risulta già quondam nel 1185. (197) Ibidem, p. 11 e nota 29: nei protocolli di Giovanni di Parente, che quindi continuò a ro- gare anche per questo vescovo, era conservato un atto di concessione a mercanti di Porto Venere del trasporto di carichi di vino per nave fino al porto di Ameglia, quindi in Sarzana e nelle altre ter- re del vescovato, da parte del luogotenente del visconte Luto Malaspina, 1312, agosto 23; ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1314, settembre 22, procura fatta da Chello di Gallo da Lucca nella per- sona di Bonagura del fu Maginardo, familiare del nobilis vir Luto Malaspina degli Opizzi. I figli di Luto e di suo zio Opizzone furono esiliati ed ebbero i beni confiscati dopo che il Castracani diven- ne signore di Lucca: G. SFORZA, Dante e la Lunigiana, vol. II, cap. VII, p. 11 nota 30. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 127

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dino – con il cognome nobiliare, possa esser lo stesso della pace del 1306 sareb- be provato, secondo lo Sforza, dall’atto del febbraio 1308 rogato proprio da Gio- vanni di Parente, anch’esso oggi non più reperibile, ma trascritto dallo studioso, cui si è fatto in precedenza cenno. Dopo la morte di Antonio da Camilla, il cap- pellano e familiare del cardinale diacono di Sant’Adriano, Napoleone Orsini, si presentò al guardiano del convento minorita di Sarzana, fra Giovanni da San Gi- mignano (198), richiedendo da parte del cardinale, ma anche del reverendi viri domini sui fratris G. Malaspina electi in Lunensem episcopatum, alcuni beni personali del defunto vescovo (199). I rapporti con il convento francescano divenuto custode di arredi da camera del defunto, la divisione in partiti del capitolo e la personalità del Malaspina, che doveva avergli procurato favore in Sarzana, rendono molto probabile che l’eletto fosse proprio il frate mediatore del 1306, per quanto non vi sia piena certezza sulla sua identità. La designazione del nuovo vescovo, divaricatasi nel capitolo per una scissio- ne di orientamenti ideologico-politici che si evidenzierà ancor più negli anni se- guenti, produsse, di diritto e di fatto, una vacanza di cinque anni per la cattedra lu- nense. Mentre Guglielmo poteva sembrare alla Santa Sede uno strumento della strategia aggressiva dei marchesi Malaspina nei confronti dei possessi e dei po- teri feudali vescovili, e di Sarzana in particolare, che avrebbe potuto portare a gra- vi delimitazioni del potere temporale e politico episcopale, la nomina di Gherar- dino fu probabilmente più gradita, sia perché membro di una famiglia appartenente al partito dei Neri, sia perché avrebbe potuto esser meglio sostenuto da un forte appoggio lucchese nell’opera di difesa dell’episcopato. Così non fu e l’ironico in- ciso nell’invettiva di Dante contro i cardinali e la corruzione in cui versa la Chie- sa («preter Lunensem pontificem») ne è sigillo (Epist. XI, 15). La chiesa francescana sarzanese, in modo non dissimile da altre fondazioni minorite, sembra presentarsi già dalla fine del secolo XIII e nei primi anni del se- guente, con maggior prestigio rispetto alla sua storia precedente (200), quale pun-

(198) Su cui A. ALLMAYER, Fra Giovanni da San Gimignano guardiano del convento de’ Mi- nori in Sarzana nell’anno 1308, a. II, n. 1 (1894), pp. 39-46. (199) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana, vol. II, cap. VII, pp. 22-23 e nota 42 dimostra di aver cam- biato idea sull’identificazione di Guglielmo con un Malaspina, che aveva negata nel precedente sag- gio Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana cit., pp. 303-304, ove fra l’altro aveva sciolto il G. del documento in Gerardinum. Molto più esplicito un atto del cartulario del notaio Or- lando de Ciapparoni del 20 ottobre 1307, conservato nell’Archivio Notarile di Lucca, relativo ad un prestito per un’ambasceria presso il pontefice in difesa dei lucchesi di parte bianca esuli in Pisa, in- sieme cum religioso viro frate Guillielmo de ordine fratrum Minorum electo episcopo Luni- sciane (pp. 306-307, nota 1). Anche in questo caso non compare, però, il gentilizio. (200) Legata probabilmente all’importanza della via Francigena, fu fondata in data precoce, giacché è attestata l’esistenza di una domus fratrum minorum nel 1238; il completamento dell’e- dificazione del complesso conventuale sarebbe però da porsi intorno alla fine del secolo-metà del Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 128

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to di aggregazione spirituale e civile, estendendo la sua influenza non soltanto su Sarzana, ma anche sulla Lunigiana signorile, soprattutto quella di domini le- gati ai Malaspina. Oltre ai diversi atti citati rogati nel o per il convento, è da ri- cordare un lascito testamentario nel 1324 di Verde, moglie di Gualtierotto da Gio- vagallo (201), e soprattutto la costruzione di una cappella absidale, dedicata a San Francesco, eretta nel 1300, come attesta un’epigrafe commemorativa, pro anima domini Ugolini de Gragnana, per quello stesso Ugolino, cioè, che risulta pre- sente come teste nel luglio 1296 nella canonica della chiesa di San Nicolò di Vil- lafranca, insieme con fra Guglielmo, alla concessione a Tommaso di Giovagallo di piena potestà e balia sull’alienazione dei propri beni da parte di Opizzino Ma- laspina del fu Federico, anche a nome del fratello Tommaso, e di Moroello del fu Manfredi (202).

«Nepote ho io di là ch’ha nome Alagia»

Il notaio Giovanni nell’instrumentum del febbraio 1306 appella Alagia mar- chionissa Malaspina, senza riferimenti alla sua ascendenza familiare fliscana, come era del resto consuetudine per i ceti nobiliari. L’Alighieri nella Commedia volle, invece, vedere in lei soprattutto la nipote di Adriano V (Purg. XIX, 142-145), l’unica degna nel ricordo dell’anima penitente, anche se la sua lode è accompa- gnata da cauta apprensione: «buona da sé pur che la nostra ca non faccia lei per essempio malvagia; e questa sola di là m’è rimasa».

In una voluta, simmetrica contrapposizione, se Adriano V, come fatto [fu] ro- man pastore così scopers[e] la vita bugiarda e si volse negli estremi momenti dell’esistenza all’amore della vera vita, quella eterna, Alagia nei lunghi anni che ancora le spettano su questa terra può esser corrotta dagli esempi domestici. Essi sono il più veloce e subitaneo tramite della perdizione (203). La menzione della

successivo: U. FORMENTINI, Arte francescana cit.; G. ROSSINI, L’architettura degli ordini mendi- canti in Liguria nel Due e Trecento, Savona 1982, pp.104-119; ID., Restauri in San Francesco a Sarzana: il chiostro ritrovato, Sarzana 1998; F. B ONATTI, Gli ordini religiosi nella diocesi di Luni tra Duecento e Trecento, in Alle origini della Lunigiana moderna. Settimo centenario della re- dazione del Codice Pelavicino (1287-1987), Atti del convegno (Lerici 1987), La Spezia 1990, spe- cie pp. 121-127, d’ora in poi citato come Atti Pelavicino. (201) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1324, febbraio 4, ricordato in F. BONATTI, Gli ordini re- ligiosi nella diocesi di Luni cit., p. 127. (202) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1296, luglio 26. (203) I peccati in cui potrebbe incorrere non sono, però, come ritiene un commentatore della Commedia, Benvenuto Rambaldi, quelli della lussuria e impudicizia, testimoniati secondo lui da due esempi femminili della casata. Le due nipoti di Alagia, a cui fa riferimento la glossa, la magna et formosa Isabella e Ginetta, entrambe figlie di Carlo Fieschi, l’una divenuta moglie di Luchino Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 129

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domina, introdotta da un preciso suggerimento di Dante all’anima di Ottobuono- Adriano V («e se vuo’ ch’io t’impetri / cosa di là ond’io vivendo mossi»), la trat- teggia - implicitamente - nel compito di tutte le donne del Medioevo: custodire le tombe dei morti di famiglia, serbarne il ricordo e assistere con le preghiere le loro anime sulla via della purificazione. È spesso sembrata alla critica un indiretto, ul- teriore riconoscimento per il di lei marito Moroello, in parallelo dunque con l’o- maggio al marchese (Inf. XXIV, 143-150) e con l’esaltazione dei valori cortesi del- la schiatta malaspiniana (Purg. VIII, 121-132) (204). Per il Piattoli, invece, «i versi a lei riferentesi, che non fanno parte della tematica dell’episodio, sembrano ag- giunti col solo scopo di celebrare questa donna, da Dante conosciuta personal- mente durante il suo soggiorno in Lunigiana» (205) e forse, potremmo aggiunge- re, sua fonte di informazioni sullo stesso zio. In effetti la marchesa Alagia appare, nella pur scarsa documentazione scritta che la riguarda (206), possedere autore-

Visconti signore di Milano e l’altra di Pietro Rossi di Parma, si maritarono non soltanto dopo la stesura di questa parte della Commedia, ma addirittura quando la vita del poeta si era conclusa: su questo A. FERRETTO, La casa Fieschi «malvagia», in Dante e la Liguria cit., pp. 66-76; ID., Ala- gia Fieschi Malaspina a Genova, ibidem, pp. 76-77. U. CARPI, La nobiltà di Dante, Firenze 2004, p. 403 ritiene invece che si vogliano così stigmatizzare alcuni matrimoni di donne Fieschi con membri di famiglie che Dante colpisce con la sua condanna. Nel caso in questione, ove il matrimonio con un nobile Malaspina è già avvenuto, una simile comparazione parrebbe, però, poco pertinente ed op- portuna. Per la causa del traviamento, ritenuto possibile da Adriano V (maschera di un pensiero dan- tesco?), è più ovvio ed immediato pensare a quei peccati di avidità e, soprattutto, desiderio di po- tenza che sono il tema del girone e una presunta peculiarità della famiglia genovese. (204) Vd. l’analisi delle diverse letture in J.C. BARNES, Moroello ‘vapor’, metafora meteorica e visione dantesca del marchese di Giovagallo, in «DS», CCXXIV (2006), pp. 35-56, specie pp. 37-38, così come la critica della linea interpretativa derobertisiana che identificherebbe Alagia nella «mala spina» che ha punto il cuore di Cino da Pistoia, di cui il poeta scriverebbe nel sonetto Cercando di trovar minera in oro, rivolto al marchese Moroello, quale dichiarazione per la di lui moglie di amo- re cortese, quindi di fatto innocuo ed encomiastico. Per una lettura del canto nei suoi elementi strut- turali ed allegorici, particolarmente per la Valletta dei Principi, in rapporto con referenze bibliche e liturgiche, M. ZACCARELLO, Lectura di Purgatorio VIII, ibidem, pp. 7-23. (205) R. PIATTOLI, s. v. Fieschi Alagia, in ED, III, Roma 1969, p. 862. (206) Le ridotte note biografiche di Alagia derivano ad oggi quasi integralmente, oltre che dal- le carte di Giovanni di Parente, da pergamene dell’Archivio Malaspina di Fosdinovo, poi detto di Ca- niparola, ormai conservate nell’Archivio di Stato fiorentino, più volte citato in questo lavoro. Il con- fluire di parte della documentazione della domus dei signori di Giovagallo fu probabilmente conseguente al secondo matrimonio di Argentina, già moglie di Moroello fu Manfredi fu Moroello, con Galeotto Malaspina di Fosdinovo. Per la loro stessa natura di atto notarile privato sono relative a negozi e contratti, soprattutto di tipo economico. Utilizzate come fonte dapprima da E. GERINI, Memorie sto- riche cit., pp. 46-48, che correttamente identificò la famiglia del marito, confuso talvolta con l’o- monimo più vecchio signore di Mulazzo (p. es. F. FEDERICI, Trattato della famiglia Fiesca, Genova 1620, p. 59 e tavola genealogica), poi da A. FERRETTO, Alagia Fieschi cit., pp. 76-77, ID., Codice di- plomatico delle relazioni cit., pp. XLII-XLIV, e da G. BIAGI, G. L. PASSERINI (a cura di), Codice di- plomatico dantesco cit., pp. 3-4, sono state riprese, non integralmente e talvolta con letture affret- tate, in R. PIATTOLI, s. v. Fieschi Alagia cit., p. 862; cfr. infine E. M. VECCHI, Alagia Fieschi marchesa Malaspina cit. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 130

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volezza e prestigio e ricevere rispetto sia presso gli Ordini Mendicanti, in parti- colare i francescani, sia nei rapporti con laici lunigianesi che si rivolgono a lei per importanti ruoli di mediazione o anche per prestiti. Relativamente a questi aspet- ti dimostra di godere della soddisfacente autonomia negli affari propria della don- na genovese (207). La strategia matrimoniale anche nei confronti della nobiltà insediata in Luni- giana fu parte importante della politica della casata Fieschi nel XIII secolo, so- prattutto a partire dal pontificato di Sinibaldo-Innocenzo IV, tramite scelte di co- niùgi utili alla rete delle alleanze e relazioni, sia con famiglie delle oligarchie fuori di Genova, questo soprattutto per le femmine, sia della città stessa. In quest’ulti- mo caso il matrimonio poteva rafforzare un’affinità, così come fu con i Della Volta e i da Camilla (208). Se combinato con membri di schieramenti già avversi, si poneva in un’ottica di pacificazione e contenimento delle contrapposizioni politiche o di dissuasione dall’appoggio ad altre alleanze perniciose per i Fieschi. Per la discendenza femminile le scelte sembrano quasi il pendant di quelle di car- riera adottate verso i membri maschi della casata, alcuni dei quali erano avviati a cariche ecclesiastiche con accorta selezione dei rispettivi benefici, altri erano preferiti per rafforzare il controllo territoriale o la conquista di signorie, come fece lo stesso Niccolò fra il 1250 ed il 1276 in Lunigiana, con l’appoggio peraltro del fra- tello Ottobuono, oltre che con l’iniziale protezione del pontefice di famiglia (209). Proprio il conte di Lavagna condusse un’attenta politica matrimoniale nei ri- guardi dei Malaspina, per il consolidamento delle strutture parentali e del patri- monio e potere familiare, delineatasi probabilmente fra la metà degli anni settanta

(207) Su cui G. PISTARINO, La donna d’affari a Genova nel secolo XIII, in Miscellanea di storia italiana e mediterranea per Nino Lamboglia, Genova 1978, pp. 155-169. G. PETTI BALBI, Simon Boc- canegra e la Genova del ’300, Genova 1991, pp. 151-156, considera le fortune di famiglia intestate a donne Fieschi, la loro attività di procura in rappresentanza dei mariti, anche nella funzione di ar- bitri per questioni di affari, e quella di sottoscrittrici di luoghi delle compere. (208) Per l’analisi dell’evoluzione di questa strategia, particolarmente verso famiglie genovesi ed emiliane, M. FIRPO, La famiglia dei conti di Lavagna. Strutture familiari a Genova e nel con- tado fra XII e XIII secolo, Genova 2006, pp. 148-172. Per il matrimonio genovese V. POLONIO, “Con- sentirono l’un l’altro”. Il matrimonio in Liguria tra XI e XIV secolo, in Serta antiqua et medie- valia, V. Società e istituzioni del Medioevo Ligure, Roma 2001, pp. 23-54. Per l’aspetto consortile F. LEVEROTTI, Famiglia e istituzioni nel Medioevo italiano, dal tardo antico al rinascimento, Roma 2005, specie pp. 101-117. (209) Sulla origine e ascesa della famiglia G. PETTI BALBI, I Fieschi ed il loro territorio nella Li- guria Orientale, in La Storia dei Genovesi, Atti del III Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle isti- tuzioni della Repubblica di Genova (Genova 1982), Genova 1983, pp. 105-129; EAD., Simon Bocca- negra e la Genova del Trecento cit., specie pp.151-159; R. PAVONI, L’ascesa dei Fieschi fra Genova e Federico II, in I Fieschi tra Papato e Impero, Atti del Convegno (Lavagna 1994), a cura di D. CALCAGNO, Lavagna 1997, pp. 3-44. Cfr. poi i diversi interventi in San Salvatore dei Fieschi. Un do- cumento di architettura medievale in Liguria, a cura di M. CAVANA, C. DUFOUR BOZZO, C. FUSCONI, Cinisello Balsamo 1999. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 131

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 131 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

e gli ottanta del secolo XIII. Maritò dapprima la figlia Fiesca (210) ad un Malaspi- na dello Spino Fiorito, Alberto, figlio probabilmente di una genovese della fami- glia dei Della Volta, poi la sorella di lei Alagia a Moroello di Manfredi, del ramo del- lo Spino Secco: entrambi erano signori di importanti possessi oltreappenninici e di aree sulle opposte sponde della Magra, che costituivano altrettanti snodi viarî di percorsi trasversali alla valle principale (211). Il Branchi pone questo secondo matrimonio poco dopo il 1272 (212), ma poi- ché Moroello Malaspina era nato circa nel 1268 o nel 1269 (213), mentre la nasci- ta dell’ultima figlia di entrambi, Fiesca, è da porsi nel primo decennio del XIV se- colo (214), è verisimile che sia avvenuto negli avanzati anni ottanta; in tal caso tali

(210) Cfr. F. FEDERICI, op. cit., p. 59, che cita il matrimonio, ma non conosce il nome della spo- sa. Per E. BRANCHI, op. cit., II, p. 22, sulla base di un albero genealogico conservato a Mulazzo, ella sarebbe morta nel 1287. Dubbia rimane la data di nascita del suo primogenito Manfredi, su cui cal- colare quella del matrimonio: P. FERRARI, L’espansione territoriale del “Comune” di Pontremoli nell’Alta Val di Vara, Pontremoli 1936, nota 130. Gli altri figli di Fiesca, Niccolò e Bernabò, sono at- tivi, e quindi pienamente maggiorenni, rispettivamente nel 1307 e nel 1310; morirono il primo dopo il 1330, anno del suo testamento (G. FIORI, Castelli cit., p. 55 e note 1-3), l’altro nell’agosto del 1338, per cui potrebbero esser nati fra gli anni ’70 e ’80 del secolo XIII: E. M. VECCHI, Per la biogra- fia del vescovo Bernabò Malaspina cit., pp.109-142. Si rivedano i seguenti rapporti di parentela ivi nominati (pp. 125-126), accettati sulla traccia del Branchi e di Genealogie medievali di Sardegna, ma riconsiderati dal Fiori, loco citato: non risulta dal suo testamento che Niccolò, figlio di Alberto e Fiesca, abbia sposato Beatrice di Mulazzo, avendo avuto tutti i suoi numerosi figli da una tal Leona, né che sua figlia Giovanna abbia sposato il nipote di Carlo Fieschi, trattandosi invece, se- condo il Fiori, della Giovanna figlia di Alberto dei marchesi di Pregola. (211) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1313, giugno 13, per i rapporti fra la giurisdizione di Cro- ce in condominio ai Malaspina e la terra di Rusca, possesso del card. Luca Fieschi, verso cui il co- gnato Moroello mostra rispetto liberando alcuni mercanti arrestati per motivi di gabella e scarce- rati in Rusca. (212) E. BRANCHI, op. cit., I, p. 170, seguito da Genealogie medievali di Sardegna cit., tv. XXIV, lemma 2, p. 319. (213) V. SALAVERT Y ROCA, Cerdena y la expansión mediterránea de la Corona de Aragón, 1297- 1315, voll. II, Madrid, 1956, II, p. 365, doc. nr. 293, 1308, novembre 6, ove è detto che all’epoca il mar- chese aveva circa 40 anni. (214) Fiesca si dichiara nel 1327 maggiore di anni 15 e minore di anni 25: ASFi, Diplomatico, Malaspina,1327, maggio 29, il che colloca la sua data di nascita fra il 1303 e il 1311, preferibilmen- te verso il 1309, e quella di Alagia, considerata l’attuale disposizione biologica femminile alla pro- creazione, presumibilmente intorno alla fine degli anni ’60 o, di preferenza, nella prima metà degli anni settanta; del resto il di lei fratello cardinale Luca era nato verso la fine degli anni settanta del Duecento. Il figlio maggiore di Alagia, Manfredo, è qualificato con l’altro fratello Luchino come dominus nel 1321: in domibus ipsorum dominorum Manfredi et Luchini apud Verugoletam (da- tazione topica del documento in ASFi, Diplomatico, Riformagioni, 1321, giugno 16); sono mag- giorenni ed hanno piena capacità giuridica (almeno il maggiore), probabilmente, però, già dalla mor- te del padre: M. N. CONTI, Le carte anteriori al 1400 nell’archivio malaspiniano di Caniparola nel repertorio del 1760, Pontremoli 1987, nr. 470, 1315: nomina di un procuratore per i rapporti con l’ar- ciprete di Terenzano. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 132

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rapporti consortili si saldarono dopo la vendita obbligata a Genova (1276) da par- te di Niccolò del suo dominio lunigianese. Anche l’ascendenza di Antonio de Camilla e la parentela con i Fieschi ed i Ma- laspina sono state delineate dal Ferretto ed accettate da buona parte della sto- riografia seguente (215). Antonio di Nuvolone da Camilla risulterebbe nipote di Niccolò Fieschi di Tedisio, in qualità di figlio della di lui sorella Caracosa, e cugi- no quindi di Alagia. Ma per quanto Antonio venga indicato come nipote del card. Ottobuono Fieschi in lettere pontificie (216), occorre conciliare due matrimoni della donna, uno con un Grimaldi, il secondo con un Del Carretto, documental- mente accertati, con quello eventuale con il de Camilla. Infatti la madre di Caracosa, Simona, considerata anch’essa della stessa fa- miglia (217), rimasta vedova di Tedisio, abitò nella contrada di origine (218) e nel 1248 consegnò al padre dello sposo, Bonifacio Grimaldi, la dovuta dote della fi- glia, già impegnata da Tedisio nel suo testamento, per il reperimeno della quale vi fu un complesso trapasso di un immobile posto in contrata Camillorum. A ri- prova degli stretti rapporti del consorzio, lo stesso Nuvolone fu testimone, po- chi giorni dopo, di un atto di accomandita di Caracosa (219). Nel 1285, tuttavia, la donna risulterebbe coniugata con Bonifacio del Carret- to (220). Se nel caso del secondo matrimonio non si tratta di un’omonima di altro ramo familiare, si potrebbe pensare per il matrimonio con il de Camilla ad un ulteriore, cronologicamente possibile, coniugio, da inserirsi fra i due citati. È certo, tuttavia, che la carriera ecclesiastica di Antonio si svolse con l’ap- poggio dei Fieschi e che la sua consacrazione a vescovo nella diocesi di Luni ben rientrò nella politica della famiglia genovese, tesa ad intrecciare legami pa- rentali con lignaggi illustri e ad inserire propri membri in rilevante posizione nelle istituzioni ecclesiastiche. Tale politica era stata portata, soprattutto fra la se- conda metà del XIII e la metà del secolo seguente anche in Lunigiana, specie nella diocesi di Brugnato, suffraganea dell’arcidiocesi genovese, di cui Niccolò

(215) A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni cit., I, pp. XXXII-V; II, pp. 33-34; G. BIA- GI, G.L. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco cit., pp. 2-3. (216) Les registres de Grégoire X cit., Paris 1892-1960, nr. 615. (217) F. FEDERICI, op. cit., p. 18 la dice figlia di Ottobono de Camilla, signore di Capocorso. (218) Per le persuasive considerazioni sull’ascendenza familiare di Simona, vedasi A. SISTO, Ge- nova nel Duecento cit., pp. 45-46, che rileva anche come per i figli di Tedisio si introduca un’onoma- stica propria della famiglia dei da Camilla. Si possono fare le stesse considerazioni per il nome An- tonio. Cfr. poi G. NUTI, I Fieschi, Politiche familiari nel medioevo, Borgo Val di Taro 2006, pp. 66-68. (219) M. FIRPO, La famiglia dei conti di Lavagna cit., specie pp. 154 e 234, con regesti docu- mentali. (220) Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. SELLA, I, Roma 1887, quadro VI; A. PARAVICINI BAGLIANI, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, p. 152. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 133

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 133 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Fieschi aveva avuto il vicedominatus, mantenuto pur dopo la cessione dei suoi possessi lunensi a Genova (221). Il de Camilla venne fatto ordinario lunense per nomina pontificia, grazie ai potenti appoggi in curia, e non soltanto del consorzio familiare. Fu infatti consa- crato dal cardinale Gerardo Bianchi di Parma (222) (1278-1302, vescovo di Sabi- na dall’aprile del 1281), di cui era stato cappellano, il quale non aveva probabil- mente dimenticato di aver iniziato la sua carriera in curia romana con la protezione del proprio cugino Alberto d’Ungheria, notaio apostolico, in buoni rapporti con i Fieschi, sia il vescovo parmense Opizzo Fieschi (1194-1224), sia Sinibaldo, futu- ro pontefice, di cui si era guadagnato stima e benevolenza. Il Bianchi, appena ven- tenne, divenne scrittore apostolico e cappellano di Innocenzo IV (1245-1254) (223), funzione di solito preludente ad una carriera che poteva portare fino al titolo car- dinalizio, come in effetti avvenne, sia pure alcuni decenni dopo, avendo acquisi- to sotto i successivi pontefici maggiore autorevolezza per la sua preparazione giu- ridica utriusque iuris e per le doti mediatrici in curia e fuori curia, soprattutto nelle missioni diplomatiche, dai contatti con Carlo d’Angiò alla legazione per la pacificazione in Sicilia, dopo l’inizio della ribellione del Vespro, affidatagli per mandato pontificio nel giugno 1282 e corredata di notevoli concessioni anche per la sua familia o per quanti avesse ritenuto opportuno impiegare nell’isola (224). Antonio, che al momento dell’elezione a vescovo risulta canonico di Bayeux, del cui capitolo faceva parte anche Luca Fieschi, sarebbe stato in precedenza ca- nonico della chiesa maggiore di Palermo, almeno fino al 1289. Inoltre, se si rife- risce proprio a lui il permesso nel luglio del 1278 concesso da Carlo d’Angiò al ma- gister Antonio, nipote del defunto pontefice Adriano V, per il prelevamento di un cavallo da guerra e di altri tre cavalli dal regno per andare in Curia Romana (225), vi troveremmo la conferma di una carriera svoltasi sotto la protezione, se non pro- prio al fianco del Bianchi, che dopo la morte di Carlo I nel 1285, insieme con Ro-

(221) R. PAVONI, L’ascesa dei Fieschi fra Genova e Federico II cit., pp. 40-41. Sulla diocesi ed i suoi vescovi M. LALLAI, La diocesi di Brugnato, Modena 2008. (222) Per la sua biografia vd. R. FANTINI, Il Cardinale Gerardo Bianchi, in «ASPP», 28 (1927), pp. 231-291; P. HERDE, s. v. Bianchi Gerardo, in DBI, vol. X, Roma 1968, pp. 96-101; A. PARAVICINI BA- GLIANI, Cardinali di Curia e “familiae” cardinalizie dal 1227 al 1254, Italia Sacra, 18-19, Padova 1972, pp. 340-355 e soprattutto P. SILANOS, Gerardo Bianchi da Parma. La biografia di un cardinale duecentesco, Università di Parma, tesi di dottorato di ricerca in Storia, XXI ciclo, a.a. 2007-2008, coor- dinatore prof. U. Fantasia, tutor prof. R. Greci, con ampi riferimenti documentali e bibliografici. (223) Per le diverse funzioni dei cappellani pontifici residenti, autorevoli collaboratori del pon- tefice non solo nella liturgia, ma anche nel settore giudiziario (capellani commensales o cantores capellae intrisecae) e di quelli onorifici (capellani honoris) B. GUILLEMAIN, Les Chapelains d’hon- neur des Papes d’Avignon, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», LXIV (1952), pp. 217-238; A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana alla corte dei papi nel Duecento, Roma-Bari 1996, p. 57. (224) M. PROU (a cura di), Les registres de Martin IV, Paris 1886-1888, nrr. 270a-z, su cui P. SI- LANOS, Gerardo Bianchi da Parma cit., pp. 188-189. (225) A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni, I, p. XXXII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 134

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berto di Artois, fratello del defunto, ebbe l’incarico di reggenza, anche ammini- strativa, del regno. Il Bianchi ben conosceva la situazione della provincia di Lunigiana, perché nel 1277, quando era divenuto litterarum contradictarum auditor, gli erano state sottoposte in Viterbo, dai procuratori rispettivamente del comune di Sarzana e del vescovo lunense, le diverse motivazioni legali relative alla scomunica e ad una presunta sentenza di interdetto contro gli uomini e la terra sarzanese, emesse dopo il loro appellarsi alla Sede apostolica. I sarzanesi dovettero comunque piegarsi ed un anno dopo riconfermare la loro obbedienza ai precetti del vescovo (226). Come si deduce dal testo dei relativi documenti, il contendere, nato nel 1276, era lega- to soprattutto ai reiterati contenziosi per la dogana del sale e per le nomine di officiali della terra e di notai senza l’approvazione e ratifica vescovile. Quattro anni più tardi l’ormai cardinale Bianchi, in curia romana, avrebbe curato il ben più spinoso arbitrato compromissorio fra i Malaspina ed il vescovo, in cui Sarzana continuava a giocare il ruolo principale. Il de Camilla appare essergli rimasto legato anche dopo aver avuto la nomi- na all’episcopato di Luni: esemplare di tale sodalizio e indice di una residenza ro- mana del vescovo l’occasione di una grave malattia, occorsagli forse nei primis- simi anni del Trecento. Nonostante che i medici non gli avessero lasciato speranze, essa si risolse miracolosamente, dopo che, proprio per raccomandazione del car- dinale stesso, molto addolorato, Antonio aveva rivolto le sue preghiere a Dio e a san Pietro, cioè Pietro del Morrone († 1297), già papa Celestino V, alla cui candi- datura, proposta dal cardinale Latino Malabranca a seguito delle gravi difficoltà incontrate dal conclave per la scelta di un candidato interno dopo la morte di Nic- colò IV, il Bianchi aveva prontamente aderito. Il cardinale fu anche, probabilmente, uno dei due mediatori, con i suoi consigli canonistici, della successiva rinuncia al pontificato del vecchio papa, angosciato per il peso della sua carica (227), abdi- cazione andata poi a vantaggio della designazione di Bonifacio VIII, di cui il Bian- chi fu uno dei più accreditati collaboratori (228).

(226) CP, nr. 82, 1277, aprile 12. Nel testo sono riportate le ragioni dei rappresentanti delle due controparti, anche l’opposizione alle decisioni sentenziali prodotte dal vescovo di Brugnato, che era stato nominato delegato pontificio per la questione e aveva subdelegato l’arciprete della pieve di Co- diponte. Ibidem, nrr. 51-52, 1278, settembre 3: i sarzanesi, alla presenza del vescovo Enrico, eleggo- no il loro sindaco per giurare obbedienza ai precetti episcopali e del giudice delegato, chiedendo nel contempo l’assoluzione dalla scomunica e, per le offese arrecate dal 1276, la remissione di senten- ze, condanne e banni. Fra i primi sottoscrittori nel parlamento sarzanese è Parentinus Stupii. (227) Per l’identificazione del papa con l’ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto, di Inf., III, 59-63, e per la condanna comminata da Dante nonostante il processo di canonizzazio- ne, di cui certamente ebbe notizia, cfr. le osservazioni in A. FRUGONI, s.v. Celestino V, in ED, I, Roma 1970, pp. 907-909. (228) Per il ruolo e l’identificazione dei cardinali interpellati come consiglieri sulla dottrina ec- clesiastica dell’abdicazione, di cui narra senza chiamarli per nome nel suo Opus metricum il card. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 135

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 135 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

L’autore del Supplementum vitae Sancti Celestini (229) non lascia alcun dub- bio sulla identità del miracolato, così come sul forte rapporto di familiarità ed affetto che lo avrebbe legato al cardinale Gerardo. Il miracoloso evento è datato a poco dopo la nomina a vescovo di Antonio e prima della fine del marzo 1302, mese in cui morì il cardinale, in un certo senso il mediatore dell’evento. Il miracolo è uno di quelli avvenuti dopo la morte dell’e- remita del Morrone, che furono prodotti come documentazioni essenziali nel pro- cesso per la canonizzazione, iniziata nel 1306 (rivolta non alla figura del pontefi- ce, ma a quella del religioso Pietro) e proclamata assai più tardi dell’episodio di cui Antonio fu protagonista, il 5 maggio 1313. Antonio si sarebbe poi recato in pel- legrinaggio in Abruzzo per celebrare una messa e deporre per voto sulla tomba un ricco panno tessuto d’oro, indirizzando la sua devozione ad una figura religiosa, raccomandatagli dal suo cardinale, non ancora promossa dalla Chiesa alla san- tità, del cui potere santorale divenne così testimone. Il prestigio personale del Bianchi, dal 1278 spesso impegnato in legazioni, de- finito «pacis amicus et concordiae zelatorem» nei mandati pontifici, fa com- prendere la ragione del più volte citato incarico affidatogli nel 1281, proprio poco prima di esser nominato legato apostolico per la Sicilia, da parte dei contendenti laici e religiosi lunigianesi, i Malaspina ed il presule lunense, allo scopo di dirimere la scottante situazione creatasi in settori importanti della potestà temporale nel- la diocesi di Luni (230). La protezione del cardinale, che fu anche quello che ac- cettò la rinuncia all’episcopato di Enrico da Fucecchio (231), insieme con la sal- dezza consortile della famiglia Fieschi anche in Curia romana, servirono poi, almeno inizialmente, da scudo ai tentativi di arginare le pretese aggressive di Luc- ca, dei comuni, dei Malaspina e dei domini della loro parte verso il potere tem-

Jacopo Caetani Stefaneschi, probabilmente lo stesso Benedetto Caetani e Gerardo Bianchi, A. PA- RAVICINI BAGLIANI, Bonifacio VIII, Torino 2003, pp. 58-59; P. HERDE, s.v. Celestino V, in DBI, vol. 33, Roma 1979, p. 114; P. SILANOS, Gerardo Bianchi da Parma cit., pp. 262-265; P.GOLINELLI, Il papa con- tadino, Celestino V ed il suo tempo, Firenze 1996, pp. 165-166. (229) Narrata negli Acta Sanctorum Maii, dies decima nona, t. 4, Antverpiae 1685, col. 519: «In Curia romana prelatus quidem erat, nomine Antonius, capellanus quondam cardinalis Gerardi Parmensis Sabinensis episcopi, recens autem promotus ad episcopatum civitatis Lunensis, qui in gravissimam lapsus infirmitatem, extra spem vitae a medicis positus erat. Quod cum cardinalis Ge- rardus aliique amici eius ferrent dolenter, ipse eidem mandavit per suum capellanum ne spem abi- ceret, quamvis humana deficerent omnia, sed Deo sanctoque Petro se commendaret. Paruit consi- lio aeger factaque oratione coepit continuo habere melius et intra paucos dies convaluit com magno cardinalis ipsius et aliorum gaudio». L’episodio è brevemente citato in G. B. SEMERIA, I secoli cri- stiani della Liguria, I, Torino, 1843, pp. 64-65. (230) Per il lodo CP, nr. 524, 1281, maggio 8. (231) La notizia si ricava dalla narratio della bolla di nomina di Antonio da parte del pontefi- ce: «...per liberam resignationem bone memorie Enrici, episcopi Lunensis, per Fredericum Saladin de Fusenova, procuratorem ipsius, ... in manibus venerabilis fratris nostri Gerardi, episcopi Sabi- nensis, sponte factam ...». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 136

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porale del nuovo vescovo Antonio da Camilla ed a promuovere nei loro confron- ti interventi sanzionatori e giudiziari da parte del pontefice, che sembrano per- dere di vigore dopo la morte del Bianchi e dei papi Bonifacio VIII e Benedetto XI. Soprattutto con il trasferimento della sede apostolica in Francia, la posizio- ne del da Camilla sembra essersi fatta più debole, tanto da convincerlo alla ne- cessità del compromesso pacificatorio del 1306.

Scontro di poteri in un’«area di strada» Nel febbraio 1272, nel chiostro di San Lorenzo in Genova, avvenne una composizione di vertenze fra il conte di Lavagna Federico Fieschi, da una par- te, ed il marchese Moroello, anche a nome dei fratelli Manfredi e Alberto Mala- spina e dei propri nipoti, figli del fu Federico, dall’altra, relativa soprattutto alla precedente cessione o vendita al Fieschi, da parte degli stessi Moroello e Fede- rico, della giurisdizione, con i suoi fructus et obventiones, del castello di Madri- gnano in Lunigiana, che proveniva ai Malaspina da concessioni imperiali e dal- l’acquisto di possessi e diritti estensi (232). Come viene esposto nella narratio dell’atto (fig. 11), spogliato in seguito del possesso, Federico avrebbe ottenuto nel 1271 un lodo dai capitani del comune di Genova a suo favore, contro Man- fredi Malaspina e i suoi homines. Secondo il marchese, invece, il castello non era stato venduto, ma dato in pegno, anche se egli ammetteva che l’atto era stato scritto secondo la forma di un instrumentum venditionis. Rifiutava poi la so- stanza del lodo comunale, nel diritto e nel fatto, anche riguardo alla parte pecu- niaria comminatagli. Pro bono pacis et concordie il Fieschi accettò una gene- rallem transactionem et compositionem, rinunciando all’utilizzo del lodo genovese, abdicando perciò al possesso e giurisdizione del castello con la cessione di om- nia iura realia et personalia, contro la somma di lire 1500 di genovini, pagabi- li in alcune rate. Rimise inoltre alla controparte ogni ingiuria ricevuta al tempo dell’occupazione di Madrignano. Alla composizione del 1272 partecipò l’intero entourage guelfo, che nella ge- nerazione seguente sarà ancor più solidale. Fra i diversi fideiussori dell’accor- do, ciascuno impegnato per cento lire, al primo posto risulta Sorleone Grimaldi, seguono Niccolò Fieschi, Filippo de Volta, mentre fra i testimoni compaiono Al- bertino Fieschi di Ugone e Franceschino de Camilla, tutte famiglie guelfe, come si è visto, in stretti rapporti reciproci. Da ricordare che i Malaspina avevano tes-

(232) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1272, febbraio 17. Per un sommario regesto ibidem, Spo- glio 100, n. 235. Vd. anche la parziale trascrizione dell’erudito Carlo Frediani, fatta circa verso il 1832, in ASMs, Archivio Storico del Comune di Massa, I Serie, b. 50. Niccolò Fieschi risulta posterior- mente detenere gli iura pro pedagio Madrognani che nel 1276 vendette alla Repubblica di Genova insieme con i suoi possessi da Pietra Colice a Sarzana e al mare: Historiae Patriae Monumenta, Li- ber Iurium Reipublice Genuensis, Torino 1854, t. I, coll. 1445-1449. Per una breve sintesi delle vi- cende del feudo L. FERRARI, Calice al Cornoviglio, Genova 1989, specie pp. 27-33. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 137

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Fig. 11 - Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Malaspina, compromissione pacificatoria fra Federico Fieschi e i marchesi Malaspina, anno 1272, particolare (Autor. Minister.).

suto rapporti matrimoniali anche con i Grimaldi: di questa famiglia era la madre di Franceschino di Moroello ed Alaone Grimaldi di Sorleone sarà il secondo ma- rito della cognata di Alagia, Manfredina (233). L’atto del 1272, rogato da un notaio genovese, potrebbe interpretarsi come la risoluzione di una delle tante cessioni per prestito su pegno di siti castrensi, o an- che di pedaggi, di cui membri della casata malaspiniana, quando si trovavano a corto di denaro liquido, erano stati forzatamente protagonisti già a partire dai secoli precedenti (234). La stipulazione di un compromesso pacificatorio, pur in

(233) Per la Grimaldi consorte di Moroello E. BRANCHI, op. cit., I, p. 173, seguito da Genealo- gie di Sardegna, p. 311, tv. XXII, lemma 17. Per Manfredina cfr. nota 132. (234) Il desiderio - o il bisogno - di capitalizzazione di rendite feudali aveva avvicinato già dal- l’inizio del secolo XII i Malaspina all’aristocrazia imprenditoriale genovese, a membri della quale furono ceduti, talvolta in feudo perpetuo, quote di diritti fiscali, in particolare pedaggi sull’itinera- rio che collegava la città ligure a Pavia e Piacenza e che attraversava i territori marchionali della Val Trebbia e Val Staffora, cfr. R. PAVONI, Genova e i Malaspina nei secoli XII e XIII, in Atti del Con- vegno di Studi sui Ceti Dirigenti nelle Istituzioni della Repubblica di Genova (Genova 1986), La Storia dei Genovesi, vol. VII, Genova, 1987, pp. 281-316, in particolare pp. 290-292. Nel 1307, maggio 16, per fare altri esempi, Francesco del fu Bernabò, avendo ricevuto a mutuo da Moroello fu Manfredi 150 fiorini d’oro, diede in pegno di tale somma diversi castelli con le loro pertinenze e tutte le ragioni che gli spettavano sul castello di Groppo S. Piero, su cui E. GERINI, Memorie stori- che cit., p. 42. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 138

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ambito giuridico diverso, per un oggetto di contendere assai più ridotto e fra av- versari entrambi laici, appare tuttavia, per certi aspetti, comparabile a quello del 1306, seguito alle aggressioni della parte malaspiniana alla signoria vescovile. Entrambi i consorzi fliscano e malaspiniano avevano attenzione al controllo dei percorsi stradali, dei passi e luoghi di pedaggio, in un’ottica di dominio dei nodi di transito nelle aree distrettuali collinari e montane e, soprattutto, dei flussi mer- cantili (235). Il castello di Madrignano può esserne un esempio. Era un importante caposaldo sul sistema dei percorsi trasversali allo spar- tiacque Vara-Magra, che in epoca moderna sarà percorso dalla Strada Regia, di- retta verso il Monte Gottero e rimasta fino al secolo XIX uno dei maggiori tracciati longitudinali dell’Appennino ligure, con profonde radici nel territorio dei Feudi imperiali, di Genova, nonché di Tortona e Oltrepò Pavese, attraverso i passi ap- penninici che aprono alla discesa verso la Pianura Padana, in particolare per il tra- sporto del sale. Era, infatti, utilizzato dai mulattieri per alimentare il mercato di Sarzana, perché agibile in tutte le stagioni (236). Il tracciato, dal ponte sulla Magra di Albiano-Caprigliola o da Ceparana, risa- liva fino al castrum di Bolano (237), principale oggetto, insieme con quello della Brina, della pace del 1306, e proseguiva lungo il crinale o per mezzacosta fino alla dorsale di Madrignano, dove si esercitavano diritti di pedaggio, non sempre, però, rimasti parte degli iura discendenti dal possesso del castello (fig. 12). Per l’ampia visibilità consentita dall’orientamento del promontorio, Madri- gnano era investito di un naturale ruolo di controllo sulla piana interna della Vara (conca di Castiglione e Beverino) da Sant’Andrea di Montedivalli a Ceparana e, quindi, sulla piana di Luni. Inoltre, a causa della rotazione della dorsale rispetto al tracciato della Strada Regia, era favorito dalle direttrici trasversali prove- nienti dalla radice del Golfo della Spezia e dalla costa delle , princi- palmente da Riomaggiore e Carpena, passando per Polverara, Tivegna, Piana Bat- tolla, oppure, a settentrione, lungo la Val Graveglia ed il piano di Castiglione. Ad oriente si legava facilmente alle alte valli del Mangiola (con il centro ca- strense malaspiniano di Mulazzo), dell’Osca (con quello di Tresana) e, più in basso, all’alta valle del torrente Pènolo che fornisce, attraverso la mezzacosta do- minata dal castello di Giovagallo, un ottimo collegamento tra lo stesso Madrignano

(235) Per tale politica fliscana vd. D. CALCAGNO, I conti di Lavagna e il controllo del territorio, in La montagna tosco- ligure-emiliana e le vie di commercio e pellegrinaggio: Borgo Val di Taro e i Fieschi, Atti del convegno (Borgo Val di Taro 1998), a cura di D. CALCAGNO, Borgo Val di Taro 2002, pp. 33-64. (236) Come si rileva dalla documentazione in R. GHELFI, Matteo Vinzoni e Sarzana cit. (237) Per il ruolo territoriale del nodo di confluenza dei fiumi Vara-Magra e di Bolano-Cepara- na cfr. R.GHELFI, L’abazia di San Venanzio di Ceparana nel territorio della bassa Val di Magra, in San Venanzio vescovo di Luni: la vita, la legenda, la memoria, «GSL», n.s. LVII (2006, ma 2008), a cura di E. M.VECCHI, specie pp. 184-190 e fig. 3. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 139

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Fig. 12 - Madrignano, resti del castello. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 140

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ed il guado di Terrarossa-Barbarasco in Val di Magra. Villafranca e Lusuolo, che si trovano al termine della dorsale generata dal Monte Cornoviglio, fortificavano la strettoia che separa la media Val di Magra (piana di Filetto e Filattiera) dalla pia- na di Terrarossa ed Aulla. Il controllo del castello fu anche un elemento di sfondo della situazione poli- tica e della lotta contro il Comune genovese che accomunò le due casate fliscana e malaspiniana a fianco di Carlo d’Angiò, o comunque contro il governo ghibelli- no in Genova, sia nello stesso capoluogo, sia nella riviera orientale, particolar- mente nelle aree appenniniche ed in Lunigiana negli anni settanta del secolo XIII (238). Dopo la vendita forzata a Genova delle giurisdizioni di Niccolò in Lunigiana (1276), i Fieschi ebbero ancor più necessità di sicuri appoggi ed alleanze, anche per il contrastato controllo di Pontremoli, con la fine del periodo di predominio ghibellino (1253-1266) e dopo che erano state concesse a membri della casata nuo- ve infeudazioni sovrane, che saranno coronate infine dal privilegio imperiale ot- tenuto dal cardinale Luca e fratelli nel 1313 (239). In quest’ottica si comprende la scelta per l’opportunità di un accordo con i marchesi. Diverso lo scenario dei rapporti fra Malaspina e vescovo, poteri inevitabil- mente concorrenti in Lunigiana nella dominazione di uomini e territori, ma anche dei relativi percorsi e valichi, il cui naturale corollario era il controllo di siti forti- ficati in posizione chiave e delle risorse, umane ed economiche, del rispettivo di- strictus. Prima Romeo Pavoni, poi Enrica Salvatori hanno lumeggiato una stra- tegia territoriale vescovile già in nuce nel X secolo, verso le curtes e i castra sulle alture collinari della bassa Val di Magra e bassa Val di Vara, a latere della diretti- va principale che sarà chiamata via Francigena (240); strategia poi maturatasi nel-

(238) G. CARO, Genova e la supremazia nel Mediterraneo (1257-1311), t. I, Genova 1974, pp. 320-325, 374-377; G. PETTI BALBI, I Fieschi ed il loro territorio cit., pp. 115-116, per il ruolo del card. Ottobuono, paciere fra Genova e l’Angioino. (239) Per una dettagliata sequenza degli avvenimenti pontremolesi si rimanda a G. SFORZA, Me- morie e Documenti per servire alla storia di Pontremoli, Lucca 1887, p. I, t. I, pp. 154 segg.; II, doc. 26, pp. 304-306 e P. FERRARI, op. cit., specie pp. 28-36, 50-54, 58-60, 136-139. (240) I fondamenti giuridici della signoria vescovile lunense risalgono ad un diploma di Be- rengario I dell’anno 900, che sembra confermare precedenti concessioni tardo-carolingie, accor- dando immunità e piena capacità fiscale dei presuli sulle terre ecclesiastiche. A seguito del primo processo di incastellamento e della nascita di mercati, i vescovi ebbero in età ottoniana altri pote- ri pubblici, «indispensabili - come scrive Romeo Pavoni - per ottenere l’adempimento degli obbli- ghi castrensi da parte degli abitanti del territorio… e per regolare l’attività di mercato», entrando in parte in concorrenza con la giurisdizione dei pubblici ufficiali, i marchesi-conti della dinastia obertenga, che dalla metà del X secolo avevano avuto potestà sulla marca della Liguria Orientale, compresa la contea di Luni: R. PAVONI, La signoria del vescovo di Luni, in Atti Pelavicino, pp. 29- 59, con attento rimando alle fonti documentarie. Vd. poi R. RICCI, La Marca della Liguria orienta- le e gli Obertenghi (945-1056). Una storia complessa e una storiografia problematica, Spoleto 2007. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 141

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la seconda metà del secolo XI tramite patti di incastellamento con potenti «fami- glie signorili provenienti dalle diocesi circostanti, con ingenti proprietà ai margi- ni del territorio lunense», che avrebbe consentito la formazione di ambiti limita- ti, ma compatti, di dominio (241). Gli originari possessi episcopali non riguardavano tutto il territorio diocesa- no (242), ma erano concentrati, oltre che nella bassa Val di Vara e nella bassa Val di Magra, sul confine meridionale del Comitato lunense. Si erano ampliati nel secolo XI soprattutto alla Valle Aulella, nell’ambito di micro-sistemi territoriali caratte- rizzabili come quelle «aree di strada», «con cui interagiscono transiti variabili ma duraturi nel tempo», che influiscono condizionando il territorio stesso e la so- cietà locale, pur con tutte le potenzialità delle mutevoli relazioni sincroniche e dia- croniche fra aree, strade e quei luoghi «nella cui storia la strada è presente» (243). Fra XII e XIII secolo l’episcopato aveva pienamente assunto i caratteri di un’au- torità signorile che controllava popolazioni e centri fortificati. La concessione dei poteri comitali da parte dell’imperatore Federico I, assai attento ai rapporti con le potenze locali che gestivano il tratto o, per dirlo più appropriatamente, i fasci di percorsi della via Francigena, dal Monte Bardone alla costa, si posero nel qua- dro di una riorganizzazione della regione segnata ormai dal crescente abbandono della civitas di Luni, la Urbs Vetus (fig. 13), come verrà appellata nel Codice Pe- lavicino (244). Già almeno dal 1239, secondo diversi testimoni appositamente interpellati nel quadro di una inchiesta del 1279, l’episcopato, i suoi vicari ed officiali avevano ple- nam iurisdictionem, di custodia e polizia, pedaggio, difesa e protezione dei viag- giatori e dei loro beni, sul tratto di strata publica de Scognavarano (così deno- minata dall’omonimo ospedale posto fra Santo Stefano e Sarzana), che dal territorio sarzanese, in particolare dal Monte Rosso, giungeva fino al distretto di Aulla e, su di un segmento collegato, fino ad rivum de Gozolo (245).

(241) E. SALVATORI, Fosdinovo nella gerarchia delle strade e dei poteri della Lunigiana me- dievale, in Signori e popolo di Fosdinovo nel basso medioevo cit., pp. 39-56. (242) Sui quali A. A. SETTIA, Castelli e borghi cit., pp. 119-132, con analisi critica della prece- dente bibliografia. (243) Per queste definizioni, ben recepite negli studi, G. SERGI, «Aree» e «luoghi di strada»: an- tideterminismo di due concetti storico-geografici, in La viabilità appenninica dall’Età Antica ad oggi, Atti delle giornate di studio (Porretta Terme, 1997), a cura di P. FOSCHI, E. PENONCINI, R. ZAGNONI, Porretta Terme-Pistoia 1998, p. 11; ID., Evoluzione dei modelli interpretativi sul rap- porto strade-società nel Medioevo, in Un’area di strada: l’Emilia occidentale nel Medioevo. Ri- cerche storiche e riflessioni metodologiche, a cura di R. GRECI, Bologna 2000, pp. 3-12. (244) Per le motivazioni giuridiche del persistente status di civitas di Luni, nonostante lo spopolamento, fattore primo del rango di città, cfr. A. BALDINI, Il potere comitale dei vescovi di Luni, in Atti Pelavicino, specie pp. 92-93. (245) CP, nr. 407, 1279, luglio 28. La giurisdizione vescovile era contrastata dal comune e da- gli homines di Vezzano. Per un censimento degli ospitali, con i principali riferimenti bibliografici, E. SALVATORI, Presenze ospedaliere in Lunigiana, in Riviera di Levante tra Emilia e Toscana. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 142

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Fig. 13 - Matteo Vinzoni, Il Golfo della Spezia; a destra la foce della Magra ed il sito di Luni distrutta.

Lo scontro con i Malaspina venne a infiammarsi soprattutto nell’ultimo quarto del XIII secolo. Subito dopo la sua elezione alla cattedra vescovile lunense, soprattutto negli anni fra il 1273 ed il 1286, Enrico da Fucecchio si era mosso su una triplice linea politica di restaurazione del dominio temporale: da una parte riorganizzare le strut- ture gestionali interne all’episcopato e ricostituire le risorse economiche, sia con il recupero degli attestati dei propri diritti, sia con una più rigida raccolta dei pro- venti dei suoi iura; quindi rinserrare i rapporti con i vassalli e gli homines che ave- vano giurato fedeltà ai vescovi lunensi, o di cui lui stesso aveva ottenuto il giura- mento di fidelitas, anche tramite acquisti dai signori zonali di beni allodiali e di quote parti di diritti, in modo che si rafforzassero e, se possibile, si accorpassero le aree di dominio del vescovato; infine provvedere di migliori difese o costruire ex novo strutture fortificate a protezione e controllo di percorsi stradali e di

Un crocevia per l’Ordine di San Giovanni, Atti del Convegno (Genova-Chiavari-Rapallo, 1999), a cura di J. COSTA RESTAGNO, Genova-Bordighera 2001, pp. 189-222, disponibile per la consultazione anche nel web. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 143

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aree portuali, promuovendone il popolamento ed acquistando nelle diverse curie vassalli e redditi (246). La strategia di controllo viario, di percorsi e flussi, oltre che in quella econo- mica, anche in una prospettiva di offerta di un’immagine politica di autorità e si- curezza, su cui non ci si è finora soffermati nell’ottica dei conflitti della fine del se- colo XIII e della seguente pace (o meglio paci) con i Malaspina, risulta chiaramente se si osserva sotto questo punto di vista l’elenco e la qualità dei suoi interventi. Egli infatti, come spiega particolareggiatamente in quella che è stata definita dal Lupo Gentile la sua autobiografia, acquistò diritti nel castrum di Regnano, nel- la curia di Soliera, nelle Terre dei Bianchi, quindi in Bibola (247), mentre rivendi- cava anche le sue ragioni su Burcione e sul castello di Trebiano, assicurandosi così punti di controllo sugli opposti versanti della bassa Val di Magra (248). L’atten- zione al potenziamento dell’insediamento castrense, tanto signorile, quanto pro- babilmente ad uso di un funzionariato vescovile con relativo, più attento, coordi- namento dei ceti dei castellani e degli homines, fu un’altra della sue linee strategiche. Riparò il castrum di Ponzanello (249), ove eresse un palatium magnum gentili- zio e promosse l’insediamento costruendo case; a Caprigliola fece fare un casse- ro (250) e nuove abitazioni; a Castelnuovo la turris magna ed un palazzo, ove si rogherà l’atto del 1306 (251); elevò ex novo un castrum a San Maurizio posto iux-

(246) In particolare CP, docc. nr. 2-10, 14 dell’Addenda. (247) Ibidem, docc. nr. 2, 1273: la curia di Soliera con i castra di Monticulus, Collecchia, Gas- sano e Ceserano; nr. 4, 1273: diritti, vassalli, redditi e possessi nelle Terre dei Bianchi; in Soliera e distretto la terza parte del castrum et curia di Soliera; in precedenza aveva acquistato le altre dal marchese Francesco del fu Bernabò Malaspina, doc. 246, 1278, marzo 16. (248) CP, doc. nr. 490, 1279, febbraio 9. (249) S. DI MEO, Archeologia e storia di un sito fortificato in Lunigiana: il caso di Ponza- nello, in Signori e popolo di Fosdinovo cit., pp. 95-114, sulla base delle evidenze materiali e dei 64 documenti che lo riguardano (dalla fine del XII secolo alla fine del XIII), raccolti nel Codice Pela- vicino, molti dei quali rogati in loco, ne rileva l’importanza nello scacchiere vescovile che si distende da Bibola ad Albiano, alla Brina. Il castello era anche a controllo di una strada ancora assai traffi- cata nel secolo XVII. (250) CP, doc. nr. 4 dell’Addenda, 1273. Il termine toscano cassarum nel XIII secolo soppianta il vocabolo dongione, attestato in Lunigiana alla fine del XII secolo, con il significato di ridotto for- tificato che racchiude in un’ulteriore linea di difesa le costruzioni militari e residenziali più impor- tanti del complesso castrense: A. A. SETTIA, ‘Dongione’ e ‘motta’ nei castelli dei secoli XII-XIII, in «Archeologia Medievale», XXVII (2000), pp. 299-302; ID., Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Città di Castello 1999, con ristampa di numerosi saggi dell’A. Per gli aspetti topografici, architettonici e archeologici R. GHELFI, Caprigliola, Aulla 1993; G. BERGHICH, Il sistema castellano di Caprigliola (MS), in «Archeologia dell’Architettura», V (2000), pp. 155-173. (251) Sulla planimetria e strutture del palacium G. ROSSINI, Il castello dei vescovi di Luni a Ca- stelnuovo Magra, in «MALC», LX-LXI (1990-1991), pp. 3-45; D. FERDANI, “Fecimus fieri palacium et turrim magnam”: indagini archeologiche nelle strutture fortificate di Enrico da Fucecchio (1273-1297), in «SL», XXXVIII-XXXIX (2008-2009), pp. 151-177, per un’indagine di archeologia del- l’architettura dei sistemi fortificati di Castelnuovo e Caprigliola. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 144

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ta faucem Macre, nell’ambito del controllo e riassetto della politica doganale ma- rittimo-fluviale (252). Fu anche eretto un battifolle sul poggio ed intorno alla tor- re del monastero del Corvo, che dominava la parte terminale della sponda destra presso la foce, dalla parte dei sentieri che si diramavano verso la parte orientale del golfo e verso le strade di lunga percorrenza in direzione di Genova (253). Re- cuperò i castra di Ameglia e Barbazzano, consegnatisi al Comune genovese, e quel- lo di Bolano, che venne interamente ricostruito: i primi indizi della concorrenza malaspiniana-vescovile nella curia bolanese sembrano risalire almeno al secolo X (254). Comprò la citata casa in Sarzana, già occupata da Moroello Malaspina probabilmente all’epoca in cui era vicario vescovile, e ne costruì altre in Carrara. Rivendicò, portando questa lite all’attenzione del pontefice, dal Comune genove- se i castelli di Tivegna, Castiglione e Bracelli ed il borgo di Padivarma con tutti i loro diritti, in parte ceduti in feudo perpetuo, in parte venduti dal vescovo Gu- glielmo al conte Niccolò Fieschi nel 1254, su pressante richiesta dello zio, papa In- nocenzo IV, quindi rivenduti dal Fieschi al comune genovese (255). Ridusse la pre- senza egemonica di Lucca, anche se non riuscì a cacciare completamente, come egli invece sostiene, non solo dalla diocesi, ma perfino dalla stessa burocrazia epi- scopale gli oriundi della città toscana (256). Quindi riorganizzò la raccolta dei proventi economici, particolarmente dei pe- daggi, sia sulla via Francigena, sia nelle aree portuali: revocò, per esempio, al comune di Sarzana la metà della doana salis, grazie alla sentenza favorevole di un processo in curia Romana, e instaurò la dogana sui marmi a Carrara, ricon- ducendo all’ordine i magistri marmorum; regolamentò, dopo un’inchiesta, la po- litica doganale in specie per l’attracco di San Maurizio e per le stazioni di esazio- ne di pedaggio di Santo Stefano, Caprigliola, Avenza (257).

(252) CP, doc. 4 dell’Addenda, 1273: ne viene esplicitamente sottolineata la funzione: «… de quo magna utilitas et proventus accrevit et accrescit episcopatui Lunensi in pedagio, ripati- co…». (253) Ibidem, doc. nr. 32, 1286, marzo 16: il podestà di Ameglia e Barbazzano aveva fatto edi- ficare «unum botifredum super podium et circa turrim de Corbo ... ad custodiam maris et terre et ne aliqui ibidem offendantur et maxime Ianuenses ...» (254) U. MAZZINI, Malaspiniana. Intorno al feudo di Bolano, in «GSL», II (1910), pp. 91-90, che lo rileva sulla base di un paragrafo dei locali statuti del 1227. (255) CP, docc. nr. 487, 1277, gennaio 18; nr. 484, 1278, novembre 6. Per la cessione al Fie- schi: docc. 15, 1253, marzo 28; 58, 1254, maggio 4; nr. 81, 1277, maggio 13 per il processo in Curia Ro- mana contro il comune e gli uomini di Sarzana e Genova. (256) Per questo scopo si rivolse anche all’autorità pontificia: Les registres d’Honorius IV (1285-1287), Deuxiéme annèe, Lettres communes cit., nr. 575, 1286, luglio 15; nr. 680, 1286, no- vembre 22. (257) Ibidem, docc. nr. 6- 8 dell’Addenda, 1277, agosto 8 e 1279, novembre: si specificano det- tagliatamente i materiali che transitano e le somme percepite; doc. nr. 407, 1279, luglio 28 per i pe- daggi di Scognavarano; nr. 371, 1277, agosto 9: minutissima inchiesta su ogni tariffa da applicarsi a Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 145

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 145 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Gli interessi vescovili appaiono, quindi, incentrati sui diversi percorsi del territorio, prima di tutto per il percorso pedemontano più noto della via Franci- gena o Romea, che collegava la pianura padana a Roma, discendendo in Lunigia- na dal passo di Monte Bardone, oggi Cisa, e snodandosi nell’episcopato verso Car- rara, Avenza e la Versilia (258). Non mancavano varianti più interne, come il tracciato per Bibola, collegabile alla Brina. In particolare nella prima età altomedioevale si era attuato il ritorno all’uso, specie per i lunghi percorsi, di tracciati viarî natura- li, i quali si appoggiavano alla configurazione orografica collinare, più stabile del- la pianura, senza bisogno di particolari strutture stradali, considerato anche che il traffico mercantile terrestre fu realizzato con la someggiatura del carico per mez- zo di muli fino a tutto il XVIII secolo, quando si cominciarono a progettare stra- de carrabili e carrozzabili (259). Relativamente alla fascia di alte colline del lato destro della bassa Val di Ma- gra dopo la confluenza con la Vara, il tracciato collegava, attraverso ‘svincoli’, o per un percorso di mezza costa alta, un complesso di beni terrieri, documentati nel X secolo come curtes, centri agrari organizzativi dell’insediamento sparso e della produzione e raccolta, con una pieve e una fortificazione di sorveglianza e protezione, sulle quali i vescovi di Luni ebbero dapprima poteri fiscali e giuridi-

San Maurizio, dai singoli marinai e corpo navi transitanti, al sale, biade, formaggio, panni di lana, utensili e manufatti per la mensa, etc. (258) La bibliografia sulla via Francigena è divenuta negli ultimi anni amplissima, specie con il rinnovato interesse per i percorsi del sacro in occasione del Giubileo. Si rimanda soltanto ad alcu- ne opere generali sul nostro territorio con puntuale bibliografia: Il pellegrinaggio medievale per Roma e Santiago de Compostela, Itinerari di Lunigiana, Aulla 1997, specie A. C. AMBROSI, Sulla via dei pellegrini in Lunigiana e sul porto di S. Maurizio, pp. 9-17; Viaggio lento lungo la Via Francigena e gli itinerari romei in provincia della Spezia, a cura di G. PIZZIOLO ET ALII, Genova 1997; La via Francigena dalla Toscana a Sarzana, attraverso il territorio di Massa e Carrara: luoghi, figure e fatti, Atti della giornata di studi (Massa, 1996), Modena-Massa 1997; T. NERI, D. CAP- PONI, Lungo la via Francigena. , crocevia di antichi itinerari, Pietrasan- ta 1996; R. STOPANI, La Via Francigena in Toscana: storia di una strada medievale, Firenze 1998; E. SALVATORI, La Francigena nella Lunigiana medievale: una strada da percorrere?, in Studi sull’Emilia occidentale nel Medioevo, a cura di R. GRECI, Bologna 2001, pp. 177-203; G. REDOANO COPPEDÉ, Le vie di comunicazione dell’Appennino tosco-ligure-emiliano, in La montagna tosco- ligure-emiliana cit., pp. 33-64, con riferimenti ai precedenti saggi dell’A. sullo stesso argomento; T. MANNONI (a cura di), Strade di Liguria cit. e i diversi contributi nella rivista «De strata Francigena». (259) T. MANNONI, Vie e mezzi di comunicazione, in «Archeologia medievale», X (1983), pp. 213-222; ID., L’analisi critica nei problemi di cultura materiale: il caso delle strade romane, in Viabilità in Liguria tra I e VII secolo d. C., Bordighera 2004, pp. 5-18; ID., Gli aspetti archeologici della ricerca sulle strade medievali, in Un’area di strada: l’Emilia occidentale nel Medioevo cit., pp. 13-18; A. CAGNANA, Archeologia delle strade: finalità di ricerca e metodi di indagine, in «Ar- cheologia dell’Architettura», 1 (1996), pp. 71-74; J. A. QUIRÓS CASTILLO, Archeologia delle strade nel medioevo, in L’ospedale di Tea e l’archeologia delle strade nella valle del Serchio, a cura di J. A. QUI- ROS CASTILLO, Firenze 2000. Sono grata agli amici Roberto Ghelfi, per le molte discussioni sulla for- ma del territorio, ed a Franco Mariano, per i suggerimenti documentali. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 146

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ci, poi, dalla fine del XII secolo, piena potestà temporale, facendone punti focali incastellati del proprio dominio (260). Dal porto fluviale di San Maurizio, con chiesa e ospitale, sito con resti oggi in- dividuabili tramite prospezioni geofisiche sulla riva sinistra della Magra, presso la foce («fauces Macre»), secondo alcune ipotesi invece posto originariamente su quella destra (261), una mulattiera conduceva ai rilievi della costa orientale del golfo della Spezia collegati al sistema di crinali che giunge fino al passo del Bracco. È stato calcolato che il percorso da Bocca di Magra fino a Sestri, di 80 km, poteva esser suddiviso in quattro tappe, per sette ore giornaliere di cammino, scan- dite da enti ecclesiastici che prestavano funzioni ospitaliere più o meno specia- lizzate: la prima si sarebbe conclusa a Vezzano (priorato di Santa Maria e ospita- le di San Nicolò), legato alle percorrenze dal piano della Magra verso il Golfo, la seconda a Soviore (chiesa di Santa Maria), la terza a Pietra Colice (Castiglione Chiavarese), ove era un altro ospitale titolato anch’esso a San Nicolò, l’ultima a Sestri (262). In aggiunta agli ospitali, le stesse pievi e abazie offrivano solitamen- te assistenza ai viandanti, mercanti e pellegrini, almeno fino a tutto il XIV seco- lo, e soprattutto prima del diffondersi di strutture a pagamento come osterie e lo- cande. Un altro tracciato partiva dal priorato del Corvo, posto nelle propaggini del si- stema montuoso del Caprione, proprio sopra la foce del fiume Magra (fig. 14), sul lato destro (263). Fondato nel 1176 dal vescovo lunense Pipino, era stato da lui de-

(260) Oltre la curtis di Luni sulla sponda sinistra della Magra, sulla destra erano l’insediamen- to fortificato di Ameglia, che sarà nei secoli successivi un vero e proprio caposaldo castrense e di- mora vescovile, Trebiano, Vezzano, cfr. R. PAVONI, Il problema dell’incastellamento in Liguria nei secoli X-XII, in L’incastellamento in Liguria, X-XII secolo. Bilancio e destini di un tema storio- grafico cit., pp. 81-99. Arcola, già curtis e castello dei funzionari pubblici regi della Marca della Li- guria, i marchesi Obertenghi, era posta, quasi come un cuneo nelle proprietà vescovili, in un setto- re viario particolarmente importante per la giunzione della valle con la costa del golfo oggi detto della Spezia. I relativi circuiti plebani che avevano, oltre che la funzione della cura d’anime, quella dell’inquadramento delle popolazioni rurali, si disponevano a cavaliere dei due versanti fluviale e costiero, con agli estremi cappelle e ospitali di sostegno del viaggio. Il percorso viene popolarmente chiamato «via delle pievi». Per una minuta analisi della viabilità vd. G. REDOANO COPPEDÉ, La stra- da sulla riva sinistra del Magra da Aulla a Sarzana e oltre, la sua diramazione verso occidente ed il sistema viario della Lunigiana nei secoli del basso medioevo, in Atti Pelavicino, pp. 177-259. (261) Città antica di Luna cit.; P. RIBOLLA, Il pellegrinaggio fra Roma e Santiago: dal Porto Sancti Mauricii all’approdo di Lerici, in Il pellegrino e la sua ombra, Il castello di Lerici e il ter- ritorio spezzino nel viaggio devozionale, a cura di L. ROSSI, P. SPAGIARI, La Spezia, pp. 27-37. (262) G. ROSSINI, La domus dei canonici di Santa Maria di Vezzano, in La chiesa romanica di Santa Maria di Vezzano Ligure: un edificio ritrovato, Atti del Convegno (Vezzano L. 1996), a cura di E. M.VECCHI, in «GSL», n.s. XLVI-XLVIII (1997, ma 2000), pp. 101-132. (263) Su cui L. PODESTÀ, Del monastero di Santa Croce del Corvo, in «Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi», s.VI, VI (1896), pp. 117-126; U. MAZZINI, Il monastero di Santa Croce del Corvo, in Dante e la Lunigiana, pp. 211-231; V. BIAGI, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 147

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Fig. 14 - Ameglia, monastero di Santa Croce del Corvo.

dicato alla Santa Croce ed insieme anche a San Nicolò (264), ‘certificando’ forse così un’attività ospitaliera probabilmente precedente l’istituzione monastica. L’en- te è ancor oggi costeggiato da una mulattiera acciottolata, che da Bocca di Magra conduce a Monte Marcello, quindi al crinale della costiera orientale del golfo, ed è anche testa di un sentiero di mezza costa, sul versante del mare, che arrivava al porto di Lerici, passando per gli insediamenti del castrum di Barbazzano e di Portisone, abbandonati verso la metà del XV secolo, ma in precedenza fonda- mentali per il controllo di una parte della costa lericina. La viabilità storica ren- de più comprensibile la posizione del monastero, che ci appare troppo isolata, a sbalzo sul mare e sull’estuario e, quindi, una consuetudine di accoglienza, di cui potrebbe esser un riverbero la visita di Dante Alighieri riferita nella cosiddetta let-

Un episodio celebre della vita di Dante. L’autenticità dell’epistola ilariana su documenti inedi- ti, Modena 1910; A. MORETTI, Monumenti medievali della bassa val di Magra: il monastero di S. Croce del Corvo e il castello di Ameglia, tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, a. a. 1988- 1989, rel. prof. C. Varaldo. (264) Atto riportato in CP, doc. nr. 542, 1176, febbraio 2. La dedicazione secondaria a San Ni- colò, fino ad oggi ritenuta a San Nicodemo, è invece chiaramente desumibile dall’antigrafo usato dal copista del Pelavicino, per il quale E. M. VECCHI, Il monastero del Corvo, il Codice Pelavicino ed una dedicazione mai esistita, in Giornate di studio in memoria di Ferdinando Carrozzi, c. s. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 148

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tera di frate Ilaro, trádita dal Boccaccio nello Zibaldone Laurenziano (265). L’in- tervento del vescovo Enrico sulle strutture dell’estuario indica anche la volontà di superare la situazione creatasi con l’affidamento del monastero del Corvo ai monaci pulsanesi di San Michele in Orticaria di Pisa nel 1186, così come la ces- sione, tre anni dopo, di San Maurizio all’ospedale di Bocca d’Arno, fatti che evi- denziano l’egemonia della città toscana sulla bassa Lunigiana fra la fine del XII e i primi del XIII secolo, anche attraverso un episcopato lunense detenuto da ve- scovi provenienti da famiglie pisane, ed il relativo controllo delle strade e dei mo- vimenti di viaggiatori che si dipartivano dall’estuario della Magra. Sulle alture orientali della bassa Val di Magra due erano i principali percorsi che collegavano in età medievale la piana lunense e l’area costiera con il bacino dell’Aulella, chiave verso la e la Lucchesia oppure per la risalita ver- so la regione emiliana. Il primo, lungo il crinale fra le valli del torrente Parmignola e Bettigna, per il valico di Montorbulo, oggi Foce, scendeva nel versante interno: serviva, quindi, di qua Marciano, Iliaolo, Vallecchia, di là Pulica, Tendola, San Te- renzo. Il secondo, in linea più diretta con Sarzana, era prossimo al castrum di Fo- sdinovo - il cui toponimo Faucenova indicherebbe la presenza di un valico - per scendere poi, passato il crinale, alla piana dell’Aulella (266). Laddove il fiume piega ad angolo retto, dalla valle interna verso la bassa pia- na, sul crinale del contrafforte, si raccolgono percorsi di raccordo in quota che le-

(265) Sull’autenticità della lettera, conservata nel Codice Laurenziano, che mette in campo il problema dell’origine della Commedia, la scelta da parte dell’Alighieri del volgare e la destinazio- ne delle cantiche, la seconda delle quali al marchese Moroello Malaspina, esiste un’ampia biblio- grafia per la quale si rimanda al saggio di G. INDIZIO, Dante e l’enigma del monaco Ilaro di S. Croce: contributo per una vexata quaestio, in «DS», CCXXIV (2006), pp. 91-118, che ripercorre anche i ca- pisaldi della vicenda storiografica dal 1759, anno della prima pubblicazione. Ne danno una nuova, accurata edizione, attenta ai meccanismi di produzione del copista, B. ARDUINI, H. W. STOREY, Edi- zione diplomatico-interpretativa della lettera di frate Ilaro (Laur. XXIX 8, c. 67r), ibidem, pp. 77- 89, preceduta dal saggio di H. W. STOREY, Contesti e culture testuali della lettera di frate Ilaro, ibi- dem, pp. 57-76. Vd. poi C. BALBARINI, Ideologia e funzione “politica” delle immagini in Lunigiana al tempo di Dante: alcuni esempi significativi, in Dante e la Lunigiana, Atti del Congresso in- ternazionale cit., ipertesto, sul rapporto fra il Volto Santo di Lucca, a Dante ben noto, ed il croce- fisso ligneo tunicato, conservato nel monastero di Bocca di Magra che avrebbe accolto il poeta. (266) G. REDOANO COPPEDÉ, La strada sulla riva sinistra del Magra da Aulla a Sarzana cit., specie pp. 206-210, reputa cronologicamente posteriore il tratto per il valico più occidentale di Fo- sdinovo, originato dalla forza attrattiva di Sarzana, dopo la decadenza di Luni; E. SALVATORI, ,Fosdi- novo nella gerarchia delle strade cit., specie pp. 41-42, non ritiene, invece, la fondazione del castello di Fosdinovo, attestato nel 1084, frutto di un progetto alternativo di promozione di un percorso di- verso, ma ipotizza, considerata la politica vescovile nei confronti della microarea orientale rispet- to a Fosdinovo, due tratti viari coesistenti ed una rete di percorsi alternativi collinari-montani che non inducevano ad una struttura organizzativa di esazione di pedaggio. Sui domini di Fosdinovo A. ZOPPI, Proposta per una nuova genealogia dei domini di Fosdinovo e Marciaso (secc. XII-XIV), in Poteri signorili ed enti ecclesiastici dalla Riviera di Levante alla Lunigiana, Aggiornamenti storici ed archeologici, a cura di E.M. VECCHI, «GSL», n.s. LIV (2003), pp. 211-257. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 149

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gano i centri pedemontani della piana della Magra, Luni compreso, con i territori più interni, portando al nodo viario di Aulla. Tra queste percorrenze vi è quella che risaliva la dorsale minore della Brina, dove a partire dall’ultimo terzo del secolo XI, sul colle che oggi è chiamato Nuda, è documentato un sito incastellato, pro- babilmente ad opera dei signori da Burcione, che nel X secolo risultavano visconti del marchese Oberto (267). Al conseguimento di beni e case prima ed all’acqui- sizione poi, anche per donazione da altri signori (268), di quote del castello da par- te del vescovo, di cui i Burcione divennero fideles quando i beni ceduti vennero loro restituiti per infeudazione (269), fece seguito un ulteriore frazionamento del castrum e curia, che appare assai confuso, sia per le quote parti passate in ere- dità, sia per quelle acquistate dai Malaspina, particolarmente da Moroello di Mu- lazzo (270), tanto più che, almeno per un ramo del consortile, i domini dovreb- bero esser stati vassalli marchionali. Così nel secolo XIII si era giunti ad un’aggrovigliata situazione giurisdizionale, divenuta critica dopo che il presule ebbe iniziato a ra- zionalizzare la gestione delle sue ragioni signorili, ad accrescere i propri iura (271) ed ampliare le fortificazioni esistenti nella stessa Brina (272).

(267) M. N. CONTI, Su Burcione e i ‘de Burcione’. Prima relazione interlocutoria, Quaderni della Biblioteca e degli Archivi Storico e Notarile del Comune di Aulla, III, Pontremoli 1986, che ne ricostruisce l’albero genealogico (p. 29); M. BALDASSARRI ET ALII, Ricerche archeologiche nel Castel- lo della Brina (2001-2003), in «Studi Sarzanesi», 2/3 (2003-2004), specie pp. 1-13 e nota 6. (268) CP, nr. 520, 1279, febbraio 19 per l’acquisizione dai signori di Stadano; A. NERI, Alcuni do- cumenti sul castello della Brina, in «GSL», VI (1914-1915), pp. 190-200; G. VOLPE, Lunigiana me- dievale cit., pp. 510, 517. (269) CP, nr. 517, 1187, ottobre 17. L’anno 1188, indicato nel regesto, è da rettificarsi sulla base del giorno del mese e della settimana presenti nella data cronica. Tale infeudazione avveniva dopo la conferma da parte dell’imperatore Federico I al vescovo di Luni della quartam partem ca- stri de Brina: ibidem, 1185, luglio 29. (270) Lo stato dei diritti signorili è ricostruito fase per fase dal vescovo, anche con riferimen- to alla precedente sentenza arbitrale del vescovo della Sabina, Gerardo: CP, doc. 526, s. d. (ma post 1281), nella quale si denuncia come illegale l’acquisto malaspiniano dai discendenti di Lom- bardello di Pellegrino da Burcione, detentori di un terzo, perché, secondo il presule, «dicta tercia pars fuerit feudalis» ed era parte della vicaria lunense. (271) CP, docc. 518-522, 1279, febbraio 17-20: indicativo l’invio da parte del presule di un pro- curatore che, secondo un puntiglioso rituale feudale, prenda possesso del castello, nel quale risie- derà stabilmente, e la seguente nomina dei capitani del comune. (272) M. BALDASSARRI ET ALII, Ricerche archeologiche nel Castello della Brina cit., pp. 11-12: si data al periodo III di fase (seconda metà del XIII secolo) la costruzione di una torre di guardia cir- colare a base piena. Nella prima metà del XIV secolo il complesso fortificato - mura, edificio signo- rile, torre - viene sistematicamente smantellato, in particolare con il volontario abbattimento della torre mediante la tecnica di scalzamento della base: M. BALDASSARRI ET ALII, ‘per tor via la speran- za a chi si fosse di poterli riavere’. Tecniche di abbattimento e di demolizione delle strutture fortificate medievali: primo bilancio delle fonti scritte, iconografiche ed archeologiche, in «Ar- cheologia Medievale», XXXIII (2005), specie pp. 297-299; M. BALDASSARRI, A. FRONDONI, M. MILANE- SE, Indagini archeologiche al castello della Brina (SP). I risultati delle campagne 2005-2007, in «Archeologia Medievale», XXXV (2008), pp. 101-120. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 150

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Si comprende perciò il conseguente scontro con Moroello il Vecchio, che di- fese fin davanti al cardinale Gerardo, scelto come arbitro dalle parti nel 1281, i di- ritti propri e dei suoi frates et nepotes: troviamo implicate nella vicenda le linee parentali coinvolte un quarto di secolo dopo nella pace di Castelnuovo ed evi- denziati i principali nodi della questione (273). Nell’ottica dei Malaspina, d’altra parte, era illegittima la stessa vicaria vescovile, in cui rientrava il castrum Brinae, il cui governo sarebbe pertanto spettato agli officiali del presule, essendo una tale vicaria per i marchesi di pertinenza solo imperiale e, conseguentemente, da am- ministrarsi tramite loro propri vicarî. Mario Nobili ha efficacemente tratteggiato l’alto stato di conflitto, che defi- nisce ‘strutturale’, dei due poteri in competizione, che d’altra parte così «mette- vano alla prova la loro identità», rinsaldando i legami consortili e quelli dei gruppi sociali afferenti (274). Anche in Lunigiana la pace, o meglio le paci, se con- siderate nelle diverse tipologie, posson esser viste come «tregua di una guerra continua» (275) e i cinque accordi di riconciliazione fra vescovi e marchesi Ma- laspina citati da Nobili, conservati nel Codice Pelavicino, più altri di cui si è man- tenuta precisa memoria testuale (276), sono solo una parte delle avvenute riso- luzioni di conflittualità. La maggior parte furono definite per via infragiudiziale, tramite arbitrati in cui la potestas iudicandi fu delegata per volontà delle parti ora a giusdicenti lucchesi, ora a rappresentanti di nobili famiglie lunigianesi, infine ad ecclesiastici della cu- ria papale. Anche il ricorso diretto all’autorità pontificia, che poteva impugnare la minaccia della scomunica dopo veri e propri processi istituiti da giudici dele- gati dal papa stesso, fu impiegato dai vescovi lunensi per la risoluzione dei con- flitti, non sempre con risultati positivi, almeno nell’immediato (277).

(273) Con esclusione, però, di quella di Alberto, presente, invece, nell’arbitrato del 1281. (274) M. NOBILI, Le ‘paci’ lunigianesi fra i vescovi di Luni e i marchesi Malaspina: dai pri- mi lodi al trattato dantesco, in Dante e la Lunigiana, Atti del Congresso internazionale cit., si cita dall’estratto cartaceo. (275) Per questo concetto F. CARDINI, La pace come tregua di una guerra continua, in Pace e guerra nel basso medioevo cit., pp. 1-36. (276) Si aggiunga, infatti, l’arbitrato del console lucchese Tancredo Honeste e dei suoi colleghi (CP, nr. 529, 1206, luglio 22), su cui ci si è in precedenza soffermati (vd. nota 146). Per quelli citati da Mario Nobili: ibidem, docc. nr. 50, 1124, ottobre 18; nr. 539, 1201, febbraio 25; nr. 540, 1202, maggio 12; nr. 529, 1205, luglio 19; nr. 524, 1281, maggio 8. (277) Les registres d’Honorius IV cit., nr. 575, 1286, luglio 15, mandato del papa al vescovo di Pistoia perché costringa il comune ed i giusdicenti lucchesi ad abbandonare i luoghi occupati a dan- no del vescovo di Luni Enrico e a rifondere i danni. Come si apprende dalla narratio del docu- mento seguente, un processo istituito dal presule pistoiese non ebbe effetti pratici; nr. 680, 1286, no- vembre 22, mandato al vescovo di Parma relativo alle lamentele del vescovo di Luni sulle prevaricazioni del comune e giusdicenti lucchesi, affinché entro un mese vengano rimossi gli ufficiali inviati nei luoghi spogliati. Anche se è il comune lucchese il principale imputato, è verisimile che gli stessi Ma- laspina operassero di conserva anche in questa occasione. Esiti positivi, di rispetto della sentenza Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 151

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Antonio da Camilla tentò invano, all’inizio del suo governo, di riprendere la riorganizzazione del suo malconcio episcopato seguendo le orme del predeces- sore. Ottenne dal pontefice un’indulgenza triennale a vantaggio delle chiese e i ci- miteri violati nei disordini, che probabilmente si erano intensificati durante il periodo di successione dopo la rinuncia di Enrico e cercò di trattare la retroces- sione del Corvo alla Chiesa lunense, poiché «prioratus ipse pro castro et portu ini- bi construendis sit Ecclesie Lunensi valde accomodus» (278). Il vescovo propo- neva un cambio, in vista di un progetto di costruzione di infrastrutture marittime e fortificazioni di guardia, probabilmente più solide di quella che aveva già fatto edificare Enrico da Fucecchio. D’altra parte il monastero di San Michele degli Scal- zi di Pisa, che lo deteneva dal secolo XII, secondo il da Camilla non riusciva a pro- teggere dagli attacchi e spoliazioni dei pirati tanto il priorato stesso, quanto le per- sone «degentes in eo». Soprattutto nei primi tempi dopo l’ingresso in diocesi, dove si trovò imme- diatamente davanti a gravi sollevazioni e disordini, Antonio da Camilla si rivolse spesso all’autorità della Santa Sede. Le iniuriae, occupationes et violentiae perpetrate contro il suo dominio temporale nella diocesi di Luni vengono detta- gliatamente esposte nelle litterae exsecutoriae del papa Bonifacio VIII, emesse il 1 settembre 1297 per il conferimento al proprio cappellano, magister Guidotto da Milano, di un incarico di indagine nei luoghi stessi, che andò a sentenza nell’ot- tobre seguente, con ammonizione e condanna dei colpevoli tramite scomunica e privazione di tutti i beni e feudi detenuti per concessione ecclesiastica, al fine del ripristino dei diritti della Chiesa lunense (279). Le ribellioni nascevano soprattutto, o potremmo dire di nuovo, dall’opposi- zione alla giurisdizione vescovile sul borgo e castrum di Sarzana, con conseguente appropriazione della dogana del sale nel territorio medesimo, nonché con l’oc- cupazione del castrum di Ameglia sulle alture prossime alla foce della Magra: non erano mancati al podestà dell’epoca, il lucchese Guglielmo de Podio, e agli ho- mines sarzanesi l’appoggio di parte del capitolo della cattedrale, il favore, nep- pure tanto segreto, di rettori di luoghi limitrofi e di città e di nobilibus quibu-

e quindi di ritiro delle scomuniche, si deducono invece dalla narratio delle lettere pontificie del 1304 del successore Benedetto XI, per le quali cfr. nota 281, esiti però del tutto transitori davanti al quasi immediato rinnovarsi delle aggressioni. (278) Les registres de Boniface VIII cit., nr. 3106, col. 433, 1299, giugno 1, mandato del ponte- fice al vescovo di Pistoia per gli opportuni accertamenti sulla questione del Corvo. La compensa- zione di scambio con l’ente pisano di un «locum de Sancto Francisco» nelle pertinenze di Corvara non ebbe poi luogo. L’indulgenza triennale era stata concessa dal pontefice nello stesso giorno: nr. 3095, col. 429, 1299, giugno 1. (279) G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., pp. 520-521 e CP, Addenda, nr. 19, 1297, novembre 10, con inserti gli atti cronologicamente precedenti. La sentenza fu commessa per la notifica ed ese- cuzione dal giudice delegato all’abate di San Venanzio di Ceparana, Bonifacio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 152

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scunque, fra i quali vengono espressamente nominati dal giudice delegato i mar- chesi Malaspina (280), infine delle principali consorterie nobiliari della bassa Val di Magra e valle Aulella e di alcuni funzionari e notai lucchesi. Nel 1304 il papa Benedetto XI affidò nuovamente al suo legato Niccolò, ve- scovo di Ostia, il compito di un’azione investigativa extragiudiziale («non quidem iudicialem nec solemnem, sed summariam et planariam»), cui doveva seguire un monitorio, nei confronti dei rettori e del Comune lucchese, di alcuni nobili e po- testà che avevano nuovamente invaso e occupato castra, terras et loca perti- nenti alla Chiesa lunense, su cui il vescovo deteneva giurisdizione temporale, usur- pandone quindi i poteri. Dalla narratio, che ripercorre analiticamente le fasi delle vicende, a cominciare dal governo di Enrico da Fucecchio, si comprende che ol- tre gli interventi di sentenze, vi erano stati, almeno secondo quanto sostenevano i laici, «pacta, conventiones, compromissa et obligationes ... diversis vallata pe- nis ac firmata iuramentis hinc inde prestitis», che avevano probabilmente cam- biato l’equilibrio dei poteri, ma che il vescovo sentiva, passata la situazione di ne- cessità che li aveva determinati, «ecclesie valde dampnosa», tanto da provare a tentare di nuovo il ricorso alla Curia romana che, qualora non avesse in prece- denza espressamente avallato con lettere pontificie le forme compromissorie, po- teva destituirle di ogni valore giuridico (281). Un’incerta oscillazione fra la tuitio pontificia e forme di compromesso e pattuizione extragiudiziali si rileva in Antonio fra la fine del XIII e i primi anni del XIV secolo, quando ci si volse verso un diverso percorso di risoluzione della persistente conflittualità con i Malaspina, politica sì, ma determinata soprattut- to da coesi gruppi familiari e dai loro vassalli. Si scelse, per un contratto di con- ciliazione concordata, quella prassi infragiudiziale con modalità di intesa di paci- ficazione alternative (282), che nel corso del XIV secolo ebbe un ampio sviluppo socialmente trasversale, interessando nobili di alto lignaggio e ceti urbani diver- si, dai popolani ai magnati: lo strumento della ‘pace privata’ per rogito di un no- taio pubblico (283).

(280) Nella fattispecie i rappresentanti dei diversi rami, tanto dello Spino Secco, quanto alcu- ni di quello Fiorito: Opizzone, Moroello, Franceschino, Alberto, Azzone, Francesco e figli. (281) Les registres de Benoît XI (1303-1304), par Ch. GRANDJEAN, II, Paris 1884, nr. 619, 1304, aprile 2. (282) A. ZORZI, Pluralismo giudiziario e documentazione cit.; sui diversi aspetti della pace bassomedievale M. C. ROSSI, Polisemia di un concetto: la pace nel basso medioevo. Note di lettu- ra, in «Quaderni di storia religiosa», XII (2005), pp. 9-45, con ampia analisi bibliografica. (283) Per le caratteristiche delle ‘paci private’ fiorentine trecentesche, indagate nei protocolli notarili, E. PORTA CASUCCI, La pacificazione dei conflitti a Firenze a metà Trecento nella pratica del notariato, in Conflitti, paci e vendette nell’Italia comunale, a cura di A. ZORZI, Firenze 2009, pp. 193-217, e-book distribuito in formato digitale da Reti Medievali; EAD., Le paci fra privati nelle par- rocchie fiorentine di San Felice in Piazza e San Frediano: un regesto per gli anni 1335-1365, in «Annali di Storia di Firenze», IV (2009), pp. 195-241. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 153

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 153 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

Nel giugno del 1299 Antonio aveva stipulato una transazione con i figli del fu Ghibertino da Viano, Oldoino, Guido e Simonetto, per i castelli di Soliera, Mon- cigoli, Collecchio e Ceserana (284). Una via conciliativa doveva anche esser stata esperita nel 1299 con i mar- chesi Malaspina di Olivola: ne è un indizio, in mancanza di altra documentazione, un matrimonio che si intese stipulare fra la figlia di Francesco del fu Bernabò, Ca- terina, con Antonio di Percivalle da Camilla, nipote del vescovo (285), consueta conclusione di pratiche pacificatorie private (286). Le paci private interrompevano il più delle volte, specie se stipulate fra ceti magnatizi, quei percorsi di vendetta e faida strutturali nella società medievale, che costavano danni, morti, ma anche enormi risorse finanziarie. Un processo di faida, che innescò una delle tante fasi dell’ininterrotta seque- la conflittuale vescovo - Malaspina, è chiaramente ricostruibile dall’inventario, ste- so nel 1301 in Lusuolo da un notaio fiorentino, dei beni personali, possessi signo- rili, debiti e crediti dell’appena defunto Opizzone Malaspina del fu Federico (287). La spiegazione del motivo del possesso di alcuni distretti castrensi, di Albiano e Stadano occupate per vendetta, porta però l’inserimento in un elenco a carattere prettamente economico, di particolari della vicenda, evidentemente ancora pun- to focale nella memoria familiare, tipici di una faida, forse anche a causa dei de- biti contratti per essa. Albiano e Stadano, castra sulla riva sinistra della Magra, speculari per l’attraversamento al castello vescovile di Caprigliola sulla sponda opposta, che sono ivi dichiarate terre vescovili («ex terris episcopatus Lunensis»), risultavano nella misura di metà pro indiviso (evidentemente con i propri con- giunti) in possesso nel 1301 del marchese defunto, che deteneva anche diritti, in questo caso indicati come legittimi, sul castrum Brinae, diritti che non sappiamo se discendenti dalla precedente situazione di condominio o se acquisiti poste-

(284) ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1299, giugno 12. (285) Lo si ricava da una dispensatio matrimonii concessa dal pontefice nel febbraio 1299 ai due giovani, nonostante esistesse fra loro un quarto grado di consanguineità. La motivazione del co- niugio è chiaramente espressa nella narratio: «Ad sedandas discordias que inter A. Lunensem episcopum, cuius Antonius nepos existit, ex parte una, et dictum Francischum, ex altera, existere dicuntur...». Cfr. Les registres de Boniface VIII cit., nr. 3016, 1299, febbraio 7. (286) Basti rimandare al notissimo episodio di Buondelmonte de Buondelmonti che diede vita alla tragica faida di fazioni fiorentina. È ripercorso, soprattutto nei suoi aspetti sociali, da E. FAINI, Il convito fiorentino del 1216, in Conflitti, paci e vendette nell’Italia comunale cit., pp. 105-130. (287) ASFi, Diplomatico, Strozziano Uguccioni, 1301, giugno 22, inventario, voluto per i fi- gli, dalla curatrice Tobia del fu Lanfranco Spinola, dei beni del proprio marito Opezzone defunto. Edito in Sopra alcune particolarità della vita di Dante, Lettere di Eugenio Branchi cit., specie p. 45. Il Branchi data al 1280 l’avvenimento bellico, che si sarebbe concluso nel 1281, ma la presen- za dei marchesi Franceschino e Moroello (dello Spino Secco, come si rileva dai possessi indivisi enumerati nel documento) elencati dopo (il più anziano) Opizzone, sposterebbe alla generazione seguente l’episodio, che non dovette verificarsi molto prima della morte di Opizzone stesso e, for- se, proprio sotto il vescovato di Antonio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 154

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riormente, comunque contestati. Proprio un attacco devastante a questo castel- lo da parte del vescovo lunense e la decapitazione, per vendetta ed insieme esi- bizione di autorità signorile, di tre membri della familia marchionale, probabil- mente presenti in loco, avrebbero innescato la ritorsione dei Malaspina (288). Si è spesso scritto che la solidarietà familiare è insieme causa ma anche con- seguenza dei processi di faida. L’orgoglio agnatizio è motore potente dello scate- narsi della vendetta da parte dei ceppi nobiliari ed i lunghi periodi di conflitto, con le alterne vicende dell’aggressione armata a uomini e cose spinta da un’immagi- ne demonizzata dell’inimicus, fortificano il consenso e l’aiuto reciproco, così come la coesione con i gruppi di milites ed homines dei proprî dominî feudali. I costi economici di queste imprese furono, però, sempre rilevanti e spesso costi- tuirono motivo non secondario per una risoluzione pacificatoria. I debiti accu- mulati da Opizzone per l’azione bellica coivolsero, infatti, anche i suoi possedi- menti nei distretti e curatorie di Bosa e Osilo in Sardegna, tenuti in condominio con Franceschino, Moroello e con il proprio fratello Tommaso e ceduti, con pat- to di retrocessione, al suocero Lanfranco Spinola, insieme con altre terre nel con- tinente, nella misura di tre quarti. Un altro debito di 100 fiorini d’oro era stato con- tratto dai Malaspina verso un nobile lucchese, anche in questo caso «pro subsidio per eum prestito in guerra facta per ipsos marchiones contra et adversus episco- pum Lunensem» (289). Più tardi, nel 1306, Moroello incaricava il suo procurato- re Gualtiero di Giovagallo di riscuotere dai suoi congiunti 600 lire da lui spese per il castello di Sarzana e la sua guardia (290). È possibile che il patto di mutua donazione dei propri beni in Lunigiana, Val d’Aveto, Val di Trebbia e Sardegna, stipulato da Moroello, Franceschino e Opiz- zone nel 1296, fosse anche consigliato dalle imprese belliche mosse dal conflitto contro il vescovo, con relative spese, che i marchesi dovevano affrontare. La crea- zione poi di un fondo, che potremmo pensare ‘di mutuo soccorso’, con la messa in comune delle doti delle proprie mogli nel 1281, tramite atto stipulato da Man- fredi, Moroello, i figli del fu Federico Corrado, Opizzino e Tommaso, ed Alberto, che dopo cederà la sua parte sarda, era avvenuto d’altra parte proprio pochi mesi prima della pronuncia arbitrale del vescovo Gerardo ed anche degli importanti

(288) Ibidem: «... occasione guerre facte per dominos Opezonem, Morrovellum et France- schinum, marchiones predictos, contra et adversus Lunensem Episcopum pro capiendo ulctionem de iniuria facta per Episcopum suprascriptum tam de acceptione et vastatione suprascripti castri de Brina quam de morte et decapitatione trium domicellorum dicti olim domini Opizonis, quos de- capitari fecerat idem Episcopus contra debitum rationis.» (289) Ibidem: i beni sardi dovevano esser ricomprati per 13.000 lire in fiorini d’oro, da versar- si al figlio Anfraone e alla nonna tutrice del fratello in età minore, essendo nel frattempo morto Lan- franco. Erano all’epoca stati depositati dai procuratori di Opizzone presso il banco dei Peruzzi in Genova 8.000 lire. La parte di Opizzone del secondo debito era 33 lire ed 1/3. Per la richiesta di Mo- roello E. GERINI, Memorie storiche cit., p.43. (290) Documenti riguardanti la famiglia Malaspina, nr.14, p. 20, 1306, settembre 24. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 155

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acquisti di terre in Sardegna: i Malaspina erano in quel momento impegnati, an- che economicamente, su più fronti (291). Spesso nell’atto pacificatorio, lodo, ar- bitrato o pace che fosse, non comparivano le transazioni, anche di indennizzo fi- nanziario, che accompagnavano la composizione della vertenza e che potevano trovare spazio in altri atti notarili.

La procura ad pacem di Dante Alighieri Il mandato di procura all’Alighieri apre il secondo fascicolo estratto dal car- tulario, alla carta 270r, tabula I (292), e si conclude alla carta 270v. Il bifoglio com- prende anche la c. 225; è perciò del tutto artificiosa, dovuta alla perdita dei fogli originariamente interposti, l’attuale specularità di posizione con un contratto di soccida stipulato il 22 luglio, relativo ad un’asina di pelo nero, di cui abbiamo la confessio da parte del contraente, Prefettino di Prefetto, habitator Castri Sar- zane (c. 225v). Se non sappiamo più quale atto fosse stato rogato in data imme- diatamente precedente il mandato di procura, la diversa tipologia dei due contratti conferma comunque la variegata clientela di Giovanni di Parente, cui abbiamo in precedenza accennato (fig. 15). Sotto l’aspetto formale si può notare, proprio grazie alla contrapposizione di una carta come quella contenente il negozio di soc- cida, meno ragguardevole e di una tipologia forse corrente nel contesto della clien- tela mercantile, che tale atto è steso con formule ceterate, con la data cronica ab- breviata posta come di consueto a intestazione, manca la formula di invocazione verbale e il ductus appare più corsivo, mentre l’instrumentum di procura mala- spiniana presenta tutti i caratteri formali che dovrebbero comparire nel mundum, con l’ovvia esclusione della sottoscrizione notarile, per la quale fa fede quella ri- portata all’inizio del registro. Lo sversamento di materiali oleosi, che a giudicare dalla forma ed espansio- ne della macchia sembra aver avuto origine da uno dei bifogli centrali dell’affai- re, le tabule II o la III, quando il protocollo era ancora integro, il che permise la co- latura del liquido lungo la rilegatura, ha ammalorato la parte terminale destra dei bifogli, compromettendo seriamente per contiguità anche questa carta e ren- dendo illeggibili diverse righe testuali, in particolare l’escatocollo, per la cui com- pleta restituzione, anche dopo il restauro digitale, si deve far ricorso alla colla- zione con le edizioni settecentesche.

(291) E. GERINI, Codex documentorum illustrium, doc. LXXV, 1296, novembre 26; ASFi, Di- plomatico, Malaspina, 1281, febbraio 3 per l’atto relativo alle doti. Vd. A. SODDU, I Malaspina e la Sardegna cit., docc. nr. 29, 1281, settembre 29 per la vendita di Alberto a Manfredi e Moroello dei possessi sardi; nr. 30, 31, 33, 1282, febbraio 14 per l’acquisto da parte di Corrado da Brancaleone Do- ria, con atto di retrocessione, di Castelgenovese, Casteldoria e la curatoria di Anglona, su cui E. BAS- SO, A. SODDU, L’Anglona negli atti del notaio Francesco da Silva (1320-1326), Perfugas 2001, specie pp. 73-74. (292) Una notazione di mano moderna, a matita nera, in alto a destra: Dante. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 156

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Fig. 15 - Tabula Ir, la procura ad pacem, dopo il restauro digitale, a sinistra un atto del 22 luglio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 157

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L’ipotesi di Bassermann sulla volontarietà del danno a causa dell’uso di rea- genti chimici per la ricerca di una firma dantesca, che si suppone avrebbe dovuto trovarsi – secondo questa fantasiosa ipotesi – alla fine dell’atto o degli atti (293), non trova sostegno neppure nella localizzazione dell’origine della macchia, più circoscritta proprio negli escatocolli della procura e dell’instrumentum pacis. Sia di questo incarico di rappresentanza legale, sia del seguente instrumen- tum, non fu estratto il mundum, redatta cioè la pergamena che, dietro domanda e conseguente compenso finanziario, doveva dal notaio esser consegnata alle par- ti richiedenti, che l’avrebbero conservata come attestazione di diritti giuridica- mente sanciti, oppure prodotta in una causa di tribunale, o presentata ad altro no- taio ed autorità quale munimen per la redazione di un nuovo atto. D’altra parte, gli instrumenta non furono cassati, come è deducibile dal sistema di lineatura adottato nel cartulario, ove il notaio Giovanni usa aggiungere all’inizio la poste- riore annotazione f(a)c(t)a per la consegna della pergamena o un sistema di linee sul testo per la cassatura o la rescissione, oppure una nota relativa all’avvenuto compimento (per esempio la restituzione di un prestito) del contratto (294). Ciò potrebbe esser in parte comprensibile per la procura, stipulata tre ore prima dal- lo stesso notaio, che sinteticamente ne dette gli estremi nella posteriore redazio- ne dell’atto seguente sul suo cartulario (295), ma che avrebbe anche potuto ri- portarla per esteso. Tuttavia l’eventuale assenza o perdita di originali, quali un mandato di procura da parte di un contraente che si faceva rappresentato, la- sciando l’attestazione dell’autenticità dell’atto alla scrittura conservata presso il notaio, se questi mancava al suo ruolo di garante giuridico, poteva, in qualche con- tingenza di particolare litigiosità politica, inficiare le azioni fatte in conseguenza di quel mandato, che era documento di prova del ruolo affidato al procuratore. Come del resto esplicitamente afferma Rolandino Passeggeri nella sua Summa artis notariae (296), il procuratore «si non haberet mandatum, non potest agere tanquam procurator, sed tanquam negotiorum gestor». Una questione giuridico-formale era stata elevata, alcuni anni prima, nel cor- so di una delle ripetute controversie relativamente alla giurisdizione temporale vescovile su Sarzana, sorte fra il comune, unitamente ai burgenses, ed il presule Guglielmo, per la quale fu nominato dal pontefice Alessandro IV quale delegato, per un’azione conoscitiva e compromissoria, il cardinale Ottobuono Fieschi, scel- to poi anche come arbitro dalle parti (297). Non soltanto il cardinale di Sant’A-

(293) A. BASSERMANN, Orme di Dante cit., pp. 367-371, vd. anche le considerazioni esposte a nota 31. (294) Anche per altri rogiti di comuni negozi non risulta esser stato estratto l’originale. (295) Con l’abituale formula «… prout constat publico instrumento scripto manu Iohannis Pa- rentis notarii infrascripti de Sarzana in presenti millesimo, inditione et die, in hora prima». (296) Summa artis notariae do. Rollandini Rodulphini Bononiensis, Lugduni 1559, pp. 474-478. (297) CP, nrr. 36-39. La sintesi dell’episodio, che si svolse dal giugno 1257 al 30 luglio 1260, quan- do in Anagni il cardinale Ottobuono emise il suo precetto, è in G. VOLPE, Lunigiana medievale cit., pp. 488-493. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 158

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driano fu costretto a far precetto al procuratore della comunità, sotto pena di sco- munica, di produrre in giudizio immediatamente («cras per totam diem») «quan- dam scripturam sive formam privilegii» concessa dall’imperatore Enrico VI al ve- scovo, contenente la conferma della giurisdizione comitale, che il procuratore illecitamente deteneva (298), ma si questionò proprio sul valore giuridico di una procura. Per limitare il significato di un precedente lodo di Bandino Gaetani, emes- so nel 1219 soprattutto a favore del vescovo, che sarà parte, in effetti sostanziale, del precetto del Fieschi, si cercò da parte dei sarzanesi la via dell’appello ad irre- golarità procedurali, contestando la legittimità di rappresentanza dell’allora sin- daco e procuratore dell’universitas di Sarzana (nella fattispecie uno dei due con- soli) che aveva sottoscritto le convenzioni del 1219 (299). Le obiezioni furono articolate su diverse opzioni alternative, tutte tendenti a dimostrare la carenza di legittimazione dell’allora rappresentante, che avrebbe determinato l’ineffica- cia dell’atto sottoscritto: per non poter un solo console esser procuratore e sin- daco della comunità; per non poter ambedue i consoli sottoscrivere convenzioni a danno dei rappresentati; infine per la mancanza di un atto legale di procura. In- fatti il figlio dell’ormai defunto notaio rogatore dell’instrumentum, pur avendo dovuto ammettere che l’atto era compreso fra i rogiti del padre, non volle esibir- lo, rifugiandosi nel fatto che i consoli e consiglieri del borgo avevano ratificato le convenzioni stipulate, e tanto doveva bastare. La contestazione giuridica fu inin- fluente sulla valutazione del Fieschi, ma era pur sempre stata fatta. Anche relativamente alla stipula di pace la potestas certificandi rimase de- legata esclusivamente al cartulario, almeno se le macchie non hanno nascosto no- tazioni notarili, il che può interpretarsi o come estrema fiducia delle parti con- correnti nel rogante (e negli eventuali eredi del suo patrimonio di atti) oppure, come si è detto, data la presenza di un altro notaio, per la scelta dei Malaspina di riferirsi ai suoi rogiti. Si potrebbe anche supporre, ma è ipotesi assai più debole, una situazione giuridica sentita come non definitiva, che si volle mantenere in pre- cario equilibrio, senza rottura dell’accordo, ma anche con il rinvio della convali- dazione di alcune delle condizioni transitorie relative ai possessi castrensi oggetto di maggior contesa, in pratica una sorta di congelamento di una situazione di stal- lo, per la cui precarietà diveniva inutile l’emanazione di un mundum. Per la parte di esecuzione più immediata, relativa alle remissioni delle con- danne temporali e spirituali da parte del vescovo Antonio nei confronti della pars marchionum, che seguirono pochi giorni dopo l’accordo, si provvide, ma soltanto in alcuni casi, a richiedere l’estrazione dell’originale in pergamena, debitamente segnalata nel cartulario notarile (300).

(298) CP, nr. 85, 1260, febbraio 9. (299) CP, nr. 39, 1260, luglio 30. (300) A c. 275r: Facta comuni Punzani; appare anche la nota in fondo all’escatocollo: Fiat ut melius fieri possit instrumentum. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 159

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Oltre la nomina dell’Alighieri da parte del marchese Franceschino, quale pro- curatore ad pacem, sedationem, quietationem, remissionem et finem perpe- tuam, il notaio Giovanni evidenziò il dettato speciale del mandatario, per cui Dan- te veniva a rappresentare anche gli altri agnati, responsabili dei conflitti, insieme con i propri amici, subditi et sequaces. Il testo della procura edito dal Lami, e poi ripreso fino all’edizione critica del Piattoli, cita in due contesti i nomi dei consorti coinvolti: nel primo, dopo il lungo elenco delle soperchierie commesse, quindi come responsabili delle aggressioni e conflitti da loro scatenati contro il vescovo, e nel secondo come rappresentati nella domanda di pace. Sull’identità dei marchesi implicati si generò, come si è già accennato, fra fine Ottocento e primi del Novecento una vera e propria diatriba, sia per le ripetute omonimie nei diversi rami del casato, sia soprattutto per la mancanza di un et nel- la prima frase, che rendeva diversa la definizione di appartenenza familiare (301). L’ordine di citazione ha un suo significato, sia riguardo all’anzianità sia all’au- torità nel negozio specifico e nel contesto parentale. Relativamente a Franceschi- no, esser l’attore della procura e quindi, si suppone, il principale responsabile del- l’accordo e, soprattutto, delle conseguenti obbligazioni, unitamente alla preminenza in Lunigiana della casata mulazzese, rendeva abbastanza facile l’identificazione (302), ma si poneva il problema se considerare Moroello fratello o no del Corrado nomi- nato dopo di lui (303). Quest’ultimo nel testo della pace è detto figlio del fu marchese

(301) G. LAMI, Sarzana, in «Novelle letterarie» cit., col. 604; R. PIATTOLI, Codice diplomatico cit., pp.117-118 e nota (a). Si citano solo alcuni frammenti delle due frasi dall’edizione del Piattoli: «... de omnibus et singulis iniuriis ... tractatis vel contractis ... per d[ictum d. F]rancischinum et dominos Morroellum et Con[radinum fr]at[res], marchiones Malaspina...»; «.... procuratorio nomine, ut dictum est, pro ipso domino Francischino et predictis dominis Morroello, Conradino et fratribus ...». Il segno di inserimento è nostro, ma autorizzato dalla nota (a) del Piattoli, che ne con- sidera la mancanza nel testo del Lami come un errore (o del trascrittore o del notaio stesso) sulla base del passo seguente e anche di uno della pace. Il testo è attualmente corrotto per le posteriori macchie e neppure con il restauro digitale è possibile darne una più certa lettura. La versione del Piattoli sembra comunque la più sensata. (302) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, dedica l’intero capitolo III alla discussione iden- tificativa dei Malaspina, controbattendo minuziosamente le diverse posizioni storiografiche e pro- ponendo identificazioni anche eccentriche, di cui però non doveva esser molto convito, visto che un foglio con un appunto inserito prima della p. 53 (numerazione dell’A.), che dà inizio al tema specifico, recita: «È tutto da rifare dalla prima all’ultima riga quanto segue». Dell’identità di Fran- ceschino, pur se illustra come vi fosse un omonimo coetaneo figlio di Bernabò di Olivola, egli sembra comunque certo, anche per le memorie popolari sulla dimora dell’Alighieri legate proprio a Mulazzo. Per la biografia di questo marchese si rimanda ai lemmi a cura di R. PIATTOLI, in ED, III, Roma 1971, p. 780 e S. RAGONE, in DBI, vol. 67, Roma 2006, pp. 769-772. Su Moroello di Giovagallo vd. E. SALVATORI, s.v. Malaspina, Moroello cit.; E. BRANCHI, op. cit., I, pp. 501-509; G. PETROCCHI, Vita di Dante, Bari 20013, pp. 99-100, che considera coinvolti nella pace tutti e tre i rami malaspi- niani dello Spino Secco. (303) Vd. nota 24. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 160

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Opizzino Malaspina di Federico, rimane perciò il problema se anche Moroello fos- se della stessa famiglia, oppure se vi si debba vedere il signore di Giovagallo. La partecipazione, oltre che alle più recenti, alle precedenti fasi di conflitto dei diversi rami della casata, di cui in qualche modo doveva mantenersi la rap- presentatività anche in questa pace, la condivisione di possessi in Lunigiana, nel continente ed in Sardegna, la disponibilità alla reciproca messa in comune di beni, cui si è fatto cenno, sono ulteriori motivi per l’identificazione. La citazione, nell’instrumentum pacis in cui la procura viene sintetizzata, di dati non compresi nel testo di questa, quali la differente definizione dell’ora (nel mandato ante missam, nel seguente ora sexta), che meglio sottolinea la neces- saria precedenza cronologica della delega di rappresentanza, evitando future con- testazioni, e l’aggiunta del patronimico di Corradino fanno pensare ad un uso di- verso di appunti, o comunque di elementi già nella conoscenza del notaio prima della redazione degli atti nel cartulario, omessi oppure variati nell’atto di procu- ra, solitamente più generico. La redazione dell’instrumentum procurationis nel cartulario non dovette certamente avvenire nelle prime ore della mattina del 6 ottobre nella stessa piazza della Calcandola ove era stato stipulato il mandato medesimo, alla presenza del rappresentante, del rappresentato e dei testimoni, come sembra esser dive- nuto opinio communis, tanto che si trova scritto anche in recenti contributi. La scrittura posata, la mancanza di formule ceterate, l’impaginato indicano chiara- mente che la stesura nel cartulario avvenne posteriormente, come era del resto consuetudine, e certamente nei termini previsti dalla legislazione sarzanese, men- tre il testo minuzioso e ponderato rivela una precedente accorta elaborazione e corrispondenza con il seguente contratto di pace, per le quali è difficile definire la responsabilità di eventuali suggerimenti, magari di giurisperiti quali quel Maz- zingo da Prato legato, come si è detto, alla famiglia dei marchesi dei Giovagallo, che presenziò come teste nel palazzo vescovile di Castelnuovo, se non dello stes- so Dante, che di mandati di procura aveva fatto pratica. Se non si possono infatti accettare le 14 legazioni che il Filelfo gli accredita nel periodo dei suoi incarichi politici in Firenze (304), fra cui alcune internazio- nali assai improbabili, basterebbe, oltre quella presso Bonifacio VIII, fatale per lo svolgimento futuro della sua vita, l’ambasceria a San Gimignano, svoltasi il 7 mag- gio 1300 davanti al Consiglio generale del Comune, al quale Dante chiese, a nome dei Fiorentini, la partecipazione all’assemblea per l’elezione del nuovo capitano della Taglia guelfa di Toscana, che doveva tenersi di lì a poco. La richiesta fu ac- colta con quasi l’unanimità dei voti, nonostante la posizione contraria del pode- stà, il senese Mino de’ Tolomei. Anche per questa esperienza di legazione rimane, come di quella lunigianese, una concreta attestazione scritta dell’attività di ora-

(304) Vita Dantis Aligherii a J. Mario Philelpho scripta..., Florentiae 1828, pp. 114-116. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 161

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tore e mediatore, fatta «per nobilem virum Dantem de Allegheriis anbaxiato- rem communis Florentie» (305). La via della diplomazia, connaturata con la sua esperienza di vita ed il suo pen- siero, fu anche quella che sostenne durante il primo periodo dell’esilio, nel bien- nio 1302-1304, nel quale i Bianchi avevano cercato di rientrare in Firenze anche tramite negoziati, tanto che quando prevalse, invece, la logica dello scontro di guerra definitivo, «egli dovette subire un secondo esilio, allontanandosi anche dai compagni di parte, bollati più tardi come “compagnia malvagia ed empia”» (306). Dante aveva, inutilmente, riposto la sua fiducia, tanto da indirizzargli nel- la primavera del 1304 un’epistola (Epist., I), nell’opera del delegato pontificio di Benedetto XI per la Marca trevigiana, la Toscana e la Romagna, il card. Niccolò da Prato, domenicano come il papa, considerato un utile strumento per sanare le frat- ture prodotte dalla politica di Bonifacio VIII (307), che si era recato dal febbraio di quell’anno in Firenze con lo scopo di conciliare gli extrinseci Bianchi ed i ghi- bellini con i Neri. Si trattava di quel medesimo vescovo ostiense cui era stato af- fidato, proprio negli stessi mesi, anche l’incarico di smorzare i rapporti tempestosi fra Lucca ed il vescovo lunense, di cui si è già detto. Relativamente alla clausola secondo cui Moroello avrebbe dovuto esser in- dotto da Franceschino alla ratifica ed osservanza dei patti, cosa di cui non si fa cenno nel mandatum procurationis, bensì soltanto nella pace, si può osservare che anche nella procura speciale del 1281, per cause e arbitrati da tenersi fino in Curia Romana, affidata al dominus Gualtierotto di Giovagallo da parte di Moroello il Vecchio, non compare alcun riferimento ad una rappresentanza degli altri con-

(305) G. PELLI, Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri ed alla storia della sua fa- 2 miglia, Firenze 1823 , pp. 93-94, nel paragrafo Delle ambascerie di Dante, dopo aver fatto riferi- mento all’opera allora manoscritta del Filelfo, pubblica il testo da una copia strozziana tratta da un Reformationum et consiliariorum liber, non senza errori, compresa la data, avvicinando la mis- sione di San Gimignano a quella lunigianese, relativamente alla quale, riportando la prima parte del- la procura, definisce l’Alighieri «paciario efficace». Per la correzione della data della missione del 1300 vd. M. BARBI, Per la data dell’ambasceria di Dante a San Gimignano, in «Miscellanea Stori- ca della Valdelsa», VII (1899), pp. 164-165 e per l’edizione G. BIAGI, G. PASSERINI (a cura di), Codice diplomatico dantesco cit., disp. I, Roma 1895. (306) G. INDIZIO, Sul mittente dell’Epistola I di Dante (e la cronologia della I e della II), in «Ri- vista di Studi danteschi», II/2 (gennaio-giugno 2002), pp. 134-145, che ritiene si debba anticipare la epist. II al primo semestre del 1303, rispetto alla prima per il cardinale Niccolò, che viene datata al marzo 1304. (307) Per questo concetto nel quadro della politica pontificia e di quella del legato card. Nic- colò Albertini, rispetto a Bonifacio VIII e Matteo di Acquasparta, F. A. DEL PINO, Il cardinale fran- cescano Matteo d’Acquasparta, uomo di fiducia e legato di Bonifacio VIII e la sua politica reli- giosa, in I francescani e la politica, Atti del convegno internazionale di studi (Palermo, 2002), a cura di A. MUSCO, Palermo 2007, specie pp. 277-278. Sull’Albertini A. L. RADEGONDA, Albertini, Nic- colò (Niccolò da Prato), in DBI, I, Roma 1960, pp. 734-736; per lo svolgimento del mandato in Fi- renze: Nuova cronica di Giovanni Villani, edid. G. PORTA, Parma 1991, lib. IX, 69-71. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 162

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giunti Malaspina, che pure nel seguente atto di nomina del cardinale Bianchi come arbitro mostrano di esser parimenti implicati tramite una specifica formula che, sia pur con l’impegno del rappresentante, rimanda al rappresentato la responsa- bilità dell’attuazione (308). I termini di questo atto di procura, rogato in Sarzana da Bonaccorso, anch’egli come Giovanni notaio nominato da un membro della fa- miglia de Advocatis, sono però assai più vagamente rivolti ai possibili itinera e procedimenti legali, secondo un formulario ricorrente, maggiormente generico rispetto a quello per l’Alighieri, che è orientato invece ad uno specifico, ed uni- co, negozio giuridico (309). Capacità legali e diplomatiche si dovevano concilia- re con il credito riposto nel proprio rappresentante. Fino al 1306 la scelta del pro- curatore era stata spesso da parte dei marchesi una questione di fiducia nella fidelitas e capacità dei propri vassalli. Gualtiero, o Gualtierotto, che risulta de- funto nel 1302 (310), aveva partecipato, appellato con la qualifica di giurisperito, anche al rinnovo dei patti di Manfredi Malaspina con Genova, infranti nel 1278 sia da Manfredi sia dal di lui fratello Moroello, che avevano occupato castra e villas che dovevano invece restituirsi ad Alberto e Francesco Malaspina (311). L’instrumentum procurationis è redatto, come si è detto, in extenso, anche per la dettagliata specificità del mandato giuridico per il quale vengono delegati i poteri dal rappresentato, il marchese Franceschino Malaspina, in suo nome e nel suo interesse, al suo rappresentante Dante, di cui Giovanni di Parente non spe- cifica, peraltro, la presenza fisica in Sarzana al momento della delega e la conse- guente accettazione dell’incarico (312). La procura può considerarsi speciale, poiché istituisce procuratorem, acto- rem, factorem et nuncium specialem Dantem Alegerii de Florentia per il com- pimento di specifiche determinazioni pattizie che vengono dettagliatamente enun- ciate, ma gli consente anche un pieno e generale mandato sull’amministrazione

(308) CP, nr. 523, 1281, maggio 6: «Promisit etiam idem dominus Gualterotus, procurator ipsius domini Monroelli, nomine ipsius, dictum dominum Monroellum facturum et curaturum cum effec- tu, sub pena predicta, quod domini Manfredus, Albertus fratres, Conradus, Thomas et Opicinus ne- potes predictorum dominorum, habebunt ratum et firmum quicquid per dictum dominum Sabinen- sem sententiatum, laudatum et arbitratum, dictum et preceptum fuerit in omnibus suprascriptis ...» (309) CP, nr. 523, 1281, maggio 6: «...in omnibus et singulis causis seu litibus, negociis, que- stionibus et controversiis, que et quas habet vel habere posset cum quacumque persona, collegio vel universitate et specialiter cum venerabili patre domino Henrico, Dei gratia Lunensi episcopo...» (310) ASFi, Diplomatico, Riformagioni Malaspina, 1302, agosto 2: suo figlio Moruccio è «pro- curatore, vicario et factore in terris .... de Sardinia» di Moroello di Manfredi. (311) ASGe, Paesi diversi, mazzo VIII, 1278, ottobre 10. L’episodio è brevemente riassunto in A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni cit., nr. 547, p. 259. (312) Come era generalmente previsto dalle norme per la stesura, vd. Summa artis notariae cit., p. 474: «Si est praesens, scribas: Talis constituit Corr. suum procuratorem ibidem praesentem, et mandatum sponte suscipientem. Absentem vero constituas tanquam praesentem et tunc taceas illud verbum, et mandatum sponte suscipientem, quia nescis, si mandatum sponte accepit, post- quam non est praesens». Entrambe le formule mancano nella procura. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 163

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di tutti i beni del rappresentato che possono esser coinvolti nel negozio, senza altra determinazione di finalità, tranne le azioni di «donare vel dilapidare», se non espressamente menzionate, come chiarisce Rolandino nei passi citati. Alle qua- lifiche di procurator e nuntius specialis attribuite all’Alighieri, che compaiono normalmente negli istrumenti di procura, si aggiungono qui actor, con riferi- mento alla possibilità di compiere atti giuridici, e factor quale garante attivo degli oneri e obbligazioni pecuniarie e immobiliari che verranno stabiliti. La variante Alegerii, proposta da ben tre atti lunigianesi per il cognome del poeta, rispetto a quella di Alagerii comunemente preferita dalla critica fra le com- plessive dieci forme tramandate, è particolarmente significativa, perché certa- mente offerta da lui stesso (313). Il primo incarico da realizzarsi è la stipula della pace, collegata alla composi- zione dei dissidî con il vescovo e conte lunense Antonio da Camilla, che si impe- gna anche a nome dei suoi futuri successori e degli uomini della sua parte. Pace che è da “riceversi” da parte sua: il verbo recipere attribuisce al vescovo una sor- ta di preminenza, che è tipica dell’offeso nelle compromissioni pacificatorie, ma nel contesto è anche politica e spirituale. Si riconosce, come già negli atti del 1281, la parte lesa nel presule, tramite l’enumerazione delle diverse forme di torti inflitti: generici come le offese, i danni, le ingiurie; individuali come le ferite, gli omicidi, gli incendi; o collettivi come le ribellioni e gli atti di guerra, perpetrati ai suoi dan- ni dai Malaspina, nonché dai loro seguaci ed alleati, nei confronti della posizione dei quali viene lasciato al procuratore piena facoltà decisionale. L’espressione facere pacem compare solo in un secondo momento, insieme con il verbo reddere, quando si esplicita la volontà di concordia anche della con- troparte malaspiniana. Si stabilisce che la precisazione degli obblighi derivanti dalle condizioni di pace fissate (pacta), soprattutto le pene e obbligazioni cui pos- sano esser sottoposti i Malaspina e seguaci in caso di rottura dell’accordo, sa- ranno nella piena disposizione del procuratore e che l’Alighieri si impegnerà espres- samente con la promessa che Franceschino non soltanto risponderà per quella pena a cui potrà esser obbligato, secondo la determinazione dello stesso Dante, ma si impegnerà soprattutto a che Corrado e i suoi fratelli riconoscano l’attività procuratoria e nei tempi stabiliti ratifichino il patto concordato, sottostando alle condizioni obbligatorie. È perciò in questo ambito di determinazione delle clausole, le quali poi veni- vano a costituire il vero nucleo dell’accordo, come in tutti i tavoli di negoziazio- ne, che ci si era probabilmente affidati, già negli stadi preparatori, all’azione po- litica e diplomatica dell’Alighieri, cui rimaneva anche il compito di vigilare, lo stesso 6 ottobre, sulla prima fase conclusiva del suo mandato, tramite la roga-

(313) Su cui A. D’ADDARIO, s. v. Alighieri (Alaghieri), in ED, I, Roma 1970, p. 126; alcune ri- considerazioni in G. GORNI, Dante. Storia di un visionario, Bari 2008, pp. 10-11. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 164

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zione del documento notarile di pace, ma anche sulla posteriore applicazione del- le remissioni di condanna ad opera della controparte vescovile. La frase «vene- rabilis pater dominus Antonius ... volens adimplere promissionem factam per ipsum Danti Alegerij de Florentia procuratori», che apre la remissione di pro- cessi, sentenze, condanne, banni, da parte del vescovo, una sorta di grande am- nistia per la Lunigiana malaspiniana emessa il 18 ottobre (c. 275v), sembra indi- care un particolare interessamento dell’Alighieri ad una pacificazione che, ripetendo, stavolta forse felicemente, quei tentativi di conciliazione che erano falliti per i Bianchi in Toscana nel 1304, consentisse anche l’ordinato rientro degli sbanditi lunigianesi (di cui si fanno alcuni precisi nomi) e la cessazione di nuove storie di esilio e confisca, di cui egli aveva ben amara esperienza (314). Il pendant è un’al- tra simile espressione, che sottolinea l’intervento diretto di Franceschino, nel- l’analogo provvedimento del 19 ottobre: «ad preces et instantiam magnifici viri domini Franceschini». Infine nell’instrumentum viene dato mandato speciale e generale al procu- ratore, come si è accennato, relativamente a totorum bonorum administratio- nem del rappresentato per la conclusione delle stipulazioni, promesse e obbli- ghi che saranno necessari. Questa delega all’amministrazione dei beni ritengo che non sia relativa soltanto alle proprietà immobiliari e ai depositi finanziari dei Malaspina, che potevano garantire pene od obbligazioni nel caso di non mante- nimento dei patti, fissate nella bella cifra di 1000 marche di argento, ma anche agli eventuali esborsi risarcitori che potevano esser stati richiesti, come suggerisco- no i termini quietationem e finem, utilizzati dai notai per l’assolvimento di debi- ti e quasi sempre presenti nelle ‘paci private’, che rimandano «alla natura con- trattuale degli atti di pace, nei quali la soddisfazione economica della parte offesa era elemento essenziale», ma che non venivano, tuttavia, solitamente menziona- ti nello strumento notarile ‘di base’ della pace stessa (315). Un’interessante tesi sul periodo di permanenza di Dante in Lunigiana alla cor- te, o per dir meglio alle corti malaspiniane (316), è stata formulata alcuni anni fa da Livio Galanti e ripresa di recente. Con un’analisi testuale attenta della perifra-

(314) Per gli aspetti giuridici e sociali dell’esilio cfr. R. STARN, Contrary commonwealth, The theme of exile in Medieval and Renaissance , London 1982, University of California Press, specie il capitolo Dante and his Judges, Rules of Exclusion in the early fourteenth Century, pp. 60-85. (315) A. ZORZI, Pluralismo giudiziario e documentazione cit., pp.16-17. (316) Non si intende dare al termine ‘corte’ il significato limitativo di residenza presso un uni- co castello, per ramo familiare, particolarmente rappresentativo della vita del signore intesa quasi in senso rinascimentale, poiché dalle datazioni topiche in atti concernenti i Malaspina si può vede- re come spesso le permanenze dei marchesi fossero alternate, a seconda evidentemente delle esi- genze, o nei possessi della specifica famiglia, non necessariamente nei castelli, oppure in quelli che si detenevano in comune per quote parti. Ci si riferisce, invece, più genericamente all’ospitalità ed accoglienza nel proprio entourage signorile e in un territorio policentrico, ma pur sempre ‘marca malaspiniana’. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 165

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si di natura astronomica (317) di Purg.VIII, 139-145, con la quale Corrado vatici- na per Dante la data del suo arrivo in Lunigiana, e con una critica delle interpre- tazioni discese dalla lectio dei commentatori danteschi, a partire da Jacopo del- la Lana, lo studioso rettificò la misura accolta dei sette anni non del tutto trascorsi dalla data del viaggio (318), ponendo come tempo dell’arrivo dell’Alighieri nelle terre malaspiniane l’aprile del 1306 (319). Ciò farebbe supporre un soggiorno di alcuni mesi, utile, dunque, dapprima alla conoscenza da parte del poeta della si- tuazione politica, poi alla sua partecipazione alle trattative precedenti la pace e, dopo l’accordo, anche al vigilare sulle conseguenti attuazioni delle remissioni di condanne, bandi e scomuniche della parte malaspiniana, di cui potrebbe esser un significativo accenno il già citato riferimento alla promessa fatta dal vescovo a Dante proprio in uno degli instrumenta applicativi (320). Gilda Caiti Russo ha efficacemente evidenziato la diversità fra la signorile li- beralità del casato malaspiniano, caratterizzata un secolo prima da una tradizio- ne di ospitalità e dialogo con i trovatori, e quella dei giorni di Dante, volta ai pro-

(317) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante cit., pp. 51-63. (318) L’attenzione alle indicazioni astronomiche utilizzate dal poeta per la determinazione del tempo di certi avvenimenti, primieramente la visione di Beatrice, vero nodo per il Viaggio, è stata già dalla fine dell’Ottocento all’attenzione anche di astronomi, come il direttore dell’Osservatorio di Pa- lermo: F. ANGELITTI, Sulla data del Viaggio dantesco, Napoli 1897; ID., Sull’anno della Visione dan- tesca, Napoli 1898, il quale, supponendo che i fenomeni celesti descritti nella Commedia siano real- mente stati osservati dal poeta, costruisce le efemeridi degli astri cui Dante fa cenno e la data dei pleniluni, che lo conducono per l’inizio del viaggio ad un ventaglio di possibili date (10 marzo, 5, 6, 8 aprile 1300 e 25 marzo 1301) da ulteriormente sceverare. Egli dette la sua preferenza all’ultima, in- nescando molte polemiche, soprattutto con i dantisti che sostenevano il 1300. Vd. le obiezioni di I. ZOCCO, Alcune osservazioni sulle posizioni astronomiche calcolate dal prof. Angelitti, relativa- mente alla data del viaggio dantesco, in «Giornale dantesco», XII (1904), fasc. VII-VIII, pp. 146- 152. Cfr. recentemente M. MANUGUERRA, La fisica di Dante e l’enigma astronomico della datazio- ne del Viaggio nella Divina Commedia, in Atti del XVII Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia (Como, Centro Volta - Villa Olmo, 1997), Milano 1998, pp. 331-340, per la data- zione al 4 aprile 1300 dell’inizio del viaggio e al 10, giorno della Santa Pasqua, per la visione di Dio. (319) Interpretando «... che ’l sol non si ricorca / sette volte nel letto che ’l Montone con tutti e quattro i piè cuopre ed inforca...» come riferimento al tramontare del sole dalla costellazione del- l’Ariete (occasus), che sarebbe cioè avvenuto il 20 aprile 1300, dopo l’inizio del viaggio del poeta ne- gli oltremondi, e non al tornare a ‘coricarsi’ dell’astro (ingressus) nella costellazione medesima, in- gresso che avrebbe dovuto verificarsi di nuovo il 21 marzo del 1301, portando a ben oltre il 1306 la data della venuta in Lunigiana, Galanti stabilisce così nel 20 aprile del 1306 il termine, definito ad quem (meglio sarebbe in realtà dirlo ante quem), di questa. Indica inoltre il 10 aprile 1300 per il mo- mento dell’incontro con Corrado nella ‘valletta dei principi’. C. PALANDRANI, Rettifica del termine ad quem della venuta di Dante in Lunigiana, in «Lunigiana dantesca», 4 (maggio 2003), pp. 2-3, riedito in Dante e la Lunigiana, Atti del Congresso internazionale cit., ha ritenuto, considerando l’uso all’epoca del calendario giuliano, e non di quello gregoriano usato dal Galanti, di dover cor- reggere l’uscita del sole dalla costellazione all’11 di aprile e non al 20, ed ha fissato l’arrivo di Dan- te in Lunigiana al 12 aprile 1306, verso le 9 del mattino. (320) A c. 275v, 1306, ottobre 18. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 166

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scritti italiani, entrambe parte per l’Alighieri di un mito, poetico e di vita, di cui sono simboli nostalgici Corrado l’Antico ed il suo omonimo discendente, nell’al- to elogio del canto VIII del Purgatorio, che ha sullo sfondo, però, soprattutto il tema dell’esilio. Dall’ospitalità «agli unici sopravvissuti delle lotte fratricide ita- liane, agli ‘scacciati’ Dante e Cino» si origineranno quelle ‘rime di corrisponden- za’ fra i due poeti (321), indirizzate o scritte sotto il nome di Moroello Malaspina, che costituiscono un dialogo e, specie da parte di Dante, un omaggio alla casata ospitale, ed insieme alla poesia trobadorica (322).

L’accordo di pace Il mandato di procura all’Alighieri è preceduto da un incipit documentale, ste- so con un ductus posato, composto dall’invocatio verbale, dalla datatio (senza indicazione dell’ora) e da una breve arenga costituita da due ablativi assoluti ed una relativa, non retti da proposizione principale (c. 270r), cui segue uno spazio bianco e la consueta linea di divisione fra atti usata da Giovanni (323). L’inchio- stro di colore leggermente diverso ed il modulo scritturale mostrano che non ven- ne redatto nello stesso momento del documento seguente. Già il Bassermann aveva rilevato il non completamento di quella che definiva una «prolissa introduzione al documento principale»: il testo risulta, infatti, poi ripetuto ad verbum nel contratto di pace, con la sola aggiunta della determina- zione dell’ora. Lo studioso motivava ciò con un presunto errore del notaio nel-

(321) Per i sonetti scambiati con Cino da Pistoia, anche a nome o rivolti a Moroello, cfr. Dante Alighieri, Rime, edid. D. DE ROBERTIS, Firenze 2002, nrr. 105-106. Per la canzone montanina, «ulti- mo esercizio poetico dantesco di stampo cortese» che sarebbe stata inviata da Dante al Malaspina, con la discussa connessione all’epistola esplicativa in latino che la precederebbe, cfr. La ‘canzone montanina’, edid. P. ALLEGRETTI, con prefazione di G. GORNI, Verbania 2001, specie pp. 61, 65-67, 107. (322) G. CAITI RUSSO, Il marchese Moroello Malaspina, testimone ideale di un dibattito tra Dante e Cino sull’eredità trobadorica, in «DS», CCXXIV (2006), pp. 137-148. Vd. poi EAD., La corte malaspiniana ed i suoi cantori, Dal mito dantesco alla storia di uno spazio cortese, in Pier del- le Vigne in catene cit., pp. 65-80. Sui rapporti con i poeti trobadorici EAD., Appunti per una lettu- ra “malaspiniana” del contrasto bilingue di Rambaldo di Vaqueiras, in Poeti e poesia a Genova (e dintorni) nell’età medievale, Atti del convegno di studi “Poeti e poesia a Genova e dintorni nel- l’età medievale” (Genova, 2004), a cura di M. LECCO, Alessandria 2006, pp.189-204; EAD., Les troba- dours et la cour des Malaspina, Université Montpellier III, Montpellier 2005. Il rapporto fra la ce- lebrazione della famiglia e «la nutrita messe di testi provenzali scritti da più generazioni di trovatori in onore di quella stessa casata, la cui generosa ospitalità era evidentemente tradizionale» è stata messa in rilievo anche da N. TONELLI, Purgatorio VIII 46-139 cit., p. 265, che, sulla base della pro- fezia, considera tuttavia che il soggiorno di Dante alla corte malaspiniana si svolgesse fra il 1306 e il 1308 ed a tale data tende ad avvicinare la composizione del canto. (323) «Diucius diabolica exsuperante potentia ... provincia Lunexane diversimode lacerata»: il brano non è solitamente riportato nelle edizioni, tranne che in quella del Biagi-Passerini. Si se- gnalano interventi correttivi, di cassazione della parola viros, ripetuta nel proseguo («magnificos viros et excelsos viros dominos») e di riscrittura del termine p(ro)vi(n)cia. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 167

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l’ordine di stesura degli atti, dovuto alla sua ignoranza, fino al mattino del 6 otto- bre, del fatto che i Malaspina non sarebbero intervenuti di persona in Castelnuo- vo o che il mandato di procura per Dante dovesse ancora esser redatto (324), fatto che l’avrebbe costretto ad un ripensamento sul già compiuto protocollo con arenga del documento. In realtà la stesura nel cartulario avvenne, secondo la prassi, posteriormente allo svolgersi delle azioni giuridiche in questione, e quindi in tutta tranquillità per il notaio, così che possono farsi soltanto alcune altre ipotesi. Reinterpretan- do la precedente, si potrebbe supporre, ma è supposizione non troppo accetta- bile, che l’interruzione fosse dovuta alla scelta, che sarebbe avvenuta posterior- mente alla preparazione dell’incipit documentale, di riportare integralmente l’atto di procura, senza limitarsi ad un inserto in extenso nell’instrumentum pacis. Cer- tamente non influì sul non completamento del brano un problema di necessaria anteriorità cronologica del mandatum procurationis, e quindi di posto di posi- zione nel cartulario, poiché nelle posteriori rimesse delle condanne e scomuniche alla parte malaspiniana, che il vescovo emanò in ottemperanza dei patti del 6 ot- tobre, un atto che porta la data di rogazione del 19 precede un altro del 18. An- cor più improponibile che potesse esser stato scritto dal notaio nel proprio regi- stro di imbreviature per una più facile esemplazione nel redigere il seguente accordo, non trovandosi, il brano e l’atto, in posizione speculare, ma nel recto di due carte successive. Se non è plausibile un’interruzione della scrittura documentale per motivi non previsti, tuttavia la mancanza nella datatio dell’ora della rogazione e gli errori fan- no pensare ad una stesura non ben calibrata, forse proprio una copiatura da un exemplar fornito a Giovanni, che egli avrebbe riportato nel suo cartulario antici- patamente, per una maggiore sicurezza, data l’importanza della questione da trat- tarsi e la forma da dare al rogito. Anche questa prima parte è stata attribuita al dettato di Dante da Emilio Ber- tin, che ha attentamente analizzato il prologo, escludendo «la dipendenza [del- l’intero esordio] da modelli di tradizione schiettamente notarile», per quanto, come egli stesso rileva (325), se ne possano segnalare di affini «per consistenza retori- ca» in formulari toscani o del Nord Italia, per cui, almeno teoricamente a mio av- viso, utili modelli avrebbero potuto benissimo esser stati accessibili tanto a Gio-

(324) A. BASSERMANN, Orme di Dante cit., pp. 307-308. (325) E. BERTIN, La pace di Castelnuovo Magra cit., pp. 5-8: uno, che presenta anche una clausola in cursus velox, attestato in un formulario fiorentino del secolo XIII, fa riferimento al dia- volo fomentatore di discordie che generano pericoli e guerre; un altro, più tardo, cremonese, defi- nendo la pace come imitazione delle vestigia di Cristo, riporta la stessa citazione evangelica pre- sente nel nostro atto. Cfr. G. MASI (a cura di), Formularium florentinum artis notariae, Milano 1943, p. 182; il formulario è riedito, con approfondita introduzione sull’ars notariae, da S.P.P. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 168

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vanni di Parente quanto al notaio Tommaso di Bonaccorso, che rogò nella stessa circostanza. Lo studioso ha, però, evidenziato anche le particolari tecniche scrittorie del- l’arenga, che delineano «una personalità scrivente di alto profilo stilistico e ca- pace di letture di buon livello» (326), mettendole quindi in relazione con lo stile ed il pensiero dell’Alighieri. La complessità del tessuto sintattico della parte incipi- taria, articolato in una concatenazione di subordinate, l’utilizzo di figure ritmiche come il cursus, del vocalismo tonico del gruppo AEIOU, di cui Dante discorre pro- prio in Conv., IV, 6, opera la cui elaborazione può porsi negli anni 1304-1307, la di- sposizione, diversa rispetto a quella nel dispositivo, dell’elenco di violenze che hanno lacerato la Lunigiana, che potremmo certo paragonare ad altri simili bra- ni (327), ma esposte con un climax discendente e con una configurazione nume- rica dei termini in uno schema 3-3-3-1, caro peraltro all’Alighieri, fanno in effetti pensare per questo brano ad un autore di ben altro calibro del notaio Giovanni e rendono del tutto verisimile la paternità dantesca, suggerita già dalla fine del- l’Ottocento. È da considerarsi soprattutto il collegamento con il pensiero politico dell’Alighieri sulla pace ed il riferimento ad un passo di Cassiodoro (328).

SCALFATI, Un formulario notarile fiorentino della metà del Dugento, Firenze 1997; vd. poi E. FAL- CONI (a cura di), Due formulari notarili cremonesi, Roma 1979, pp. 325-326 per l’esempio di inizi Quattrocento. Bertin imputa queste somiglianze alla «robusta continuità culturale e scolastica del Medioevo», più che alla diffusione di modelli notarili. (326) E. BERTIN, La pace di Castelnuovo Magra cit., specie pp. 8-12, 22-23, 26-28. (327) Nella più volte citata sentenza arbitrale del vescovo Gerardo del 1281, nel precisare i pre- cedenti che avevano determinato la pacificazione, si enumerano come cagioni della discordia, in- trodotti dall’espressione «occasione iniuriarum ipsarum», una dozzina di male azioni che, anche qui in un climax discendente, vanno dagli assedi e depredazioni di castra, ville, domus e terreni agra- ri alla cattura e imprigionamento degli homines. Il periodo era già presente nell’atto di elezione del- l’arbitro, rogato due giorni prima dal medesimo notaio, segno di una precedente preparazione del testo, del tutto condiviso, evidentemente, dalla parte che avrebbe generato l’offesa. Per enumera- zioni diverse di azioni violente, si vedano quelle di alcune ‘paci private’, nelle quali si supera la contingenza di diretti oltraggi personali, in G. MASI (a cura di), Formularium florentinum cit., spe- cie pp. 203, 211, 216, 283. (328) P. SCHEFFER-BOICHORST, Der Brief des Bruders Hilarius an Uguccio della Faggiola, in Aus Dante’s Verbannung, Literarhistorische Studien, Strasburg 1882, specie pp. 227-245, per pri- mo sostenne che il prologo fosse suggerito da Dante, per i riferimenti all’aspirazione alla pace uni- versale, che è fondamento del suo pensiero, e argomentò, per conseguenza, anche l’autenticità del- l’epistola di fra Ilàro; H. GRAVERT, Dante, Bruder Hilarius und das Sehnen nach Frieden, Köln 1899, richiamandosi all’introduzione del Defensor pacis di Marsilio da Padova, ne aveva poi segnalato la derivazione dalla prima lettera delle Variae di Cassiodoro. A. ROSSI, Per una ridefinizione del canone cit., specie pp. 6-11 ha ricostituito la trama dell’arenga, mettendo in relazione l’auctoritas della citazione evangelica da Johan., XIV, 27 «con il volgarizzamento della stessa che Dante compì nel Convivio II, XIV, 19 ... opera che doveva allora avere per mano», con il rapporto fra pace e svi- luppo delle arti, presenti pure nel Convivio, con la necessità della pax universale presente nella Mo- narchia e in alcuni brani epistolari, nonché con l’osservanza delle norme del cursus. Più recente- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 169

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Il pezzo sarebbe utilizzabile anche da solo, in un ambito formale quindi più semplice, ma nell’instrumentum pacis è collegato con il proseguo a formare una lunga proposizione ricca di subordinate, che vengono a costruire una complessa gerarchizzazione di concetti. È possibile che l’esordio dell’instrumentum pacis, cui il brano suddetto si collega divenendone parte, abbia raggiunto la sua definitiva, assai più articolata, struttura in un secondo momento, proprio grazie ad un ulteriore concorso com- positivo di Dante il quale, dopo la conclusione dell’accordo pacificatorio, vi in- trodusse anche elementi di pensiero politico, fornendoci una più ampia arenga- narratio, colta e meditata, quasi un sigillo delle sue meditazioni politiche. In tal modo il periodo ‘interrotto’ rimase nel cartulario quasi come una sorta di coerente ‘cappello’ anche per tutti gli atti seguenti, contestuali all’accordo. Da rilevare che solo nell’arenga l’atto è definito tractatus, termine ben più so- lennizzante l’occasione della corretta definizione giuridica di contractus, che ri- corre più volte nella parte dispositiva, opera del notaio (329). La stipulazione della pace, che si vale della ‘struttura flessibile’ dell’instru- mentum e rientra, come si è detto, nella tipologia delle ‘paci private’, presenta par- ticolarità che l’accostano a quelli che sono stati definiti «documenti notarili com- positi o ibridi» (330). Per quanto l’emissione documentale sia dovuta ad un professionista sarzane- se e le formule di validazione e di datazione, oltre al dispositivo, siano quelle proprie della sua prassi notarile, l’atto ha uno schema complesso che sembra ave- re avuto una meditata elaborazione formale delle sue diverse parti, alcune delle quali rimandano a documenti cancellereschi e vengono, così, ad attribuire so- lennità agli autori giuridici in una situazione di rapporto contrattuale speciale e, di conseguenza, maggiore dignità al contesto politico (fig. 16). Sono quelle che la Carbonetti Venditelli chiama «di cornice, di introduzione e di chiusura del te- sto», nel nostro caso soltanto, però, il proemio e la parte narrativa, poiché non sono presenti, come negli atti romani analizzati dalla studiosa, formule minatorie,

mente il rapporto fra il pensiero politico di Dante e la ‘parafrasi’ di Cassiodoro, che ne rivela l’inci- piente originalità, è stato approfondito da C. DOLCINI, Qualcosa di nuovo su Dante: sue tesi politi- che nel 1306, in «Pensiero politico medievale», 1 (2003), in particolare pp. 19-25, il quale ha analiz- zato anche la possibilità dei contatti fra Dante e Marsilio da Padova. (329) Nell’arenga: «…effectum operis amplexantes mediante tractatu ... », nel tenor: «... a ce- lebratione presentis contractus… in presenti contractu promittit et se / obligat». (330) Per questo concetto G.G. FISSORE, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel Comune di Asti. I modi e le forme dell’intervento notarile nella costituzione del documento comunale, Spoleto 1977, specie pp. 207-209; C. CARBONETTI VENDITTELLI, Documentazione scritta e preminenza sociale, in La nobiltà romana nel medioevo, a cura di S. CAROCCI, Roma 2006, pp. 323- 343, che applica il concetto alla produzione di documenti per famiglie nobili romane fra il X ed il XIII secolo. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 170

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Fig. 16 - Archivio di Stato della Spezia, tabula II fronte, l’instrumentum pacis (a destra, dopo il restauro digitale).

ma solo le consuete sanzioni pecuniarie per la violazione degli accordi, e neppu- re compaiono nella completio verbi precettivi da parte vescovile. Da un lato si ricorda il passato con le conseguenze delle discordie, opera diabolica, che hanno lacerato la struttura politico-sociale dell’intera provincia di Lunigiana (331), dall’altra la volontà di pace dei gruppi in conflitto; pace che di- scende nello spirituale dal messaggio di Gesù padre ai suoi apostoli (332), trami- te l’opera di pacieri francescani e la volontà di perdono del vescovo, fattori che insistono anche sul piano temporale: la pace e tranquillitas conducono al pro-

(331) Non si parla di diocesi o comitato, ma compare una variante fonetica della provincia Lu- nigiane, con cui era appellato il territorio della vicaria lucchese: cfr. Statutum Lucani Communis cit., p. 69. (332) E. BERTIN, La pace di Castelnuovo Magra cit., pp. 20-22, sottolinea la differente lezione del passo evangelico riportato rispetto alla Vulgata, mediante l’inversione di posto delle due pro- posizioni («pacem meam do vobis, pacem meam relinquo vobis»), presente, in volgare, anche in Conv., II, 14, 19 (per questa osservazione A. ROSSI, Per una ridefinizione del canone cit., p. 6). Tuttavia si segnala l’uso di questa precisa lezione, come semplice esempio fra diversi proponibili, nel patto di concordia fra il papa Adriano IV (1154-1159) e Guglielmo I, re di Sicilia e duca di Puglia, per il quale J.C. LÜNIG, Codex Italiae diplomaticus, Francofurti et Lipsiae 1726, t. II, nr. V, col. 854: «Et illius inspirante virtute, qui ad coelum iturus discipulis suis ait: ‘pacem meam do vobis, pacem meam relinquo vobis’ ...», segno di una forte tradizione già nel secolo XII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 171

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gresso, alla crescita delle arti e alla civilizzazione dei popoli; i concetti sono ripresi dalla citazione del passo di Cassiodoro, presentato con qualche variante nell’or- dito sintattico (333). Tratto, non a caso, da una lettera di Teodorico all’imperato- re Anastasio con la quale egli lo esorta a cercare la pace (Var., I,1,1: «Oportet nos, clementissime imperator, pacem querere qui causas iracundiae cognoscimus non habere...»), esso è latore di concetti che troveranno piena rispondenza nella pace universale con i suoi frutti, che Dante illustrerà in Mon. I, III e IV (334). Galanti, pur non avendo informazioni bibliografiche per poter collegare il bra- no della pace con la lettera del ministro del re ostrogoto, aveva rilevato come nel Comentarium di Pietro Alighieri si citi l’autorità di Cassiodoro, con la frase «verus testis est qui laudat expertus», proprio a proposito dell’esperienza diret- ta di Dante, esperienza che gli avrebbe inverato la predizione di Corrado nel can- to VIII sulla sua dimora presso i Malaspina (335) e lo avrebbe reso per questo, appunto, un testimone veritiero. Le citazioni di Cassiodoro in Pietro Alighieri sono per la verità più di una (336), e fra queste troviamo proprio quella della prima lettera delle Variae che compa- re nell’arenga lunigianese, a proposito dell’incontro con Sordello di Mantova (337), per il quale si dice che l’auctor ne trae motivo di una digressione contro gli Ytali- cos homines che si attaccano reciprocamente in ogni città e luogo d’Italia, non più ormai signora di provincie, ma serva, a causa della libertà usurpata dai suoi tiranni. Perciò nessuna parte della stessa Italia «gaudet pace, quae quantum sit deside- randa audi Cassiodorum dicentem: Omni quippe est pax, in qua populi profi- ciunt, utilitas gentium custoditur. Hec est bonarum artium decora mater, fa- cultates protendit et mores excolit; sed guerra per quam divitias corpus et animam

(333) C. DOLCINI, Qualcosa di nuovo su Dante cit., p. 21 nota la (voluta) alterazione dell’ultima frase nella quale si afferma, quasi attualizzando il contesto con sofferta riflessione, che relativa- mente ai meriti della tranquilitas (sic), se ne riconosce a mala pena il valore: «... vixque quante sit virtutis agnoscitur.»; E. BERTIN, La pace di Castelnuovo Magra cit., pp. 14-17. (334) Ibidem, anche in base alla più recente edizione e alle considerazioni cronologiche del cu- ratore, Bertin sottolinea il notevole anticipo di tempo del prologo del 1306 sulla Monarchia, che po- trebbe esser posteriore di una diecina di anni. (335) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante cit., p. 49. In realtà la citazione per l’esperienza dell’e- silio è relativa a Parad., XVII. (336) Si cita da PIETRO ALIGHIERI, Comentum super poemam Comedie Dantis, A critical edition of the third and final draft of Pietro’s Alighieri’s Commentary on Dante’s the divine Comedy, edid. M. CHIAMENTI, Medieval and Renaissance texts and studies, vol. 247, Tempe 2002, edizione del Co- mentum con la finale versione del testo, conservato in due testimoni, il principale del quale è il co- dice Ottobonianus Latinus 2867 della Biblioteca Apostolica Vaticana (chiamato V, databile al pri- mo quarto del secolo XV): «The third version of the text (hereafter referred to as γ) represents the longest, richest, and most definitive version of the Comentum... can be seen as a more refined and complete draft of β, while β is a total reconception of the original text α» Con α si intende la prima stesura, di cui si hanno ben 23 testimoni, con β la seconda, conservata in due. (337) Ibidem, pp. 321-322: Purg., VI, 21. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 172

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perdimus quelibet pars Ytalie vexatur.» I due testi non sono coincidenti: tranqui- litas è, forse per una più incisiva comunicazione, sostituita nel Commento da pax, un’intera frase è eliminata, ma la derivazione comune è visibilissima, più aderen- te in Pietro, più elaborata nell’atto di pace. Con questa contiguità fra il commento del figlio Pietro e Cassiodoro non soltanto si apre la possibilità di una circolazio- ne dell’opera di tale autore anche nell’ambito familiare degli Alighieri, ma si raffor- za il rapporto di Dante, e della Commedia, con il testo dell’instrumentum di Ca- stelnuovo Magra e con la riflessione politica sul binomio pace-guerra. Dunque una fitta tessitura di argomentazioni religiose, morali, letterario-fi- losofiche manifestano il sostrato ideologico dell’accordo lunigianese, il quale non solo deve sopire i conflitti, ma creare concordia e amicizia fra le parti, laiche e re- ligiose, prima nemiche, per il raggiungimento di una prospera distensione. Opportunamente Mario Nobili (338) cita il preambolo della pace stipulata a Lucca nel 1124 fra il vescovo di Luni Andrea e i marchesi Alberto e Guglielmo Fran- cigena Malaspina, sottolineando come il ruolo ordinatore delle civitates princi- pales nella convivenza civile ivi esaltato, calzi perfettamente in quell’occasione all’immagine che di sé vuol dare il Comune lucchese (339), ben inteso ad un’ege- monia, prima morale e poi politica, sul territorio dei due contendenti. Ma arenghe con riferimento alla pace, interiore-cristiana e civica, si trovano anche nei documenti imperiali e soprattutto pontifici, che poterono offrire al dic- tator modelli cancellereschi della ‘cornice’, almeno sotto il profilo strutturale, da forgiarsi poi secondo i propri intenti comunicativi ed ideologici, per arricchire e solennizzare il consueto formulario notarile. Si può citare la lunga e complessa arenga delle litterae con le quali il pontefice Benedetto XI lamentò le ingiurie in- ferte da fiorentini e lucchesi al vescovo Ostiense, suo legato: dopo la menzione della pace di Gesù («Rex pacificus, qui pacis cogitationes cogitat non afflictionis, pro mundi pace venit in mundo, in ultimis dum transiturus esset ad patrem, pa- cem nobis quasi proprio testamento relinquens...»), si snoda un articolato com- plesso di citazioni veterotestamentarie, relativo al compito, pacificatore e ordi- natore nei rapporti civili, della Chiesa (340). Le parti dispositive e autenticatorie del nostro instrumentum rispettano il formalismo strutturale e testuale di analoghe paci, nel quale era compreso an- che l’atto simbolico dello scambio del bacio di pace (osculum) tra gli avversari di- venuti amici, gesto polisemico che sottende comunque sempre un consenso re- ciproco dei protagonisti ed un desiderio di ‘amore’. Il rito del bacio fra Dante ed

(338) M. NOBILI, Le‘paci’ lunigianesi cit., pp. 11-12 dell’estratto. (339) Ibidem, pp. 8-10. (340) Les registres de Benoît XI (1303-1304) cit., nr. 1278, 1304, giugno 21. Cfr. poi un’analo- ga tessitura di concetti sulla pace e di participi come amplexantes, che compare anche nell’in- strumentum di ser Giovanni, in CP, nr. 524, 1281, maggio 8: «...volens vitare litigiorum anfractus et viam pacis et concordie amplexantes». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 173

«AD PACEM ET VERAM ET PERPETUAM CONCORDIAM DEVENERUNT». 173 IL CARTULARIO DEL NOTAIO GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO E L’INSTRUMENTUM PACIS DEL 1306

il vescovo è l’equivalente gestuale, pubblico e visibile, della formula che sancisce il 6 ottobre il mutamento dei rapporti fra le parti:«tractare, tenere, habere ab ho- die in antea pro veris, legiptimis et propriis amicis» quelli che erano prima av- versari, i marchesi con i loro seguaci. Nei rituali della Chiesa ha radici antiche, quale segno di un rapporto perso- nale, di unità e concordia (il bacio liturgico e quello della pace, scambiato tra i chierici o fra questi ed i fedeli). Anche nel sistema feudale il bacio ha un signifi- cato egualitario, quello di vassallaggio, os ad os, e quello connesso con l’ingres- so nella cavalleria, nel contesto di un cerimoniale che è quasi un «compromesso fra l’aristocrazia guerriera e la gerarchia ecclesiastica» (341). Nel XIII secolo avan- zato, con il diffondersi delle cartae pacis per sedare discordie familiari e politi- che o faide, e con la crescita della maggiore percezione che esse recavano tensioni e malessere a tutta la società, il rituale del bacio, metafora della rimessa da parte dell’offeso agli offensori di ogni ingiuria e danno subito e impegno nel dovere mo- rale-religioso della pace, fu demandato a quelle composizioni, note come pax e concordia, che significavano la fine di un lungo conflitto. La formula inerente ebbe il suo posto proprio nel cuore del documento notarile (342). Tornando al nostro instrumentum, rimandano, infine, a forme pattizie pub- bliche i pacta o conventiones, che si situano di seguito all’escatocollo, ripetendo più esplicitamente, ma senza ulteriori clausole, quanto già contenuto nella parte dispositiva dell’instrumentum. La vertenza che si chiuse il 6 ottobre 1306 era entrata in una fase calda circa un anno prima, ma lo stato pressoché continuo di guerra e faida poteva farsi ri- salire al periodo immediatamente posteriore al preceptum del cardinale Bianchi del 1281 (343). Quella era stata una restitutio, giacché, nel breve giro di otto gior- ni dalla richiesta dell’arbitro o di suo delegato, avrebbero dovuto esser riconse- gnati dai Malaspina tutti i castra, fortilicia, palacia, domos, terras, ecclesias, vil- las, burgos, con i rispettivi distretti, giurisdizioni e pertinenze, tolti al vescovo, che trovano posto in un elenco di ben 21 insediamenti (344). Quella del 1306 fu invece una remissio de omnibus et singulis bonis vel re- bus acceptis seu habitis dai marchesi o loro uomini (fig. 17), per cui il vescovo

(341) J-C. SCHMITT, Il gesto nel Medioevo, Bari 1990, pp. 187, 270-272. (342) K. PETKOV, The Kiss of Peace. Ritual, Self, and Society in the High and Late Medieval West, Leiden 2003, specie pp. 94-98. (343) Viene chiaramente esposto a c. 272v: «... tempore occupationis facte de episcopatu de anno proximo preterito seu per officiales ipsorum, a die restitutionis domini cardinalis retro ...». (344) CP, doc. nr. 526, 1281, maggio 6: il borgo ed il castrum di Sarzana, il borgo o castrum di Serravalle, quello di San Maurizio, di Falcinello, della Brina, di Bolano, di Albiano, di Soliera, di Mon- cigoli, di Collecchia, di Ceserano, di Stadano, di Montebello e Bruscarolo, di Pulica, di Regnano; il borgo di Santo Stefano, quello di Ceparana, la villa di San Terenzio e la parte vescovile nel castel- lo di Burcione. Appena pochi anni dopo veniva comminata la scomunica agli uomini di Bibola per l’appoggio dato ai Malaspina: ASFi, Diplomatico, Malaspina, 1290, giugno 28. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 174

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Fig. 17 - Archivio di Stato della Spezia, tabula VI retro, la remissio di scomuniche del 18 ottobre (a destra, dopo il restauro digitale).

non pretese la restituzione dei beni, terreni o territori occupati, concedendo, anzi, alla controparte la cassazione e annullamento dei processi, banni, sentenze e con- danne che ne discendevano, inflitte o in corso di esecuzione nel periodo, così come delle scomuniche. In una notazione aggiunta dal notaio in fondo al documento del 19 ottobre relativo alla remissione da parte del vescovo delle scomuniche e in- terdetti, si aggiunge che i minoriti potranno «extrahere omnes personas de ex- comunicatione», particolarmente quelle del partito malaspiniano (345). Le differenze di equilibri politici intercorse nel quarto di secolo che divide le due pacificazioni, e nel conseguente controllo del territorio, si rilevano dal fatto che nell’atto vengono qualificati come pars marchionum, senza alcuna conte- stazione, Sarzana e Sarzanello con i loro giusdicenti lucchesi, il comune e gli uo- mini di quella Carrara che Franceschino e Moroello avevano in precedenza oc- cupato militarmente (346), quelli di Ponzano e di Bibola e la pars di Bolano e Santo

(345) A c. 275r. (346) E. GERINI, Memorie storiche cit., II, p. 41: nel 1299 Moroello e Franceschino, che l’auto- re considera però del ramo di Olivola, avevano preso Carrara e Avenza. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 175

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Stefano, evidentemente divisi in due partiti (347), cioè i nuclei strategici del co- mitato vescovile. Il 13 di ottobre il vescovo rimise poi al vicario del podestà sarzanese Ugo Mal- pigi di Lucca, oltre che la finem, remissionem et pactum non petendo delle condanne emesse da magistrati e funzionari contro il comune medesimo (ma non contro singole persone), quale donationem inrevocabilem inter vivos, le somme di denaro o i beni in esse coivolte, facendo «ipsam universitatem procuratricem et dominam in rem suam» (348). Come clausola particolarmente sottolineata perché a parte rispetto alla for- mulazione generale, si riconosceva anche una non chiara situazione di condomi- nio delle due parti sui castra di Brina e Bolano, giacché i due siti, oggetto di con- tesa, avrebbero dovuto rimanere nello status quo fino ad un certo termine di tempo, che si sarebbe dovuto stabilire per comune accordo. Una volta addivenuti a que- sta scadenza, ciascuno avrebbe potuto prossequi iura sua e la pace non sareb- be stata considerata rotta. Questa maggiore elasticità di rapporti reciproci è evi- dente anche nella riserva che, se Moroello non avesse aderito alle suddette clausole, ciò non sarebbe stato imputato al marchese Franceschino; il vescovo non avreb- be, però, compreso il signore di Giovagallo nel perdono e la pace non avrebbe avu- to valore per il marchese ed i suoi. Il cardinale Gerardo, contornato da testimoni anche della famiglia Fieschi, nell’emettere la sua sentenza, aveva enunciato i motivi di preoccupazione da par- te dell’arbitro, ma anche della Chiesa, nei confronti dei risultati di una così lunga e aspra contesa: gli animarum pericula, e quelli per uomini e cose, i gravia di- spendia e i dispendiosa gravamina, che potevano farsi ancora più pesanti e pe- ricolosi nel futuro. Aveva, però, composto una forma di compromesso in cui la si- gnoria vescovile era fortemente salvaguardata. Alcuni decenni dopo né la situazione locale, né quella dei rapporti con la cu- ria pontificia erano più le stesse ed il vescovo Antonio si volse ad un contratto di pace che, pur permettendogli di mostrare ancora un’immagine concessiva, di ecclesiastico e di signore, somigliava molto, nei fatti, ad una resa.

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(347) Nell’elenco, più cognitivo che reale, delle risorse un tempo pertinenti all’episcopato e dei redditi effettivamente percepibili all’epoca, edito da G. SFORZA, Castruccio Castracani degli An- telminelli cit, doc. IV, [1313], luglio 18, p. 459, si dice: «Redditus Bolani, quod tenent marchiones Malaspina, scilicet dominus Moroellus, dominus Franceschinus et Curadinus». Si attesta anche che nelle scritture conservate compaiono i redditi di Soliera, Ceserano, Collecchia, Ponzanello, così come di Bibola, Falcinello, Santo Stefano e Caprigliola, Stadano, Albiano, Montebello e Bruscaro- lo, ma che attualmente ignorantur. Il vescovato percepisce invece i redditi di Carrara e Sarzana. (348) A c. 274v. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 176

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APPENDICE

LE VICENDE DEL CARTULARIO DI GIOVANNI DI PARENTE DI STUPIO EL’ARCHIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI SARZANA

Le vicende dell’istituzione archivistica conservatrice ci consentono di seguire anche quelle del cartulario del notaio rogatore della pace di Castelnuovo Magra e delle tabulae, i sette bifogli da esso estratti nei primissimi anni del XX secolo, sempre menzionate nelle diverse ispezioni ministeriali qua- le materiale documentale di pregio storico, anzi come il documento per eccellenza fra quelli con- servati, compresi gli stessi atti del notaio rogatore, con i quali venne - non solo virtualmente dopo la separazione delle carte dantesche - sciolto il complesso delle relazioni intercorrenti. Con il suo cospicuo patrimonio, nel quale erano compresi, come abbiamo visto, diversi registri di ser Giovanni di Parente, l’archivio sarzanese costituiva la principale memoria storica superstite della locale società civile, delineata attraverso l’attività del notariato svoltasi tanto in Sarzana, quan- to nella bassa Val di Magra, nello spezzino e nel levantese, a partire dall’età medievale. Per questo motivo la scomparsa pressoché dell’intero complesso del Notarile, proprio alla fine della seconda guerra mondiale, richiede a mio parere una postilla più ampia di quella che si potrebbe delegare alle note al testo, soprattutto per i molti dubbi che sorgono ad un’analisi più approfondita dei reso- conti di ufficio, che furono come una pietra tombale sulla vicenda. Alla perdita del complesso documentale si è con il tempo aggiunta una semplificazione del racconto dei fatti, quasi una sorta di «leggenda popolare» che non ha indotto fino ad oggi ad indagi- ni più accurate. Per questo ritengo utile all’inquadramento delle problematiche documentali tre- centesche stilare un’appendice con le notizie che è stato possibile raccogliere, specialmente attra- verso i frammentari incartamenti di ufficio degli enti competenti, giacché gli oltre sessant’anni trascorsi rendono ormai difficile raccogliere la memoria orale di testimoni. I dati di seguito esposti provengono principalmente dai superstiti faldoni dell’archivio ammi- nistrativo, oggi conservati presso l’Archivio Notarile Distrettuale di La Spezia (1), che costituisco- no parte della documentazione di ufficio del Notarile sarzanese, divenuto, dal 1924 fino alla fine della II guerra mondiale, Archivio Notarile dei Distretti riuniti di la Spezia in Sarzana o, più sempli- cemente, Notarile Distrettuale di la Spezia in Sarzana, a seguito dell’istituzione il 28 novembre 1923 per Regio decreto della nuova provincia spezzina. In particolare le «relazioni morali» dei Conserva- tori, assai ampie e dettagliate nei primi decenni del suo funzionamento, con capitoli specifici sui notai storici, i verbali di ispezione generale, quelli di ispezione finale agli atti dei 151 notai cessati de- positati a partire dall’apertura dell’ufficio, dei quali abbiamo un repertorio, che va dal 1884 al 1954, gli analitici verbali di versamento dei minutarî e delle filze notarili, queste soprattutto dei secoli XVI- XVII, perfino gli inventari dell’arredo degli uffici, ci consentono una, sia pur parziale, ricostruzione della consistenza e dell’ordinamento del materiale conservato, della struttura dell’edificio, della pian- ta organica. A questo materiale si deve poi aggiungere una sesta busta relativa all’acquisto nel 1956

(1) Questa la dicitura ufficiale dell’ufficio, afferente al Ministero di Giustizia. Verrà citato d’o- ra in poi con la sigla ANDSp. Sono grata al Conservatore dell’Archivio Notarile, dott.ssa Giovanna Quilici, ed al personale, in particolare alla dott.ssa M. Grazia Aranzulla, per la cortese e collabora- tiva disponibilità, così come al personale dell’Archivio di Stato della Spezia e al suo Direttore, l’a- mico dott. Antonino Faro, per la premurosa cooperazione. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 177

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dell’attuale sede, in via Piave 16 in La Spezia, e al conseguente trasferimento, nonché alle ispezioni dal gennaio 1955, facenti parte dell’archivio corrente dell’attuale istituzione, che ne testimoniano l’impoverimento dopo i danni bellici. Richiamare l’attenzione anche sulla passata organizzazione logistica ci consente, poi, di scoprire un archivio assai più strutturato, in funzione di una ricca documentazione storica, di quanto suppo- nessimo, specie se consideriamo una sparizione così repentina, e pressoché totale, dei materiali con- servati.

La «Sezione» dei notai antichi nell’Archivio Notarile di Sarzana L’Archivio Notarile Distrettuale di Sarzana venne aperto al pubblico il 1 febbraio 1881 (2), al ter- mine di quattro anni di lavoro per la sua sistemazione. Già, infatti, dal primo gennaio 1877 si era prov- veduto all’affitto di locali idonei, in ottemperanza al disposto della L. nr. 2786 (serie 2ª) del 25 luglio 1875 art. 3, detta «legge sul notariato», che richiedeva la costituzione di archivi distrettuali - e relati- vi collegi notarili - in ogni centro sede di «tribunale civile o correzionale» (3), per accogliere il depo- sito di atti correnti e degli atti originali dei notai cessati, sia ai fini della conservazione, sia per una funzione di controllo (4). Le disposizioni legislative discendevano anche dai principi espressi nella relazione del 13 apri- le 1870 «Sul riordinamento degli archivi di Stato» della Commissione Cibrario, di cui fu relatore Ce- sare Guasti (5). Pur mirata principalmente alla strutturazione del nuovo sistema nazionale e alla ge- stione di quelli pubblici, anche con la definizione della dipendenza da un preciso Ministero, era latrice di importanti principi sulle funzioni degli archivi in generale. Nella premessa si affermava: «La que- stione degli archivi (ormai adoperiamo questa parola per dire molto in poco) è tutta del nostro se- colo». Infatti nell’Ancien Régime «gli archivi de’ Governi, e molto più quelli delle Corti, erano inac- cessibili, agli altri si ricorreva per privati bisogni; e un ufficiale, esattore delle tasse, li custodiva». La

(2) Per la creazione del Notarile cfr. ANDSp, b. Verbali di immissione e passaggio di gestio- ne dei Capi dell’archivio a partire dall’anno 1883 (d’ora in poi citati come Verbali di immissio- ne e passaggio di gestione), fasc. Processo verbale d’inventario e consegna di mobili esistenti nel- l’archivio suddetto redatto il primo febbraio 1881; b. Verbali di ispezione dell’archivio e relazioni sulle gestioni finanziarie del medesimo (atti anteriori all’anno 1945), 1894-1924 (d’ora in poi Verbali di ispezione e relazioni), fasc. Relazione storico-statistica sull’archivio, Avv. T. Navari- ni – Conservatore, 4 ottobre 1901, p. 1 (citata come Relazione storico-statistica, 1901). (3) La legge fu integrata dalla L. 6 aprile 1879, nr. 4817, con il conseguente Regolamento ese- cutivo del 23 novembre 1879 nr. 5170, furono poi riunite nel testo unico R.D. 25 maggio 1879, nr. 4900. Nel secolo seguente il testo di principale riferimento fu il R.D. 10 settembre 1914, nr. 1326. (4) L. nr. 2786 (serie 2ª) del 25 luglio 1875, art. 91; cfr. il cap. 4 per la recezione degli atti di no- tai defunti, cessati dall’attività o trasferiti in altro distretto. In loco tale ricevimento di atti, già pur temporaneamente depositati presso uno studio notarile, a seguito dei decreti del Presidente del Con- siglio notarile e del Presidente del Tribunale di Sarzana, era cominciato nel 1876. Solo dal febbraio 1881 furono depositati presso il Notarile Distrettuale, «ora che funziona», come scrive il notaio Pao- letti Pellegri, che diverrà il primo Conservatore: ANDSp, b. Verbali di deposito ed inventario atti notai cessati dall’esercizio, I, ( = Verbali deposito ed inventario), Verbale di consegna, 6 luglio 1876; Verbale di consegna,14 febbraio 1881. (5) La Commissione, istituita il 15 marzo 1870, svolse con celerità i lavori, articolati sulla ri- sposta a precisi quesiti ministeriali. Il testo della relazione è disponibile in formato digitale all’indi- rizzo http://archivi.beniculturali.it/ Biblioteca/Studi/cibrario.pdf. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 178

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Rivoluzione francese li aveva aper- ti, ma ne aveva disperso i materiali: «di rinchiuderli aveva ormai bisogno la politica, mentre alla scien- za premeva di entrarvi». I comples- si notarili dal XII al XVI secolo ve- nivano pertanto definiti «una fonte novissima di cognizioni storiche… in alcuni luoghi i più antichi docu- menti superstiti», perciò la Com- missione faceva voto che fossero resi praticabili agli studiosi. Quella fervida atmosfera postuni- taria di attenzione e salvaguardia della documentazione tout court, anche attraverso il rispetto dei fon- di e il metodo storico di ordinamento (6), era rappresentata in Lunigiana da un gruppo di competenti studio- si, fra i quali il sarzanese Achille Neri (1842-1925), che dal 1889 al 1892 fu Fig. 1 – Sarzana, edificio già sede dell’Archivio Notarile anche direttore della Biblioteca Uni- distrettuale. versitaria di Genova, e soprattutto il conte Giovanni Sforza (1845-1922), nativo di Montignoso. Quest’ultimo, funzionario presso quell’Archivio di Stato di Lucca che proprio in quegli anni partecipava attivamente non soltanto alla discussione metodologica sul processo organizzativo archivistico toscano, ma an- che alla valorizzazione della funzione culturale degli archivi nella (e per) la ricerca storica (7), so- steneva la creazione di un Archivio di Stato a Massa, che verrà istituito, dopo diverse vicende, solo nel 1887: Sforza ne sarà il primo direttore (8).

(6) Si rimanda ai diversi contributi con relativa bibliografia in Salvatore Bongi nella cultura del- l’Ottocento. Archivistica, storiografia, bibliologia, Atti del convegno nazionale (Lucca, 31 gennaio- 4 febbraio 2000), a cura di G. TORI, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 76, Roma 2003, tt. 2. (7) Per una generale panoramica di analisi del gruppo degli archivisti toscani cfr. S. VITALI, L’ar- chivista e l’architetto: Bonaini, Guasti, Bongi e il problema dell’ordinamento degli Archivi di Stato toscani, ibidem, pp. 521-564 con precedente bibliografia; F. KLEIN, F. MARTELLI, Lo «stato mag- giore» del Regio Archivio di Firenze: i collaboratori di Bonaini e Guasti tra professione e mili- tanza culturale, in Archivi e storia nell’Europa del XIX secolo. Alle radici dell’identità culturale europea, Atti del convegno internazionale di studi nei 150 anni dall’istituzione dell’Archivio Cen- trale, poi Archivio di Stato, di Firenze (Firenze, 4-7 dicembre 2002), a cura di I. COTTA, R. MANNO TOLU, Roma 2006, pp. 371-397; vd. anche Carteggi di Cesare Guasti, IX. Carteggi con gli archivisti luc- chesi. Lettere scelte, a cura di F. DE FEO, Firenze 1984, specie pp. 479-553. (8) Proprio nel 1874 Sforza aveva prodotto una relazione per il Ministero dell’Interno con censimento delle fonti archivistiche del territorio di Massa e di Carrara, su cui O. RAFFO, Giovanni Sforza fondatore e ordinatore dell’Archivio di Stato di Massa (1887-1903), in Salvatore Bongi cit., pp. 613-622, con rinvio a precedente bibliografia; vedi anche G. PAPPAIANNI, Massa e il suo Ar- chivio di Stato, Genova 1937. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 179

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Fig. 2 – Sarzana, l’edificio nel 1926, durante la processione per la festa del Preziosissimo Sangue (da Società, economia, avvenimenti, personaggi di Sarzana, a cura di A. LAMIONI, P. SALVIATI).

Non sembra un caso che l’appartamento affittato dall’archivio sarzanese, di ben quattordici stan- ze, con due terrazzi e due logge, sito al piano nobile di un edificio abbastanza prestigioso allora di re- cente costruzione, fosse di proprietà di un ramo della famiglia Neri (9). Aveva, con ingresso al nr. 18 (10), il fronte sulla via San Giorgio, strada che da piazza Luni giunge a quella di San Giorgio, già piazza del mercato, su cui l’edificio affacciava con un prospetto laterale (figg. 1-2) in cui si apriva un balcone (11). Sul fianco sinistro un vicolo divideva il palazzo da una vicina costruzione, nell’area che precedentemente era stata la piazzetta dei Macelli. All’epoca era ancora percepibile sul retro il fossato delle mura, coltivato ad orti (12), dopo la distruzione del circuito murario e della fortifica- zione detta «lo Spuntone», che proteggeva la porta a mare, chiamata anche della Dogana (13).

(9) ANDSp, Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, pp. 1-2 e passim. Nello specifico lo stabile apparteneva a Lorenzo e Luigi Neri, poi solo a quest’ultimo, che partecipò attivamente anche alle celebrazioni del centenario dantesco del 1906. Una clausola del contratto prevedeva la risoluzione della locazione qualora l’archivio fosse stato soppresso. Dopo il trasferimento di tutti gli uffici nel 1945, l’edificio fu posto in vendita. (10) O nr. 27. Come si può infatti rilevare dai numerosi verbali di versamento degli atti, il nu- mero civico cambiò più volte. La strada fu anche per un certo periodo, dal gennaio 1940 al 1943, ri- nominata via Regina Elena, numero civico dell’edificio 13 (vd. bb. Verbali deposito e inventario, voll. I e II, che vanno dal 6 luglio 1876 al 5 luglio 1941). Dal dopoguerra è via Gramsci nr. 5. (11) Dal confronto con vecchie fotografie o cartoline pubblicate in Società, economia, avve- nimenti, personaggi di Sarzana, a cura di A. LAMIONI, P. SALVIATI, Sarzana 1997, specie pp. 124, 127, 244, 268, si può rilevare che l’edificio ha subito all’esterno pochi cambiamenti. (12) Cfr. la descrizione in ANDSp, b. Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Ispezione genera- le dell’Archivio Notarile Distrettuale di Sarzana, 29 marzo 1894, p. 12, condotta dal Procuratore del Re, Francesco Tamburi, con l’assistenza del Conservatore cav. Pier Niccolò Zoppi. La visita era in adempienza alla C.M. del 20 febbraio 1894, nr. 1312. (13) Per le trasformazioni fra XVIII e XIX secolo, a seguito dell’abbattimento delle mura, cfr. R. GHELFI, Matteo Vinzoni e Sarzana cit., pp. 27-68. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 180

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Come apprendiamo dalla visita ispettiva condotta nel 1894, che fu la prima, lo stabile era con- diviso anche dall’Ufficio del Registro, da quello delle Ipoteche, dall’Agenzia delle Imposte e da un quartiere privato, tutti siti al secondo piano. L’ampio sottotetto sarebbe stato in seguito utilizzato per deposito di materiali cartacei, mentre il piano terra ospitava l’Ufficio del Dazio e quattro esercizi commerciali, fra cui il noto Caffè Commercio, poi Tronfi, che avrà un ruolo nelle vicende del perio- do bellico. Le stanze, undici definite spaziose e due molto ampie, apparvero all’ispettore idonee ad acco- gliere una documentazione che si riteneva sarebbe stata depositata più copiosamente in futuro, spe- cie dopo che si fosse superata la perdurante confusione organizzativa, aggravata dalla mancanza di strumenti di corredo e dall’esiguità del personale (14). Gli atti originali notarili versati dai municipi erano, infatti, ancora in numero limitato, spesso mescolati con «atti civili». Poca attenzione è mani- festata in questa prima relazione di sintesi ai notai antichi, che non vengono menzionati; non è dato perciò sapere, in mancanza di un coevo idoneo strumento di corredo a carattere inventariale, se i protocolli due-trecenteschi fossero già ospitati nella nuova sede archivistica. La relazione che ci fornisce maggiori informazioni sulla documentazione notarile storica è quel- la del Conservatore dell’archivio, condotta nel 1901 sullo schema di un questionario allegato alla cir- colare emanata alcuni mesi primi dal Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione generale dei culti e del notariato, ed indirizzata ai procuratori generali di Corte di Appello per la loro competente di- strettuazione. Le singole inchieste sui notarili italiani dovevano confluire in una «succinta relazio- ne a stampa» per il Congresso di Scienze Storiche previsto nel 1902 (15). Nonostante la recente istituzione, erano ivi conservati 790 notai antichi - cui erano da aggiungersi alcuni ignoti -, che avevano rogato a partire dalla fine del XIII secolo alla metà dell’Ottocento (16). Nel 1915 i notai di cui si conservavano gli atti erano aumentati a 810 ed erano distribuiti in dieci sale (17), ammobiliate con scaffali (fig. 3), per lo più chiusi, che rivestivano le intere pareti, altri, più bassi, erano posti anche al centro delle stanze (18).

(14) Per suggerire un confronto, le stanze della prima sede dell’Archivio di Stato di Massa pres- so il Palazzo Ducale erano originariamente cinque, anche se il numero di locali si accrebbe negli anni seguenti. (15) ANDSp, Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, con al- legata la pertinente circolare ministeriale. Firmata dal Conservatore dell’archivio avv. T. Navarini, fu redatta in buona parte da Leopoldo Paoletti, segretario del Consiglio notarile, ed indirizzata al Presidente del Consiglio medesimo. (16) Ibidem,Capo IV, pp. 23-29. I notai roganti anteriormente al 1830 erano 716. L’autorizza- zione ministeriale alla conservazione degli atti anteriori al 1 gennaio 1830 era pervenuta al Presi- dente del Consiglio notarile dal Procuratore del Re in Sarzana: ibidem, b. Verbali di ispezione e ve- rifica relativi ai notai cessati, lettera in data 16 luglio 1887. Dai suddetti verbali si rileva che alcuni notai, ad esempio Giambattista Carletti di Follo, rogante fra il 1820 ed il 1876, avevano prodotto fino ad una sessantina di registri o minutarî, altri erano depositari di filze di molti notai cessati, che ave- vano operato fra il XVI ed il XIX secolo. (17) ANDSp, fasc. Verbale di ispezione dell’Archivio da parte del cav. avv. comm. Luigi Ales- sandroni, 23 febbraio 1915, pp. 24, 26. (18) Ibidem, b. Verbali di immissione e passaggio di gestione, fasc. Raccolta di mandati di pagamento delle spese per acquisto di mobili dal 1883 al 1911, che contiene numerosi disegni in scala di «Pianta ed alzato di armadi da collocarsi isolati», alcuni dei quali datati dicembre 1882. Si tratta di mobili imponenti, con sportelli o a palchetti aperti, che in alcuni casi prevedevano nel corpo un’apertura, o anche due, per il passaggio del personale di ufficio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 181

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. Fig. 3 - Archivio Notarile Distrettuale di La Spezia, progetto di un armadio centrale.

Nel 1924 i notai erano saliti a 999 (19). Non avendo a disposizione sufficienti locali, non venne creata una specifica «sezione storica», ma la produzione documentale, distinta notaio per notaio e per anni di rogito, con numerazione progressiva delle singole unità in seriazione alfabetica, con in- dice onomastico, non quindi con metodo cronologico, venne sistemata, si trattasse di filze oppure di volumi o di contenitori, nei diversi ambienti, quindi negli scaffali e rispettivi palchetti (20), tutti nu- merati. Nel 1919 il Conservatore reggente Roberto Paoletti stimava in circa 11.200 le filze o volumi da riordinare, in una commistione di atti antichi con recenti, notarili con amministrativi e criminali,

(19) Ibidem, b. Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione dell’esercizio finanziario 1923-24, Parte I. (20) Ibidem, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, Capo II, p. 9: si parla di 56 grandi scaffa- li chiusi, o per meglio dire, armadi a sportelli. Dai minutissimi verbali d’inventario, particolarmen- te quello compilato su ordine ministeriale del 15 gennaio 1913, si apprende che le tre stanze più spa- ziose ne custodivano ben 17-18 ciascuna, da due a otto ante, chiudibili a chiave. Il totale degli scaffali era all’epoca salito a 65, parte erano stati ordinati appositamente, parte ceduti al momento dell’in- stallazione del Notarile, gratuitamente o per acquisto, dai tre Uffici del Registro, insieme al mate- riale versato cfr. ibidem, b. Verbali di immissione e passaggio di gestione, passim e fasc. s.n.; dai disegni progettuali ne possiamo ricavare anche le misure: alcuni erano alti da 2 a 3 mt. e larghi altrettanto, altri erano alti 2,85 e larghi 2,14 mt. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 182

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mancanti talvolta anche di etichette esterne. Il compito di riordinamento, iniziato, ma poi sospeso, non poteva essere affrontato dallo scarso personale interno (21). Questa situazione poco organizzata, se non disordinata, protrattasi negli anni, venne rilevata criticamente da tutti gli ispettori, fino al 1924, ultimo termine cronologico per la suddetta docu- mentazione pervenutaci. Nelle relazioni degli anni venti sono un tema ricorrente le lamentele dei Conservatori per lo scarso personale, già inadeguato rispetto alla mole di lavoro corrente, e per la conseguente grande difficoltà di procedere al riordinamento e alla sistemazione di materiali in pre- carie condizioni conservative. Il disordine era stato ereditato, per buona parte, tramite gli stessi ver- samenti, sia quelli effettuati da uffici notarili, sia da quelli comunali o del Registro, come si poteva desumere dai verbali di ritiro e inventario, tre dei quali, quasi un campione, vengono appositamen- te citati in una relazione (22). I notai erano comunque rintracciabili attraverso un indice generale, in un solo volume, aggiornato via via con i nuovi depositi. Venne rifatto nel 1917, per adeguarlo ai mo- delli ministeriali (23). Le carte antiche godevano anche di indici speciali degli atti relativi a 41 no- tai, quelle moderne per 39 (24). Gli atti erano conservati raccolti in filze oppure in libri o registri, composti di quinterni fasci- colati rilegati (25). Quest’ultimo sistema di rilegatura era riscontrabile, secondo il compilatore del 1901, nelle scritture dei notai del secolo XIII ed in parte del XIV, quello delle filze, invece, riguarda- va la documentazione dal secolo XIV al 1805. Erano conservati racchiusi in cassette di custodia quel- li dal 1805 al 1815, da quest’ultimo anno in poi era invalso l’uso della rilegatura in volumi. Come circoscrizione il Notarile comprendeva fin dall’origine trenta piazze della Provincia di Ge- nova, sulle quali insisteva la giurisdizione del Tribunale penale e civile di Sarzana. Gli atti erano pervenuti tramite a) i tre Uffici del Registro del distretto (26) b) i comuni di Arcola e Bolano (27) c) notai che avevano cessato dall’esercizio o che erano depositari di notai defunti (28).

(21) Ibidem, b. Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione sull’esercizio finanziario 1918-19, parte I. (22) Ibidem, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, Capo IV, pp. 29-35, in cui si insiste anche sul pessimo stato di conservazione di alcuni protocolli, il Conservatore, anzi, rifiuta addirittura di assumersi alcuna responsabilità sulla numerazione delle filze e sull’eventuale assenza di minute. (23) Ibidem, fasc. Verbale di ispezione dell’Archivio da parte dell’Ispettore Superiore del Mi- nistero di Grazia e Giustizia comm. avv. Agide Sindici, 14 marzo 1919, p. 13. (24) Ibidem, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, Capo IX, p. 63. (25) Ibidem, Capo IV, p. 25; la descrizione del materiale antico prosegue (si riportano soltanto le frasi più importanti): «… i fogli sono tenuti legati fra loro per mezzo di cordicelle di cuoio che poi servono anche a tenere unito il libro o registro, venendo raccomandate alla pergamena entro la qua- le si contengono i quinterni… Questa pergamena … ha due alette ripiegate ai lati… e sopra una di esse è apposto il nome del notaro e l’anno o gli anni al quale o ai quali si riferiscono i documenti…». (26) In specie i tre Uffici del Registro di Sarzana con dieci piazze notarili, di Spezia con dodi- ci, e di Levanto con otto. Ibidem, Capo IV, pp. 24-25: il Paoletti calcola in 186 unità quelli versati dal- l’ufficio di Sarzana, 211 quelli da Spezia e 212 quelli da Levanto. (27) Ibidem, pp. 33-34. Il materiale versato da Arcola nel giugno 1887 constava di 42 filze e 23 notulari, «apparentemente appartenenti» ai notai Fiamberti, Zacchia, Beretta, Laurentini e Notai ignoti; quello versato da Bolano, nell’agosto dello stesso anno, era antico ed in disordine, si com- poneva di 103 filze e notularî in numero non identificabile. (28) I verbali di inventario conservati, con poche lacune, sono redatti consecutivamente fino al 17 settembre 1948, contengono un dettagliato elenco dei volumi di atti e, in alcuni casi, anche del- le filze di notai storici rimasti in deposito presso il notaio cessato oggetto del verbale: ibidem, b. Verbali di ispezione e verifica relativi ai notai cessati anteriormente al 1945. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 183

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La scelta del «documento- monumento» Fra gli atti più antichi sono sempre citati nelle relazioni quelli del notaio «Parente Giovanni di Stupio», con gli estremi cronologici di produzione del 1293-1330. Questa indicazione onomastica, ve- rificabile anche sulla coperta dell’unico registro superstite, peraltro pertinente al padre Parente (29), dà alcune preziose indicazioni. Innanzitutto che l’antroponimo e patronimico del notaio rogatore de- gli atti del 1306 non erano correttamente riferiti negli indici dell’archivio (30) e poi che si era verifi- cata una commistione fra i suoi registri e quelli del padre. Si ha la prova, inoltre, che fossero pre- senti diversi cartulari notarili di Giovanni, tanto a causa della numerazione (scil. nr. 1) presente nella targhetta esterna, quanto per gli estremi cronologici indicati, che, come già detto in precedenza, con- fermano quanto scritto a suo tempo da Giovanni Sforza (31). Fra gli ultimi mesi del 1904 e l’inizio del 1905 fu- rono estratti dal cartulario i bifogli del trattato di pace del 1306 e atti connessi per esser definitivamente si- stemati con l’inserimento di ciascuno fra due vetri con incorniciature lignee (32), a loro volta custodite in te- che di cartone individuali, dopo il restauro conclusosi nel gennaio del 1905, così che da quel momento ven- nero chiamati - oltre che ta- bulae - «cimeli danteschi» (fig. 4). Già prima si era pen- Fig. 4 - Archivio di Stato della Spezia, le teche che contenevano i sato alla costruzione di un ‘documenti danteschi’ incorniciati.

(29) Per il protocollo di imbreviature di Parente, non consultabile dal 2003 per motivi di re- stauro, vd. nota 66 del precedente saggio. Nelle ispezioni è indicato sempre come il registro più antico dell’archivio. (30) In P. CHERUBINI, Il registro di imbreviature di Parente di Stupio da Sarzana cit., pp. 55- 59, si consideri a p. 59 la foto della coperta membranacea del protocollo, sulla quale compiono due diverse cartellinature. La più antica riporta «Actaque Parentis olim Stupii / 1293 e.t. 1294», la moderna «Parente Giovanni quondam Stupio, nr. 1 / dal 129[...] marzo al 1294.14.dicembre / (con in- terruzione di alcuni mesi)», Giovanni appare successivamente cassato. Questa confusione fra pa- dre e figlio si ripresenta ancora nel 1956, nell’atto notarile di consegna per motivi di studio (conse- gna durata fino al 1959) delle tavole dantesche e di un cartulario all’Istituto di Storia dell’Università di Genova, tramite i competenti Archivi di Stato, su cui cfr. il saggio di Antonino Faro quivi. (31) G. SFORZA, Dante e la Lunigiana cit., I, cap. III, nota 5 p. 320, con gli estremi cronologici di otto cartulari, per i quali cfr. nota 100 del precedente contributo. (32) ANDSp, b. Verbali di immissione e passaggio di gestione dei Capi dell’archivio, fasc. Raccolta di mandati di pagamento delle spese per acquisto di mobili dal 1883 al 1911, 20 gennaio 1905, mandato di pagamento di lire 100 con quietanza da parte della Ditta Cesare Tartagli e Figlio, con sedi in via Cavour e via Alfani in Firenze, relativa all’applicazione di una reticella serica per re- stauro degli atti danteschi, di due spazzole per la pulitura dei medesimi e per il rimborso delle spe- se di soggiorno del 18 e 19 gennaio. La fattura fu pagata dal Notarile. Il restauro risulta autorizzato Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 184

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Fig. 5 a e b - Archivio Notarile Distrettuale di La Spezia, progetto per il corpo superiore e la base del mobile in cui conservare le tabulae.

apposito armadietto ad ante, da chiudersi a chiave, per conservarli adeguatamente (33). Nel 1906 venne costruito anche un basamento, in stile, su cui appoggiare l’armadietto (figg. 5a - 5b), il tutto era sistemato nel gabinetto del Conservatore (34). Lì doveva trovarsi anche un quadro con apposita

dal Ministero già dal 24 aprile 1904. Si rimanda al saggio di A. Faro per la relativa documentazione conservata presso l’Archivio di Stato della Spezia. (33) Ibidem, Perizia per la costruzione di un armadio e sette cornici occorrenti all’Archivio Notarile di Sarzana, 13 dicembre 1903, firmata dal mastro falegname Pellegro Marchi. L’armadietto, a due ante, in legno di cipresso verniciato, doveva esser alto 1,15 mt., largo 0,75 e profondo 0,38; il costo previsto, comprensivo dei serramenti, era di 50 lire. Le sette cornici, dello stesso legno, co- stituite da «due telai sovrapposti» di mt. 0,40 x 0,30, ciascuna includente un vetro per mantenere la visibilità di consultazione di ambo le facce, dovevano esser appese per un occhiello, quattro alle pareti, tre al fondo del mobile. La spesa prevista per quest’ultime era di 35 lire. Venne dato corso al mandato di pagamento il 13 giugno 1904. (34) Dei due progetti presentati dal falegname fu scelto il secondo, il più costoso: ibidem, pe- rizia di Pellegro Marchi del 9 agosto 1906 e mandati di pagamento di 28 e 27 lire allo stesso mastro falegname nelle date del 26 novembre 1906 e del 13 gennaio 1907. Il totale della spesa di sistema- zione degli atti danteschi, comprensiva di restauro e contenitori, fu di 239,70 lire, autorizzata, come da nota della R. Procura del 24 aprile 1904, dal Ministero di Grazia e Giustizia, che intendeva con- correre con 100 lire: ibidem, lettera del 26 aprile 1904 del Collegio Notarile al Conservatore del- l’Archivio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 185

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dedica a Dante Alighieri. Si è con- servata presso l’odierno Archivio No- tarile spezzino la parte superiore del mobile, che ha avuto alcune modi- fiche, e il quadro con cornice lignea analoga alle tabulae, con testo com- memorativo per le celebrazioni del 1906 (35) (fig. 6). I cartulari di Giovanni di Parente, avendo offerto agli storici materiali utili, oltre che per la pace del 1306 e gli avvenimenti dell’elezione del ve- scovo successivo Gherardino Ma- laspina, per la ricostruzione degli ascendenti dei Bonaparte e per il vo- lume dello Sforza sul papa sarzane- se Niccolò V Parentucelli (36), ri- masero per gli archivisti del Notarile un paradigma da cui estrarre cita- zioni di contratti relativi a quegli au- tori giuridici o destinatari le cui fa- miglie erano poi entrate nella storia, non solo municipale. La raccolta di notai anteriori al XVI secolo era, tut- tavia, molto ridotta rispetto a quan- to era stato rogato nella sola Sarza- na e a ciò che si conservava ancora nel secolo precedente, infatti sono citati come versati all’archivio solo cinque notai del pieno secolo XIV, ol- Fig. 6 - Archivio Notarile Distrettuale di La Spezia, il mobi- tre al nostro «Parente Giovanni q. letto allo stato attuale. Stupii» (37).

(35) È ancora conservato. Il testo: « A / Dante Alighieri / che dannato al bando della patria ama- ta / le cittadine discordie esecrando / ramingo per le terre d’Italia / anche su queste di Luni / orme in- delebili impresse / l’Archivio Notarile / nella ricorrenza sei volte secolare / che l’ebbe Sarzana entro le sue mura / ospite invidiato / fra dissidenti per signoresche contese / mediatore felice di pace / qui dove con religiosa custodia / se ne conserva il mandato e l’originario istrumento / Q. M. P. / VI ot- tobre MCMVI.» (36) Cfr. G. SFORZA, La patria, la famiglia e la giovinezza di Niccolò V cit, passim. (37) ANDSp, Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, Capo IV, p. 27: «… Tommasini q. Bonaccorsi (1324-1333); Lorenzi (1329, 1 agosto-19 ottobre); Putti Gio- vanni q. Lucchini (1359-1379)». A questi si deve aggiungere, sempre per la piazza di Sarzana: Fran- chini Vandi (1364-1389); Griffi Giacobbino (1370-1411); Griffi Andrea (1398-1443); Griffi Giovanni (1404-1411); Griffi Gio. Frediano (1493-1529), citati in un elenco in cui sono compresi 141 notai posteriori (ibidem, pp. 37-47). Si fa riferimento anche al notaio Giovanni Luca Macchiavelli, che rogò in luogo lontano dalla circoscrizione dell’archivio distrettuale, nella fattispecie in Corsica. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 186

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«Ne pereant codicum fragmenta» La presenza di materiale inedito di spessore, utile per la storia amministrativa e sociale luni- gianese, e la sua possibile integrazione a fini di ricerca anche con quello dell’Archivio Storico Co- munale sarzanese, se non fece del Notarile una vera e propria istituzione culturale, promosse co- munque importanti ricerche sfociate in pubblicazioni. Fra queste è da annove- rare primariamente quella re- lativa al rinvenimento di un bifoglio e un foglio membra- nacei (fig. 7) formanti la co- perta di un registro notarile del secolo XVI (38), appartenuti ad un codice smembrato del- la Commedia (39). Hanno at- tualmente ancora la camicia cartacea del Notarile sarza- nese, recante la dicitura «Fram- mento / di un codice della di- vina commedia [sic] / del secolo XIV (forse [cassato] prima metà)», nella quale sono con- tenuti anche due documenti relativi alle visite più impor- tanti alla documentazione stes- sa. Oltre quello steso per la ci- tata esposizione del 1906 offerta agli studiosi che presero par- te alle attività celebrative, un primo verbale era stato redat- to per la visita, avvenuta il 16 giugno 1890, dell’«illustre scien- Fig. 7- Archivio Notarile Distrettuale di La Spezia, frammento mem- ziato e poeta professore Gio- branaceo della Commedia, utilizzato per la copertura di un proto- suè Carducci», accompagna- collo notarile cinquecentesco, particolare (da Frammento di un co- to dall’avv. Paolo Accorsi, dice della Divina Commedia .... pubblicato per Roberto Paoletti, assessore del Comune sarza- Sarzana 1890).

(38) Attualmente conservati in ANDSp, inv. nr. 343, ctg. nr. 173. Pubblicati, con sei adeguati fac- simili e con il verbale della visita di Carducci, di cui infra, da R. PAOLETTI (a cura di), Frammento di un codice della Divina Commedia scritto sulla fine della prima metà del secolo XIV che si con- serva nell’Archivio Notarile di Sarzana, Sarzana 1890: dalla titolatura riportata dal Paoletti (che non corrisponde a quanto oggi è leggibile), si desume che erano stati impiegati per la copertura di un cartulario o di filze notarili: «Liber mei Thome instr(umentorum) signato B / 1549 usque ad 1555 / Fog. 96 / Thommaso de Thomeis de Nicola». (39) Furono accostati alla famiglia testuale dei Danti del Cento da U. MARCHESINI, Ancora dei Danti del Cento, in «Bullettino della Società Dantesca Italiana», IV (1890), pp.19-26. Sui frammen- ti anche G. VANDELLI, Frammenti sarzanesi di un antico codice della Divina Commedia, in Dan- te e la Lunigiana, pp. 493-503, che giudica il codice perduto di area toscano-fiorentina, ritenendo- lo opera dello stesso copista dei Laurenziani Strozziani 150-153. Furono accolti da G. PETROCCHI (a Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 187

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nese ed accolto dal Conservatore dell’archivio, cav. P. Niccolò Zoppi e dall’archivista Paoletti. Il Car- ducci giudicò i frammenti assai pregevoli, suggerì una datazione verso la fine della metà del secolo XV e raccomandò di mandarne copia alla Società Dantesca in Firenze (40). L’identificazione dei frammenti era stata opera nel 1884 di Achille Neri (41) che, nel corso delle sue ricerche storico- letterarie, si era imbattuto in un protocollo del notaio Thomeus de Thomeis, che operò in Nicola dal 9 gennaio 1542 al 4 aprile 1584 (42). Nei primi mesi del 1890 lo studioso premé, senza esito positivo, perché le recuperate pergamene fossero affidate alla Biblioteca Universitaria di Genova, per fini di maggiore tutela, o forse di studio personale (43).

cura di), Introduzione, in DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata, Milano 1966, ried. Firenze 19942, in part. pp. 289-317, nell’ambito della tradizione del poema della cosiddetta ‘an- tica vulgata’, cioè dei manoscritti prodotti entro il 1355, anno in cui ebbe inizio l’attività di copista di Giovanni Boccaccio, distinti quindi da quelli copiati dopo tale data: lo studioso ne confermò l’ap- partenenza ai Danti del Cento, soprattutto su base testuale. Il legame con tale ripartizione di testi- moni, da porsi entro la metà del XIV secolo, è confermata da M. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia tre- centesca della Commedia, Entro e oltre l’antica vulgata, Scritture e libri del medioevo, 2 (Manoscritti danteschi e di interesse dantesco, 2), Roma 2004, specie pp. 18, 77, che utilizza la definizione di ba- starda per la scrittura dei frammenti, di base cancelleresca, ma adattata all’uso librario. Sono at- tualmente in studio da parte del prof. Wayne Storey. Un altro frammento di codice dantesco utiliz- zato per rilegare un libro, databile al secolo XIV ex.- XV in., è conservato nel Museo della Stampa ‘Jacopo da Fivizzano’, cfr. Il Padre Nostro di Dante, Purgatorio, canto XI, Celebrazioni Dante- sche 1306-2006, Museo della Stampa ‘Jacopo da Fivizzano’, Firenze 2006; cfr. poi E. BERTIN, Un al- tro frammento della Commedia in Lunigiana, in «La bibliofilia», CX (2008), fasc. 2, pp. 181-186 con analisi codicologica. Per una prima schedatura dei codici e frammenti della Commedia in Li- guria cfr. i diversi contributi di L. VALLE in Dante e La Liguria, Milano 1925, pp. 251-252; 253-260; 261-267 e D. PUNCUH, Frammenti di codici danteschi in Liguria, in Miscellanea storica ligure, II, Milano 1961, pp. 113-121. Per una catalogazione di frammenti di codici reimpiegati in legature, promossa dall’Archivio di Stato di Massa: «Codicum Fragmenta», Sul ritrovamento di antiche per- gamene negli Archivi di Stato di Massa e Pontremoli (secoli XII-XIV), a cura di P. RADICCHI, I. ZOLEZI, Catalogo della mostra (Pontremoli, novembre-dicembre 1999), Pisa 1999. Per le problema- tiche sul recupero testuale e la catalogazione di frammenti danteschi vd. M. RODDEWIG, Dante Ali- ghieri. Die Göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia-Handschriften, Stuttgart 1984 e le osservazioni sull’importanza di una più accurata conoscenza in G. POMARO, Fram- menti danteschi: funzionalità e limiti di un recupero, in «Fragmenta ne pereant», Recupero e stu- dio dei frammenti di manoscritti medievali e rinascimentali riutilizzati in legature, a cura di M. PERANI, C. RUINI, Ravenna 2002, pp. 197-212. (40) Per la visita degli studiosi e personalità nel 1906 si rimanda al precedente saggio. Carduc- ci, che visse quella primavera a Spezia insieme con Annie Vivanti, era stato proprio l’anno prima fra i membri fondatori della Società Dante Alighieri, eretta in ente morale con R. D. del 18 luglio 1893, nr. 347 e nel 1888 della Società Dantesca Italiana. Una minuta del medesimo verbale è conservata nell’Archivio Storico del Comune di Sarzana (= ASCS). (41) ANDSp, fasc. Relazione storico-statistica, 1901, Capo XI, p. 67 e prefazione di R. PAOLET- TI, op. cit., p. 3. (42) Ibidem, p. 5: i protocolli, un altro dei quali poteva aver avuto un’analoga coperta mem- branacea, ma ne era ormai privo, erano stati versati nel 1881 dall’Ufficio di Registro, già di Insi- nuazione, cui erano forse pervenuti ai primi del XIX secolo dall’Archivio Comunale di Sarzana. (43) ASCS, lettera del Conservatore Zoppi al sindaco di Sarzana, 20 febbraio 1890, nella quale si lamenta che vengano fatte pratiche presso il Ministero di Grazia e Giustizia « perché siano aspor- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 188

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Nel 1919 il valore storico delle «vecchie pergamene che servono di difesa agli atti» era ormai indubbio per il personale dell’archivio sarzanese e si stava procedendo, pur con la già accennata len- tezza di sistemazione del patrimonio documentale, alla sostituzione con cartoni muniti di etichet- ta (44).

Archivi scomparsi, archivi dimenticati Nella primavera del 1945 tutto questo patrimonio documentario, che aveva offerto materiali pre- ziosi alla ricerca storica territoriale, era scomparso, con il mobilio che lo conteneva. Tuttavia, nei momenti più cruciali della guerra, nel luglio del 1943, probabilmente su suggeri- mento della R. Soprintendenza Archivistica per la Liguria, Apuania e Sardegna, il cui Soprintenden- te Felice Perroni si era personalmente occupato della salvaguardia dei pezzi archivistici (45), il po- destà di Sarzana ed il Conservatore del Notarile avevano richiesto al Ministero di Grazia e Giustizia di poter disporre il ricovero dei preziosi cimeli danteschi e degli atti notarili anteriori al 1400 nella canonica di Falcinello (46), dove dal 1941 era già stato raccolto il materiale membranaceo e di pre-

tate » dall’archivio le pergamene in questione e chiede un autorevole intervento nell’interesse an- che della città. La richiesta di revoca dell’eventuale provvedimento stesa dal Sindaco, del succes- sivo 21 febbraio, è conservata in minuta. Dopo una lettera interlocutoria del Ministero della Istru- zione Pubblica del 1 aprile 1890, in cui si afferma che il fine del trasferimento è quello di dare agli studiosi l’opportunità di studiare il registro e che si tratta «di cosa di non molta importanza», il Sindaco risponde il 24 aprile ricordando i motivi che legano la Lunigiana a Dante Alighieri e of- frendosi di fornire copia a studiosi non locali che volessero prender visione del documento. Il Pro- curatore del Re scrive quindi al Sindaco di Sarzana in data 7 agosto 1890, riferendo l’accoglimento della richiesta di revoca del cambiamento di sede della documentazione già stabilito dal Ministero. La visita di Giosuè Carducci non era stata, probabilmente, solo un’occasione celebrativa. Sono gra- ta al dott. Riccardo Barotti, archivista dell’ASCS, per la segnalazione di questo affaire. (44) ANDSp, Verbali di ispezione e relazioni, fasc. Relazione sull’esercizio finanziario 1918- 19, parte I. (45) Soprintendenza Archivistica per la Liguria, fasc. Comune di Sarzana, sottofasc. Cimeli danteschi. Istituzione in Sarzana di una Sottosezione di Archivio di Stato (= SALig., Cimeli dan- teschi), ove è contenuto il ritaglio relativo ad un articolo di Felice Perroni, pubblicato su «Il Lavo- ro Nuovo» del 29 settembre 1945, dal titolo «Come furono salvati i cimeli del distrutto archivio no- tarile di Sarzana», in cui il Soprintendente, quasi volesse offrire la propria versione dei fatti, affermava di aver indotto l’ispettore onorario Corrado Martinetti, su cui infra, a chiedere l’autorizzazione ministeriale per il trasferimento dei bifogli da Sarzana in luogo sicuro. Martinetti pubblicò a sua vol- ta un intervento su «Il Tirreno» del 23 luglio 1946, dal titolo «Orma di Dante non si cancella», sen- za però citare il Soprintendente. Perroni era anche direttore dell’Archivio di Stato e, nel dopoguer- ra, fu fra i promotori dell’ Istituto Storico della Resistenza in Liguria, costituitosi con atto notarile il 9 giugno 1950 per mantenere il ricordo del movimento di resistenza. Su questi aspetti cfr. E. ARIOTI, Origini del sistema archivistico degli Istituti della Resistenza, in «Storia e Memoria», XI/1 (2002), pp.107-124. Devo alla cortesia della dott.ssa Arioti, all’epoca Soprintendente, e del prof. En- rico Basso la gentile collaborazione per la consultazione del fascicolo. (46) ASCSr, Carteggio, cart. nr. 542, anno 1943, fasc. Protezione antiaerea-Cimeli dell’Archi- vio notarile. Il Conservatore aveva scritto in data 3 luglio al Ministero di Grazia e Giustizia e per co- noscenza alla R. Prefettura della Spezia e R. Soprintendenza Archivistica di Genova. Analoga ri- chiesta era stata rivolta agli stessi enti l’11 luglio dal podestà dott. Tito Torchiana, notaio, che resse tale carica dal 22 gennaio 1940 al 24 ottobre 1943. Vi si affermava che nell’Archivio Notarile di Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 189

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gio dell’Archivio Storico Comunale e della Biblioteca sarzanese (47), per sottrarli « al pericolo di offese aeree», ricevendone una risposta positiva. Alla fine di luglio del 1943 si era proceduto al trasferimento, con relativo verbale di consegna (48), di otto pezzi, conservati nel citato armadietto, appositamente sigillato, nel quale, racchiusi nelle loro teche di cartone, erano custoditi le sette tabulae, (nrr. 1-4 dell’elenco), i frammenti di codice della Commedia (nr. 5), « un volume di atti del notaio Giovanni di Parente Stupio, scritti su carta bambagi- na, dal 9 marzo 1293 al 14 dicembre 1294» (nr. 6) ed i due citati verbali; inoltre furono consegnati la chiave dell’armadietto ed il quadro con dedica all’Alighieri. In seguito agli eventi dell’8 settembre, il Soprintendente, evidentemente preoccupato per l’e- voluzione delle operazioni belliche sul suolo italiano, aveva chiesto notizie al podestà sull’esito del- la pratica e questi aveva risposto il 19 ottobre che: « … i preziosi cimeli danteschi del locale Archivio Notarile, nonché gli atti anteriori al 1400, a seguito di autorizzazione avuta dal Ministero di Grazia e Giustizia, erano stati collocati in luogo sicuro, e precisamente nella casa parrocchiale di Falcinello, frazione di questo Comune», incaricando il parroco della custodia (49).

Sarzana erano conservati pezzi di pregio archivistico, cioè alcuni frammenti di un antico codice del- la Divina Commedia, giudicati dal Carducci notevoli, e gli atti del notaio sarzanese Giovanni di Pa- rente Stupio (sic), tra cui la procura ricevuta da Dante nel 1306 in piazza Calcandola ed il seguente trattato di pace. Ritenendo opportuno che «questi preziosi cimeli, nonché gli atti notarili di data an- teriore al 1400 siano sottratti al pericolo di offese aeree», si pregava di «voler disporre perché se ne ordini il deposito nella casa parrocchiale di Falcinello, frazione di questo comune che offre suf- ficienti garanzie di sicurezza e dove già é stato raccolto il materiale bibliografico di pregio e le per- gamene rare appartenenti all’archivio comunale e alla biblioteca di questa città, incaricando il par- roco cav. uff. Bianchinotti don Giovanni Battista della custodia ». (47) Parrocchia di Falcinello, Registro delle morti e battesimi, passim: nei promemoria, che venivano scritti da don Bianchinotti, nello spazio riservato alle correzioni a lato delle registrazio- ni, in una sorta di diario memorialistico degli avvenimenti, il 14 maggio 1941 si dice che «per di- sposizione del Ministero dell’Educazione e per ordine dell’Ill.mo Sig. Podestà di Sarzana Notaro Tor- chiana, sono state portate due casse contenenti codici - incunaboli - libri del Comune ecc…. ». (48) ANDSp, b. Verbali di immissione e passaggio di gestione, 22 luglio 1943, lettera del Con- servatore cav. dott. Luigi Vincenzetto a don Bianchinotti, invitato a venire a prelevare personalmente, con adeguato mezzo di trasporto, il seguente 27 luglio verso le 9 del mattino, per custodia tempo- ranea, «i documenti danteschi che sono in questo archivio, rinchiusi in un piccolo armadio», in se- guito definito un «mobilino di dimensioni piccole»; ibidem vd. il verbale della consegna del 27 lu- glio 1943 autorizzata dal Ministero. ASCSr, Carteggio, cart. nr. 542, anno 1943, fasc. Protezione antiaerea- Cimeli dell’Archivio notarile, copia dell’autorizzazione, concessa in data 9 luglio dalla Direzione degli Affari Civili e del Notariato, Ufficio III del Ministero di Grazia e Giustizia, al Con- servatore del Notarile della Spezia in Sarzana e da questi inviata al Comune il 13 luglio, perché si provvedesse celermente alla consegna al parroco in questione, con accluso l’elenco, in duplice co- pia, del materiale archivistico da ricoverarsi. Si consigliava che nel verbale venissero registrati an- che il numero degli atti e gli estremi cronologici del cartulario di Giovanni di Parente di Stupio (sic), indicato con il numero 6 della lista, e che gli altri pezzi non venissero tolti dagli armadietti o custo- die a vetro in cui erano conservati. Avrebbero dovuto, inoltre, passata la necessità, esser riconse- gnati dietro semplice richiesta. Lo stesso elenco è riportato su di un foglio a protocollo manoscrit- to, accluso ad una lettera diretta alla Soprintendenza da parte del Conservatore, conservata in SALig., Cimeli danteschi., 29 aprile 1946, prot. 164.46. (49) SALig., Cimeli danteschi,14 ottobre 1943, nr. prot. 33.43 e 19 ottobre 1943. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 190

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Rimane del tutto incomprensibile per quale motivo il podestà, che era per di più notaio, abbia dato informazioni generiche ed errate (o false) sul numero dei pezzi trasferiti, del tutto in contrasto con i verbali di consegna, ed anche come si sia potuto cancellare, anche in questo drammatico fran- gente, nella considerazione del significato archivistico e storico, il legame documentale fra le tabu- lae ed il cartulario da cui esse provenivano, in tal modo causando la perdita definitiva del registro no- tarile medesimo e degli altri protocolli di Giovanni di Parente. I materiali dell’Archivio Storico Comunale «sfollati» non subirono alcuna ingiuria. In una po- steriore lettera indirizzata alla Prefettura, il sindaco Luciani (50) dà l’elenco di 16 pezzi archivistici e manoscritti ricoverati a Falcinello, considerati di maggior interesse storico, in risposta alla circo- lare prefettizia del 18 agosto 1945 nr. 9486, con la quale si chiedeva lo stato del patrimonio storico- artistico dopo la fine della operazioni belliche (51). Vi si faceva anche presente, però, che erano «an- dati distrutti per incendio», a causa di azioni di rappresaglia il 23 ottobre 1944, diversi statuti comunali, compreso quello di Falcinello, manoscritti di opere storiche, fra cui quella di Domenico Maria Ber- nucci sull’origine sarzanese della stirpe di Napoleone Bonaparte, autografi e medaglie commemo- rative, atti della Società di Mutuo Soccorso, che erano conservati in un armadio di noce negli uffici comunali provvisori, decentrati in località Braida. Danni di maggior rilievo avevano interessato l’Ar- chivio Generale presso il Palazzo comunale, del quale, si affermava, erano andate distrutte metà del- le pratiche esistenti, dal 1810 al 1943. Dell’Archivio di Ragioneria, Bilanci e mandati erano consi- derati perduti i tre quarti, con stessi estremi cronologici, mentre dal reparto libri antichi, leggi, fascicoli dell’ex comune di Falcinello era scomparsa un’altra identica percentuale dei materiali databili fra il 1200 e il 1799. Il totale dei danni consisteva in 900 cartelle sfasciate, da cui poco si sarebbe potuto re- cuperare, dopo i necessari restauri ai locali danneggiati, e in 150 mt. di scaffalatura, divenuti del tutto inservibili. La causa dei danni veniva riferita alla distruzione derivante dai cannoneggiamenti che aveva- no infierito su Sarzana fra il 20 e il 23 aprile 1945, durante l’avanzata del fronte. Vi erano, però, forse anche altre ragioni. Don Bianchinotti, nelle note memoriali precedente- mente citate, ricorda che nel luglio 1944 un reparto di partigiani sarebbe sceso dai monti per procu- rarsi asini e muli; il 23 essi avrebbero «danneggiato alcuni uffici del Comune di Sarzana, distrug- gendo documenti», probabilmente per motivi di protesta simbolica contro la «proprietà padronale». Dopo il 25 aprile 1945, si procedette ad una generale controllo della situazione e dei danni su- biti dagli archivi anche per i pesanti bombardamenti degli Alleati e per le conseguenze dello sfolla- mento (52). In luglio, perciò, il Conservatore rispondeva alla R. Soprintendenza Archivistica, con una breve lettera stesa a mano su foglio quadrettato, con la quale dichiarava che durante le azioni di guer- ra dell’aprile «lo stabile ove aveva sede questo Archivio Notarile Distrettuale veniva colpito da nu- merosi proiettili di artiglieria, il cui scoppio provocava un incendio che distruggeva completamen- te i mobili, gli arredi e tutto il materiale archivistico». I «cimeli danteschi» riposti in Falcinello risultavano salvi; non si parlava più, ovviamente, dei protocolli notarili di età medievale, che pure avrebbero dovuto esser stati trasferiti (53).

(50) In carica dal 14 maggio 1945 al 7 aprile 1946. Il sito http://www.comune.sarzana.org/Cit- ta/Cultura/ Storia/Sindaci.htm offre la cronologia dei mandati dei locali sindaci. (51) ASSp, Prefettura, b. 1, cat. 2, fasc. 1.2.1, 6 settembre 1945. La lettera è firmata da un fun- zionario comunale. (52) Cfr. i resoconti sullo stato dei materiali documentali degli Archivi di Stato pubblicati in «Notizie degli Archivi di Stato», IV- VII (1947) e VIII (1948). (53) ASSp, Prefettura, b. 1, cat. 2, fasc. 1.2.1, 25 luglio 1945. La comunicazione dei danni sarebbe già stata fatta alla Prefettura di Spezia in data 17 maggio 1945, come si desume dalla scarna rispo- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:43 Pagina 191

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La causa addotta nella corrispondenza ufficiale per spiegare l’improvvisa distruzione di una tal mole documentale sarebbe stata la combustione provocata, durante l’ultima offensiva delle truppe angloamericane, dal lancio di proiettili di artiglieria, poi banalizzati in «bombardamento» o generi- che «azioni belliche», che avrebbero colpito il palazzo sede dell’archivio e degli altri uffici (54). Dubbi, però, dovevano gravare sul resoconto dello svolgimento della vicenda, come si può co- gliere anche da una concisa frasetta in calce alla risposta al Prefetto della Spezia, inerente l’indagine sullo stato del patrimonio archivistico nazionale, scritta dal dott. Ubaldo Formentini, direttore del Museo Archeologico Lunense e della Biblioteca della Spezia, nonché ispettore onorario dei RR. Monumenti e Scavi, il quale – dopo aver ricordato che l’archivio storico custodito presso la propria Biblioteca civica era «incolume» per esser stato messo in salvo dal 1941 in un rifugio antiaereo in Brugnato – così concludeva lapidariamente: «Al Sig. Corrado Martinetti, Ispettore dei Monumenti a Sarzana, potranno chiedersi notizie sull’Archivio Notarile di Sarzana, il quale contiene una sezione storica d’altissimo interesse, e che purtroppo mi risulta danneggiata, senza che io possa peraltro for- nire particolari sulla natura e sull’entità della perdita avvenuta» (55). Le parole con cui Corrado Martinetti (56) rispondeva alla stessa domanda della Prefettura, in una lettera a sua firma (57), sono del tutto identiche a quelle già usate dal Conservatore, così come la data errata (1942, invece che 1943) per il ricovero delle tabulae in Falcinello, ammissibile per l’ap- pena nominato sindaco di un’amministrazione politicamente nuova, un po’ meno per un funzionario comunale, che era anche un ispettore onorario e un diligente bibliotecario e che doveva, perciò, aver seguito l’intera faccenda con attenzione. Fra il marzo e l’aprile del 1946 il Soprintendente esprimeva da Genova al Ministero dell’Interno ancora perplessità su quanto pubblicamente riferito, prospettando l’opportunità di un sopralluogo, richiesto del resto insistentemente anche dal prof. Ubaldo Formentini, peraltro docente presso l’U- niversità genovese: lamentava che non si facesse alcun cenno alla sorte degli altri protocolli notari- li antichi, dei quali non si avevano notizie precise nella corrispondenza ricevuta dal sindaco sarza- nese (58), in particolare nella lettera con cui questi richiedeva il deposito per conservazione degli atti

sta, anche questa su foglio quadrettato, stesa in agosto dal Conservatore, all’indagine della mede- sima sullo stato della documentazione archivistica, conservata: ibidem, 23 agosto 1945, nr. prot. 61. (54) Ibidem, lettera del 2 ottobre 1945, nr. prot. 12052, copia manoscritta del 4 ottobre 1945, in- dirizzata al Ministero dell’Interno, in cui si dice: «L’archivio notarile di Sarzana per effetto di azioni belliche svoltesi nell’aprile scorso è andato completamente incendiato con la perdita di tutto il ma- teriale archivistico». (55) Ibidem, 18 agosto 1945. (56) Su Corrado Martinetti (1872-1953), cui è intitolata la locale biblioteca civica, della quale fu il primo reggente, vd. la commemorazione di U. Formentini, pubblicata in «Memorie dell’Accade- mia di Scienze, Lettere ed Arti ‘G. Capellini’», n.s. XXV (1953), pp. 5-10; si rimanda poi alla biblio- grafia in E. NARDI, La Biblioteca civica ‘Corrado Martinetti’ e il suo fondo antico, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, aa. 2000-2001. (57) ASSp, Prefettura, b. 1, cat. 2, fasc. 1.2.1, 13 settembre 1945, in risposta al foglio nr. 10134 Div. 1ª del 18 agosto 1945. (58) SALig., Cimeli danteschi, lettera dell’11 marzo 1946, ove riaffermava quanto già espres- so in altra comunicazione del 7 c.m. Anche dell’Archivio Notarile di Carrara, sottoposto alla sorve- glianza dello stesso Soprintendente, mancavano notizie precise; ibidem, lettera dell’8 aprile 1946 con la quale ribadiva la mancanza di risposte chiare da Sarzana e dallo stesso Ministero sulla que- stione dei notai antichi. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 192

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danteschi, essendo finiti i lavori di restauro al palazzo municipale ed essendo perciò consentito il riordino dell’archivio (59). Poco dopo ne riceveva breve nota di risposta: a seguito di indagine estesa a tutti gli archivi del paese, il Ministero di Grazia e Giustizia aveva confermato a quello dell’Interno che il Notarile sarza- nese era stato completamente distrutto da un incendio a seguito di bombardamento (60). Nel diario sotto forma di notazioni promemoria di don Bianchinotti, cui si è fatto cenno, si dice che la restituzione degli atti danteschi depositati presso di lui avvenne il «25 ottobre 1945 nel nuovo ufficio del Notarile in Sarzana, essendo andato distrutto con tutti gli atti il 23 aprile il palazzo del Registro e delle Ipoteche, per incendio provocato dal cannoneggiamento dell’ultimo giorno di guerra angloamericana-nazifascista» (61). Ed in effetti il verbale di riconsegna dei «cimeli danteschi» da parte del «molto Reverendo Cav. Uff. Dott. Giovambattista Bianchinotti » fu steso in quella esat- ta data da Salvatore Giuffrida, capo dell’Archivio Notarile di la Spezia in Sarzana, alla presenza del rappresentante del sindaco, Corrado Martinetti, nella nuova sede, in Piazza Matteotti nr. 2 (62). A distanza di anni la versione ufficiale sul «bombardamento» suscita, tuttavia, perplessità, ma riesce difficile trovare una risposta certa per l’impossibilità di reperire, dato il tempo trascorso, te- stimonianze dirette da parte del personale allora in servizio in archivio. Sembra, però, confermato che l’edificio in via San Giorgio, che aveva ospitato gli uffici fin dalla loro apertura, non abbia subi- to le devastazioni che ci si sarebbero aspettate a seguito di un incendio così violento da distruggere completamente quanto contenuto in un appartamento di 14 sale stipate di armadi lignei di grandi dimensioni e scrivanie, per di più al piano centrale del caseggiato. Da testimonianze recentemente raccolte emerge, inoltre, un resoconto differente dei fatti. Un po- meriggio, che potrebbe esser stato il 23 (63) o, secondo un’altra versione, subito dopo il 25 aprile, verso le 14, scoppiò un incendio nel sottotetto del palazzo sede dell’archivio, si suppose in seguito per l’innesco ritardato di uno o più spezzoni incendiari, danneggiando il solaio ed in piccola parte l’ultimo piano, in corrispondenza degli uffici del Registro e delle Imposte, soprattutto nel lato destro dell’edi- ficio (64). Intervennero alcune persone che si trovavano in quel momento presso la vicina sede del

(59) Ibidem, lettera del 6 marzo 1946, nr. prot. 1877, indirizzata dal sindaco al Ministero di Gra- zia e Giustizia e per conoscenza alla Soprintendenza. (60) Ibidem, lettera del 26 marzo 1946, prot. nr. 58558/8912. In una lettera del 29 aprile 1946 prot. nr. 164.46 lo stesso Conservatore sintetizzava la totale distruzione del complesso archivistico, allegando il già citato elenco dei materiali superstiti, che venivano insistentemente richiesti dal Co- mune sarzanese. Si apriva, così, la discussione fra Archivio di Stato, una sottosezione del quale sem- brava doversi fare in Sarzana, Amministrazione Comunale e Notarile per il loro versamento (ibi- dem, lettera del 5 novembre 1946). (61) Parrocchia di Falcinello, Registro delle morti e battesimi, alla data. (62) ANDSp, b. Verbali di ispezione e verifica ai notai cessati, Verbale di consegna di mate- riale storico, 25 ottobre 1945: i materiali nominati corrispondono a quelli consegnati due anni prima. Del protocollo di Parente si danno gli estremi cronologici di rogazione: 9 marzo 1293-14 dicembre 1294. (63) Il 23 aprile è la data ricordata, oltre che da don Bianchinotti, anche in una lettera conser- vata in ANDSp, b. Atti pubblici amministrativi in data 14 settembre e 5 ottobre 1956…, fasc. Ori- ginale atto compravendita archivio, in cui si afferma che per «l’avvenuta distruzione - per cause belliche – dell’Ufficio dei Registri Immobiliari i certificati ipotecari sono stati rilasciati in base alle iscrizioni e trascrizioni (anteriori al 23 aprile 1945) ricostituite ai sensi del D.L.L. 5 ottobre 1945 nr. 770… ». Una testimonianza diretta, per cui cfr. la seguente nota 65, afferma invece che l’incendio si verificò dopo la Liberazione. (64) Il primo piano dell’edificio, messo in vendita dai Neri già nel 1946, è oggi suddiviso fra di- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 193

APPENDICE 193

CLN (65), buttando giù la porta, chiusa, prima dell’Ufficio delle Imposte, che non mostrava comunque di avere subito danni, poi del Registro. Si avvertiva il crepitare e l’estendersi del fuoco nel sottotetto. Non si ritenne opportuno entrare negli uffici dell’Archivio, che non sembravano minacciati. A scopo precauzionale vennero buttati in strada moltissimi faldoni, tanto delle Imposte, quanto del Registro, per evitare l’estendersi di un incendio in un ambiente che appariva surriscaldato, in attesa dell’arrivo dei pompieri dalla Spezia, i quali lavorarono per due-tre ore, mentre era già stata transennata, precariamente, anche la corrispondente sede stradale a protezione del materiale ivi gia- cente che certo appariva scompaginato e, probabilmente, imbevuto di acqua. I danni gravi sarebbe- ro stati, quindi, limitati al solaio e alle coperture del piano superiore nel lato destro dell’edificio o for- se, per colatura d’acqua dai soffitti, in parte anche alla sezione sottostante del Notarile. Alcuni giorni prima una granata aveva trapassato la parete esterna del retrofacciata dello sta- bile, finendo senza esplodere sul bancone in metallo del Caffè Commercio, sito al pianterreno (66). Gli altri negozi limitrofi non avrebbero subito alcun danno, tanto che non fecero alcuna giornata di chiusura. La distruzione lamentata degli atti notarili, se questi erano ancora conservati nello stabile del- l’archivio nel 1945, a questo punto non sappiamo motivata da cosa o perché, non sembrerebbe inol- tre esser stata così totale come descritto. La collazione fra gli elenchi dei notai conservati nell’attuale sede della Spezia e il repertorio sarzanese delle ispezioni finali a notai cessati, comprendente 151 no- minativi con estremi cronologici 1884-1954, nonché con le copie repertoriali versate dall’Archivio Notarile Distrettuale di Massa il 27 settembre 1927, ha evidenziato la coincidenza di una ventina di nomi di notai operanti per lo più nel XX secolo, salvo pochi casi della fine del XIX (67). In mancanza di ulteriori informazioni (68), questa potrebbe apparire come una strana «selezio- ne naturale» dei documenti superstiti, che – lo ricordiamo – non erano custoditi secondo un ordi- namento cronologico, ma alfabetico.

versi proprietari privati, alcuni dei quali residenti dai primi anni cinquanta, che affermano di non aver notato danni alle strutture, in particolare alle travature lignee, se non nell’ultimo piano, in par- te ricostruito. Del resto nel primo dopoguerra aveva avuto colà sede la mostra espositiva del mo- bilificio Benna di Cantù. Sono debitrice per le informazioni al dott. Pino Meneghini di Sarzana, che mi ha introdotto a quei sarzanesi che potevano avere ancora memoria del periodo bellico, ed al sig. Pino Guelfi. (65) In particolare il sig. Werther Bianchini, che visse personalmente le vicende dei primi giorni dopo la Liberazione, in cui fu coinvolto il fabbricato, che qui vengono riassunte sulla base del- la sua testimonianza. (66) Forse danni, ma assai limitati, poteva aver patito in questa occasione anche lo stesso No- tarile: si potrebbe ipotizzare che la data del 15 aprile, riferita in una relazione di ispezione ministe- riale del novembre 1949, si riferisca a questo episodio (SALig., Cimeli danteschi). (67) ANDSp, b. Verbali di ispezione e verifica ai notai cessati anteriormente al 1945, fasc. Repertorio dei verbali di ispezione di atti notarili. I verbali di ispezione finale, in parte rilegati, in parte sciolti, sono preceduti da un indice a tabella contenente la data della verifica, i nomi degli ispettori, quello dei notai cessati, la piazza in cui questi esercitavano, la cartulazione dei verbali re- lativi. L’elenco, che comprende 151 notai, va dal 30 luglio 1884 al 25 settembre 1954. Rimase perciò in uso anche dopo la fine della guerra. Fra il 3 novembre del 1943 e il 27 marzo 1946 non fu fatta al- cuna ispezione e non venne depositato alcun originale notarile. (68) Per esempio su un eventuale spostamento non autorizzato dei materiali prima dell’aprile del 1945 in altra sede, andata effettivamente distrutta o per azioni belliche o per rappresaglie. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 194

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Il trasferimento del Notarile al sesto piano dell’ex Palazzo della G.I.L. della Spezia, divenuto Pa- lazzo Comunale, il 10 giugno 1946 (69), sembrò chiudere definitivamente la questione della conser- vazione dei «cimeli danteschi», almeno per Sarzana, che tuttavia continuò a richiedere la loro con- segna nei mesi seguenti, nonostante venisse anche ipotizzata la creazione di una Sottosezione sarzanese di Archivio di Stato, nella quale avrebbero dovuto confluire i pregiati materiali documentari (70). Fu il trasferimento del Notarile Distrettuale in un moderno appartamento di nuova costruzione nel centro della Spezia, acquistato a tal fine nel 1956 (71), che mise fine alle richieste sarzanesi, an- che per la volontà, mostratasi almeno fino a pochi anni fa, dei diversi dirigenti succedutisi nella con- duzione dell’archivio di non rinunciare alla custodia delle carte dantesche, su cui negli anni ’60, per il settimo anniversario della nascita dell’Alighieri, si era nuovamente accesa l’attenzione, anche ri- guardo ai loro caratteri estrinseci (72). La vicenda delle sette tabulae di Giovanni di Parente può oggi dirsi conclusa dopo il loro ver- samento all’Archivio di Stato della Spezia, avvenuto il 20 gennaio 2005, ed il seguente restauro con- servativo, del quale viene data in questo volume la relazione tecnica. Ad un restauro è stato sotto- posto anche il protocollo di Parente. Rimane una notazione un po’ amara: le giornate celebrative del 1906 crearono un consenso, lo- calistico e nazionale, sull’episodio in cui ebbe parte l’Alighieri, ma non furono sufficienti a salvare il protocollo di Giovanni di Parente e, soprattutto, la memoria storica sarzanese e di altri centri della bassa Val di Magra e della costa, che assommava a più di 11.000 pezzi archivistici.

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(69) Dal 1946 la documentazione notarile fu ristretta in due delle quattro stanze, di mt. 3 x 5, occupate dall’ente: ibidem, b. Atti pubblici amministrativi in data 14 settembre e 5 ottobre 1956…, fasc. Originale atto compravendita archivio, Locali dell’archivio, lettera del Conservatore dott. Antonio Aiello al Ministero di Grazia e Giustizia, Gestione Uffici Notarili, Ufficio III, del 18 luglio 1955 relativamente alla volontà di acquistare una sede più idonea. Nel verbale dell’ ispezione del 12- 24 gennaio 1955, condotta dal dott. Vincenzo Rocco, ispettore generale per la circoscrizione di Mi- lano, si sottolinea come manchi uno stato di consistenza del patrimonio documentario, come l’in- dice generale degli atti sia andato perduto insieme con lo stabile sarzanese distrutto nel bombardamento durante le operazioni belliche iniziate il 14 aprile 1945 nel territorio, che vi siano solo 13 schede no- tarili per i versamenti di atti di notai cessati, dal 27 marzo 1943 all’11 ottobre 1954. (70) SALig., Cimeli danteschi, lettera dell’avv. Aurelio Bocca del 21 ottobre 1946 di risposta ad una lettera del sindaco del 5 novembre 1946, con la quale egli richiedeva il versamento. Vi si fa ri- ferimento alla L. 22.12.1939, che stabilisce che la documentazione anteriore al 1 gennaio 1800 sia versata ai competenti Archivi e, quindi, alla sottosezione da istituirsi in Sarzana. (71) ANDSp, b. Atti pubblici amministrativi in data 14 settembre e 5 ottobre 1956…, fasc. Originale atto compravendita archivio, nota di trascrizione di atto di compravendita di un ap- partamento in costruzione di mq 402 sito all’angolo di via Piave con via Vittorio Veneto steso il 14 settembre 1956, approvato e reso esecutivo dal Ministero il 18 ottobre e registrato alla Corte dei Conti il 9 novembre 1956. (72) Sia con la pubblicazione di piccole monografie divulgative, come V. DA MILANO, Dante in Lunigiana cit., sia con la stampa del pregiato volume voluto da Ubaldo Fornelli, presidente della Camera di Commercio Industria Agricoltura della Spezia: Dante Alighieri paciere in Lunigiana, Documenti della pace tra i Vescovi di Luni e i Marchesi Malaspina, s.l. [1965], contenente foto a colori di grande formato delle tabulae, il testo del Codice Diplomatico del Maccioni e una tradu- zione in italiano. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 195

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METODOLOGIA PER IL RESTAURO CONSERVATIVO. IL CASO DELLA “PACE DI DANTE”

Principi generali

Per impedire la occasionale o voluta dispersione di documenti potenzialmente essenziali alla rielaborazione storica, la Legge 42/2004 ha sottoposto a tutela, in quanto beni culturali, tutti gli archivi e i singoli documenti prodotti dallo stato e dagli enti locali, le fotografie e i beni librari, nonché quelli privati fatti oggetto di atto di notifica. È solo lo sfruttamento dei giacimenti documentari ai fini di studio che attri- buisce alle carte d’archivio un interesse “culturale”, anche se tale status è poten- zialmente sempre presente fin dall’origine della sua produzione e, giuridicamen- te, sanzionato dalla legge di tutela. I lavori di conservazione, manutenzione e restauro in oggetto sono da consi- derarsi lavori pubblici di categoria opera specializzata OS2 e, pertanto, seguono la disciplina propria per i lavori pubblici riguardanti i beni mobili tutelati, di cui alle leggi e regolamenti di riferimento della cosiddetta Legge Merloni e successi- ve modifiche (1). Tutte le azioni attraverso la realizzazione delle quali si esplicita l’obbligo de- rivante dalla tutela, sono chiaramente definite da vari articoli del Codice: in par- ticolare l’art. 29 definisce: «La conservazione del patrimonio culturale è assi- curata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro», dando di seguito la definizione delle sot- tolineate attività, specificando inoltre che tali attività devono essere svolte da pro- fessionisti e da imprese in possesso di specifici requisiti. Le attività di valorizzazione, conservazione, fruizione, non sono quindi omissibili o derogabili a pena di provvedimenti o sanzioni (2).

(1) Tale legge ha subito alcune modifiche anche per il settore dei beni culturali con la Legge 166, in seguito con il Decreto Legislativo 30/2004, Modificazioni alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, ed in ultimo per effetto del Decreto Legislativo 12/04/2006 n.° 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione. Tali prin- cipi riguardano sia le fasi di preparazione dell’appalto (studio di fattibilità e programmazione dei la- vori) che le procedure di appalto e affido, le procedure di progettazione e qualificazione sia dei pro- gettisti che delle imprese di categoria OS2. Devono attenersi alle norme citate le Amministrazioni dello Stato, gli Enti Pubblici, compresi quelli economici, gli Enti e le Amministrazioni Locali ecc. In particolare vd. art. 2, comma 2, lettera b, L.109 come modificata dalla 166/02. (2) Potranno meglio essere espletate attraverso un adeguato progetto di investimento per la Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 196

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Da sottolineare questa peculiarità posseduta dai beni archivistici che hanno ripercussioni sul modo di gestire la conservazione degli archivi correnti, di de- posito e storici. Nel D.Lgs. 42/04 (titolo I°, art. 2, lettera b) sono dichiarati beni cul- turali “gli archivi ed i singoli documenti degli enti pubblici”, ne consegue che tut- te le operazioni di manutenzione ricadono sotto la normativa oggetto della citata circolare, con quel che ne deriva in termini di studi di fattibilità, progetta- zione, affido lavori, e qualificazione dei professionisti ed imprese, qualora i me- desimi archivi siano sottoposti a lavorazioni del tipo 0S2. In particolare sia l’art. 29 del medesimo Codice Urbani che il D.Pr. 554/99, art. 212, comma 4 dichiarano che «la manutenzione consiste in una serie di operazioni tecniche speciali- stiche periodicamente ripetibili, volte a mantenere i caratteri storici, artistici dei beni culturali e alla conservazione della loro consistenza materiale», ovve- rosia sono manutenzione tutte le operazioni di manipolazione e condizionamen- to dei documenti intesi come oggetti, atte a conservarli in quanto beni culturali, anche quando sono ancora nell’archivio corrente o di deposito (3).

Procedura di riferimento

Per “confezionare” l’affidamento di un lavoro di manutenzione o restauro di Beni Culturali Mobili, nella fattispecie beni librari od archivistici, sottoposti a tutela, è necessaria la presenza di specifiche figure burocratiche tecnico-ammi- nistrative (4). L’attività di progettazione si articola, secondo tre livelli di successive defini- zioni tecniche, in progetto preliminare, progetto definitivo e progetto esecutivo, in modo da assicurare la qualità dell’opera, la rispondenza alle finalità relative, il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.

messa a norma, la cui precisa qualificazione e quantificazione sono oggetto dello studio di fattibi- lità o della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva affidata ad un professionista o impresa qualificati. (3) Si riportano altre leggi di riferimento. Sui materiali per conservazione: D.M. 2 agosto 83-GU n.° 257 R.D. 29 marzo 1923, n.° 798, Norme sulla riproduzione mediante fotografia, di cose mobi- li ed immobili di interesse storico, paletnologico, archeologico ed artistico; leggi da osservare per l’affido di lavori di manutenzione e restauro di beni culturali tutelati archivistici: Legge 109/94 e suc- cessive modifiche, Lavori Pubblici; Dpr. 554/99, Regolamento Attuativo Legge 109; Dpr. 34/2000, Re- golamento Qualificazione; D.M. 294/2000, Regolamento qualificazione soggetti esecutori lavori sui Beni Culturali D.M. 420/2001, integrazioni del D.M. 294; D.Lgs. 30/04, Modificazioni alla disci- plina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali; D.Lgs. 12/04/2006 n. 163, Co- dice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione. (4) Il responsabile del procedimento della amministrazione committente; il progettista quali- ficato: il direttore dei lavori (con eventuali assistenti); un’impresa qualificata per categoria di ope- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 197

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Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali del lavoro di restauro, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche pre- stazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scel- ta della soluzione prospettata in base alla valutazione delle eventuali soluzioni possibili. Il quadro delle conoscenze consiste in una lettura dello stato esistente e nel- la indicazione delle tipologie di indagine che si ritengono necessarie per la cono- scenza del manufatto e del suo contesto storico e ambientale. Le indagini riguar- dano: a) l’analisi storico - critica; b) i materiali costitutivi e le tecniche di esecuzione; c) il rilievo dei manufatti; d) la diagnostica sul campo e sul territorio; e) l’indivi- duazione del comportamento strutturale e l’analisi del degrado e dei dissesti; f) l’individuazione degli eventuali apporti di altre discipline afferenti. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel ri- spetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabilite nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni ed approvazioni. Esso consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonché delle ca- ratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento delle opere nel suo ambiente di conservazione e fruizione. Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo. Il responsabile uni- co del procedimento verifica il raggiungimento dei livelli di progettazione ri- chiesti e valida il progetto da porre a base delle lavorazioni. Le varianti in corso d’opera possono essere ammesse, oltre che nei casi previsti dalla disciplina co- mune degli appalti pubblici di lavori, su proposta del direttore dei lavori e sentito il progettista, in quanto giustificate dalla evoluzione dei criteri della disciplina del restauro.

ra specializzata OS2 “Superfici Decorate e Beni Mobili di interesse storico artistico”. È indispensa- bile inoltre il nulla osta dell’organo di tutela (nel caso di beni culturali non statali). Cfr. AA.VV., Pre- sentazione del Decreto del Ministro per i Beni e le Attività culturali 3 agosto 2000, n. 29, Rego- lamento concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architetto- nici, Atti della presentazione (San Michele, Sala Stenditoio, settembre 2000), a cura del Ministero Beni e Attività Culturali, Roma 2000, in particolare pp. 23-28. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 198

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RESTAURO CONSERVATIVO E CONDIZIONAMENTO DEI BIFOGLI, NOTI COME “PACE DI CASTELNUOVO MAGRA”

Notizie storiche

Il 20 gennaio 2005 l’Archivio di Stato della Spezia ha ricevuto in versamento dall’Archivio Notarile Distrettuale della Spezia atti documentali riferiti alla stipula della cosiddetta “Pace di Castelnuovo Magra” tra i Marchesi Malaspina ed Anto- nio, Vescovo-Conte di Luni. Si tratta di tre tipi di atti: la procura conferita a Dante dai Malaspina, l’atto di pace stipulato con il Vescovo e le transazioni successive agli accordi tra il Vesco- vo e i Marchesi Malaspina. I bifogli cartacei (o tabulae) contengono in sintesi i seguenti atti notarili: la pri- ma tabula contiene il mandatum a Dante Alighieri, la seconda l’instrumentum pacis, la terza, la quarta, la quinta e la sesta contengono i pacta ovvero le transa- zioni e la determinazione dei reciproci risarcimenti per i danni subiti ed arrecati, la settima tabula contiene un atto di disposizione con Alagia Malaspina (fig. 1). Gli atti furono stilati nell’autunno del 1306, quando l’esule Dante Alighieri si trovava in Lunigiana ospitato dai Marchesi Malaspina. Data la presenza di Dante, Franceschino Malaspina di Mulazzo e altri rap- presentanti del casato dello Spino Secco, signori della Val di Magra, ritennero che egli fosse il miglior loro rappresentante per trattare la pace con il Vescovo di Luni, Antonio di Nuvolone da Camilla, e quindi gli conferirono una procura plenipo- tenziaria, ricevuta a Sarzana in piazza Calcandola (oggi piazza Matteotti), rogata dal notaio Giovanni di Parente di Stupio. La pace fu siglata la mattina del 6 ottobre 1306 a Castelnuovo Magra, e mise fine alla disputa per il controllo di alcuni territori di Lunigiana tra i Malaspina e i Vescovi-Conti di Luni. Il ritrovamento dell’importantissima documentazione avvenne nel 1765 a cau- sa della ricerca di documenti circa i diritti sul feudo di Treschietto dell’ultimo mar- chese di Terrarossa, Manfredo Malaspina. Si tratta, sicuramente, del più impor- tante documento storico medievale lunigianese, essendo l’atto che segnò un lungo periodo di pace tra le due opposte fazioni. All’epoca della seconda guerra mondiale, i documenti attestanti ufficialmen- te la presenza di Dante in Lunigiana furono trasferiti assieme alla documentazio- ne notarile del XIII-XIV secolo dall’Archivio Notarile di Sarzana alla parrocchia di Falcinello. La documentazione si presentava con leggibilità compromessa, fortemente danneggiata dall’umidità e da una macchia scura prodotta da sostanza oleosa, ag- gravata da un supposto tentativo di cercare la firma originale di Dante con rea- genti chimici. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 199

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Fig. 1 – L’instrumentum di procura di Dante Alighieri, particolare dell’arenga. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 200

200 MARCO SASSETTI

Finalmente, di recente, la documentazione è stata sottoposta a restauro pri- ma virtuale, eseguito con l’utilizzo di un’innovativa tecnica digitale, e successi- vamente al restauro tradizionale, con il conseguente recupero di parti di scrittu- ra prima illeggibili e del supporto cartaceo. Il restauro virtuale ha attenuato la grande macchia nerastra che occupa l’an- golo inferiore destro di ogni foglio, rendendo in qualche parte più agevole la let- tura del testo. A completamento delle attività di valorizzazione e conoscenza del documen- to l’Archivio di Stato della Spezia ha ritenuto di fare sottoporre i documenti ad un procedimento di restauro conservativo e condizionamento, che ne potesse assi- curare la corretta manipolazione, anche nell’ottica delle celebrazioni previste nel 2006 (settecento anni dalla stipula dell’atto), iniziative culturali nell’ambito delle quali il documento ha avuto la possibilità di essere esposto per la prima volta in perfetta leggibilità e stato di conservazione. A questo scopo è stata attivata una procedura di affido vista la L. 109/94 e succ. mod., il D.P.R. 554/99, in particolare l’art. 144, commi 2-3; il D.M. 294/00, come mo- dificato dal D.M. 420/01, mediante affidamento diretto, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b del D. legs. 30/04, con le modalità di cui art.8, comma 2 all’Impresa “La- boratorio Sant’Agostino” della Spezia, che possiede i requisiti tecnici e generali previsti dalla normativa in relazione al curriculum.

Notizie tecniche La carta

I documenti della “Pace di Dante” sono stilati tutti sul medesimo tipo di car- ta, formato protocollo, delle dimensioni medie di mm 310 x 225, costituita da una pasta di cellulosa derivante da cascami di lino e canapa, di buona qualità e stabi- lità chimica. Il formato originale consisteva in sette bifogli in mezzo protocollo, in modo che ogni attuale foglio risulta in realtà formato da quattro facciate di testo. Sono presenti i quattro fori di legatura al centro del foglio, in due partiture ti- piche della legatura a “registro”, con correggie di pelle allumata, formato “pan- detta” o “rubrica”. La manifattura invece è ancora abbastanza approssimativa, molto simile alla manifattura di tipo arabo occidentale (Spagna), con la mescola della cellulosa di- somogenea (fig. 2) e con presenza di grumi, scorie in filamenti, e differenziazione di deposito della pasta di cellulosa sul telaio della forma, con conseguente diso- mogenea densità, riscontrabile in trasparenza. Il “segno d’acqua” lasciato dalla tramatura del telaio presenta i filoni molto di- stanziati e non perfettamente allineati con difforme parallellismo; le vergelle sono fitte in alcuni punti e rade in altri. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 201

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La collatura originale è nascosta e alterata dal restauro dei primi del ’900, effettuato mediante velatura con tulle di seta con adesivo ad ami- do misto proteico. Le caratteristiche islamizzanti sono, però, sconfessate nei fatti dalla pre- senza della “Watermark”, visibile circa al centro della carta segnata c. 222r/v-273v/r, costituita da una fi- ligrana abbastanza grossolana de- scrivente un giglio “fiorentino” gia- cente con l’asse maggiore parallelo alle vergelle e posta al centro di un foglio formato su 4 ordini di filoni, che dichiara la fabbricazione tutta italiana di questi fogli (fig. 3). Da notare come un documento car- taceo dello stesso fondo già con- servato all’archivio Notarile della Spezia e proveniente dal padre del- lo stesso notaio, noto come manuale di ser Parente di Stupio, sia stato re- Fig. 2 – Caratteristica della mescola della cellulosa e segni d’acqua dei filoni e vergelle. datto sicuramente su carta araba con presenza della protofiligrana a zig-zag fra le cc. 174-175. Il foglio della “Pace” in questione, a c. 222v, è datato 23 luglio 1306 e reca l’i- strumentum di cui sono autori giuridici i Frati Minoriti in veste di fidecommes- sari delle volontà testamentarie di Tommaso da Giovagallo, che continua a c. 222r, mentre a c. 273v reca la continuazione dell’instrumentum pacis, cioè i patti sot- toscritti fra il Vescovo –Conte di Luni Antonio da Camilla ed il marchese France- schino Malaspina, rappresentante della sua famiglia, che continua a c. 273r. La filigrana a forma di giglio, risulta attestata come Watermark almeno dal 1284 (5), usata da cartiere probabilmente toscane, forse abituali fornitrici di car-

(5) Cfr. L. VOLPICELLA, Primo contributo alla conoscenza delle filigrane nelle carte antiche di Lucca, Lucca 1911; C.M. BRIQUET, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600..., 2a ed., 4 vols., Leipzig 1923. La filigrana è stata con- frontata per omografia e similitudine. Sull’argomento generale delle filigrane contemporanee cfr. A. A. ZONGHI, Monumenta Chartae Papyraceae Historiam Illustrantia. III. Zonghi’s Watermarks, Paper Publications Society, Hilversum 1953. Sull’argomento delle immagini delle filigrane in Dan- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 202

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Fig. 3 – La filigrana a giglio.

ta al notaio Giovanni di Parente di Stupio, molto legato ad ambienti lucchesi (6). In generale la carta medioevale araba e europea (a differenza della carta orien- tale fabbricata con diversi tipi di fibra, quale riso, bambù, gelso, bozzoli di bachi da seta e persino muschio ed alghe), fu prodotta fin dall’inizio utilizzando gli strac- ci di lino e di canapa. La procedura di lavorazione prevedeva - in sintesi - la sfi- lacciatura e la macerazione degli stracci mediante magli azionati da mulini, in va- sche d’acqua fino ad ottenerne un omogeneo impasto di fibre lunghe. La sospensione di cellulosa veniva trasferita in tini nei quali un lavorante im- mergeva un setaccio a maglie fini che lasciando filtrare l’acqua tratteneva le fibre macerate, le quali formavano così un foglio sulla trama del telaio. I fogli venivano poi pressati, asciugati e “collati”, cioè impregnati con una mescola di amido o pro- teina per renderli semi-impermeabili e quindi adatti alla scrittura con inchiostri acquosi.

te G. ALLAIRE, “Filigrane divine”: watermarks as Images in Dante’s Paradiso, in «Electronic Bul- letin of the Dante Society of America» (19 september 2002), [http://www. princeton.edu/~dante/ebd- sa/]. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 203

METODOLOGIA PER IL RESTAURO CONSERVATIVO. IL CASO DELLA “PACE DI DANTE” 203

L’adozione della filigrana come marchio di fabbrica della carta fu una “inven- zione” italiana sviluppata a Fabriano, attraverso la semplice constatazione della possibilità di fare diventare intenzionali e iconografici le “impronte” che setacci imperfetti lasciavano casualmente sui fogli nelle carte prodotte dagli arabi (pro- tofiligrana a zigzag). A Fabriano quindi si deve l’uso di inserire nei setacci di ottone un ricamo di filo (filigrana) indicante il “marchio di fabbrica” della cartiera, quale distinzione commerciale e qualitativa del prodotto, ottenendo disegni via via sempre più com- plessi, dai primi semplici monogrammi con le iniziali, ai “segni”di fiori, frutti, animali, santi. L’Italia divenne, alla fine del Medioevo, il maggiore produttore di carta. La pro- duzione si diffuse a Bologna, Padova, Genova, poi in Toscana, in Piemonte, nel Ve- neto e nella Valle del Toscolano (Brescia). Ancora oggi è chiamato “La Vecchia Cartiera“ un edificio adibito ad albergo sito nel centro di Colle Val d’Elsa, risalente alla fine del XII secolo. La carta italiana, quindi, non era rara ai tempi di Dante: già usata dal notaio Giovanni Scriba di Genova fra il 1154-65, di tipo ancora islamizzante, fu prodotta dalle cartiere genovesi dal 1235, da quelle bolognesi dal 1255, fino alle carte fa- brianesi attestate dal 1264 (7). Le più antiche carte con “Watermark”, formate a Fabriano, risalgono al 1282 e costituiscono il supporto scrittorio di un codice dell’Archivio di Stato di Bolo- gna. Filigrane del 1288 sono conservate presso gli archivi di Macerata e di Lodi, una, attribuita paleograficamente al 1291, si trova nell’Archivio Storico Comu- nale di Matelica, mentre sono del 1293 e del 1294 quelle presenti su alcuni fasci- coli delle rivendicazioni comunali di Fabriano, esposte al Museo della Carta e del- la Filigrana di Fabriano provenienti dalla collezione ordinata nel 1880 dal vescovo di Jesi, paleografo e filigranologo Aurelio Zonghi. Con le carte costituenti la “Pace di Dante” ci troviamo quindi di fronte ad un ulteriore esempio di “incunabolo” della filigrana italiana, su carta presumibilmente formata in Toscana.

Stato di conservazione

Le carte in oggetto, in cellulosa a grandi fibre di lino e cotone, presentano dan- ni di varia natura: di origine meccanica con piccoli strappi ai margini e lacune al- l’angolo inferiore destro interessato dai danni di origine biologica, dovuti a pre-

(6) Si ringrazia Eliana M. Vecchi per la preziosa informazione. (7) Cfr. R. L. HILLS, Early Italian Papermaking, A Crucial Technical Revolution, in Produ- zione e commercio della carta e del libro, secc. XIII-XVIII, Atti della Ventitreesima Settimana di Studi, (Prato15-20 aprile 1991), a cura di S. CAVACIOCCHI, Istituto Internazionale di Storia econo- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 204

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gressi sversamenti di sostanza grassa e ne- rastra che, oltre a impedire la lettura, han- no prodotto grave fragilità del supposto con perdita di materiale fortunatamente non in- teressante il testo. Nei primi anni del ’900, come si è già det- to, i fogli furono sottoposti a velinatura me- diante tulle di seta (fig. 4). Attraverso la tecnica delle multispet- tralità con l’azione combinata dei RV, IF, RX è stata resa possibile la lettura degli inchio- stri nascosti per azione della gora nera- stra. Il cursus si presenta moderatamente aci- do con migrazione dei pigmenti e lieve tra- passo degli inchiostri in alcune lettere, ma senza perdita di materiale. Allo stato attuale i sette fogli si presen- tano spianati in formato approssimativo di 23 x 31 cm, con difformità dimensionali di alcuni millimetri fra testa e piede, con le li- nee di taglio non omogenee e disassate. Fig. 4 – Lacuna con velatura di tulle di seta.

Soluzioni progettate e benefici attesi Il primo risultato ottenuto con il restauro conservativo è quello di ottempe- rare al D.Lgs. 42/05, art. 30, “Obblighi conservativi”, per il quale «Lo Stato, le re- gioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pub- blico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza», con l’applicazione della nozione giuridica di “conserva- zione ”, art. 29 che recita: «La conservazione del patrimonio culturale è assicu- rata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, pre- venzione, manutenzione e restauro». Per “prevenzione” si intende «il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’i- dentità del bene e delle sue parti», e nel nostro caso si intende effettuata attra- verso il condizionamento nelle teche speciali utilizzabili anche per le esposizio- ni in sicurezza. Con il “restauro” si intende «l’intervento diretto sul bene attraverso un com- plesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali». Queste attività consentono di inserire il contenuto testuale e materiale dei do- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 205

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cumenti nel circuito dello studio e della conoscenza. La consultazione e l’utiliz- zo delle carte in originale prima del restauro conservativo risultava impossibile per il rischio di perdita di frammenti; le gore e le macchie compromettono tutto- ra la leggibilità che è stata demandata al documento “virtuale”, operata da esper- ti informatici e paleografi, condotta antecedentemente al restauro materiale. Il restauro delle carte originali ha consentito il recupero, la valorizzazione e la consultazione del fondo, salvaguardando il manufatto nel complesso delle sue caratteristiche tecniche esecutive originali, così come sono state tramandate.

Criteri di determinazione delle lavorazioni e forniture richieste

Per l’identificazione delle lavorazioni previste, a seguito delle indagini dia- gnostiche a carico della attuale collatura della velinatura, è stata individuata come migliore tecnica di conservazione il mantenimento dell’originale modalità di con- solidamento. Le carte necessitavano di un intervento di restauro conservativo totale, ed era- no da ricondizionarsi entro teche ermetiche trasparenti, con vetri antiradiazioni luminose UVA. Visto quanto descritto nel paragrafo dello stato di conservazione, si riportano qui di seguito gli interventi eseguiti per il recupero dei documenti, come da pro- gettazione esecutiva. Le carte sono state divise secondo la seguente tipologia e categorie di lavori necessari al restauro: a) diagnostica b) valutazione e consolidamento del precedente restauro c) saldatura, rinforzo, rattoppo e rammendo d) mending e) velatura parziale

Diagnostica Prova della solubilitá degli inchiostri

È stato effettuato l’accertamento, preliminare alle operazioni di restauro, del grado di solubilità di tutti gli inchiostri, pigmenti, colori, grafite ecc. presenti sul documento rispetto ai prodotti, solventi o soluzioni, che si intendono utiliz- zare come da progetto. È stato stabilito che il pigmento della mediazione grafica poteva sopportare il trattamento mediante tamponatura ad alcool anidrico e le successive operazio- ni di consolidamento e mending mediante lieve umidificazione con metilcellulo- sa localizzata alle sole zone interessate. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 206

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Le operazioni sono state comunque effettuate sempre con estrema cautela e sotto costante osservazione.

Misurazione del pH È stato effettuato il test per individuare l’indice (pH) che esprime il carattere acido, neutro o basico di una soluzione acquosa. L’indice varia da 0 a 14; un valo- re pari a 7 indica neutralità; l’acidità è maggiore quanto minore è il valore; un va- lore maggiore di 7 indica alcalinità, tanto maggiore quanto maggiore è il valore. Per la determinazione del pH, propedeutica alle operazioni di deacidificazio- ne, è stato utilizzato il procedimento non distruttivo per contatto. La prova è sta- ta effettuata ponendo una goccia d’acqua bidistillata sul supporto e misurandone il pH, dopo qualche secondo, con un piaccametro. Il PH medio delle carte, preso agli angoli superiori ed inferiori, è risultato intorno al 6.3.

Operazioni preliminari Documentazione fotografica Sono state effettuate riproduzioni, mediante tecnica fotografica digitale, del documento prima degli interventi significativi, a testimonianza dello stato di con- servazione del pezzo e degli elementi visibili che lo compongono, in particolare delle peculiarità dei danni presenti.

Spolveratura È stata effettuata la rimozione dalle carte, mediante pennellesse morbide del- la polvere e/o altre impurità.

Operazioni per via umida Constatata la diagnostica negativa per gli inchiostri, sono state effettuate le seguenti operazioni: 1) trattamento detergente con soluzione alcolica 100% a tampone per le carte 2) asciugatura a temperatura ambiente 3) ricollatura: operazione di consolidamento e di rinforzo successiva alla tam- ponatura effettuata apponendo sul supporto, con pennello, una soluzione idroalcolica 90/10 di Tylose MH 300 p in al 2% 4) steccatura: pressione manuale, esercitata sul supporto con stecca d’osso. La steccatura è avvenuta nelle varie fasi di lavorazione: a documento asciutto dopo i lavaggi, per facilitare il successivo spianamento sotto peso; lungo i margini scar- niti di carta giapponese imbibiti di adesivo per migliorare l’adesione delle fibre al- l’originale; nelle suture; nelle stuccature Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 207

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5) spianamento: per le carte è stata effettuata sotto peso in- terfogliate fra carte “filtro” 6) mending: con carta giap- ponese a doppia toppa e velo. Il velo è stato apposto solo sulle zone interessate al restauro, onde evitare di compromettere ulte- riormente la leggibilità (fig. 5) 7) scarnitura per asportazio- ne, sfibrando, mediante bisturi, l’eccesso di carta giapponese in- torno ai margini della lacuna da risarcire. In particolare nelle zone fortemente brunite la scarnitura è stata effettuata a raso della li- nea originale in modo da non so- pramontare la toppa. Per unifor- mare il colore avorio della carta giapponese utilizzata per il men- ding, in confronto con le notevo- li variazioni cromatiche delle car- te originali, si è provveduto a variegare la tonalità avorio uti- lizzando l’ocra gialla, pigmento naturale a ph 7,2. Il pigmento è stato dato a spuntino nella parte Fig. 5 – Mending della lacuna. interna delle toppe, quella desti- nata ad essere adesa, in modo da ottenere l’effetto cromatico voluto, per “impregnazione e trasparenza” 8) sutura tagli: rammendo di piccole lacune e tagli presenti lungo i margini dei bifogli. È stata effettuata con velo giapponese e adesivo Tylose mh 300 al 4% 9) rifilatura: è stato tolto e pareggiato il velo e la carta giapponese del mending eccedenti i margini della carta in restauro. È stata effettuata con forbici evitan- do di incidere i margini originali della carta restaurata. La toppa agli angoli è sta- ta rifilata in squadra seguendo la direttiva della linea originale. L’operazione è sta- ta perfezionata incollando la sfrangiatura del velo con l’applicazione di adesivo Tylose MH 300 p lungo i bordi mediante accavallamento, con pennello 10)condizionamento: le carte sono state sistemate entro teche di conserva- zione appositamente progettate, e poi collocate in un contenitore per la normale conservazione delle teche in archivio. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 208

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Caratteristiche delle teche La teca per fogli, con struttura in polimetilmetacrilato (8), è stata studiata per esporre oggetti bidimensionali impiegando un sistema di illuminazione esterno che impedisce riflessi sgraditi sul vetro. Le caratteristiche di questa struttura sono tali da offrire una soluzione ottimale, unendo i ridotti livelli di illuminazione ri- chiesti (raccomandazioni CIE o CISBE), l’esclusione di possibili radiazioni U.V. e I.R. e il mantenimento delle condizioni microclimatiche con particolare attenzio- ne ai valori idrometrici, infine, mediante chiusura ermetica, precludendo l’infil- trazione di sostanze inquinanti (fig.6). La tecnica costruttiva ha previsto specifiche simili a quelle in uso per le teche ermetiche subacquee per ap- parecchi fotografici, con chiu- sura stagna garantita da guar- nizioni Oring. Le teche sono composte da due parti simmetriche ed ugua- li di dimensioni esterne 47 x 57 cm, spesse 13 mm, larghe 50 mm, realizzate da un unico blocco di polimetilmetacrila- to, fresato con fresa digitale, in modo da ottenere gli allog- giamenti per i vetri e le guar- nizioni Oring. Su ogni pezzo sono stati rea- lizzati 14 fori da 3 mm, per al- loggiare i perni in acciaio di chiusura, disposti in modo da formare una corona di 5 x 4 perni per cornice. La parte da- vanti mostra i perni di acciaio con testa conica e taglio a bru- gola, mentre la parte poste- riore ha in controparte gli al- loggiamenti filettati, e si presenta completamente liscia Fig. 6 – Teca di conservazione. alla vista.

mica “F. Datini”, ser. II, vol. 23, Firenze 1992, pp. 73-97. (8) Il metacrilato di metile è l’estere dell’acido metacrilico e del metanolo. A temperatura am- biente è un liquido incolore, infiammabile, irritante, dall’odore caratteristico. Il principale impie- go del metacrilato di metile è la produzione del corrispondente polimero, il polimetilmetacrilato o Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 209

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Lo spessore degli alloggiamenti dei vetri è stato calcolato computando lo spes- sore di 4,6 mm per vetro (9,2 mm totale), più lo spessore del passepartout di po- lipropilene da 1 mm, entro il quale è alloggiata la carta, spessa a sua volta media- mente circa 0,5 mm. Il passepartout di polipropilene (9), opaco e satinato, è stato tagliato su un fac- simile della sagoma di ogni carta in modo da ottenere una corrispondenza fra il profilo perimetrico delle carte e la luce utile del passepartout. Le carte sono, quin- di, perfettamente “incastonate” nel passepartout, con un gioco di tolleranza di 0,2 mm per lato, e con uno spazio di “galleggiamento” fra il sandwich dei vetri di circa 0,5 mm. Lo spazio piano di ingombro di ogni carta assomma a circa 790 cm2. La cubatura dell’alloggiamento entro il passepartout assomma quindi a 790 mm3, spazio che sarà occupato per metà (350 mm3) dalla carta (spessa in media circa 0,5 mm) e per metà, ulteriormente divisa in due volumi (uno per facciata del foglio), dal microclima imprigionato con la chiusura ermetica della teca, che as- somma a 175 mm3 di aria per facciata. Le carte rimangono quindi “imprigionate” e confinate entro il castone del pas- separtout ed i vetri ermeticamente compressi sul polipropilene satinato del pas- separtout, la cui tenuta stagna è garantita ulteriormente dalla guarnizione Oring che li circonda nell’alloggiamento delle cornici. La seconda guarnizione Oring è posta all’esterno della corona dei perni in modo da provvedere alla completa tenuta stagna della teca. L’esiguità dell’aria a diret- to contatto delle carte è a garanzia di stabilità del microclima. Ciascuna teca è stata dotata di un paio di peducci removibili a forma trape- zioidale, con base di 23 cm, spessi 2 cm, sempre in metacrilato, con alloggiamen- to al centro della base minore in grado di incastrare perfettamente la base infe- riore delle teche, fissate poi mediante brugola ad un percussore di gomma. È stata poi costruita una scatola in compensato marino rifasciato esternamen- te di tela bukram e internamente di cartone a PH neutro, con coperchio e un lato minore incardinati, in grado di contenere con un giuoco di 5 mm per lato le teche. La chiusura è garantita da ganci a leva in acciaio, le parti incardinate sono provvi- ste di guarnizioni antipolvere in velcro, ai lati del contenitore sono inserite quat- tro maniglie e alla base sono state assicurate delle ruote per gli spostamenti locali Le teche sono state sovrapposte, intercalate da un sandwich formato da un fo- glio di cartone neutro, da uno di “carta a bolle” e da uno di feltro plastico coibente.

PMMA. (9) Il polipropilene (PP) è un composto plastico di diversa tatticità. Il prodotto utilizzato e più interessante è quello isotattico, che è caratterizzato da un elevato carico a rottura, una bassa den- sità, una buona resistenza termica e all’abrasione con densità è di 0,9 g/cm3 e punto di fusione di 165°C. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 210

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Caratteristiche dei materiali Vetri speciali Per vetri speciali si intendono quei vetri che hanno subito trattamenti super- ficiali tali da modificare le caratteristiche qualitative del prodotto originario. Per quanto riguarda i vetri speciali utilizzati, “invisibili” e “conservativi”, essi possiedono, rispetto al vetro Float tradizionale, le proprietà, in abbinamento, di: a) ridurre e al limite eliminare la riflessione della luce incidente all’interfac- cia aria-vetro b) aumentare la permeabilità alla luce c) schermare le radiazioni dei raggi ultravioletti. L’effetto pratico di tali proprietà è quello di rendere invisibile il vetro all’os- servatore, mantenere inalterate la qualità dell’immagine posta oltre il vetro stes- so e preservarla dal deterioramento. I riflessi sono causati dai differenti indici di rifrazione della luce incidente. La differenza degli indici di rifrazione delle su- perfici aria-vetro crea una riflessione del 4%. Dal momento che la lastra di vetro ha 2 superfici, la riflessione totale è dell’8%. A causa dell’ “assorbimento” del vetro (anche in relazione alla composizione ed allo spessore) un’altra percentuale della trasmissione della luce viene perdu- ta: per uno spessore di 4,0 mm viene trasmesso solo l’88% della luce incidente. Questo 12% perso può creare notevoli fastidi all’osservatore, in quanto, soprat- tutto in determinate condizioni, il riflesso, quindi l’effetto specchio, non permet- te la visione di ciò che è posto al di là del vetro. I vetri utilizzati, invece, riducen- do il riflesso residuo da 8,0 % a meno dello 0,5% sono caratterizzati da un’altissima permeabilità alla luce che consente una visione ottimale e senza la minima alte- razione. Tali proprietà del vetro sono il risultato di un trattamento superficiale della la- stra float, consistente nella deposizione di una pellicola speciale, o mediante im- mersione in un bagno a base di ossidi metallici o mediante il sistema “Magne- tron Sputtering” con metalli a forte carica energetica a spessore controllato che garantisce una qualità eccellente del prodotto nel tempo, senza alterazione ed in- vecchiamento, anche da aggressione di agenti atmosferici o abrasioni.

Effetto dei vetri conservativi I raggi ultravioletti, invisibili all’occhio umano, provocano la rottura di lega- mi chimici e la creazione di altri nuovi particolarmente in sostanze come la ligni- na, le emicellulose e gli sbiancanti ottici presenti nella carta. Il che significa che arrecano danni cumulativi ed irreversibili a tutti i prodotti derivati dal legno. Que- sto include in pieno il settore della grafica, dell’opera d’arte cartacea e quindi del- la fotografia. I raggi UV compresi nella sezione dello spettro di luce tra i 300 e i 380 nano- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 211

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metri hanno sufficiente energia per modificare tali legami e, quindi, indurre va- riazioni chimiche e fisico-meccaniche. I vetri conservativi utilizzati hanno lo scopo di prevenire tutti i danni derivanti da tale esposizione. Essi infatti fungo- no da vero e proprio schermo che blocca il 97% dei raggi ultravioletti più danno- si, quelli appunto compresi tra 300 e 380 nanometri. Tali vetri vengono sottopo- sti ad uno speciale trattamento superficiale invisibile, consistente in uno strato siliceo di spessore infinitesimale che mantiene inalterate nel tempo le sue pro- prietà filtranti.

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TRADIZIONE E FORTUNA UNIVERSALE DI DANTE ALIGHIERI Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 214

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Castelnuovo Magra, 6 ottobre 2006, cerimonie celebrative.

Alla pagina precedente: Roberta Pancera (Italia), Dante Alighieri (coll. “Dante negli ex libris” di Massimo Battolla). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 215

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“Tradizione e fortuna universale di Dante Alighieri” è il tema della secon- da sessione del convegno odierno. Un tema che parte di qui, dalla nostra Italia e, in modo specifico, dagli eventi del 1306 che oggi ricordiamo a Castelnuovo Ma- gra, ma che guarda in avanti, sottolineando il valore perenne della Commedia e degli altri scritti dell’Alighieri. Dante, esule, sa bene “come sa di sale / lo pane altrui” (Paradiso, XVII, 58- 59), e del resto il suo modello, specificamente indicato nel De Monarchia e nel- le lettere, è quello, purtroppo utopistico, di una monarchia universale (oggi di- remmo un “governo mondiale”), tale da essere in grado di garantire “pace e vera concordia”. Uso questa espressione non a caso, dal momento che essa è conte- nuta nell’atto di procura del notaio Giovanni di Parente di Stupio, ed in qualche modo dunque rappresenta, al di là dell’obiettivo proprio dell’incarico conferito al poeta dai Malaspina, il senso profondo delle sue aspirazioni, conculcate dalle vicende fiorentine degli anni precedenti. In questo senso possiamo dire che l’argomento di questa seconda sessione è di particolare attualità, e dà forza al valore universale della poesia, capace di su- perare confini di ogni genere. Quando Eugenio Montale, nel celebre discorso di Stoccolma per il ricevimento del Premio Nobel, si interrogava sulla possibilità o meno per la poesia di avere un senso compiuto nella nostra epoca (che ancora in quel 1975 non si chiamava “globale”, ma già si intravedeva carica di novità straor- dinarie e difficili), egli non faceva, di fatto, che augurare – a se stesso e ai suoi col- leghi dei tempi contemporanei – una fortuna simile a quella straordinaria otte- nuta dall’Alighieri, e certo da alcuni altri (ma non molti) poeti dei tempi passati. La fortuna almeno “europea” di Dante – che vedo al centro di alcune delle re- lazioni in programma – ci fa ricordare come essa debba essere collocata molto indietro nel tempo. Sappiamo infatti che la prima traduzione latina della Com- media, che risale ai tempi umanistici del XV secolo e si deve alla penna del ve- scovo Giovanni da Serravalle, è ancora oggi conservata in una biblioteca della città ungherese di Eger. Città, questa, che – guarda caso – è gemellata proprio con Sarzana. Ma tanti altri esempi potremmo citare, nella consapevolezza che ricercatori e studiosi, di sicuro, altri ne sapranno aggiungere in futuro. Grazie dunque agli organizzatori del convegno per aver immaginato una sessione di lavoro così stimolante ed attuale.

EGIDIO BANTI Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 216 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 217

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QUALCHE ECO DELLA COMMEDIA IN FRANCESE, SETTE SECOLI DOPO

Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertate; e sono apparito a li occhi a molti che forseché per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato. Convivio, I, III, 5

In questo accenno famoso al primo tempo del suo esilio, scritto forse nel Ve- neto o a Bologna (1), mentre il poeta, rammentando la lunga erranza «per le par- ti quasi tutte a le quali questa lingua si stende», non sapeva di dover presto ac- cantonare (e sarà poi per sempre) il grande disegno filosofico del suo Convivio – un trattato indirizzato, si sa, a coloro che per motivi civili non avevano molto tempo da dedicare alla cultura «pane de li angeli» (ivi, i, 7; e, in senso più spiri- tuale, Par. II, 11), come erano stati per l’appunto i principi negligenti dei canti VII e VIII del Purgatorio, di cui avremo a parlare –, il termine del brano che più m’interessa è, a parte la “povertate” così indifesa (2), confessata da un uomo pur già allora di «alcuna fama», proprio quel vaporare: un vocabolo della precisa fi- sica dei venti medievale, che rimanda quasi per forza (beninteso, a posteriori) ad un altro brano famoso, dall’Inferno XXIV, 145-6: Tragge Marte vapor di Val di Magra ch’è di torbidi nuvoli involuto; ove è preannunciato a chiare lettere, nefasto a Pistoia, l’assurgere del capita- no guelfo Moroello Malaspina (marchese di Giovagallo). E ciò, mentre il poeta ave- va bell’e pronta la sua uscita, prima di accingersi a riparare in Lunigiana, com’e- ra prevedibile, presso altri e più generosi marchesi Malaspina, filo-ghibellini questi (fig. 1). Ora, sia la “povertate”, altra volta sotto forma di accenno pro domo sua a «coloro / che per vergogna celan lor mancanza» [probabilmente i “poveri vergo- gnosi” fiorentini] nel sonetto rinterzato O voi che per la via... (Vita nova 2, 17); sia il vaporare (“vapóra, vapor”); sia pure quei «nuvoli» (che il francese non sa di- stinguere dalle “nuvole”, con quell’unico suo “nuages” maschile, e sono tutte pa-

(1) Il Renucci accoglieva questa ipotesi del Boccaccio, riferendosi agli accordi presi tra Bolo- gna e le città guelfe toscane, e sfociati nella prevedibile cacciata dei ghibellini e dei guelfi bianchi ri- fugiatisi a Bologna, il 2 ottobre 1306 (P. RENUCCI, Dante disciple et juge du monde gréco-latin, Pa- ris 1954). Trovo la stessa indicazione in danteonline.it, ove si parla meglio dell’espulsione del 1306. (2) E si confronti con l’explicit della seconda epistola (ai conti Guidi): paupertas quam fecit exilium, c. 1304. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 218

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role semplici all’apparenza), hanno posto qualche problema ai traduttori in lingua france- se, e non solo oggi. Il bravo ita- lianista André Pézard propo- neva, nell’ordine: “pauvreté, une défaute (3), exhale, une vapeur, nuées”; mentre A. Mas- seron e J. Risset, per le sole ul- time due occorrenze: “éclair, nuages”. La traduzione propo- sta dal nostro gruppo di ricer- ca CIRCE è stata “dépouille- ment” per il sonetto rinterzato del prosimetro giovanile; quel- la mia, per l’occorrenza del- l’Inferno, simile in tutto a quel- la del Pézard (di fronte al maschile nuages soltanto “nuées” sembra poter risulta- re, infatti, “marcato” da un pun- to di vista linguistico). E in Pur- gatorio V, il più banale «vapori... Fig. 1 - I castelli malaspiniani in Val di Magra (da Atlante del- nuvole» (vv. 37-39) si sarebbe la Toscana, ed. Cassa di Risparmio di Firenze, 1980). risolto in un neutrale “nuages” (anche se poi, a ben guarda- re, quel binomio anticipa il forte e drammatico «umido vapor... nebbia» della mor- te di Bonconte, pochi versi più in là, con la risorsa della bella inversione di gene- re che la lingua francese, qui, può invece consentire: “cette humide vapeur... brouillard”, La Comédie in vol. II, Purgatoire, V, 110-17). Quindi, di seguito: “va- peurs... nuages / humide vapeur... brouillard” (4). Tra le otto-nove versioni francesi della Commedia oggi facilmente reperibi- li, si vedono già delineate, con questi pochi esempi, due grandi ramificazioni o “fa- miglie” che fanno capo, in tempi a noi contemporanei, a Pézard e a Masseron – ma più a quello che a questo –, come ebbi a dire, seguendone qua e là derivazioni e va-

(3) Ma diversamente L. P. GUIGUES,Vita nova, s.l., Gallimard, 1974: “leur misère”. L’edizione Gor- ni, da noi seguita, non aiuta molto annotando: «privazione, dissimulata, dello schermo». La nostra traduzione collettiva, del Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges, Cir- ce, di prossima pubblicazione, è stata presentata al Collège de France il 3 aprile 2009, vd. il sito www.college-de-france.fr/default/En/all/lit_fra/colloque_2009_lire_un_text_13.jsp. (4) A. Masseron (A. Michel, 1947): “vapeurs... nuages / vapeur humide... vapeurs”. Ns. trad. per i tipi della Imprimerie Nationale, Parigi, 1996-2007. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 219

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rianti quasi da stemma lachmanniano, in un saggio del 1998 pubblicato su La pa- rola del testo, una rivista fondata e diretta allora dall’amico Ninni, Giuseppe E. Sansone (5). La fine del secolo scorso era comunque un buon terminus ad quem, con una versione rilevante più o meno ogni venti anni (Masseron 1947, Pézard 1965, Risset 1985-90), per una tale disamina. Da quella data, è uscita una nuova versio- ne francese ancora, mentre il terzo volume della mia, Paradis, è stato finalmen- te edito nel 2007. Si tratta anzi, in quella recente nuova Divine comédie, di una ori- ginale ri-traduzione, senza paragone possibile poiché concepita per dar luogo a un libretto d’opera lirica musicata dallo stesso neo-traduttore, Didier M. Garin (6). Ma, tornando alle altre edizioni francesi, diciamo più tradizionali: i ben noti fe- nomeni d’intertestualità, semmai ancora più espliciti qui, valgono ovviamente per le traduzioni di un medesimo periodo storico, anche se nessun traduttore, cre- do, voglia perdere tempo a leggerle tutte prima di produrre la propria. Anzi, per chi voglia scrivere una traduzione-testo coerente abbastanza, per resistere alme- no qualche lustro al solito logorio delle versioni in lingue straniere, mi pare indi- spensabile a un certo punto di cercare di dimenticarle, a favore di una coerenza, per l’appunto, a tutti i vari livelli di linguaggio e di forma – compreso quello del rit- mo e del metro – nel sistema diverso, a tutti gli effetti come è ovvio, di un’altra lin- gua. Notevoli, quei testi per lo meno attenti al verso in quanto tale: Pézard nel 1965, Scialom trent’anni dopo (1996), sempre in décasyllabes (la tradizione francese an- tica era, per chi non lo sapesse, di versi alessandrini, e talvolta addirittura con rime baciate), evidentemente la mia (1996-2007). Comunque, la smania di originalità traduttiva fa sì che non si leggono, generalmente, le altre versioni nella lingua destinataria. Eppure, sia prima per ragioni di studio, sia durante il lavoro tradut- tivo, da parte mia, perché il modello di Pézard mi sembrava comunque impor- tante, sia dopo (anche per miei insegnamenti traduttologici o in occasioni rifles- sive come questa presente), è quanto ho fatto, e mi propongo di parlarvene oggi, senza entrare troppo nei dettagli di quella filologia traduttiva cui accennavo or ora. Vediamo per cominciare come funziona, nell’altra lingua (francese per con- to nostro) quel passo citato sopra (Inf. XXIV), anche a partire dalla suggestione della prosa del Convivio: Mars, du val de Magra tire une vapeur d’orage, enveloppée de troubles nuées; et par tempête impétueuse et âpre il faudra combattre aux Champs Picentins; cet orage soudain brisera la nue si bien que chaque Blanc en sera meurtri.

(5) “«Leggendo nel Vico de li Strami...» ecc.”, La parola del testo II, 1 (1998), pp. 21-48. E cfr. di recente vol. n° II di Dante, (2005), (“Ridire la Commedia in francese oggi”, pp. 59-79). (6) Paris, La Différence, 2003. Durante l’inverno 1998-99, a voler essere completo, è uscita an- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 220

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Solo poche osservazioni, ovviamente non per giustificare o lodare le mie so- luzioni (con scrutinio nel francese d’oggi), ché non siamo qui per questo... Intan- to, ho già indicato a livello lessicale il mio debito nei confronti di Pézard per quan- to riguarda “vapeur” e “nuées” (che, per altro, non vedo come avrei potuto rendere diversamente), anche se nella mia versione, “vapeur” (affievolito dall’inevitabile articolo) e il soffice “nuées” (quasi baudelairiano) vengono irrobustiti e integrati da una notevole inarcatura con il complemento “orage” – poi ripreso anaforica- mente in luogo del semplice pronome «ei» (tr. Pézard “cil”, forma antiquata), ad accrescere quella valenza semantica anche minacciosa e violenta che comporta l’it. “nuvolo”, rispetto alla forma femminile (7) in coppia. Del resto, con l’abbon- danza di allòtropi, tali varianti morfologiche sono una delle difficoltà specifiche nel volgere dall’italiano al francese, una lingua come sapete di molto impoverita – e reputata impoetica, almeno da Leopardi in qua – dalle drastiche e “chiare” sem- plificazioni imposte nel Grand Siècle, poi dalle Lumières e per ultimo dalla Rivo- luzione, feroce con i superstiti dialetti e lingue regionali. Da ciò deriva il noto cli- ché di una lingua più razionale, cartesiana ecc. (con risultati strani negli esercizi accademici di traduzione), a scapito di tutto un versante della letteratura che pure ha avuto una certa influenza, da Baudelaire a Verlaine a Mallarmé per esempio, o giù di lì. E questo non poteva immaginarlo il Leopardi. Ma è forse più interes- sante rilevare come avviene, in assenza di terza rima (e la tierce rime francese, a volerla risuscitare, avrebbe avuto comunque un’altra coloritura, in abitudini di let- tura diverse, per altro del tutto assente ormai dal nostro orizzonte di ricezione), la concatenazione della Commedia, protratta in questo caso sulla distanza mini- ma di due terzine. Infatti, rispettata senza nessun merito, per vicinanza di lingue, la paronomasia – e quanto significante! – «Marte va- :: val- Magra» (“Mars, val :: Magra, va-”), si possono notare nel testo di arrivo: sia l’assonanza grammaticale “nuées :: nues” e la rima interna “Picentins :: soudain” (anello di congiunzione in fondo retorico), sia soprattutto il sistema che ho scelto e mantenuto lungo tutta l’opera, ossia di legamento metrico tramite due ben riconoscibili décasyllabes di seguito ogni sei versi (qui, vv. 147-148). Tale opzione fu meditata a lungo, e appli- cata come ombra metrica delle “terzine incatenate” del testo originario, sicché nessuna terzina di versi (con 11 posizioni, misura infrequente nella tradizione fran- cese) restasse però isolata dall’insieme della catena infinita, messa in moto ap- punto dalla terza rima dantesca. Abbiamo quindi, in breve, sostituzione del rimi- co ABA,BCB,C... con un metrico-ritmico XXD,DXX,X... (come nel brano appena citato, il quale prosegue infatti, e finisce, col malaugurio del ladro brutale Vanni Fucci al v. 151: “Je te l’ai dit pour que douleur tu en gardes”, explicit di 11 posi-

che una versione, per così dire “selvaggia” di Kolja Micevi`c, ed. in proprio (per i lemmi citati, questi propone: “éclairs... nuages / vapeur humide... brumes”). (7) L’analisi semica è resa più facile ormai dall’esistenza di ampi corpora informatizzati come il LIZ, la biblioteca di www.liberliber.it; o, per la poesia del Novecento, dagli spogli lemmatizzati di Sa- voca (vd. anche: danteonline, già citato, o art. di P.G. BELTRAMI su nat.uniroma2.it). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 221

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zioni) (8), nesso fisso sempre mantenuto, con l’unica eccezione prevedibile – e in- fatti prevista – del terzetto iniziale del terzo canto d’Inferno, con la triplice anafo- ra per così dire “monumentale” (o epigrafica) che tutti sappiamo a memoria «Per me si va...», “Par moi l’on va” ecc. (il primo décasyllabe del canto III slitta quindi al v. 6, poi il medesimo sistema di legamento riprende). Queste precisazioni, forse un poco noiose per chi non sia interessato alla forma stessa della letteratura, di cui la traduzione fa parte a pieno titolo (9), ci con- sentiranno di leggere in maniera più distesa il passo scelto per l’occasione pre- sente – non di lezione ma di festeggiamenti, a Castelnuovo di Magra per il settimo centenario della cosiddetta pace di Dante. L’ascolto è, chiaramente, una delle mi- gliori “prove di resistenza” del materiale tradotto (Fortini), anche poco opinabi- le se collettiva. E vengo finalmente all’ottavo del Purgatorio, «Era già l’ora che volge il disìo / ai navicanti...», che conoscete forse meglio di me. Siamo saliti dunque con Dante e Virgilio, accompagnati adesso dal trovatore Sordello (10), fra i principi inadempienti della «picciola vallea» o «lacca» appar- tata dell’Antipurgatorio, al canto VIII della seconda cantica. I viaggiatori incon- trano là, mentre Dante narratore ha già biasimato nella nota apostrofe del canto VI alla «serva Italia» Alberto d’Austria per la sua noncuranza, il padre di questi (Rodolfo) e vari altri protagonisti della vita politica del Duecento in varie città ita- liane, il governatore del giudicato di Gallura, Ugolino Visconti da Pisa – conosciuto in vita dal poeta durante una sua ambasceria –, e il compagno di questi, Corrado Malaspina marchese di Villafranca, nipote dell’omonimo capostipite dei Mala- spina di Lunigiana (che egli stesso nomina «l’antico»). Non a caso: ricordiamo di passata che il casato Malaspina, allora in piena ascesa, avrebbe cercato di reggere, poco tempo dopo, lo stesso giudicato sardo. Ma il giudice Nino, meravi- gliato – come il lettore sa, ormai, già – di apprendere che Dante è ancora là «in pri- ma vita» (v. 59), fra la sorpresa generale degli altri presenti, compreso Sordello, chiama l’amico: ... «Sù, Currado! vieni a veder che Dio per grazia volse».

(8) Ma ancora meglio, per combinazione aritmetica, quando il numero di versi di un canto fa “cadere” l’explicit su due versi riconoscibili décasyllabes, come per il primo (Inf. I, 136): “Lors il se mut, et je suivis ses pas”, anzi fortunatamente per i tre canti introduttivi d’ogni cantica (Inf. II, 142; Purg. I, 136; Par. I, 142). Bontà dei numeri. (9) Sia consentito un rimando al mio Traduzione e studi letterari: una proposta quasi teori- ca, in A. DOLFI (a cura di), Traduzione e poesia nell’Europa del Novecento, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 33-52. (10) Il quale, di passata, è insieme esempio di amor patrio (mantovano) e viaggiatore tra paesi e lingue, sempre in cerca di un parlare ideale (infatti «patrium vulgare deseruit», come lo stesso Dan- te: De Vulgari eloquentia, I, xv, 2)... E fu anche severo con qualche altro dirigente neghittoso (“nualhos” nel Planh de Blacatz ad es.). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 222

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Il primo manifestarsi di quell’a- nima purgante (di Corrado), alla quale la diegesi poetica torna dopo ben 42 versi (sicché questa menzione del suo nome può ve- nir considerata vera anticipa- zione), sarà di guardare sempre fisso Dante personaggio, anche – ci vien detto, per all’inverso re- trospezione – durante l’assalto della biscia fugata dai due ange- li (fig. 2), tanto è forte il suo de- siderio di parlargli. Il seguito lo abbiamo sott’occhio (vv.109-139, vedi Appendice). Ma prima di leg- Fig. 2 - La biscia fugata dai due angeli, Atlante Dantesco gere, qua e là commentando, vor- di Giovanni Flaxman, Milano 1823 (collezione Massimo Battolla). rei precisare soltanto che, anco- ra una volta, troviamo all’altezza del verso 131 («perché il capo reo il mondo torca») le solite due branche dello stemma traduttivo: cioè risalen- te a Masseron con «il capo» soggetto, dalla parte di Pézard piuttosto «il mondo» (e «capo» complemento). Nell’un caso, il verso comporterebbe una pausa dopo sesta posizione (endecasillabo a majori, se vogliamo continuare a usare quelle categorie), nell’altro caso invece dopo la quinta (a minori), «reo» essendo allora riferito al «mondo» e riallacciato in realtà al verbo, come Pézard ipotizzava in nota, quale specie di “adverbe final” (11). Cosicché, in Risset logicamente troviamo “bien qu’un mauvais chef dévie le monde” ( e in Micevi’c “un chef louche”), sen- za note sull’identità supposta del cattivo capo; nella mia versione “le monde a beau tordre le chef au mal”... forse un po’ troppo nonchalante e nemmeno da annota- re, quindi probabilmente meritevole di andare a finire con me sul primo balzo o, con qualche buona tolleranza, nella lacca dell’Antipurgatorio. Ho cercato di redi- mermi almeno con la volenterosa resa del più delicato congiuntivo ottativo con (anzi dopo) se, che abbiamo in «Se la lucerna [...] truovi...» e «s’io di sopra vada» (vv. 112-113 e 127), generalmente ignorato dai traduttori:

“Puisse la lampe qui là-haut te mène trouver dans ta volonté...” “et si je vais – puissé-je – au ciel, je vous jure que...” ecc. (12)

(11) Paris, ed. Pléiade (Gallimard), 1965, p. 1175. (12) Solo a titolo di paragone, si legga trad. Risset: “Puisse la lampe qui te conduit là-haut / trouver...” e il comune “je vous jure, par mon désir d’aller là-haut...” (Flammarion, 1988, p. 85). Al- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 223

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Lasciando da parte la pur interessantissima contestualizzazione del brano scel- to, si deve dire, in sostanza, che l’intervento di Corrado si articola in due mo- menti distinti. Da un lato, il Malaspina è ansioso di avere notizie del mondo ter- reno lasciato cinque o sei anni prima (mentre Nino, morto nel 1296, chiedeva solo che la figlia Giovanna pregasse per la sua liberazione); in un secondo momento, soddisfatto delle risposte di Dante, gli predice l’accoglienza altrettanto «cortese» dei suoi discendenti – in primo luogo per la procurazione di Franceschino Mala- spina – a Villafranca, entro il settimo anno dal momento della profezia (Pasqua del 1300): vale a dire l’esilio definitivo del poeta, già condannato a morte con tutti i membri maschi della sua famiglia (costretto quindi a “farsi parte per se stesso”), e il rifugio lunigianese dalla primavera (e durante l’estate) del 1306 almeno fino all’autunno, proprio come oggi (e tutti ne sentiamo, credo, l’immateriale presen- za). Ora, se la parola profetica è sempre in sé e di per sé dotata di valore illocuto- rio (performativo), è chiaro che le predizioni a posteriori, quali abbiamo nella Commedia per lo meno fino agli ultimissimi canti del Paradiso, acquistano un “ef- fetto di reale” ancora più potente, anzi indubitabile: poiché sappiamo, leggendo ora, che le previsioni date si sono puntualmente avverate. Un’arma politica con- siderevole nelle mani di uno scrittore del rango di colui che abbiamo qui, e do- vrò probabilmente tornarci sopra dopo. Ma al di là, una possibilità di espressione poetica capace di “realizzare” in effetti ciò che per verba profeticamente finge di annunciare: si rilegga quel «ti fia chiavata in mezzo de la testa / con maggior chiovi che d’altrui sermone» (vv. 137-38) per capire la forza della testimonianza fisica, corporale, che il viaggiatore Dante riporterà anzi sul proprio corpo quando sarà tornato nel nostro mondo – e nel mondo della letteratura. Qui si tratta di ge- sto performativo puro, o come ebbi a dire altre volte dell’uso d’una funzione lin- guistica testimoniale, ovviamente transitiva e dialogica in direzione del lettore, ossia anche per noi oggi (13). Davanti alla necessità di far passare almeno una trac- cia di tale potenza nell’altro codice, di nuovo intervengono – poiché descrivere, dare il significato, non basta – quei livelli sopra-segmentali, di suono ritmo archi- tettura verbale, che si delineavano all’inizio. Comprese alcune rime, si sentirà spe- ro, mai in sé rifiutate purché spontanee (e non mai in schema baciato) (14). La struttura della lingua, attraverso tutti i livelli percepibili, prevale sempre con le sue capacità espressive, ove il contenuto esplicito non sarebbe convincente ab- bastanza. Una struttura che bisogna sfruttare fino in fondo, fino ai limiti estremi di “grammaticalità” – e comunque di possibile ricezione – del codice nel testo

l’estremo opposto i calchi di Pézard: “Si puisse le flambeau...”, “et – si puissé-je au ciel mon- ter...”, purtroppo quasi incomprensibili oggi. (13) Cfr. adesso mia ed. e trad. D. A., La Comédie – Paradis, Imprimerie Nationale / Actes Sud, 2007, ad es. pp. 8-9. (14) Vedi: voisines :: affine, o s’honore :: encore, tête :: arrête, ecc. (ma anche quasirime: re- couche :: enfourche...), come ho cercato di puntualizzare nella riproduzione finale. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 224

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Fig. 3 - Castelnuovo Magra, il castello, già castrum vescovile.

destinatario. E qui, anche il maestro Pézard ha avuto la mano forse troppo leg- gera, quando propone te restera parmi le chef clouée à plus forts clous que paroles d’autrui,

con un “parmi” quasi dispersivo, non penetrativo se così posso dire, e uno “chef” che riprende il «capo» di prima, visto sopra, mentre in questa occorrenza Dante diceva «testa». Donde il mio ne te soit clouée bien au fond de la tête par des clous plus forts que les dires d’autrui,

credo più brusco (si noti anche “les dires”, meno forbito di “paroles” che – per chi non sapesse nulla di francese – è solo un corrispondente possibile di “parole”; ma, qui: «sermone»; accanto al comune più scorrevole “mots”), quindi a parer mio, più adatto al tono fortemente suggestivo dell’originale. E, se è consentita questa bre- ve parentesi, ben intonato al documento stesso della pace di Castelnuovo (fig. 3), enfatizzante (ma ad opera del diavolo) le “homicidia, vulnera, caedes, incendia, vasta damna et pericula plurima...” precedenti (15).

(15) Cit. in: Dante in Lunigiana (a c. di V. DA MILANO), Sarzana 1966. Vedi anche Enciclope- dia Dantesca, s.v. “Malaspina”. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 225

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Per finire, sul versante politico del testo, le virtù che Dante personaggio ap- prezza di più, e riconosce qui al casato Malaspina, sono tutte letteralmente vòlte all’indietro, con lo sguardo storico al quale ci ha abituati secoli dopo un Benjamin; ma anche – e non è stato forse notato abbastanza – verso riflessioni in corso, che l’intellettuale Dante andava approfondendo in quell’epoca, alla grossa, nel Mo- narchia. Quando accenna alla fama dei Malaspina «per tutta Europa» (v. 123), sia- mo già nella visuale transnazionale del trattato, già stimata sei secoli più in qua da un Piero Gobetti in procinto di esulare in Francia, fra i primi fuoriusciti antifa- scisti ancora uniti (e si pensa alla Universitas alborum di Dante). E non a caso, riallacciandomi alla citazione data in epigrafe (dal Convivio), l’ombra dell’esilio appanna tutto il canto, a partire da quel suono di «squilla di lontano» per il «novo peregrin» dell’incipit. E di questa nostalgia di lontananza si ricorderà si- curamente il Pascoli; di rimbalzo, Gobetti ancora (16). Ma, tornando alle qualità riconosciute ai marchesi di Villafranca, il «pregio de la borsa e de la spada» (v. 129), loro virtù principale di magnanimità anche nei confronti di trovatori come lo stesso Sordello (17), è invero quasi un leit-motiv – anche questo nostalgico, se così possiamo dire, pensando al viaggio nel tempo e nello spazio (o ultra-spa- zio) – che attraversa tutta la Commedia, con speranza di ritorno. Anche fra i dannati, «cortesia e valor» (Inf. XVI, 67) invocati da Iacopo Rusticucci conser- vano il prezzo che hanno, con termini identici, nel Purgatorio «valore e cortesia» in chiasmo (XVI, 116). Proprio di Iacopo Rusticucci, e d’altri «che fuor sì degni» si preoccupa Dante al primo incontro con un conoscente nell’aldilà, il fiorentino Ciacco (canto VI): come se, d’acchito, volesse stabilire una chiara distinzione tra coloro che hanno cercato il «ben far» civile, pur meritando dannazione o soggiorno purgatoriale, e chi si è compromesso solo per il proprio interesse pri- vato (18), il particulare come dirà poi Guicciardini, ecc. Quei termini non pre- sentano nessun problema traduttivo; eppure, in Pézard troviamo rispettivamen- te “vaillantise et courtoisie” e “vaillance et courtoisie”, in ordine parallelo forse banalizzante. Comunque, il valore vero non corrisponde sempre alla «no- biltà di sangue» che troviamo in un altro canto sedicesimo ancora (chissà quanto anodina, nella intentio auctoris, codesta coincidenza numerica), ossia durante la deprecazione del trisavolo Cacciaguida, secondo l’antico ubi sunt: ed è sempre di tipo comunale primitivo, o cavalleresco. Si pensi anche al «ben richesto al vero e al trastullo» di Purg. XIV, alla virtù messa «in non curar d’argento né d’affanni» (Par. XVII, 84), alla «baldezza e leggiadria» di Par. XXXII (cioè quasi alla fine dell’opera). Ed è come se, dal fondo infernale fino alla soglia della beatitudine

(16) Si veda ad es. E. BUFACCHI, Il mito di Dante nel pensiero di Gobetti, Firenze, Le Monnier (Quad. d. Nuova Antologia), 1994. (17) Manca però la prova di un soggiorno dell’Alighieri presso il magnanimo Franceschino, a Mulazzo. (18) Cfr. M. MARIETTI, Dante, la cité infernale, Paris, PSN, 2003, p. 54 ss. (e mia recensione in Dante I, 2004), di prossima traduzione in italiano. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 226

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estrema, nulla cambiasse per quanto riguarda gli impegni terreni assunti e mani- festati in vita dal poeta. Giustamente Pézard osservava:

Il est curieux de voir Dante, vers la fin du Paradis, revenir au vocabulaire des troubadours et dicitori d’amore. Comparer “[e qui cita un ipotetico «battaglia o sbaldore» del medesimo cam- po semantico, in un sonetto più spesso attribuito a Dante da Maiano]”.

In ciò, come ben vedeva D’Arco S. Avalle nell’ormai classico Ai luoghi di de- lizia pieni, Dante – e parte degli ambienti dello stil nuovo – erano anzi più at- taccati ai codici antichi, amorosi, culturali e sociali in genere, dello stesso André Le Chapelain sempre invocato. Né forse sarebbe da escludere un più pacifico adattamento al contesto me- dievale toscano del classico binomio conveniente e dignitoso (publicum) nego- tium / otium, per categorie di cittadini già all’epoca di Dante in via di estinzio- ne. Anche papa Adriano V, in Purg. XIX, nominando la nipote Alagia (andata poi sposa a Moroello il giovane) temeva già per l’avvenire della sua “casa” (v. 143). Ma qui, meglio ci affideremo ormai agli storici che devono intervenire. Credo con ciò, sperando di non avere annoiato nessuno (anche se forse scarso fin qui di “trastullo” vero), che possiamo a nostra volta avviarci all’otium, anzi al litteratum otium di una gradevole lettura...

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APPENDICE 227

APPENDICE

... [ ... «Sus, Currado! viens voir ce que Dieu, par grâce, a voulu faire.» ... ] (VV. 65-66)

«L’ombra che s’era al giudice raccolta...» L’ombre, qui s’était avancée près du juge, appelée par lui, durant tout cet assaut ne détacha point de moi ses regards. «Puisse la lampe qui là-haut te mène trouver dans ta volonté autant de cire qu’il en faut pour monter au suprême émail, commença-t-elle; et si quelque vraie nouvelle de Val di Magra ou de terres voisines tu sais, dis-les-moi, car j’y étais grand. Mon nom fut Currado Malaspina; non pas l’Ancien, mais de lui je descendais. J’eus pour les miens l’amour qu’ici l’on affine.» «Oh, lui dis-je, je ne suis jamais allé par vos contrées, mais y a-t-il en Europe un endroit où elles ne soient connues? Le renom dont votre maison s’honore fait connaître ses seigneurs et la région, tant que sait cela qui n’y fut pas encore; et si je vais – puissé-je – au ciel, je vous jure que votre noble lignée ne démérite en rien des vertus de bourse et d’épée. Par us et par nature elle est si ferme que, le monde a beau tordre le chef au mal, seule elle va droit, loin des mauvais chemins.» Et lui: «Donc, va. Le soleil ne se recouche pas sept fois au long du lit que le Bélier avec ses quatre pieds couvre et enfourche, sans que cette courtoise opinion tienne ne te soit clouée bien au fond de la tête par des clous plus forts que les dires d’autrui, si le cours des décrets d’en haut ne s’arrête.»

[leggenda: rime (/interne); assonanze (/quasi-rime)] La Comédie, t. II (Purgatoire); ch. VIII, vv. 109-139 (tr. J.-Ch. Vegliante, ed. Imprimerie Nationale, 1999, pp. 107-109) Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 228 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 229

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DANTE SI È FERMATO A GENOVA: DUE PROSPETTIVE SULLA DANTOLOGIA AMERICANA

L’esilio, tema fondamentale per tante pagine del poema dantesco e realtà bio- grafica del poeta-ambasciatore e paciere dei Malaspina la cui presenza in questa zona ricordiamo con questa giornata di lavoro, è motore sia del romanzo cui si rifà il mio titolo sia della figura del confinato. Con la ripresa del romanzo di Levi spe- ro di gettare la base di un discorso riguardante l’esilio all’interno del proprio paese, una forma di prigionia che impone un’operazione che ricorda precisamente i versi di Robert Frost i quali giocano sul doppio taglio dell’uso verbale in inglese di «wall in» e «wall out», cioè «murare per tenere qualcuno/qualcosa all’inter- no» / «murare per tenere qualcuno/qualcosa all’esterno», se non più semplice- mente: «chiudere dentro» / «chiudere fuori». Mi riferisco all’altro testo-compagno di queste mie riflessioni sull’argomento chiestoci dai colleghi-organizzatori del congresso, la poesia Mending Wall (Aggiustare il muro), e dei tre versi che ver- tono sul concetto del verbo in inglese che comunica l’esclusione e la perdita: «Pri- ma di costruire un muro vorrei sapere / cosa chiudo dentro e cosa fuori / e a chi forse avrei recato offesa». Inoltre confesso che la scelta di questi versi, lettura ti- pica degli anni liceali in America, come testo parallelo per le mie osservazioni sul- la dantologia americana è da più punti di vista personale. Per me, essere un dantista americano che studia argomenti come le forme grafiche delle prime edizioni delle rime del gran poeta, o gli interventi editoriali di Boccaccio nella Vita nova, o le varianti della Comedìa, significa un doppio esilio impostomi dagli Americani, che leggono malvolentieri gli studi filologici tout court, e dagli Italiani, che leggono con la stessa riluttanza gli studi america- ni forse perché, quando in inglese, non si prestano linguisticamente, quando in italiano, innescano questioni di natura accademico-politica; ulteriore motivo per la scarsa bibliografia statunitense negli studi danteschi in Italia: gli Americani ten- dono a non servirsi dell’apparato filologico-testuale. Ci sono i soliti studiosi di una grande tradizione di vecchio stampo, basti guardare alle tre figure america- ne tipicamente importate in Italia e tradotte in italiano: Singleton, Freccero, e Hol- lander, i quali tutti s’occupano dell’interpretazione allegorica e nessuno dei qua- li, che io sappia, ha scritto un saggio in italiano. Il mio parti pris, invece, non risiede né dalla parte italiana né da quella americana, se non, forse, dalle parti concet- tuali delle isole nel mezzo dell’Atlantico e, fisicamente, sulla piccola isola di Bloo- mington Indiana nel Midwest statunitense, dove seguo gli studi di giovani filolo- gi americani e italiani e li mando poi per il mondo a studiare codici e la filologia materiale. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 230

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È molto probabile che Dante non si sia mai fermato a Genova, che resta invece per il nostro discorso un porto simbolico da cui il Dante ottocentesco sarebbe partito per andare fra studiosi americani e dif- ficilmente sarebbe tornato (fig. 1). Questa prospettiva è la prima che consideriamo oggi, cioè l’ottica americana sulla dantologia ameri- cana, per cui ormai Dante, non più exul inmeritus, ha preso il pas- saporto statunitense e viaggia poco fuori dai confini del paese adotta- to. All’interno di queste attività ame- ricano-dantesche, però, ruotano mondi paralleli, quasi scientifica- mente determinati nel loro ope- rare indipendentemente, senza mai toccare i confini l’uno dell’altro. Nel 2000 a New York la Società Dan- Fig. 1 - Dante Gabriele Rossetti, Ritratto di Dante (da tesca Americana, fondata ufficial- La Vita Nova di Dante Alighieri, Dantis Amatorum mente nel 1881 sulle orme delle at- editio, Torino 1921, collezione Massimo Battolla). tività del cosiddetto “Dante Club” di Henry Longfellow, James Lowell, e J. T. Fields, ha tenuto il primo congresso con l’argomento che poi è diventato il titolo del volume curato da me e dalla collega e studiosa americana Teodolinda Barolini: «Dante per il nuovo millennio» (1). Questo convegno a cui hanno par- tecipato anche studiosi che non appartengono al mondo americano (Guglielmo Gorni, Piero Boitani, Zygmunt Baranski, e Michelangelo Picone) doveva essere, almeno nelle speranze degli organizzatori, un resoconto delle tendenze e del fu- turo degli studi danteschi in America. Sin dall’inizio sapevamo, la Barolini ed io, che il processo di curare venticinque saggi rappresentativi della “dantologia ame- ricana” avrebbe costituito un’impresa particolare. I tempi della pubblicazione di atti congressuali sono già solitamente lunghi, ma volevamo che nel nostro volu- me gli autori tenessero conto sia delle conclusioni dei dibattiti svolti nelle gior- nate di studio, che di eventuali ulteriori elaborazioni e aggiornamenti bibliogra- fici affiorati durante il processo di revisione e riscrittura dei saggi al fine di integrare i “risultati” emersi dal congresso e dagli anni successivi. Confesso che la Barolini

(1) Dante for the New Millennium, a cura di T. BAROLINI e H. W. STOREY, New York, Fordham University Press, 2003. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 231

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ed io eravamo pronti a mettere insieme un volume in cui almeno un saggio si sa- rebbe rifatto alle origini allegoriche in base alla critica tradizionale americana, mettendo in evidenza le origini proprio dell’ “uso” di Dante in America. Vero è che già nel 2000, fra le pagine di «Dante Studies», Giuseppe Mazzotta aveva rintrac- ciato magistralmente la prima storia della “dantologia pratica” in America fra i predicatori protestanti della New England di Longfellow (2). Sorprendentemen- te i saggi che ci sono arrivati hanno quasi del tutto abbandonato il terreno critico di Singleton e Freccero per nuovi campi d’indagine che caratterizzano la danto- logia della fine del ventesimo secolo e, possibilmente, del futuro americano; così sono presenti l’analisi in base al “gender”, la narratologia, l’approccio stori- co, e diverse tematiche storiche e pure la filologia, ma poco Singleton, che, in un volume di quasi cinquecento pagine, note in calce incluse, viene citato solo tre vol- te in due saggi, per non dire di Freccero, che viene citato solo una volta come cor- diale tributo. Se contiamo le citazioni critiche, sono molto più presenti Barbi e Contini fra i punti di riferimento degli studiosi americani. Se Dante for the New Millennium giustamente rispecchia per lo meno l’at- tualità della dantologia americana, e credo che i venticinque saggi di vari danti- sti e l’introduzione della Barolini siano prova tangibile di questa conclusione, bi- sogna a questo punto chiedersi come stia cambiando lo studio di Dante dall’altra parte del mondo: prima di tutto, è necessario accettare il fatto che non esiste più solo una dantologia americana. E non è che non ci siano maestri per ognuna di queste diverse “dantologie” e autorità di un certo spicco, mi riferisco alla Baroli- ni stessa, al sopracitato Mazzotta, e a Christopher Kleinhenz, per menzionarne solo tre che rappresentano tendenze critiche profondamente diverse fra loro fino al punto che se si occupassero della stessa terzina della Comedìa, ci troveremmo davanti a tre letture culturalmente e metodologicamente diverse e di varia am- piezza. Inoltre la dantologia americana, che una volta si occupava quasi esclusi- vamente del poema, ormai si è rivolta a considerare le cosiddette “opere minori”, dalle rime – di cui aspettiamo prossimamente un commento in italiano della Ba- rolini – e la Vita nova al Convivio, e alla Monarchia, e sempre con diversi orien- tamenti critici (3). Questi sintomi di un nuovo intellettualismo applicato a Dante si rintracciano abbondantemente nel volume Dante for the New Millennium, tan- to che la Barolini ed io abbiamo subito dovuto affrontare quello che a mio pare- re ne è l’aspetto più notevole, il fatto, cioè, che ormai non si possa più parlare di una singola bibliografia dantesca condivisa dai dantisti amercani. Avevamo già deciso di dividere i venticinque saggi in sei gruppi che per noi rispecchiavano gros- so modo i diversi scopi metodologici degli studiosi che hanno partecipato al vo- lume, sottolineandone inoltre la molteplicità tramite la formulazione grammati-

(2) G. MAZZOTTA, Reflections on Dante Studies in America, in «Dante Studies», CXVIII (2000), pp. 323–330. (3) Le rime di Dante, commentate da T. BAROLINI, Milano, Rizzoli (il primo volume uscirà nel 2009). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 232

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cale al plurale, che stonerà all’orecchio italiano, all’interno di ogni categoria: 1. Fi- lologie, 2. Appetiti, 3. Filosofie, 4. Ricezioni, 5. Storie, 6. Riscritture. Non ci do- vrebbe sorprendere, questa interdisciplinarietà, dal momento che la produzione dantesca ha da sempre attirato studiosi delle discipline più varie per indagare “Dante teologo-filosofo”, “Dante cultore delle arti”, “Dante storico della lingua”, e, se pensiamo all’Ottocento francese, pure “Dante eretico, rivoluzionario e so- cialista” (4). Però la grande sorpresa anche per noi curatori è stata il fatto che, di sezione in sezione, si sono rinvenute davvero pochissime ripetizioni di opere ci- tate. Ormai i diversi interessi settoriali della dantologia americana costituiscono – come dicevo prima – mondi, se non universi indipendenti che quasi non comu- nicano fra loro. Quindi di fronte a sei dantologie diverse in venticinque saggi ab- biamo preso la decisione di organizzare sei liste bibliografiche ognuna delle qua- li avrebbe definito, se vogliamo, raggruppamenti o dantologie particolari. E a dire il vero, ci sono state poche recensioni del volume che non abbiano messo in ri- lievo questa decisione editoriale. Ci sono senz’altro numerose osservazioni utili che emergono da diverse analisi di quelle sei liste bibliografiche. La prima e forse più notevole è proprio la presa di coscienza del fatto che possiamo parlare di “dan- tologie parallele”, cioè i dantisti americani tendono a leggere e citare solo gli studi “di settore” all’interno – per esempio – di argomenti filosofici o storico-let- terari. Questa tendenza di dantisti americani a non consultare studi filologici, a non tener conto di aggiornamenti testuali di nuove edizioni, risulta piuttosto ano- mala quando viene paragonata all’ampia consultazione bibliografica fra i soci di altre società americane dedicate a singoli autori, come la Jane Austen Society o la Keats–Shelley Society, le cui attività ecdotiche ne sono il midollo critico. Le li- ste bibliografiche di Dante for the New Millennium meritano un secondo com- mento generale: all’interno di ogni repertorio bibliografico si fa un largo uso di fonti interdisciplinari che rispecchia da una parte forse una forma mentis meno ortodossa e dall’altra un’apertura critica, una disposizione all’innovazione meto- dologica, una tendenza all’applicazione interdisciplinare non tanto diversa dal- l’importazione, in passato, della logica matematica nei Principî di critica testuale di Avalle o della linguistica analitica nella Semiotica filologica di Segre (5), per cui nessuno dovrebbe meravigliarsi se dalle parti del Midwest americano le que- stioni di auto-autorità dello psicanalista proposte da Adam Phillips (1992) ven- gono applicate alla nozione del iudicium del critico testuale (6).

(4) Per quest’ultimo si tratta ovviamente del saggio di E. AROUX, Dante, hérétique, révolution- naire et socialiste, Parigi, J. Renouard, 1854. (5) Mi rifaccio ai singolari e importantissimi studi di D’A. S. AVALLE, Principî di critica testua- le, Padova, Antenore, 19782; e di C. SEGRE, La semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Torino, Einaudi, 1979. (6) Ancora fondamentale la definizione di Phillips dell’ “autorità” del terapeuta in quanto simi- le all’equilibrio fra l’iudicium del filologo-curatore del testo e la sua profonda sensibilità alla va- riante che offre nuove prospettive linguistico-culturali. Secondo Phillips lo psicanalista è «profes- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 233

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Preoccupante rimane a mio avviso, per quanto riguarda la dantologia ameri- cana nel suo insieme, il settore testuale. Mi spiego. La larga diffusione di Dante negli USA si effettua particolarmente tramite una vivace produzione e distribu- zione di testi danteschi tradotti in inglese; si tratta anche di opere affini o di inte- resse dantesco. La pubblicazione e fortuna della traduzione in inglese (1986) della Cronica di Dino Compagni presso una casa editrice importante come quel- la dell’Università della Pennsylvania dipende molto da una narrativa che raccon- ta la Firenze prima e subito dopo l’esilio di Dante (7). Il pubblico americano si con- cede di passare attraverso le lunghe liste di nomi di famiglie fiorentine e di esuli per arrivare alle invettive dantesche di Dino contro la follia fiorentina, se non al nome di Dante stesso. E di ognuna delle opere di Dante ci sono traduzioni a di- sposizione, perfino della Quaestio de aqua et terra. Qualsiasi libreria nei paesi più sperduti degli USA mette in vendita da tre a dodici traduzioni della Divine Co- medy. Ma poche indicano il testo di base della traduzione, e ancora meno – for- se tre – offrono il testo originale a fronte. Ancora più notevole è l’uso fra studiosi di citare un brano dantesco senza notarvi l’edizione. E mi ricordo bene di uno stu- dioso anglofono che in un saggio per «Dante Studies» citava tranquillamente Pur- gatorio 31.60 «o altra vanità con sì breve uso» (lectio Vandelli) per poi riportare qualche frase dopo lo stesso verso – ma con scopi d’interpretazione diversi – da un’edizione diversa, ignorando la variante: «o altra novità con sì breve uso» (ed. Petrocchi). Come responsabile delle questioni testuali per Dante for the New Mil- lennium, un paio di volte ho dovuto rintracciare l’edizione della Comedìa citata in uno dei saggi del volume perché lo studioso non se ne ricordava. Certi colla- boratori volevano che ci fosse un’unica edizione di riferimento per tutti i saggi, ma all’interno di certi interventi trovavo citazioni dalla Commedia di Petrocchi abbinate alle traduzioni di John Sinclair, il quale però aveva utilizzato l’edizione di Vandelli–Scartazzini come testo di base. Alla fine abbiamo preso la decisione di incoraggiare confronti fra più edizioni delle opere di Dante. Sta il fatto, però, che in un periodo in cui il testo dantesco – dalle Rime alla Vita nova, al Convi- vio e alla Comedìa stessa – si trova nuovamente in discussione (e non solo dal re- sponsabile della casa editrice Salerno ma da diversi studiosi internazionali), il rap- porto fra critica letteraria e filologia in America – sito perfetto, per esempio, per la discussione sulla traduzione – è in crisi.

sionista che nutre la propria competenza nel resistere alla propria autorità […] e che ha sempre l’orecchio attento alla voce di dissenso», si vd. A. PHILLIPS, Terrors and Experts, Cambridge, Harvard University Press, 1995, pp. XV–XVI. Cfr. H. W. STOREY, A Question of Punctuation and ‘ear[s] for dissenting voices’. Introduction to «Textual Cultures» 1.2, in «Textual Cultures», 1.2 (2006), pp. 1-5; e ID., Interpretative Mechanisms in the Textual Cultures of Scholarly Editing, in «Textual Cul- tures», 4.1 (2009), i.c.s. (7) DINO COMPAGNI, The Florentine Chronicles, traduzione e note a cura di D. BORNSTEIN, Phila- delphia, University of Pennsylvania Press, 1986. È notevole che sia ancora in vendita il testo pub- blicato nel 1986. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 234

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D’altra parte, le dantologie ame- ricane permettono anche lo svi- luppo di scuole di filologia ita- liana e dantesca all’interno di un sistema di specializzazioni una volta impensabili. I contributi di John Ahern (Vassar College) e di Dario Del Puppo (Trinity Colle- ge) alla conoscenza di tradizio- ni codicologiche e materiali del- la produzione due- e trecentesca hanno già trasformato il campo della Filologia materiale stu- diata negli States, integrando pro- spettive interdisciplinari e, oso dire, affrontando l’interpreta- zione in funzione dell’ecdotica. Ma questa nuova generazione di filologi non lavora isolata fra i codici delle biblioteche ameri- cane. Anzi, c’è una fortissima sin- tonia collaborativa con studio- si in Italia, Francia, Germania e Inghilterra nello svolgimento di Fig. 2 - La Spezia, frammento membranaceo della Com- attività di sorprendente impor- media, utilizzato per la copertura di un protocollo notari- tanza per gli studi danteschi e per le cinquecentesco, già presso l’Archivio Notarile Distret- tuale di Sarzana, particolare (da Frammento di un codice quelli riguardanti l’imprenditore della Divina Commedia .... pubblicato per Roberto Pao- trecentesco delle opere e della letti, Sarzana 1890). fama di Dante, Giovanni Boc- caccio. Ironicamente, i filologi americani specializzati nel campo del Due-Trecento italiano sono più isolati al- l’interno delle stesse dantologie americane, quelle praticate ad università che di- stano pochi chilometri tra loro, che non nel confronto con colleghi italiani che stu- diano i codici negli archivi di Verona, Milano, La Spezia e Venezia (fig. 2). Per quel gruppo di studiosi americani che si occupano particolarmente della materialità dei testi danteschi Dante non ha ottenuto il passaporto americano e non si fer- ma a Genova, ma viaggia per il mondo, come viaggiava di luogo in luogo dopo il 1302, e come ci hanno recentemente dimostrato gli studiosi che hanno contribuito al volume di studi e ricerche per il codice “Bud” della Comedìa, cioè Italicus 1 del- la Biblioteca Universitaria di Budapest (8).

(8) Dante Alighieri, Commedia. Biblioteca Universitaria di Budapest codex italicus 1, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 235

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La seconda e, direi, indispensabile prospettiva sulla dantologia americana viene, senz’altro, dall’Italia, un paese ormai in transizione per quanto riguarda lo studio di Dante, il sistema universita- rio, gli organi di diffusione culturale. E qui mi permetterò qualche riflessione di natura autobiografica su una “vita italia- na” che risale al mio primo soggiorno in Italia nel 1969. La mia formazione filo- logica e codicologica è cominciata negli anni ’70 all’Università di Firenze sotto la guida di Mazzoni, Avalle, Casamassi- ma, Ghinassi, Mosiici, quando mi rin- chiudevo nella Biblioteca Laurenziana a studiare codici universitari del Due- Tre- cento perché c’erano scioperi studente- schi all’Università. Non ho mai studiato Dante in un’aula che non fosse italiana. Le mie numerose collaborazioni con col- leghi italiani si sono sviluppate in amici- zie che durano ancora. Mi sento più a mio agio alla Biblioteca Vaticana che alla New Fig. 3 - Castelnuovo Magra, sala consiliare, espo- sizione dei bifogli del protocollo notarile conte- York Public Library, precisamente per- nente l’instrumentum pacis del 1306 di cui, per ché da più di trentacinque anni l’Italia mi procura dei marchesi Malaspina, Dante fu uno ospita e mi forma intellettualmente, degli autori giuridici. pur non essendo io italiano. Nonostante questa esperienza, nei saggi che leggo, in qualsiasi lingua essi siano, mi incurio- sisce molto l’uso del possessivo “nostro”, e mi confonde ancora di più nel conte- sto dello studio di una figura come Dante, che molti chiamano “nostro” quando in realtà forse nessuno dovrebbe “impossessarsi” del gran poeta esiliato ed itine- rante per tanti anni se non nel moltiplicarsi del “bene diviso” proposto da Virgi- lio a Dante nel XV del Purgatorio («ché, per quanti si dice più lì “nostro”, / tanto possiede più di ben ciascuno») (9). Solo la vera ospitalità, come quella che ha tro- vato in Lunigiana o a Verona (fig. 3), può permettere di pronunciarlo “nostro”, per- ché espleta un uso “transitorio” del possessivo. Nel 1985 Giorgio Chiarini ha mes- so in risalto lo sperimentalismo metodologico dell’edizione delle rime di Jaufrè

vol. 1: Riproduzione fotografica; vol. 2: Studi e ricerche, a cura di G. P. MARCHI and J. PÁL, Verona, Grafiche SiZ, 2006; vd. H. W. STOREY, rec. su «Textual Cultures», 3.1 (2008), pp. 85–91. (9) Cito i versi 55–56 da Dantis Alagherii, Comedia, edizione critica, per cura di F. SANGUINE- TI, Tavarnuzze–Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001, tenendo ben conto del quanto preferito da Fo- scolo (ed. del 1842–1843). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 236

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Rudel curata dall’americano Ruppert Pickens, notando l’«impostazione metodo- logica manifestamente diversa dalla nostra, il che non impedisce che il libro del Pickens risulti assai utile, anche a chi non ne condivide l’impianto teorico» (10). Di sicuro Chiarini si dimostra aperto alle innovazioni utili di Pickens, ma la me- todologia di riferimento, cioè ‘nostra’, mi sfugge: di noi Occitani? di noi non-Ame- ricani? Mi permetto ancora una citazione che non riguarda direttamente la critica dantesca ma che rispecchia ampiamente un àmbito di lavoro che condiziona an- che la prospettiva degli studi danteschi in Italia rispetto alla dantologia eseguita fuori dall’Italia. Sono parole del sopracitato Cesare Segre che commentano le ten- denze filologiche della cerchia, piuttosto sfortunata, dei New Philologists ameri- cani: [...] mi permetto di esortarvi a essere sempre consapevoli dell’origine e della finalità della no- stra disciplina, pronti a sviluppi ulteriori ma non a un rinnegamento che si capisce soltanto [...] in paesi estranei alla nostra storia linguistica e culturale [...]» (11).

In realtà benché si possano dividere le attività della dantologia americana in sei campi indipendenti, nella prospettiva di collaboratori veri e propri non ci sono “paesi estranei” nel discorso degli studi danteschi; e la nuova responsabilità del- l’Italia, esemplare nella recente appendice bibliografica dell’edizione della Co- medìa curata da Federico Sanguineti, è di ospitare gli studi internazionali sull’exul inmeritus (12). È gravoso, questo incarico intellettuale: la filologia dantesca, per esempio, coinvolge per forza anche gli studi su poeti come Guittone d’Arezzo e Monte Andrea da Firenze, due figure che hanno accumulato una ricca bibliogra- fia sia in inglese che in italiano. Il patrimonio dantesco di una cultura di esilio si replica di continuo nei contributi su poeti come T. S. Eliot, Derek Walcott, e sul- l’irlandese Seamus Heaney, studiato in italiano dall’americano Anthony Oldcorn fra le pagine di Letture classensi (1989) (13). Ormai fra gli strumenti del filologo dantesco – che da sempre includono lingue quali il latino, il francese, l’occitanico medievale, e il tedesco – si deve trovare un inglese tutt’altro che “commerciale”: la filologia dantesca si fa anche in inglese. È un dato di fatto pienamente compiuto nella magistrale edizione delle Rime di Dante (2002) curata da Domenico De Robertis. E il dibattito su quest’edizione, iniziato dalla Barolini, ha subito trova- to posto fra le pagine di Lettere Italiane (14). Nel 2008, il volume CXXIV (per l’an-

(10) Si vd. Il canzoniere di Jaufre Rudel, a cura di G. CHIARINI, L’Aquila, Japadre, 1985, p. 49; il corsivo è mio. (11) Le osservazioni sono riportate nella Premessa alla tavola rotonda “Filologia romanza e comparatistica” del volume Le letterature romanze del Medioevo: testi, storia, intersezioni. Atti del V Convegno nazionale della Società Italiana di Filologia Romanza (Roma, 23–25 ottobre 1997), a cura di A. PIOLETTI, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, 2000, p. 315. (12) Senz’altro mi riferisco al volume Dantis Alagherii, Comedia. Appendice bibliografica 1988–2000, a cura di F. SANGUINETI, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005. (13) Si vd. il contributo di A. OLDCORN, Approssimazioni e incontri: il dantismo di Seamus Heaney, in «Letture Classensi», XVIII (1989), pp. 261–284. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 237

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nata 2006) di «Dante Studies», la rivista della Società Dantesca Americana pub- blicata dalla Fordham University Press a New York, ospita per la prima volta nella sua storia, una raccolta di studi danteschi tutti in italiano ma scritti da stu- diosi di quattro paesi diversi: Italia, Francia, Irlanda, e Stati Uniti (15). Di ulterio- re interesse per questo congresso, il volume ospita due saggi, l’uno di un italiano e l’altro di un americano, che gettano basi molto più sicure a riprova dell’autenti- cità della lettera di frate Ilaro — un’importante testimonianza della circolazione di una prima forma della Comedìa nella Lunigiana dei Malaspina — correggen- do una volta per sempre la proposta, accettata e diffusa fra le pagine della rivista «Studi danteschi» negli anni ’40, di un Boccaccio falsificatore di documenti dan- teschi e un frate Ilaro strumentalizzato, lo stesso frate che per un altro americano dell’Ottocento, Henry Longfellow — tutt’altro che ignorante della controversia che riguardava la lettera —, figurava al nucleo della tensione dantesca alla pace in una citazione dell’epistola (16).

(14) Si vd. Dante Alighieri, Rime, a cura di D. DE ROBERTIS, 3 voll. in 5 tomi, Firenze, Le Lette- re, 2002; e di T. BAROLINI, Editing Dante’s Lyrics and Italian Cultural History: Dante, Boccaccio, Petrarca … Barbi, Contini, Foster–Boyde, De Robertis, in «Lettere Italiane», LVI (2004), pp. 509- 542 (ormai rist. in Dante and the Origins of Italian Literary Culture, New York, Fordham Univer- sity Press, 2006, pp. 245-278). Cf. H. W. STOREY, Interpretative Mechanisms, cit. (15) Si vd. «Dante Studies», CXXIV, 2006, numero curato da Michelangelo ZACCARELLO e H. Way- ne STOREY, e che riporta molti dei contributi del congresso del 2006 tenuto a Pontremoli e Mulazzo, 25–27 maggio, «“La fama che la vostra casa onora”: la Lunigiana e i Malaspina nella biografia e nel- l’opera di Dante Alighieri a 700 anni dal soggiorno lunigianese (1306–2006)». (16) In realtà già nel periodo fra il 1824 e il 1845, l’anno della pubblicazione del Belfry of Bruges and Other Poems di Longfellow, in cui appare il sonetto Dante (scritto fra il 1842 e il 1845), si svi- luppa un dibattito sull’autenticità della lettera fra Karl WITTE (1824: Ueber das Missverständniss Dantes, in «Hermes», XXII) e Carlo TROYA (1826: Del veltro allegorico di Dante, Firenze, Molini), a cui parteciperanno anche Saverio BALDACCHINI (1840: De’ presenti studii danteschi in Italia e particolarmente intorno ai dubbii mossi da alcuni sull’autenticità della lettera di frate Ilario del Corvo, discorso, pubblicato la prima volta nel Museo di scienze e di letteratura in agosto del- l’anno 1840), e Luigi MUZZI (1845: Tre epistole latine di Dante Allighieri restituite a più vera le- zione, Prato, Giachetti), che Longfellow avrebbe potuto seguire. Però Longfellow avrebbe letto il te- sto della lettera, pubblicato solo nel Settecento, sia nel volume dedicato alle opere di Ambrogio Traversari (la Praefatio delle Latinae epistolae, a cura di L. MEHUS, Firenze, Caesario, 1759, pp. CCCXXI–CCCXXII) che nel secondo volume di Preparazione istorica e critica alla nuova edizio- ne di Dante Allighieri, a cura di G. J. DIONISI (Verona, [senza indicazioni dello stampatore,] 1805, pp. 209–212), se non fra le pagine del libro di TROYA, Del veltro allegorico, cit., pp. 357–362. Fra le incer- tezze più recenti sull’autenticità della lettera riportata a c. 67r dello Zibaldone di Boccaccio, cod. Laurenziano XXIX 8, Giuseppe BILLANOVICH ha codificato il dubbio, proponendo una falsificazione da parte di Boccaccio nel saggio La leggenda dantesca del Boccaccio: Dalla lettera di Ilaro al Trattatello in laude di Dante, in «Studi danteschi», XXVIII (1949), pp. 45–144 (cfr. anche S. BELLO- MO, Il sorriso di Ilaro e la prima redazione in latino della commedia, in «Studi sul Boccaccio», XXXII [2004], pp. 201–232), una proposta messa in dubbio, se non respinta del tutto, fra le pagine di Giorgio PADOAN (Il lungo cammino del «poema sacro»: studi danteschi, Firenze, Olschki, 1993, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 238

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Methinks I see thee stand with pallid cheeks By Fra Hilario in his diocese, As up the convent-walls, in gold streaks, The ascending sunbeams mark the day’s decrease; And, as he asks what there the stranger seeks, Thy voice along the cloister whispers “Peace!” (17)

Credo di vederti lì, con pallide guance, vicino a fra Ilaro, nella sua diocesi, mentre sui muri del convento, in strisce d’oro, i raggi ascendenti del sole segnano il calar del giorno; e quando chiede cosa vi cerca il pellegrino, la tua voce per il chiostro sussurra: “pace”.

Sì, è gravosa questa nuova responsabilità italiana dell’ospitalità internazio- nale, ma rimane l’unico modo di rendere il poeta esiliato davvero “nostro”, con un gesto che accoglie ed integra il mondo degli studi danteschi. Basta risalire al grande appello di Michele Barbi nel «Giornale dantesco» del 1893, quando esorta gli Italiani ad occuparsi delle edizioni di Dante, per capire un “nostro” diverso con cui il maestro della prima Nuova Filologia raccomandava la cura più basilare e filologicamente precisa del patrimonio che giaceva sia nel- le biblioteche d’Italia che in quelle all’estero, un’esortazione ad ospitare un Dan- te più testualmente “corretto” (18). Ricordiamo subito che il libro di Barbi del 1938 è intitolato La Nuova Filologia e l’edizione dei nostri scrittori da Dante al Man- zoni, ma non si tratta di un possessivo che esclude il contributo da fuori, che non permette a Dante qualche viaggio oltre al porto di Genova. Concludo riprendendo non il romanzo di Carlo Levi ma il muro di Robert Fro- st con cui abbiamo cominciato, perché all’interno di questa poesia troviamo la scintilla di una soluzione positiva alle divisioni che separano ancora i vari campi

pp. 5–123), di Emilio PASQUINI (Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Milano, Mon- dadori, 2001, pp. 122–147) e di Marcello CICCUTO (Minima boccacciana sulla forma prima della Co- medìa, in «Textual Cultures», 1.2 [2006], pp. 137–142). Ormai si vedano i contributi di G. INDIZIO, Dan- te e l’enigma del monaco Ilaro di S. Croce: Contributo per una vexata quaestio, in «Dante Studies», CXXIV (2006), pp. 91–118; e di H. W. STOREY, Contesti e culture testuali della lettera di frate Ilaro, ibidem, pp. 57–76. Quest’ultimo integra la nuova edizione della lettera curata da Beatrice ARDUINI e H. Wayne STOREY nello stesso volume (ibidem, pp. 77–89). (17) Sono i vv. 9–14 del sonetto Dante (Tuscan, that wanderest through the realms of gloom) di Henry Longfellow, nel volume Longfellow: Poems and Other Writings, a cura di J. D. MCCLATCHY, New York, Library of America, p. 54. L’ultimo verso del sonetto di Longfellow recupera l’ultima fra- se della proposizione 8 della lettera di frate Ilaro: «Tunc ille, circumspectis mecum fratribus, dixit: Pacem» (si vd. B. ARDUINI e H. W. STOREY, Edizione diplomatico-interpretativa della lettera di frate Ilaro [Laur. XXIX 8, c. 67r], cit., p. 84). (18) La proposta di Michele Barbi, apparsa la prima volta nel saggio Gli studi danteschi e il loro avvenire in Italia, in «Giornale dantesco», I (1893), pp. 1–19, è stata riveduta e integrata nel volu- me di ID., Problemi di critica dantesca. Prima serie (1893–1918), Firenze, Sansoni, 1934, pp. 1–27. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 239

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degli studi danteschi internazionali. Questa poesia tratta di due contadini che col- l’avvento della primavera s’incontrano per aggiustare il muro di confine fra le due terre dove si trovano meli invece di mucche vaganti, pini invece di pecore che po- trebbero mangiare l’erba altrui. La necessità di questo rito primaverile viene mes- sa in dubbio dal poeta, che si chiede perché ci voglia il muro. Perché – come ri- pete il vicino che nelle parole di Frost trascina pietre e ha atteggiamenti dell’Età di pietra – “buoni recinti buoni vicini”? perché un “nostro” che delimita anziché un “nostro” che condivide? Ricordo prima l’inglese e poi la mia traduzione in ita- liano: “Why do they make good neighbors? ...... Before I built a wall I’d ask to know What I was walling in or walling out, And to whom I was like to give offense. Something there is that doesn’t love a wall, That wants it down.” I could say “Elves” to him, But it’s not elves exactly, and I’d rather He said it for himself. I see him there, Bringing a stone grasped firmly by the top In each hand, like an old-stone savage armed. He moves in darkness as it seems to me, Not of woods only and the shade of trees. He will not go behind his father’s saying, And he likes having thought of it so well He says again, “Good fences make good neighbors”.(19)

«E perché “buoni recinti buoni vicini”? [...] Prima di costruire un muro vorrei sapere cosa chiudo dentro e cosa fuori, e a chi avrei recato offesa. C’è qualcosa del muro che non piace, che lo vuole giù, frantumato». Potrei dirgli: “Sono Elfi”, ma non sono elfi, e vorrei piuttosto che lo dicesse lui. Lo vedo portare una pietra dall’alto fra le mani, come un primitivo armato. Si muove nel buio, mi pare, e non solo del bosco, delle ombre di alberi. Non tradirà il detto del papà, e gli piace tanto averlo pensato che lo ripete: “buoni recinti buoni vicini”.

H. WAYNE STOREY

(19) Cito dalla poesia Mending Wall nel volume Robert Frost: Poetry and Prose, a cura di E. C. LATHEM e L. THOMPSON, New York, Holt, Rinehart e Winston, 1972, p. 17, vv. 30, 33–46. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 240 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 241

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DANTE NOSTRO CONTEMPORANEO

Dante Alighieri. Sommo poeta e sommo rompiscatole è il titolo di un libro, scritto da una giornalista, Marina Aurora, pubblicato nel 2002, che inizia con que- ste parole:

«Ma come, dopo essere stati per anni obbligati a sudare sui suoi a volte incomprensibili versi, augurandogli spesso un’eternità di tormenti nello stesso inferno da lui descritto, dovremmo, e per giunta di nostra spontanea volontà, avere ancora a che fare con lui? E anche ammesso che qualcosa di nuovo ci sia, a chi mai potrebbe importare visto che, oltre ad essere vissuto quasi 800 anni fa, era pure odioso come pochi?»

Il problema del perché leggere Dante si pone prima ancora di decidere come lo si debba leggere, se in quanto poeta o in quanto teologo. L’appropriazione di un modello sacro o profano, attraverso un processo dia- lettico, al tempo stesso di annessione e di negazione, di assunzione e di strania- mento, di avvicinamento e di superamento, è un procedimento non solo tipico di Dante, ma addirittura costitutivo della sua poesia. Ripercorrendo uno schema aristotelico, a Inferno V Dante sostituisce impli- citamente il nome di Empedocle con quello di Guinizzelli e di Lancillotto. Com’è noto, i peccatori carnali incontrati nell’oltretomba, soffrendo di una scissione del- la personalità, che li fa vergognosi della loro stessa umanità degradata, invoca- no pietà del proprio male perverso. L’incontinente, come si apprende nel VII libro dell’Etica nicomachea, è sradicato dalla propria radice umana. Ha un’intimità scomposta, il suo mondo interiore è spaccato, patisce un ‘io’ diviso: pensa ad esem- pio che una determinata cosa non si debba fare, e tuttavia la persegue; che sia in grado di produrre un qualche discorso razionale, non significa nulla; chi è in pre- da alle passioni, può anche citare ragionamenti e versi di Empedocle: «Etenim in passionibus his existentes demonstrationes et verba dicunt Empedoclis». Nel caso specifico di Francesca non si tratterà di filosofia o poesia greca (Em- pedocle), ma di versi d’amore e prose di romanzi. Soggetta a modelli culturali ete- rogenei – borghesi (Guinizzelli) e feudali (il romanzo cortese) –, li declama come un’attrice di teatro. Poiché, per il Filosofo, gli incontinenti sono come dei simulatori («Quare quemadmodum simulantes, sic existimandum dicere et in- continentes»), l’euforia letteraria dell’eroina di Dante non è che la maschera di un’anima affannata («Amore… Amore… Amore…»), sessualmente inibita e an- gosciata, dissimulante impotenza orgastica (come di chi «nel diletto della carne involto», per dirla con dantesca precisione, «s’affaticava»); conseguenza di una spontanea partecipazione emotiva a questa ebbrezza patologica è la vile depres- sione di cui è prova il collasso del Poeta pellegrino a chiusura del canto. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 242

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O, ancora, si pensi allo schema offerto nel secondo libro della Metafisica (il primo in edizione medievale), laddove Aristotele esprime gratitudine, non solo per coloro di cui condivide il pensiero, ma anche per i precursori, ricordando per esempio che senza Frinide non ci sarebbe stato Timoteo. In Purgatorio XI, il Poe- ta riproduce pari pari il modello, sostituendo semplicemente ai nomi dei musici- sti i pittori Cimabue e Giotto, e gli omonimi poeti Guido e Guido, ecc. Un documento spirituale che, essendo paradossale, trascende la ragione uma- na, come la risposta del profeta biblico Amos ad Amasia, non sum propheta, et non sum filius prophetae («non sono profeta e non sono figlio di profeta»), è per Dante un modello cui occorre correggere solo i nomi dei personaggi: Enea inve- ce di profeta, Paolo al posto di figlio di profeta. Di qui la dichiarazione nel secon- do canto dell’Inferno: «Io non Enea, io non Paulo sono». Il procedimento attuato nei confronti dei testi aristotelici, vale a dire dei do- cumenti filosofici, coi quali, a parere di Dante, si giunge, operando secondo le virtù morali (Etica nicomachea) e intellettuali (Metafisica), alla beatitudine di questa vita, resta invariato nel caso si tratti dei documenti spirituali coi quali si giunge- rebbe, operando secondo le virtù teologali, ad altra beatitudine (analoga tutta- via alla precedente, donde la comprensibile riprovazione di un teologo della con- servazione come Guido Vernani). Che Dante sia un Enea non-Enea, un Paolo non-Paolo, un profeta che si nega come tale, è già un non piccolo paradosso. Ma infinitamente più sconvolgente è la radice stessa della poesia di Dante, che è imitazione di Cristo proprio in quan- to finzione. Si pensi al momento in cui, scambiato per pellegrino, Gesù finge di procedere oltre (o, come direbbe Dante, di andare Oltre la spera): et ipse se finxit longius ire. Il Poeta non ha che da attribuire a se stesso l’ipse con cui si allude a Cristo in questo versetto dell’ultimo capitolo del vangelo di Luca. Ma perché Gesù finge? La verità può presentarsi come finzione? Non sarà per caso ipocrisia o si- mulazione? Per i padri della Chiesa (Agostino) e gli scolastici medievali (Tommaso) il pro- blema si risolve così: solo nel caso in cui si finga una realtà senza significato, si può parlare di menzogna (mendacium). Quando la finzione si riferisce a qualco- sa di significativo, non si tratterà di menzogna, bensì di una qualche finzione (fic- tio) che è figura della verità (figura veritatis). Il punto di vista dantesco non è quello classico e umanistico dei poeti teolo- gizzanti, non è quello dei teologi del suo tempo, e non è neppure quello dei criti- ci del nostro tempo. Secondo il punto di vista classico e umanistico, la poesia non è affatto contraria alla teologia (theologie quidem minime adversa poetica est), ma il soggetto dell’una (gli dei e gli uomini) non coincide con quello dell’altra (Dio e le cose divine): Sed subiectum aliud, avverte Petrarca nel 1349, in una lettera al fratello Gherardo (Fam. X 4), illic de Deo deque divinis, hic de diis hominibu- sque tractatur. Secondo il punto di vista dei teologi del tempo di Dante, la teolo- gia è la scienza suprema, la poesia l’infima fra tutte le dottrine: est infima inter Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 243

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omnes doctrinas, insegna Tommaso nella Summa theologica (p. I, qu. I, a. 9). Secondo il punto di vista dei critici del nostro tempo, importa separare il poeta dal teologo, per ammirare «il poeta come poeta, e non come filosofo o come teolo- go», stando a una formula che risale a Vincenzio Borghini, citata e sottoscritta da Croce, il cui saggio parve a Contini come «il primo richiamo all’intelligenza mo- derna dell’opera, più pertinente […] di tutta la secolare ermeneutica messa as- sieme». Tuttavia non si può immaginare nulla di più lontano da Dante di una separa- zione di poesia e teologia. Nella Comedia poesia e teologia sono un’unica fictio, in cui si rispecchia un passaggio epocale fra due secoli: il XIII, caratterizzato dal- la lotta fra l’alta borghesia, e i suoi alleati della piccola borghesia, da una parte, e nobiltà feudale dall’altra; e il XIV, corrispondente a una fase più avanzata dello svi- luppo economico, dominato ormai dalla lotta dell’alta borghesia, appoggiata dalla nobiltà feudale, contro il proletariato. Di questo proletariato gli studiosi bor- ghesi della letteratura hanno ignorato e continuano a ignorare l’esistenza, benché da tempo gli storici abbiano illustrato, indagato e studiato le sue condizioni ma- teriali di vita, i suoi ideali economici e le sue lotte politiche (si pensi al contribu- to di Niccolò Rodolico, Proletariato operaio in Firenze nel XIV secolo, in «Ar- chivio storico italiano», a. CI [1943]). Fin dal 1295, quando a Firenze la nobiltà è divenuta ormai economicamente inoffensiva, i provvedimenti politici contro di essa vengono mitigati, dal momento che per la nuova classe dominante, la bor- ghesia finanziaria, il pericolo è ogni giorno di più costituito dalle classi inferiori e dagli operai. Secondo gli storici dell’economia, al termine dell’espansione com- merciale del XIII secolo e degli inizi del XIV, si ha il decollo di un’espansione fi- nanziaria che segna il «punto zero» (per usare l’espressione di Giovanni Arrighi) nello sviluppo del capitalismo, vale a dire del moderno modo di produzione ca- pitalistico. Benché discendente da una piccola nobiltà decaduta e figlio di un borghese, non risparmiando critiche alla nobiltà e alla borghesia, Dante si trova e si schie- ra dalla parte del proletariato, nel momento in cui questa classe sociale non è più un resto dei tempi feudali, ma non si è ancora trasformata in proletariato moderno. «La borghesia inizia con un proletariato che è un resto del proletaria- to dei tempi feudali. […] A misura che la borghesia si sviluppa, si sviluppa anche nel suo seno un nuovo proletariato, un proletariato moderno» (Marx). Fin dal titolo del Poema, Dante assume un preciso punto di vista di classe: il punto di vista del proletariato non più medievale, ma non ancora moderno. Come il Cristo che finge di andare più lontano, da ricco che era il cristiano Dante si fa povero. Secondo l’etimologia del tempo, Comedia deriverebbe da comos «villa» e oda «cantus», e significherebbe «canto dell’abitante di villa» o «canto del villa- no» (villanus cantus); oppure deriverebbe a comisatione, perché la Comedìa presuppone il ‘convivio’, viene dopo il cibo (post cibum). «Solebant enim post ci- bum homines ad eos [scil. comicos] audiendos venire», come si legge nelle Ety- mologiae di Isidoro di Siviglia (VIII, VII, 6). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 244

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Il canto dantesco, che si ascolta quando il convivio si interrompe, è il canto dell’emarginato che non ha più cibo ed è in lotta contro tutto ciò che esiste, per- ché Dio ha scelto ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono. Questa op- zione per i poveri testimonia di un rifiuto della teologia della dominazione da par- te di un Poeta teologo della liberazione. «Povero», in senso biblico, e quindi dantesco, è colui che è alienato, dominato, oppresso, sfruttato e umiliato. La teologia della liberazione (secondo la formula diffusasi in America Latina a partire dal 1968, e che Fidel Castro definì nel 1985 come «reincontro del cri- stianesimo con le proprie radici»), è l’espressione ideologica immediata, natura- le e spontanea del proletariato ancora politicamente disorganizzato, come quel- lo dei tempi di Dante, o del sud del mondo dei nostri tempi. Rifiutando la privatizzazione della fede operata dalla Chiesa, questo proletariato recupera la dimensione pro- fetica, sociale e politica del primitivo messaggio cristiano. Qual è la verità della Comedia, di un Dante che finge come Cristo, se non – attraverso un capovolgi- mento di linguaggio tragico in linguaggio comico – un ritorno al vangelo come «li- bro di regole economiche e di amore» (Alex Zanotelli), come morale negotium, sive ethica? Per il vangelo l’amore non è un sentimento; l’amore instaura giusti- zia. In altre parole, l’amore di Gesù non è l’amore borghese, il sentimento di be- nevolenza per chi mi vuol bene. Il Dio dell’amore, nella poesia di Dante e nella teo- logia della liberazione, è il Dio che instaura giustizia. «Tutti i credenti stavano insieme e avevano tutto in comune. Vendevano i loro beni e ne distribuivano il prezzo fra tutti, secondo il bisogno di ciascuno. […] Non vi era alcun bisogno fra loro perché quanti possedevano terreni o case li vende- vano, e preso il prezzo delle cose vendute, lo mettevano a disposizione degli apostoli, che lo distribuivano a ciascuno secondo il bisogno». Non è la prassi di Marx, ma quella degli apostoli (Prâxeis Apostolôn 2, 44-45 e 4, 34-35). Così, quasi al centro del Poema, Dante condanna la proprietà privata, domandandosi, per bocca di Guido del Duca, perché gli esseri umani desiderino beni che, se posseduti e goduti da uno, non possono essere posseduti e goduti da un altro. L’umanità sedicente cristiana, adorante la proprietà privata e il Dio del sistema non ha nulla a che vedere con la comunità di cui si legge negli Atti de- gli Apostoli: «La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola: né vi era chi dicesse suo quello che possedeva, ma tutto era tra loro comune» (4, 32). «[…] Perché s’apuntano i vostri disiri dove per compagnia parte si scema, invidia move il mantaco ai sospiri. Ma se l’amor de la spera suprema torcesse in suso il desiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema; ché, per quanti si dice lì più ‘nostro’, tanto possede più di ben ciascuno e più di caritate arde in quel chiostro». «Io son d’esser contento più digiuno» Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 245

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diss’io «che s’io mi fosse pria taciuto, e più di dubio ne la mente aduno. Come esser puote ch’un ben distributo in più posseditor’ faccia più ricchi di sé, che se da pochi è posseduto?» Ed egli a me: «Però che tu rificchi la mente pur a le cose terrene di vera luce tenebre dispicchi. Quel’infinito e inef[f]abil bene che là sù è, così corre ad amore come a lucido corpo raggio vène. Tanto si dà quanto trova d’ardore, sì che, quantunque carità s’estende cresce sovr’essa l’eterno valore. E quanta gente più là sù s’intende, più v’è da bene amare, e più vi s’ama, e come spec[c]hio l’uno a l’altro rende. E se la mia ragion non ti disfama, vedrai Beatrice, ed ella pienamente ti torrà questa e ciascuna altra brama. […]»

Nella storia della letteratura cristiana Beatrice è uno scandalo: insegna, detta legge e parla. Fa il contrario di quanto san Paolo, nella prima lettera a Timoteo, raccomanda alla donna (mulieri docere non permitto). Non avendo capito poe- sia e teologia di Dante, il lettore borghese non si accorge che nella Comedia si dice (alla lettera) «di lei quello che mai non fue detto d’alcuna». A proposito della sapienza di Maria, Tommaso dichiara, nella Summa Theo- logiae, che non c’è da dubitare che la beata Vergine abbia ricevuto in modo emi- nente il dono della sapienza (III q. 27 a. 5 ad 3). Ma a un esame più attento questo dono si manifesta in maniera assai limitata, giacché, per l’Aquinate, ella possie- de l’uso della sapienza nella contemplazione, «ma non per quanto concerne l’in- segnamento» (Non autem habuit usum sapientiae quantum ad docendum). Tan- to fondamentalista quanto misogino, il cristiano maschio è pronto a dare insegnamenti su di lei, ma non a ricevere insegnamenti da lei. L’arroganza del teologo della con- servazione non si ferma neppure davanti a Maria. Non ci vuole molto per indovi- nare qual è la ragione per la quale Tommaso concede alla madre di Gesù solo una scienza talmente scarsa da renderla inadatta come maestra. Maria non può insegnare nulla agli occhi del teologo sessuofobico e maschilista della domina- zione. Questo teologo della conservazione non onora e venera Maria in sé stessa e per sé stessa, ma per i suoi doveri materni, per il suo ruolo passivo e strumen- tale nel piano di salvezza di un Dio maschile. Sarebbe certo un peccato per un teo- logo come Tommaso onorare una donna in sé stessa e per se stessa. Ma onorare una donna in sé stessa e per sé stessa è quanto fa Dante poeta e teologo, nei con- fronti di Beatrice come nei confronti di Maria. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 246

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Fig. 1 - Paradiso, incisione (ed. G. Rovillio, Lione 1575).

Nel canto conclusivo della Comedia, per bocca di Bernardo, Dante innalza alla Vergine una lode, di cui si è preferito studiare a fondo i modelli, senza co- gliere né gustare né vedere le novità. In primis, Maria non è venerata semplice- mente come oggetto sacro o come tramite di un’azione divina, ma lei stessa è agen- te e soggetto. Non è benedetta fra le donne perché il Signore è con lei. Ma è benedetta in quanto donna, ed è lei a benedire il frutto del suo ventre. È lei a nobilitare la na- tura umana: «tu sè colei che l’umana natura / nobilitasti…». Col virtuosismo del- la sua poesia, Dante teologo non solo evita di pronunciare la parola «padre» al- l’interno della preghiera (parola che in empireo è usata in riferimento a Bernardo, Adamo e san Pietro, mai a Dio), ma fa in modo di non magnificare altro legame fa- miliare di Maria se non quello, potenzialmente rivoluzionario, fra madre e figlio. La paternità resta fuori. In questa preghiera antipatriarcale, Maria non è figlia di Padre, è figlia del proprio figlio: «Vergine madre, figlia del tuo figlio…». Nulla è più lontano da Dante dell’idea neoplatonica di resistere all’apparire della bellezza femminile, per fuggire idealmente in Patria riparando in Dio pa- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 247

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dre. Ogni aspettativa di un ritorno al Padre è frustrata dal Poeta teologo. Egli non rivede il Padre, ma la nostra effige, ritrovando, in altre parole, il proprio vol- to umano. Se, come ha fatto e fa il lettore borghese, si divide il Dante poeta dal Dante teo- logo, non è difficile trasformare la Comedia in qualcosa di inaccettabile, di in- comprensibile e di insopportabile. In nome del culto della poesia, l’inconsutile unità della finzione dantesca – così depredata, devastata, e spogliata – lascia il po- sto, a brano a brano, a frammenti da un lato aridi, noiosi e stucchevoli, dall’altro piacevoli, orecchiabili e stuzzicanti un mediocre gusto lirico. A caccia di sublime, il lettore borghese, dall’umanista aristocratico al se- miologo raffinato, capisce fin troppo bene, come direbbe Lotman, che Ulisse è il «doppio» di Dante, ma gli sfugge l’insuperabile grandezza, al tempo stesso poe- tica e teologica, della Comedia, dove si condanna all’inferno, profetizzandone il necessario fallimento, l’intera tradizione occidentale, pseudoumanistica, di una cultura omosessuata, per soli uomini, secondo cui il maschio (o un’élite maschi- le) persegue, poniamo, virtù e conoscenza, e la donna, Penelope, sta a casa. L’u- manesimo proletario indica altro viaggio: quello di un rapporto non più gerarchico fra femminile e maschile, fra maschile e femminile. Il teologo della liberazione as- sume come propria guida una donna, Beatrice, da lui amata, lodata e venerata, e da questa donna si fa guidare nel mondo felice, partecipando attraverso di lei, con lei, grazie a lei, di cielo in cielo, a un sempre più chiaro, crescente, ed eterno pia- cere. «Il proletariato non raggiungerà una completa emancipazione se non sarà pri- ma conquistata una completa libertà per le donne» (Lenin). Virgilio cantava le armi e l’eroe (arma virumque). Dante l’opposto: la pace e la donna.

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DANTE NELLA CULTURA GIAPPONESE

Il nome di Dante è as- sai noto in Giappone. Gli alunni delle scuole me- die e delle superiori lo ap- prendono nelle lezioni de- dicate alla storia mondiale. Insieme, vi scorgono qua- si sempre associata l’im- magine di un volto con il capo circondato da una ghirlanda di lauro (fig. 1). Viene evocato come auto- re della Divina Comme- dia: gli studenti del liceo conoscono l’associazione inscindibile “Dante – Di- vina Commedia, Boccac- cio – Decamerone”, due opere importanti alle ori- gini della lingua italiana. All’università, coloro che scelgono di dedicarsi allo studio della letteratura ita- liana devono impegnarsi nel non facile tentativo di leggere brani dei due au- tori dai testi originali che, a loro e in genere ai giap- ponesi, risultano assai osti- Fig. 1 - «Giornale Dantesco», 1904, Dante Aligieri, incisione. ci. Coloro che seguono le lezioni di storia medieva- le europea sfogliano la Commedia tradotta in lingua, ma frequentissimamente le informazioni al riguardo si fermano qui, e non spingono ad una effettiva seria lettura dell’opera. Il binomio Divina Commedia in Giappone emerge circa 140 anni fa. Nel 1869 Kawazu Hiroyuki tradusse The Great Events of History (1867) di W. F. Collier. Dove questi citava il titolo del capolavoro dantesco, Kawazu lo rese traslitteran- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 250

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do in Jihina Komejia (1). Successivamente nel 1892 il celebre letterato Mori Ogai¯ fece co- noscere indirettamente, nella traduzione del- l’Improvisatoren di Andersen, parecchi ver- si del poema dantesco, assegnandogli il titolo propriamente giapponese di Shinkyoku, che serve tuttora ad indicare, in saggi critici e nel linguaggio comune, la celebre opera dell’Ali- ghieri. In questo mio breve contributo esamino Fig. 2 - Nagai G¯o, Dante Shinkyoku (fu- metti), 1998. inizialmente il contesto storico in cui per la pri- ma volta salì alla ribalta della cultura nippo- nica la Commedia; mi soffermerò poi sulla figura e sull’opera di Mori Ogai, ¯ nonché su Ueda Bin che da Ogai ¯ trasse ispirazione; in seguito effettuerò una carrellata su varie traduzioni diffuse in Giappone, aggiungendo notizie trat- te da un saggio di Masamune Hakuch¯osu Dan- te. Il confronto pur sommario fra le due tra- duzioni di Yamakawa Heizabur ¯oe Jugaku Bunsh¯o mi è parso utile per far comprendere l’intrinseca difficoltà di simili imprese. Ho cre- Fig. 3 - Nagai G¯o, Dante Shinkyoku (fu- duto opportuno dar conto di una recente resa metti), 1998. in fumetti dell’opera, onde mostrare una cu- riosa forma di volgarizzazione (figg. 2-3). Come specimen dei rapporti tra mentalità diverse, è sembrato infine proficuo richia- mare un’illustrazione, verbale e iconografica, dell’Inferno quale si trova nell’ Oj¯ oyo-¯ sho ¯ di Genshin del X secolo.

1. Contesto storico Nella storia giapponese grande rilievo riveste il periodo Edo che, partendo dal 1603, durò per ben 265 anni, attraverso 15 generazioni di sh¯ogun. Si trattò di un’e- ra contrassegnata da pace e prosperità nel paese, prima lacerato, frammentato e scosso da efferate, interminabili guerre. Nel corso dell’intera epoca si sviluppò notevolmente il commercio interno e, in genere, vennero accelerati i dinamismi dell’economia. Nonostante la struttura della società rispondesse ai canoni di un rigido regime feudale, il paese accumulò, in maniera considerevole, energie e ri- sorse tali da permettere, insieme ad altri fattori, le decisive realizzazioni dell’e- poca moderna e contemporanea. È questa la rimarchevole conclusione cui recenti studi sono pervenuti.

(1) Nihon ni okeru Dante (Dante in Giappone) 1995. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 251

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Lo sh¯ogunato, come ben si conosce, aveva deciso nel 1613 la chiusura del pae- se (sakoku). Da tale data in poi, fino alla fine del periodo Edo, quindi oltre la metà dell’Ottocento, il Giappone abolì gli scambi culturali e commerciali con l’estero, ad eccezione dalla Cina e dall’Olanda. Questo isolamento contribuì in parte alla maturazione della cultura e della letteratura autoctone. Tuttavia, nello stesso tem- po, tale scelta, rigidamente mantenuta, causò un’inevitabile impermeabilità ai fe- nomeni che si susseguivano contemporaneamente nel mondo, spesso a ritmi vor- ticosi. Il crollo dello sh¯ogunato nel 1868 riaprì le frontiere. Insieme, una drastica riforma socio-culturale mutò i lineamenti della compagine sociale, dando inizio ad una nuova era, denominata Meiji. La designazione deriva dal nome dell’Impe- ratore Mutsuhito, al quale dopo la morte si attribuì l’appellativo di Meiji, che si- gnifica “governo illuminato”. La campana dell’alba annunciante la nascita dell’epoca nuova risuonò appunto come della “Restaurazione Meiji”. Si dischiuse allora la strada verso un assetto so- ciale che, su basi latamente capitalistiche, era avviato verso sviluppi tipici del li- beralismo. Riaperte le frontiere, molti studiosi stranieri vennero invitati, dal- l’Europa e dall’America, in Giappone, dove avrebbero esposto le idee, i programmi politici, le tecnologie e i metodi di lavoro che conoscevano ormai uno stadio avan- zato presso le rispettive nazioni. Inoltre anche i privati effettuarono, com’è ov- vio in misura minore, la medesima scelta. Queste persone vennero chiamate Oya- toi gaikokujin, cioè impiegati stranieri. Il loro numero, lungo l’intero periodo Meiji, superò le tremila unità e il loro insegnamento spaziò nei campi della giurispru- denza, dell’industria, dell’arte militare, del sistema sanitario, dell’ingegneria, della scienza dell’amministrazione, della finanza, dell’educazione scolastica non- ché della cultura umanistica. La cifra appena indicata risulta, tuttavia, assai ap- prossimativa, perché nel caso dei contratti con i privati sembra arduo condurre esaustive verifiche. Nel decennio iniziale, quindi fino al 1878, questi stranieri ven- nero molto apprezzati e anche lautamente ricompensati. Sempre al fine di ricuperare i ritardi accumulati nei confronti delle nazioni oc- cidentali, il nuovo governo inviò numerosi uomini di cultura in Inghilterra, in Ger- mania, in Francia e negli Stati Uniti perché assimilassero impostazioni teorico- applicative nei settori della politica, dell’economia, dei sistemi giuridici, delle stra- tegie militari, della medicina e in genere delle scienze: in definitiva per sondare e integrare la vasta gamma degli elementi della cultura europea. Tra i letterati che raggiunsero lontani paesi, meritano di venir ricordati, con particolare risalto, due giovani intellettuali, Mori Ogai ¯ (1862-1922), che dimorò in Germania, dal 1884 al 1888, e Natsume S¯oseki (1867-1916), che visse e studiò in Inghilterra nel quadriennio 1900 – 1903. Imitandoli, parecchi altri si trasferirono per un certo lasso di tempo in Europa. Questa permanenza produsse vantaggiose osmosi conoscitive che gui- darono promettenti pensatori giapponesi non solo sui terreni della politica, e del- l’economia, e di altre discipline, ma anche su quello, complesso e affascinante, della letteratura occidentale. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 252

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Mori Ogai¯ Rintaro ¯ rappresenta in maniera emblematica il trend culturale di quell’epoca. Nacque nel 1862 a Tsuwano, prefettura di Iwami (attuale prefettura di Shimane). Alla sua famiglia, lungo ben dodici generazioni, erano state affidate le cure mediche per il signore feudale di Tsuwano. Arrivò nella nuova capitale Tokyo per dedicarsi innanzitutto all’apprendimento della lingua tedesca. All’età di sedici anni si iscrisse alla facoltà di medicina nell’Università Imperiale (attua- le Università di Tokyo), dove si comportò da allievo esemplare. Ottenuta la lau- rea, iniziò la carriera nell’ esercito con la qualifica di medico militare. In questa ve- ste venne inviato in Germania per apprendervi i metodi di igiene e le regole dell’organizzazione sanitaria tedesca. Dal 1884 al 1889, prima a Dresden, e poi pas- sando in diverse città, tra cui soprattutto Berlino, egli trascorse quattro intensi anni che gli garantirono, specificamente, un ottimo addestramento in campo medico. Ogai¯ però aveva anche spiccate doti di letterato. Dal 12 ottobre del 17° anno di Meiji (1884), il giorno dopo del suo arrivo a Berlino, egli cominciò a tenere un diario che oggi possiamo leggere sotto il titolo Doitsu Nikki (Diario in Germa- nia) (2). Un excursus, da lui redatto il 13 agosto dell’anno successivo, è dedica- to alla letteratura europea. Dopo aver elencato i grandi tragici greci Eschilo, Sofo- cle, Euripide e gli scrittori francesi George Ohnet, Jacques Halévy, Henry Gréville, si soffermò su Dante e Goethe. La Commedia, gustata in versione tedesca, gli tra- smise la sensazione di una bellezza misteriosa e ricca di fascino, mentre le pagi- ne goethiane lo colpirono per la vastità dei temi e la maestà dello stile. Così, ac- canto alle note di natura medico-sanitaria, il diario allinea appassionate osservazioni sulla letteratura europea, fino a quell’ epoca quasi completamente sconosciuta in Giappone. Ad esempio, nel gennaio del 1886, informa circa una discussione con un suo connazionale, sulla convenienza e sulle modalità della traduzione giap- ponese del Faust (3). Rimpatriato nel 1889, intraprese una precoce attività letteraria, con lo scopo di svecchiare consueti abiti mentali che, ereditati dal periodo precedente, sten- tavano a venir deposti. Si trattò di un’insieme che spaziava dal settore delle ver- sioni di romanzi, di poesie, di saggi riguardanti teorie letterarie, in quello di una sua autonoma critica, letteraria appunto. Parallelamente incominciò a produrre racconti, romanzi, poesie, pièces teatrali e biografie in una quantità e varietà stu- pefacenti. Durante lo stesso anno 1889 pubblicò una prima raccolta di poesie, dan- dole come titolo Omokage (Visione). Il volume consta di tre parti: una serie di tra- duzioni delle poesie di Byron, Shakespeare, Goethe, Heine, Hoffman, e del cinese di Ko Sei kyu. Vi aggiunse un brano di Heike Monogatari, il capolavoro dell’epi- ca giapponese risalente al XIII secolo. Ogai¯ riuscì nelle versioni e nelle riprodu-

(2) MORI 1975, p. 102. (3) Ibidem. p. 122. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 253

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zioni a mantenere alto il livello artistico proprio degli originali, rendendoli in una lingua giapponese plastica, modellata con stile elegante e raffinato. Così fece conoscere in Giappone l’Improvisatoren di Andersen, il Faust di Goethe, le Confessions di Jean Jacques Rousseau, insieme ad opere di Daudet, Ir- ving, Lessing, Tolstoi, Turgenev, Ibsen, Strindberg, Oscar Wilde, Rilke, E.A.Poe, Hauptman, e anche di Gabriele D’Annunzio: l’elenco copre praticamente un vasto repertorio della letteratura mondiale più recente (4). Come già accennato, l’Im- provisatoren, tradotto nel 1892, conteneva parecchi versi danteschi. Indicando- ne la provenienza, Ogai¯ tradusse Divina Commedia con il citato lemma Shinkyoku. Etimologicamente Shin significa dio o la divinità e kyoku un brano di musica o canzone, quindi Shinkyoku potrebbe intendersi letteralmente come Cantica di- vina (5). L’approccio di Ogai¯ alla letteratura europea ebbe un impatto fortissimo sui nu- merosi scrittori del periodo Meiji. Soprattutto il primo frutto della sua esperienza europea, l’Omokage, influenzò in modo particolare i giovani poeti del gruppo “romantico” e contribuì decisamente alla formazione della poetica della nuova era. La sua attività di critico letterario si esplicò, sempre dal 1889, sulla rivista Shiragami Z¯oshi, largamente diffusa. La trilogia di romanzi, che vide la luce nel biennio successivo, consacrò definitivamente la sua fama, così da venir spesso ri- tenuto il padre della letteratura moderna giapponese (6). Il fatto che l’approccio della Commedia sia avvenuto in Giappone non trami- te un qualsiasi intellettuale, ma grazie ad un personaggio della levatura di Mori Ogai,¯ rappresentò un’autentica fortuna per l’accoglienza del capolavoro italiano nell’Asia estrema.

2. L’iniziale diffusione di Dante in Giappone Tuttavia la disamina scientifica sull’opera dantesca esordì in terra nipponica con la pubblicazione, avvenuta nel 1901, del Shisei Dante (Il sacro poeta Dante) da parte del poeta Ueda Bin (1874-1916). L’opera ancora oggi è ritenuta un capo- lavoro nel campo degli studi danteschi. Ueda Bin (Ry ¯uson) fu il più prolifico au- tore di liriche per la rivista Bungaku kai (Il mondo della letteratura), la quale rap- presentò una palestra per i poeti della corrente romantica, tutti, come abbiamo già visto, ammiratori e attenti assimilatori della lezione scaturita dall’Omokage di Ogai.¯ Va soggiunto che pure Sokky¯o shijin (Improvisatoren) alimentò l’ispirazione di Ueda Bin. Più in generale, dato il saldo rapporto di amicizia tra Ogai¯ e Ueda Bin,

(4) ASAI 1990, pp. 59-83. (5) BANFI 2000, p.7. (6)Il critico Kato Shuichi, nella sua opera, che è anche un repertorio fondamentale nel settore, formula un rimarchevole elogio di Mori Ogai:¯ “….queste opere (di Ogai)¯ costituiscono una testimonianza indelebile del tempo in cui visse.” KATO 1996, p. 144. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 254

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alla morte del secondo, Ogai¯ curò la definitiva sistemazione di scritti da lui lasciati e rimasti inediti, che dunque uscirono postumi (7). Ueda Bin aveva pubblicato nel 1905 una raccolta di poesie europee con il ti- tolo Kaich¯oon (Suono dell’onda marina); da rilevare come, rese accessibili in tale antologia, le composizioni di Verlaine riscuotessero ampia fama. È importante sottolineare come, accanto ad opere più recenti, egli abbia affrontato la versio- ne della dantesca Vita Nova, un testo di importanza capitale per comprendere l’A- lighieri. Ma l’apporto più significativo alla conoscenza di questi, egli lo fornì con il volume Shisei Dante (Il sacro poeta Dante). Si tratta di una biografia, colloca- ta con sicuro metodo sullo sfondo storico dell’Italia di quell’epoca. Il momento formativo del giovane Dante vi è presentato con particolare cura, mentre una lar- ga sezione concerne la Commedia. Spicca innanzitutto la presentazione di due canti, da lui ritenuti sublimi, il quinto, sul tragico amore di Francesca da Rimini, e il trentatreesimo, sul dramma del conte Ugolino. A ciò fa seguire un’analisi sul- le descrizioni della natura quali si riscontrano nel poema. Passa poi in rassegna i critici di questo, partendo da Graziuolo de’ Bambaglioni, Antonio Fiammazzo, fino ai moderni, sia europei che statunitensi; vi compaiono, fra gli altri, Scartazzini, Vandelli, Tommaseo, Rossetti. Infine modella una visione d’insieme dell’opera, spiegandone l’origine, le intelaiature ideali, la scelta del titolo, la tecnica compo- sitiva, l’incatenarsi delle rime, i nodi strutturali. Non tralascia di abbozzare, a modo di sussidio didascalico, il riassunto di ogni canto. Il volume di Ueda, ben articolato e ricco di citazioni desunte da vari critici eu- ropei onde illustrare l’originalità del testo grazie al concorrere di varie ermeneu- tiche, è altresì impreziosito dall’ottima traduzione di molte parti della Commedia. Dimostra come l’autore avesse acquisito una vasta erudizione in materia, e una notevole sensibilità artistica nel trattare un testo letterario germinato da culture molto diverse dalla propria. La traduzione di Sokky¯o shijin di Ogai¯ risale al 1892, mentre l’uscita di Shisei Dante avvenne nel 1901. Supponendo che Ueda Bin abbia letto Sokky¯o shijin all’ età di 18 anni, desta stupore il fatto che dopo soli die- ci anni riuscisse a comporre una disamina critica così voluminosa, informata, ca- pace di cogliere vibrazioni poetiche lontane, eppure per lui ricche di suggestio- ni. Gli fu difficile frenare l’ammirazione per il poeta, e la espresse ricorrendo a termini inconsueti, quasi iperbolici: parlò di un dono superbo e incantevole, esaltò l’intelligenza e la tensione etica dell’autore, insieme all’abilità nel trasporre gli eventi e i sentimenti cantati sul registro teatrale, mantenendo sempre un elevato calore lirico. All’interno del medesimo gruppo di Bungaku kai, Hirata Tokuboku (1873- 1943), noto esperto di letteratura inglese, si distinse per la traduzione di un’ope- ra di Walter Savage Landor, intitolata Beatrice, e di due acuti brevi saggi, l’uno su-

(7) MORI 1975, p.716. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 255

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gli ultimi anni di Dante e l’altro sull’armonia creata dalle rime del poema dell’Ali- ghieri (8). Oltre a questi veicoli della conoscenza di Dante in Giappone, si devono ri- cordare altri contributi che agirono nel medesimo senso, quali il confronto com- piuto da Thomas Babington Macaulay fra Milton e Dante e l’approfondimento di Thomas Carlyle sui rapporti fra Dante e Shakespeare. In particolare, Uchimura Kanz¯o (1861-1930), un filosofo giapponese cristiano, e competente conoscitore di Carlyle, scrisse, sulla scorta di questo pensatore, saggi importanti su Dante, Goethe e Whitman. Ma non va obliterata, nell’ambito di una relativa popolarizzazione del- la Divina Commedia, la traduzione inglese di Henry Francis Cary e Henry Wad- sworth Longfellow, che venne efficacemente divulgata dai missionari attivi nel paese.

3. Gli sviluppi della recezione di Dante nel paese nipponico

È utile riportare, in uno specchietto sintetico, la tappe successive, incomin- ciando da quelle già rivisitate, delle fortuna di Dante in Giappone (9).

PERIODO MEIJI (1868 – 1912)

1869 Kawazu hiroyuki: presenta Jihina Komejia 1885 Mori Ogai:¯ legge in Germania la Divina Commedia 1892 Mori O¯ .: presentazione della Commedia in Giappone con il titolo Shinkyoku 1901 Ueda Bin: Shisei Dante (Il sacro poeta Dante) 1901 Hirata Tokuboku: Beatrice

PERIODO TAISHO (1912 – 1926)

1914 Yamakawa Heizabur¯o: prima traduzione dell’Inferno 1917 Yamakawa H.: prima traduzione del Purgatorio Nakayama Masaki: traduzione dell’Inferno e del Purgatorio Nakayama M.: prima traduzione del Paradiso 1819 Ueda Bin: traduzione dei canti I-VII dell’Inferno 1921 Kuroda M.: Dante to sono jidai (Dante e il suo tempo) 1925 Nakayama M.: traduzione dell’Opera omnia di Dante

(8) HIRATA 1973, pp. 230-234. (9) FUJITANI 2000, pp.14-15: allo specchietto, desunto da quest’opera, sono state apportate modifiche e integrazioni. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 256

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PERIODO SHOWA (1926 – 1989)

1927 Masamune Hakuch¯o: Dante ni tsuite (Su Dante) 1939 L’Inferno in traduzione cinese, traduzione completa sulla base della giapponese 1942 Taketomo Sof ¯ ¯u: traduzione della Commedia 1943 Yanaihara Tadao: Lettura dell’Inferno e del Purgatorio (pubb. nel 1969) 1944 Yanaihara T.: Lettura del Paradiso (pubblicata nel 1970) 1953 Kitagawa Fuyuhiko: traduzione dell’Inferno in lingua corrente 1954 Kuroda M.: Dante no bungaku shiso (Il pensiero letterario in Dante) 1966 Hirakawa S.: traduzione della Commedia in lingua corrente 1970 Miura Itsuo: traduzione della Commedia 1976 Jugaku Bunsh¯o: traduzione della Commedia basata sull’edizione di Singleton con illustrazioni di William Blake 1988 Iwakura Tomotada: Dante Kenky¯u (Studi su Dante)

PERIODO HEISEI (1989 – )

1989 Fujitani Michio: Dalla legge ottica alla poesia: la metamorfosi nei ver- si 1-27 del Purgatorio della Divina Commedia 1994 Ura Kazuaki: Dante kenky¯u I (Studi su Dante I): si tratta di un’analisi del- la Vita Nova 2003 Fujitani M.: Shinkyoku, il canto divino. Leggere Dante in Oriente Autori Vari: Visioni dell’Aldilà in Oriente e Occidente: arte e pensiero

Si possono distinguere, in tale sequenza, due fondamentali tipi di approccio, variamente adottati dai diversi autori. Il primo è il cosiddetto filone di Ueda Bin, che del capolavoro privilegia soprattutto il lato estetico, l’armonia dei versi, l’ar- te compositiva. Il secondo è quello inaugurato da Uchimura Kanz ¯o, che tenta di interpretare l’opera riguardandola piuttosto dall’ottica contenutistica, penetran- done i messaggi generalmente religiosi e specificamente cristiani. La differenza tra i due filoni balza evidente nelle rispettive reazioni di fronte al Decamerone di Boccaccio. Il primo gruppo lo considera positivamente come opera classica del- la letteratura italiana, a motivo dei pregi artistici, mentre il secondo svaluta l’o- pera perché immorale, e al limite frivola. Uchimura Kanz ¯o, durante il periodo Taisho, tenne ogni lunedì una serie di le- zioni (gentsuy¯ok¯ouen) su Dante e Goethe. Questi interventi riscossero un’entu- siastica udienza da parte di Masamune Hakuch¯o (1879-1962), che ne trasse lo spun- to decisivo per il saggio dal titolo Dante ni tsuite (Su Dante) da lui pubblicato nel 1927. Vi confessava la sua appassionata ammirazione per il poema dantesco, da Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 257

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lui conosciuto fin dalla gioventù, avendone letta la traduzione inglese di H. F. Cary, uscita in una veste tipografica maneggevole, su fogli leggeri, e quindi adatta a fa- cili spostamenti, come egli scrisse. Ne fece infatti il suo livre de chevet per più di vent’anni. Rammentava inoltre come tre passaggi del poema l’avessero precoce- mente e profondamente commosso: quelli dell’undicesimo e quattordicesimo can- to del Purgatorio, dove rispettivamente campeggiano Oderisi da Gubbio, con la sua arte di miniaturista e il veristico umanissimo ritratto, nel rilievo dato al sen- timento dell’invidia, di Guido Del Duca; infine, gli era rimasta impressa la figura di san Francesco, quale appariva nell’evocazione dantesca dell’undicesimo can- to del Paradiso. In seguito fu conquistato dal confronto, finemente condotto da Macaulay, tra il Paradiso perduto di Milton e la Divina Commedia. Le lezioni di Uchimura Kanz¯ogli avevano aperto ulteriori orizzonti, anche con le citazioni di Carlyle. In particolare l’aveva colpito la frase in cui quest’ultimo asseriva che la Divina Commedia faceva vibrare la voce del silenzio, dominante nel millennio del medioevo. Sebbene riconoscesse che tra tutti i letterati del mondo Dante era il meno adatto a venir compreso dai giapponesi, tuttavia ne rimaneva scosso per un’emozione estetica e una commozione umana profonde, istintivamente, quasi infantilmente rapito dall’incanto della poesia e delle figure evocate.

Per una più diretta fruizione del testo dobbiamo aspettare fino al 1914, anno in cui Yamakawa Heizabur¯o(1876-1947) tradusse per la prima volta in lingua giap- ponese l’Inferno. Seguirono, sempre a cura del medesimo autore, quella del Purgatorio, e nel 1922, la versione del Paradiso. Quattro anni prima Nakayama Masaki pubblicò la traduzione dell’intero poema. La curva dell’attrattiva verso Dante attinse il culmine nel 1921, celebrandosi il sesto centenario della morte del poeta. Per la circostanza uscirono numerosi saggi, in genere assai pertinenti, tra cui va particolarmente ricordato un puntuale lavoro di Kuroda Masatoshi. Dopo gli anni venti, l’interesse per il poeta italiano andò via via affievolendosi. Il fatto che quasi nessuno fosse in grado di leggerne le opere direttamente nella lingua originale fu una delle ragioni di tale parabola discendente: in quel periodo era pos- sibile imparare l’inglese, il tedesco, il francese o il russo, ma non risultava facile apprendere la lingua italiana. Ancor oggi, purtroppo, questa situazione non è mol- to cambiata: pochissime università offrono corsi di lingua e letteratura italiana. Occorre anche aggiungere che, delle tre cantiche, il grande pubblico giappo- nese preferisce l’Inferno, a causa della situazioni più alla portata di un’esperien- za potenzialmente universale, trasfigurabile, come s’è detto, in stilemi tipici del romanticismo. Altre parti del capolavoro paiono legate a un’impalcatura concet- tuale troppo vicina a moduli filosofici e teologici non agevolmente traducibili in categorie attuali. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 258

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4. Principali difficoltà di una lettura giapponese della Divina Commedia

Bisogna rilevare che l’ombra proiettata sulla Commedia discendeva da moti- vi di portata più sostanziale, riassumibili nell’opacità inerente, per forza di cose, ad un’opera complessa, basata su un impianto ideale e letterario in gran parte ete- rogeneo rispetto a quello giapponese. Allora, e ancora oggi, sembra più agevole avvicinarsi al Romanticismo italiano ed europeo, maggiormente affine alla sen- sibilità giapponese, centrata sulla liricità e sull’emozione. Come afferma Fujitani, la lettura della Commedia richiede infatti la conoscenza della tradizione biblica, della letteratura classica, della teologia medievale, del sapere scientifico del tem- po in cui venne composta. Simili informazioni erano assenti, e generalmente lo sono ancora, nel normale pubblico giapponese. Un altro ostacolo è rappresenta- to dal fatto che i personaggi messi in scena da Dante sono tratti in folta schiera dalla storia romana e italiana e da miti occidentali. È quindi impossibile, senza uno studio preliminare, penetrare i messaggi e la poetica della Commedia. Inol- tre, e sotto un più ampio profilo, occorre aggiungere che i giapponesi non sono abituati ad apprezzare un genere come l’epica, che invece è uno dei generi lette- rari principali in Europa. Una riprova è desumibile dal fatto che nessuno si sia an- cora avventurato a tradurre in giapponese poemi come l’Orlando Furioso o la Ge- rusalemme Liberata. Da tale angolazione, e ponendo anche l’accento sui problemi “tecnici” della versificazione, occorre riconoscere quanto arduo sia rendere il testo dantesco senza ricorrere alle rime: si tratta dunque di un insuperabile osta- colo che le versioni giapponesi non possono valicare. Quest’ultima è solo l’emergenza vistosa di un più accidentato crinale che se- para stili e contenuti. Sembra opportuno, in proposito, accennare ad alcuni li- neamenti distintivi della letteratura giapponese. Il perno su cui essa in gran parte ruota consiste nell’idea della transitorietà, dell’impermanenza del mondo feno- menico. Ciò determina la morfologia dei calchi linguistici e l’andamento della pro- sodia. Il rimbalzo delle rime, in tale fluidità, non può aver luogo. Assente il wei- ghing of sillables, queste rivestono una funzione ritmica, secondo la successione 5-7-5, oppure 5-7-7. Disposizioni metriche e strofiche comuni alle letterature oc- cidentali non trovano riscontri in Giappone. Qui una poesia classica si sviluppa generalmente in 5 righe, così strutturate:

5 ha na chi ra su La dimora del vento 7 ka ze no ya do ri o che fa cadere il fiore, 5 ta re zo shi ru chi la conosce? 7 wa re ni o shi e yo Indicatemela, 7 i ki te u ra mi mu andrò a lagnarmi con lui. da Kokinsh (X sec.) Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 259

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Ogai,¯ nella traduzione della sua prima raccolta di poesie europee Omokage, cercò di trasmettere non soltanto il contenuto e il significato delle poesie origi- nali, ma di introdurre una inedita strutturazione, per esempio il verso di 10 silla- be seguito da uno di 10, oppure l’alternanza di 7 e 8.

10 re mo n no ki wa ha na sa ki fioriscono gli alberi di limoni 10 ku ra ki ha ya shi no na ka ni nel bosco oscuro 10 ko ga ne iro shi ta ru mi kan wa i mandarini di colore d’oro 10 e da mo ta wa wa ni mi no ri sono pieni sul ramo (10)

Tuttavia, per i giapponesi, il ritmo 5-7-5, più familiare, piacevole e costante nel repertorio letterario sicuramente fino alla fine del periodo Edo, continuò ad im- porsi anche nell’epoca Meiji, pur affiancato, ma in misura assai inferiore, dal nuo- vo stile moderno derivato dalla traduzione dei testi europei. Istruttivo, a questo proposito, il parallelo fra due traduzioni della Commedia, considerate l’una come il capolavoro del tipo di versione antica, l’altra di quella moderna. Nella prima tra- duzione dell’Inferno effettuata da Yamakawa Heizabur¯o del 1914 si nota ancora molto chiaramente lo schema ritmico tradizionale. Dopo circa sessant’anni il sal- to è nitidamente avvertibile nel ritmo innovativo adottato in quella che Jugaku Bunsh¯o (1900 - 1992) pubblicò nel 1976, dove ormai appare quasi completamente abbandonata la struttura classica. Ecco una rapida esemplificazione, desunta dal- l’ultima parte del canto 24° dell’ Inferno, nella versione di Yamakawa:

mi da ru ru ku mo ni 7 hi to tsu no ka ki o 7 hi ki i da shi, 5 a ras hi ge ki shi ku 7 su sa ma ji ku 5

La corrispondente traduzione di Jugaku:

ta da na ra nu ko ku u n ni 10 tsu tsu ma re ta 5 sho u e n o 5 hi ppa ri da su zo. 6 ta chi ma chi ha ge shi i 8 a ra shi ga o ko ri 7

(10) KUBOTA 2003, p. 290. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 260

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La struttura rigida della Commedia purtroppo allontana i lettori giapponesi, i quali sono abituati ad apprezzare un altro tipo di intelaiatura sintattica, stilisti- ca, estetica: in una parola, possiedono una mentalità diversamente forgiata. For- se se ne intuisce l’indole ricorrendo alla similitudine dell’acqua. Per captare tale movenza di fondo si può ricorrere, semplificando un discorso che rischia di di- ventar complicato, da un brano dei Ricordi della mia capanna, opera di Kamo no Ch¯omei, vissuto dal 1154 al 1216: “La corrente di un fiume scorre senza interruzione, ma l’acqua non è mai la stessa. La schiuma che galleggia nei punti di ristagno ora svanisce, ora rinasce, ma non persiste mai lungamente. Tali sono in questo mondo gli uomini e le loro dimore. Nella splendida capitale, dove le abitazioni degli umili e quelle dei potenti gareggiano con le tegole, allineando le cime del loro tetti, può ben sembrare ch’es- se, senza mai mutare, siano passate di generazione in generazione. […] Ma chis- sà mai donde vengono e dove vanno gli uomini nel loro nascere e nel loro morire? E chissà ancora per chi essi affliggono il proprio cuore e per che cosa allietano la loro vita in questa temporanea dimora? Essi non son dissimili dalla rugiada sul convolvolo: talvolta la rugiada è caduta e i fiori sono rimasti; ma essi diventa- no presto secchi al sole del mattino; talvolta, invece, i fiori appassiscono e la ru- giada resta, ma pur restando, non giunge mai alla sera.” (11) Sulle diversità dell’impianto e della mentalità si innestano dissimmetrie di tipo concettuale: esaminarle in queste sede comporterebbe un’analitica incursione sia nei dislivelli lessicali, sia nello sviluppo dei lemmi durante più secoli, rispettiva- mente in Europa e nell’Estremo Oriente. Una buona indagine in tal senso è quel- la effettuata nel recente volumetto di Fujitani Michio (12): le indicazioni che vi si focalizzano aiutano a sviluppare una problematica che nel presente studio s’è tentato di presentare nelle linee portanti, alcune anche oltre quelle seguite da Fuji- tani, tentando cioè un inquadramento storico maggiormente comprensivo. In tal modo, la recezione di Dante in Giappone, non semplice nè scontata, appare tut- tavia provvista di un proprio rilievo sintomatico, utile ad evidenziare autonome tendenze letterarie e soprattutto inflessioni tipiche della mentalità e del costume.

KUNIKO TANAKA

(11) CAMO 1970, p.169. (12) FUJITANI 2000. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 261

APPENDICE 261

APPENDICE

I

Non è del tutto ozioso presentare una curiosità che, almeno indirettamente, at- tiene al tema trattato, e pone in primo pia- no aspetti del costume cui si è fatto cen- no nelle frase finale dello studio. Essendo quello nipponico un paese in cui grande diffusione conoscono i fumetti, non po- teva mancare una versione della Com- media effettuata mediante simile forma di disegno e di comunicazione linguisti- ca. È uscita dunque, nel 1998, ad opera del disegnatore Nagai Go, una versione a fu- metti della Commedia, con il titolo Dan- te: Shinkyoku (13). È di palmare eviden- za che le immagini traggono spunti e spesso ripetono pedissequantemente i motivi, or- mai classici, di Gustav Doré. Ad alcune raffigurazioni ricalcate su quelle di Doré, Nagai ne ha aggiunte molte altre in stile Fig. 4 - Abi Dai-jigoku (il grande inferno di Abi). Jigoku- omologo, che ne costituiscono uno svi- Z¯oshi, rotolo illustrato del tardo XII secolo. luppo fumettistico (fig. 3). Nella cultura nipponica, un’importante massa di dise- gni serve a trasmettere contenuti conoscitivi, a partire dai rotoli illustrati del XII secolo (fig. 4) per giungere fino alle fantastiche immagini del periodo Edo, designate come ukiyo-e. Tale creatività tro- va un corrispettivo, certo su un piano per molti aspetti assai distante, nell’odierna moda dei fumet- ti. Non vi si poteva sottrarre anche uno strumento che mira a popolarizzare la trasmissione dei con- tenuti del poema dantesco. Il giudizio sul gusto di siffatta produzione è, ovviamente, lasciato alla sensibilità dei fruitori.

(13) NAGAI 1998. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 262

262 KUNIKO TANAKA

APPENDICE

II

Può essere suggestivo, sempre per l’accennato ac- costamento e/o disgiunzione tra le mentalità, con- frontare l’Inferno dantesco con quello descritto nel- l’antico volume dal titoloOj¯oy¯osh¯¯ u (Fondamenti della rinascita nella Terra pura) (14), redatto dal monaco Genshin nel 985, durante il periodo Heian. Il testo raccoglie gli insegnamenti basilari da se- guire se si vuol rinascere nel Paradiso (Gokuraku) della Terra Pura: la pratica prescritta è quella del nembutsu, la meditazione e l’invocazione di Amida. Il capitolo intitolato Il rifiuto del mondo impuro, presenta sei mondi, cioè:

L’Inferno Jigoku La via degli spiriti affamati Gakid¯o La via degli animali Chikushod¯o La via dei demoni infuriati Ashurad¯o La via dell’uomo Nind¯o La via del cielo Tend¯o quindi le cosiddette Sei Vie

Secondo l’insegnamento buddista, in questi sei mon- Fig. 5 - Hakujo-jigoku (l’inferno dello scorti- di (vie) può avvenire la reincarnazione. L’Inferno è camento). Frammento di Jigoku-Z¯oshi, roto- quello più basso, e vien rappresentato in una esu- lo illustrato del tardo XII secolo. berante varietà di aspetti a seconda dei sutra adot- tati. Nella stessa sua struttura possono risultare mol- teplici e profonde dissimmetrie in rapporto appunto al sutra cui si fa riferimento. Al di là di queste differenze, occorre sottolineare come nell’Oj¯ oy¯osh¯ ¯ o di Genshin domini netta- mente un vivido realismo e una minuziosa precisione nelle descrizioni, che hanno avuto sul pubbli- co giapponese un impatto tale da costruire il nucleo centrale di quella che sarebbe stata, da allora in poi, l’immagine durevolmente recepita dell’Inferno. Questa si è riversata in molti emaki, i rotoli il- lustrati, del periodo Kamakura, in cui parecchie illustrazioni rimandano alle immagini letterariamente elaborate circa l’Inferno (fig. 5). Il fatto che tale testo abbia dato vita ad un’intensa produzione ico- nografica, è la dimostrazione che le parole di Genshin posseggono, anche per il contraccolpo sulla visuale plastica, un forte potere evocativo.

(14) GENSHIN 1980. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 263

BIBLIOGRAFIA 263

BIBLIOGRAFIA

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«SCIAS QUOD EGO FUI SUCCESSOR PETRI...». INTORNO AD ADRIANO V ED AL CANTO XIX DEL PURGATORIO Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 266

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Alla pagina precedente:

Adriano V, incisione (da VINCENTI 1611, p. 92). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 267

267

ADRIANO V IN DANTE E NEL SECOLARE COMMENTO LEGGENDA E STORIA NEL CANTO XIX DEL PURGATORIO

Nel poema sacro, tra i personaggi danteschi più eminenti di area lunigianese vi è sicuramente Adriano V, papa, che appare a Dante nel XIX canto del Purgato- rio. L’episodio è ambientato nella prima delle tre cornici destinate a chi visse pec- cando di amore eccessivo verso i beni terreni, nell’ultima parte del monte del Pur- gatorio, in cui si espiano le colpe di avidità, gola e lussuria, la cui comune radice è l’incontinenza, ovvero un attaccamento smodato alle cose del mondo. Il termi- ne “avidità” è qui volutamente utilizzato al posto di “avarizia” (adottato da Dante) e pour cause. Nella gerarchia canonica dei peccati, lo smodato amore per i beni terreni è una delle cause più diffuse che porta a trascurare il sommo bene, l’a- more di Dio, con tragiche devianze sui comportamenti e i destini degli uomini. Dante chiama quest’inclinazione perversa “avarizia”, un termine che, è bene por- vi attenzione, possiede due sensi ben distinti: il più comune, sopravvissuto anche odiernamente, è di persona che eccede nel trattenere denaro ed altri beni mate- riali senza un reale scopo, avendo l’accumulazione come fine a se stessa. In que- sto senso si contrappone tradizionalmente a prodigo. Per Dante l’avarizia ha an- che un secondo significato, ben più pregnante e pervasivo, di incontinente attaccamento ai beni mondani, di avida ricerca non solo e non tanto del denaro, quanto di incarichi, uffici, onori pubblici (oggi diremmo arrivismo, affarismo o sete di potere). Un male così devastante da essere personificato con la celebre e inquietante figura della lupa, alle porte dell’Inferno e nel canto XX del Purgato- rio (v. 10), contiguo a quello di Adriano V. In questo senso più generale, avarizia e cupidigia sono termini coincidenti (cfr. Mn. III, XV, 11; Epp. V, 13, VI, 22).

Più dei moderni, i commentatori antichi hanno ben presente questo aspetto. Il Lana (1328) ad esempio: «È da sapere che l’autore […] ora intende trattare di quel vizio che versa lo suo amore alle cose temporali, ed è tanto fermo a quello, che ogni altra cosa gli è in oblivione e dimenticanza. E que- sto è lo vizio della avarizia, il quale è uno smisurato amore e appetito avverso le temporali ric- chezze» (Purg., XIX, Proemio) (1).

* Dedico questo lavoro ai miei carissimi genitori Pasquale e Carla Veno, a mio fratello Luca e a sua moglie Melissa, che ringrazio per la vicinanza e il supporto morale in occasione delle recenti celebrazioni centenarie dantesche lunigianesi. (1) Graziolo Bambaglioli (1324), consapevole del duplice senso, sente all’occorrenza l’esigen- za di specificare: “avaritie vel cupiditatis” (Inf., I, 61-63); molto a proposito l’anonimo Selmiano (1337) dice che l’avarizia stringe forte l’uomo «per avanzare [perché] l’avarizia ha si[f]fatta natura, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 268

268 GIUSEPPE INDIZIO

Naturalmente in Dante il fondamento di ogni struttura morale affonda le ra- dici nella Bibbia e nei Padri e Dottori della Chiesa. Ed è così anche in questo caso, infatti egli ripartisce i peccati precisamente secondo la gerarchia data da Grego- rio Magno (2). Basti citare l’apostolo Paolo, che nella prima lettera a Timoteo sen- tenzia senza mezzi termini: «Radix autem omnium malorum est avaritia» (IEp. ad Tim., VI, 10), ripreso più volte e alla lettera da Agostino nei suoi sermoni (3), e ri- proposto in una serie virtualmente ininterrotta fino al contemporaneo Guglielmo di Occam: «Avaritia sive cupiditas radix est omnium malorum» (Dial., VI, 78). È quindi evidente che Dante non potesse ridurre l’inclinazione nefasta all’avarizia al semplice eccesso in retinendo:

«Pur riconoscendo nella superbia, che indusse Lucifero a ribellarsi a Dio, il primo e il più grave dei peccati e ponendo l’avarizia tra le colpe di incontinenza, Dante […] non cessò tuttavia di con- dividere nell’intimo della coscienza il diverso parere di coloro che avevano ravvisato nell’ava- rizia la colpa più grave contro lo spirito del Cristianesimo» (4).

Lo spirito che espia questa nefasta inclinazione è Ottobuono Fieschi, figlio di Tedisio (m. 1255 ca.) e Simona di Raimondo della Volta, nato intorno al 1215 nella grande famiglia genovese dei conti di Lavagna, dotata di cospicui beni di na- tura feudale tra Sestri e Chiavari. Esattori di lungo corso prima del fisco impe- riale, poi delle decime ecclesiastiche, conti palatini dal 1249, tra XII e XIII secolo, grazie ad un’attenta politica dinastica, la prosapia dei Fieschi raggiunge una no- tevole posizione fondiaria ed allaccia relazioni e parentele con importanti dina- stie, sia dentro (Malaspina, Grimaldi, Malocelli), sia al di fuori della diretta area d’influenza (i Rossi di Parma, i Visconti di Milano, i Guidi del Casentino). Le for- tune curiali dei Fieschi si fanno iniziare nel 1163 con la nomina al cardinalato di Manfredo; ma sappiamo che in quegli stessi anni e nei seguenti i conti di Lava- gna contano già un buon numero di cardinali e alti prelati. È con Sinibaldo che, asceso al soglio pontificio col nome di Innocenzo IV nel 1243, i Fieschi intrapren-

che poscia che l’uomo ha acquistato quello che d[e]sidera e la quantità, ha maggior voglia che pri- ma, e mai questa affamata voglia non s’empie.» (Inf. I, 55-99). Molto bene Pietro Alighieri, in prima redazione (1341), distingue i due sensi: «avaritia est duplex; nam uno modo immoderatus dicitur appetitus rerum temporalium quae veniunt in usum et utile humanae naturae, quaecumque pecu- nia extimari possunt: alio modo dicitur omnis immoderata cupiditas habendi quodcumque bonum» (Inf., I, 100). Istruttiva la chiosa di Benvenuto, parlando dell’avaro Venedico Caccianemici: «Nota quod auctor capit hic avaritiam large; nam bononiensis naturaliter et communiter non est avarus in retinando, sed in capendo tantum» (Inf., XV, 68). I contributi dell’esegesi trecentesca sono stati con- sultati in rete, tranne l’inedito Lancia, presso il sito del Dartmouth Dante Project. (2) È stata giustamente ricordata la formula mnemonica dei vizi capitali: siiaagl (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria). Sancita da Gregorio Magno, riconfermata da S. Tom- maso, la gerarchia dei peccati è ripetuta pedissequamente da Dante nel Purgatorio; cfr. voce ava- rizia curata da E. BONORA per l’Enciclopedia Dantesca, 6 voll., Roma 1970-1978 (= ED). (3) Cfr. De diversis quaestionibus octogintatribus, XXXVI; Sermones CCCXCI, 2. (4) Voce avarizia dell’ED, cit. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 269

ADRIANO V IN DANTE E NEL SECOLARE COMMENTO . LEGGENDA E STORIA NEL CANTO XIX DEL PURGATORIO 269

Fig. 1 - Giovanni Grifo, Il passaggio di Dante alla “Fiumana bella”, sipario del Teatro Verdi di Chiavari.

dono una crescita vertiginosa e raggiungono l’apice della propria potenza dina- stica: «La famiglia genovese dei Fieschi, indubbiamente la più importante tra le famiglie curiali non romane nel Duecento, fu presente in curia, a partire dal [1227 e per quasi un secolo], grazie a cin- que cardinali, di cui due diventarono papi (Innocenzo IV e Adriano V)» (5). Sinibaldo seppe perseguire una politica notevolissima di ingrandimento dei domini familiari e di promozione di parenti (6). Ottobuono, nipote di Sinibaldo, era stato istradato per tempo agli studi canonici a Bologna ed appartenne certa- mente alla categoria dei cosiddetti decretalisti, ossia esperti di diritto della Chie-

(5) A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana alla corte dei papi nel Duecento, Roma-Bari 1996, p. 63. Sul cardinal Manfredo da Lavagna cfr. A.G. REMEDI, Il cardinale Manfredo da Lavagna e l’o- rigine del cognome Fieschi da alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano e l’Impero, in I Fieschi tra Papato ed Impero, Atti del Convegno (Lavagna, 18 dicembre 1994), a cura di D. CALCAGNO, prefazione di G. AIRALDI, Lavagna 1997, pp. 285 segg. (6) «[Dal cardinalato e poi dall’ascesa al soglio papale di Sinibaldo, come Innocenzo IV] i Fie- schi si affermarono allora come la più importante tra le famiglie curiali non romane del Duecento... [con Innocenzo IV] altri due Fieschi [Guglielmo e Ottobuono] vennero chiamati nel Sacro Collegio, mentre l’appoggio del papa e dei cardinali di famiglia permise a molti congiunti di ricoprire impor- tanti uffici curiali e di moltiplicare prebende e benefici»: S. CAROCCI, Il nepotismo nel Medioevo. Papi, cardinali e famiglie nobili, Roma 1999, p. 120. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 270

270 GIUSEPPE INDIZIO

Fig. 2 - Cogorno, basilica di San Salvatore dei Fieschi (inizio XX secolo, collezione privata - Genova).

sa, poco versati nelle pratiche religiose, ma estremamente utili e abili come agen- ti diplomatici. Grazie al papa-zio, Ottobuono fu nominato in rapida sequenza cap- pellano papale, cancelliere ed arcidiacono di Reims, canonico di Notre-Dame di Parigi, arcidiacono a Parma. Sinibaldo concesse ad Ottobuono la porpora cardi- nalizia nel dicembre 1251, nominandolo cardinale-diacono di S. Adriano. Sicura- mente è Ottobuono a raccogliere il testimone della politica dinastica da Sinibal- do, alla sua morte (1254):

«Il nepotismo di Innocenzo IV fu poi notevole per la politica di ingrandimento dei dominii fami- liari. Il papa favorì in modo particolare il nipote Nicola, affidandogli l’ambizioso progetto di crea- re una vasta signoria in Lunigiana […]. Morto Innocenzo IV, la sua linea politica fu portata avanti dal cardinale Ottobuono, fratello di Nicola. Grazie agli ingenti capitali fornitigli dal por- porato, fra 1259 e 1266 Nicola continuò ad aggiungere nuovi centri al suo dominio, realizzando una sorta di “signoria prerinascimentale”, un piccolo “Stato” esteso su circa ottanta località, La Spezia compresa, e di fondamentale importanza per i collegamenti fra costa tirrenica e pia- nura padana» (7).

«I cardinali e i papi (Innocenzo IV, Adriano V) della famiglia genovese dei Fieschi hanno ottenu- to per parenti, amici e protetti, oltre che per i membri ecclesiastici delle loro famiglie, un nume- ro impressionante di prebende ecclesiastiche situate nelle più diverse parti della cristianità (Genova, Parma, Reims, Toledo, e così via)»(8).

(7) Ibidem. (8) A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 113. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 271

ADRIANO V IN DANTE E NEL SECOLARE COMMENTO . LEGGENDA E STORIA NEL CANTO XIX DEL PURGATORIO 271

Dopo la nomina cardinali- zia Ottobuono si portò stabil- mente presso la curia romana, dove in pochi anni acquisì espe- rienze e relazioni di capitale im- portanza. Agli esordi del car- dinalato, all’incirca tra il 1250 e il 1260, egli agì in primo luogo come promotore degli interes- si genovesi in seno alla curia, e fu indubbiamente una perso- nalità influente nella stessa Ge- nova. Fu molto attivo anche in Toscana, in particolare a Sie- na (9), ed in Emilia, a Parma. Dalla posizione privilegiata in cui si trovava, intrecciò relazioni con numerosi influenti principi della Chiesa, molti dei quali ve- stiranno poi la tiara, incluso Be- nedetto Caetani, il futuro Boni- facio VIII, di cui Ottobuono fu grande protettore. Il Fieschi ebbe relazioni di rilievo con la corona d’Inghil- terra fin dal 1261, quando deci- de di appoggiare l’elezione di Riccardo di Cornovaglia a se- Fig. 3 - Cogorno, il cosiddetto “palazzo comitale” di San Sal- natore di Roma. In quello stes- vatore dei Fieschi (inizio XX secolo, collezione privata - Ge- so anno favorì il candidato in- nova). glese nella nomina a pontefice. L’elezione di un francese, Urbano IV, fu un insuccesso solo apparente, che non ral- lentò la fortuna diplomatica di Ottobuono; le sue relazioni con l’Inghilterra gli val- sero poco dopo un ulteriore avanzamento, allorché nel 1264 la curia papale si era orientata in senso decisamente anti-tedesco, o meglio anti-svevo, invocando l’intervento degli angioini francesi al fine di detronizzare Manfredi Lancia dal Regno di Sicilia. In quel delicatissimo frangente, il 4 maggio 1265, Ottobuono fu

(9) Durante i disordini tra Guelfi fiorentini esuli a Siena e Ghibellini senesi, Clemente IV inviò in città Ottobono Fieschi nel maggio 1259, cfr. R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, 8 voll., trad. it. a cura di A. KLEIN, riveduta da R. PALMAROCCHI, Firenze 1956-1969, II, p. 667; durante la spedizione di Siena contro Orvieto del 1265, Ottobuono è legato papale a Siena, cfr. ivi, p. 793. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 272

272 GIUSEPPE INDIZIO

prescelto per un incarico diplomatico di estremo rilievo, allo scopo di sondare i reali inglesi e spingerli ad intervenire in Sicilia al posto di Carlo d’Angiò, verso il quale una parte della curia, e Ottobuono in primis, nutrivano timori a causa di un’eccessiva espansione sul suolo italico: l’ingombrante presenza del conte di Pro- venza avrebbe potuto creare pericoli, oltre che per l’autonomia dello stato della Chiesa, per la stessa Genova. L’estrema duttilità diplomatica di Ottobuono ben si mostrò nella circostanza, in quanto lungo il viaggio per l’Inghilterra ebbe modo di sostare nel capoluogo ligure ed ottenervi il libero passaggio per le truppe del pur malvisto Carlo d’Angiò; di lì a poco lo vediamo presso la corte del re di Fran- cia, Luigi IX (30 agosto), ad appoggiare la (per lui poco desiderabile) venuta an- gioina in Italia. Ottobuono sbarcò infine a Dover il 29 ottobre 1265.

La sua missione fu presto compromessa da avvenimenti politici avversi: in quel periodo i baroni inglesi avevano dato vita ad una rivolta di vassalli contro il re, Enrico III Plantageneto. Nell’occasione il futuro papa agì a stretto contatto con due importanti dignitari pontifici, suoi personali collaboratori, Tedaldo Visconti, poi papa Gregorio X, e Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII (10). Sempre ver- satile, Ottobuono affiancò alla missione diplomatica volta a persuadere re Enri- co a scendere in Italia, la predicazione della crociata in Terra Santa, partecipan- do a vari sinodi, il più importante dei quali si tenne a Northampton. Durante tutto il periodo della missione inglese, dal 1265 al 1268, egli fu il grande confidente del nuovo papa, Clemente IV, che lo teneva costantemente informato con lunghe mis- sive dall’Italia sugli sviluppi della drammatica guerra svevo-angioina (11). Tornato in Italia, ormai avanti con l’età, Ottobuono condusse nei suoi ultimi anni un’intensa attività curialista appoggiando la nomina di Gregorio X nel 1271. Non dismise mai, tuttavia, la sua politica filogenovese. Alleato dei Grimaldi e dei Malocelli, tutti guelfi e filoangioini, fu promotore di varie iniziative politiche vol- te a scacciare i dominanti Doria e Spinola, di militanza ghibellina (12). Nel 1273,

(10) «Clemente IV nel 1265 aveva incaricato il cardinale Fieschi di recarsi in Inghilterra per sostenere la causa di re Enrico III in lotta contro i baroni ribelli. Quando il legato il giorno di Ognis- santi del 1265 giunse sulle rive del Tamigi, trovò una situazione politica agitata e confusa. Ottobo- no pensò subito di far rientro in patria, ma il papa riuscì a convincerlo a cambiare idea […] Duran- te la Pasqua del 1267, il legato aveva preso come sua residenza la Torre di Londra, mentre il re era a Romsey e a Cambridge per cercare di domare la rivolta […] Bonifacio non dimenticò mai questi fatti: «Ci ricordiamo bene» dirà nell’agosto del 1300 [ricevendo il vescovo di Winchester] «come, quando arrivammo in Inghilterra col signor Ottobono e fummo assediati nella Torre di Londra dal duca di Gloucester, il re attuale – allora un principe molto giovane [Edoardo] – accorresse subito a liberarci dall’assedio»: A. PARAVICINI BAGLIANI, Bonifacio VIII, Torino 2003, pp. 16-17. (11) Confidente prediletto di Clemente IV al tempo della guerra tra Carlo d’Angiò e Manfredi Lancia, poi Corradino di Svevia, cfr. R. DAVIDSOHN, Storia cit., II, pp. 804, 812, 813; e III, p. 4. (12) Nel 1273 troviamo i Guelfi cacciati da Genova dall’oligarchia Doria-Spinola, uno dei loro capi era il cardinale Ottobuono Fieschi, ivi, III, p. 119. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 273

ADRIANO V IN DANTE E NEL SECOLARE COMMENTO . LEGGENDA E STORIA NEL CANTO XIX DEL PURGATORIO 273

al seguito di Gregorio X diretto al concilio di Lione (13), fece tappa a Firenze, dove il comportamento riottoso delle fazioni, in particolare uno sgradito assalto con- tro Pisa, indusse il papa a comminare l’interdetto e la scomunica. Ancora una vol- ta ritroviamo Ottobuono circondato dai massimi dignitari papali:

«Avviandosi a Lione […] il Papa (scil. Gregorio X) decise di passare per Firenze [maggio 1273] per intervenire di persona tra le fazioni, dopo i due infruttuosi tentativi dei suoi fiduciari. Egli si fece assistere […] da quattro dei più autorevoli membri del Sacro Collegio [Pierre de Taran- taise, poi Papa Giovanni XXI, Simon de Brion, poi Papa Martino V, Giovanni Gaetano Orsini, poi Papa Niccolò III, e Ottobuono Fieschi]. Appartenevano al seguito del Papa e agirono […] nei negoziati tra i Guelfi e i Ghibellini due parenti del cardinale Ottobuono, il frate domenicano Bonifazio, arcivescovo di Ravenna, e Percivalle Fieschi (fratello di Ottobuono)» (14).

Dopo Lione, fu a Losanna dove svolse attività diplomatica presso il re tedesco Rodolfo d’Asburgo, tentando di riavvicinare le due dinastie reali di Francia e Ger- mania, ma senza esito. Morto Gregorio X nel gennaio 1276, e morto poco dopo an- che il successore Innocenzo V, nel giugno, a Roma, Ottobuono fu eletto pontefi- ce l’11 luglio 1276. Il suo primo atto fu tentare di mitigare la durezza delle norme conclavistiche emanate da Gregorio X (bolla Ubi periculum) (15), ma poco dopo il trasferimento a Viterbo, mentre nell’Urbe imperversava la pestilenza, morì il 18 agosto, dopo appena 38 giorni di pontificato e senza esser stato mai formal- mente consacrato né incoronato.

Ottobuono Fieschi fu una personalità complessa per il grande rilievo politi- co e le influenti relazioni diplomatiche. Non fu privo di tratti di mecenatismo (16), si circondò di importanti intellettuali e scienziati come Campano da Novara, uno dei massimi matematici ed astronomi del tempo (17), ed il giurista Guglielmo

(13) «A Lione Gregorio X incontrò forti resistenze da parte dei cardinali e dovette appoggiarsi ai vescovi per far accettare la sua costituzione (1° novembre 1274). Troppo severa, l’Ubi periculum non resistette alla prova dei fatti. Fu applicata, sembra, durante le due vacanze del 1276 che vide- ro l’elezione di Innocenzo V e Adriano V. Quest’ultimo, deceduto (18 agosto) soltanto qualche gior- no dopo la sua elezione (11 luglio), volle attuarne il rigore, ma non ebbe il tempo di mettere per iscrit- to»: A. PARAVICINI BAGLIANI, Il trono di Pietro. L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 2001, p. 16. (14) R. DAVIDSOHN, Storia cit., III, pp. 121-22. (15) «Adriano V (1276) sospese immediatamente la costituzione Ubi periculum [per il regime conclavistico troppo austero]»: A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 197. (16) «Il mecenatismo culturale di un cardinale come Ottobono Fieschi, che fu anche uno dei grandi eredi degli Svevi a livello politico e materiale (il palazzo di Pier delle Vigne a Napoli e così via)»: A. PARAVICINI BAGLIANI, Il trono cit., p. 215. (17) «L’astronomo e medico Campano da Novara (m. 1296), uno dei quattro migliori matema- tici del suo tempo secondo Ruggero Bacone, fu cappellano del cardinale Ottobono Fieschi (futuro Adriano V, 1276)»: A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 180; «Il 19 febbraio 1264 Bene- detto [Caetani] è ad Orvieto, ove la corte papale risiedeva […], come testimone di una sentenza del cardinale Ottobono Fieschi. Faceva forse egli parte della famiglia di questo cardinale come un altro dei testi, Campano da Novara […], uno dei più grandi astronomi del XIII secolo. [Nella pre- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 274

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Durand, che dedicò proprio ad Ottobuono il suo Speculum Iudiciale (18). Sen- za dubbio Ottobuono fu una persona sensibile ai piaceri terreni ed ebbe spiccata inclinazione ad apprezzare le bellezze materiali:

«Il cardinale genovese Ottobono Fieschi, poi Adriano V (1276), parla in due lettere dei luoghi pre- scelti per i soggiorni estivi della curia e offre un elogio della natura piuttosto raro in quei decenni centrali del XIII secolo: L’aspetto ridente del posto colpisce; la dolcezza e l’aria vivace fortificano gli esseri e le pian- te. Una vasta pianura si stende ai piedi della collina, propizia ad ogni distensione. L’acqua scorre pura, in abbondanza, non troppo raffreddata dalle nevi. L’approvvigionamento è co- pioso, ma ancor più l’affluenza delle persone: chierici sottomessi, nobili premurosi, un po- polo umile. Da Montefiascone [1262] Ottobono Fieschi scrive a un collega [rimasto] nelle campagne della Toscana [chiedendosi] come sia possibile annoverare tra i luoghi ameni “i densi boschi e i monti invalicabili degli Etruschi […] Il cardinale assicura al suo amico che la purezza dell’aria e le comodità offerte dalla sua nuova residenza gli permettono di trascorrere un soggiorno molto piacevole. [La sua lettera] segnala un forte desiderio di benessere fisico legato ai piaceri della natura e della tavola [di cui dà] preziosa testimonianza” (19)».

Fu un estimatore di preziosi codici e libri (20) e patrono di pittori famosi, spe- cie se si deve a lui l’arrivo a Roma di Cimabue (21). Fu anche attento a preserva- re l’integrità delle proprie spoglie mortali e nel suo testamento dette precise istru- zioni per contravvenire alle pratiche allora in uso di bollire e smembrare le salme dei pontefici, prescrivendo la costruzione di un monumento funebre degno della sua fastosa grandezza (22). Indubbiamente la politica feudale e di accrescimento dinastico fu sempre la principale preoccupazione di Ottobuono (23), tale da giu-

fazione alla sua complessa Teoria dei pianeti] Campano racconta che il papa dopo pranzo aveva l’abitudine di organizzare tra i suoi cappellani delle dispute scientifiche e filosofiche»: A. PARAVICI- NI BAGLIANI, Bonifacio cit., p. 15. (18) Cfr. voce “Adriano V” dell’ED, curata da R. MANSELLI. (19) A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 33 (20) «Ottobono Fieschi […] ricorda di possedere una Bibbia dello zio pontefice Innocenzo IV (1243-54), nonché le decretali cum Apparatu dello stesso papa»: ivi, p. 186. (21) «Forse a venire sulle rive del Tevere lo (scil. Cimabue) indusse il cardinale Ottobuono Fie- schi»: R. DAVIDSOHN, Storia cit., VII, p. 415. (22) «Ottobono Fieschi […] aveva previsto nel suo testamento del 28 settembre 1275 che i ca- nonici di Genova attendessero due anni per trasportare le sue spoglie nella cattedrale della città, dove desiderava essere sepolto»: A. PARAVICINI BAGLIANI, Bonifacio cit., p. 216; «Alla fine del suo testamento il cardinale [Ottobono Fieschi] predispose che nella chiesa francescana dove sarebbe stata deposta la sua salma si dovesse costruire un altare in onore di sant’Adriano, intorno al quale i frati dovevano riunirsi per cantare pro anima mea […] et pro delictis meis»: A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 247; «Le piume di pavone, di cui è ornata la sommità della tiara che fu di- segnata nel registro di Innocenzo III non sono forse un simbolo che rinvia alla gloria soprannatura- le, fonte e scopo di ogni sovranità […] le possiamo osservare, ad esempio, nella statua funebre di Adriano V»: A. PARAVICINI BAGLIANI, La corte dei Papi cit., p. 71. (23) «Agli inizi del Trecento, le maggiori famiglie della nobiltà romana erano ormai signore, nel- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 275

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stificare ampiamente la critica di Dante, che pure lo fa salvo ponendolo in Pur- gatorio e non nelle irredimibili pene infernali, in virtù di una postrema conver- sione al vero Bene. Una tendenza all’avarizia ben nota agli storici:

«Anche dopo la morte di papa Innocenzo IV, la famiglia genovese dei Fieschi poté contare sul- l’attivo sostegno (in Curia, in patria e ovunque bisognasse) del cardinale Ottobono; Ottobono, inoltre, acquistò o fece acquistare con propri denari al fratello Nicola il castello di Carpena e alcuni altri centri della Liguria orientale» (24).

Ottobuono, pur non riuscendo a surclassare altri campioni del suo tempo, non fu del tutto immune dal malcostume della corruttela e del nepotismo (25) e sono documentati diversi episodi che non dovettero contribuire alla sua buona fama: «Come cardinale [Ottobuono] aveva goduto di cattiva fama per la sua corruttibilità» (26). «[Nell’aprile 1272] Siena si affannava a farsi togliere l’interdetto e a tal uopo riuscì a corrompe- re il cardinale Ottobuono Fieschi, il futuro papa Adriano V [come attestano due versamenti di 300 fiorini d’oro prima e 600 libbre poi]» (27).

«[Nei primi mesi del 1276 Innocenzo v incaricò Ottobuono di ricevere i fiorini d’oro con cui veniva corrotta la curia e comprata l’assoluzione dall’interdetto lanciato contro Firenze da Gre- gorio X]» (28). «[11 marzo 1276, corruzione a Perugia di sei cardinali tra cui Ottobuono]» (29).

S’inserisce qui una singolare idiosincrasia tra le antiche fonti e la moderna dan- tologia, che nega ad Ottobuono qualsivoglia coinvolgimento mondano degno di nota, fino a negare veridicità storica all’episodio, imputando al poeta una cono- scenza accidentata della materia. In occasione dell’incontro oltremondano l’ani- ma dolente esordisce con una rivelazione che ha molto impegnato i moderni studiosi, i quali ne hanno complicato i risvolti forse oltre il necessario. Adriano dice d’esser giunto al sommo della potenza terrena, il soglio papale, giusto in tem- po per accorgersi che la propria rincorsa agli onori si era rivelata un inganno, un

le terre della corona angioina, di almeno tre vaste contee, di decine e decine di castelli e di altri importanti feudi. Altri possessi erano poi direttamente assegnati, in concessione vitalizia, agli stes- si cardinali, come per esempio al genovese Ottobono Fieschi»; S. CAROCCI, Il nepotismo cit., p. 70. (24) S. CAROCCI, Il nepotismo cit., p. 73. (25) «Bonifacio Fieschi era stato nominato arcivescovo di Ravenna (4 settembre 1275) a di- spetto della feroce opposizione dei canonici. Caetani riuscì a far accettare il candidato della curia, un parente del cardinale Ottobono»: A. PARAVICINI BAGLIANI, Bonifacio cit., pp. 16-17; «Nella fami- glia del grande aristocratico Ottobono Fieschi la retribuzione rispetta una scala retributiva che va da 1 a 12, dunque assai ampia per un gruppo di persone costretto ad una coabitazione continua […] I nobili laici, tutti parenti del cardinale, sono equiparati ai chierici»: A. PARAVICINI BAGLIANI, La vita quotidiana cit., p. 144. (26) R. DAVIDSOHN, Storia cit., III, p. 173. (27) Ivi, p. 117. (28) Ivi, pp. 172-173. (29) Ibidem. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 276

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traguardo falso ed elusivo, che non poté ripagarlo delle illusioni che vi aveva ri- posto né della propria ambizione di potere. Dante usa la parola “conversione” per indicare che il papa, scoperto l’errore di un insensato amore per i beni terreni, si rivolse alla fine al bene di Dio, salvandosi dalle pene eterne, sebbene non dalle an- gustie purgatoriali. A questo punto Adriano svela a Dante il contrappasso insito nella pena sua e delle altre anime di quella cornice. Come nella vita furono acce- cati dalla brama di ricchezza, di potere e di altri onori mondani, sacrificandovi ogni cura e azione, così sono ora costretti al suolo a faccia in giù, legate le mani ed i piedi, interamente soggetti alla pena comminata dalla giustizia divina, riflet- tendo di continuo sugli errori commessi: Fino a quel punto, misera e partita da Dio, anima fui del tutto avara; or, come vedi, qui ne son punita. Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara in purgazion de l’anime converse; e nulla pena il monte ha più amara. […] così giustizia qui stretti ne tene, ne’ piedi e ne le man legati e presi; e quanto fia piacer del giusto Sire, tanto staremo immobili e distesi (Dante, Purgatorio, XIX, 113-127).

Per dare evidenza drammatica alla pochezza dei beni terreni Dante, che si era inginocchiato per reverenza, subisce il rimprovero di Adriano V, il quale l’ammo- nisce di non dare importanza alle cariche temporali di cui gli uomini si fregiano in vita, poiché nel regno di Dio le dignità terrene perdono ogni valore. Tutte le ani- me sono uguali e ugualmente soggette all’autorità divina:

«Drizza le gambe, levati su, frate!» rispuose «non errar: conservo sono teco e con li altri ad una podestate» (Dante, Purgatorio, XIX, 133-135).

Dalla metà del ’900 in poi i commentatori hanno avanzato dubbi sulla realtà storica del racconto che Dante attribuisce ad Adriano, in particolare sono per- plessi a sentir dire della sua natura avara e sulla sua conversione (30).

(30) Sfoggiando un inedito quanto malriposto unanimismo, appaiono numerose e molto deci- se (oltre che storicamente errate) le prese di posizione dei commentatori a favore di tale interpre- tazione; a titolo campionario: «Non risulta provato che Adriano V sia stato avaro, avido di potenza, di onori e di ricchezza, né che in così breve pontificato si sia notato un suo ravvedimento» (D. ALI- GHIERI, La Divina Commedia, edizione e commento a cura di C. STEINER, Milano 1921, nota al ver- so); «Che Adriano V fosse stato avido di beni terreni e da pontefice si fosse convertito, non risulta Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 277

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L’ipotesi di comodo che si è progressivamente affermata (31) è che il poeta ab- bia attinto le notizie su Adriano V dal Policraticus di Giovanni di Salisbury, che scrive: “Spinosam dicit cathedram Romani pontificis, mantum acutissimis usque- quaque consertum aculeis tantaeque molis ut robustissimos premat terat et com- minuat humeros” (32). I punti deboli di una tale tesi sono però notevoli, leggiamo innanzitutto le parole che Dante fa pronunciare ad Adriano: Un mese è poco più prova’ io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, che piuma sembran tutte l’altre some (Dante, Purgatorio, XIX, 104-106).

Il solo punto di contatto evidente tra i due testi risiede nel denominare “man- to” l’onerosa veste papale, tuttavia affermare che una posizione di potere (in que- sto caso ecclesiastico) porta con sé degli oneri è semplicemente un luogo comu- ne. Osserviamo anche che Giovanni di Salisbury scrive alla metà del XII secolo, sicché non avrebbe mai potuto riferirsi ad Adriano V, che visse nel secolo suc- cessivo: il Policraticus parla di Adriano IV (morto nel 1159). Si potrebbe pensare che Dante non identificasse l’Adrianum pontificem romanum con Adriano IV, ma che lo confondesse con Adriano V; l’ipotesi appare debole, visto che il poeta conobbe direttamente il Policraticus, un’opera di molto precedente al tempo di Adriano V (33). Potremmo ancora ipotizzare che Dante conoscesse il Policrati- cus, ma che non lo collocasse correttamente nel tempo: ne risulterebbe che per il poeta il Policraticus gli fosse contemporaneo, il che è un assurdo evidente. Per sanare l’incongruenza, le ipotesi sono state aggiunte alle ipotesi. La prin- cipale è che Giovanni di Salisbury venisse ripreso da una fonte successiva, che ha

minimamente» (D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, edizione e commento a cura di M. PORENA, Bo- logna 1949, nota al verso); «Dalle fonti storiche non risulta che sia stato mai avaro né eccessiva- mente avido di potenza; e tanto meno che egli si convertisse nel brevissimo periodo del suo ponti- ficato» (D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, edizione e commento a cura di N. SAPEGNO, Firenze 1957, nota al verso); «La sua avarizia storicamente non risulta» (D. ALIGHIERI, La Divina Comme- dia, edizione e commento a cura di S. A. CHIMENZ, Torino 1965, nota al verso); «Fu ricchissimo. Ma non risulta dai documenti che fosse avaro. Neppure si ha notizia della conversione» (D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, edizione e commento a cura di A. GIACALONE, Milano 1968, nota al verso); «No historical evidence has been found to bear out either Pope Adrian’s avarice or his conversion in so brief a time in office» (D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, edizione e commento a cura di C. SINGLETON, Bologna 1975, nota al verso); «[Non risulta la conversione una volta eletto a pontefice e] la sua avarizia durante il cardinalato poggia su scarsi dati storici» (D. ALIGHIERI, La Divina Com- media, edizione e commento a cura di E. PASQUINI, A. E. QUAGLIO, Milano 1987, nota al verso). Na- turalmente nessun elemento è offerto a suffragare simili asserzioni. (31) U. BOSCO, Particolari danteschi, in “Annali della Scuola Normale di Pisa”, s. II, XI (1942), pp. 136-43. (32) Giovanni DI SALISBURY, Policraticus, VIII, 23, 814b-c. (33) P. RENUCCI, Dante disciple et juge du monde gréco-latin, Paris 1954. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 278

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confuso insieme i due papi, concludendo che Dante attingesse a questa seconda fonte: che naturalmente non è mai stata rintracciata. Per di più, visto che il poe- ta conobbe direttamente il Policraticus, risulta del tutto improbabile che si sia fatto fuorviare da una fonte derivata e molto scorretta. Si tenga presente inoltre che i pochi elementi disponibili sulla ricezione del Policraticus da parte di fonti secondarie congiurano per un recepimento diretto e fedele: il Chronicon di Fran- cesco Pipino e gli anonimi Gesta episcoporum Islandorum (34).

Ma non è tutto. L’assurdità del parallelo istituito tra la Commedia e il Poli- craticus è evidente ove si osservi l’esito completamente diverso cui giungono le riflessioni dei rispettivi papi. Arrivato al soglio pontificio l’Adriano del Policra- ticus non si convertì affatto alla “vera vita”, all’amore di Dio; di fronte alle peno- se incombenze del pontificato, egli si limita a rimpiangere la tranquillità della vita serena che conduceva prima dell’ascesa al soglio, quando era un semplice chie- rico: «cum de gradu in gradum a claustrali clerico per omnia officia in summum pontificem ascenderit, nichil unquam felicitatis aut tranquillae quietis vitae prio- ri adiectum est ascensu» (35). Abissale la differenza rispetto alle parole dell’A- driano dantesco: La mia conversione, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda. Vidi che lì non s’acquetava il core, né più salir potiesi in quella vita; perché di questa in me s’accese amore (Dante, Purgatorio, XIX, 107-112).

L’Adriano V di Dante non può essere figlio, sia pure illegittimo, dell’Adriano del Policraticus, perché ha vissuto un’esperienza completamente diversa, quella del- la conversione a Dio. La prova definitiva ci è data, paradossalmente, da una tes- sera che viene citata dagli studiosi come prova a favore. Si dice che Petrarca ca- desse in un primo tempo nello stesso errore di Dante, diciamo meglio: che attingesse alla stessa fonte confusionaria, derivata dal Policraticus. Ma non è così. Il sommo umanista parla chiaramente di un Adriano romano pontefice che aveva un’av- versione preventiva verso la possibilità di diventare un giorno papa e che, eletto a quell’onerosa carica, immediatamente rimpianse la serena vita precedente: «Adrianum romanum pontificem sepe dicentem audivisse Policratus refert, qui sibi perfami- liaris fuit, nullum se de hoste suo quolibet maius supplicium optare quam ut papa fieret. Et pro- fecto, nisi fallor, summi pontificatus sarcinam, que vulgo felix et invidiosa creditur, humeris su- biisse difficillimum et gloriosum miserie genus est: his dico qui eam seque ab omni contagio precipitioque preservare decreverunt; reliquis enim quanto levior videtur tanto funestior status

(34) G. BILLANOVICH, Nella cornice degli avari, in ID., Prime ricerche dantesche, Roma 1947, pp. 7-11. (35) G. DI SALISBURY, Policraticus, loc. cit. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 279

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est. Videtur itaque apud utrosque formidabilis. Quod si ille fatebatur qui id honus paucis diebus pertulit, quid illis videri debet qui sub fasce senuerunt?» (Petrarca, Rerum Memorandarum, III, XCV).

Di tutt’altra pasta l’Adriano V immaginato da Dante, il quale invece che teme- re o disprezzare, ricercò con eccessivo amore la massima dignità terrena, salvo poi comprenderne in extremis la fallacia. A questo punto, apparentare l’Adria- no incognito del Policraticus (o dell’ancor più incognita fonte secondaria) con quello dantesco non pare fondato.

Una spiegazione che non sforzi il testo di Dante e le sue fonti (che in questo canto, oltre ai testi biblici, specie quelli degli Apostoli, si riducono quasi esclusi- vamente a Boezio) pare la seguente: data per certa la soggezione di Ottobuono al peccato di un incontinente amore per gli onori secolari, è possibile che il poe- ta intendesse farne la personificazione di un’esperienza mondana dall’epilogo ine- vitabile ed esemplare. Solo chi è diventato papa, avendo raggiunto la più alta au- torità sulla terra, può testimoniare l’inganno dei beni materiali, non avendo più ulteriori gradi da ascendere. Un’esperienza normalmente negata agli esseri umani colpiti dall’avarizia: essi vivono fino all’ultimo nella vana convinzione che l’ascesa di un altro grado nella scala degli onori potrebbe finalmente placarne l’a- vidità. La figura di un papa era quindi strettamente funzionale per rendere effi- cace il dramma dell’avarizia. Se non vi sono dubbi sulla mondana ‘avarizia’ di Ot- tobuono, è vasto il campo del possibile in merito alle radici poetiche dell’episodio dantesco, allorché - ormai consapevole della fatua caducità degli onori terreni -, Ottobuono dismette il ‘papale ammanto’ e rivela il mistero della sua salvezza, af- fidata ad un’estrema conversione di cui, a parte una plausibile familiarità e vici- nanza col mondo francescano, non vi è solida prova. Le ragioni della creatività ar- tistica sono spesso imperscrutabili, una probabile chiave di lettura ci viene offerta dalla chiusura del canto, allorché il papa prega il poeta, una volta tornato nel mon- do dei vivi, di ricordarlo alla sola nipote virtuosa che gli è rimasta nel secolo, Alagia Fieschi, augurandosi che il malcostume familiare non finisca col conta- minare anche lei: «Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, buona da se, pur che la nostra casa non faccia lei per essempro malvagia e questa sola di là m’è rimasa» (Dante, Purgatorio, XIX, 142-146).

Ancora una volta, echi autentici del passato ci sono forse conservati dai com- mentatori trecenteschi. Benvenuto da Imola, chiosando l’atto di accusa che Adria- no V indirizza alla sua stessa stirpe, spende parole molto dure: «Et vide, quod iste sacerdos loquitur honeste et caute: dicit enim quod nepotis est bona, nisi imi- tetur exemplum aliarum de domo sua. Per hoc enim dat intelligi caute, quod mulieres illorum de Flisco fuerunt nobiles meretrices; qualis (scil. Ginetta), si fama non mentitur, fuit uxor Petri Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 280

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de Russis de Parma, strenuissimi militis. Quid dicam de Isabella uxore domini Luchini poten- tissimi et justissimi tyranni in Lombardia? […] quia illi de domo mea (scil. i Fieschi) sunt dedi- ti avaritiae, sicut ego fui, tum quia januensis, tum quia sacerdos» (Purg. XIX, 142-146). In pegno delle tradizionali relazioni feudali che legavano da tempo i Fieschi e i Malaspina, Alagia era andata sposa intorno al 1295 al marchese Moroello Ma- laspina di Giovagallo, dando liberale ospitalità a Dante nel 1306, probabilmente su raccomandazione del poeta ed amico Cino da Pistoia, in strette relazioni con vari esponenti della illustre casata. Si conosce poco della figura storica di Ala- gia (36), che documenti superstiti ci mostrano in negozi giuridici tra il 1315 ed il 1344, gli anni della lunga e devota vedovanza. L’unico commentatore antico che dia notizie originali rispetto al testo di Dante è Andrea Lancia (1342), ripreso dal- l’Anonimo fiorentino (1399): «Questa fue moglie del marchese Morrovello de’ Marchesi Malespini, donna di grande valore e che sempre per l’anima di questo papa fece elimosine, oblationi, vigilie e orationi, come il te- sto dice» (37). Di qui l’Anonimo, che evidentemente segue il Lancia in più punti: «Questa fu nipote d’Adriano papa, et fu moglie del marchese Morello de’ Malespini: ebbe nome la gran donna, di gran valore et di gran bontà; et l’Auttore, che stette più tempo in Luni- giana con questo Morello de’ Malespini, conobbe questa donna, et vidde che continuamente faceva gran limosine, et facea dire messe et orazioni divotamente per questo suo zio; et però l’Auttore, come uomo che l’udì, et vedea, et sapea la fama buona ch’ella avea, gli rendè questa testimonianza» (Purg., XIX, 142-145). La testimonianza del Lancia appare estremamente credibile, oltre che per la sua personale vicinanza al mondo dantesco, anche perché s’inserisce in un co- stume dell’epoca diffuso e ben codificato: «Alagia [nei lunghi anni della sua vedovanza fu dedita al] compito di tutte le donne, specie nel Medioevo: custodire le tombe dei morti di famiglia, serbarne il ricordo e assistere con le pre- ghiere le loro anime sulla via della purificazione» (38). Queste testimonianze lasciano volentieri supporre che Dante, fosse vero o meno l’edificante episodio della conversione sul finire della vita, volle intenzio- nalmente prescegliere papa Fieschi, sapendo di rendere omaggio ad una persona di grande levatura morale e devotamente religiosa, che liberamente l’ospitò.

GIUSEPPE INDIZIO

(36) Fondamentale e ricco di informazioni lo studio monografico di E. M. VECCHI, Alagia Fie- schi Marchesa Malaspina. Una domina di Lunigiana nell’età di Dante, Lucca 2003. (37) Per la segnalazione lancea, tratta da chiose ancora inedite, sono debitore a Luca Azzetta, massimo conoscitore del Lancia, che sentitamente ringrazio. (38) E. M. VECCHI, op. cit., p. 10. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:44 Pagina 281

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IN MERITO ALLA CONVERSIONE DI OTTOBUONO FIESCHI – ADRIANO V

La mia conversione, ohmè! fu tarda; ma come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda. (DANTE, Purgatorio, XIX, 106-108)

Dante, nel XIX canto del Purgatorio, 97-144, incontra l’anima di Adriano V, al secolo Ottobuono Fieschi, dei conti di Lavagna (1). Il brano è spesso citato da chi si è occupato di storia fliscana per la celebre terzina (vv. 100-102) Intra Sïestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima che richiama l’origine del titolo comitale dei Lavagna, un argomento sul quale ci siamo soffermati a più riprese (2). Minore fortuna, se si eccettua un saggio di Umberto Bosco (3), ha invece avu- to la sua conversione, un episodio non ancora ben chiarito che la critica, a oggi, spiega come errore del Poeta: «Quanto al fatto preciso della conversione un interessante contributo viene dall’approfondi- mento che di un passo del commento di Benvenuto ha realizzato U. Bosco. Dante avrebbe ri-

(1) A oggi non esiste una biografia esauriente su Ottobuono Fieschi. Rimandiamo pertanto al fondamentale lavoro, anche se di ispirazione dichiaratamente riformata, di N. SCHÖPP, Papst Ha- drian V. Kardinal Ottobuono Fieschi, «Heidelberger Abhandlungen zur Mittleren und Neueren Ge- schichte», 49, Heidelberg 1916 (è in preparazione una traduzione riveduta e aggiornata dell’opera a cura di chi scrive) e all’indispensabile opera di A. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di Curia e ‘fami- liæ’ cardinalizie dal 1227 al 1254, 2 volumi, Padova 1972, volume I, pp. 358-379. Cfr., tuttavia, an- che per le rilevanti annotazioni al volume di N. Schöpp, il lavoro di A. FERRETTO, I personaggî del- la Divina Commedia: il cardinale Ottobono Fieschi (Adriano V), in «Il Cittadino», 1927, 23 settembre, p. 3; 30 settembre, p. 3; 7 ottobre, p. 3; 14 ottobre, p. 3; 4 novembre, p. 3. (2) Cfr. D. CALCAGNO, Ianuenses facient iurare Lavaninis et Paxaninis et illis de Lagneto: alle origini del potere dei conti di Lavagna, in «Giornale storico della Lunigiana e del territorio lu- cense», n.s., LIV (2003), pp. 161-176; ID., Silvam quoque que talibus concluditur terminis: alle origi- ni del potere dei conti di Lavagna in Val di Taro, in «Archivio storico per le province parmensi», s. IV, LV (2003), pp. 197-211; ID., La memoria dei feudali. Una “genealogia memoriale” dei conti di Lavagna e la “spedizione” di Mezzànego, in Mezzànego in Valle Sturla, a cura di B. BERNABÒ, Mezzànego 2008, pp. 163-182. (3) U. BOSCO, Adriano IV e V, in «Annali della regia Scuola Normale Superiore di Pisa», s. II, XI (1942), pp. 136-143, ora in ID., Dante vicino. Contributi e letture, «Aretusa. Collezione di lettera- tura diretta da A. BOCELLI», 23, Caltanisetta-Roma 1966, pp. 378-391 da cui citiamo. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 282

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presa, attribuendola ad Adriano V, una notizia del Policraticus di Giovanni di Salisbury, relativa al papa Adriano IV, in cui si riferisce dell’amarezza e delusione di quest’ultimo dopo l’elezione al trono pontificio» (4).

Lo stesso Raul Manselli sottolineava però come non fosse possibile «escludere anche la possibilità di una tradizione familiare, di cui possa esser stato tramite a Dan- te la stessa Alagia [Fieschi]; a lei Dante si richiamerebbe, per bocca dello stesso Adriano V, come a testimonianza e conferma, al di là di ogni intento encomiastico» (5).

È alla ricerca di quella possibile tradizione famigliare che intendiamo incam- minarci, offrendo una spiegazione – alternativa – al passo dantesco che comple- ti la pur convincente ipotesi di Umberto Bosco.

1. Una lettera di Ottobuono Fieschi.

Angelo Clareno (6), nella Historia septem tribulationum Ordinis minorum (7), riferisce dettagliatamente le fasi del processo per eresia celebrato da Bonaventura da Bagnoregio e dal cardinale Giovanni Gaetano Orsini (8) contro Giovanni Burali da Parma: durante uno degli interrogatorî, svoltisi a Città della Pieve, all’esplicita do-

(4) R. MANSELLI, Adriano V, in Enciclopedia dantesca, Roma 20052, volume V, pp. 99-100, cita- zione a p. 100. (5) R. MANSELLI, Adriano V, cit., p. 100. Su Alagia Fieschi cfr. ora E.M. VECCHI, Alagia Fieschi, marchesa Malaspina. Una domina di Lunigiana nell’età di Dante, Lucca 2003. (6) Angelo Clareno da Cingoli (1245 circa, Fossombrone-15 giugno 1337, Santa Maria dell’A- spro [Marsico Vetere, Potenza]). Nel 1262 entra nell’Ordine francescano dedicandosi per alcuni anni all’insegnamento della Teologia, aderendo in seguito alla corrente degli spirituali che osservavano alla lettera la Regola e il Testamento di San Francesco e aderivano entusiasticamente alle idee del mistico calabrese Gioacchino da Fiore, identificando la sua Ecclesia spiritualis con lo stesso Or- dine francescano. Per questo Angelo Clareno fu incarcerato dal 1280 al 1289; nel 1299 dovette rifu- giarsi in Grecia per sottrarsi a una nuova cattura e soltanto nel 1311 Clemente V lo scagionò da ogni accusa. Durante la successiva sede vacante (1314-1316), tuttavia, in occasione di una cerimonia in memoria di Pietro di Giovanni Olivi, Angelo Clareno incitava alla ribellione gli spirituali di Narbo- na contro i conventuali, che costò loro la scomunica (1317) da parte di Giovanni XXII, per gli spiri- tuali personificazione dell’Anticristo. A seguito della scomunica Angelo Clareno fondava (1318) l’or- dine dei fraticelli (fratelli della vita povera), organizzato come un ordine francescano indipendente, contestando la legittimità dell’autorità papale di Giovanni XXII. Il pontefice reagì facendo bruciare sul rogo quattro fraticelli a Marsiglia nello stesso anno, ma non riuscì mai a catturare Angelo Cla- reno, che aveva trovato rifugio presso Ludovico il Bavaro durante la conquista di Roma del 1328 e che morì, libero e in odore di santità. Cfr. L. VON AUW, Avant-propos, in ANGELI CLARENI, Epistole, «Fonti per la storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 103, a cura di L. VON AUW, Roma 1980, pp. XXII-XXV. (7) ANGELI CLARENI, Historia septem tribulationum Ordinis minorum, «Fonti per la storia dell’Italia medievale. Rerum Italicarum scriptores», 2, a cura di O. ROSSINI, introduzione e com- mento di H. HELBLING, Roma 1999, pp. 189-190. (8) Futuro Niccolò III (1277-1280). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 283

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manda degli inquisitori che gli chiedevano in che cosa credesse, Giovanni avrebbe risposto «Credo in unum Deum, Patrem Omnipotentem» (9), una risposta che, per Angelo Clareno, gli sarebbe costata il carcere a vita. È a questo punto che entra in scena il cardinal Ottobuono Fieschi. Ancora An- gelo Clareno scrive che

«Quod ut pervenit ad aures domini Ottoboni, qui postea fuit papa Adrianus V, scripsit domino Iohanni et fratri Bonaventure et suis consultoribus quod cogitarent diligenter et vigilanter at- tenderent quid de fratre Iohanne tam inconsulte et precipitanter facere tractassent quia fides fratris Iohannis est fides mea, et persona eius persona mea; ubi erit ipse et ego ibidem cum ipso ero. Neque putetis ita ipsum ut hominem hereticum faciliter cum vestris astutiis pos- se involvere, quia non solum ex quo cardinalis extiti, sed ante tempora multa de sanctitate et fidelitate eius certam habuimus scientiam, nec quemquam in Ecclesia Dei virum eo ma- gis fidelem et catholicum novimus. Quare cessate a vexatione eius, quia vexatio eius nostra est» (10).

Il cardinale Orsini, ricevuta ed esaminata attentamente la lettera del cardi- nale Fieschi, avrebbe così cambiato parere (11), inducendo un ripensamento in Bonaventura da Bagnoregio e negli altri membri del collegio giudicante, che ri- lasciarono infatti Giovanni Burali da Parma dal carcere, il quale elesse Greccio a residenza per i successivi trent’anni circa.

(9) ANGELI CLARENI, Historia septem tribulationum Ordinis minorum, cit., p. 189. È eviden- te il riferimento all’incipit del Symbolum nicenum: Πιστευ´οµεν ει’ς ε’´να Θεο´ν, Πατε´ρα Παντο?κρα´τορα. La risposta di Giovanni fu ritenuta provocatoria – probabilmente perché scelta in polemica – in luo- go della professio in unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam del Symbolum nice- num – constantinopolitanum: Ει’ς µι´αν, ‘Αγι´αν, ΚαΘολικην` και` ‘Αποστολικην` ‘Εκκλησι´αν. (10) ANGELI CLARENI, Historia septem tribulationum Ordinis minorum, cit., pp. 189-190. Per maggior comprensione forniamo una traduzione del frammento della lettera di Ottobuono Fieschi: «Giunta questa notizia [la condanna di Giovanni Burali al carcere] alle orecchie del signor Otto- buono, che in seguito fu papa Adriano V, scrisse al signor Giovanni e a fra Bonaventura e ai suoi con- siglieri affinché riflettessero diligentemente e badassero attentamente di non occuparsi così in- consultamente e precipitosamente di fra Giovanni, perché la fede di fra Giovanni è la mia fede e la sua persona [è] la mia persona; dove sarà lui io pure sarò con lui. E non pensate neppure di poterlo involgere così facilmente con le vostre astuzie per uomo eretico, perché non solo da quan- do sono stato creato cardinale, ma da molto tempo prima abbiamo certa scienza della sua san- tità e fedeltà, né conosciamo alcun uomo più fedele e cattolico di lui nella Chiesa di Dio. Smet- tete pertanto di tormentarlo, perché la sua vessazione è la nostra». (11) «Quibus receptis litteris et attente perspectis, dominus Iohannes mutavit consilium, et fra- ter Bonaventura cum suis consiliariis temperaverunt furore et caritative, saltem apparenter, cum fratre Iohanne colloquio habito, simul in verbis communibus quieverunt» (ANGELI CLARENI, Histo- ria septem tribulationum Ordinis minorum, cit., p. 190). (12) A. MAIERÙ, Buralli Giovanni (fra Giovanni da Parma), in Dizionario biografico degli Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 284

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2. Giovanni Burali da Parma. Giovanni Burali (fig. 1), figura di as- soluto spicco del Duecento france- scano, nacque a Parma attorno al 1208 ed entrò nell’Ordine france- scano attorno al 1233 (12), prose- guendo quindi gli studî a Parigi, Bo- logna e Napoli. Il 13 luglio 1247, durante il capitolo generale convo- cato – e presieduto – da Innocen- zo IV (al secolo Sinibaldo Fieschi, 25 giugno 1243-7 dicembre 1254), a Lione (dove la Curia pontificia ri- siedeva dal 1244), fu eletto ministro generale. All’elezione non fu estra- neo lo stesso pontefice (13), gran- de amico e protettore dell’Ordine francescano (14) e dello stesso Gio- vanni Burali (15).

Fig. 1 - Giovanni Burali da Parma (secolo XVIII, colle- Fra Salimbene di Adam da Parma, zione privata - Genova) congiunto del pontefice (16), rife-

italiani, volume 15°, Roma 1972, pp. 381-386; R. LASAGNI, Buralli Giovanni, in Dizionario bio- grafico dei parmigiani, 4 volumi, Parma 1999, volume I, pp. 755-761. La biografia più esaustiva è tuttavia A.C. CADDERI Ofm, Il beato Giovanni da Parma, settimo ministro generale dei Frati mi- nori dopo San Francesco (1208-1289), Villa Verucchio (RN) 2004. (13) Fra Anselmo Rabuino, di Asti, già ministro della provincia di Terra di Lavoro e della pro- vincia della Marca Trevigiana, «procuravit in capitulo Lugdunensi quod frater Iohannes de Parma fieret generalis, fratres sollicitando, et complevit Deus desiderium suum» (SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, testo latino a cura di G. SCALIA, traduzione di B. ROSSI, 2 volumi, Parma 2007, volu- me I, p. 882). Cfr. inoltre L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), «Studî e testi francescani», 41, Roma 1968, p. 230; A.C. CADDERI, Il beato Giovanni da Parma, settimo ministro generale dei Frati minori dopo San Francesco (1208-1289), cit., pp. 61-62 (il capitolo di Lione fu «convocato quasi a sorpresa da Innocenzo IV, perché voleva il cambio di guardia»). (14) Il profondo rapporto che ha legato il pontefice Innocenzo IV all’Ordine francescano è sta- to ampliamente esaminato da L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., in par- ticolare pp. 227 segg. (15) Innocenzo IV, infatti, «nel 1247 convocò quello di Lione celebrato il 15 luglio sotto la sua presidenza in cui fu eletto ministro generale il suo intimo amico Giovanni da Parma» (L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., p. 229 e bibliografia note 145-146). (16) Guido de Adam, padre di fra Salimbene, ottenne di far sposare la figlia Maria «addirittura a un parente di papa Innocenzo IV» (B. ROSSI, Introduzione, in SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cro- nica, cit., volume I, p. XII). Sui Fieschi a Parma nel secolo XIII cfr. F. BERNINI, Innocenzo IV e il suo pa- rentado, in «Nuova rivista storica», XXIV (1940), pp. 178-199; ID., Come si preparò la rovina di Fe- derico II (Parma, la Lega medio-padana e Innocenzo IV dal 1238 al 1247), in «Rivista storica Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 285

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risce infatti che «Innocentius quartus diligebat fratrem Iohannem sicut animam suam» (17) e fu

«soprattutto per questa intima amicizia che Innocenzo IV lo inviò in Grecia come legato apo- stolico e alla fine del suo pontificato pensò di crearlo cardinale» (18).

Al di là di una possibile – ma al momento non dimostrabile – conoscenza di Giovanni Burali con il giovane Sinibaldo Fieschi, studente a Parma presso lo zio Opizzo, vescovo della città (19), e a Bologna nel primo quarto del secolo XIII (20), è però certamente da ricercarsi nel milieu famigliare che ha legato Sinibaldo

italiana», LX (1948), pp. 204-249; D. CALCAGNO-M. CAVANA, Documenti inediti sui Fieschi a Parma (secoli XIII-XIV), in «Archivio storico per le province parmensi», s. IV, LVIII (2006), pp. 513-537. (17) SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 852. (18) L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., p. 230. (19) Già eletto il 23 dicembre 1194-Parma, 22 maggio 1224. Su Opizzo da Lavagna cfr., da ulti- mi, O. GOYOTJEANNIN, Conflits de jurisdiction et exercice de la justice à Parme et dans son terri- toire d’après une enquete de 1218, in «Melanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age-Tem- ps Modernes», 97° (1985), fasc. I, pp. 183-300; D. CALCAGNO, I conti di Lavagna ed il controllo del territorio, in La montagna tosco-ligure-emiliana e le vie di commercio e pellegrinaggio: Borgo Val di Taro e i Fieschi, Atti del Convegno (Borgo Val di Taro, 6 giugno 1998), a cura di D. CALCAGNO, prefazione di G. AIRALDI, Borgo Val di Taro 2002, pp. 33-64 (e bibliografia citata). (20) «La data di morte di Ugo si colloca dopo il 1201 e prima del 2 marzo 1214, il che significa che Sinibaldo era ancor giovane quando morì il padre. Fu dunque forse a causa della sua condizio- ne di orfano che Sinibaldo trascorse quasi tutta la giovinezza a Parma, sotto la guida dello zio… L’at- tento cronista francescano [fra Salimbene] ricorda invece che Sinibaldo era già canonico di Par- ma quando conobbe suo padre. Si deve quindi dare credito ad una cronaca domenicana quattrocentesca, secondo cui i primi anni di studio di Sinibaldo si svolsero sotto le cure dello zio Opizzone vescovo di Parma dal 1195; fu lui a far compiere al nipote i primi passi in grammaticalibus. Da Parma, il gio- vane Sinibaldo andò a studiare diritto a Bologna» (A. PARAVICINI BAGLIANI, Innocenzo IV, in Enci- clopedia dei papi, 3 volumi, Roma 2000, volume II, pp. 384-393, citazione a pp. 384-385). Se è da esclu- dere che il giovane Sinibaldo sia entrato nella familia del cardinale Ugolino di Ostia (Ugolino dei conti di Segni, futuro Gregorio IX, 19 marzo 1227-22 agosto 1241) a partire dal 1217, una notizia «nata forse per il fatto che nel 1217 o nel 1218 il cardinale Ugolino aveva scelto Parma come sede delle trattative volte a riportare la pace fra Genovesi e Pisani e fra Genovesi e Veneziani», è però «lecito pensare che il nipote del vescovo abbia potuto in qualche modo farsi notare dal futuro Gregorio IX, pur senza diventarne per ciò stesso un familiaris» (A. PARAVICINI BAGLIANI, Innocenzo IV, cit., p. 385). A Roma Sinibaldo diventerà auditor literarum contradictarum, un importante e ambito in- carico curiale, e prima del 31 maggio 1227 Gregorio IX lo nominerà vicecancelliere di Santa Roma- na Chiesa, incarico che, pochi mesi dopo, gli schiuderà le porte al cardinalato (Gregorio IX lo creerà infatti cardinale prete del titolo di San Lorenzo in Lucina in occasione della sua prima promozione cardinalizia, il 18 settembre 1227). Coincidenza o meno, Gregorio IX, da cardinale, fu il primo pro- tettore dei Francescani, e una volta eletto pontefice fu egli stesso a elevare agli altari (1228) Fran- cesco d’Assisi (1182-1226). Non è possibile stabilire se Sinibaldo abbia presenziato con gli altri car- dinali alla canonizzazione di Francesco, ma la sua presenza in Curia è provata dalle sottoscrizioni ai privilegî papali, e questo fatto non è trascurabile. Su quest’aspetto cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, In- nocenzo IV, cit., p. 385. (21) Le famiglie componenti il clan (o consorzio) dei conti di Lavagna sono: Bianchi, Cogorno, Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 286

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alla città emiliana la spiegazione – l’origine? – del complesso legame fra Inno- cenzo IV e i suoi discendenti e l’Ordine francescano. Tralasciando la complessa vicenda delle origini del clan lavagnese (21) e della sua affermazione sul territorio del Levante ligure e dell’Appennino tosco- ligure-emiliano (22), è con la creazione di Sinibaldo Fieschi (1227) a cardinale pre- te del titolo di San Lorenzo in Lucina da parte di Gregorio IX (23) che alla fami- glia è impressa quella caratteristica peculiarità che la porterà a essere annoverata, forse l’unica forestiera fra le tradizionali casate baronali romane – Colonna, Or- sini, Savelli (24) – tra quelle appartenenti alla ristretta cerchia delle famiglie “car- dinalizie” romane, qui ovviamente intese come quelle dalle quali provenivano, tra- dizionalmente, la maggioranza – o comunque un congruo numero – di cardinali e di membri della Curia romana. È già stato correttamente scritto più volte che i Fieschi – anche se (forse) geo- graficamente originarî della Liguria di levante o del suo entroterra, più che di Genova –, in ambito locale non ebbero né rivestirono ruoli di particolare rile-

della Torre, Fieschi, Penelli, Ravaschieri, Scorza. Altre famiglie, comunque di minore rilevanza, sono da ritenersi più propriamente affini o imparentate per via cognatizia. Si tratta di un concetto allar- gato di famiglia, di clan, ben presente a partire almeno dagli inizî del secolo XIII, nella leadership consortile, quando essa risulta ormai stabilmente nelle mani del ramo più prestigioso dei comites Lavanie: i Fieschi. (22) D. CALCAGNO, I conti di Lavagna e il controllo del territorio, cit., ID., Ianuenses facient iurare Lavaninis et Paxaninis et illis de Lagneto: alle origini del potere dei conti di Lavagna, cit., ID., Silvam quoque que talibus concluditur terminis: alle origini del potere dei conti di Lavagna in Val di Taro, cit. (23) Ugolino dei conti di Segni, grande amico dei Francescani e feroce oppositore di Federico II di Svevia. Su di lui cfr., da ultimo, O. CAPITANI, Gregorio IX, in Enciclopedia dei papi, 3 volumi, Roma 2000, volume II, pp. 363-380. (24) Il modello di famiglia baronale elaborato per le casate romane da S. CAROCCI, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggî aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, «Col- lection de l’École Française de Rome», 181, Roma 1993, non sembrerebbe applicabile a quello fli- scano. Una riflessione più approfondita parrebbe lasciar intendere l’esistenza non tanto di un mo- dello famigliare schematizzato per i Fieschi quanto di una costanza (o, forse meglio, di una costante) nella loro politica ecclesiastica che solo una visione superficiale può relegare alla mera enumera- zione contabile di oltre trenta cardinali e un numero ancor oggi difficilmente verificabile di alti pre- lati in un lasso di tempo compreso fra la metà del secolo XII (il cardinale Rubaldo da Lavagna sem- bra infatti essere il primo di questa lunga serie, per cui cfr. A. G. REMEDI, Aprire la strada al potere: il cardinale Rubaldo da Lavagna e l’ascesa politico-ecclesiastica dei conti di Lavagna nel secolo XII, in Potere e territorio nel Tigullio medievale: i conti di Lavagna, Atti del Convegno di studî [Lavagna-Cicagna-Recco, 21-23 gennaio 1999], a cura di D. CALCAGNO, c.d.s.) e il cardinale Adria- no Fieschi, legato a latere di Romagna, ultimo discendente maschio della casata, con lui estintasi nel 1856. La costante, il file rouge della storia di questa famiglia, è certamente rappresentato dalla fedeltà alla Chiesa cattolica apostolica romana, a cui nessuno dei Fieschi inseriti in qualsiasi gra- do della gerarchia ecclesiastica venne meno, al punto, anzi, di confondersi – perlomeno fra il se- colo XIII e il cosiddetto Papato avignonese – se non addirittura a identificarsi con essa stessa. (25) Sulle missioni inviate ai Mongoli da Innocenzo IV e San Luigi IX cfr. The journey of William Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 287

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vanza politica. La ragione è infatti collegata all’ascesa di Sinibaldo Fieschi al so- glio pontificio (1243): da quel momento il vero centro di potere, di visibilità e di azione del clan fliscano diventerà per sempre la Curia romana e – per esteso – Ubi papa, ibi Roma. Dunque l’Europa medievale dagli “orizzonti aperti”, che altro non era se non il Mondo – allora – conosciuto e che lo stesso Innocenzo IV cercò, in qualche modo, di ampliare patrocinando le missioni di Giovanni da Pian del Car- pine e degli altri missionarî mendicanti al gran khan dei Mongoli (25). Da Innocenzo IV “discenderà” un congruo numero di famigliari – o affini – che saranno destinati a perpetuarne il ricordo nella hierarchia cattolica anche se sarà il nipote Ottobuono, figlio del fratello minore Tedisio e primogenito della secon- da moglie Simona de Camilla (26), colui il quale segnerà profondamente – e ir- reversibilmente – le sorti della famiglia, grazie anche alla sua creazione a cardi- nale diacono del titolo di Sant’Adriano voluta sempre da Innocenzo IV fra il 13 dicembre 1251 e il 6 febbraio 1252 (27). Un altro nipote di Innocenzo IV, Guglielmo, figlio del fratello maggiore Opiz- zo, da lui promosso cardinale diacono del titolo di Sant’Eustachio (28 maggio 1244), dalle spiccate doti culturali e spirituali, non si rivelò, invece, un politico de- gno di altri suoi contemporanei, tanto che il confronto non regge neppure con il più giovane cugino Ottobuono. Guglielmo muore a Roma il 23 marzo 1256 (28), poco più di un anno dopo lo zio papa, certamente insoddisfatto che la sua unica, vera, azione politica – la presa di possesso del Regnum Sicilie – si fosse tradotta in un insuccesso, che aveva amareggiato anche gli ultimi giorni di vita di Inno-

of Rubruck to the eastern parts of the world, traduzione a cura di W.W. ROCKHILL, Londra 1900; Si- nica franciscana, a cura di A. VAN DEN WYNGAERT, 5 volumi, Firenze 1929-1954, volume I, Firenze 1929; P. PELLIOT, Les Mongols et la Papauté, in «Revue de l’Orient chrétien», XXIII (1922-1923), pp. 3- 30, XXIV (1924), pp. 225-335, XXVIII (1932), pp. 3-84; M. STROJNY, Die rechtlich-diplomatische Stellung der papstlichen Gestanden an die Mongolen unter Innocenz IV, Roma 1939; J. RICHARD, La Papauté et les missions d’Orient au Moyen Âge (XIIIe-XVe siècles), «Collection de l’École Française de Rome», 33, Roma 1977; IDEM, Les relations entre l’Orient et l’Occident au Moyen Âge: études et documents, Londra 1977; L. PETECH, I Francescani nell’Asia centrale e Orientale nel XIII e XIV secolo, in Espansione del francescanesimo tra Occidente e Oriente nel secolo XIII, Atti del VI Convegno in- ternazionale (Assisi, 12-14 ottobre 1978), Assisi 1979, pp. 213-240; K.-E. LUPPRIAN, Die Beziehungen der Päpste zu Islamischen und Mongolischen Herrschern im 13. Jahrhundert anhand ihres Briefwechsels, «Studî e testi», 291, Città del Vaticano 1981; A. T’ SERSTEVENS, I precursori di Marco Polo, Milano 1982; J. RICHARD, Croisés, missionaires et voyageurs, Londra 1983; J.P. ROUX, Gli esplo- ratori nel Medioevo, Milano 1990. (26) Cfr. R. PAVONI, L’ascesa dei Fieschi tra Genova e Federico II, in I Fieschi tra Papato ed Im- pero, Atti del convegno (Lavagna, 18 dicembre 1994), a cura di D. CALCAGNO, prefazione di G. AIRALDI, Lavagna 1997, pp. 3-44, in particolare l’albero genealogico a p. 44. (27) Cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Cardinali di curia e “familiæ” cardinalizie dal 1227 al 1234, cit., volume I, p. 363, note 1-3. (28) Ibidem, pp. 332-333. (29) Ibidem, p. 332. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 288

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cenzo IV. Guglielmo lasciò l’incarico «pochi giorni dopo la morte di suo zio» (Na- poli, 7 dicembre 1254) e «il giovane cardinale genovese si dimise, forse contro vo- glia», probabilmente perché la missione doveva essersi rivelata «troppo forte per le sue forze» (29). Se Guglielmo non può essere – né essere stato – il modello politico del cugi- no Ottobuono, certamente a lui si deve la definitiva ratifica di quel rapporto pri- vilegiato con l’Ordine francescano che sembra sovrastare molti progetti dei papi e dei cardinali Fieschi (30). La consacrazione della basilica patriarcale di San Francesco ad Assisi, pre- sieduta da Innocenzo IV il 25 maggio 1253, assieme alla riconsacrazione di altri edi- ficî religiosi cittadini (31), non è il frutto della casualità temporale, come si è a vol- te affermato, ma una precisa volontà messa in atto dal pontefice al suo rientro da Lione, in quella sorta di viaggio trionfale in alta Italia compiuto dopo la scon- fitta imperiale di Vittoria (Parma, 18 febbraio 1248) e la morte dello stesso Hoenstaufen (Ferentino, 13 dicembre 1250). Ad Assisi la Curia romana sostò diverso tempo (aprile, maggio, dal luglio al 6 ottobre 1253 e, ancora, nel maggio 1254): qui i due cardinali Fieschi, Guglielmo e Ottobuono, conobbero, senza mediazioni, senza il tramite di intermediatori, la for- za dirompente del messaggio di Francesco e Chiara, comprendendone di certo l’innovativa portata sociale (e politica). Al di là delle possibili cronologie, al di là delle diverse – più o meno convincenti – ricostruzioni o presunte priorità, è cer- tamente a partire dalla lunga sosta assisiate che il clan fliscano offre il proprio in- condizionato appoggio (economico e politico ancor prima – e forse più – che spirituale) ai pauperes Christi di San Francesco. Ai Fieschi, infatti, si deve la costruzione (diretta o indiretta, ovvero finanzia- ta in tutto o in parte o politicamente caldeggiata se non imposta) di molti conventi minoriti in Liguria (e volutamente non si entra in questioni di precedenza crono- logica, sterili ai fini di questa ricostruzione): San Francesco di Castelletto (Ge- nova), San Francesco (Chiavari), Sant’Eustachio (Chiavari, clarisse), San Fran- cesco della Chiappetta (Genova – Bolzaneto), Santa Caterina (Genova, clarisse), Santa Chiara (Genova, clarisse), San Leonardo (Genova, clarisse), San Francesco

(30) Cfr. L. PISANU Ofm, L’attività politica d’Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), in «An- nali dell’Istituto Superiore di Scienze e Lettere “Santa Chiara” dell’Ordine dei Frati minori», VII (1957), pp. 271-332; ID., Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254) cit. (31) Cfr. F. MARTIN, Le vetrate gotiche di San Francesco in Assisi. Contributi renani alla de- corazione iniziale della chiesa superiore, in Il Gotico europeo in Italia, a cura di V. PACE-M. BA- GNOLI, Napoli 1994, pp. 181-193; C. BRANDON STREHLKE, Francesco d’Assisi: la cultura, il culto e la basilica, in Assisi non più Assisi. Il tesoro della basilica di San Francesco, Catalogo della mostra (Milano, 3 dicembre 1999-5 marzo 2000), a cura di G. MORELLO, Milano 1999, pp. 25-53, in particola- re pp. 35 ss. (32) Per un inquadramento generale si consulti, con le più ampie riserve e considerazioni, A. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 289

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(Sarzana), per citare soltanto i più prestigiosi eretti dai Fieschi nel Genovesato entro la fine del XIII secolo (32). Quali che siano state le motivazioni o gli interessi a innescare questo proces- so, certamente la scintilla va identificata nel giovane cardinale Sinibaldo e nella sua capacità di «stabilire rapporti personali con la Curia romana e con lo stesso pontefice» (33), forse mediati attraverso lo zio Opizzo da Lavagna, vescovo di Par- ma (34). Fu certamente Chiara d’Assisi, così come Francesco lo era stato per Gregorio IX, a far appassionare Innocenzo IV: è infatti lui ad approvare la Regola di Santa Chiara il 9 agosto 1253 (o, meglio, la Forma di vita dell’Ordine delle sorelle po- vere) (35) e sarà sempre Innocenzo IV, pochi giorni dopo, a celebrare le esequie della santa fra una moltitudine di fedeli che ne chiedevano la canonizzazione a gran voce, ostacolata soltanto dall’intervento del cardinale Rinaldo dei conti di Segni, protettore dell’Ordine francescano e futuro pontefice (36). Ed era stato

CASINI, La Provincia di Genova dei Frati minori dalle origini ai giorni nostri, Chiavari 1985. Cfr. ora, per questo aspetto, D. CALCAGNO - M. CAVANA, I Fieschi e l’insediamento di Santa Maria in Via Lata a Genova: il potere, la chiesa e i palazzi, in Medioevo: la chiesa e il palazzo, Atti del Conve- gno internazionale di studî (Parma, 20-24 settembre 2005), «I convegni di Parma», VIII, a cura di A.C. QUINTAVALLE, Parma-Milano 2007, pp. 712-722 (e bibliografia citata). (33) Cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Innocenzo IV, cit., p. 385. (34) Cfr. nota 18. (35) Cfr. Fonti francescane, Assisi 1987, pp. 1151-1172. (36) Il pontefice e i cardinali, fra i quali anche i nipoti Guglielmo e Ottobuono, si erano recati almeno due volte in visita a Chiara (cfr. N. DA CALVI, Vita Innocentii IV, in F. PAGNOTTI, Niccolò da Calvi e la sua Vita d’Innocenzo IV, con una breve introduzione sulla istoriografia pontificia nei secoli XIII e XIV, in «Archivio della reale Società Romana di Storia Patria», XXI (1898), pp. 7-120, in particolare p. 111) e la Leggenda di Santa Chiara vergine (cfr. Leggenda di Santa Chiara vergi- ne, in Fonti francescane, cit., pp. 1207-1264, citazione a p. 1248) relaziona su una di queste: «Poi, con espressione angelica, [Chiara] chiede al sommo pontefice la remissione di tutti i peccati. Ed egli, esclamando: “Avessi io bisogno solo di altrettanto perdono”!, le impartisce il dono della piena assoluzione insieme alla grazia di un’ampia benedizione». Ma è alle esequie di Chiara che l’animo di Innocenzo raggiunge l’apice della commozione. La notizia del trapasso di Chiara (11 agosto) si diffon- de rapidamente per Assisi: «Accorrono al monastero uomini, vi accorrono donne ed è un tale af- fluire di gente che la città sembra restare deserta. Tutti la proclamano santa» (Leggenda di Santa Chiara vergine cit., p. 1252). L’indomani la Curia, Innocenzo IV e i cardinali raggiungono San Da- miano per i funerali e «Si era giunti al momento di iniziare le divine celebrazioni quando, incomin- ciando i frati l’ufficio dei morti, il signor papa all’improvviso afferma che non l’ufficio dei morti si deve celebrare, ma quello delle vergini, così che pareva volerla canonizzare prima ancora della se- poltura del corpo. L’eminentissimo signore ostiense, però, obietta che in questa materia si deve pro- cedere con alquanta prudente lentezza e viene celebrata la messa dei defunti» (Leggenda di San- ta Chiara vergine cit., p. 1253). L’eccezionalità dell’atto (che fa trasparire la certezza della santità di Chiara in Innocenzo IV, da lui ribadita nella bolla di indizione del processo canonico, Gloriosus Deus, del 18 ottobre successivo) lascia sconcertata la Curia e il popolo in una autentica suspensio actionis et temporis e soltanto l’intervento del cardinale protettore dei Francescani, Rinaldo dei conti di Segni, cardinale vescovo di Ostia e successore di Innocenzo IV (Alessandro IV, 15 dicem- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 290

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sempre Innocenzo IV, fin dai primi anni del suo pontificato, a dare l’interpreta- zione definitiva alla Regola francescana (37). Ottobuono, presente alle esequie di Chiara, resta probabilmente colpito dagli ostacoli di natura canonica prospettati allo zio papa dal cardinale Rinaldo e que- sto potrebbe averlo indotto a spianare la strada, in futuro e in qualche modo, agli ordini serafici nella sua terra d’origine, che proprio in quegli anni vedeva la fioritura di conventi (la cui maggioranza proprio di clarisse) già ricordati in pre- cedenza. In questo milieu Ottobuono forgia la sua personalità di ecclesiastico, ma so- prattutto di cardinale: attento alla scienza, alla cultura, alle arti, a sua volta atti- vo patrocinatore e committente di edificî e opere d’arte (38), pur nella difficile congiuntura rappresentata dagli anni immediatamente successivi alla morte di Federico II e della lunga questione del negotium Sicilie, da lui personalmente con- dotta alla corte d’Inghilterra. Ottobuono aderirà con convinzione a certi valori del francescanesimo, forse più politici (nel senso che un loro uso, la loro adozione, poteva avere – anche – un utilizzo in politica), importanti perché rivoluzionarono alcune strutture sociali ac- quisite, ribaltando certi rapporti consolidati con ordini religiosi più antichi (39).

bre 1254-27 maggio 1261), impedisce che Chiara sia canonizzata, secondo una procedura abolita dal IV Concilio lateranense (1215), anche se al pontefice era comunque consentito procedere sua ple- nitudine con o senza un preventivo processo canonico. Sarà così Rinaldo – Alessandro IV, fra l’a- gosto e l’ottobre del 1255, a promulgare, nella cattedrale di Anagni, la bolla di canonizzazione di San- ta Chiara a conclusione del processo canonico avviato nel 1253 dal suo predecessore. (37) «L’interpretazione primitiva e quella di Gregorio IX non potevano risolvere i numerosi pro- blemi che le nuove circostanze imponevano, sicché era vivissima l’esigenza di una nuova interpre- tazione della norma di vita francescana che, pur rispettando l’ideale primitivo, fosse più aderente alla realtà in evoluzione. Di fronte a difficoltà del genere, l’intervento d’Innocenzo IV ebbe un ca- rattere realistico. Riordinò l’anno di prova e regolò il fenomeno dei frati apostati dall’Ordine. Ma fu soprattutto notevole per le sue conseguenze la nuova dichiarazione della Regola e l’istituzione del procuratore apostolico che immisero nella vita francescana elementi assolutamente nuovi an- che oggi ritenuti validi» (L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., p. 236). Più in generale, sull’apporto di Innocenzo IV alla Regola francescana, cfr. L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., pp. 235-257. (38) Cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Medicina e scienze della natura alla corte dei papi nel Due- cento, Spoleto 1991, passim; ID., La vita quotidiana alla corte dei papi nel Duecento, Roma-Bari 1996, passim; J. GARDNER, The artistic patronage of the Fieschi family 1243-1336, in Le vie del Medioevo, Atti del Convegno internazionale di studî (Parma, 28 settembre-1° ottobre 1998), a cura di A.C. QUINTAVALLE, Parma 2000, pp. 309-318. Cfr. inoltre M. CAVANA in questo volume, con biblio- grafia. (39) La visione teocratica del Papato (il dictatus pape) elaborata da Gregorio VII, accresciuta dalla sapienza canonica di Sinibaldo – Innocenzo IV, pienamente condivisa da tutti i pontefici al- meno fino a Bonifacio VIII (cfr. O. GUYOTJEANNIN, Dictatus papæ, in Dizionario storico del Papato, 2 volumi, diretto da PH. LEVILLAIN, Milano 1996, volume I, p. 509; Dictatus papæ, in Dizionario sto- rico del Diritto italiano ed europeo, Napoli 2002, p. 114), non poteva che prevedere l’esistenza di Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 291

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Dovette certamente esistere, nella biografia del giovane Ottobuono, non an- cora cardinale, un momento nel quale, inconsciamente, il messaggio del france- scanesimo delle origini, più spirituale (40) – gioachimita, spirituale –, fece brec- cia nel suo inconscio. Riterremmo di poterlo identificare in un discorso pronunciato nel concistoro del 1248 dal francescano Ugo da Digne, al quale fu presente lo stes- so Ottobuono Fieschi, e in particolare nel passo seguente: «Et augumentastis honorem vestrum moderno tempore multipliciter. Nam capellum rubeum papa Innocentius quartus contulit vobis ut, cum equitatis, discerni possitis a reliquis capellanis. Cardinales etiam antiquo tempore non dicebamini, sed diacones romane curie et presbiteri di- cebantur similes vestri, id est vestri predecessores; quod potest manifesto demonstrari exem- plo. Ingressus Silvester papa ad Constantinum leprosum: nulla mentio de cardinalibus ibi ha- betur, sed dicitur quod duos diacones et V presbiteros duxit secum. Item beatus Gregorius, antequam papa fieret, diaconus Romane Curie appellatus fuit, non cardinalis; similiter Longo- bardorum ystoriographus Paulus multique alii usque ad longa tempora successive. Quapropter melius denominavit vos abbas Ioachym de Ordine Floris carpinales nominando, quia revera optime scitis carpere et emungere et exhaurire marsupia plurimorum. Et Scriptu- ram truphatorie et truttannice iuxta vestrum irroneum intellectum exponitis, dicentes I Reg. II: Domini enim sunt cardinales terre, et posuit super eos orbem, id est orbis dominium, eo quod domini terre sint» (41).

una longa manus, di una sorta di braccio armato religioso in politica: e questo, grazie a Innocenzo IV e ai cardinali Guglielmo e Ottobuono, fu identificato, più che negli altri ordini mendicanti, in quel- lo Francescano, la cui ascesa, rapida e dirompente, è dovuta maggiormente a Innocenzo IV che a Gregorio IX, come anche un solo rapido e superficiale sguardo al Bullarium franciscanum fa com- prendere. Se la visione di Gregorio IX aveva preconizzato Francesco “colonna” del Papato, per ra- gioni cronologiche (o di cultura, di koinè) sarà Innocenzo IV a realizzarla, fondando il potere pon- tificio su quella “colonna”. E lo strumento francescano sarà anche quell’importante grimaldello grazie al quale il cardinale Ottobuono potrà applicare, certamente a suo modo e sui iuris, il mes- saggio serafico ai molteplici negotia cui i doveri curiali lo legarono negli anni successivi e sotto di- versi pontefici. (40) Cfr. Chi erano gli spirituali, Atti del III Convegno internazionale (Assisi, 16-18 ottobre 1975), Assisi 1976; Francescanesimo e vita religiosa dei laici nel ’200, Atti dell’VIII Convegno in- ternazionale (Assisi, 16-18 ottobre 1980), Assisi 1981. (41) SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 628. Riteniamo utile, al fine di una migliore comprensione, fornire anche la traduzione italiana del passo: «E negli ultimi tempi vi siete accresciuto l’onore in molti modi. Infatti papa Innocenzo IV vi ha conferito il cappello rosso perché vi si possa distinguere quando cavalcate, fra gli altri membri del clero. Inoltre negli antichi tempi non eravate chiamati cardinali, ma bensì diaconi della Curia romana; e preti erano chiamati i vostri simili e predecessori vostri. Il che si può dimostrare con certezza con l’esempio della visita di papa Silvestro a Costantino colpito dalla lebbra: nessuna menzione vi si fa di cardinali, ma si dice che portò con sé due diaconi e cinque preti. Nello stesso modo il beato Gregorio, prima di essere fatto papa, era chiamato diacono della Curia romana, e non cardinale; così lo storiografo dei Lon- gobardi, Paolo [Diacono]; e molti altri successivamente per lungo tempo. Per la qual ragione vi ha denominato meglio l’abate Gioacchino dell’Ordine di Fiore chiamandovi carpinales, perché in ve- rità ben sapete carpire e mungere e vuotare le borse della gente. E voi interpretate la Scrittura, stra- volgendone con disinvoltura per burla il senso, interpretando il passo 1Re 2: Domini enim sunt cardinales terre, et posuit super eos orbem con questo significato: I cardinali sono i padroni Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 292

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Ugo era stato invitato a parlare dallo stesso Innocenzo IV perché autorevole esponente dei gioachimiti (42) e fra Salimbene annovera Giovanni Burali fra i suoi più grandi amici (43).

«Il profilo di Giovanni [Burali] quale emerge dalla Cronica di Salimbene è comunque quello di un uomo estremamente sollecito, scrupoloso ed attento al governo dell’Ordine, compito che sembra esercitare con una umiltà non scevra da un atteggiamento disciplinarmente rigoroso ed accentratore» (44).

della terra e Dio pose il mondo sulle loro spalle». L’invettiva di Ugo da Digne è a pp. 624-636. Oswald Holder-Egger, primo editore di Salimbene (Cronica fratris Salimbene de Adam Ordinis minorum, a cura di O. HOLDER-EGGER, Monumenta Germaniæ historica, Scriptores, 32, Hannover-Lipsia 1905- 1913, p. 230, nota 7) è propenso a ritenere autore del lungo discorso più lo stesso Salimbene che Ugo. Ma va precisato che i due ebbero occasione di frequentarsi, nello stesso 1248, per un certo tem- po, a Hyères, come ricordato dallo stesso Salimbene (cfr. SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 622). La critica più recente sembra restituire la paternità dell’invettiva a Ugo: «Re- centemente è stata anche messa in luce, nella personalità di Ugo, accanto ad una elevata spiritua- lità francescana, la presenza di convinzioni tradizionali secondo l’ideale clericale, e quindi di una volontà riformistica di stampo appunto clericale, dove il gioachimismo non assume un carattere in- novatore. Esemplare in tal senso è il discorso che Ugo, su invito del pontefice Innocenzo IV, avreb- be tenuto di fronte ai cardinali a Lione: discorso che costituisce una violenta requisitoria contro i cardinali stessi per la loro ambizione, il nepotismo, la vita carnale, l’allontanamento dal modello apostolico. Il contenuto ed il tono si rivelano tanto più significativi in quanto il pontefice avrebbe invitato Ugo a parlare mosso dalla sua fama di uomo spirituale e di gioachimita, mentre i cardinali sembravano addirittura attendersi da lui delle voci, delle dicerie sugli eventi futuri. A queste aspettative Ugo pare rispondere con un discorso rigorista e moralistico, di impronta del tutto tra- dizionale» (F. SIMONI BALIS-CREMA, Gli spirituali tra gioachimismo e responsabilità escatologi- ca, in Chi erano gli spirituali, Atti del III Convegno internazionale (Assisi, 16-18 ottobre 1975), Assisi 1976, pp. 145-179, citazione a p. 154). Sul nepotismo pontificio cfr. S. CAROCCi, Il nepotismo nel Medioevo. Papi, cardinali e famiglie nobili, «La corte dei papi», 4, Roma 1999: a pp. 118-121 l’Autore esamina il nepotismo di Innocenzo IV, enumerandone i tratti e le caratteristiche che lo di- stinsero da quello romano, distinzioni interessanti non ancora prese in considerazione dalla sto- riografia locale. (42) Sempre Salimbene riferisce che Ugo gli aveva confessato come «summus pontifex misit pro me, et congregatis cardinalibus in consistorio steti in medio eorum, et dixit michi: “Audivimus de te quod magnus clericus sis et bonus homo et spiritualis. Sed et hoc audivimus, quia successor sis abbatis Ioachim in prophetiis et magnus Ioachita. Nunc ergo omnes nos in conspectu tuo as- sumus audire omnia quecumque tibi precepta sunt a Domino, Act. X. Quapropter, si quis est tibi sermo exortationis, propone et edissere nobis, quia permittitur tibi loqui pro temet ipso. Act. XXVI”» (SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 638). (43) «Porro frater Hugo solitus erat dicere quod IIII habebat amicos quos specialiter diligebat. Quorum primus erat frater Iohannes de Parma, generalis minister; et hoc congruum fuit, quia ambo erant magni clerici et spirituales viri et maximi Ioachite» (SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 642). Gli altri erano l’arcivescovo Giovanni di Vienne, il vescovo di Lincoln Rober- to Grossatesta e fra Adam de Marsico. (44) F. SIMONI BALIS-CREMA, Gli spirituali tra gioachimismo e responsabilità escatologica, cit., p. 162. (45) L. PISANU Ofm, Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), cit., pp. 282, 285, 289. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 293

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A nostro avviso la conversione dante- sca di Ottobuono Fieschi – Adriano V (fig. 2) deve identificarsi con la sua presa di po- sizione in favore di Giovanni Burali con- seguente all’adesione ai valori del france- scanesimo degli ecclesiastici di casa Fieschi, almeno dai tempi del cardinalato di Sini- baldo – Innocenzo IV, per il quale i Fran- cescani, come abbiamo visto, godevano di particolare favore. Valori che possiamo rias- sumere con le parole di Leonardo Pisanu: «I Francescani, in veste ufficiale e sotto le di- rettive di Innocenzo IV, stimolarono un rinnova- mento del clero e del popolo cristiano in quanto incaricati di controllare e dirigere la vita di nu- merosi prelati, principi e nobili, dirimere con- trasti nel clero secolare, vigilare, anche al di fuo- Fig. 2 - Giulio Corio, Adriano V, affresco del ri dell’inquisizione, sulle flessioni ereticali di 1881 (Trigoso, chiesa di Santa Sabina, parti- personalità ecclesiastiche e laiche, amministra- colare) re le circoscrizioni vescovili in quanto vescovi, dirigere la coscienza di numerosi principi e prelati come cappellani e frati palatini, lavorare per la pace, presiedere e controllare elezioni vescovili e abbaziali, vigilare sulla moralità pub- blica e privata… L’Ordine di San Francesco… impegnandosi con successo in servizio del Papa- to, ha dimostrato la sua indiscussa fedeltà alla Chiesa, capacità, maturità e il grado della sua evo- luzione. La sua storia supera i confini più limitati della propria vita interna e diventa storia politica ed ecclesiastica. E non è soltanto parte vitale e integrante della Chiesa, ma esprime una tale potenzialità d’incidenza sociale, politica e religiosa la cui opera, in certi casi determinante, è con- tesa tra il Papato e l’Impero, tra Innocenzo IV e i suoi avversarî… Nonostante le notevoli ombre di un Papato prevalentemente politico, papa Innocenzo IV e l’Ordine di San Francesco hanno scritto e vissuto una pagina eroica della storia della Chiesa» (45). Questa contestualizzazione offre la spiegazione al termine conversione uti- lizzato da Dante, l’adesione spirituale di Ottobuono – Adriano V alla dottrina gioa- chimita (la cui simpatia sembrerebbe condivisa dallo zio Innocenzo IV), adesio- ne dichiarata apertamente da Ottobuono – Adriano V nella già citata lettera al collegio degli inquisitori di Giovanni Burali, di cui nuovamente riportiamo il pas- so essenziale: «fides fratris Iohannis est fides mea, et persona eius persona mea; ubi erit ipse et ego ibidem cum ipso ero. Neque putetis ita ipsum ut hominem hereticum faciliter cum vestris astutiis posse in- volvere, quia non solum ex quo cardinalis extiti, sed ante tempora multa de sanctitate et fideli- tate eius certam habuimus scientiam, nec quemquam in Ecclesia Dei virum eo magis fidelem et catholicum novimus. Quare cessate a vexatione eius, quia vexatio eius nostra est» (46).

(46) ANGELI CLARENI, Historia septem tribulationum Ordinis minorum, cit., pp. 189-190. (47) Chiarificante ancora un passo di Salimbene: «Hic [frater Iohannes de Parma], propter doc- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 294

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Se l’accusa a fra Giovanni Burali era una eccessiva adesione al gioachimi- smo (47), comprendere che anche il cardinale Ottobuono Fieschi – Adriano V ne fosse un (convinto?) sostenitore può spiegare il significato della conversione dan- tesca, adesione che la nipote Alagia avrebbe potuto conoscere per tradizione fa- migliare (il padre Nicolò, fratello di Ottobuono, era stato il suo più stretto colla- boratore) e che avrebbe potuto riferire anche allo stesso Dante durante il soggiorno lunigianese. La possibilità dell’esistenza di una tradizione famigliare della conversione di Ottobuono Fieschi potrebbe trovare una conferma indiretta nel fatto che uno dei testimoni più antichi dell’Historia septem tribulationum Ordinis minorum di Angelo Clareno era conservata, ancora nel 1521, a Chiavari, una delle località di più antica residenza fliscana, dove i nipoti di Innocenzo IV avevano patrocinato e finanziato la costruzione dei conventi francescani – maschile l’uno e femminile l’altro – di San Francesco e di Sant’Eustachio. Nulla vieta, infatti, che la presenza di quell’«originale antico… in lingua lati- na» (48) dell’Historia septem tribulationum Ordinis minorum di Angelo Cla- reno sia da mettere in relazione con i Fieschi che, come è noto, consideravano le due chiese minoritiche chiavaresi come “cosa propria” e dove possedevano nu- merosi palazzi e proprietà. In tal senso l’ipotesi avanzata da Raul Manselli che non fosse possibile escludere «la possibilità di una tradizione familiare» (49) della con- versione di Ottobuono Fieschi trova un ulteriore appoggio (50).

trinam abbatis Ioachim, quia nimis adhesit dictis suis, exosus fuit quibusdam ministris et pape Alexan- dro quarto et pape Nicholao tertio, qui ambo, cum esset cardinales, fuerunt Ordinis gubernatores, protectores et corectores; et prius diligebant eum intime sicut semet ipsos propter eius scientiam et sanctam vitam» (SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 846). “Egli, a causa del- la dottrina dell’abate Gioacchino, alla quale era troppo attaccato, venne in odio a certi ministri e a papa Alessandro IV e a papa Nicolò III, i quali papi, quando erano cardinali, furono governatori, protettori e censori dell’Ordine e prima lo amavano come sé stessi per la sua scienza e la sua san- tità di vita”. (48) O. ROSSINI, Dai manoscritti dell’Historia al testo critico, in ANGELI CLARENI, Historia sep- tem tribulationum Ordinis minorum, «Fonti per la storia dell’Italia medievale. Rerum Italicarum scriptores», 2, a cura di O. ROSSINI, introduzione e commento di H. HELBLING, Roma 1999, p. 33. (49) R. MANSELLI, Adriano V, cit., p. 100. (50) Per la storia di questo codice, già ritenuto l’originale dell’Historia septem tribulatio- num Ordinis minorum, cfr. O. ROSSINI, Dai manoscritti dell’Historia al testo critico, cit., pp. 23- 39, in particolare pp. 32-35. Un ulteriore file rouge che potrebbe collegare Angelo Clareno con la famiglia Fieschi emerge da alcuni particolari della sua biografia. Angelo Clareno, infatti, nel 1289 fu inviato dal ministro generale dei Francescani a re Héthoum II d’Armenia. È utile rilevare i particolari rapporti inter- corsi fra la corona d’Armenia e la famiglia Fieschi proprio a partire dalla seconda metà del secolo XIII (su questo aspetto cfr. D. CALCAGNO, Il patriarca di Antiochia Opizzo Fieschi, diplomatico di spicco per la Santa Sede fra Polonia, Oriente Latino e Italia del secolo XIII, in I Fieschi tra Pa- pato e Impero, Atti del Convegno [Lavagna, 18 dicembre 1994], a cura di D. CALCAGNO, prefazione di G. AIRALDI, Lavagna 1997, pp. 145-267) che portarono, dagli inizî del secolo XIV, all’apertura di Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 295

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E che fosse proprio l’adesione al gioachimismo l’argomento della conversio- ne di Ottobuono – Adriano V potrebbe essere confermato da un dialogo fra Gio- vanni Burali e Nicolò III, quello stesso Giovanni Gaetano Orsini che aveva presie- duto il collegio degli inquisitori che lo aveva processato anni prima: «Unde post longum tempus dominus Iohannes Gaietanus, qui erat papa Nicholaus tercius, ac- cepit eum per manum et familiariter ducebat eum per palatium dicendo sibi: “Cum tu sis homo magni consilii, nonne melius esset tibi et Ordini tuo quod tu esses hic nobiscum cardinalis in Cu- ria, quam sequi verba stultorum qui de corde suo prophetant?”. Respondit frater Iohannes et dixit pape: “De dignitatibus vestris non curo, quia de hoc commendatur quilibet sanctus, ad cuius lau- dem cantatur: Nec terrene dignitatis gloriam quesivit, sed ad celestia regna pervenit. De con- silio autem dando dico vobis quod bene sanum darem consilium, si essent qui me vellent audi- re, sed in Romana Curia his diebus parum aliud tractatur, nisi de guerris et de truphis et non de animarum salute”. Audiens hec papa ingemuit et dixit: “Sic sumus talibus consueti, quod omnia que dicimus et facimus utilia fore credamus”. Cui frater Iohannes respondit: “Et beatus Grego- rius, sicut in Dialogo legitur, de talibus suspirasset”. Post hec dimissus frater Iohannes reversus est ad heremum Grecii, ubi habitare solitus erat» (51).

un canale diplomatico privilegiato, grazie anche ai rapporti di consanguineità fra le due casate. È infatti difficile immaginare che la missione di Angelo Clareno non sia stata, in qualche modo, cal- deggiata dal patriarca di Antiochia Opizzo Fieschi, a cui la famiglia deve quel rapporto privilegiato con l’Armenia. Se a questo aggiungiamo che Angelo Clareno fu liberato dal carcere nel 1317 per intercessione di cinque cardinali del cosiddetto partito italiano, amici degli spirituali, fra i quali Gia- como Colonna e Napoleone Orsini, che in quegli anni era attivo in Curia il cardinale Luca Fieschi, fratello di Alagia, consanguineo carissimo del re di Armenia Leone V, i contorni della trasmissione famigliare della conversione di Ottobuono potrebbero essere ancor meglio definiti. Per i particolari biografici di Angelo Clareno cfr. L. VON AUW, Avant-propos, cit., pp. XXIII, LXI. Sul cardinale Luca Fieschi cfr. Z. HLEDÍKOVÁ, Raccolta praghese di scritti di Luca Fieschi, «Acta Universitatis Carolinæ Philosophica et Historica», XCI (1981), Praga 1985. Levon V, re d’Armenia (1320-1342), figlio di Oshin I e di Isabella di Cipro, era parente del car- dinale Luca Fieschi. Una sorella di suo padre, Xene (Maria), aveva infatti sposato Michele IX Pa- leologo, fratellastro di Teodoro I Paleologo marchese di Monferrato, che a sua volta aveva sposato Argentina Spinola, figlia di Opizzo e Argenta Fieschi. Argenta era figlia di Opizzo Fieschi e un fra- tello di questi, Tedisio, era il padre di Ottobuono – Adriano V e di Nicolò Fieschi, padre del cardi- nale Luca. Cfr. Z. HLEDÍKOVÁ, Raccolta praghese di scritti di Luca Fieschi, cit., p. 115; D. CALCAGNO, Appunti per uno studio sui presupposti storico-politici delle fondazioni armene di Pontecurone (1210) e di San Bartolomeo a Genova (1307), in Roma-Armenia, Catalogo della mostra (Biblio- teca Apostolica Vaticana, 25 marzo-16 luglio 1999), a cura di C. MUTAFIAN, Roma 1999, pp. 216-217; ID., Rapporti politico-diplomatici fra Genova, Piccola Armenia e Il-Khanato di Persia (XIII-XIV secolo), in I Mongoli dal Pacifico al Mediterraneo, a cura di G. AIRALDI-P. MORTARI VERGARA CAFFA- RELLI-L.E. PARODI, Genova 2004, pp. 259-268. (51) SALIMBENE DE ADAM DA PARMA, Cronica, cit., volume I, p. 846. «Per questo, passato molto tempo, messer Giovanni Gaetano, che era papa Nicolò III, lo prese un giorno per mano e condu- cendolo familiarmente qua e là per le sale del palazzo, gli disse: ‘Dal momento che tu sei uomo di gran senno, non sarebbe meglio per te e per l’Ordine a cui appartieni, che tu fossi cardinale e stes- si con noi qui in curia, anziché seguire la dottrina degli stolti, i quali vanno profetando di loro te- sta?’. Rispose frate Giovanni e disse al papa: ‘Io non mi curo di nessuna delle vostre dignità. Si canta l’elogio dei santi con queste parole: Né cercò la gloria della dignità terrena, ma arrivò ai re- gni celesti. Quanto all’essere consigliere, io vi dico che certamente sarei disposto a farlo, se vi fos- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 296

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Proprio quello stesso Giovanni Gaetano Orsini, ora Nicolò III (52), tentava il riavvicinamento di Giovanni Burali alla Curia Romana, un riavvicinamento reso impossibile perché, a dire di questi, ormai non vi era più alcuno disposto ad ascol- tarlo. Adriano V, infatti, era già morto, avendo provato «un mese e poco più» quan- to «pesa il gran manto a chi dal fango il guarda» (53). In questo contesto possono trovare una più esatta collocazione i passi dan- teschi presi in considerazione che, a oggi, non avevano ancora ricevuto una spiegazione del tutto soddisfacente.

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se chi fosse disposto ad ascoltarmi. Ma in questi giorni nella corte romana si parla quasi solamen- te di guerre e di beffe e non della salute delle anime’. Ascoltando queste parole il papa sospirò e dis- se: ‘Siamo tanto abituati a queste faccende che tutto quello che facciamo e diciamo crediamo sia utile’. E gli rispose frate Giovanni: ‘Anche il beato Gregorio, come si legge nel Dialogo, avrebbe so- spirato per queste cose!’. Dopo di che, lasciato libero, frate Giovanni ritornò al romitaggio di Grec- cio, dove era solito abitare». (52) Peraltro collocato da Dante nella terza bolgia dell’ottavo girone infernale, quella riserva- ta ai simoniaci, cfr. Inferno, XIX, 6. (53) Purgatorio, XIX, 103-104. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 297

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...ego fui successor Petri. Intra Siestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima. Purgatorio, XIX, 99-102

Dante, nel canto XIX, 97-144 del Purgatorio, ricorda la figura di papa Adriano V, al secolo Ottobuono Fieschi, del vasto e illustre casato dei conti di Lavagna, fis- sandone in qualche modo il ricordo nel tempo. I quarantotto versi dedicati al pon- tefice restituiscono l’immagine – anche se il dibattito in merito a quanto affermato dal Poeta è ancora del tutto aperto – di un personaggio chiave in epoca medie- vale, appartenente a una delle famiglie più potenti del periodo. Non un ritratto fi- sionomico, ma sicuramente un’efficace sua resa psicologica (1). Ottobuono ha un ruolo determinante nella storia del Medioevo non come papa, il suo pontificato ha la durata di un battito d’ali: solo 38 giorni, ma e soprattutto nella veste di cardinale (2) Figlio di Tedisio e probabilmente di Simona della Volta, nasce fra il 1210 e 1215. Uno dei fratelli paterni è Sinibaldo, salito al soglio pontificio nel 1243 con il nome di Innocenzo IV, ed è sotto la protezione dello zio che si svolge parte della sua carriera ecclesiastica tanto nella curia pontificia, come cappellano del papa, quanto nelle numerose prebende ottenute in Italia e Francia: cancelliere e arcidiacono di Reims, canonico di Notre-Dame a Parigi, arcidiacono di Parma, fino alla nomina a cardinale diacono del titolo di Sant’Adriano nel 1251. Anche con i successori al soglio di Pietro ricopre importanti incarichi che gli permetto- no di accrescere la sua autorità e prestigio sia in campo ecclesiastico sia politico, in un momento veramente difficile dal punto di vista degli equilibri europei, che si andavano ridisegnando proprio nella seconda metà del Duecento. Da fine po- litico qual è gioca le sue carte nella maniera migliore per mantenere intatto il potere del Papato e procurare fidi alleati (3). L’elezione a pontefice è quasi una naturale conseguenza della brillante car- riere ecclesiastica e del potere raggiunto dalla famiglia, ma sicuramente non il

(1) DANTE, Purgatorio, XIX, 97-144. (2) GATTO 2000, pp. 425-427; CALCAGNO in questo volume con bibliografia. (3) MANSELLI 20052, volume v, pp. 99-100; GATTO 2000, pp. 425-427. Sulla biografia di Ottobuono cfr. anche FIRPO 2006, che avanza qualche riserva su Simona della Volta, quale madre. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 298

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suo desiderio, se è vero quanto riporta Iacopo da Varagine nel suo Chronicon: ... melius erat vobis cardinalem vivum habere, quam papam mortuum (4). Membro di una delle famiglie più in vista e potenti del Medioevo centrale, imparentata con i re d’Inghilterra e quelli di Armenia, legata da vincoli di amicizia con la corona di Francia, presente, un po’ ovunque, con un numero imprecisato di ecclesiastici – vescovi, abati, cardinali –, Ottobuono, in linea con la politica fa- miliare, che vede nella committenza di opere d’arte e di cultura anche un modo per rappresentare se stessa e lasciarne traccia nell’avvenire, opera in maniera ana- loga (5). Egli agisce tenendo ben presente il prestigio, non solo personale, ma del casato a cui appartiene, non la fama di un singolo ma quello dell’intero clan si vuo- le consegnare alla memoria futura. Con il procedere degli studi in questa direzione emerge sempre più chiaro il contributo dei Fieschi nel commissionare o sollecitare la realizzazione di manu- fatti non solo in Italia ma in quella vasta area che nel Medioevo comprendeva l’Eu- ropa e i paesi affacciati sul Mediterraneo, e a questa prassi non si sottrae neppure Ottobuono (6). Di alcune di queste opere si dirà più avanti, ma può essere inte- ressante qui ricordare il probabile ruolo giocato nel far giungere, a Roma e forse anche ad Assisi, il pittore Cimabue, visti gli stretti legami con il cardinale, attesta- ti in un documento notarile (7). Nella più antica fonte scritta – oggi in possesso del- la critica – in cui si nomina il pittore, l’artista compare come testimone: l’8 giugno 1272 a Roma è presente alla sentenza che conferma il passaggio delle monache pro- fughe della Romania, già della Regola di San Pier Damiani, a quella di Sant’Ago- stino, insediate da Ottobuono nel monastero di Sant’Andrea delle Fratte (8). In una società come quella medievale dove il gesto ha – soprattutto in alcuni contesti aulici – un peso fondamentale nell’esprimere determinate intenzioni e dove, di conseguenza, l’identificazione di chi lo compie non ha solo un valore documentario, l’immagine dei protagonisti assume una rilevanza decisiva nel san- cire gli stessi gesti, siano essi all’interno di cerimoniali o atti a manifestare la vo- lontà della propria presenza e autorità. L’immagine, nelle sue mille sfaccettature e significati, può veicolare un rac- conto di fatti o gesta, una narrazione, che può essere altro, o un semplice episo- dio, ma può anche sottendere alla manifestazione di ideologie dai contenuti più svariati e talvolta chiari soltanto a pochi eletti. La raffigurazione proposta può ave- re un’infinità di modi di analisi e di significati possibili. Attraverso l’immagine, sia essa immagine vera e propria o rappresentazione, si possono consegnare – anche

(4) IACOBUS A VARAGINE ARCHIEPISCOPUS GENUENSIS, Chronicon genuense ab origine Urbis usque ad annum MCCXCVII, RIS, IX, col. 52. (5) GARDNER 2000, pp. 309-318; CALCAGNO 2005, pp. 17-29; CAVANA 2005, pp. 31-41. (6) GARDNER 2000, pp. 309-318; CAVANA 2005, pp. 31-41. (7) BELLOSI 2004. (8) Cfr. CALCAGNO 1997, pp. 213-214. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 299

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non volutamente – alla Storia le idee, il prestigio, la forza, la potenza, il ricordo che si vuole trasmettere; resta uno degli strumenti più validi di propaganda dei propri o altrui ideali, sia essa voluta o no. Il termine immagine può essere letto secondo differenti accezioni, tra cui quella che vede nell’immagine non una mera rappresentazione di un soggetto, ma qualcosa che va oltre l’aspetto oggettivo e recupera i significati che stanno dietro all’operazione stessa del raffigurare. Si tratta di quelle immagini – in alcuni casi eseguite a posteriori – che sono dei veri e propri manifesti della fama, potere, cul- tura e magnificenza del soggetto delineato. Diverse quelle che possono essere considerate semplici raffigurazioni, che non veicolano nulla al di là di restituire l’idea che si ha o si è ricavata di un soggetto, spesso condizionate dal contesto che le produce. Una situazione coincidente con quanto premesso è ciò che emerge dall’ana- lisi delle immagini e delle raffigurazioni nelle quali compare Ottobuono Fieschi- Adriano V. Tra le raffigurazioni più antiche del pontefice di casa Fieschi si devono an- noverare probabilmente quelle riferibili all’illustrazione dell’episodio relativo all’incontro nel Purgatorio fra Dante e Adriano V, ma questo ambito particolare merita un’indagine a tappeto di tipo specifico, oltremodo auspicabile per gli spun- ti interessanti che potrebbe riservare. Qui ci si può limitare a ricordare una mi- niatura napoletana databile intorno al 1360 (fig. 1), dove il papa è rappresentato

Fig. 1 - Londra, British Museum, Dante Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, canto XIX, mi- niatura, add. 19587, f. 93r (da DANTE ALIGHIERI 1965, vol. IV, p. 308). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 300

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genericamente e si distingue dagli al- tri penitenti dalla presenza della tia- ra indossata sul capo (9). Una situazione non molto dissimile si riscontra anche nelle altre raffigu- razioni di ambito pontificio, dalle qua- li non emerge alcuna caratteristica fi- sionomica, tale da far pensare al tentativo se non ritrattistico almeno realistico di riprodurre il soggetto. Altro dato comune a questi “ritratti” è la scelta di rappresentare non il car- dinale, che – come sopra è stato più volte ribadito – ha inciso in maniera determinante su tanta della politica della Santa Sede, ma come è natura- le il papa, traguardo ultimo e massi- mo di una carriera ecclesiastica sfol- gorante. I più noti sono sicuramente quello tratto dal volumetto Vita del gran pontefice Innocenzio IV di Paolo Pan- sa del 1601 (precettore di casa Fie- Fig. 2 - Adriano V, incisione (da PANSA 1601). schi, scritto in realtà quasi un seco- lo prima) e quello che correda il volume di Pietro Vincenti Aggiuntione alla genealogia della famiglia Scorza, stampato a Napoli nel 1611 (10). Nell’opera di Pansa (fig. 2) il ritratto del pontefice è inse- rito in un ovale circondato da una ricca cornice a cartiglio con putti, sormontata dallo stemma papale con l’arma dei Fieschi. Il ritratto, se così lo si può chiama- re, è reso di profilo, come nelle medaglie o nelle monete, e risulta piuttosto pre- ciso nel delineare i paramenti, che rispondono nel tipo di stoffa del piviale (pro- priamente detto manto papale) e nel triregno al gusto cinquecentesco (11). Unico richiamo alla fisionomia di famiglia può essere l’accenno al naso allungato e un

(9) Cfr. Londra, British Museum, Add. 19587, f. 93r; riprodotto in DANTE, La Divina Comme- dia. Purgatorio, Milano 1965, volume IV, p. 308. (10) PANSA 1601, Folio doppio riproducente rispettivamente il ritratto di Innocenzo IV e Adria- no V, inserito in fase di legatura fra la p. 12 n.n. e la p. 1 num.; VINCENTI 1611, p. 92. (11) Si fa qui cenno a un’altra incisione, anche questa cinquecentesca, forse anch’essa a cor- redo di un’edizione di Paolo Pansa, che compare sulla copertina dell’opera teatrale di Mario Den- tone Una notte da papa, Trigoso 2001, e sul sito della famiglia Ottoboni www.familiaottoboni.com, dove, però, non compaiono i dati di riferimento dell’opera. Il pontefice è ritratto di profilo in un ton- do con piviale e triregno. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 301

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Fig. 3 - Adriano V, incisione (da VINCENTI 1611, p. Fig. 4 - J. Hergenrother, Adriano V, incisione, 92). 1885 (da MONGE 2005, p. 375).

po’ aquilino (12). L’opera di Vincenti (fig. 3), invece, non sembra essere altro che la ripresa semplificata e un poco modificata dell’incisione di Pansa: molto simile risulta essere la resa della cornice, così come alcuni particolari del piviale che pre- senta la chiusura e il ricamo sullo scollo vicini a quelli del 1597, medesima osser- vazione vale anche per le corone del triregno. Si può ricordare anche la serie dei ritratti dedicati ai papi realizzata da J. Hergenrother nel 1885 (fig. 4), anche in questo caso Adriano V è colto di profilo, sempre con piviale e triregno, in una incisione dai toni sfumati (13). Un discorso a parte merita l’illustrazione del testo di Bartolomeo Platina Le vite de’ pontefici in una edizione del 1703 (14). L’autore a corredo delle biografie pone delle incisioni che la tradizione vuole tratte dai tondi ad affresco presenti in San Paolo fuori le Mura. Come è noto nel 1823 la basilica fu devastata da un rovi- noso incendio che distrusse praticamente tutta la chiesa, compresa la parte pit-

(12) Con questi tratti fisionomici familiari è descritta, infatti, Santa Caterina Fieschi Adorno, cfr. LINGUA 1986, p. 61; FULCHERI, GRILLO 2003, p. 5, dove riporta le parole di Giacinto Parpera del 1682. (13) L’incisione presente nell’opera di J. HERGENROTHER, Album dei papi, Barcellona 1885, è tratta dal volume Duemila anni di papi, per cui cfr. MONGE 2005, p. 375. Colgo l’occasione per rin- graziare Marzia Dentone, Marco Bo e Mario Dentone per l’aiuto datomi nella ricerca delle indica- zioni bibliografiche e iconografiche. (14) PLATINA 1703, p. 321. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 302

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torica, si salvarono soltanto quattro tondi, staccati e conservati. La deco- razione, che ha fatto seguito alla ri- costruzione, ha riproposto l’antica se- quenza dei tondi con l’effigi papali, questa volta a mosaico (fig. 5). Per la loro esecuzione non ci si è basati sul- le eventuali fonti più antiche, ma i ri- tratti denunciano uno spiccato gusto romantico. Adriano è presentato sen- za alcun attributo evidente – si in- tuisce la presenza del piviale –, con il capo scoperto e una capigliatura più adatta a un uomo dell’Ottocento che non del Medioevo (15). Ritornando, invece, all’immagine Fig. 5 - Roma, basilica di San Paolo fuori le Mura, proposta da Platina (fig. 6), essa mo- Adriano V, mosaico, secolo XIX (da FIRPO 2006, p. 15, stra Adriano V di profilo con piviale n.n. dell’inserto a colori). e tiara; trattandosi di un’incisione si è di fronte a una copia semplificata dell’originale, tuttavia pare di poter affermare che l’affresco romano fos- se piuttosto antico, forse quasi con- temporaneo, valga anche il fatto che il pontefice è raffigurato con la tiara semplice e non con il triregno, che si sa essere stato introdotto da Bonifa- cio VIII attorno al 1300 (16). Se così fos- se, questa potrebbe essere un’imma- gine abbastanza fedele di Ottobuono. Si può citare ancora il piccolo ritratto conservato a Vienna nella pi- nacoteca del Kunsthistorisches Mu- seum, trascrizione precisa dei tondi di San Paolo fuori le Mura ed esegui- ta con l’unico intento di arricchire la collezione di piccoli ritratti di donne Fig. 6 - Adriano V, incisione (da PLATINA 1703, p. 321). e uomini illustri della Storia, dove tro-

(15) SAN PAOLO... 1997. (16) Su Bonifacio VIII, l’istituzione del Giubileo e l’uso del triregno cfr. Bonifacio... 2000; PARA- VICINI BAGLIANI 2003. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 303

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vano posto anche il conte Vlad – Dracula –, il sultano Maometto II o Solimano il Magnifico. Intento encomiastico ha sicuramente il tondo ad affresco eseguito dal pittore Giulio Corio nel 1946 nella chiesa di Santa Sabina a Trigoso (Sestri Levante) (17), il centro che tanto deve al Fieschi, che lo elesse a luogo privilegiato, dove fonda- re la chiesa che porta il suo titolo cardinalizio e, nel contempo, ridisegnarne l’a- spetto, consegnandolo ai posteri quale immagine nitida del suo prestigio (18). Se quelle che sono state definite raffigurazioni non aiutano molto a tracciare la fisionomia di Ottobuono e ancor meno la personalità e il suo ruolo nell’Europa del Duecento, diverso è il discorso se si passa ad analizzare quelle rappresenta- zioni che poco o nulla si avvicinano al reale aspetto di Ottobuono, ma per signi- ficato e portato molto hanno da consegnare sulla personalità del prelato. Si trat- ta di un gruppo di raffigurazioni o meglio di immagini che hanno la dichiarata funzione di trasmettere un messaggio nitido e senza fraintendimenti a tutti colo- ro che con queste immagini vengono e sono venuti in contatto a diverso titolo e che consentono di vedere con maggiore chiarezza il ruolo giocato dal cardinale. Per talune la presenza di Ottobuono è solo presunta e dedotta dalle circostanze, per altre è certa e anche voluta. L’ultima immagine di sé da consegnare ai posteri è il sacello, nel XIII secolo il ma- nufatto, dove l’opera degli artisti può raggiungere esiti di altissimo livello per la for- te richiesta, la svariata tipologia proposta, la rapida evoluzione artistica e architet- tonica dello stesso (19). Il luogo del riposo eterno ha il compito di comunicare e visualizzare le peculiarità e i pregi in vita di chi ospita, è l’estremo manifesto di quan- to realizzato nella vita terrena, l’ultimo atto per essere ricordati in questa vita. Non si sottrae a questa prassi Ottobuono, il cui sepolcro trova collocazione nella chiesa di San Francesco a Viterbo (fig. 7), dove il pontefice si era rifugiato per sfuggire al pericoloso clima dell’agosto romano (20). Secondo il testamento, redatto nel 1275, questa avrebbe dovuto essere una dimora temporanea, in atte- sa del suo trasferimento – entro due anni – nella cattedrale di Genova o, altrimenti, nella chiesa di San Salvatore presso Lavagna, e forse anche per questo i lavori han- no inizio qualche tempo dopo (21).

(17) ANTONINI 2002, p. 128. (18) Medesimo intento lo si può individuare nel ritratto ottocentesco che, con il suo pendant dedicato a Innocenzo IV, decora la sala del consiglio del Comune di Lavagna. (19) HERKLOTZ 1985. (20) Sulle problematiche dei papi morti fuori Roma cfr. PARAVICINI BAGLIANI 2005, pp. 71-75. Sul- lo stretto rapporto che si viene a instaurare fra Ottobuono e i Francescani, di cui la scelta del luo- go – anche se temporaneo – ne è un chiaro indizio, cfr. CALCAGNO, CAVANA 2006, passim; CALCAGNO in questo volume. (21) È stato ipotizzato che il ritardo nell’inizio dei lavori per il sacello sia dovuto all’incapa- cità di decidere quale edificio dovesse ospitare il corpo del defunto papa: la cattedrale di Genova Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 304

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Il monumento sepolcrale a muro, in linea con il gusto dell’epoca, presenta una struttura archi- tettonica a baldacchino, su alto zoccolo deco- rato con specchiature marmoree policrome, che sovrasta il sarcofago a decorazioni cosmatesche sormontato, a sua volta, dalla statua giacente del pontefice. Un progetto non particolarmen- te complesso, visti gli esiti di altri sepolcri si- milari del tempo, ma che per alcuni studiosi por- tava la firma di Arnolfo di Cambio (22). Oggi la maggior parte della critica ha escluso la pater- nità arnolfiana per riconoscervi, invece, mae- stranze non lontane dalla lezione del grande maestro (23). Come si è sopra accennato Adria- no V è rappresentato defunto e giacente sul let- to di morte, rivestito con le vesti pontificali – pi- viale e tiara –, nella compostezza dell’eterno riposo. Che la mano non fosse quella di Arnolfo lo aveva già chiaramente dimostrato Angiola Ma- ria Romanini in un saggio del 1983, la studiosa in riferimento al sepolcro del cardinale De Braye in San Domenico a Orvieto osservava che

«Cito qui ad esempio la statuaria dei monumenti di Cle- mente IV e Adriano V a Viterbo e cioè delle opere che sono state più costantemente appaiate al monumento De Braye, sino ad essere talora attribuite addirittura allo stesso Ar- nolfo... In tutti i tre (recte: due) casi – ma è quasi una nor- ma, in questo volgere di tempo – le parti visibili e quelle non visibili sono lavorate in modo sempre quasi ugual- mente accurato, anche se si trovano collocate in angoli Fig. 7 - Viterbo, chiesa di San Francesco, morti. bottega vicino ad Arnolfo di Cambio, Nel monumento De Braye – e in tutto Arnolfo – ciò che monumento funebre di Adriano V, post non si vede è grezzo o al massimo solo abbozzato salvo 1276 (da GATTO 2000, vol. II, p. 426). qua e là poche sbavature dello scalpello » (24).

o la chiesa di famiglia di San Salvatore, il testamento è pubblicato in PARAVICINI BAGLIANI 1980, pp. 142-163 (1275 settembre 28-Valence). (22) Il monumento, non si presenta più del tutto integro nell’aspetto, poiché, nel tempo, ha subito una serie di manomissioni, atti non estranei neppure ad altri monumenti. Tali manomissio- ni hanno impedito a oggi di valutare con esattezza la partizione architettonica, in particolare per l’e- dicola perimetrale e le soluzioni sommitali. Cfr. REFICE 2005, pp. 158-160. (23) Ibidem, p. 159; PACE 2005, p. 174. (24) ROMANINI 1983, pp. 166-170. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:54 Pagina 305

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Né è servita da modello – con quella di Clemente IV (25) – per l’opera di Ar- nolfo, soprattutto nella realizzazione della tomba per il cardinale De Braye in San Domenico a Orvieto (post 1282), anche se tali precedenti lo scultore li aveva si- curamente osservati. I due monumenti papali hanno in comune più di un elemento: «sia nella sovrapposizione di due corpi parallelepipedi sull’inferiore dei quali si impostano le colonne del baldacchino, sia persino in alcuni particolari della de- corazione plastica...» (26). In particolare, la zoccolatura inferiore a decori co- smateschi, la cassa sormontata dal giacente, le colonnine laterali sembrano te- stimoniare l’arrivo in terra umbra di una matrice di gusto francese, portata forse dagli stessi committenti, usi alla frequentazione di quella terra tanto ricca di proposte e spunti innovativi (27). Entrambi i due papi, oltre a essere uomini col- ti, hanno, per ragioni diverse, una familiarità con l’ambiente francese. Ottobuono in più di una manifestazione, non solo artistica, denuncia la conoscenza e il ri- corso a elementi d’Oltralpe, che trovano nelle citazioni di ambito artistico la sua espressione più significativa e aggiornata, trapiantata talvolta anche in ambito lo- cale (28). Conoscendo la prassi consolidata e gli anni in cui si svolgono gli avvenimen- ti, è normale trovare il cardinale a fianco dello zio pontefice nei momenti più im- portanti e questo è forse anche il caso della canonizzazione di San Pietro, ucciso nel 1252. Il solenne momento è stato riprodotto, quasi un secolo dopo, sull’arca a lui dedicata, commissionata per la chiesa di Sant’Eustorgio a Milano e realizzata da Giovanni di Balduccio nel 1338. Sul rilievo marmoreo compare Innocenzo IV che consegna a un Domenicano la bolla di canonizzazione; il pontefice è circon- dato dal suo seguito ed è quasi naturale identificare Ottobuono nel cardinale alla sua sinistra, che regge il piviale del papa (29). Altro avvenimento, di una portata sicuramente superiore al precedente, sono i funerali di Santa Chiara officiati da Innocenzo IV. Come ha scritto Daniele Cal- cagno «Fu certamente Chiara d’Assisi, così come Francesco lo era stato per Gregorio IX, a far appassionare Innocenzo IV: è infatti lui ad approvare la Regola di Santa Chiara il 9 agosto 1253» (30) e si sa per certo che il pontefice e i cardi- nali, fra cui anche Ottobuono, incontrarono la Santa almeno due volte e allo stes-

(25) Quest’ultima, redatta in una prima edizione nel 1271 in duomo e ultimata probabilmente non prima del 1276 in Santa Maria dei Gradi, non è servita da modello per quella di Adriano V; cfr. REFICE 2005, p. 159. (26) CARLI 1993, pp. 62-63; REFICE 2005, p. 159. (27) GARDNER 2000, p. 312; REFICE 2005, p. 160. (28) Un esempio fra i tanti il rosone della chiesa di San Salvatore, cfr. DAGNINO 1999, pp. 116- 117; CAVANA 2005, pp. 81-82. Va ancora ricordato che Clemente IV, al secolo Guy Foucois, era di ori- gine francese. (29) ASCANI 1995, volume VI, pp. 707-708. (30) Cfr. CALCAGNO in questo volume, sui rapporti Fieschi-Francescani cfr. anche CALCAGNO, CA- VANA 2005, pp. 712-713. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 306

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Fig. 8 - Assisi, basilica di Santa Chiara, Maestro Espressionista di Santa Chiara, esequie di Santa Chia- ra, particolare, affresco, primo decennio secolo XIV (da Santa Chiara... 2002, p. 107).

so modo erano presenti alle esequie (31). Nella basilica dedicata alla Santa assi- siate ci sono due documenti iconografici che rappresentano i funerali, in entrambi Chiara è circondata, oltre che dalle consorelle e dai Francescani, dalla schiera di cardinali che fanno corona al pontefice (32). Si tratta degli affreschi presenti nel transetto destro, opera del cosiddetto Maestro Espressionista di Santa Chia- ra, realizzati nel primo decennio del Trecento e della tavola con Santa Chiara e otto storie della vita, conservata anch’essa nel transetto destro, opera del Mae- stro di Santa Chiara ed eseguita nel 1283 (33). Nel primo caso (fig. 8) Ottobuono potrebbe essere identificato con uno dei due cardinali a fianco del papa – l’altro potrebbe essere Guglielmo Fieschi (34) –, forse non a caso coperti da un piviale

(31) Cfr. CALCAGNO in questo volume. (32) Santa Chiara... 2002, in particolare TOMEI 2002, pp. 71-75, 75-76. (33) TOMEI 1991, volume II, p. 651; MOROZZI 1997, volume VIII, pp. 89-91. (34) Su Guglielmo Fieschi, altro nipote di Innocenzo IV, figlio di Opizzo, promosso dallo zio car- dinale diacono di Sant’Eustachio nel 1244 e presente con Ottobuono anche alle visite a Chiara cfr. CALCAGNO, CAVANA 2006, p. 712; CALCAGNO in questo volume. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 307

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Fig. 9 - Assisi, basilica di Santa Chiara, Mae- Fig. 10 - Assisi, basilica di Santa Chiara, Maestro di stro di Santa Chiara, Santa Chiara e otto sto- Santa Chiara, Santa Chiara e otto storie della vita, rie della vita, tempera su tavola, 1283 (da particolare, tempera su tavola, 1283 (da Santa Chia- Santa Chiara... 2002, p. 134). ra... 2002, p. 134).

di uguale tessuto, anche se la giovane età del futuro papa farebbe propendere per l’uomo alla sinistra. Medesimo discorso vale per lo scomparto del polittico (figg. 9-10) , dove i due cardinali potrebbero essere individuati nei due astanti con il volume e con la navicella, entrambi accanto al pontefice, una deduzione, forse non azzardata, vista la consanguineità dei tre prelati e gli stretti legami di colla- borazione. Non è poi così importante identificare esattamente Ottobuono, con- siderando anche il fatto che queste rappresentazioni sono più tarde, e non certo esatte raffigurazioni del triste evento; il dato imprescindibile è, invece, il fatto che i due documenti iconografici testimoniano di uno degli avvenimenti più impor- tanti del Duecento, che lascerà, anche nel campo religioso femminile, tracce in- delebili e modificherà il modo di pensare l’apostolato, non più stando rinchiusi nei monasteri ma testimoni nel mondo, e a questa nuova concezione degli Ordini religiosi e dei loro compiti non si sentirà estraneo Ottobuono, che non a caso si trovò più di una volta ad Assisi, dove incontra la Santa, e dove presenzierà alle sue esequie, esequie di cui i due dipinti sono i muti testimoni – ma non tanto – di quel momento e dei suoi protagonisti. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 308

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Fig. 11 - Ascoli Piceno, Museo Diocesano, manifattura inglese, piviale di Nicolò IV, 1268 circa (da Pi- viale... 1991, p. 43).

Ed è proprio seguendo questo sottile filo rosso, che collega le labili tracce ico- nografiche, non sempre sicure e spesso presunte, che emerge la forte personalità del cardinale e il suo ruolo nel panorama politico, non solo religioso, del Due- cento (35). E legato a un momento fondamentale della storia è il cosiddetto Piviale di Nic- colò IV (fig. 11), di manifattura inglese del XIII secolo, regalato alla città di Ascoli Pi- ceno il 28 luglio 1288 – pochi mesi dopo la sua elezione – dal papa ascolano (36). In realtà il prezioso manufatto poco ha a che fare – almeno per quanto riguarda la sua creazione – con papa Nicolò IV: si tratta, infatti, di un dono in onore di Cle- mente IV, un oggetto arrivato a Roma a conclusione della spinosa missione in In- ghilterra, portata a termine con successo proprio da Ottobuono, quale legato pon- tificio (37). Ottobuono, ricevuto l’incarico il 4 maggio 1265, si reca, dopo una sosta a Genova, in Inghilterra, dove infuriava la cosiddetta guerra dei Baroni. In quel momento il partito del re Enrico III aveva avuto la meglio e stava mettendo in atto una dura repressione. «Il cardinale Ottobuono, al suo arrivo, pur essendo stato mandato dal pontefice per sostenere il re ed i suoi seguaci e per ottenergli l’ap- poggio del clero inglese, in massima parte favorevole ai baroni ribelli, cercò di fre-

(35) A questo proposito si può ancora ricordare una miniatura presente nella copia del codice autografo dei primi anni del XIV secolo dell’Apparatus super Decretalibus, di Innocenzo IV. Il papa è ritratto fra due militi e affiancato da due assistenti al soglio, di cui uno cardinale. La riproduzio- ne è in CALCAGNO 1997, p. X. (36) Piviale... 1991, pp. 11-19; 21-25. (37) Ibidem, pp. 137-139; CALCAGNO 1997, pp. 203-210; GATTO 2000, p. 426. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 309

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nare questa indiscriminata esplosione di odio che minacciava di travolgere l’In- ghilterra.» (38). La mediazione del cardinale, alla cui legazione, si unirono poi an- che i cardinali Tedaldo Visconti (futuro papa Gregorio X) e Benedetto Caetani (poi, Bonifacio VIII), ottenne degli ottimi risultati, sia in campo politico sia religioso, ri- stabilendo la pace e quell’equilibrio fra i poteri che altrimenti avrebbe potuto tra- volgere l’intera Europa (39). Con la legazione, che fa ritorno a Roma, o poco tempo dopo, parte anche un dono, di notevole pregio, per Clemente IV, che questa mediazione aveva voluto con tutte le sue forze, poiché, quando era ancora cardinale aveva toccato con mano le difficoltà e le conseguenze che le turbolenze inglesi potevano rappre- sentare (40). Il piviale è decorato con una serie di tondi e semitondi nei quali sono rappre- sentati – partendo dall’alto – i santi papi martiri, i santi papi dotti giuristi, i quattro papi della metà del XIII secolo, fra cui Clemente IV, l’artefice dell’impresa; al cen- tro si trovano, poi, tre tondi, nell’ordine: la testa di Cristo pantocrator, la Croci- fissione, la Madonna con il Bambino in trono e angeli (41). Tra i papi della metà del XIII secolo è presente, naturalmente, Innocenzo IV, affiancato secondo la let- tura che ne è stata fatta, proprio da Ottobuono (fig. 12) (42). Ma questo sarebbe solo uno degli episodi che qui stiamo enumerando se non fosse che Susan Kyiser ha identificato proprio nel cardinale Fieschi il più probabile committente e, cosa ancora più significativa, suggeritore del progetto iconografico da realizzare sul pi- viale; gli anni sono, appunto, quelli della legazione, o meglio il 1268, anno di con- clusione positiva del viaggio, poiché il significato finale, che il manufatto dichia- ra, è proprio la raggiunta ricomposizione delle differenti posizioni di baroni, clero, corona e l’auspicio, non troppo velato, che la corona imperiale possa essere in- dossata da Riccardo di Cornovaglia, che è poi anche il pensiero di Clemente IV (43). Un programma, quello enunciato dal piviale, di alto contenuto e velati sottintesi, intriso di vocazione religiosa e fede, ma che nel suo significato più nascosto – nean- che poi tanto – denuncia il suo vero messaggio che è soprattutto politico, degno di chi in questa missione ha creduto e che ha portato avanti senza tentennamen- ti e con lucida determinazione e che ancora una volta mette in luce le più spicca- te capacità del cardinale. Il committente, che sicuramente detta il colto programma, si fa effigiare sì in un angolo, ma in questo modo ne attesta la paternità: nel con-

(38) GATTO 2000, p. 426. (39) É utile, forse, ricordare che questa vicenda tutta inglese si innesta, però, su quella relati- va alla successione al trono imperiale e di conseguenza al ruolo giocato dagli Angioini nello scac- chiere italiano e europeo, vicende che toccano da vicino lo Stato Pontificio e le prerogative del papa; cfr. Piviale... 1991, pp. 137-139; CALCAGNO 1997, pp. 203-210. (40) Piviale... 1991, pp. 137-139. (41) Ibidem, pp. 41-93. (42) Ibidem, pp. 90-93. (43) Ibidem, pp. 139-141, 141-148. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 310

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Fig. 12 - Ascoli Piceno, Museo Diocesano, manifattura inglese, piviale di Nicolò IV, particolare, 1268 circa (da Piviale... 1991, p. 91).

testo è l’unico tra cardinali, vescovi, arcivescovi riconoscibile per essere accanto all’amato zio. Un programma volutamente firmato con l’apparire di Ottobuono, anche se a latere, nel tondo, con l’evidente intento di dichiarare apertamente la sua posizione su una questione tanto spinosa, che lo rivela quale fine politico al servizio e per il bene della Chiesa, che ha nella sfera temporale una componente determinante della sua forza. I due protagonisti della legazione sono – non a caso – il donatore e il destinatario del prezioso omaggio, i cui ideali coincidono così perfettamente da poter essere tradotti, senza rischio di fraintendimenti, nel tessuto del piviale. Legata al medesimo avvenimento è anche una miniatura inglese del XVI seco- lo conservata presso il British Museum di Londra (fig. 13), nota come la raffigu- razione di una seduta del Parlamento. In essa Daniele Calcagno ha individuato, fra i partecipanti al fianco del re d’Inghilterra, proprio il legato pontificio Otto- buono (44). Alcuni vi hanno voluto vedere una rappresentazione – tarda – della prima seduta del Parlamento presieduta nel 1295 da Edoardo I (identificato per la lettera e l’ordinale E e I). Al fianco del re inglese, rispettivamente sulla sua destra e la sua sinistra, si trovano il re di Scozia Alessandro III e il principe di Galles Llywelyn ap Gruffyorkdd, oltre il vescovo di Canterbury e il legato papale, poiché il prelato è sormontato dall’arma pontificia. Tre sono le obiezioni: a quella data sia il principe di Galles sia il re di Scozia erano già morti, né si ha notizia di alcun le- gato papale.

(44) Un particolare della miniatura è stato pubblicato dallo stesso Daniele Calcagno per cui cfr. CALCAGNO ET ALII 2005, p. 22. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 311

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Fig. 13 - Londra, British Museum, seduta del Parlamento inglese, miniatura, secolo XVI (da DI PA- SQUALE, BARDI 2004, p. 33, n.n.).

Al contrario i due sovrani, di Scozia e Galles, regnano proprio durante il pe- riodo di legazione pontificia e di governo di Enrico III, le cui lettere, che lo sor- montano, andrebbero interpretate come le iniziali di Enrico d’Inghilterra (E. I.). A supporto di questa lettura si può ricordare che al termine del duro scontro fra i baroni, la Chiesa inglese e la corona, nel 1268, il re chiede a ventisette fra città Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 312

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e borghi di inviare i loro rappresentanti per assistere ai lavori dell’assemblea della magna curia. Questo atto ritenuto eccezionale, crea un precedente, desti- nato a proseguire nel tempo fino a istituzionalizzarsi nelle due Camere del Parla- mento dalla seconda metà del Trecento (45). Molto probabilmente vi partecipa anche Ottobuono, che era stato parte attiva nella riuscita della riappacificazione delle parti. A secoli di distanza l’avvenimento e i suoi attori sono raffigurati a ri- cordo di uno dei momenti cruciali della storia inglese e non solo. A questo punto della trattazione risulta ormai chiaro come la fama di Otto- buono risieda in quanto ha fatto e ottenuto da cardinale, con l’elezione a papa qua- si a suggello di una carriera tanto brillante e condotta sempre in prima persona. Anche le due opere architettoniche legate in modo più stretto alla sua persona sono commissionate proprio dal cardinale: la chiesa di San Salvatore presso La- vagna e quella di Sant’Adriano a Trigoso (Sestri Levante). La lunetta del portale maggiore di San Salvatore (fig. 14) porta un affresco, collocabile dopo il 1464 ma più probabilmente nei primi decenni del XVI secolo, nel quale sono rappresentati papa Innocenzo IV, con il modellino della chiesa, e il cardinale Ottobuono che affiancano la Crocifissione (46). Al di sotto è un’i- scrizione coeva nella quale è ricordato che Innocenzo IV ha fondato la “basilica” e l’ha dedicata il 20 aprile 1252, mentre il nipote Ottobuono l’ha portata a compi- mento (47). Il futuro papa è qui rappresentato in ginocchio, coperto dalla “cappa” rossa cardinalizia. Per Innocenzo IV San Salvatore è e deve essere la chiesa attorno alla quale la famiglia si raccoglie e nella quale si riconosce, come si evince fin da subito dagli atti messi in essere dal pontefice, che ne decreta l’autonomia dalla Arcidiocesi di Genova e l’assegna in giuspatronato alla sua famiglia (48). Per questo l’impe- gno nella sua realizzazione coinvolge anche i successori e in particolare il nipote prediletto, Ottobuono, che raccoglie il testimone alla morte dello zio. Il nuovo committente, però, non si limita ad agevolare la conclusione dei lavori, ormai a buon punto, ma con un colpo di genio – e di impegno economico si può aggiunge- re – ne cambia in parte il progetto con i risultati che oggi si vedono: pur mantenendo il medesimo perimetro, sono alzate la torre nolare, il cleristorio e di conseguenza

(45) CICCAGLIONI, POLONI 2006, p. 121. (46) Ottobuono è, infatti, raffigurato con la “cappa” rossa concessa ai cardinali da papa Paolo III nel 1464; inoltre, l’affresco, tradizionalmente attribuito a Giovanni Barbagelata da Rapallo, è stato assegnato da Franco Boggero – a seguito dei restauri eseguiti nel 1997-1998 – alla cerchia di Lorenzo Fasolo o del figlio Bernardino, cfr. DAGNINO 1999, pp. 97, 118 nota 3. (47) CALCAGNO 1999, p. 217, I. Le forbici cronologiche proposte, per i lavori di costruzione del- la nuova chiesa, sono fra il 1244 (primo soggiorno a Genova in veste di papa di Innocenzo IV) e il 1254 (anno della morte del pontefice), quindi dopo il 1254 e il 1276 (anno della morte di Adriano V), cfr. DAGNINO 1999, pp. 97-100. (48) CALCAGNO 1999, pp. 208-215, I. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 313

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Fig. 14 - San Salvatore dei Fieschi, chiesa di San Salvatore, lunetta del portale, cerchia di Lorenzo Fasolo e figlio, crocifissione fra il papa Innocenzo IV e il cardinale Ottobuono, affresco, primi de- cenni del secolo XVI (foto Istituto di Studi sui Conti di Lavagna).

la facciata, che ospita il grande rosone di gusto spiccatamente francese (49). Tor- re nolare – visibile già da lontano – e rosone divengono i simboli tangibili e im- ponenti, quasi incombenti, della presenza sul territorio del clan fliscano. Le scelte operate da Ottobuono modificano in modo sostanziale e unico il monu- mento, un’operazione che non si limita al solo manufatto ma ridisegna, di conse- guenza, il territorio circostante, a causa del forte impatto che produce questa nuo- va struttura, così diversa, dai profili taglienti e che con fatica, ma senza riuscirvi pienamente, si amalgama con il luogo circostante. Tante altre chiese, volute dai Fieschi, riecheggeranno le sue forme, come citazioni di un medesimo modo di in- tendere l’architettura, una cifra che fa riconoscere la comune appartenenza alla stessa committenza, ma il San Salvatore – forse anche per la sua genesi – resterà un unicum, un oggetto irripetibile, dalle proporzioni anche alterate, ma proprio e soprattutto per questo, il simbolo inimitabile della famiglia: un simbolo si può citare ma mai imitare pedissequamente – se non in casi particolari – pena la per-

(49) DAGNINO 1999, pp. 97-120; CAVANA 2005, pp. 81-82. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 314

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dita dello status di simbolo, l’u- nicità è garanzia dell’origina- lità del progetto, riconoscibi- lità del committente e dell’alto significato che al manufatto si vuole assegnare (50). Per il San Salvatore Ottobuo- no non fa altro che portare a termine la volontà di Innocen- zo, anche se – come si è poc’an- zi riportato – nel farne propria la realizzazione la riconsegna modificata in maniera monu- mentale, e c’è tanto di Otto- buono nelle opzioni stilistiche proposte. Diverso l’atteggiamento per quanto riguarda le scelte ope- Fig. 15 - Trigoso, chiesa di Sant’Adriano, Anonimo, Adria- rate a Trigoso, anche se le con- no V con il modellino della chiesa, chiave di volta, secolo XV seguenze andranno al di là del- o XVI (da ANTONINI 2002, foto di copertina). le premesse e supereranno la vita dello stesso committen- te. Qui si delinea, soprattutto nella genesi futura, un altro modo di concepire e uti- lizzare nel futuro il modello di partenza, ma il protagonista resta sempre il cardi- nale di Sant’Adriano, le cui indicazioni non possono essere ignorate. Il 26 aprile del 1270, da Viterbo, Ottobuono emana un dispositivo, ripreso più ampiamente nel testamento del 28 settembre 1275, redatto a Valence in Francia, nel quale enuncia la volontà di fondare a Trigoso (presso Sestri Levante) una chie- sa dedicata a Sant’Adriano, suo titolo cardinalizio, in prossimità del palazzo fatto costruire dal padre Tedisio (51). A ricordarne la paternità, oltre le fonti scritte, resta oggi una chiave di volta quattro – cinquecentesca (fig. 15), proveniente dalla chiesa stessa, con all’inter- no l’effige del papa Adriano V recante il modellino dell’edificio in forme medie- vali (52).

(50) BRENK 2003, pp. 3-42. (51) CALCAGNO, CAVANA 2007, pp. 714, 716; DUFOUR BOZZO 2007, p. 708. Sulla chiesa cfr. anche FIR- PO 2006. Per il dispositivo e il testamento cfr. FERRETTO 1901, fasc. I, n°. 533; PARAVICINI BAGLIANI 1980, pp. 142-163. (52) CELLERINO 2005, p. 120. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 315

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Il cardinale crea qui quello che secondo Flavia Cellerino è un «luogo fliscano per eccellenza» (53), un’isola per alcuni aspetti molto simile all’insula di San Sal- vatore: chiesa-palazzo/i, che avrà in Santa Maria in Via Lata a Genova il suo esito finale (54). Un luogo di eccellenza dai tanti significati intrinseci, ma che forse nelle in- tenzioni di Ottobuono doveva essere anche altro e faccio mie le parole di Flavia Cellerino che credo abbia intuito quello che avrebbe dovuto essere uno dei fini di tale operazione, sicuramente il più prestigioso: «furono affidati ai religiosi» – lo si evince dal testamento – «numerosi libri di fisica, grammatica, dialettica, teolo- gia e diritto, segno che la collegiata avrebbe potuto, forse, diventare centro di for- mazione culturale e teologica sotto il patronato familiare » (55). Oggi chiesa e palazzo si presentano in forme settecentesche, secondo il re- stauro voluto alla metà del secolo da Domenico Fieschi, a seguito dei danni su- biti nel 1607 per un’incursione barbaresca e per le ingiurie del tempo, atto che a distanza di secoli riconosce nel nucleo la sua importanza originaria e in qualche modo la vuole riproporre nelle forme più attuali. La facies primitiva si può, però, recuperare, oltre che da alcune fonti scritte e cartografiche, da un atto che avrà ripercussioni notevoli nel futuro e che sug- gellerà in maniera definitiva e sostanziale, attraverso la forma architettonica, quan- to la figura del cardinale Ottobuono, poi papa, abbia contato nella vita della fa- miglia Fieschi e nella società del suo tempo. Il 31 gennaio 1336 da Avignone, il cardinale Luca Fieschi detta il suo testamento, nel quale chiede esplicitamente che in onore del suo titolo cardinalizio – Santa Maria in Via Lata – sia costruita una chiesa sulla collina di Carignano a Genova – dove è già il palazzo di Nicolò e poi di suo padre – e che questa abbia esattamente la forma e le misure di quella di Tri- goso; la storia farà poi di questa chiesa il simbolo, almeno cittadino, della famiglia e l’unico manufatto salvato dalla feroce vendetta di Andrea Doria all’indomani del- lo sfortunato tentativo di congiura di Gian Luigi Fieschi nella notte fra il 2 e il 3 gennaio 1547 (56). Luca, il più colto e autorevole cardinale della famiglia, dopo i due antenati Sinibaldo e Ottobuono, si sente, trascorsi lunghi anni di assenza della famiglia dal- la cerchia cardinalizia, il continuatore di quella politica e vede in Ottobuono la figura di riferimento nella sua educazione prima e nella sua politica ecclesiasti- ca poi, la scelta testamentaria non fa che ribadire lo stretto legame fra i due e quan- to la figura e soprattutto gli atti dell’avo siano ancora pienamente condivisi e at-

(53) CELLERINO 2005, p. 120; ripreso e fatto proprio poi da Colette Dufour Bozzo, per cui cfr. DUFOUR BOZZO 2007, p. 708. (54) DUFOUR BOZZO 2007, pp. 703-711. (55) CELLERINO 2005, p. 120. (56) CALCAGNO, CAVANA 2007, pp. 712-722. Per il testamento di Luca cfr. PARAVICINI BAGLIANI 1980, n°. XXIX, pp. 451-458. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 316

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tuali. Luca in Carignano vuole riprodurre e proporre la facies/icona di Trigoso. Non è solo un omaggio nei confronti di Ottobuono ma un riconoscere esplicita- mente e appoggiare la linea di condotta, anche simbolica, percorsa negli anni dal cardinale. Trigoso in Santa Maria in Via Lata è la visualizzazione aulica in for- me monumentali di un modo di essere e di agire, a cento anni di distanza ancora chiaro e presente, di uno dei protagonisti della storia duecentesca. Identica in tut- to ma aggiornata nelle sue decorazioni architettoniche, così come le idee e le azio- ni di Ottobuono sono per il cardinale Luca attuali, ma da inserire e adeguare alla nuova temperie trecentesca. E non è l’unico a risentire del fascino dell’avo cardinale e a riconoscere nel nu- cleo di Trigoso uno dei luoghi carismatici per la famiglia, se il 26 ottobre 1304, Ni- colò Fieschi, da Torriglia, dispone in Sant’Adriano la sepoltura della moglie Leo- netta e in futuro la propria (57). Non il monumento sepolcrale, come potrebbe essere logico, consegna al fu- turo il ricordo del cardinale come uomo, ecclesiastico e politico, ma le tante im- magini che lo ritraggono presente nei momenti salienti del XIII secolo e le nume- rose committenze volute in prima persona che adombrano sempre significati che vanno al di là della semplice realizzazione dei manufatti. Al termine di questo excursus è chiaro come i ‘luoghi’, dove si trova rappre- sentato il futuro papa Adriano V – a parte quelli ufficiali come pontefice – testi- moniano, pur talvolta nella genericità della raffigurazione, della spiccata perso- nalità dell’uomo e della grande importanza rivestita dal cardinale, che neppure le terzine poco lusinghiere del sommo Poeta possono in qualche modo incrinare: per un ecclesiastico essere uomo del secolo nel Medioevo e nel Duecento, in par- ticolare, non è un limite ma una necessità e per Ottobuono una qualità.

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(57) CELLERINO 2005, p. 121. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 317

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BIBLIOGRAFIA

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Alla pagina precedente: Stemma dei Malaspina dello Spino Secco. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 323

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GIOVANNI MANZINI DI FIVIZZANO E L’INFERNO DI DANTE LA PIÙ ANTICA TESTIMONIANZA SCRITTA DI UNA CONSAPEVOLEZZA DANTESCA IN LUNIGIANA?

È una figura ancora in gran parte da conoscere, quella di Giovanni Manzini del- la Motta di Fivizzano, nonostante molti siano stati dal Settecento ad oggi (1) gli stu- di su questo giovane umanista (2). Del Manzini è stata studiata soprattutto la sua ve- nerazione nei confronti di Francesco Petrarca, e il suo contributo all’evoluzione dei contenuti del teatro, mentre sembra non aver suscitato grande interesse, nel mare magnum degli studi danteschi, la sua conoscenza della Commedia di Dante. Alcune epistole latine del Manzini sono state pubblicate dal ‘Centro di Studi Umanistici di Castiglione del Terziere’ in tirature limitate (3), due altre epistole sono state pubblicate da G. Soldi Rondinini (4) ed è un vero peccato che Giusep-

(1) S. J. P. LAZZARI, Miscellaneorum ex mss. libris Bibliothecae Collegii Romani Societatis Je- sus T. P., Romae 1754, pp. 115, 138-173, 226; M. VATASSO, Giovanni Manzini della Motta di Fiviz- zano, tesi di laurea, Università agli Studi di Roma, aa. 1929, ms. presso la Biblioteca Universitaria Alessandrina-Roma; A. ZARDO, Il Petrarca e i Carraresi, Milano- Napoli-Pisa 1887, p. 224; A. HORTIS, Marco Tullio Cicerone nelle opere del Petrarca e del Boccaccio, Trieste 1878, p. 95; F. NOVATI, Chi è il postillatore del Codice Parigino?, in Francesco Petrarca e la Lombardia, Milano 1904, pp. 179- 192; C. SALUTATI Epistolario, a cura di F. NOVATI, III, Roma 1896, p. 327; C. MAGENTA, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, Milano 1883, I, p. 81; V. ROSSI, Scritti di critica letteraria, Firenze 1930, II, pp. 93-104; R. SABBADINI, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV. Nuove ricerche, Firenze 1914, ed. anast. a cura di E. GARIN, Firenze 1967, II, p. 125; G. BILLANOVICH, Petrarca lettera- to. I. Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, pp. 330-332; ID., Terenzio, Ildemaro, Petrarca, in «Ita- lia Medioevale e Umanistica», XVII (1974), pp. 1-60, specie pp. 29- 30; E. GARIN, La cultura mila- nese nella prima metà del XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 547- 556. (2) Vedi in particolare C.VASOLI, Giovanni Manzini da Fivizzano. Un Umanista tra le Lette- re, la Corte, le Armi, Fivizzano, Accademia degli Imperfetti, 1980; ID., Dimensioni culturali luni- gianesi, in “Cronaca e Storia di Val di Magra”, XVIII-XX (1989- 91); L. J. BONONI, XIV Secolo. Gio- vanni Manzini, in Libri & Destini. La cultura del libro in Lunigiana nel Secondo Millennio, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2000; ID., Sulla sepoltura di ‘il Grande’, in «Gior- nale Storico della Lunigiana e del territorio lucense», LIV (2003, ma 2004), pp. 179-184. (3) Andriolo de Ochis, Epistola, Castiglione del Terziere 1973; Oratio ad beatam Virginem, Castiglione del Terziere 1974; Insigni ac claro viro Pasquino de Capellis honorando Secretario Domini Mediolani, Epistola, Fivizzano 1978; Johannes frater tuus Antonio Manzini fratri meo, Epistola, Castiglione del Terziere s.d. (ma 1978); Johannes Manzini de Motta Filippo de Valle Haste amico dilecto, Epistola, s.l. s.d. (4) G. SOLDI RONDININI, Due lettere di Giovanni Manzini de Motta a Spinetta Malaspina, in «Libri e Documenti», III/2 (1977), pp. 31- 38. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 324

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pe Mainardi, di Cremona, non abbia avuto la possibilità di portare a termine la sua ricerca durata tanti anni, poiché questa certamente avrebbe recato un contribu- to determinante alla conoscenza dell’umanista di Fivizzano (5).

«... È difficile ... - scrive Eugenio Garin, - ... in un preambolo alla storia dell’Umanesimo lombar- do non connettere ai nomi celebri del Salutati, e poi del Loschi, quello di un oscuro, anche se non trascurabile scrittore: appunto quel Giovanni di Paoluccio Manzini della Motta da Fivizza- no, che dopo aver studiato grammatica in Sarzana, eppoi lettere e diritto in Bologna, amò al- ternare le armi agli studi, e fu precettore in Pavia del figlio del Capelli, Melchiorre ....» (6).

«... Iohannes mihi nomen est; ortum traho de macra quadam & montana provinciola, quam Lunisanam vocitant ab urbe Luna, olim maris in littore, iuxta montem Cornum, ad modum Lunae cornuum interjecta, longissimis diruta temporibus, nominata, cujus iterum est inane nomen & modicae reliquiae, quam interlabitur Macre amnis ...» «... Mi chiamo Giovanni, traggo origine da una piccola provincia stretta e montuosa, che chia- mano Lunigiana dalla città di Luna, un tempo in riva al mare, vicino al monte Corno, formata a falce di luna, in rovina da lunghissimo tempo, famosa, della quale ora rimane un nome vuoto, e scarse reliquie, il fiume Magra le scorre accanto ...» (7).

Riportata la definizione trecentesca di Lunigiana data da Giovanni Manzini, è opportuno associare a Dante il nome di questo Giovanni, giovane umanista di Fivizzano, ma non solo perché vissuti nello stesso secolo.

Inedito certo, e forse anche sorprendente, potrà pertanto risultare l’accosta- mento discreto e rispettoso tra Dante e Giovanni Manzini, limitando l’accosta- mento stesso, per quanto riguarda Dante, all’elogio che il Poeta fa dei «…pae- si… palesi …» di Lunigiana, e per quanto riguarda Manzini, riferendo di una sua meravigliosa sintesi filosofica e letteraria dell’Inferno dantesco. Quale omaggio più consono, infatti, potrebbe offrire a Dante - già esule in ter- ra di Luni - la Lunigiana odierna per contraccambiare la ‘fama’ che Dante ha dato a questo nostro territorio con pochi versi del Canto VIII del Purgatorio, se non evidenziando a stampa, allo scopo di divulgarne, nel senso più nobile della

(5) «... Anzi tutto mi giovano i consigli di Giuseppe Mainardi, che attende a stabilire il testo e a comporre il commento delle lettere del Manzini ...»: G. BILLANOVICH, Terenzio, Ildemaro, Petrarca cit., p. 30; «... ad una nuova edizione delle epistole del Manzini sta lavorando Giuseppe Mainardi...»: C. VASOLI, Giovanni Manzini da Fivizzano cit., p. 11; «... Mi guida qui generosamente Giuseppe Mainardi: che da tempo, da troppo tempo, attende a assestare la biografia del Manzini e a prepa- rarne l’edizione dell’epistolario ...»: G. BILLANOVICH, Nella tradizione dei “Commentarii” di Cesa- re. Roma, Petrarca, i Visconti, in «Studi Petrarcheschi», n.s. VII (1990), p. 307; «...Giuseppe Mai- nardi, che da tempo attende a presentare la figura e le opere di Giovanni Manzini ...»: ID., Petrarca e il Primo Umanesimo, Padova, Antenore, 1996, p. 448. (6) E. GARIN, La cultura milanese nella prima metà del XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 547- 556. (7) Giovanni Manzini di Fivizzano, secolo XIV, in S.J. P. LAZZARI, Miscellaneorum ex mss. li- bris cit. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 325

GIOVANNI MANZINI DI FIVIZZANO E L’INFERNO DI DANTE. LA PIÙ ANTICA TESTIMONIANZA SCRITTA 325 DI UNA CONSAPEVOLEZZA DANTESCA IN LUNIGIANA?

parola, la superiore bellezza di un brano relativo all’Inferno contenuto in una lettera scritta da Giovanni Manzini allo zio materno Bartolomeo Oradini? La Lunigiana si è territorialmente ristretta, e non è più quella «… piccola provincia stretta e montuosa …» descritta dal trecentesco umanista fivizzanese. Ciò che resta della Lunigiana antica, è questa ‘Lunigiana’ di oggi (alias Val di Magra), e cioè una Lunigiana privata perfino della sua Capitale spirituale, Sarzana. Non ci sono dubbi: il turismo colto avanza e invade (fortunatamente) i nostri «… paesi … palesi …». Nonostante le intense attività culturali delle Associazioni di Val di Magra, la Lunigiana odierna è un territorio culturalmente ‘sfinito’ a livello di ‘anime’ (e non certo di studiosi di storia e di letteratura patria), un territorio prossimo a un oblio irreversibile, da molti sofferto e subìto amarissimamente.

A Firenze la Lunigiana ha dato molto nel corso dei secoli, anche se a Firenze questo ‘molto’ si ‘ignora’ per amnesia congenita (i ‘reggitori’ Regionali sono lon- tani, tanto lontani che più lontano non c’è), e nel Territorio lunigianese viene col- tivata e cresce rigogliosa l’imperdonabile mancanza del senso dell’identità e del sentimento dell’appartenenza, per ignoranza dei ‘reggitori’ Provinciali e Comuna- li, e questi ultimi sia come singoli, sia come ‘riassunti’ nella Comunità Montana.

L’elogio, e l’omaggio, che Dante, tramite ‘l’anima’ di Corrado Malaspina di Vil- lafranca, rivolge alla Casa Malaspina «… La fama che la vostra casa onora, / grida i segnori e grida la contrada…», gli sono – nello stesso secolo – contraccambiati con discrezione da Giovanni Manzini, mediante la sua ‘sintesi’ sublime dell’In- ferno, descrizione di tale efficacia rappresentativa che non sarebbe potuta deri- vare al Manzini se non da una profonda e sofferta conoscenza della Commedia. Di Giovanni Manzini non si è fatta mai menzione parlando (e straparlando) di Dante in Lunigiana, e neppure dai professoroni del Comitato delle Celebrazioni Dantesche di Sarzana del 1906 (8). Ecco, allora, che questa terra asprita di Lunigiana risulta in grado di contrac- cambiare oggi l’elogio ricevuto, con la passione che vibra sofferta nell’epistola stessa di un suo giovane studioso trecentesco (9).

«... O misera hominis peregrinatio super humum, in qua non sunt nisi calles pleni vepri- bus et inter dumos latente angues et aspides virulente ... unde Aldigerius Dantes, fingens se descendere ad infernum set tipice huius vitae flagella scripturus, exorditur perproprie: per me vaditur ad dolores numquam perpetuo desinentes, per me vaditur deperditas inter gen-

(8) Sulle celebrazioni sarzanesi del 1906, vd. Carteggio del Comitato per le Celebrazioni Dan- tesche di Sarzana del 1906, 1306-2006, a cura di L. J. BONONI, Genova, Comune di Sarzana, 2006. (9) Epistola di Giovanni di Paoluccio Manzini a Bartolomeo Oradini da Carrara, ‘zio veneran- do e carissimo’. L’epistola non è datata, ma è riferibile al 1387-1388. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 326

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tes. Ubi postquam descendisset lacrimas percipiebat luctus, suspiria, gemitus et altissimos vocum ululantium stridores, planctus horribiles et parabolas dolorosas et manuum ad in- vicem conpulsantium complosuras ...». «…O misero pellegrinaggio dell’uomo sulla terra, nella quale non vi sono se non sentieri pieni di spini e tra le macchie si celano serpi e velenosi aspidi: a destra e a sinistra ci sovrastano pre- cipizi di eccelse rupi, flagellate dai flutti di un profondissimo mare in tempesta. Certamente non siamo se non fumo e non fumo d’incenso, non di cinnamomo, ma di stoma- chevole zolfo e fetido letamaio; siamo come un piccolo fuoco, non di robusta quercia, ma di fievole stoppa; siamo come un sogno, ma un sogno pieno di terrori e di ingannevoli giochi di spettri sbeffeggianti. Niente, infine, è questa vita se non un’aia nella quale ogni giorno trituriamo spighe senza peso e senza frutto, nella quale dopo esserci denudati per il caldo dell’estate, siamo flagellati dallo scroscio di grandine e di pioggia che un terribile temporale ha addensato in terrificanti nubi. Onde, Dante Alighieri, immaginando di discendere all’inferno, ma in realtà descrivendo per me- tafora i tormenti di questa vita, esordisce in modo estremamente appropriato: ‘Per me si va nella città ricolma di dolore, per me si va nel dolore che non ha fine, per me si va tra la perduta gente’. Dove, dopo esservi disceso, tra le lacrime percepiva sofferenze, sospiri, gemiti e altissimi stri- dori di voci ululanti, orribili pianti e dolorosi racconti, e battiti di mani che esplodevano alter- nativamente…»

«… Potrebbe trattarsi della più antica testimonianza scritta di una consapevolezza dantesca in Lunigiana. Manzini aveva studiato a Sarzana, e a Bologna. A Sarzana la storia di Dante si sa, e a Bologna il poema dantesco era così conosciuto che molti notai, al tempo suo, riportavano brani della Com- media nei loro atti. Manzini fu anche a Verona, e in questa città la fama di Dante era tale che Pie- tro Alighieri era stato invitato a leggere in piazza canti della Commedia…» (10).

Esiste un’affinità, tra il rispetto di Dante per la consorteria dei Malaspina, em- blematizzata in Corrado di Villafranca, e il rispetto di Giovanni Manzini per la stes- sa consorteria emblematizzata in Federico di Villafranca (11).

«…Valoroso giovane - scrive Giovanni Manzini a Federico Malaspina di Villafranca - tu sai che i miei maggiori ebbero sempre la tua Casa quale loro Regina e Signora. Così è per me nei con- fronti di tuo padre, dei tuoi fratelli e tuoi, e questo sarà finché avrò vita, sempre…»

In questa epistola latina a Federico di Villafranca, Manzini «… dimostra un reale sentimento di commozione e di sdegno per la drammatica condizione del- la Christianitas lacerata e divisa dal dramma dello ‘scisma’, per la degenerazio- ne dei Christicolae che hanno insozzato la sposa di Cristo con i loro crimini, ra- pine, ambizioni, simonie, superstizioni e delitti di ogni genere. Imprecando contro quei falsi cristiani che non hanno più alcuna fede, ma portano finte vesti di pastori

(10) L.J. BONONI, La ‘presenza’ di Dante nella biblioteca di Castiglione del Terziere, Castiglione del Terziere, Centro di Studi Umanistici, dicembre 1996. (11) Cod. Vat. Lat. 11507, cc. 23v - 24 r, in S.J. P. LAZZARI, Miscellaneorum cit., pp. 180-184. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 327

GIOVANNI MANZINI DI FIVIZZANO E L’INFERNO DI DANTE. LA PIÙ ANTICA TESTIMONIANZA SCRITTA 327 DI UNA CONSAPEVOLEZZA DANTESCA IN LUNIGIANA?

per coprire i loro cuori e opere di crudeles vespertiliones, Giovanni invoca che tutte le nationes tornino ad unirsi sotto la santa guida di Papa Urbano, il vicario di Cristo che ha percorso un doloroso calvario, ma che adesso, alla fine della sua vita, attende finalmente la grande ricompensa dell’unità…» (12). Della presenza di Dante a Sarzana in occasione della pace di Castelnuovo Ma- gra del 1306 non si trova traccia negli storici sarzanesi più noti. Ippolito Landinelli, tuttavia, nella sua Storia di Sarzana (1602) dove tratta della «Divisione de Baroni Malaspini…» riferisce dell’incontro (Purgatorio, VIII) di Dante con Corrado di Villafranca, e lo fa in modo da farci intendere che Dante, nel suo esilio in Lunigiana, trovò rifugio presso lo stesso Corrado di Villa- franca («…Corrado figlio di Guglielmo a cui nel suo esilio si ridusse l’Eccellen- tissimo Poeta Dante…»), dichiarazione errata perché la morte di Corrado ‘il gio- vane’ risale al 1294, mentre il soggiorno in Lunigiana di Dante sembra essere documentato nel 1306. Ma forse il Landinelli, ricordando Corrado, intendeva sem- plicemente affermare che proprio a «…nel suo esilio si ridusse l’Eccellentissimo Poeta Dante…»

E ancora Landinelli: «…Questo ramo [dei Malaspina] di Mulazzo e Villafranca che possiede nelle prime divisioni tutta la valle [di Magra] con le sue Castella numerosissime di qua e là della Magra, compreso il Monte apenino e da Pontremoli fino all’Aulla ebbe parte nel Regno di Sardegna, ed ora è ridot- to quasi al niente. Di questo [ramo] fu quel Corrado figlio di Guglielmo a cui nel suo esilio si ridusse l’Eccellentis- simo Poeta Dante, ove diede principio alla sua singolare Commedia, e di Corrado fa egli men- zione all’ottavo Canto del suo Purgatorio, ove finge averlo trovato, e loda molto questa Casa, e quel Cavagliero di liberalità con l’infrascritte parole …

Chiamato fui Corrado Malaspina Non son l’antico, ma da lui discesi A miei portai l’amor che qui rafina …» (13).

«…Si è a lungo disputato chi fossero i Malaspina che ospitarono Dante…», scrive Adolfo Bar- toli, «…e il dubbio si aggira specialmente su Moroello, perché tre di questo nome si hanno con- temporanei, il Marchese di Villafranca, il Marchese di Giovagallo e il Marchese di … Al soggiorno del Poeta presso Moroello Malaspina si connette quel curioso racconto del Boccac- cio dei primi sette canti dell’Inferno, ritrovati e mandati al Marchese perché li desse a Dante: racconto al quale veramente sembra difficile prestar piena fede. Quanto tempo si trattenesse l’Alighieri in Lunigiana non sappiamo … Confessiamo dunque che non ne sappiamo niente; e che non sappiamo neppure quanto durasse il soggiorno di Dan- te presso i discendenti di Corrado Malaspina [l’antico]…» (14).

(12) C. VASOLI, Giovanni Manzini da Fivizzano, cit., p. 35. (13) Storia d’Ippolito Landinelli Nobile Sarzanese … divisa in due trattati, ms. della Bi- blioteca di Castiglione del Terziere. (14) A. BARTOLI, Della vita di Dante Alighieri, in Storia della Letteratura Italiana, t. V, pp. 186- 187, Firenze 1884. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 328

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Come si vede, Adolfo Bartoli, nella sua cruda concretezza, distingue addirit- tura fra «…quanto tempo…» Dante si sia trattenuto in Lunigiana, e «…quanto du- rasse il soggiorno di Dante presso i discendenti di Corrado Malaspina…», ipotiz- zando in tal modo che il soggiorno di Dante in Lunigiana potrebbe essersi protratto anche al di fuori dell’ospitalità malaspiniana.

«…chi fossero i Malaspina che ospitarono Dante…» «…Noi non entreremo qui nell’arruffata que- stione, la quale in fin dei conti, non ha stretta relazione colla vita di Dante…» (e in nota) «…Si può consultare Maccioni … Litta … Gerini … Fraticelli … Branchi, Sopra alcuni particolari del- la vita di D., Firenze 1865. Ma dopo la più attenta lettura di questi e d’altri libri, la questione re- sta insoluta, perché non è ancora stata fatta, e forse non si potrà far mai, una storia documenta- ta dei Malaspina.»

Moroello Malaspina. Quale? Il «…Marchese di Villafranca …[il] Marchese di Giovagallo … [il] Marchese di Bobbio…»?

«…Sull’identità del personaggio si è discusso: se si tratti del giovane Morello marchese di Vil- lafranca, cugino di quel Franceschino di Mulazzo, del quale Dante fu procuratore nella contesa con il vescovo di Luni il 6 ottobre 1306, oppure di Morello di Manfredi marchese di Giovagallo, sposo della “buona” Alagia Fieschi … Ma il … riferimento dantesco di Vanni Fucci, l’elogio di Alagia e i due documenti della procura a Dante per la stipula della pace e dell’atto della pace stes- sa confermano che il Morello, rappresentato da Dante, è il marchese di Giovagallo. I versi con i quali nel Purgatorio Adriano V celebra le virtù di Alagia, … sembrano aggiunti allo scopo di rendere omaggio a Morello, il che confermerebbe il particolare debito di gratitudine del poeta verso il suo protettore…»

Queste dichiarazioni di Pompeo Giannantonio sembra possano chiudere la dibattuta questione in favore di Giovagallo e contro Villafranca.

E a proposito di omonimie, risulterà probabilmente superfluo sottolineare che non si deve confondere Corrado ‘il giovane’ che Dante incontra nel Purgatorio (Canto VIII) («…non son l’antico ma di lui discesi…»), già morto nel 1294, con il Corradino del ramo dei marchesi di Giovagallo. Quest’ultimo è quel Corradino che insieme al proprio congiunto Moroello e a Franceschino di Mulazzo, nomina Dan- te Alighieri loro procuratore «…per dirimere annose questioni di diritti, vantati sui castelli lunigianesi (Sarzana, Carrara, Santo Stefano, Bolano), con il vescovo di Luni Antonio da Camilla…» (15).

«…All’inizio del Trecento Moroello sembra preferire una residenza in Virgoletta, sul lato sini- stro del fiume, non lontano da Villafranca. I nipoti suoi e di Alagia prenderanno il titolo, appun- to, di marchesi di Virgoletta. Villafranca, su cui i signori conservavano alcuni diritti, rimase il punto di raccolta delle famiglie nei momenti solenni, il fulcro della casata…» [anziché in Gio- vagallo] (16).

(15) P. GIANNANTONIO, Dante e la Lunigiana, in Dante e le città dell’esilio, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Ravenna, 11-13 settembre 1987), Ravenna 1989, pp. 39- 40. (16) E. M. Vecchi, Alagia Fieschi Marchesa Malaspina. Una domina di Lunigiana nell’età di Dan- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 329

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La situazione politica in Lunigiana La stessa situazione viene illustrata egregiamente da Gioacchino Volpe, e chia- ramente riassunta da Eliana Vecchi.

(Gioacchino Volpe:) «…Questi marchesi Malaspina riescono assai infesti alla Chiesa lunense, negli anni che corrono [seconda metà del Duecento]. A dire il vero, essi ed i Vescovi non ave- vano mai cessato di punzecchiarsi durante tutto il ‘200, specialmente là dove i loro diritti o le loro cupidigie s’incontravano. Vi sono Statuti di castelli vescovili ove si fa divieto agli abitatori di frequentar terre di Marchesi, di bazzicare e trattare coi Marchesi o con loro nunzi, di tenere feudi che da essi fossero loro stati concessi. Ma ora, questi signori secolari par che vagheggino vasti piani di espansione su la Lunigiana vescovile, su le terre dove già avevano imperato i loro avi prima del crescere dei Vescovi … Il mezzo di cui si servono [i Malaspina] è di comprare da vassalli del Vescovo terre e giurisdizioni che questi hanno in feudo dalla Chiesa lunense e ac- quistarsi partigiani fra tutti quelli cui pesava il duro governo del vescovo Enrico. Di fronte a costui, essi affermano il pieno diritto di quei vassalli sulle cose vendute, la loro piena libertà di disporne … Naturalmente, così procedendo, la guerra aperta era inevitabile. E guerra fierissi- ma si combatte attorno al 1280-81 fra Enrico vescovo da una parte, Moroello e Alberto e nipoti Malaspina dall’altra. Il castello e il borgo di Sarzana, il borgo di Serravalle, sorto in mezzo ad Or- tonovo e Nicola, i castelli di S. Maurizio, di Brina, di Bolano, di Albiano, di Soliera, di Moncico- lo, di Collecchio, di Ciserano, di Stadano, di Regnano, di Montebello, di Pulica, i borghi di San- to Stefano e Cepparana, le molte ville poste nelle pertinenze di quei castelli, con i fortilizi ed i palazzi, con le case e terre e chiese, tutto cade nelle mani dei Marchesi, dopo assedi, incendi, saccheggi, cattura scambievole di uomini, interdetti e scomuniche. Sarzana, il centro, già cupi- damente adocchiata da Morello e consorti dové esser la prima a cadere, essa che era anche agitata da discordie interne, forse tra partigiani del Vescovo e partigiani del Marchese. … Morto Enrico, fra il 1295 e il 1296, ogni anno che passa è peggiore del precedente per la signoria dei Vescovi e per la indipendenza delle loro terre… …tutta la feudalità grande e piccola di Lunigiana, cominciando dai soliti Moroello, Alberto, Opiz- zone, Franceschino Malaspina e consorti e figli; e poi i Bianchi, i signori di Gragnana, di Vezza- no, di Trebbiano, di Falcinello, di Fosdinovo … Tutti hanno qualche ambizione da realizzare nel territorio lunense ed a spese della Chiesa lunense, qualche strada da dominare senza concor- renti, qualche castello o qualche possesso enfiteutico che sono da affrancare da ogni legame col vescovado. La natura e la storia avevan fatto di quel paese, specialmente nella parte dove più si- gnoreggiava il Vescovo, il punto d’incontro di mille interessi di gente estranea … Di fronte a tanta rovina, il vescovo Antonio da Camilla … promosso l’8 maggio 1297 (sic) alla se- dia vescovile di Luni, ricorse a Papa Bonifacio VIII… L’alba del 1300 … vede nuova guerra fra Vescovo e Marchesi, la guerra che l’Alighieri conob- be, quando, intento alle cose di Firenze perché fiducioso ancora di ritornarvi, si indugiava per la contrada [di Lunigiana] avanti di passare l’Appennino e bussar alla porta degli Scaligeri ospi- tali…»

Così, Gioacchino Volpe, che evidentemente propende a credere che Dante sia stato prima ospite dei Malaspina e solo dopo degli Scaligeri (17).

te, F.I.D.A.P.A. Sezione di Lunigiana - Sezione di Massa Carrara, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2003, p. 30. (17) G. VOLPE, Lunigiana Medievale. Storia di Vescovi signori, di istituti comunali, di rap- porti tra Stato e Chiesa nelle città italiane. Secoli XI – XV, Firenze, La Voce, 1923, p. 245 e segg. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 330

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Eliana Vecchi «…Da venticinque anni la consorteria dello Spino secco aveva messo sotto pressione alcuni stra- tegici territori vescovili, soprattutto quelli nei quali i due poteri [marchionale malaspiniano e co- mitale vescovile] avevano condominio, e ne era seguita una serie di incendi, omicidi, ingiurie, oltre l’occupazione di Sarzana, S. Stefano, Ceparana, dei castelli della Brina, Albiano e Stadano, per citare i principali. Il dominio comitale vescovile era stato colpito al cuore e la famiglia [Ma- laspina] di Giovagallo infieriva in prima linea. Dopo la morte del padre Manfredi, Morello aveva assunto il sostegno delle imprese, anche con anticipi in denaro ai consorti. Al battagliero vescovo Enrico era succeduto Antonio di Nuvolone de Camilla, di origine geno- vese, cugino di Alagia, essendo figlio di Caracosa Fieschi. Con Luca Fieschi aveva condiviso un canonicato francese, era inoltre imparentato con i signori di Olivola ed era perciò nella mi- gliore disposizione per arrivare a cicatrizzare i rapporti di dominio con i Malaspina. Bisogna- va, perciò, decidersi infine ad una pace, non disastrosa, che sarebbe stata un humus fruttifero nel terreno politico guelfo della Toscana e nei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche. Che fosse stato intenzionalmente chiamato dai Malaspina per la bisogna o che, più probabil- mente, la venuta di Dante, con la sua fama di negoziatore e la sua cultura, offrisse una brillante occasione di un procuratore di rango per gli affari malaspiniani, mentre la situazione politica e diplomatica si andava dipanando in Lunigiana e altrove, non è possibile dirlo. Allora, come oggi, quando si andava alla firma di un accordo di pace, molto era già stato stabi- lito, bisognava però vigilare, ché non vi fossero rimescolamenti nelle carte nell’ultimo minuto … Dante … era munito di una procura rilasciata … in Sarzana da Franceschino di Mulazzo, an- che nell’interesse dei consorti di Villafranca. La presenza fra i testi di Mazzingo da Prato, un giu- risperito che sarà consulente anche di Alagia durante la sua vedovanza, ci rassicura che il no- stro Morello [di Giovagallo] era compartecipe dell’iniziativa, ma probabilmente impegnato negli affari pistoiesi. Dante, come procuratore che impegnava tutta la sua credibilità, doveva fargli ra- tificare il trattato in un secondo momento … [Nell’atto o instrumentum] Il notaio rogatore … affermava chiaramente … che il vescovo aveva accolto la mediazione condotta da due france- scani, Guglielmo Malaspina (della famiglia del ramo di Villafranca) e Guglielmo da Godano. Fra- te Guglielmo era fratello del Corrado il giovane, protagonista del noto episodio del Purgatorio (VIII, 112-139), in cui si esalta la liberalità malaspiniana…» (18).

«…Il de Camilla, figlio di Nuvollone e di Caracosa (Fieschi) era dei signori di Pastorana e pa- rente coi Malaspina … Essendo [Antonio da Camilla] pure canonico della cattedrale di Bajeux in Francia insieme col cugino Luca Fieschi, il futuro cardinale di S. Maria in via Lata, veniva pre- scelto a reggere la chiesa di Luni, rinunciata dall’antecessore Enrico da Fucecchio, con bolla di Bonifazio VIII dell’8 marzo 1297 (sic)…» (19).

Alessandro Discalzi, nelle sue Memorie Storiche delle Due città Luni e Sar- zana…(1758) non tratta della presenza di Dante a Sarzana e in altri «…paesi…» di Val di Magra, ma ci offre - cosa di notevole importanza - una rappresentazione della grave situazione conflittuale esistente tra i Sarzanesi e il vescovo Antonio da Camilla, situazione certamente patognomica, ma limitata alle discordie citta- dine, e muta, invece, al riguardo delle discordie permanenti e violente tra sudditi

(18) E. M. VECCHI, Alagia Fieschi Marchesa Malaspina cit., pp. 47- 49. (19) A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, I, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria»,. XXXI/ I (1901), p. XXXII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 331

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del vescovo-conte e sudditi dei feudi malaspiniani.

«…L’Anno 1294: morì il Vescovo Enrico, allora li Sarzanesi uniti con li Malaspina, e con li Nobi- li di Vezzano occuparono di nuovo la Dogana del Sale, et il Castello d’Ameglia, e gionto in Sar- zana il nuovo Vescovo Antonio Camilla, già Canonico Baionense, non lo volevano riconoscere per Principe nel Temporale, ed egli perciò ricorse dal Pontefice Bonifazio VIII [lo stesso che Dan- te esecrava, e che fu tra le cause determinanti la sua cacciata da Firenze], dal quale fu commes- sa la causa a Guidoco da Milano, Arcidiacono di Bergamo, e suo Capellano, quale sentenziò con- tro li Sarzanesi, li condannò a dover restituire al Vescovo la Gabella et il Castello d’Ameglia che gli avevano tolto, et in appresso esso Pontefice minacciò la scomunica a Lucchesi, Modenesi, Parmigiani, e Malaspini, se pur prestavano aiuto alli Sarzanesi contro lo stesso Vescovo; le qua- li cose successe[ro] nelli Anni 1296 e 1297. … Cominciò allora il Vescovo a procedere rigorosa- mente contro li Sarzanesi, e perciò congregato essi il pubblico Parlamento elessero due iudici … acciò essi dovessero oponere, e pretendere di nullità alla detta sentenza, e a termine tal ri- dussero il Vescovo, che poco, o niuno guadagno egli vi fece, poi morì l’anno 1312 …» (20).

E ancora, interessante per altro verso:

«…Cap. XXXI. Circa la fine del suddetto secolo decimo terzo seguì in Sarzana un gran incen- dio imperocché accesosi fuochi (come tengono per antica tradizione la vigilia della Santissima Trinità)…», l’incendio che divampò infrenabile minacciò di distruggere perfino la reliquia del Preziosissimo Sangue. Del fatto dà testimonianza anche Giacomo Leoni nel suo Le Glorie di Lu- nigiana (21). I maligni vollero che si trattasse di incendio doloso contro i soprusi del ve- scovo da Camilla.

Non sono stato fortunato nel rintracciare consapevolezze dantesche negli scritti dell’umanista sarzanese Antonio Ivani, che - sensibilissimo agli accadimenti della sua Terra - fu l’umanista che forse per primo in Lunigiana non solo avvertì l’importanza rivoluzionaria dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, ma ne dette rigogliosa notizia: ‘...accepi, modico precio plura volumina...’

«...Germani homines, qui non calamo, sed formis miro quodam ingenio librorum volumi- na componere didicerunt, favere videntur opinioni meae, si opinio potius quam veritas est. Ut enim accepi, modico precio plura volumina et quidem optima emi possunt, qui qui- dem librarii cum Romae degant et officinam suam voluminibus refertam habeant, facile po- test praestantia tua utile hoc et laudabile opus expedire...» (22).

«...I Tedeschi, che hanno imparato a comporre volumi di libri non con la penna, ma con carat- teri di straordinario ingegno, consentono sicuramente con la mia opinione, se si può dire opi- nione, più che verità. Come infatti ho saputo, si possono comprare a poco prezzo molti e otti-

(20) A. DISCALZI, Memorie Storiche delle due Città Luni, e Sarzana…, 1758, ms. della Biblio- teca di Castiglione del Terziere, p. 102. (21) A. DISCALZI, op. cit., p. 129. (22) G. A BUSSI, Prefazioni alle Edizioni di Sweynheym e Pannartz Prototipografi Romani, a cura di M. MIGLIO, Milano, Edizioni Il Polifilo, 1978, pp. LVII, XXVII, XXVIII. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 332

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mi volumi. Poiché dunque i librai che vivono a Roma hanno la loro bottega piena di volumi, fa- cilmente la tua eccellenza potrebbe procacciarmi questa utile e lodevole opera...» Anche Jacopo da Fivizzano, nel colophon delle Satire di Giovenale (1471): «... ringrazia il Signore, se cerchi dei libri, specie se sei povero ...»

«... Solve preces, solve quicunque volumina cernis maxime qui pauper porrige vota Deo ...»

Insomma (certo, il tempo e gli uomini sono insuperabili se si tratta di pro- durre rovina, e questo, ricercando testimonianze antiche, bisogna metterlo in con- to), insomma: senza la scoperta dei ‘documenti danteschi’ del notaio sarzanese Giovanni di Parente di Stupio, avvenuta casualmente, la presenza di Dante in Lunigiana potrebbe essere soltanto ipotizzata sulla base dei tanti riferimenti alla Lunigiana (storica) che si ritrovano nella Commedia, egregiamente rivisitati e commentati in Dante e la Lunigiana da Pompeo Giannantonio (23), e in Dante, Carrara e Val di Magra da Beniamino Gemignani (24).

Dove, e per quanto tempo, l’esule Dante abbia trovato asilo in uno o più «…pae- si…» malaspiniani di Lunigiana - lo si è già detto - non si conosce su base docu- mentaria, e accenna al solo ‘dove’ la tradizione orale che a Mulazzo identifica in un antico edificio la casa che sarebbe stata abitata dal Poeta durante il suo sog- giorno da ospite di Franceschino Malaspina di Mulazzo.

E neppure si conosce il tragitto lungo il quale Dante sia giunto in Lunigiana. L’ipotesi della via Romea, o Francigena, risultando consunta e, nel caso di Dan- te, priva di riscontri. Risulterebbe, invece, circostanziata da certi riscontri, ancorché non esplici- ti, la venuta di Dante in Lunigiana attraverso la strada che da Reggio Emilia con- duce a Fivizzano, e da qui in qualsiasi parte della Lunigiana. La Pietra di Bisman- tova ricordata da Dante (Purgatorio, IV), potrebbe, intanto, suggerire questa ipotesi. Un sostenitore autorevole del tragitto di Dante sul passo del Cerreto è il Bas- sermann:

«…strada maestra che da Reggio, Mantova e Verona conduce in Lunigiana … Qui può anche ricor- darsi che sulla medesima via sorge Bismantova, dinnanzi a cui Dante è certamente passato…» (25).

Bassermann evidentemente non conosceva l’esistenza, altrimenti ne avrebbe fatta menzione, di una tradizione che ancora oggi afferma decisamente il soggiorno

(23) P. GIANNANTONIO, Dante e la Lunigiana cit. (24) B. GEMIGNANI, Dante, Carrara e Val di Magra. I riferimenti al territorio nelle opere del Poeta, Carrara, Società Editrice Apuana, 2005. (25) A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, trad. di E. Gorra, Bologna, Nicola Zanichelli, 19022, p. 641. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 333

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di Dante nella casa torre dei signori Muzzini a Burano nei pressi di Castelnuovo ne’ Monti.

«…Natalizia Brigida Montruccoli, coniugata con Daniele Muzzini di Battista dal 1884, raccon- tava alla nipote Luciana che un tempo una lapide nella torre ricordava il soggiorno di Dante Alighieri, ospite del luogo. È inevitabile collegare la notizia con il verso su Bismantova del quar- to canto del Purgatorio [«…montasi su in Bismantova e in Caccume…»]. Il grande poeta si sa- rebbe, dunque, fermato a Burano. Ma la lapide non c’è più. Il prezioso cimelio sarebbe stato ven- duto a un antiquario di passaggio. Con esso sarebbero andati perduti i due endecasillabi ‘danteschi’ che vi erano incisi. Luciana Muzzini li ricorda bene a memoria, appresi dalla nonna. Ciò farebbe supporre che la scomparsa dell’iscrizione non fosse remota rispetto al tempo in cui visse Nata- lizia, che con il marito abitò in un primo tempo a Burano. I versi erano i seguenti:

‘Fermati o passeger: contempla e mira, ché stella di fortuna il mondo gira’

Pare che ci fosse proprio ‘stella’, non ‘ruota’. Il senso dei versi, comunque sia, risulta un po’am- biguo: allude all’ascesa, o alla decadenza della famiglia? Oppure la contemplazione dovrebbe essere rivolta a uno splendore presente, che il potere della sorte potrebbe distruggere?…» (26).

«…Le fonti (Benvenuto da Imola) e gli studi (Leone Tondelli) dicono che proprio nei mesi di set- tembre e ottobre 1306, Dante fu a Reggio [Emilia] ospite di Guido da Castello (‘il semplice lombardo’), della nobile famiglia dei Roberti; i documenti, d’altra parte, attestano la presenza di Dante in Lunigiana … il 6 ottobre 1306…» (27).

Ecco, ora, il testo di Benvenuto da Imola che si riferisce a Guido da Castello, e all’ospitalità da lui offerta in casa propria a Dante:

«…Guido da Castel, iste fuit de Regio Lombardiae, de Robertis, quorum tria erant membra, scilicet illi de Tripoli, illi de Castello, et illi de Furno. Ideo denominat ipsum a vocabulo spe- ciali, per quod erat notus; et ita publice vocabatur. Iste florebat in Regio tempore nostri poe- tae, cum civitas illa esset in magno flore et regeretur libere. Fuit autem vir prudens et rectus, sani consilii, amatus et honoratus, quia zelator erat reipublicae, et protector patriae, licet tunc alii essent potentiores in terra illa: fuit liberalis; cuius liberalitatem poeta noster ex- pertus est semel, receptus et honoratus ab eo in domo sua. Fuit etiam Guido pulcer inventor in rhythmo vulgari, ut pulcre apparet in quibusdam dictis eius; ideo in commendationem eius dicit: che me’ si noma, idest, qui Guido melius nominatur, francescamente il semplice lombardo. Hoc exponunt aliqui, quia de curialitate sua tanta fama crevit per Franciam, quod vocabatur simplex lombardus; sed istud est vanum dicere, immo debes scire, quod gallici vo- cant omnes italicos lombardos, et reputant eos valde astutos; ideo bene dicit, quod proprie vo- caretur gallice simplex lombardus…»

(26) M. T. CAGNI DI STEFANO, Frascaro e Virola. Una comunità contadina, Comune di Castel- nuovo ne’ Monti, Assessorato alla Cultura, s. l. s.d., pp. 306- 307. (27) C. SANTI, Il viaggio di Dante da Reggio a Luni, pieghevole, Comunità Montana dell’Ap- pennino Reggiano, settembre 2006. Non sono in grado di riferire sugli studi di Leone Tondelli, cita- to dall’Assessore alla Cultura della Comunità Montana di Castelnuovo ne’ Monti, prof.ssa Clementi- na Santi, a causa del fatto che l’Autrice del testo sopra ricordato non ha mai risposto alle mie lettere, e neppure alle sollecitazioni di alcuni Suoi concittadini, affinché mi desse informazioni in proposito. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 334

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«…cuius liberalitatem poeta noster expertus est semel, receptus et honoratus ab eo in domo sua…» «…ebbe modo di apprezzare la di lui liberalità il nostro poeta, una volta accolto e onorato in casa propria [da Guido da Castello]…»

Jacopo della Lana, nel suo commento alla Comedia, stampata a Venezia da Vindelino da Spira nel 1471, commento erroneamente attribuito a Benvenuto da Imola (28), scrive:

«…messer Guido da Castello da Regio il quale fu padre e conseruatore dogni nobilitade et sempre vedeua ogni buona persona che passasse perquel paese. Et per prerogativa desso par- lando francescamente che dice no ad ogni citramontano lombardo il simplice lombardo quasi unico in tale probitade…» (c. 170).

«…Guido da Castello, di quei Roberti di Reggio Emilia che erano stati già fautori della contes- sa Matelda, visse dal 1235 al 1315 mescolato alle gare di partito che gli costarono l’esilio, essendo stato cacciato da Reggio con la parte Ghibellina. Riparò a Verona, dove forse Dante che lo loda anche nel Convivio (IV, XVI), lo conobbe alla corte di Cangrande. Fu liberalissimo, affermano i commentatori, e l’Ottimo aggiunge: specialmente verso i Francesi, che ‘consumate le loro fa- cultadi, tornavano meno ad arnesi che a loro non si convenisse’; donde il nome di semplice Lom- bardo, alla francese, ossia in senso di italiano…» (29).

La lode che Dante rivolge a Guido da Castello gli dà occasione per asserire «…è falsissimo che questo vocabolo ‘nobile’ s’intenda ‘essere da molti nominato e conosciuto’, e dicono che viene da un verbo che sta per conoscere, cioè ‘nosco’. E questo è falsissimo, ché se ciò fosse … lo calzolaio da Parma, sarebbe più no- bile che alcuno suo cittadino; e Albuino della Scala sarebbe più nobile che Gui- do da Castello di Reggio … È però falsissimo che ‘nobile’ vegna da ‘cognoscere’, ma viene da ‘non vile’; onde ‘nobile’ è quasi ‘non vile’…» (Convivio, VI, XVI, 6, 7)

«…Guido da Castel che mei si noma, francescamente, il semplice lombardo…» (Purgatorio, XVI, 125, 126)

Guido dei Roberti da Castello ebbe grande fama di uomo liberale e di mece- nate nei confronti di gente meritevole d’aiuto (30).

«…Della nobile famiglia ghibellina dei Roberti di Reggio Emilia, fu uomo giusto e coraggioso, particolarmente attento ai doveri dell’ospitalità cortese, di che Dante ebbe a lodarlo nel Convi-

(28) Su Benvenuto da Imola, vd. F. QUARTIERI, Benvenuto da Imola. Un moderno antico com- mentatore di Dante, Ravenna, Longo Editore, 2001. (29) E. TRUCCHI, Esposizione della Divina Commedia di Dante Alighieri. Purgatorio, Mila- no, Stab. Tip. L. Toffaloni, 1936, vol. II, p. 287. In copertina il ritratto di Dante, xilografia di France- sco Gamba della Spezia. (30) B. DELMAY, I personaggi della Divina Commedia. Classificazione e regesto, Firenze, Ol- schki, 1986, p. 192. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 335

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vio (IV, 16, 6) … Più tardi, Guido dei Roberti da Castello sarebbe incorso nell’ostracismo dei con- cittadini guelfi, e sarebbe riparato a Verona nel 1318, dove Dante può averlo conosciuto…».

Non è da escludersi, tuttavia, che Dante abbia conosciuto il Roberti da Castello a Verona, ma se la fonte di Benvenuto da Imola può essere considerata veritiera, è a Reggio Emilia che Dante conobbe Guido, ospite in casa sua, e forse o imme- diatamente prima o proprio nel 1306 quando Dante si accingeva a raggiungere la Lunigiana attraverso (forse) il passo del Cerreto. Ecco, allora, che l’epigrafe scolpita nella lapide ora perduta, e prima posta sulla casa torre di Burano, poteva ben testimoniare una possibile sosta di Dante in quella casa.

Esiste, poi, una bellissima veduta del castello e del borgo di Verrucola di Fi- vizzano, litografia “Pubb.[licata] dal Prof. H. Topin” e stampata a Livorno, dove si legge: “Castello della Verrucola / Ove abitò Dante nella Lunigiana”, asserzione che ovviamente va intesa “Castello della Verrucola nella Lunigiana, ove ebbe oc- casione di sostare Dante”.

Aveva trattato l’argomento della «…strada maestra che da Reggio … condu- ce in Lunigiana…» Livio Galanti, che ipotizzava la venuta di Dante, proveniente probabilmente da Bologna, affermando che ci «…starebbe anche la conoscenza diretta che egli dimostra di aver avuto della famosa pietra di Bismantova: una conoscenza che gli potrebbe aver dato il viaggio da lui compiuto seguendo la stra- da, anche allora molto in uso, che da Reggio, passando per Castelnuovo nei Monti, Passo del Cerreto e Fivizzano, conduceva direttamente ad Aulla donde, con pochi chilometri della via Francigena, poteva raggiungere i feudi dei suoi ospi- ti in alta Val di Magra…» (31). Recentemente è intervenuto sull’argomento Rino Barbieri (32): «…Il passo dell’Ospedalaccio (per la presenza di un antichissimo ricovero-ospedale per i vian- danti) … nel 1306 quando Dante passò da questo passo per discendere al Castello della Verruco- la Bosi e per poi raggiungere … Mulazzo … Perché affermiamo che Dante è passato dall’Ospe- dalaccio? … perché era la via più breve che univa Verona alla Lunigiana … E il primo nucleo abitato che avrà trovato è Sassalbo … quello stesso paese a cui diresse - per pura tradizione popolare, le presenti parole:

‘Paese che vien notte avanti sera! Gente da bastro, da bastoni, da galera.’

«… Se certa è la data [se sembra certa] della presenza di Dante in Lunigiana, non altrettanto pre- cise sono le circostanze che determinarono la sua venuta tra noi … Primo rifugio Verona, dove la famiglia degli Scaligeri lo accoglierà onorevolmente. Fra gli Scaligeri ed i Malaspina esiste-

(31) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Mulazzo, Centro Dantesco della Biblio- teca Comunale, Pontremoli, Artigianelli, 1985, p. 62. (32) R. BARBIERI, Agnino. Il paese dai 18 campanili. Una comunità agricola e religiosa in Lunigiana, ms. presso l’A. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 336

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vano rapporti di parentela; frequenti erano pure i contatti di natura politica fra le due potenti fa- miglie ghibelline. È lecito quindi supporre che sulla base di questi rapporti abbia preso consi- stenza l’idea di un incarico di fiducia da affidare a Dante presso i Malaspina. Ai quali, d’altra par- te non era certo sconosciuto il nome di Dante, non soltanto come partecipe alla vita politica di Firenze ed alla posizione che in essa egli aveva assunto, ma anche, e forse più, per la fama cui egli era già salito come autorevole esponente di quel gruppo di iniziatori di una nuova scuola poetica le cui voci erano ben note presso le corti malaspiniane e segnatamente presso quella di Franceschino di Mulazzo per la protezione da lui accordata ai poeti esuli di Provenza e di Toscana …» (33).

A proposito di ‘protezione’ accordata ai poeti esuli, interessante e stimolan- te risulta il lavoro di Gilda Caiti Russo:

«…Scarsi sono … gli approcci al mecenatismo malaspiniano che non si esauriscano nel com- mento dantesco e nella celebrazione del suo mito … Ho cercato quindi altrove di accorpare i materiali utili alla definizione del mecenatismo malaspiniano nell’edizione critica dei 36 testi trobadorici che presentano allusioni o dediche ai Malaspina…» (34).

Anche Nunzio Vaccalluzzo aveva espresso una valutazione simile a quella sopra ricordata di Vincenzo Da Milano:

«…Perduta … la speranza di rientrare in patria, l’Esule bussò alla porta de’ potenti per cercar- vi una onorata ospitalità; e il ‘primo rifugio’ fu Verona, alla Corte degli Scaligeri … [ma] dovrà parer duro a lui, ex Priore d’un Comune repubblicano, viver la vita di Corte … e quella vita di Corte celebrerà in versi non meno generosi anche in onore de’ marchesi Malaspina di Lunigia- na, antico ospizio di poeti e secondo rifugio dell’Esule, che per legittimo patrocinio si fa tra’ Ma- laspina e il vescovo di Luni miglior paciaro che non fossero i messi papali a Firenze …» (35).

La questione, in fine, dell’incarico dato a Dante dai Malaspina resta ancora oggi irrisolta. Dante si trovava in Lunigiana, e la Lunigiana aveva già ospitato altri esuli fiorentini. Dante era ospite dei Malaspina, e la ‘cortesia’ delle Corti Malaspiniane era ben nota fin dai tempi di Alberto, poeta provenzale di non trascurabile rilievo. Dante stesso dà una sua straordinaria testimonianza della «…fama che la vostra casa onora…»

(33) V. DA MILANO, Dante in Lunigiana, Sarzana, Canale, 1966, p. 14. (34) G. CAITI RUSSO, La corte malaspiniana e i suoi cantori: dal mito dantesco alla storia di uno spazio ‘cortese’, in Pier Delle Vigne in Catene. Da Borgo San Donnino alla Lunigiana Me- dievale, Itinerario alla ricerca dell’identità storica, economica e culturale di un territorio, Atti del Convegno itinerante, Sarzana, Grafiche Lunensi, 2006, p. 67. L’A. si riferisce al suo Les troba- dours et la cour des Malaspina, Università Paul-Valéry Montpellier III, coll. Lo gat ros, Montpel- lier [2005]. (35) N.VACCALUZZO, Dante Esule, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1922, pp. 37- 38. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 337

GIOVANNI MANZINI DI FIVIZZANO E L’INFERNO DI DANTE. LA PIÙ ANTICA TESTIMONIANZA SCRITTA 337 DI UNA CONSAPEVOLEZZA DANTESCA IN LUNIGIANA?

In Val di Magra, «…li vostri paesi …» (‘palesi’ in tutta Europa) erano i tanti feu- di Malaspiniani, e in particolare, per Dante, Villafranca, Mulazzo, Giovagallo.

Livio Galanti avrebbe tanto desiderato che gli studiosi delle incognite di Dan- te in Lunigiana convenissero con lui che esisteva un terzo documento il quale a pieno titolo si sarebbe potuto aggiungere ai due di Sarzana, benché non costituisse una diretta testimonianza come quelli.

«…Intendo riferirmi alla nota, che nel suo commento all’opera paterna, il figlio Pietro ha lasciato circa la predizione che l’anima espiante di Corrado Malaspina fa al Poeta nella memorabile chiu- sa del canto VIII del Purgatorio. … L’importanza storica di questo commento è sempre stata ri- conosciuta da tutti gli esegeti della Commedia, tanto che il Filelfo dichiarava che non si può ret- tamente commentarla senza aver consultato quanto ne ha scritto il figlio Pietro, il quale era sempre col padre e ne era meglio informato…»

Pietro Alighieri «A proposito della predizione fatta da Corrado al padre aveva scritto: ‘…Inde pronosticatur Dantem exulare, et divenire ad standum cum certis de domo sua praedicta, et habere magnum honorem ab eis. Et sic quod auditum judicabat auctor, erat expertus de facto in sua persona: et ita fuit…’ Il fatto che [il figlio di Dante] non ci fornisca dettagli in me- rito dipende dal carattere stesso di Pietro che, come dice il Vallone … ‘I momenti che possono riguardare la biografia del padre sono sempre lineari, asciutti, appuntati senza nessun segno esterno di partecipazione o d’imbarazzo…’ …» (36).

«…Pietro non si dilunga in particolari, ma tiene a farci sapere che quanto asserisce corrispon- de pienamente a verità … Con che viene pienamente a confermarci che le lodi, che il padre fa del pregio della borsa e della spada della famiglia Malaspina di Val di Magra, sono il frutto di una sua personale esperienza: che è quanto dire che egli era stato realmente in questa regione … Ed è pertanto pienamente giustificata la sua [di Pietro Alighieri] inclusione fra i documenti uffi- ciali che comprovano la presenza del Poeta in Val di Magra…» (37).

Dante concentra la propria considerazione nei confronti della Casa Malaspina e della Lunigiana, come territorio, e come ‘popoli’, nel Canto VIII del Purgatorio. Scriveva Pompeo Giannantonio che

«…L’incontro di Dante con Corrado Malaspina, riprendendo i motivi principali del trittico dei canti di Sordello, ossia le discordie e l’esilio, la presente decadenza dei prìncipi e della tradi- zione cavalleresca, ne accentua i valori dando enorme risalto alla figura del marchese e grande prestigio ai Malaspina … Le lodi che Dante tesse per i Malaspina sono non solo testimonianza di gratitudine per l’ospita- lità, ma anche nostalgia per le tramontate virtù cavalleresche, di cui i Malaspina furono degni depositari, come i trovatori provenzali a lungo attestarono con la loro continua presenza a cor- te e con i loro elogi, che il fiorentino riprende e formula senza parsimonia … I Malaspina privilegiano per tradizione e per naturale inclinazione una superiore morale, che il mondo disprezza e che solo essi seguono in armonia colla fedeltà al buon tempo antico … Ai Malaspina e alla Lunigiana il poeta si volge con particolare tenerezza …

(36) A. VALLONE, Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, Milano, Vallardi, 1981, pp. 95- 98. (37) L. GALANTI, Il soggiorno di Dante in Lunigiana cit., pp. 48 - 50. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 338

338 LORIS JACOPO BONONI

Nelle corti malaspiniane, dopo le prime delusioni dell’esilio e le cocenti amarezze dell’indigen- za, si riscoprì uomo e artista, non inutile alla società, né deluso delle sue passioni politiche e dei suoi disegni poetici … Le ambizioni territoriali delle città limitrofe avevano impedito alla Luni- giana la crescita e l’affermazione di un ceto urbano e nel contempo avevano soffocato l’unifi- cazione amministrativa e politica del complesso feudale dei Malaspina. Non si inseguivano, come in altre regioni, perciò, sogni di grandezza o si tessevano intricate orditure politiche … L’inca- rico di concludere con il vescovo di Luni la pace attesta la considerazione in cui veniva tenuto il poeta, che doveva ripagare la generosa ospitalità e la ritrovata tranquillità con mansioni che non mortificavano la sua persona né gli ricordavano la sua precaria condizione di esule. In Corrado Dante ha sommato tutte queste virtù … La Lunigiana per Dante significò, dunque, una lieta parentesi nel doloroso esilio … una regione propizia alla meditazione … Lo stesso poeta ci offre tale chiave di lettura, quando nell’epistola Morello rammenta le meditationes assiduas, quibus tam celestia terrestria intuebar (Ep. IV, 4) e che accompagnarono la sua permanenza lunigianese … … alla Lunigiana vanno riconosciuti non solo il merito della generosa ospitalità … ma anche di aver contribuito notevolmente alla crescita e al consolidamento del poema, che nella serenità, nella storia, nei personaggi e negli uomini delle sue contrade rinvenne incentivazione e dispo- nibilità...» (38).

Non si possono scrivere espressioni più edificanti di queste nei confronti del- la Lunigiana e della Casa Malaspina in Val di Magra al tempo di Dante. Ma una riflessione è opportuna: la grave conflittualità che tra il Duecento e il Trecento deprime e insanguina la Lunigiana, sembra, stando alle parole di Gian- nantonio, che d’un tratto non esista più in grazia del presunto protratto soggior- no di Dante, e che tale soggiorno faccia svanire ogni evidenza di lotte e di preva- ricazioni come fa il sole quando evapora il ‘vapor di Val di Magra’. Il dettato poetico trae molto spesso la propria forza rappresentativa più che dall’osservazione della nudità dei fatti, dall’interpretazione subliminale o sotto- corticale degli stessi. Giannantonio ci lascia intravvedere una Lunigiana dove ‘i cortili’ dei castelli malaspiniani, i campi circostanti sembrano notte e giorno risuonare di melodie trobadoriche, di giostre e tornei. Non sappiamo né dove, né quando, e neppure per quanto tempo Dante ebbe modo di soggiornare in Val di Magra. È vero: «…Non si inseguivano [in Lunigiana], come in altre regioni … sogni di grandezza o si tessevano intricate orditure politiche…», ma la storia della Luni- giana malaspiniana è tessuta di continui e violenti soprusi fra consorti, e di altre miserabili occorrenze. La legge prescelta dai Malaspina impediva il diritto di pri- mogenitura, per cui, Dante vivente, già si corrodeva la dimensione territoriale del- la grande Casa, che ridotta a frammenti si sminuzzava in minuscoli, impotenti, e litigiosi marchesati.

(38) P. GIANNANTONIO, Dante e la Lunigiana cit., pp. 42 - 46. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 339

GIOVANNI MANZINI DI FIVIZZANO E L’INFERNO DI DANTE. LA PIÙ ANTICA TESTIMONIANZA SCRITTA 339 DI UNA CONSAPEVOLEZZA DANTESCA IN LUNIGIANA?

Solo Spinetta ‘il Grande’ fu in grado di concepire un disegno ‘grande’, che fu cancellato in sul nascere dalla mancata adesione dei Malaspina ‘i piccoli’. Leggo, rileggo, e credo alla sincerità dell’elogio dantesco nel Canto VIII del Purgatorio. Nell’elogio ravviso (opportuni) accenti pleonastici, ma condivido umilmente le affermazioni di Pompeo Giannantonio:

«…Altre località, altre genti, altri signori conoscerà il poeta nelle sue peregrinazioni, ma nes- suno eguaglierà nel ricordo e nell’esaltazione la Lunigiana e i Malaspina, perché Verona e gli Sca- ligeri avranno per lui ‘benigno riguardo’ (Paradiso XVII, 74) e i Polenta furono dalla morte pre- coce privati di giusti elogi…»

Dante aveva conosciuto di peggio delle lotte tra i Malaspina e il vescovo di Luni. Ustioni indelebili sulla sua stessa pelle, i decreti dei fiorentini nei suoi con- fronti. A fronte dell’infame violenza usatagli dai suoi concittadini, già una sem- plice, e forse rude, stretta di mano di Franceschino di Mulazzo, valeva per il Poe- ta più di ogni altro valore.

«…L’Esule fiorentino fu a Sarzana e a Castelnuovo; in altri luoghi di Lunigiana la sua presenza è affermata solo dalle varie tradizioni popolari, che non sempre, tuttavia, si rivelano basate sui quei ‘pubblici motivi di vero’, ad esse attribuiti dal Vico. In alcuni luoghi - Mulazzo, Giovagallo, Villafranca - le tradizioni sono verosimili; in altri - Fosdinovo, Monastero di Capo Corvo - leg- gendarie» (39).

Drastica, certamente, ma serena, e soprattutto opportuna, l’affermazione di Bianchi, che mi riporta alla mente l’indirizzo rivolto al ‘Lettore’ da Filippo Trom- betti di Aulla, ‘Dottore di Filosofia, e Medicina, Collegiato Genovese’, nel suo li- bro La Bilancia:

«La verità abita in terra frà le opinioni, come il Sole in Cielo, quando è in mezzo alle nuvole. Il ve- risimile, ch’è il maggior nemico del vero, pure con ipocrisia di colori lo ritrae sì al viuo, che l’in- telletto bene spesso abbaglia, apprendendo, che sia reale ciò, ch’è solo apparente; sicome l’oc- chio trauede, non discernendo il parelio [alone luminoso attorno al sole] dal Sole. Quindi nasce la diuersità delle opinioni ne’ Letterati, i quali, nell’inchiesta del vero, per diuerse strade, come linee contrarie, tendono al medesimo centro…» (40).

Tra i ritratti di Dante che si conservano a Castiglione del Terziere, uno in specie si presta a concludere questa sofferta esposizione. Nelle mani, il Poeta tie- ne aperto un tomo della sua Commedia, dove si legge:

«…Se mai continga che il poema sacro al quale ha posto mano cielo e terra, sì che m’ha fatto per più anni macro,

(39) V. BIANCHI, Presenze Dantesche in Lunigiana, in «Cronaca e Storia di Val di Magra», V (1976), p. 35. (40) F. TROMBETTI, La Bilancia, Genova, Casamara, 1682, p. 11. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 340

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Vinca la crudeltà, che fuor mi serra del bello ovile ov’io dormii agnello, nimico a’ lupi che li danno guerra,

Con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, ed in sul fonte del mio battesmo prenderò il cappello...» (Paradiso, XXV)

Dante non era solo un incomparabile ‘illusionista’, era anche un incurabile illuso.

LORIS JACOPO BONONI Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 341

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I MALASPINA FRA LUNIGIANA, LUCCA E SARDEGNA

A cavallo tra Due e Trecento i Malaspina contendono a Pisa il controllo del giudicato di Gal- lura, del quale, dopo la morte di Nino Visconti (1298), era ri- masta quale erede legittima la figlia Giovanna (1). Acquisen- do i diritti sul territorio gallu- rese i marchesi avrebbero dato vita ad un autentico dominio tirrenico, che dalla Liguria orien- tale avrebbe avuto come na- turale direttrice economica la Corsica e il nord-est della Sar- degna. La loro signoria territoria- le nell’Isola si era ormai con- solidata attorno ai castelli di Bosa e Osilo (fig. 1), con i rela- tivi distretti di Planargia e Mon- tes (2), a capo dei quali erano in quel periodo Moruello il Gio- vane (del ramo di Giovagal- lo), Franceschino (di Mulazzo) Fig. 1 - Bosa, resti del castrum.

(1) Genealogie medioevali di Sardegna, a cura di L.L. BROOK, F.C. CASULA, M.M. COSTA, A.M. OLIVA, R. PAVONI, M. TANGHERONI, Cagliari-Sassari 1984, XVII.20; XXV.9, p. 324; V. SALAVERT Y ROCA, Giovanna di Gallura, il suo matrimonio e la politica sarda di Giacomo II d’Aragona, in «Archi- vio Storico Sardo», XXIV (1954), pp. 95-120. (2) Cfr. Planargia, a cura di T. OPPES, Cagliari 1994; B. MURONI, Storia di Bosa e Planargia: dal neolitico antico all’autonomia regionale, Sestu (CA) 2000; A. SODDU, F.G.R. CAMPUS, Le curatorìas di Frussia e di Planargia, dal giudicato di Torres al Parlamento di Alfonso il Magnanimo (1421): dinamiche istituzionali e processi insediativi, in Suni e il suo territorio, a cura di A.M. CORDA, A. MASTINO, Suni (NU) 2003, pp. 139-176; S. CHESSA, L’insediamento umano medioevale nella cu- ratoria di Montes. Comuni di Osilo e Tergu, Sassari 2002. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 342

342 ALESSANDRO SODDU

e Tommaso e Opizzino (di Villafranca) (3). Nonostante la divisione e la grande ra- mificazione della famiglia, che avrebbe portato anche ad aspre contese, ancora nel novembre 1296 Moruello, Franceschino e Opizzino si fecero mutua donazio- ne dei loro beni continentali e insulari (4). L’espansione in Gallura, così come era avvenuto nel Logudoro, puntava sulla politica matrimoniale. Opizzino cercò, infatti, di combinare il matrimonio del fi- glio Corradino con Giovanna Visconti, attraverso la mediazione del figlio natu- rale di Corrado il Giovane (5). La strategia non ebbe il successo sperato, ma i Malaspina proseguirono le trattative con l’appoggio dei Comuni di Lucca e Firenze, i quali mandarono un’ambasciata presso i marchesi d’Este (6), poiché Giovanna era figlia di Nino Visconti e Beatrice d’Este. Il progetto dei Malaspina tramontò definitivamente allorché nel 1309 l’erede di Gallura sposò Rizzardo da Camino, si- gnore di Treviso, mentre il Comune di Pisa avrebbe lentamente esteso il proprio dominio sul giudicato. I disegni espansionistici nel nord della Sardegna sono alla base anche del con- flitto, documentato nel 1308, tra i Malaspina ed il Comune di Sassari, che, gover- nato da un podestà genovese, controllava una vasta area incuneata tra i domini dei Doria e dei Malaspina. Dati gli esiti della guerra del Vespro, la prospettiva del- l’imminente arrivo in Sardegna del re d’Aragona aveva certamente impresso un’ac- celerazione al processo di conquista di territori, dei quali poi ottenere un’inve- stitura formale che ne sancisse giuridicamente il possesso (7). Una prima fase di questo conflitto doveva aver visto l’affermazione dei Mala- spina, giacché il podestà cittadino fu costretto a scappare furtivamente, trovan- do salvezza in Corsica nel castello di Bonifacio. I Sassaresi si riorganizzarono assoldando settanta cavalieri catalani e con una controffensiva riuscirono ad as- sicurarsi il controllo di tutti i territori dei marchesi, ad eccezione dei castelli. Una delegazione sassarese si recò quindi a Genova per chiedere aiuti, «specialiter de aliquibus ingeniis» per riuscire a espugnare le fortificazioni.

(3) Moruello il Giovane era figlio di Manfredi; Franceschino era succeduto a Moruello il Vec- chio; Tommaso e Opizzino erano eredi di Corrado il Giovane, morto nel 1294: cfr. A. SODDU, I Ma- laspina e la Sardegna. Documenti e testi dei secoli XII-XIV, Cagliari 2005, nn. 46 e 267. (4) A. SODDU, op. cit., n. 47. Tommaso non partecipò dunque a questa operazione, mentre Al- berto (che nel 1281 aveva venduto ai fratelli e nipoti i propri diritti sui beni sardi) morì in quello stes- so anno (Genealogie medioevali di Sardegna cit., XXII.19). (5) A. SODDU, op. cit., n. 52. Cfr. E. BRANCHI, Storia della Lunigiana feudale, I-III, Pistoia 1897-1898, II, pp. 10, 20, in cui Bastardus è definito erroneamente prima zio, poi cugino di Opizzi- no, del quale era invece nipote. (6) A. SODDU, op. cit., nn. 61 e 68. (7) Degli scontri tra Malaspina e Sassari si ha notizia grazie ad alcune lettere scritte da Cristiano Spìnola al re d’Aragona e ad una dettagliata relazione degli inviati dello stesso sovrano nella peni- sola italiana per tessere alleanze in funzione della conquista del “regno di Sardegna e Corsica” in- feudatogli dal papa Bonifacio VIII: cfr. A. SODDU, op. cit., nn. 76, 83, 85, 91. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 343

I MALASPINA FRA LUNIGIANA, LUCCA E SARDEGNA 343

Il destino di questa guerra si intrecciò con le trattative che Giacomo II d’Ara- gona intavolò con i Malaspina in vista dell’impresa sarda. L’alleanza con i marchesi era, del resto, indispensabile alla Corona iberica, data l’importanza strategica di Bosa, col suo castello e il suo porto, e della fortezza di Osilo, punto di controllo di una vasta area attorno a Sassari. Al termine di una lunga trattativa, i marchesi avrebbero ottenuto consistenti aiuti in cambio della sottoscrizione dell’atto di vas- sallaggio (8). È nel contesto delle trattative tra i marchesi e la corte aragonese che emerge un ruolo di primo piano di Lucca (9), che in quegli stessi anni aveva appoggiato in più occasioni la politica dei Malaspina (10). D’altra parte, Moruello il Giovane tra il 1301 e il 1306 ricoprì per mandato dei Lucchesi «il generalato di tutte le mi- lizie dei Neri contro la fazione Bianca di Toscana» (11), sconfiggendo definitiva- mente Pistoia nel 1306 (12). Nel 1308 Lucca fu il luogo deputato per il primo incontro con gli ambasciato- ri aragonesi Fortún Martínez, Pere de Vilarasa e Dino Silvestri (13). Nello stesso anno, così scriveva al re d’Aragona l’esiliato guelfo pisano Vanni Gattarelli, ple- nipotenziario del sovrano in Toscana (14):

«Or, sichome piacque ala uostra signioria di mandare ale parte di Toscana messer Fortuno, chaua- lieri, e messer Piero, giudici, e messer Dino Saluestri sopral fatto sopradetto e sopral ragiona- mento fatto dei marcheçi Malaspina e di messer Brancha Doria, li detti anbasciadori giunsero in Luccha marteddi a di III di settenbre, li quali per lo chomune di Luccha furono riceuuti molto grasiosa e onoratamente e ueduti chon allegro e chiaro animo. E dato per li detti anbasciadori a

(8) Ibidem, nn. 79, 82, 100-101, 103-105. (9) Nel 1306 i «guidatori e reggitori del comune e dela parte dela Chieça di Luccha» scrivono a Franceschino, Corradino e Moruello Malaspina rispetto all’opportunità di inviare un loro amba- sciatore presso il re d’Aragona: ibidem, n. 60 (). (10) Oltre alla mediazione del Comune di Lucca per il matrimonio tra Opizzino e Giovanna Vi- sconti, si segnala una fonte del 1301 che informa come i Malaspina si fossero indebitati per 100 fiorini d’oro con Enrico de Bernarduciis di Lucca «occasione guerre et pro subsidio per eum pre- stito in guerra facta per ipsos marchiones contra et adversus episcopum lunensem»: ARCHIVIO DI STA- TO DI FIRENZE, Diplomatico, Strozziano-Uguccioni, 1301, giugno 22 e A. SODDU, op. cit., n. 52 (e cfr. ibidem, n. 83: micer Enrich Bernadutxo). (11) E. GERINI, Memorie storiche di Lunigiana, I-II, Massa 1829, II, pp. 39-41. (12) Ibidem, pp. 42-43. Il marchese Malaspina si era guadagnato la fama di grande condottiero; così si esprimevano a riguardo nel 1308 gli ambasciatori inviati da Giacomo II d’Aragona in Tosca- na: «micer Morroel es tengut en Toscana per lo pus savi hom de feyt d’armes que els agen, e es va- lent hom e es de edat de XL ayns e es gran hom e sobrer» (V. SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expan- sión mediterránea de la Corona de Aragón. 1297-1314, I-II, Madrid 1956, II, n. 293, p. 365). (13) Gli ambasciatori aragonesi scrivono a Moruello, Francesco e Corradino Malaspina preannun- ciando il loro prossimo arrivo a Lucca (A. SODDU, op. cit., n. 72, ). I marchesi rispondono di non poterli incontrare il giorno prestabilito (ibidem, n. 73, ). (14) V. SALAVERT Y ROCA, Cerdeña cit., II, n. 276; A. SODDU, op. cit., n. 75 (<1308>, settembre 18, Firenze). Sulla figura di Vanni Gattarelli cfr. V. SALAVERT Y ROCA, Cerdeña cit., I, pp. 300-308. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 344

344 ALESSANDRO SODDU

intendere lo chomandamento per la uostra signioria sopra le preditte chose fatto a me, adope- rai che la loro inbasciata fusse retratta per quel modo che io chredei che si chonuenisse a ono- re dela uostra realta e a chonpimento del fatto». [...] «Li marcheçi Malaspina son fermi di far di loro e dela lor terra tutto cio che chomandara la uostra signioria, e se questa venuta chei uostri anbasciadori ed io auemo fatta a Fiorensa non fusse, li detti marcheçi veniano al Luccha per met- tersi e disponersi ai uostri anbasciadori di seguitare e d.ubedire ai uostri chomandamenti. Ala nostra tornata al Luccha saron (?) chon loro e prenderemo ciertamente la loro intensione».

Dopo ulteriori trattative (15), è ancora a Lucca che il 2 novembre del 1308 i Malaspina stipularono il trattato con i tre inviati regi (16) e poco dopo ottennero un contributo finanziario di 2.500 fiorini d’oro dalla stessa Lucca e di 1.500 da Fi- renze, entrambe alleate di Giacomo II (17). Grazie a questi aiuti Corradino riuscì finalmente a organizzare un’armata per la Sardegna di 70-80 cavalieri e circa 200 fanti (18), mentre una delegazione delle due città toscane e dei Malaspina sareb- be salpata in breve per l’Aragona per ratificare i patti (19). Ancora nel 1309 è at- testata la presenza di Corradino a Lucca per affari (20), nonché l’attività del no- taio Giovanni Bosse, cancelliere del Comune, a servizio dei marchesi (21). Tornando al contesto sardo, va sottolineato come il conflitto tra i Malaspina e il Comune di Sassari, del quale sono purtroppo sconosciuti gli esiti, fosse la te- stimonianza di un clima di instabilità politica, in cui alla secolare lotta tra Pisa e Genova andavano a sovrapporsi ed intrecciarsi gli interessi della corona arago-

(15) In un rapporto sugli sviluppi dei loro negoziati a Siena, gli ambasciatori aragonesi infor- mano il re di un prossimo incontro con i Malaspina (A. SODDU, op. cit., n. 77, <1308>, ottobre 9, Luc- ca). Anche Vanni Gattarelli scrive a Giacomo II dei successi e dei negoziati dei suoi inviati, dando per imminente l’accordo, tra gli altri, con i Malaspina (ibidem, n. 78, <1308>, ottobre 9, Lucca). (16) Ibidem, n. 82 (1308, novembre 2, Lucca). Sempre da Lucca, i tre inviati regi informano Gia- como II dell’andamento dei negoziati con i Malaspina: ibidem, nn. 83 (<1308>, novembre 6, Lucca), 84 (<1308>, dicembre 3, Lucca), 88 (<1308>, dicembre 16, Lucca). (17) Ibidem, n. 86 (1308, dicembre 14, Lucca): attestato notarile in cui si enunciano le princi- pali basi dell’accordo negoziate tra gli inviati aragonesi, da una parte, e guelfi di Toscana e Mala- spina, dall’altra. (18) Ibidem. Dopo la morte di Opizzino (1301) e Tommaso (1305), Corradino era diventato il ti- tolare del ramo di Villafranca. (19) Cfr. ibidem, n. 89 (1308, dicembre 16, Lucca): lettera con cui i delegati di Firenze e Lucca comunicano al re Giacomo II l’accordo raggiunto con gli inviati aragonesi in Toscana. (20) Cfr. ibidem, n. 97 (<1309>, febbraio 17, Lusuolo): nell’informare Giacomo II della procu- ra conferita ai delegati inviati in Aragona, Corradino Malaspina scrive «quod quando dominus Iohan- nes de Castigiono, iurisperitus, se movit ad veniendum ad vestram regiam maiestatem pro nostris et nostrorum consortum negotiis faciendis, nos tunc eramus Luce pro quibusdam nostris negotiis que non poterant sine nostra presentia terminari». (21) Cfr. ibidem, n. 94 (1309, gennaio 26, Virgoletta): «Iohannes Bosse de Luca, imperiali auc- toritate notarius» roga la procura conferita da Moruello e Franceschino Malaspina al giurisperito Giovanni di Castiglione, inviato presso Giacomo II. Sul ruolo di cancelliere di Giovanni Bosse cfr., ibidem, n. 86 («Iohannes Bosse, imperiali autoritate notarius et Lucani communis cancellarius»). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 345

I MALASPINA FRA LUNIGIANA, LUCCA E SARDEGNA 345

nese in forte espansione nel Mediterraneo. La carenza di fonti rende particolar- mente ardua la ricostruzione del quadro degli eventi in Sardegna nei decenni che precedettero la spedizione dell’infante Alfonso. Ancora più scarni sono i dati relativi ai Malaspina, che si può immaginare fossero più che mai impegnati nella difesa delle proprie posizioni sia in Sardegna che nella Penisola (22), dove parteciparono attivamente alla lotta tra guelfi e ghibellini, peraltro non senza una qualche ambiguità (23). Nel 1317 i marchesi si videro costretti a cedere in pegno al giudice di Arborea la città di Bosa (24), forse in cambio di aiuti per fronteggiare l’offensiva dei Pisa- ni, dopo che l’avvicinamento tra Giacomo II d’Aragona e il giudice Mariano III ave- va completato nell’Isola un quadro di alleanze omogeneamente antipisano (fig. 2). Non è da escludere che la cessione di Bosa sia anche da mettere in relazione con la scomparsa, in quegli anni, di Moruello, Corradino e Franceschino, principali esponenti dei tre sottorami dello Spino Secco, ovvero Giovagallo, Villafranca e Mulazzo, artefici dell’alleanza con il sovrano aragonese. Si configurava presumi- bilmente una crisi di potere, data la condizione dei successori dei tre marchesi: i figli di Moruello (Luchino e Manfredi) erano forse in minore età; Corradino non ebbe eredi e la sua parte dei beni sardi pervenne ai fratelli Federico, Azzone e Gio- vanni, anch’essi probabilmente in minore età; i figli di Franceschino (Giovanni e Moruello) erano ancora nel 1321 sotto la tutela e curatela di Castruccio Castra- cani (25), che avrebbe dato la figlia Caterina in sposa allo stesso Giovanni di Mu- lazzo (26).

(22) Nell’aprile del 1312 il Comune di Lucca scrive al re di Napoli Roberto, informandolo del fatto che i Malaspina avevano occupato illecitamente la Lunigiana con l’appoggio dell’imperatore (ibidem, n. 109, ). Lo stesso angioino ne avrebbe poi informato il re d’Aragona Giacomo II (ibidem, n. 110, <1312>, aprile 20, Napoli). (23) Nel 1310, a Firenze, Moruello il Giovane e Corradino di Villafranca giurarono obbedienza al papa Clemente V (cfr. E. GERINI, op. cit., II, p. 44), ma nel 1311 all’arrivo in Italia di Enrico VII Fran- ceschino II di Mulazzo e lo stesso Moruello (secondo Branchi il Moruello in questione sarebbe, in- vece, un figlio di Alberto Malaspina: cfr. E. BRANCHI, op. cit., I, pp. 178, 180-181) gli resero onore, ve- nendo nominati il primo vicario imperiale a Parma, il secondo a Brescia (cfr. E. GERINI, op. cit., II, pp. 44, 49-51; M.N. CONTI, Le carte anteriori al 1400 nell’archivio malaspiniano di Caniparola nel repertorio del 1760, Aulla-Villafranca-Pontremoli 1987, n. 24). Nel 1313 fu, infine, creata la carica di “vicario generale e capitano di guerra in Lunigiana, Versilia e Garfagnana” (G. VOLPE, Toscana me- dievale, Firenze 1964, p. 524). (24) Cfr. A. SODDU, op. cit., n. 578. Cfr. anche ibidem, nn. 117, 126, 130 e J. ZURITA, Anales de la Corona de Aragón, voll. 1-8, Libros I-XX, Zaragoza 1562-1610 (ristampa 1976-1980), 2, libro V, p. 659. (25) Cfr. A. SODDU, op. cit., n. 113 (1321, gennaio 5): Castruccio Castracani è nominato tutore di Moruello Malaspina e curatore di Giovanni Malaspina, entrambi figli del fu Franceschino Mala- spina di Mulazzo. (26) Cfr. Genealogie medioevali di Sardegna cit., XXII.28; A. SODDU, op. cit., n. 286 (1334, agosto 17, Sassari): «Johan de Malespina, qui en altre manera és appellat Johan Mulàs, genre de Ca- strutxo de Luca». Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 346

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Fig. 2 - M. Bonne, Cartes des isles de Corse et de Sardaigne, 1790. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 347

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Certamente, quando le fonti ricominciano a farsi abbondanti, si nota come i rapporti di forza all’interno della casata si fossero inequivocabilmente spostati, in ambito sardo, a favore degli esponenti del ramo di Villafranca. Dei contrasti tra i membri dei diversi rami relativamente all’amministrazione comune dei beni nel- l’Isola sono rimasti alcuni preziosi documenti, che danno anche conto del ruolo arbitrale assunto da Castruccio (27). Quest’ultimo nel 1320 aveva peraltro otte- nuto da Federico d’Austria il vicariato imperiale per la Lunigiana (28), confer- mato da Ludovico il Bavaro nel 1324 (29), posizione che lo poneva in antagonismo con Spinetta Malaspina, con il quale era ben presto entrato in conflitto (30). Come accennato, Castruccio fu chiamato a dirimere una disputa che sorse tra Giovanni e Moruello, figli del fu Franceschino, del ramo di Mulazzo, da una parte, e Federico, Azzone e Giovanni, del ramo di Villafranca, dall’altra, riguardo a chi spettasse l’elezione del castellano di Osilo (31). Il 26 febbraio del 1321, a Lucca, Castruccio (come procuratore di Moruello), Giovanni Malaspina. di Mulazzo, Gio- vanni Malaspina di Villafranca e un certo Masio del fu Nicola di Villafranca (pro- curatore di Federico e Azzone) dichiararono di accettare la sentenza di Castruc- cio e stabilirono di porre nel castello di Osilo, «more consueto», un castellano «comunis amicus partium […] qui dictam rocham, fortilicia et castrum custodiat, regat, teneat et gubernet communiter pro unaquaque partium» per due anni, du- rante i quali nessuno dei marchesi si sarebbe dovuto recare in Sardegna, salvo che

(27) Cfr. ibidem, nn. 111, 115-116; G. SFORZA, Castruccio Castracani degli Antelminelli in Lunigiana, in «Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie Modenesi e Parmensi», s. III, VI (1891), pp. 301-572, n. XXIII; E. GERINI, op. cit., II, pp. 38-39; ID., Codex docu- mentorum illustrium ad historicam veritatem Lunexanae Provinciae, Archivio di Stato di Firenze, Ms. 714, in G. SFORZA, Saggio d’una bibliografia storica della Lunigiana, Modena 1874, parte I, doc. LXXXVIII, p. 95; E. BRANCHI, op. cit., I, p. 205; A. FERRETTO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», XXXI, I, Roma 1901, II, Genova 1903, II, p. XCVI; M.N. CONTI, op. cit., n. 501. (28) Cfr. R. MANSELLI, La repubblica di Lucca, in Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, VII, tomo II, Torino 1987, pp. 607-743, p. 666. (29) G. VOLPE, op. cit., p. 531. (30) Cfr. U. DORINI, Un grande feudatario del Trecento, Spinetta Malaspina, Firenze 1940. Fa- vorevole ad Enrico VII, Spinetta era stato nominato vicario imperiale a Reggio ed aveva ingrandito i suoi domini a danno del vescovo di Luni. Aveva quindi appoggiato Uguccione della Faggiola con- tro i Lucchesi e perciò, dopo la rivolta del 1316, era stato attaccato da Castruccio e costretto a ri- fugiarsi a Verona presso Cangrande della Scala (cfr. E. GERINI, op. cit., II, pp. 100-101; R. MANSELLI, op. cit., p. 666; V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. IV, Milano 1931, p. 255). Nel 1320-21 Spinetta contrattaccò, ma dopo un’iniziale vittoria dovette riparare nuovamente a Verona (cfr. E. GERINI, op. cit., II, pp. 102-103). (31) A. SODDU, op. cit., n. 111 (1320, gennaio 10). Cfr. L. MOSIICI, Ricerche sulla cancelleria di Castruccio Castracani, in «Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’Università di Roma», VII (1967), pp. 1-86; A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani nei se- coli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologie dans la genèse de l’Etat moderne, Rome 1985, pp. 35-55. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 348

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il detto castellano «recusaret dictum castrum et fortilicia resignare castellano co- muni ituro pro partibus supradictis. Et hoc facto immediate regredi teneatur. Et si quis ex predictis marchionibus contrafaceret vel transierit in dictam insulam, dictus castellanus per obbedientiam et pactum bona fide et legalitate possit eique liceat et teneatur alteri parti obbedienti in predictis dictum castrum et fortilicia resignare». Se alla fine dei due anni i marchesi non fossero giunti a concordia il detto castellano sarebbe rimasto in carica fino al raggiungimento di un accordo. Castellano di Osilo venne eletto Oberto da Vernazza e contestualmente le parti nominarono Guglielmo di Remoreno nel ruolo di comune vicario «in vicariatu de Ossula extra fortilie» (32). Infine, il 18 marzo 1321, sempre a Lucca, Oberto da Ver- nazza giurò «bene et legaliter exercere comuniter pro partibus supradictis» la ca- rica di castellano di Osilo (33). Un ruolo di primo piano di Castruccio emerge anche nella rete di rappor- ti imbastiti dal re d’Aragona durante la campagna di conquista del regnum Sardi- nie et Corsice. I contatti tra il signore di Lucca e la corte di Barcellona sono ben documentati e oltre all’acquisizione di informazioni utili per l’impresa sarda il fit- to scambio di missive e ambasciatori era finalizzato alla pianificazione dell’occu- pazione della Corsica (34). Tra le lettere inviate all’infante Alfonso, spicca una re- lazione di Castruccio, databile tra il luglio 1324 e il luglio 1325, relativa alle modalità di infeudazione secondo il mos Italiae (35). «Le informazioni sul feudo italico» – scrive Maria Giuseppina Meloni – «erano state, con tutta probabilità, richieste da Alfonso a Castruccio per la necessità di avere chiarimenti su un sistema feudale che in Catalogna non era diffuso, nel momento in cui, dopo la pace con Pisa, la Co- rona si accingeva a infeudare o a confermare le concessioni di terre sarde (e anche di quelle corse non ancora conquistate) a tutti coloro che avevano partecipato alla campagna militare sarda» (36). Non è da escludere che i frequenti contatti con i Malaspina (37) abbiano consentito a Castruccio di acquisire una serie di dati sul-

(32) A. SODDU, op. cit., n. 115 (1321, febbraio 26, Lucca). L’atto è rogato dal notaio lucchese Gio- vanni «quondam Guidi Raynerii». (33) Ibidem, n. 116 (1321, marzo 18, Lucca). L’atto è rogato dal notaio lucchese Giovanni «quon- dam Guidi Raynerii». (34) Cfr. M. G. MELONI, La Corona d’Aragona e la Corsica attraverso una relazione di Ca- struccio Castracani signore di Lucca, in La Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona (Sassari-Alghero 19-24 maggio 1990), I-V, Sas- sari-Cagliari 1993-1997, vol. II, t. II, Sassari 1995, pp. 595-628. (35) Cfr. M. TANGHERONI, Una lezione di diritto di Castruccio Castracani all’infante Alfonso d’A- ragona e il feudalesimo secondo il mos Italie nella Sardegna aragonese, in Società, Istituzioni, Spi- ritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, I-II, Spoleto 1994, II, pp. 931-942; M. G. MELONI, op. cit. (36) Ibidem, pp. 601-602. (37) Significativa è la menzione del lucchese Mandino o Mondino de Advocatis, figlio di Or- lando, in tre strumenti di procura dei Malaspina degli anni 1326-1328 rogati dal notaio sardo Nico- la di Comita de Villa, («Nicolaus quondam Comitis de Villa notarius et iudex ordinarius a domino Mondino quondam domini Orlandi de Advocatis de Lucca»): ibidem, nn. 169 (1326, giugno 11, Oscu- lo, Lunigiana), 177 (1326, luglio 26, Sassari), 226 (1328, marzo 11, abbazia di S. Maria di Paulis). Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 349

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la situazione sarda (38), da utilizzare poi in una più ampia strategia diplomatica. Vi è da dire intanto che, a dispetto dei pur meditati accordi formali, la convi- venza dei Malaspina con la Corona d’Aragona si rivelò fin dai primissimi tempi estremamente problematica. I marchesi presero parte alle rivolte anti-aragonesi nel nord dell’Isola, al fianco di quel Comune di Sassari che agli inizi del Trecento aveva invece rappresentato la più seria minaccia alla sopravvivenza stessa della loro signoria locale (39). Le ragioni dei contrasti sono probabilmente da indivi- duare nel mancato rispetto da parte catalano-aragonese delle prerogative giuri- sdizionali degli alleati. Il fallimento delle aspettative malaspiniane aprì perciò il campo ad un’azione ad ampio raggio, sia sul piano locale che su quello interna- zionale: il sostegno alla rivolta di Sassari nel 1329, ripetuti atti di guerriglia e “bri- gantaggio” concertati con i Doria si congiunsero al tentativo di aprire il conflitto con l’appoggio dell’imperatore Ludovico il Bavaro (40) e del signore di Milano (41). Tra i vari episodi e progetti di rivolta, un’anonima fonte in italiano volgare del 1331 dà conto con dovizia di particolari dell’alleanza con i Doria e con France- sco Castracani, ex vicario imperiale a Lucca, con il quale i marchesi programma- vano una spedizione in Sardegna (42).

«Manfre di Vivaldo Doria, lo quale è molto amico deli marchesi, è venuto presso ad Lucha, IIII miglia in luogho che si chiama Ponte San Piero, e solda gente da cavallo in torno di CC homi tra tedeschi e taliani, e quale gente elli puote avere o di che intentione elli lo facia io non so; e enne capitano uno che ad nome messere Ghinello, che fu compagno di messer Castruccio, e è persona molto sacciente, e anno li signori Doria anno difecto in sieme, come vo sappete, si che ciascuno si brigherà di fare lo meglio che potrà le facti suoi. Et questo so io, che messer Nicolo ae intentione di voler essere forte in vostro, lo quale è stato e sta continuamente in casa deli mar- chesi al vostro servigio con un altro vostro servidore che ve torno ad me adi X di Iennaio pre- sente; e dissemi che messer Francescho Castracani era conli decti marchesi a Villafranca, e ra- gionavansi in casa deli decti marchesi che alcuno di loro passarebbe in Sardigna ad questa

(38) Si noti che copia della relazione sul mos Italiae è contenuta in un registro di cancelleria aragonese (il n. 341), preceduta da un documento anonimo che elenca gli arcivescovati e vescova- ti di Sardegna e Corsica, con i relativi signori territoriali: cfr. ibidem, n. 117 (<1317 - 1323>). (39) Cfr. A. ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña por Jaime II de Aragón, Barcelona 1952, p. 290 e nota 31; M. E. CADEDDU, Giacomo II d’Aragona e la conquista del regno di Sardegna e Cor- sica, in «Medioevo. Saggi e Rassegne», 20 (1995), pp. 251-316, p. 285, nota 112 e p. 294 e nota 137. (40) A. SODDU, op. cit., nn. 252, 262, 267. (41) Ibidem,n. 306. Il coinvolgimento milanese era legato alla rivendicazione del giudicato di Gallura, che Giovanna Visconti aveva lasciato in eredità al fratellastro Azzone Visconti, signore di Milano: cfr. V. SALAVERT Y ROCA, Giovanna di Gallura cit., p. 120. Dopo la morte di Azzone (1339), anche lo zio Luchino manifestò l’intenzione di compiere una spedizione in Sardegna: cfr. J. ZURITA, op. cit., 3, libro VII, cap. LII; G. SORGIA, I Visconti di Milano, l’Aragona e la Sardegna nel secolo XIV, attraverso la lettura dello Zurita, in VII Congreso de Historia de la Corona de Aragón (1-6 octu- bre 1962), Barcelona 1962-1964, vol. II, pp. 393-396. (42) Cfr. F.C. CASULA, Carte Reali Diplomatiche di Alfonso III il Benigno, re d’Aragona, ri- guardanti l’Italia, Padova 1970, n. 123; A. SODDU, op. cit., n. 253 (<1331>, gennaio 11, Pisa). Il do- cumento è una lettera di un informatore anonimo del giudice di Arborea Ugone II. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 350

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primavera, e che li decti marchesi aveano iurato in sieme con messer Galeotto e con messer Cas- sano Doria de esser con loro l’uno con l’altro a ogna aiuto l’uno con l’altro. Et pero, signore, la gardia sempre fu buona; prego Dio che contenti l’animo vostro in quello che piò vo piacia. Di qua non ae altre novelle da scrivervi, spetassi Giuppo deli Scholari che vieni dal re, è quelle novelle che ci serano ala vostra signoria scriverò».

Com’è noto, la morte di Castruccio Castracani nel 1328 e l’abbandono dell’I- talia da parte del Bavaro stroncarono le velleità di ogni possibile programma po- litico ghibellino ed anzi la situazione a Lucca e in Lunigiana cadde in un grave sta- to di anarchia (43), mentre in Sardegna i Malaspina dovettero subire un significativo ridimensionamento. Il doppio filo che legava i marchesi all’Isola e alle vicende italiane è ben evi- dente in una delle ultime attestazioni documentarie in vita di Giovanni di Villa- franca, il quale nel 1339 era diventato «per sortis iudicium» unico detentore dei beni sardi (44). Nel 1341 Giovanni comunicò al re d’Aragona Pietro IV di aver sa- puto che Mastino della Scala, signore di Lucca, aveva venduto la stessa città a Firenze per il prezzo di 100.000 fiorini, suscitando la reazione armata di Pisa, che aveva posto l’assedio a Lucca, e l’intervento del re Roberto d’Angiò al fianco di Firenze. Il marchese manifestò la volontà di recarsi a Pisa per accertarsi per- sonalmente della situazione ed informarne il sovrano aragonese (45). Con Ma- stino vi era Spinetta Malaspina, ma il conflitto si risolse a favore di Pisa, che riu- scì anche ad avere la meglio su Firenze conquistando Lucca nel luglio 1342 (46). Giovanni Malaspina sarebbe morto tra la fine del 1342 e i primi del 1343, la- sciando in eredità i residui possedimenti sardi allo stesso Pietro IV. Certamente il testamento dovette sembrare ai fratelli Azzone e Federico un autentico colpo di mano del sovrano d’Aragona (47), per quanto in passato Giovanni ne avesse ap- poggiato la politica nell’Isola (48). I due Malaspina tentarono così di riaffermare i propri diritti con le armi, riuscendo con l’appoggio dei Doria a recuperare alcu- ne posizioni nel Logudoro. Oltre un decennio di guerre, intervallate da sterili ac- cordi di pace, non valse tuttavia a riconquistare uno spazio nella geografia del po- tere nell’Isola. Di fronte all’inarrestabile processo unificatore della monarchia catalano-aragonese, cui riuscirono ad opporsi più a lungo i Doria e soprattutto il giudicato di Arborea, i Malaspina nella seconda metà del Trecento sarebbero usci- ti definitivamente di scena.

ALESSANDRO SODDU

(43) Cfr. R. MANSELLI, op. cit., pp. 671-674. (44) A. SODDU, op. cit., n. 315. (45) Ibidem, n. 338 (<1341>, settembre 1 o 2, Sassari). (46) Cfr. R. MANSELLI, op. cit., p. 674. (47) Cfr. A. SODDU, op. cit., nn. 368 e 375. (48) Ibidem, n. 287. Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 351

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RECENSIONI

La divina Commedia di Dante Alighieri illustrata nei luoghi e nelle persone a cura di COR- RADO RICCI, Milano, U. Hoepli, 1898.

L’elogio che Dante rivolge alla Casa Malaspina di Lunigiana (“…la fama che la vostra casa ono- ra…” Purgatorio, VIII) è talmente grande che consente d’immaginare qualunque ipotesi di benefici ricevuti dal Poeta durante il suo soggiorno in quei “paesi” malaspiniani di Lunigiana che sono “…per tutta Europa … palesi…” Di questi benefici ipotetici, ma anche probabili e possibili, tuttavia, non si conosce niente. Fiu- mi in piena, straripanti, sono state le supposizioni, le congetture, le deduzioni (prive di base certa) rivolte al soggiorno di Dante in Lunigiana.

“…L’evocazione dell’antichità del primo Corrado [“…non son l’antico ma di lui discesi…”] met- te in relazione il secondo Corrado con un territorio definito come ‘policentrico’ dal plurale ‘paesi’: sappiamo che ciò conferma l’identità che gli storici conferiscono al territorio malaspiniano…” (G. CAITI RUSSO, La corte malaspiniana e i suoi cantor, in Pier Delle Vigne in Catene, Atti del Convegno itinerante, 2006, Sarzana, Grafiche Lunensi, 2006, p. 65)

“…I castelli che sorgono presso gli abitati sono notevolmente grandiosi e belli, come ad esem- pio l’alta rocca di Aulla e sul fiume il pittoresco castello di Villafranca; ed essi danno testimonianza della potenza dei loro signori…” A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, opera tradotta sulla 2° edizione tedesca da E. Gorra, Bologna, N. Zanichelli, 1902, p. 366)

Della “…potenza dei loro signori…” ha inteso darci una visione fotografica “policentrica”, Cor- rado Ricci, appunto: “…Il primo ad avere il pensiero d’illustrare la Divina Commedia con la riproduzione o ‘imma- gini grafiche degli svariati oggetti che diedero motivo alle più alte ispirazioni dell’Alighieri’ fu G. G. Warren lord Vernon intorno al 1840; ma l’opera sua si rimase all’Inferno, anzi ad alcune cose del- l’Inferno, poiché non tutti contiene i monumenti delle persone e le vedute dei luoghi che il poeta vi ricorda… … Nel 1877, dandomi a cercare le memorie e i documenti che poi riassunsi e pubblicai nel mio lavoro L’ultimo rifugio di Dante Alighieri venni man mano raccogliendo le fotografie delle cose e dei luoghi che avevano rapporto con la vita del poeta, negli ultimi anni suoi … Intorno a questo primo nucleo di fotografie mi piacque subito di radunarne quante altre mi fosse possibile, nella speranza di possederne un giorno tante che bastassero a formare una larga il- lustrazione del poema … Se fra le fatiche e le difficoltà durate pel corso di quasi vent’anni a raccogliere le fotografie di tanti luoghi, ho dovuto spesso provar l’umiliazione di non ricevere risposta alle mie lettere e solle- citazioni, e, peggio ancora, incontrare il penoso perditempo di troppe promesse fatte, rifatte e non mantenute; ho però anche provato la grande soddisfazione di trovare un buon numero di persone Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 352

352 RECENSIONI

gentili (senza l’aiuto delle quali oggi l’opera non sarebbe pubblicata) che oltre all’incomodo hanno sostenuto le spese non lievi perché l’impresa riuscisse … Altri gruppi di fotografie ebbi … dal nobile Carlo Lamotte di Sarzana, del quale è la riproduzio- ne dal vero delle rocche dei Malaspina che illustrano il canto del Purgatorio in cui Dante fa fede del- l’ospitalità avuta da quella ‘gente onrata’…” (La divina Commedia, op. cit., Prefazione)

Corrado Ricci ringrazia poi anche il “dott. Giovanni Sforza”, ma sembra aver dimenticato il dott. Ulisse Conti Vecchi da Turlago di Fivizzano per la sua fotografia dei ruderi di Montechiaro. I luoghi di Lunigiana che compaiono nell’edizione ricordata sono: Lerici, Carrara, Fosdinovo, Castelnuovo Magra, Castello dell’Aquila, Torre del Castello dell’A- quila, Lusuolo, Virgoletta, Treschietto, Malgrate, Castiglion del Terziere, Torre detta di Dante a Mu- lazzo, Verrucola Bosi, Villafranca, La Bastia, Olivola, Montechiaro. Le fotografie dei castelli di Lunigiana pubblicate da Corrado Ricci rivestono una certa impor- tanza per la documentazione architettonica dei castelli stessi, precedendo di molti anni quelle pub- blicate nel prezioso volume Castelli di Lunigiana, stampato a Pontremoli dalla Tipografia C. Ca- vanna nel 1927.

“…Fra i maggiori protagonisti dell’attività di tutela dell’Italia postunitaria, Corrado Ricci (Ra- venna, 1858 – Roma 1934) è stato Primo Soprintendente del Regno (Ravenna 1897), agendo con ef- ficienza e innovazione nelle gallerie di Parma, Milano e Firenze, dove divenne Direttore degli Uffizi nel 1903, fino alla nomina a Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti nel 1906 … La sua biblio- grafia, di oltre mille titoli, spazia tra argomenti di restauro architettonico, storia dell’arte, conser- vazione, critica dantesca e musicologia…” (M. L. STROCCHI, La Compagnia della Nina. Corrado Ricci a Firenze. 1903 – 1906. Perso- naggi opere istituzioni, Firenze, Giunti, 2005, risvolto di copertina)

Ulisse Conti Vecchi - attivo tra il 1860 e il 1900 - fu fotografo della Regia Direzione del Genio Mi- litare. Documentò gran parte delle navi della Regia Marina, gli ultimi lavori per la costruzione del- l’Arsenale militare, architetture cittadine, paesaggi e vedute dei dintorni della Spezia. (‘Les Favorites’ dell’Archivio Fotografico, Catalogo a cura di E. Cantelli. Comune della Spezia, 2006)

Il conte Lamotte risiedeva spesso e a lungo a Fivizzano nella sua casa (con portale di pietra se- rena e stemma scolpito) situata e tuttora esistente in via Giulia. Fu amabile corteggiatore dell’ultima dei conti Fantoni, Isabella (Isabellina), di Paolo e di Clementina Cellesi, che premorì ai genitori.

LORIS JACOPO BONONI

I Malaspina e la Sardegna. Documenti e testi dei secoli XII-XIV, a cura di ALESSANDRO SOD- DU, Centro di Studi Filologici Sardi, Cagliari, Cuec, 2005, pp. 620.

Il volume di Alessandro Soddu sul rapporto tra la famiglia lunigianese e la Sardegna è una col- lezione di documenti, editi e inediti, cui è corollario un ampio saggio introduttivo, che colma una la- cuna nel panorama degli studi storici sul medioevo nell’isola. È un merito indiscusso dell’Autore aver introdotto seriamente lo studio dell’azione dei Malaspina in Sardegna, regione dove la cono- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 353

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scenza della geografia toscana è a dir poco superficiale, nonostante si pretenda che i ricercatori peninsulari abbiano un approccio corretto con la geografia del territorio isolano. Egli si addentra nella contestualizzazione dell’investimento patrimoniale dei Malaspina in Sar- degna consentendo finalmente di superare l’acritica riproposizione dell’affermazione, indimostra- ta, dello storico cinquecentesco Fara che i Malaspina vi sarebbero sbarcati nel 1112 per fondare la città di Bosa. Soddu invece ritiene che i marchesi non abbiano esercitato un potere di banno nei pro- pri territori sardi almeno fino agli anni Sessanta del XIII secolo, nonostante che la loro presenza nel- l’isola sia attestata fin dai primi anni del Duecento. Vengono poste date certe entro cui attestare il possesso del patrimonio territoriale dei Malaspina, costituito dai castelli di Bosa e Osilo e dai di- stretti ad essi pertinenti: per il primo tra il 1301 e (forse) il 1317; per il secondo tra il 1301 e il 1355 de facto e il 1365 de iure. Entrambi i siti castrensi compaiono, menzionati esplicitamente, nell’in- ventario dei beni del defunto Opizzino Malaspina del 22 giugno 1301 (doc. 52). All’interno del quadro storico trecentesco da lui disegnato, Soddu imposta delle valide e con- vincenti linee di ricerca, tra le quali spicca primieramente l’analisi del tentativo di pervenire alla mas- sima carica istituzionale di un giudicato tramite matrimonio, sfiorato due volte per quanto riguar- da la Gallura: all’inizio del Duecento, quando Guglielmo Malaspina è proposto dal cognato, il giudice di Cagliari, marchese Guglielmo di Massa, a marito di Elena, erede legittima del giudicato; un seco- lo dopo, quando Opizzino Malaspina cerca invano di combinare il matrimonio del figlio Corradino con Giovanna Visconti, erede legittima dello stesso giudicato. Si rileva poi la volontà di non limitare le proprie aspirazioni territoriali ad un solo giudicato, come mostrano le operazioni di carattere, probabilmente solo finanziario, che Soddu delinea in ma- niera convincente, condotte nel 1282 da Corrado Malaspina “il Giovane” riguardanti l’acquisto e la repentina cessione allo stesso Brancaleone Doria dei castelli di Casteldoria e Castelgenovese e della curatorìa dell’Anglona. Vengono analizzate anche le modalità dell’organizzazione amministrativa dei possedimenti ter- ritoriali malaspiniani, con un governo esercitato in prima persona in corrispondenza degli eventi bel- lici, oppure delegato ad un vicario; una figura questa, sottolinea l’Autore, presente anche nei dominî lunigianesi e comune a tutte le signorie “italiane” in Sardegna. L‘amministrazione dei castelli di Bosa e Osilo risulta affidata ai relativi castellani, mentre a capo dei borghi che si sviluppano a ridosso delle due fortificazioni figurano podestà di nomina marchio- nale; un evidente indizio, propone Soddu, dell’evoluzione in senso comunale dei due centri castrensi, confermato dall’esistenza dei privilegi e statuti trecenteschi emanati dai Malaspina, in linea con quan- to avviene nei possedimenti continentali dei marchesi ed anche in altre parti dell’isola. La presenza di funzionari signorili e di possidenti di chiara origine ligure e lunigianese testi- monia un flusso migratorio connesso all’espansione dei Malaspina che deve aver contribuito allo sviluppo del tessuto socioeconomico locale, senza, però, confinare in un ruolo marginale l’aristo- crazia e il ceto medio autoctono. L’Autore segnala anche che la non contiguità dei due nuclei portanti della signoria malaspinia- na, Bosa e Osilo, replica la medesima mancanza di compattezza territoriale che caratterizza i posse- dimenti della famiglia nella Penisola ed è tra le cause della difficoltà del loro mantenimento, soprat- tutto alla luce della strategia della Corona Aragonese volta ad espellere in modo capillare qualsiasi presenza di “italianità” dalla Sardegna, avvalendosi per questo anche della concessione di feudi, estra- polati dai terreni già possesso dei Malaspina, a vassalli sardi come Alibrandino de Sori (doc. 562). Il volume è reperibile anche in formato digitale all’indirizzo http://www.filologiasarda.eu/pubblicazioni/index.php?sez=34&search=Soddu%20Alessandro

RAIMONDO PINNA Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 354

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Storia della Liguria, a cura di GIOVANNI ASSERETO e MARCO DORIA, Roma-Bari, Ed. Gius. Later- za & Figli, 2007, pp. 436.

Il volume Storia della Liguria fa parte della collana Storia e Società della casa editrice Later- za dove, in questi ultimi anni, erano già state pubblicate le storie di Sardegna, Puglia, Emilia-Roma- gna, Toscana, Veneto, Sicilia, Lombardia. Superata ormai da tempo quella corrente storiografica che voleva privilegiare la storia dell’Italia unita, si può guardare adesso con maggiore obiettività al fat- to incontrovertibile che ogni regione italiana affonda le sue radici in una sua vicenda peculiare, de- rivante in gran parte dal lungo frazionamento politico. Soprattutto dopo la costituzione delle regio- ni come organismi amministrativi con competenze sempre più ampie e finalizzate al governo del loro specifico territorio, la necessità di approfondire le istituzioni, l’economia, la società degli antichi Stati Regionali si è posta con grande evidenza. Questo spiega la scansione cronologica scelta per queste storie regionali, dove si privilegiano appunto gli anni che vedono la formazione di alcuni di quegli organismi politico-amministrativi che sono tipici dello stato moderno. Ogni testo, infatti, è di- viso in due parti omogenee per numero di saggi e di pagine, tuttavia mentre la prima deve coprire il lungo lasso di tempo che intercorre tra le origini e il Sei/Settecento, la seconda tratta solo gli ultimi due o tre secoli. Anche la struttura della Storia della Liguria segue questo schema. Le difficoltà e lo squilibrio che potevano nascere da un divario così forte nello spazio dedicato ad ogni ambito cro- nologico sono però brillantemente risolte dal taglio dato a questo volume diviso in singole tratta- zioni di argomenti circoscritti, esposti in modo sintetico ma esauriente, non appesantiti dall’inseri- mento di note (la cui assenza non ne sminuisce affatto il rigore scientifico) e con un essenziale apparato bibliografico. I due curatori Giovanni Assereto (docente di Storia moderna nell’Università di Genova) e Marco Doria (che insegna Storia economica nella stessa Università) hanno infatti raggruppato i saggi in due ampie sezioni: dalle origini al Settecento e dall’Ottocento ad oggi. Scelta che anche qui denuncia la focalizzazione dell’interesse per i secoli dell’età moderna e contempora- nea. Nel primo dei dieci studi in cui si articola la parte iniziale, Maria Gabriella Angeli Bertinelli (Da Liguri a Romani) parte dalle origini più remote, quando le prime tribù liguri si trovavano stanzia- te in un territorio ben più esteso dell’odierna Liguria, per giungere all’età tardo antica dove già si fa evidente il predominio di Genua. Predominio che si viene sempre più rafforzando per terra e per mare tra i secoli V e XIII, come evidenzia con chiarezza e rigore Valeria Polonio (Dalla margina- lità alla potenza sul mare: un lento itinerario tra V e XIII secolo). I due saggi successivi di Riccardo Musso e di Carlo Bitossi tracciano alcuni momenti dell’assetto politico della Liguria, ma soprattut- to di Genova, tra XIV e XVI secolo. Il primo espone le turbinose vicende dei dogi e delle dominazio- ni straniere dal tempo di Simon Boccanegra alla riforma costituzionale di Andrea Doria (La tiran- nia dei Cappellazzi. La Liguria tra XIV e XVI secolo). Il secondo si sofferma sui mutamenti sociali e politici determinati dalla costituzione della Repubblica oligarchica fino all’ultimo quarto del Cin- quecento, quando sono trasferite a Piacenza le fiere di cambio dette “di Bisenzone” (L’età di Andrea Doria). Sempre Carlo Bitossi nel lavoro successivo pone l’attenzione sulle istituzioni e gli indirizzi di politica interna ed estera di Genova fino alla fine della Serenissima Repubblica (La Repubblica di Genova: politica e istituzioni). Ai problemi economici della regione sotto la Dominante sono de- dicati i lavori di Luca Lo Basso e Paola Massa. Il primo è esperto di storia navale all’epoca delle ga- lee e dei vascelli, sulle cui caratteristiche e funzioni legate al commercio si sofferma con precisio- ne e acutezza (Economie e culture del mare: armamento, navigazione, commerci); la seconda, studiosa delle strutture economiche della Repubblica aristocratica, analizza tra l’altro i tipi di col- tivazioni sulle pendici collinari e sulle fasce costiere e i mutamenti legati al diffondersi del lavoro femminile nelle manifatture tessili sorte nelle campagne (Una economia di frontiera tra terra e mare). Sempre legato all’economia, ma più indirizzato al mondo della finanza, è il contributo di Giu- Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 355

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seppe Felloni (Le attività finanziarie), dove si evidenziano le operazioni finanziarie delle grandi famiglie, la diffusione dell’esercizio dell’usura, la nascita dei primi Monti di pietà e dei Monti delle castagne e del grano finalizzati a far superare ai ceti meno abbienti i momenti di più grave carestia. Si passa poi in tutt’altro campo con Rodolfo Profumo, che percorre con una rapida ma efficace carrellata le caratteristiche urbanistiche e architettoniche delle città e dei borghi a partire dal me- dioevo (il porticato di Ripa a Genova, la palazzata di Portovenere, la struttura edilizia di Chiavari, ecc.) fino a tutto il Settecento. Una speciale attenzione attribuisce alla fondazione di Strada Nuova e di via Balbi, vero spartiacque nella concezione del modo di abitare delle grandi famiglie patrizie genovesi (L’intreccio delle culture figurative in Liguria: committenze, artisti e pubblico). Torna Valeria Polonio per l’ultimo saggio della prima parte. Coerentemente con l’indirizzo prevalente dei suoi studi, si occupa delle strutture ecclesiastiche sparse su tutta la regione, anche sui più piccoli isolotti dove sorgevano ricchi e potenti monasteri. Dal medioevo giunge alla riorganizzazione ec- clesiastica successiva al Concilio di Trento e a quella effettuata nel corso del Seicento dal vescovo Stefano Durazzo, per concludere con una sintetica descrizione dei confini della provincia ecclesia- stica (Strutture ecclesiastiche e vita religiosa dalla tarda antichità al secolo XVIII). Gli undici sag- gi della seconda parte del libro si caratterizzano come abbiamo detto per un respiro più ampio e articolato. Nei primi studi sono esposte da Elisabetta Tonizzi le vicende politiche dalla fine della Re- pubblica democratica ai nostri giorni (Dalla Repubblica Ligure all’Unità d’Italia (1797-1861); Dal- l’Unità alla Grande guerra; Dall’avvento del fascismo alla seconda guerra mondiale; Politica ed elezioni tra ricostruzione e nuovo secolo), mentre tre saggi di Musso approfondiscono le proble- matiche legate all’economia e all’industrializzazione (Da un’economia di antico regime all’indu- strializzazione; “Economia mista” e deindustrializzazione; L’economia del mare: le navi e i por- ti). Seguono i quattro contributi finali di argomento eterogeneo, ma tutti legati a problemi attuali ancora in gran parte irrisolti e in continua evoluzione. Si comincia con l’analizzare il valore del paesaggio, un tema di grandissima attualità e argomento di numerosi convegni e dibattiti. Lo esa- mina Bruno Giontoni dagli anni dell’Antico Regime fino al secondo dopoguerra (I paesaggi della Li- guria tra Ottocento e Novecento). La storia delle istituzioni religiose e la religiosità messa in rap- porto con le vicende politiche ed economiche sono riprese da Giovanni Varnier che puntualizza le principali tappe dei rapporti tra stato e chiesa, dalle soppressione napoleoniche ai nostri giorni, con particolare attenzione dell’inserimento all’associazionismo cattolico nel mondo operaio (Chiesa e religiosità nella Liguria contemporanea: diocesi e vita religiosa). Il tema del “grand tour” che toc- cava come prima tappa Genova e il Ponente è svolto da Marco Doria fino al sorgere delle nuove con- traddizioni legate al turismo di massa (Vacanze in Liguria. Dal “grand tour” alle seconde case). Le caratteristiche peculiari in Liguria dell’andamento demografico, per la presenza nelle città indu- strializzate di grandi masse operaie, è trattato nell’ultimo saggio da Paolo Arvati (Il caso demogra- fico ligure), dove si giunge ad evidenziare le conseguenze della massiccia immigrazione straniera di questi ultimi anni e del diffondersi dei matrimoni misti, fonte di nuovi e imprevedibili fattori di mu- tamento sociale e culturale. Al termine della disanima dei singoli scritti si può ribadire che il volu- me appare un esempio ben riuscito di come sia possibile conciliare il pregio di una lettura agile e pia- cevole ad un buon livello scientifico e di come un’attenta direzione dei curatori sia riuscita a ottenere una sostanziale uniformità, sia nel taglio espositivo che nello spazio concesso ai singoli saggi. Infi- ne una notazione (spero non dettata da spirito campanilistico): durante la lettura si è avvertita tal- volta la mancanza di una maggiore attenzione all’estrema riviera di levante, i riferimenti infatti alla zona orientale della Liguria, già di per sé non molto frequenti, si fermano spesso alla zona del Ti- gullio e del territorio di Chiavari

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INDICE

ELIANA M. VECCHI (Presidente della Sezione Lunense dell’Istituto Internazio- nale di Studi Liguri), Premessa al volume...... pag. 7

PRESENTAZIONI

MARZIO FAVINI, Sindaco del Comune di Castelnuovo Magra...... »13 GIORGIO BAUDONE, PAOLA MORO, Comune di Castelnuovo Magra...... »14 L. J. B., Ricordare Dante...... »15

IL NOSTRO DANTE E IL DANTE DI TUTTI 1306-2006 Atti del Convegno Castelnuovo Magra, 6 ottobre 2006

LA PACE DI CASTELNUOVO MAGRA. LA DOCUMENTAZIONE ARCHIVISTICA FRA STORIA E RESTAURO

GIUSEPPE BENELLI (Università di Genova), L’identità lunigianese nelle cele- brazioni dantesche del 1906 e del 2006...... »21

ANTONINO FARO (Archivio di Stato della Spezia), L’importanza dei documen- ti notarili custoditi negli Archivi di Stato. L’occasione per un viaggio nel- l’evoluzione storica del documento notarile...... »39

ELIANA M. VECCHI (Istituto Internazionale di Studi Liguri, Sezione Lunense), «Ad pacem et veram et perpetuam concordiam devenerunt»: il cartulario del notaio Giovanni di Parente di Stupio e l’instrumentum pacis del 1306...... »69 Appendice: Le vicende del cartulario di Giovanni di Parente di Stupio e l’Archivio Notarile Distrettuale di Sarzana...... » 179

MARCO SASSETTI (Università di Genova), Metodologia per il restauro conser- vativo. L’esempio della “Pace di Dante”...... » 195

TRADIZIONE E FORTUNA UNIVERSALE DI DANTE ALIGHIERI

EGIDIO BANTI (già Senato della Repubblica Italiana), Introduzione alla se- conda sessione...... » 215

JEAN-CHARLES VEGLIANTE (CIRCE - Université Sorbonne Nouvelle, Paris III ), Qualche eco della Commedia in francese sette secoli dopo...... » 217 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 357

357

H. WAYNE STOREY (University of Indiana), Dante si è fermato a Genova...... » 229

FEDERICO SANGUINETI (Università di Salerno), Dante nostro contemporaneo...... » 241

KUNIKO TANAKA (Università di Bergamo), Dante nella cultura giapponese...... » 249

«... SCIAS QUOD EGO FUI SUCCESSOR PETRI ... ». INTORNO AD ADRIANO V ED AL CANTO XIX DEL PURGATORIO

GIUSEPPE INDIZIO (Società Dantesca Italiana), Adriano V in Dante e nel seco- lare commento. Leggenda e storia nel canto XIX del Purgatorio...... » 267

DANIELE CALCAGNO (Istituto di Studi sui Conti di Lavagna), In merito alla “con- versione” di Ottobuono Fieschi – Adriano V...... » 281

MARINA CAVANA (Istituto di Studi sui Conti di Lavagna), Ottobuono Fieschi – Adriano V: la raffigurazione e l’immagine...... » 297

MALASPINIANA

LORIS JACOPO BONONI (Museo della Stampa “Jacopo da Fivizzano”), Giovanni Manzini di Fivizzano e l’Inferno di Dante. La più antica testimonian- za scritta di una consapevolezza dantesca in Lunigiana?...... » 323

ALESSANDRO SODDU (Università di Sassari-Istituto Internazionale di Studi Li- guri, Sezione Lunense), I Malaspina fra Lunigiana, Lucca e Sardegna... » 341

RECENSIONI...... » 351 Book Dante7bISNUOVO6 31-01-2011 9:55 Pagina 358