SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 – Roma

TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

IL FENOMENO DELL’INGLESE COME LINGUA FRANCA E UNIVERSALE

RELATORI: CORRELATORI: Prof.ssa Adriana Bisirri Prof.ssa Marilyn Scopes Prof.ssa Luciana Banegas Prof.ssa Claudia Piemonte

CANDIDATA:

Valentina Pece

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

1

Tutte le nostre lingue sono delle opere d'arte.

Jean-Jacques Rousseau

2

3

SOMMARIO

SEZIONE ITALIANA………………………………………………………….11

INTRODUZIONE ...... 12

CAPITOLO 1 ...... 15

ALLA RICERCA DI UNA LINGUA UNIVERSALE...... 15

1.TERMINOLOGIA E CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE PIANIFICATE ...... 17

1.1 Lingue artificiali e naturali, lingue a priori, a posteriori e miste ...... 20

1.2 Interlinguistica e Pianificazione linguistica ...... 23 1.3 Classificazione delle lingue artificiali ...... 26

2.ALLA RICERCA DI UNA LINGUA UNIVERSALE...... 27

2.1.Dall’età antica al Medioevo ...... 27

2.2 .Dalle lingue filosofiche del Seicento alle lingue contemporanee ...... 30

CAPITOLO 2 ...... 34

L’INGLESE COME LINGUA FRANCA E INTERNAZIONALE ...... 34

1.LA VISIONE DI OTTO JESPERSEN ...... 38

2.LA LINGUA FRANCA ...... 41

2.1 Classificazione delle lingue franche ...... 43

3. L’INGLESE, LINGUA FRANCA PER ECCELLENZA ...... 45

3.1 Tra il sostegno e l’opposizione dei linguisti ...... 46

4

4.ESPANSIONE: IL PARADOSSO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA LINGUA 49

4.1 I modelli di riferimento linguistico ...... 51

4.2 Quale inglese insegnare ...... 53

CAPITOLO 3 ...... 54

IL SUCCESSO DELL’INGLESE NEL XX SECOLO: ...... 54

DAI MEDIA ALL’AIRSPEAK ...... 54

1.AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO ...... 54

2. L’AIRSPEAK ...... 57

2.1 Etimologia del termine ...... 58

3.IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE EFFICACE NELL’AVIAZIONE ...... 59

3.1 Forme di comunicazione nell’aviazione ...... 62

3.1.1 Comunicazione scritta ...... 62

3.1.2 Comunicazione orale ...... 63

3.1.3 Comunicazione non-verbale ...... 64

3.1.4 Comunicazione grafica e computerizzata ...... 65

3.2 FRASEOLOGIA ...... 65

4.INCIDENTI AEREI CAUSATI DA INCOMPRENSIONI LINGUSITICHE ...... 69

5

4.1. Disastro aereo di Tenerife ...... 69

CONCLUSIONI ...... 73

ENGLISH SECTION…………………………………………………………...76

INTRODUCTION ...... 77

CHAPTER 1 ...... 80

IN SEARCH OF A LANGUAGE ...... 80

1.Terminology and classification of planned languages ...... 81

1.1 Artificial and natural languages, a priori, a posteriori and mixed languages

...... 83

1.2 Interlinguistics and Linguistic Planning ...... 85

1.3 Classification of artificial languages ...... 86

2. In search of a ...... 87

2.1 From the ancient age to the Middle Ages ...... 87

2.2 From the seventeenth century philosophical languages to contemporary

languages ...... 89

CHAPTER 2 ...... 92

ENGLISH AS A LINGUA FRANCA AND INTERNATIONAL LANGUAGE.

……………………………………………………………………………………92

1.Lingua Franca ...... 94

1.1 Classification of lingua francas ...... 96

2. English, lingua franca par excellence ...... 97

6

2.1 Support and opposition of linguists...... 98

3.Expansion: the paradox of internationalization of language ...... 100

3.1 Models of linguistic reference ...... 102

3.2 Which English should we teach?...... 104

CHAPTER 3……………………………………………………...……….…...105

THE SUCCESS OF ENGLISH IN THE 20TH CENTURY:…………...……105

FROM THE MEDIA TO THE ARISPEAK………………………………...... 105

1. In the right place at the right time ...... 105

2. The Airspeak ...... 106

2.1 Etymology of the term ...... 107

3.Importance of effective communication in aviation ...... 108

3.1 Forms of communication in aviation ...... 109

3.1.1 Written communication ...... 109

3.1.2 Oral communication ...... 109

3.1.3 Non-verbal communication ...... 110

3.1.4Graphic and computerized communication ...... 110

3.2 Phraseology ...... 111

4.Air accidents caused by lingusitic misunderstandings ...... 112

4.1. Air disaster of Tenerife...... 112

CONCLUSIONS………………………………………………………………..…...114

7

SECCIÓN ESPAÑOLA…………………………………………………….....116

INTRODUCCIÓN ...... 117

CAPÍTULO 1 ...... 119

EN BUSCA DE UN IDIOMA UNIVERSAL ...... 119

1. Terminología y clasificación de las lenguas planificadas…………...…..119

1.1 Idiomas artificiales y naturales, a priori, a posteriori y mixtos ...... 120

1.2 Clasificación de idiomas artificiales ...... 121

2. En busca de un leguaje universal………………………………………....121

2.1 Desde la antigüedad hasta la Edad Media ...... 121

2.2 Desde los lenguajes filosóficos del siglo diecisiete a los idiomas contemporáneos ...... 122

Capitulo 2 ...... 124

INGLÉS COMO LINGUA FRANCA Y LENGUA INTERNATIONAL .... 124

1.Lengua Franca ...... 125

1.1 Clasificación de la lengua franca ...... 126

2. Inglés, lengua franca por excelencia ...... 127

2.1 Entre el apoyo y la oposición de los lingüistas ...... 128

3. Expansión: la paradoja de la internacionalización del lenguaje ...... 129

3.1 Modelos de referencia lingüística ...... 130

8

3.2 ¿Qué inglés enseñar? ...... 131

Capítulo 3 ...... 132

EL ÉXITO DEL INGLÉS EN EL SIGLO XX: DE LOS MEDIOS A EL AIRSPEAK ...... 132

1. En el lugar correcto en el momento oportuno ...... 132

2. El Airspeak ...... 133

2.1 Etimología del término ...... 133

3. Importancia de la comunicación efectiva en aviación ...... 134

3.1 Formas de comunicación en aviación ...... 134

3.1.1 Comunicación escrita ...... 134

3.1.2 Comunicación oral ...... 135

3.1.3 Comunicación no verbal ...... 135

3.1.4 Comunicación gráfica e informatizada ...... 135 3.2 Fraseología ...... 136

4. Accidentes aéreos causados por malentendidos lingusíticos ...... 137

4.1. Desastre aéreo de Tenerife ...... 137

CONCLUSIONES ...... 138

BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………140

SITOGRAFIA…………………………………………………………...…….143

9

10

Sezione italiana

11

INTRODUZIONE

Il mito della torre di Babele rappresenta ormai lo stereotipo dell’immensa va- rietà linguistica, avendogli da sempre attribuito un valore alquanto negativo, ovvero una condanna a dover vivere in un mondo dove i popoli sono separati, tra le altre cose, anche dalla molteplicità delle lingue. La presenza di migliaia e migliaia di lingue diverse è vissuta, nella nostra cultura e forse anche a partire dall’esperienza quotidiana, come una condizione svantaggiosa che penalizza i rapporti tra le per- sone. In realtà, la sua interpretazione contemporanea è molto diversa da questa: il messaggio del testo che si può evincere sarebbe quello della ricchezza culturale di cui ogni lingua è portatrice; l’intenzione di Dio, nel racconto, non è quindi quella di punire l’arroganza dell’uomo che vuole arrivare fino al cielo, ma piuttosto quella di proteggere la particolarità linguistico-culturale di ogni nazione e la ricchezza che deriva dalla naturale diversità delle lingue. Eppure, ancora oggi prevale un’idea ne- gativa di questo mito, un senso di condanna legato alla constatazione della presenza di tante lingue diverse che separano e non permettono di comunicare. È vero, infatti, che nella nostra società globale si percepisce in maniera rilevante la difficoltà di comunicare con persone che abitano al di fuori del nostro Paese. Ma anche in pas- sato era viva l’esigenza di una lingua unica, universale, con la quale potersi espri- mere.

Allora come oggi sono state adottate diverse strategie per affrontare questo problema: la funzione che oggi svolge l’inglese è infatti paragonabile a quella del latino nell’età antica, medievale e moderna. In passato si sono cercate anche delle alternative che fossero addirittura più efficaci dal punto di vista comunicativo e

12 dell’apprendimento: si tratta delle lingue artificiali, alcune delle quali costruite in base a lingue naturali esistenti.

Molti di questi tentativi linguistici sono caduti nel vuoto, mentre in qualche caso hanno dato origine a lingue ausiliarie che sono sopravvissute per un certo pe- riodo. Una di queste, l’, elaborata verso la fine dell’Ottocento, è tuttora parlata e usata da qualche milione di persone. Si tratta di una lingua nata per essere utilizzata come lingua franca, universale, internazionale, e per permettere quindi di comunicare facilmente in tutto il mondo tra persone di lingua madre diversa: un’unica seconda lingua per tutti. Nonostante questo progetto ambizioso, l’espe- ranto non è ancora diventato una lingua universale. Tuttavia la sua diffusione e la facilità della sua grammatica la rende ancora oggi una lingua interessante e dalle grandi potenzialità che potrebbe aspirare ad assumere il ruolo che oggi ricopre l’in- glese. Ma a questo ideale di universalità corrisponde anche una struttura gramma- ticale tale da renderla effettivamente apprendibile da parte di qualsiasi madrelin- gua? La grammatica, e in particolar modo, la morfologia che la caratterizzano, ri- spettano l’universalità del linguaggio che contraddistingue ogni lingua generatasi naturalmente? Questo è il quesito posto non solo nei confronti dell’esperanto, ma di qualsiasi lingua artificiale che aspiri ad affermarsi globalmente e a porre l’inglese in secondo piano, ambizione quasi utopica al giorno d’oggi.

L’obiettivo che ci prefiggiamo con questo elaborato è quindi quello di verifi- care quanto l’inglese sia effettivamente affermato e ramificato nella stragrande maggioranza dei settori, e se questo primato sia destinato a regnare incontrastato ancora per molti decenni.

13

A questo scopo, nel primo capitolo presenteremo la nascita e la storia delle varie lingue artificiali create nel corso del tempo, all’interno di una questione molto più ampia e articolata: la ricerca di una lingua universale. Dopo aver chiarito il significato di concetti come lingua “artificiale”, “ausiliaria”, “universale”, “a priori”, “a posteriori”, “pianificata”, nonché quelli di “glottoteta” e “pianificazione linguistica”, proporremo una classificazione delle lingue artificiali e proseguiremo illustrando i momenti più importanti della storia della ricerca di una lingua univer- sale, a partire dall’età antica fino al secolo scorso.

Il secondo capitolo sarà incentrato sul ruolo che ricopre oggi l’inglese in quanto prima lingua franca più utilizzata a livello mondiale e ciò che ne comporta; inizieremo analizzando il termine “franca”, e una classificazione dei vari gruppi esistenti; continueremo con la diffusione dell’inglese nel mondo e di come questo abbia creato una disappropriazione e deculturizzazione per i parlanti nativi e la na- scita di nuove forme anglofone, diverse dallo standard.

Nel terzo capitolo, infine, avendo sempre la lingua inglese come protagonista, si parlerà del suo impatto dal XX secolo ai giorni nostri, con l’avvento della globa- lizzazione e dei media, e di come si sia ramificato in quasi tutti i settori, ponendo una particolare analisi sul mondo dell’aviazione e come sia proprio l’inglese un’arma a doppio taglio durante le comunicazioni aeree, mettendone quindi in di- scussione il ruolo di lingua ausiliaria universale.

Potremo così trarre alcune conclusioni circa il futuro di questa lingua franca, se avrà luogo un suo eventuale declino a favore dei nuovi “giganti” dell’economia mondiale (arabo e cinese), o rimarrà un fenomeno immutato nel tempo.

14

Capitolo 1

ALLA RICERCA DI UNA LINGUA UNIVERSALE

Sin da quando se ne ha memoria, attraverso lo studio delle nozioni storiche o delle lingue stesse durante gli anni scolastici, è interessante notare come si è sempre ricercata una lingua universale e unitaria, che ogni grande impero o regno conquistatore ha sempre voluto imporre per affermare ed espandere la propria cul- tura e il proprio dominio nel mondo. L’Europa ne è l’esempio lampante: la storia

è iniziata da qui, da uno dei continenti più piccoli ma con una diversità e valore culturale senza eguali. Nel Vecchio Continente si parlano 24 lingue ufficiali, anche se, come recentemente riportato dal sito dedicato alla Giornata europea delle lin- gue, gli idiomi indigeni europei sarebbero 225, circa il 3% del totale mondiale1.

Un dato non indifferente, a causa dell’enorme affluenza degli ultimi anni di mi- granti e rifugiati provenienti dall’Africa e Medio Oriente, che ha trasformato le grandi metropoli in veri e propri centri multilingue; solo nella città di Londra, in- fatti, si parlano 300 lingue (arabo, turco, curdo, berbero, hindi, punjabi, ecc.). A queste minoranze, si sommano gli innumerevoli dialetti e sfumature delle lingue ufficiali, che caratterizzano l’evoluzione di questi paesi e, in particolare, dell’Ita- lia. Questa è di certo una ricchezza che rispecchia appieno il motto dell'Unione

Europea, "Uniti nella diversità". Ma se si vuole davvero il consolidamento di una democrazia europea reale e non solo di facciata converrebbe dotarsi di uno stru- mento linguistico comune. E ciò è sostenuto fermamente dal linguista Tullio De

Mauro nel suo libro "In Europa son già 103". La questione della lingua non rientra

1 Cfr. https://edl.ecml.at/

15 esclusivamente all’interno dei confini europei, ma è di affare mondiale. Le lingue attualmente parlate a livello mondiale sarebbero infatti più di 7000; di queste, 920 stanno morendo ma, come riporta Burney citando Cailleux, “per ogni lingua che si estingue, ne nascono due od una e mezza”2. Questa “confusione” che può be- nissimo collegarsi metaforicamente al mito della torre di Babele, più che una ric- chezza è piuttosto considerata un ostacolo: rende assai difficile le comunicazioni e gli scambi internazionali in un mondo sempre più globalizzato, in cui molti emi- grano dal proprio Paese di origine e in cui la possibilità di viaggiare in modo ve- loce accorcia enormemente le distanze geografiche. La difficoltà di comunica- zione porta ad uno spreco di energie, tempo e denaro, ostacolando il dialogo diretto e aumentando le incomprensioni. Anche se il contesto europeo risulta assai limi- tato (rispetto a quello mondiale), l’esigenza di una lingua unica per poter comuni- care con persone che parlano una lingua diversa si fa sempre più urgente e pres- sante, urgenza che non si è placata neanche con l’affermazione dell’inglese, la quale ha apparentemente assunto a tutti gli effetti la funzione di lingua universale.

Ciò non comporterà, come molti temono e criticano, e come lo stesso De Mauro sostiene, ad un impoverimento del proprio bagaglio culturale e linguistico; ne è un esempio l'Italia, nella quale la lingua italiana convive pacificamente con i dialetti delle singole regioni. O ancora meglio l'India, in cui l'inglese, lingua ufficiale, non ha certo cancellato le tantissime lingue locali parlate dalla popolazione.

In questo capitolo, perciò, verrà attuata un’accurata descrizione e classifica- zione delle lingue naturali e “create” dall’uomo nel corso dei secoli, sottolineando i motivi che hanno scaturito la loro invenzione e applicazione.

2 CAILLEUX, André , Bull. Soc. Préhistoire français, 1953, p. 508, cit. in P. Burney, Le lingue internazionali, R.A.D.A.R., Padova 1969, p. 7.

16

1. Terminologia e classificazione delle lingue pianificate

L’origine del linguaggio umano è stata da sempre oggetto di interesse e con- troversie, per il mistero e il fascino che porta con sé, e soprattutto per la mancanza di tracce “fossili” che ne spieghino l’origine. Perché per molti il racconto di Babele non è credibile? In poche parole, perché è in contrasto con certe teorie sull’origine del linguaggio. Ad esempio, alcuni esperti credono che i gruppi di lingue non siano comparsi all’improvviso, bensì che si siano evoluti gradualmente da un’unica “lin- gua madre”. Altri teorizzano l’esistenza di diverse “lingue madri” che si sviluppa- rono separatamente, passando da semplici grugniti a linguaggi articolati. Dubbi che hanno infine portato nel 1866 la Società Linguistica di Parigi a mettere al bando le discussioni sull’origine della lingua, considerata un problema irrisolvibile.

In generale, tutte le ipotesi fanno capo a due differenti teorie sull'origine del linguaggio umano: una che lo considera una facoltà innata nell’uomo, mentre l’altra un’abilità appresa3, ma non è questa la sede in cui si discuterà della questione.

Quel che è certo è che l’uomo ha sviluppato determinate capacità cognitive e linguistiche proprio grazie alla sua continua interazione con gli altri parlanti, fino a riconoscere la sua unicità e imparando a sfruttarla testando i suoi limiti e i suoi bisogni.

L'idea che una lingua riesca a produrre e riconoscere un numero potenzial- mente infinito di frasi partendo da un numero finito di parole e di regole sintattiche si ritrova già nel XVII secolo, in cui il linguaggio è visto come una «meravigliosa invenzione capace di comporre con venticinque o trenta suoni un'infinita varietà di

3 Cfr. BOUCHARD, Denis, The nature and origin of language, Oxford, Oxford University Press, 2013, pp. 8-58

17 parole»4. Proprio grazie a questa estrema libertà che si ha a disposizione, è possibile inventare parole (neologismi) e lingue inesistenti. È interessante notare come alcuni neologismi siano entrati nel linguaggio comune. Un solo esempio. Nell'ope- retta El joven Telémaco (1886) dello scrittore spagnolo Eusebio Blasco (1844-

1903), il coro canta questo ritornello composto di parole senza senso:

Suripanta, la suripanta, / maqui, trunqui da somatén. / Sun fáribum, sun fári- ben, / maca trúpitem sangasinem. / Eri sunqui, / maca trunqui, / suripantén. / ¡ Su- ripén! / Suripanta, la suripanta, / melitonimen. ¡Son pen!

In seguito la parola "suripanta" è entrata nel vocabolario spagnolo, ad indicare inizialmente le coriste di teatro e poi le donne di facili costumi.

Con il termine lingua artificiale o inventata, o con il suo più recente termine inglese conlangs (Constructed Languages)5 si intende:

[…] una lingua «fittizia», cioè non naturale, dove l'attributo «naturale» sta a indicare una lingua formatasi attraverso un processo storico ben determinato e il cui apprendimento avviene per trasmissione orale dai genitori e dall'ambiente circostante. Per alcuni studiosi la differenza fra lingue naturali e artificiali risiede nel fatto che le prime sono il risultato di una «produzione incosciente», mentre le seconde scaturiscono da un «atto cosciente». Co- munque sia possiamo definire «immaginaria» ogni lingua di tipo artificiale, frutto dell'ela- borazione a tavolino di una o più persone, non necessariamente appartenenti alla categoria dei «linguisti di professione» (gli inventori di lingue ausiliarie internazionali, tipo Espe- ranto o Volapük, sono ad esempio, eccetto qualche raro caso, come quello del linguista

4 CHOMSKY Noam, La grammatica generativa trasformazionale. Saggi linguistici vol. II, Torino, Boringhieri, 1970, p. 48. 5 Cfr. http://conlang.org/, un portale dedicato alle lingue inventate, dove è possibile consultare la Conlanger’s Library, «a compilation of articles, books, educational materials, films, internet re- sources, and much, much more relating to constructed languages (conlangs) and those who con- struct them (conlangers)», e una «timeline of the history of conlangs going back to Ancient Greece». Vi è inoltre una pagina ( http://conlang.wikia.com/wiki/Create_a_Language ) che mette a disposizione vari strumenti, guide, istruzioni, cataloghi ecc, a chiunque voglia improvvisarsi con- langer e creare la propria lingua immaginaria

18 danese Otto Jespersen, per la maggior parte medici, ingegneri, matematici, sacerdoti, av- vocati, maestri di scuola, poveri cristi, ecc.).6

Secondo Albani dunque, scrittore e poeta visivo, non bisogna essere esperti di lingue o linguistica per poter creare una lingua, ed esistono infatti moltissimi siti online che permettono di condividere amatorialmente le proprie creazioni7.

Nonostante questo, senza delle competenze concrete, si rischia di ricreare semplicemente un codice della propria lingua madre, ossia, prendendo come esem- pio l’italiano, modificarlo aggiungendo solamente qualche parola differente. Perciò le competenze di base per poter creare una lingua artificiale diversa dall'italiano sono:

 Conoscenza della grammatica di qualche lingua diversa dall'italiano

(anche una lingua regionale)

 Conoscenza base della fonetica

 Piccole conoscenze linguistiche generali

Possono essere utili:

 Conoscenze linguistiche più approfondite

 Conoscere l'IPA8

 Conoscere bene tante lingue

6 ALBANI, Paolo, Gerghi immaginari e lingue perfette, intervento all’interno del ciclo di incontri su "La comunicazione, volti e forme: i gerghi", Centro Studi e Ricerche sulla Comunicazione di- retto da Giovanni Manetti, 8 agosto 2000, disponibile all’indirizzo http://www.paoloalbani.it/Ger- ghi.html 7 www.zompist.com/ikit.html Home Page del The Language Construction Kit- Zompist

8 Alfabeto fonetico dell'Associazione fonetica internazionale

19

1.1 Lingue artificiali e naturali, lingue a priori, a posteriori e miste

L’arte di creare dei linguaggi artificiali è chiamata glossopoiesi,

dal greco glossa (parola) e pòiesis (creazione). Gli autori di tali lingue

artificiali vengono chiamati glottoteti o glossopoeti (sottolineando l'a-

spetto artistico e creativo del loro operato), e sviluppano la fonetica,

l’ortografia, la morfologia, la sintassi e il lessico di qualsiasi lingua ab-

biano intenzione di creare. Esse si distinguono in lingue artistiche o im-

maginarie (utilizzate all’interno di opere artistiche, letterarie o cinema-

tografiche, come quelle di J. R. R. Tolkien o quelle di Star Trek), logico-

filosofiche (progettate per permettere, o far rispettare, affermazioni

prive di ambiguità) e ausiliarie. Queste ultime sono le più numerose e

sono create con lo scopo di permettere a persone di differenti nazioni e

lingue di comunicare tra di loro. In proposito si parla più spesso di “lin-

gue ausiliarie internazionali” (abbreviate con l’acronimo italiano LAI o

LIA, o con quello inglese IAL), espressione che può designare sia lingue

artificiali che naturali.

Le lingue immaginarie possono essere suddivise in due grandi ae-

ree. Da un lato abbiamo quelle il cui fine, di carattere sacro, è "comuni-

care" con il divino o comunque di dar voce ad un mondo spirituale non

rappresentabile con il linguaggio ordinario: è il caso delle lingue magi-

che, divinatorie, ecc.. Il "balaibalan", lingua segreta a carattere artifi-

ciale creata negli ambienti mistici islamici intorno al XV secolo, è se-

condo il Bausani "la prima e vera lingua inventata del mondo colto (a

20

parte le lingue segrete primitive)"9 Dall'altro si collocano quelle il cui

fine è invece di carattere non sacro, ovvero hanno principalmente uno

scopo ludico, di intrattenimento. La motivazione ludica e sacrale non è

certo l'unica: molto spesso ci sono motivazioni "laiche" e "utilitaristi-

che". Nelle intenzioni di molti creatori il loro progetto di lingua artifi-

ciale deve facilitare la comunicazione tra parlanti nativi di lingue di-

verse, senza favorire né l'uno né l'altro (lingue ausiliarie). Tutte queste

motivazioni hanno spesso in comune un scopo velato di utopismo:

“[…] l'utopia di una lingua perfetta, "priva di falsità ed errori", ca-

pace di rispecchiare la struttura logica della mente umana, l'utopia di una

religione che unifichi i popoli della terra, di una fratellanza universale

che renda gli uomini più buoni e solidali fra loro, l'utopia di un mondo

futuro che si auspica migliore di quello esistente. Spesso la costruzione

di una "nuova lingua" racchiude in sé queste sollecitazioni utopiche. È

il caso della lingua di Utopia, mitica isola descritta da Thomas More nel

suo libro del 1516: in una repubblica dove regna la democrazia e la tol-

leranza, specchio di un mondo perfetto dove la guerra, la pena di morte

e la proprietà privata sono i mali peggiori da evitare, è giocoforza che

anche il linguaggio rifletta tanta perfezione. Ed infatti l'alfabeto usato

nell'isola è "utopico", vagamente simile al persiano, a quei tempi lin-

gua sapienziale per eccellenza.”10

9 Bausani, 1974, pp. 89-97 10 ALBANI, Paolo, “Al Barildim Gotfano. Creatività linguistica e lingue immaginarie”, Parol on- line, aprile 1998.

21

Continuando con la terminologia, si dice “a posteriori” una lingua

costruita a partire da una o più lingue naturali come fonti; la lingua “a

priori”, invece, viene creata “dalle fondamenta” senza avvalersi di al-

cuna lingua naturale. Nelle lingue “miste”, infine, vi sono sia elementi

delle lingue a priori sia di quelle a posteriori. In realtà non esistono lin-

gue veramente e totalmente a priori, in quanto per un essere umano è

impossibile creare una lingua senza essere influenzato dalla propria

competenza linguistica, anche fosse solo relativamente alla fonetica; si-

milmente, quelle a posteriori non sono pure in quanto contengono sem-

pre qualche elemento di quelle a priori11.

11 Cfr. LIBERT, Alan, Mixed Artificial Languages, Lincom Europa, Munchen 2003, p. 1.

22

1.2 Interlinguistica e Pianificazione linguistica

L'interlinguistica è la branca della linguistica che studia ogni aspetto della

comunicazione linguistica tra persone che non possono, o non vogliono, farsi

capire per mezzo delle proprie lingue materne. Essa studia come le lingue etni-

che e le lingue ausiliarie (lingue franche e lingue pivot 12) si comportano in tali

situazioni.

La prima documentazione dell'uso del termine risale ad un testo del 1911,

relativo alle lingue ausiliarie internazionali, del belga Jules Meysmans. È diven-

tato d'uso più frequente in seguito ad una conferenza del linguista danese Otto

Jespersen al "2º Congresso Internazionale dei Linguisti" nel 1931. Secondo Je-

spersen, l'interlinguistica è:

« quel ramo della scienza delle lingue che si occupa delle strutture e delle

idee di base di tutte le lingue con l'obiettivo di stabilire una norma per le inter-

lingue, ovvero le lingue ausiliarie destinate all'uso orale e scritto tra popoli che

non possono farsi capire usando le proprie lingue materne »

Secondo questa definizione, lo scopo può essere quello di elaborare una

nuova lingua per l'uso internazionale oppure all'interno di un Paese od un'unione

di Paesi multilingue. Ricerche di questo tipo furono intraprese per esempio dalla

"Délégation pour l'adoption d'une langue auxiliaire internationale" (Delega-

zione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale), che elaborò l'Ido13

12 Una lingua pivot o metalinguaggio è una lingua naturale o artificiale usata come lingua interme- diaria per le traduzioni. Usando una lingua pivot si evita l'esplosione combinatoria dovuta al fatto di avere diversi traduttori per ogni combinazione delle lingue supportate. 13 L' è una lingua artificiale ausiliaria creata da Louis de Beaufront, e sviluppata dalla Delega- zione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale, come tentativo di creare una versione

23

nel 1907; e dalla International Auxiliary Language Association (Associazione

della lingua ausiliaria internazionale) o "IALA", che produsse l'Interlingua14

nel 1951. L’interesse di questa branca della linguistica verte inoltre sulla reci-

proca influenza tra lingue parlate in prossimità geografica (contatto linguistico,

lingue di contatto), sulla pianificazione linguistica e sulle lingue ausiliarie in-

ternazionali. L’espressione “lingua pianificata” è sinonimo di “lingua artifi-

ciale”, spesso preferita dai parlanti per evitare la connotazione negativa di inna-

turalezza dell’aggettivo “artificiale”.

Ma l'interlinguistica si occupa anche delle lingue create per scopi letterari

(lingue artistiche e aliene); del contatto linguistico che crea "lingue franche" per

la comunicazione ma sorte spontaneamente, come le lingue pidgin; dell'evolu-

zione delle lingue dovuta a contatti reciproci, come ad es. la teoria delle onde15;

e delle create inconsapevolmente da chi impara una lingua diversa

dalla propria. Con “pianificazione linguistica”, invece, si intende tutto ciò che

viene messo in atto per influenzare l’acquisizione, la diffusione, l’uso e lo status

di una lingua, sia essa

più semplice dell'esperanto. Non a caso, ido in esperanto significa discendente ma è anche l'abbre- viazione di . Fu adottata da un comitato internazionale di scienziati e linguisti che la scelsero tra tutte le altre proposte dopo aver esaminato ogni progetto, di lingua universale. 14 L' è una lingua ausiliaria internazionale ed ha un lessico dall'aspetto particolarmente naturale, in quanto ottenuto dal confronto dei vocabolari di cinque diffuse lingue viventi: le quattro principali lingue romanze (italiano, spagnolo, portoghese e francese) e l'inglese. A queste lingue si aggiunge l'apporto del tedesco e del russo. Si ritiene che l'interlingua si possa apprendere facil- mente nel giro di quattro mesi. La sua particolarità è quella di essere l'esempio più riuscito di lin- gua artificiale a posteriori. È una delle lingue ausiliarie artificiali più parlate al mondo, dopo l'e- speranto. 15 La teoria delle onde (in tedesco Wellentheorie), formulata dal tedesco Johannes Schmidt è la teoria che detta le basi su cui è fondata la geografia linguistica, che si occupa di studiare il muta- mento linguistico nello spazio.

24 naturale o artificiale, nonché lo studio di tali processi. Nella prima accezione, si tratta in concreto di provvedimenti o azioni legislative, amministrative e scola- stiche volti alla standardizzazione di una lingua, all’attuazione di una riforma ortografica, grammaticale o di un dizionario normativi (“pianificazione del cor- pus”), al riconoscimento di una lingua come ufficiale e nazionale rispetto alle altre (“pianificazione dello status”), all’alfabetizzazione, all’incentivazione dell’apprendimento di una lingua (“pianificazione dell’acquisizione”), ecc.

25

1.3 Classificazione delle lingue artificiali

L’invenzione linguistica è molto più frequente di quanto non si creda e anche dei bambini possono improvvisarsi dei glottoteti nei loro giochi, come dimostra il piccolo E.J., inventore del markuska, di cui racconta Bausani in Le lingue inventate.

Sia Albani che Bausani, per tracciare una tipologia dell’invenzione linguistica, distinguono due filoni: quello delle lingue sacre e quello delle lingue laiche, che a loro volta possono essere ulteriormente suddivise nel modo seguente:

A) Lingue sacre:

1. Lingua artificiale sacra vera e propria (come, ad esempio, il balaibalan, un idioma sacro sviluppato nell'ambito della setta hurūfī16 attorno al XVI secolo: se ne sa molto poco, ma è stato tramandato un testo religioso in balaibalan dal quale emerge un vocabolario originale, innestato su una sintassi analoga all'arabo);

2. Pseudolinguaggio sacro parziale (es. glossolalie17, lingue iniziatiche, for- mule magiche, linguaggi dell’estasi mistica).

B) Lingue laiche:

1. Lingue artificiali artistico-espressive (come le lingue inventate da J.R.R.

Tolkien per l’universo immaginario di Arda)

2. Lingue artificiali per la comunicazione internazionale, come l’esperanto,

raccolte sotto il nome di interlingue

16 Gli hurūfī (da harf, pl. hurūf ‘lettera’) sono i membri di una setta fondata da Faẓlullāh di Asterābād alla fine del XIV secolo in , poi particolarmente diffusa anche in Anatolia e Alba- nia. Il cabalismo hurūfī si basa sul concetto fondamentale che Dio, inafferrabile nella sua essenza, si manifesta mediante il Verbo: ora il verbo è composto di suoni e i suoni sono, nella tradizione islamica (ma anche in quella medievale), identificati alle lettere. L’insieme delle lettere (e dei loro valori numerici) è dunque l’insieme di tutte le possibilità emanative e creative di Dio. 17 Pseudolinguaggio sacro parziale

26

2. Alla ricerca di una lingua universale

2.1 Dall’età antica al Medioevo

Nel racconto mitologico biblico della torre di Babele (Gen 11,1-9), il plurilin- guismo è avvertito come una condanna. Il significato non è quello di una punizione divina a causa dell’orgoglio dell’uomo; eppure è in questo senso che è stato recepito e vissuto per molti secoli. Ciò spiega anche perché, fin dai tempi antichi, si sia ten- tato di cercare o di creare una lingua universale: se prima della punizione c’era una lingua unica, allora si poteva in qualche modo farla rivivere.

L’interesse per una tale lingua è tardivo: solo nel Medioevo, secondo Eco, cioè quando comincia a formarsi l’idea di Europa e con essa la cultura europea, si prende coscienza della frammentazione delle lingue e si aspira al ritorno ad una lingua unica; ed è solo con la nascita dei volgari che inizia l’Europa18. L’esigenza di una lingua universale si accentua poi in concomitanza con le divisioni religiose e poli- tiche e davanti alle difficoltà riscontrate nei rapporti economici. Prima di allora, non si sentiva il bisogno di una lingua comune nel nostro Occidente, anche perché in qualche modo c’era già: questa funzione era stata ricoperta prima dal greco e poi dal latino. La lingua greca era considerata dai filosofi come la lingua della ragione, tanto che con l’unica parola λόγος si indicava sia il pensiero che il discorso. Oltre a possedere questa perfezione, il greco si diffuse come lingua comune in tutta l’area mediterranea e orientale dopo le conquiste di Alessandro Magno, diventando una sorta di lingua universale, parlata anche dagli intellettuali e dagli alti ceti romani.

18 Cfr. ECO, Umberto, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 24-25.

27

Gradualmente, però, si è fatto strada anche il latino, fino ad arrivare ad imporsi come lingua dell’Impero romano, della Cristianità e del Medioevo.

E’ proprio in questo periodo che si è diffusa una molteplicità di volgari e che si è avvertito sempre più intensamente il dramma della frammentazione linguistica.

Un dramma che non è invece vissuto nei Paesi in cui si è diffuso l’Islam, dopo la sua nascita ufficiale nel 622 (anno dell’ègira). Accanto al latino cristiano e all’arabo islamico, va ricordato l’ebraico cabalistico. La Cabbala è una corrente mistica ebraica, presente in Europa dal XII secolo grazie ad alcune confraternite mistiche, che ha avuto una forte influenza sulla ricerca e sulla creazione di una lingua perfetta.

Secondo questa tradizione (questo è il significato del termine qabbalah, anche se esso indica più precisamente una particolare tecnica di lettura e di interpretazione dei testi sacri ebraici), il mondo è stato creato da Dio mediante la lingua ebraica. È proprio tra il ‘500 e il ‘600 che si assiste ad un revival dell’ebraico, considerato la lingua perfetta per eccellenza, la lingua sacra con cui è stato scritto l’Antico Testa- mento, la “protolingua” da cui sarebbero derivate tutte le altre lingue (ipotesi mo- nogenetica19), la lingua che Dio ha insegnato ad Adamo. Nel Rinascimento, questa visione utopistica dell’ebraico come lingua sacra originaria che potesse unire anche oggi tutti i popoli, è stata soppiantata (ma non del tutto sostituita) dalla convinzione che la presenza di molte lingue sia un processo naturale pre-babelico: si parla di più lingue madri, di cui una è l’ebraico, e si cerca ora di classificare le varie lingue,

19 Il monogenismo, da monogenesi, che letteralmente significa "origine (genesi) unica (mono), in senso generico è una teoria comune a varie dottrine che sostengono esservi un'unica causa all'ori- gine di una molteplicità e diversità di fenomeni. Così ad esempio una teoria monogenetica è quella per cui ci sarebbe stata una singola protolingua (la "lingua primigenia" o protolingua mondiale) dalla quale si sarebbero poi distinte tutte le lingue e tutte le famiglie linguistiche, sia quelle viventi sia quelle estinte, conosciute negli ultimi 6000 anni di storia.

28 cercando ciò che esse hanno in comune. Parallelamente a ciò, in Europa il latino rimaneva lingua internazionale per tutto il Medioevo e oltre, soprattutto tra i colti.

Ripristinato poi forzatamente con l’Umanesimo divenne però una lingua morta da- vanti alle nuove necessità pratiche e culturali dei ceti emergenti.

Tuttavia fu utilizzato dagli intellettuali fino al ‘600, rimase lingua del culto cattolico fino al Concilio Vaticano II20 ed è tutt’ora lingua ufficiale della Santa

Sede. Tra i volgari formatisi dall’evoluzione del latino, le cosiddette lingue ro- manze, uno in particolare poteva avvicinarsi ad una lingua universale nel Basso

Medioevo: si tratta del francese, con il quale l’inglese non poteva minimamente competere in ambito letterario intorno al XII-XIII secolo. Così Burney descrive il percorso altalenante di questa lingua:

“La Francia è tra i paesi più ricchi e popolati d’Europa. Il commercio, inoltre,

è talmente potente che il francese nel XIII secolo ha una influenza paragonabile a quella che la lingua angloamericana ha nel XX secolo. In forte concorrenza con l’italiano nel XVI secolo, con italiano e spagnolo nel XVII, il francese non ritroverà tutta la sua forza d’espansione e tutto il suo prestigio internazionale che nel XVIII secolo21.”

20 Con la Costituzione Apostolica “Sacrosanctum Concilium”, 4 dicembre 1963. 21 BURNEY, Peter, op. cit., p. 15.

29

2.2 Dalle lingue filosofiche del Seicento alle lingue

contemporanee

Intorno al ‘600 la ricerca di una lingua universale tendeva sempre di più a staccarsi dalle finalità religiose che l’avevano accompagnata fino ad allora. I fattori che hanno determinato questo cambiamento di rotta sono diversi: le tendenze espan- sionistiche dell’Inghilterra e quindi il bisogno di facilitare i commerci internazionali

(e di risparmiare sugli interpreti), il rifiuto del latino in quanto lingua della Chiesa cattolica, la ricerca di una lingua con un’ortografia regolare che permettesse di su- perare le difficoltà riscontrate nell’apprendimento dell’inglese, ecc. Quello della lingua è diventato così oggetto di interesse dei filosofi, che avvertivano la necessità di una lingua in cui le parole e il modo in cui esse si associano rispettassero regole logiche e ne criticavano l’arbitrarietà con cui si riferivano al reale . Ed è proprio tra

‘600 e ‘700 che vennero elaborati numerosi progetti di lingue a priori che rispon- dessero a questi bisogni. Va sottolineato in particolare il contributo di Cartesio

(1596-1650) per quanto riguarda l’esperanto. Nell’ambito della ricerca di una lin- gua internazionale adatta alla comunicazione scientifica, Cartesio evidenziava che il problema di una lingua universale non stava tanto a livello di lessico, ma piuttosto nella struttura grammaticale. Nell’Ottocento troviamo ancora qualche tentativo di costruire lingue a priori, ma non più filosofiche, ed è proprio in questo periodo che si ha l’esplosione delle lingue ausiliari o universali a posteriori, periodo di massimo sviluppo sociale, economico, politico e scientifico e secolo della supremazia incon- trastata del continente e della cultura europei. La lingua inventata non è più dunque lingua sacra ma, accettata come un dato la inspiegabile naturale varietà linguistica nazionale, si estraggono quegli elementi comuni che possano permettere su basi

30 pratiche e commerciali la comunicazione fra i popoli. In particolare, si sente l’esi- genza di un’ortografia rigorosamente fonetica (con una corrispondenza biunivoca tra grafemi e foni), di una struttura fonetica delle parole semplice e di un vocabola- rio europeo comune (cioè di radici riconoscibili e comprensibili da parte della mag- gioranza dei parlanti delle principali lingue europee), nonché di una grammatica facile e regolare, costituita da un numero limitato di regole prive di eccezioni. I tentativi di costruire una simile lingua portarono in breve a una sorta di Babele di lingue internazionali, che all’inizio del Novecento contava addirittura circa una quarantina di proposte. Tra queste vale la pena di ricordare il volapük, proposto nel

1880 dal sacerdote cattolico tedesco Johann Martin Schleyer (1831–1912), una lin- gua con un sistema grammaticale alquanto complicato, modellato su quello del te- desco, con il grosso difetto consistente nel fatto che le parole erano ricavate da vo- caboli inglesi resi irriconoscibili nel tentativo di semplificarne la struttura sillabica.

Sempre di fine Ottocento (tra il 1872 e il 1887) è il famoso esperanto dell’oculista polacco Ludwik Lejzer Zamenhof (1859–1917), la lingua ausiliaria di maggior suc- cesso fino ai nostri giorni. I suoi punti di forza sono costituiti da un lessico ricavato principalmente da un mix di lingue quali il latino, le lingue romanze, le lingue ger- maniche e quelle slave, e da una grammatica semplice e regolare. Figlio dell’espe- ranto, di nome e di fatto, è l’ido, che sopprime alcuni di quelli che venivano consi- derati i difetti principali dell'esperanto ma che, nonostante sia una delle lingue più intelligentemente concepite, non riesce a sostituire il “genitore” e la potente orga- nizzazione degli esperantisti.

Isolato rimane il gruppo delle lingue utopiche, ovvero quelle produzioni lin- guistiche che si trovano descritte in opere che descrivono mondi o universi utopici.

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Esse sono caratterizzate dal fatto che appaiono collegate al tipo di società, al genere di costumi, di politica, d’ambiente descritti. L’aspetto utopico è comunque presente in molti altri tipi di linguaggi inventati, poiché uno dei procedimenti più tipici dell’invenzione linguistica corrisponde a una semplificazione di una o più lingue naturali, rientrando nella tipologia B1 individuata da Bausani, ovvero quella delle lingue artificiali artistico-espressive.

È il caso della letteratura fantascientifica e fantasy, soprattutto quella inglese e americana, in cui, insieme alla descrizione della storia e degli usi di un popolo immaginario, viene data anche quella della lingua da esso parlata. Tali lingue, in diversi casi, hanno avuto così largo successo che su di esse sono sorte, come già detto in precedenza, delle vere e proprie community dove gli utenti possono ap- prendere tali idiomi e conversare. Caso esemplare sono le lingue inventate, con tanto di grammatica, di J. R. R. Tolkien all’interno della trilogia del Signore degli anelli, veri e propri sistemi linguistici inventati su imitazione delle lingue storico- naturali, oppure, per quanto riguarda la trasposizione televisiva, la lingua Dothraki -

(2011) sviluppata da David J. Peterson per la serie TV Il Trono di Spade (Game of

Thrones; basata sulla saga Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Mar- tin)

Concludendo questa sommaria rassegna delle principali lingue artificiali a po- steriori, solo poche sono arrivate fino a noi e godono di una notevole diffusione ancora oggi. Semplificando, possiamo dire che quella che incarna maggiormente la regolarità è l’esperanto, mentre quella che si avvicina di più alla naturalità è l’inter- lingua. Il problema dell’universalità effettiva di una lingua artificiale (che riguarda quindi anche le lingue a posteriori), rimarrà probabilmente irrisolvibile; il motivo

32 di ciò non sta solo nella difficoltà o impossibilità di creare un linguaggio che tenga conto effettivamente di tutte le lingue a livello di lessico e di struttura del linguag- gio, ma piuttosto per lo stretto legame che esiste tra lingua e cultura.

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Capitolo 2

L’INGLESE COME LINGUA FRANCA E INTERNAZIONALE

Nel nuovo millennio l’inglese, da lingua internazionale usata come lingua franca in alcune regioni controllate politicamente dall’Inghilterra, si è ritrovato a ricoprire il ruolo di lingua globale. Come abbiamo visto, la questione della ricerca di una lingua universale che aggirasse il dramma del plurilinguismo e dell’incomu- nicabilità è stata formulata in maniera diversa nella storia europea. Nell’epoca an- tica e medievale, infatti, quando prima il greco e poi il latino fungevano da lingua comune di vasti territori, non c’era l’esigenza di una lingua unica; con la formazione e la diffusione dei volgari, invece, si è sentito sempre di più il bisogno di trovare una lingua universale con cui comunicare. Parallelamente all’uso di lingue naturali con cui ci si poteva comprendere anche tra stranieri, si è affermata sempre di più l’intenzione di costruire una lingua artificiale ad hoc. Inizialmente questa lingua doveva essere a priori ma, persa questa speranza, si è propeso per una lingua a po- steriori che semplificasse qualcuna tra le lingue già esistenti. Tutt’oggi, si sente la forte necessità di una lingua unica che possa permettere la comunicazione interna- zionale. Tra le lingue proposte, l’esperanto è quella che ha avuto maggiore successo e che ancora oggi è parlata da un buon numero di persone (più di un milione e mezzo nel mondo). Ma perché porsi il problema di una lingua artificiale universale, quando ormai l’inglese potrebbe considerarsi una lingua internazionale? È indub- bio, infatti, che oggi si assiste a una netta supremazia dell’inglese su tutte le altre lingue nella comunicazione internazionale: essa è infatti utilizzata a tutti i livelli

(dai più elevati a quelli più bassi), in ambito scientifico (le principali riviste scien-

34 tifiche sono pubblicate in inglese), universitario (in molte università europee si ten- gono corsi in inglese e in alcune anche la tesi dev’essere redatta in inglese), politico

(si pensi alla comunicazione internazionale tra i politici dell’Unione Europea), ecc.

Ecco il primo nodo della questione: quello di una lingua universale è, prima di tutto, un problema culturale. Ogni lingua, infatti, esprime una particolare visione del mondo, e per questo motivo non vi può essere una lingua universale. La supre- mazia di una lingua naturale comporterebbe quindi non solo la diffusione del suo uso, ma anche quella della visione del mondo ad essa associata: verrebbe così a mancare la pari dignità e il rispetto delle diverse culture. A questo si aggiunga il fatto che “il linguaggio è in grado di «modellare» il nostro cervello, le convinzioni e gli atteggiamenti cambiando il modo di pensare e di agire. Essere madrelingua inglese, cinese o russo ha effetti diversi sull’architettura del pensiero, stando a un numero sempre più nutrito di studi”22. Una lingua artificiale universale come l’espe- ranto risolverebbe almeno in parte questo problema, non essendo la lingua specifica di una nazione rispetto alle altre. Ma il problema non è solo di tipo culturale: esso può presentare anche sfaccettature economiche e politiche. La diffusione e l’ap- prendimento dell’inglese come principale L2, fa notare Andrea Chiti Batelli, ap- porta diversi miliardi di euro all’anno nelle casse della Gran Bretagna23. Il fatto che sia anche un problema politico sarebbe confermato dal fatto che l’esperanto, nono- stante la sua utilità e la facilità di acquisizione, non sia ancora diventato lingua mondiale, come si aspettavano Zamenhof e tutti gli esperantisti. Una lingua può

22 MELI, Elena, La lingua che parliamo influenza la personalità e modella il cervello, in «Cor- riere.it». Disponibile all’indirizzo www.corriere.it/salute/neuroscienze/16_febbraio_26/lingua-in- fluenza-personalita-modella-cervello-95a1f04a-dc83-11e5-830b-84a2d58f9c6b.shtml , 2016. 23 Cfr. CHITI BATELLI, Anna, L’Europa intera parlerà solo inglese? Per un’interlinguistica “scientifica”, FrancoAngeli, Milano 2007, p. 20.

35 affermarsi a livello internazionale solo se alle spalle ha una forza politica, econo- mica e militare, che ne pianifica la diffusione e che la impone dall’alto. È anche per questo motivo che l’esperanto, nato con le migliori intenzioni di unire popoli e na- zioni diversi, è rimasto incatenato alla sua funzione ludica.

Che cosa fare, allora, in questa situazione? Quali prospettive ci possono es- sere? La conclusione di Chiti Batelli è categorica: “poiché il predominio politico degli Stati Uniti – a cui si devono aggiungere Gran Bretagna, Australia, Nuova Ze- landa, la stessa Irlanda ecc. – non è per il momento modificabile, così non vi è oggi, e per l’immediato futuro, alcuna alternativa all’inglese”24 . A dire il vero, si può affermare che le cose non stanno più proprio così: forse un piccolo spiraglio si sa- rebbe aperto di recente con la Brexit; per cui, uscendo l’UK dall’Unione Europea, non avrebbe più senso, secondo alcuni, usare l’inglese come lingua ufficiale del

Parlamento e della Commissione Europea25 .

Oltre a questo spiraglio di novità, una soluzione al problema di una lingua internazionale potrebbe venire da un potere politico equivalente a quello degli Stati

Uniti, che può essere individuato, secondo Chiti Batelli, in una Federazione Euro- pea. Chiti Batelli pensa ad uno Stato federale come la Svizzera o gli Stati Uniti, che necessiti di una lingua ufficiale che risponda alle seguenti necessità: che attui il

24 Ibid. p. 29 25 Le lingue ufficiali dell’UE sono 24. Fino agli anni ’90 le lingue ufficiali utilizzate per l’attività politica a Bruxelles erano sia l’inglese che il francese, mentre da vent’anni è solo l’inglese; è in questa lingua, infatti, che si discute, si contratta, si delibera, ecc., e solo successivamente i testi uf- ficiali vengono tradotti nelle varie lingue dei Paesi dell’UE. È anche vero che l’inglese di cui stiamo parlando non è quello parlato a Londra (si tratta infatti di una sorta di euro-inglese). Chi ipotizza che si continuerà ad usare l’inglese, afferma che sarà una lingua sempre più lontana dall’inglese britannico: una sorta di creolo. Allo stato attuale delle cose, comunque, sarebbe im- pensabile anche tornare all’uso del francese, visto che è una lingua molto meno diffusa e per certi aspetti più difficile da imparare. Si veda l’articolo di M. Ricci, La Babele europea: la Brexit can- cella l’inglese come lingua comune, in «Repubblica.it» . Disponibile all’indirizzo http://www.re- pubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2016/07/02/news/la_babele_europea_la_brexit_can- cella_l_inglese_come_lingua_comune-143216843/.

36 principio della parità (quindi non può essere l’inglese), che sia facile da acquisire, che non sia già la lingua materna di nessuno e che non venga insegnata come L1, che sia il più possibile immutabile e che diventi lingua ausiliaria non solo dell’Eu- ropa ma, più in generale, di tutto il mondo26 . E l’esperanto avrebbe le carte in regola per diventare questa lingua universale tanto agognata.

26 Cfr. CHITI BATELLI, Anna, op. cit., p. 35.

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1. La visione di Otto Jespersen

Prendendo spunto dalle riflessioni del professor Donato Cerbasi, in questo pa- ragrafo si parlerà del grande linguista danese Otto Jespersen (1860–1943).

Nonostante il suo contributo a favore dell’adozione dell’ido, sul quale tenne anche diverse lezioni presso l’Università di Copenaghen, nel 1928, col suo libro An

International Language, Jespersen propose una nuova lingua da lui stesso ideata e chiamata “” (acronimo che stava per “nuova lingua ausiliaria internazio- nale”). Il sistema del novial, però, finì col rivelarsi più complicato e meno pratico sia di quello dell’esperanto che di quello dell’ido. Il novial, presentava oggettiva- mente difetti ben maggiori di quelli che Jespersen credeva di vedere nell’esperanto e non meraviglia il fatto che esso cadde rapidamente nel dimenticatoio già prima della morte del suo ideatore.

Egli fu professore di lingua e letteratura inglese presso l’Università di Cope- naghen dal 1893 fino al 1925 e fu (e resta tuttora) uno dei massimi studiosi della lingua inglese, alla quale dedicò la sua monumentale A Modern English Grammar on Historical Principles, un’opera composta da ben sette volumi pubblicati nell’arco di un quarantennio (1909–1949, l’ultimo volume uscì postumo). Fu un grande fonetista e un convinto sostenitore dell’alfabeto fonetico internazionale, pro- posto per la prima volta nel 1886 dall’Associazione Fonetica Internazionale di cui fu il fondatore insieme a Paul Passy, e riconobbe e mise in pratica fin dagli esordi della sua carriera di docente l’utilità della trascrizione fonetica per l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue straniere, specialmente dell’inglese, che presenta una differenza notevole e problematica tra il modo in cui le parole vengono scritte e quello in cui vengono pronunciate. Egli fu non solo uno studioso, ma addirittura

38 un appassionato ammiratore della lingua inglese, e fu anche per molti anni, come abbiamo visto, un convinto sostenitore della causa di una lingua costruita da utiliz- zare come lingua ausiliaria internazionale. Egli considerava l’inglese come uno dei risultati più avanzati e perfetti del processo di evoluzione delle lingue; inoltre si oppose nettamente alle teorie del grande glottologo tedesco August Schleicher

(1821–1868), che nel 1863 aveva pubblicato Die darwinische Theorie und die Spra- chwissenschaft (“La teoria darwiniana e la glottologia”). Schleicher, interpretando a suo modo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie e applicandola alla realtà delle lingue e dei loro cambiamenti nel corso del tempo, concepì le lingue stesse come organismi naturali, che, indipendentemente dal volere dell’uomo, sor- gono, crescono e si sviluppano secondo leggi fisse, per poi invecchiare e morire.

Jespersen al contrario, si oppose alla visione di Schleicher. Innanzi tutto, egli non concepì le lingue come organismi naturali, bensì come entità storico–naturali, la cui evoluzione è condizionata anche da fattori storici, sociali e politici. Il linguista danese in altre parti della sua opera sottolineò l’importanza della lingua come fatto sociale, in cui influiscono anche i singoli individui tramite la continua interazione comunicativa che avviene tra loro; una volta delineata, dunque, la sua concezione dell’evoluzione delle lingue, qual è per Jespersen la direzione di tale evoluzione?

Quali sono le lingue da considerarsi più evolute e verso quale tipo ideale tendono?

Ebbene per Jespersen la lingua ideale è quella che riesce a realizzare la massima efficacia comunicativa con il minimo dei mezzi. Una lingua come l’inglese allora, avendo raggiunto un livello di semplicità strutturale che ne ha potenziato la sua efficacia nella comunicazione verbale, ne fa una lingua altamente progredita e la

39 lingua europea che più si è avvicinata al tipo ideale. Ora, se questa era l’alta consi- derazione che Jespersen aveva della lingua inglese e visto che tale lingua già andava ricoprendo sempre più la funzione di lingua dominante sulla scena mondiale grazie al potere economico, politico e militare prima della Gran Bretagna e poi degli Stati

Uniti, perchè egli non sostenne il ruolo dell’inglese come lingua della comunica- zione internazionale e si dedicò invece alla causa di una lingua ` costruita da pro- porre come lingua ausiliaria internazionale? una prima risposta deriva proprio dalla distinzione politica tra “lingua dominante” e “lingua ausiliaria”. Jespersen rileva che una lingua storico–naturale come lingua predominante tende a soppiantare le altre lingue, mentre una lingua costruita e neutra che viene impiegata come lingua ausiliaria verrebbe accettata più facilmente dai parlanti delle varie nazioni e vista né come un’imposizione né come un pericolo per la diversità linguistica, in quanto essa semplicemente “aiuta le lingue nazionali ogni volta che esse sono inadeguate allo scopo: cioè nelle assemblee di persone che parlano lingue diverse e che non possono capirsi”27. L’inglese era per Jespersen una lingua molto evoluta, che si av- vicinava al tipo ideale più di tante altre lingue senza tuttavia raggiungerlo. Esso, infatti, ha un sistema grammaticale semplificato ma non perfettamente regolare e soprattutto presenta un divario notevole tra il modo in cui le parole sono scritte e il modo in cui sono pronunciate (vale a dire: la sua scrittura non e quasi per nulla fonetica); occorreva pertanto costruire una lingua che non avesse i suoi difetti.

27 JESPERSEN, Otto (1965). Umanit, nazione e individuo dal punto di vista linguistico, Feltrinelli, Milano. Traduzione di Mankind, Nation and Individual from a Linguistic Point of View, Allen & Unwin, London, 1946. p. 158

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2. La lingua franca

Molti secoli prima della globalizzazione dell’economia e della diffusione dell’inglese come prima lingua del commercio internazionale, uomini provenienti da paesi diversi furono quasi costretti ad escogitare un modo semplice ma efficace per comunicare. Nel mar Mediterraneo, divenuto un centro del commercio nel pe- riodo successivo alle crociate, si formava così una lingua spontanea, detta franca, utilizzata da marinai e mercanti.

Essa prende il nome dalla lingua franca mediterranea o sabir28, lingua pidgin29 parlata nei porti del Mediterraneo tra l'epoca delle Crociate e il XIX secolo. Per sua natura, non poteva che essere acquisita per lo più per via orale, ed essere caratteriz- zata da una grammatica semplice, lessico eterogeneo e vocabolario piuttosto ri- dotto30 Non coprendo tutti i vocaboli esistenti, poteva difficilmente essere conside- rata una vera e propria lingua: non a caso, questa definizione di lingua franca di

Schuchardt si lega meglio a ciò che - dalla metà del Novecento - è chiamata pidgin.

La lingua franca mediterranea è oggi considerata essa stessa un pidgin (il termine stesso, in cinese, sta per "business"31).

28 La Lingua Franca del Mediterraneo, madre di tutte le lingue franche (almeno per i linguisti) ha funzionato per diversi secoli, mettendo in contatto le popolazioni che si affacciavano sul mare. Dai primi secoli del secondo millennio fino al 1800 è stata parlata, nei porti e sulle coste, da marinai e commercianti di ogni nazionalità. Era semplice, limitata e rozza. Si chiama così perché è la “lingua dei franchi”, nome con cui le popolazioni nordafricane definivano tutti i popoli europei (un’abitu- dine che sopravvive ancora oggi), ma in realtà era piena di parole proveniente dall’italiano, in par- ticolare dal Lombardo e, in seguito, dal Veneziano. Nei secoli ha assunto numerose parole porto- ghesi e spagnole, in aggiunta a termini greci, turchi, arabi, berberi e francesi. La tradizione è finita quando l’Europa ha deciso di colonizzare i Paesi africani, nel 1800, esportando le proprie lingue nazionali (e non solo quelle). Da quel momento, si è smesso di parlare Lingua Franca (o Sabir, come dicevano – per distinguersi come al solito – i francesi). Linkpop, Quanto ci vorrebbe oggi una Lingua Franca per il Mediterraneo, www.linkiesta.it, 2016. 29 Pidgin è un idioma derivante dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a con- tatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali. 30 MINERVINI Laura, Italiano come lingua franca, su http://www.treccani.it, 2010. 31 OSTLER, Nicholas, The last lingua franca: the rise and fall of world languages, London, Walker Publishing Company Inc., 2010, p. 49.

41

Franco è inoltre il termine con il quale nel mondo arabo identificava generi- camente gli europei, anche se altri lo fanno derivare dall’estensione della denomi- nazione franco, intesa come godente di particolari franchigie. In tale processo, le varie parlate (francese, italiano, greco, spagnolo, arabo, ma anche portoghese) si mescolavano tra loro dando origine ad un idioma convenzionale d’uso che per se- coli doveva caratterizzare i rapporti marittimi e commerciali del Mediterraneo.

Oggi con lingua franca si indica qualsiasi mezzo di comunicazione in comune tra genti di lingua diversa.

Nel passato, furono diversi i fattori che portarono alla sua diffusione:

 Le conquiste militari

 Il commercio internazionale, che si può distinguere in due

modalità di diffusione:

1. diffusione dovuta alla migrazione e infiltrazione dei parlanti nativi

in un territorio ospitante, in cui la loro lingua rimane utile al solo fine commer-

ciale;

2. diffusione che, dopo la migrazione, prosegue con l'assorbimento

della lingua e il desiderio da parte degli ospitanti di riutilizzarla anche per co-

municare con terzi;

 le missioni religiose

Ma il concetto e l'idea di lingua franca hanno subìto un notevole

cambiamento nel tempo. Al giorno d'oggi la lingua franca si è evoluta

come mezzo che mette in contatto non solo gli imperi, ma il mondo in-

tero; se il latino poteva essere considerato una lingua franca perché

42

univa idealmente tutti i cattolici che partecipavano alle funzioni reli-

giose, oggi consideriamo la lingua franca utile per aggirare le differenze

linguistiche nella vita quotidiana.

2.1 Classificazione delle lingue franche

Nel capitolo precedente si è ampiamente discusso delle lingue pianificate o ausiliari, ma le lingue franche possono suddividersi in altri due gruppi, a seconda della loro origine ed evoluzione. Esse sono:

 Lingue di contatto

 Lingue internazionali

Con l'espressione "contatto linguistico" si intende la compresenza in un luogo e in un tempo di due o più lingue32.

Il luogo del contatto può essere inteso in due sensi:

 dal punto di vista del parlante, per cui il fatto stesso che egli parli

due lingue (a prescindere da quanta competenza detenga) lo individua come

luogo del contatto fra due lingue;

 dal punto di vista delle lingue, per cui due lingue si trovano in con-

dizione di reciproca influenza, tipicamente perché sono utilizzate in luoghi

geografici prossimi l'uno all'altro.

Si dice "lingua di contatto" dunque, una lingua che sia sottoposta a contatto linguistico in uno dei due sensi sopra esposti. È, ad esempio, lingua di contatto

32 BERRUTO, Gaetano, contatto linguistico, www.treccani.it , 2010

43 l'italiano parlato dai figli e dai nipoti degli immigrati che, nati in Italia, accedono al sistema scolastico italiano o comunque si formano in Italia, e per i quali la lingua italiana non è né una L1 (cioè una lingua nativa) né una L2 (cioè una lingua acqui- sita successivamente all'età del primo sviluppo).

Il contatto di lingue è strettamente associato al bilinguismo: una condizione solitamente ritenuta necessaria perché ci sia contatto linguistico è che ci siano par- lanti bilingui. Ma le due lingue possono trovarsi a interagire senza che si debba necessariamente presupporre che i parlanti o le comunità siano bilingui: è suffi- ciente che vi siano rapporti fra comunità diverse tali che una lingua abbia una qual- che presenza in una comunità che parla un’altra lingua. In questo senso, le lingue del nuovo millennio sono per la gran parte a contatto con l’inglese, e ne risentono in varia misura l’influsso, senza che vi sia, o vada presupposta, effettiva conoscenza dell’inglese da parte dei loro parlanti (la cosa è particolarmente evidente per l’ita- liano).

Una lingua ausiliaria internazionale o lingua internazionale ausiliaria invece, spesso abbreviate in LAI, LIA (in inglese international auxiliar language, abbre- viato in "auxlang" o "IAL"), è una lingua artificiale creata per la comunicazione tra persone di differenti nazioni che non hanno in comune una stessa lingua. Il termine

"ausiliario" implica che si tratta di una lingua supplementare proposta per l'appren- dimento come seconda lingua a tutte le persone del mondo, piuttosto che una sosti- tuzione delle loro lingue native.

Il termine può tuttavia essere esteso anche a una lingua naturale individuata per tali scopi dal consenso internazionale (in questo caso si parla di lingua franca): per esempio l'inglese è oggi di fatto la principale lingua ausiliaria mondiale, seguita

44 dal francese. Altre lingue naturali ampiamente insegnate su scala mondiale sono il tedesco, lo spagnolo che è la seconda lingua più parlata del mondo come madrelin- gua, e la seconda lingua più studiata del mondo, e il portoghese.

3. L’inglese, lingua franca per eccellenza

Oggi l’inglese è una lingua in netta supremazia rispetto alle sue “concorrenti”, in tutti gli ambiti e settori, ed è definibile come:

« La lingua franca delle pubblicazioni scientifiche internazionali del mercato globale, della comunicazione mondiale, di un mondo sempre più interdipendente e globalizzato del business e della politica da Berlino a Bangkok 33»

Sembra quindi che chi non conosce l'inglese sia destinato a restare “fuori dal mondo” e dalle sue interazioni.

Secondo il linguista Nicholas Ostler, in effetti, trattare la lingua inglese al pari di tutte le altre non sarebbe corretto: nel mercato delle traduzioni, per esempio, quelle dall'inglese (come lingua sorgente) rappresentano il 60-70% del totale, a di- mostrazione del fatto che la letteratura inglese viene reputata interessante anche fuori dai confini britannici ed americani; ma questo sentimento non è corrisposto, visto che le traduzioni da altre lingue all'inglese stanno invece diminuendo sempre di più. Inoltre, è certamente vero che entrare nel mercato internazionale senza co- noscere l'inglese è impossibile34.

33OSTLER, Nicholas, The Last Lingua Franca: English Until the Return of Babel, London, Pen- guin Books Limited, 4 novembre 2010 p. 27 34 N. Ostler, The last lingua franca: the rise and fall of world languages, cit. p.8.

45

Eventi internazionali hanno infatti avvicinato persone di diversi background linguistici e socioculturali facendo sì che l’inglese sia stato adottato come lingua comune tra persone parlanti lingue materne diverse. Già nel 2000, nel suo libro

“The Future of English”, Gradol affermava che il 99% delle organizzazioni europee usava l’inglese come lingua di lavoro.

3.1 Tra il sostegno e l’opposizione dei linguisti

L’incremento dell’uso dell’inglese come lingua comune in contesti multi lin- guistici e l’aumento della frequenza delle interazioni tra persone la cui prima lingua non è l’inglese ha sollevato un dibattito tra esperti di linguistica. Una delle princi- pali controversie originate all’interno del contesto dell’utilizzo dell’inglese come lingua franca riguarda l’idea che i parlanti dell’inglese come lingua madre e le forme di inglese da loro parlate abbiano perso di importanza all’interno del contesto della comunicazione internazionale e che essi non possano più essere considerati i

“possessori” della lingua inglese. Partendo dal presupposto che l’inglese è utilizzato più da persone di un’altra lingua madre che da persone di madrelingua inglese e che essi se ne servano per comunicare tra loro, alcuni ricercatori nel campo linguistico sono dell’opinione che l’inglese appartenga a chiunque lo parli e che dovrebbe es- sere consentito alla lingua di evolversi nel mondo indipendentemente dai cambia- menti linguistici che avvengono nei paesi di lingua inglese. Su una popolazione mondiale di sette miliardi di persone, il numero di English speakers viene stimato intorno ai due miliardi circa. Peraltro, si suppone che la cifra sia destinata a crescere

46 nel tempo, se si considera che, soltanto in Cina, circa 300 milioni di studenti stu- diano l’inglese35. I due miliardi di English speaker però non rappresentano una massa omogenea, e, proprio per tale ragione, gli studiosi della lingua hanno indivi- duato tre macro-categorie nelle quali suddividere i territori dove l’inglese è parlato:

English as a Native Language (ENL)

Appartengono a tale categoria i territori quali la Gran Bretagna, l’Australia, la

Nuova Zelanda, gli Stati Uniti: in questi paesi l’inglese occupa una posizione di assoluto rilievo rispetto ad altre lingue eventualmente presenti. A tale proposito, è curioso osservare che né in Gran Bretagna né negli USA esistono leggi che stabili- scono la preponderanza dell’inglese rispetto ad altre lingue nonostante, in entrambi i casi, la massiccia presenza di comunità originarie di altri paesi possa essere per- cepita come una minaccia nei confronti dell’inglese – basti pensare a quanto forte

è la presenza dello spagnolo negli States di confine con il Messico o in Florida.

Al gruppo dei territori ENL vanno aggiunti l’Irlanda (anche se ufficialmente la presenza dell’inglese è affiancata da quella del gaelico irlandese), il Canada (a maggioranza francofona, però, nella regione del Québec) o il Sudafrica (nel quale l’inglese è una tra tante lingue ufficiali del paese).

English as a Second Language (ESL)

Comprende i territori nei quali l’inglese è utilizzato nell’ambito accademico o nella redazione di documenti amministrativi ufficiali.

Tra gli altri, India, Pakistan, Nigeria e Sudan del Sud – non a caso ex-colonie del British Empire – fanno parte di questa macro-categoria.

35 Cfr. “L’inglese, una lingua franca globale”, Knowledge Society, 2015. http://www.knowled- gesociety.net/inglese-lingua-franca-globale/

47

English as a Foreign Language (EFL)

L’ultimo gruppo, che può essere a sua volta suddiviso in due sotto-categorie, comprende i territori nei quali l’inglese è una lingua straniera che viene appresa soltanto a partire dalla scuola. Nel primo sottogruppo possiamo inserire la Finlan- dia, la Svezia, la Danimarca e i Paesi Bassi: pur non godendo di status di lingua ufficiale, il livello medio di competenze linguistiche in inglese in questi paesi è tale da assimilarlo a una seconda lingua.

Dell’ultimo sottogruppo, invece, fanno parte territori come la Cina, l’Italia, il

Giappone, la Germania, la Spagna e tutti i paesi nei quali la lingua ufficiale è diversa dall’inglese, il quale viene tuttavia riconosciuto per il suo ruolo di lingua franca internazionale.

Secondo gli studiosi non è più necessario che gli studenti di inglese L2 si conformino alle norme dell’inglese dei parlanti nativi. Nel suo libro “World Engli- shes” la ricercatrice Jennifer Jenkins sostiene, infatti, la necessità di stabilire delle norme fonetiche e modelli di pronuncia fondati sull’inglese come lingua interna- zionale il cui obbiettivo principale sia la comprensibilità per chi parla l’inglese come seconda lingua. Per i sostenitori di questa posizione, l’inglese come lingua franca non dovrebbe essere considerato inferiore o scorretto quando confrontato con l’inglese di coloro che lo parlano come prima lingua. Sono entrambi varianti della lingua inglese con la stessa autorità e autenticità nei loro propri contesti.

In opposizione, linguisti come I-Chun Kuo sostengono che, nonostante un certo grado di inaccuratezza fonologica e grammaticale possa essere tollerata nella comunicazione reale, l’insegnamento dell’inglese non possa basarsi su un tale mo-

48 dello di comunicazione. Dal suo punto di vista dunque, il modello fornito dall’in- glese usato come prima lingua rappresenta una base completa. Starà agli insegnanti e agli studenti decidere quanto conformarsi a questo modello a seconda del conte- sto.

4. Espansione: il paradosso dell’internazionalizza-

zione della lingua

L’inglese, dunque, è oggi la lingua della politica mondiale, della finanza e del commercio internazionali, di internet, della comunicazione e dei media, dell’indu- stria dello sport e del tempo libero, della comunità scientifica internazionale.

Dal punto di vista sociolinguistico questo processo sta portando allo sviluppo, all’interno dei paesi membri dell’UE di una situazione di diglossia: l’inglese verrà sempre più impiegato negli ambiti sopracitati, mentre in tutti gli altri contesti con- tinueranno a venire parlate le diverse lingue nazionali.

Esiste tuttavia un’importante area in cui l’inglese non gioca un ruolo promi- nente: esso infatti non ha forti legami con alcuna delle grandi religioni.

Nonostante la sua graduale internazionalizzazione, due sono i prezzi principali che una lingua deve pagare per diventare e restare tale:

 la deculturizzazione (e la relativa denazionalizzazione): l’inglese,

come è stato già accennato, è stato progressivamente spogliato della sua asso-

ciazione col mondo anglo-americano o comunque anglofono native speaker.

Ciò significa che lo studio dell’inglese non è più riferito alla cultura britannica,

nordamericana, australiana, ecc., ma diventa semplicemente uno strumento di

comunicazione privo di un background socioculturale proprio e interpretato e

49

reimpiegato diversamente a seconda del background di chi lo utilizza36. D’altro

canto, i parlanti nativi vengono progressivamente disappropriati della loro

stessa lingua: si è tutti molto sensibili al modo in cui gli stranieri usano la nostra

lingua, ma questo è un lusso che gli anglofoni native speaker possono sempre

meno concedersi.

 la disappropriazione della lingua da parte dei parlanti nativi com-

porta anche una sempre maggiore variabilità linguistica che riguarda la pronun-

cia, il lessico, la morfosintassi, ecc. Quante più persone parlano la lingua,

quanto più essa si allontana, geograficamente e culturalmente, dal centro che

l’ha prodotta, e tanto maggiore sarà la sua variazione. Questo processo di diffe-

renziazione potrebbe, a lungo andare, creare varietà d’inglese talmente distanti

tra loro da non essere più comprensibili. La sua forza come status di lingua in-

ternazionale potrebbe, in tal caso, diventarne la principale causa di indeboli-

mento. Tuttavia questa differenziazione legata all’espansione è oggi in gran

parte attenuata dalle comunicazioni internazionali. In altre parole, dalla globa-

lizzazione linguistica.

 Strettamente legata alla globalizzazione della lingua è la sua demo-

cratizzazione: mentre latino e francese, che in passato svolgevano sul piano in-

ternazionale un ruolo analogo a quello svolto oggi dall’inglese, seppure non

identico per estensione geografica, erano di fatto lingue elitarie, l’inglese è in-

vece anche a portata di quella parte della popolazione socialmente ed economi-

camente meno elevata, a cui un tempo la comunicazione internazionale era pre-

clusa.

36 SANTIPOLO, Matteo, Dalla sociolinguistica alla glottodidattica, Torino, Utet Università, 2006

50

Ad ogni modo, se una lingua vuole mantenersi predominante sulle altre, dovrà rimanere intelligibile ai parlanti, nativi e non. Per questo è necessario porre dei limiti a questa continua variazione. Ciò può essere fatto attraverso la determinazione di alcuni modelli di riferimento che mantengano un livello

“standard”, ovvero la qualità internazionale della lingua. Questo vale, ovvia- mente, soprattutto per quei paesi dove l’inglese non è lingua nativa e dove si possono sviluppare, come si è visto, nuove varietà talvolta anche molto distanti da quelle ritenute standard.

4.1 I modelli di riferimento linguistico

Per quanto riguarda i paesi in cui l’inglese viene parlato storicamente come lingua nativa, i modelli di riferimento rimandano alle diverse tradizioni nazio- nali. Così si possono individuare, ad esempio, uno Standard Scottish English, un Australian English, un Canadian English, un Irish English, ecc.

I modelli che però hanno storicamente prevalso sono stati lo Standard Bri- tish English (SBE) e il General American (GenAm). Per ragioni di spazio, non sarà possibile, in questa sede, tracciare un quadro dettagliato di queste due va- rietà. Ci limiteremo pertanto a fornirne una inquadramento molto generale ri- mandando per approfondimenti a Gramley & Pätzold 1992. Con il termine SBE ci si riferisce a quella varietà di inglese, del quale grammatica, sintassi, morfo- logia, slang, vocabolario sono più ampiamente accettati e compresi in Gran Bre- tagna. Dal punto di vista storico-geografico, lo SBE si è sviluppato nel triangolo compreso tra Londra, Oxford e Cambridge, mentre dal punto di vista storico- sociale, è associato alle classi più alte e istruite della popolazione. Sul piano internazionale lo SBE è da sempre il modello di riferimento principale di paesi

51 come il Sudafrica, l’India o la Nigeria, oltre che della maggior parte dei paesi europei dove l’inglese è insegnato come LS (seconda lingua).

Il GenAm, al contrario di come spesso si pensa, è la varietà di inglese ri- tenuta più prestigiosa e accettabile presso le classi medie degli Stati Uniti. È parlato soprattutto negli Stati del Midwest, ma è diventato l'accento di riferi- mento per la maggior parte dei presentatori televisivi e radiofonici, nei film e nella pubblicità. Il General American è la varietà di inglese americano tipica- mente insegnata a chi studia l'inglese come seconda lingua negli Stati Uniti, ed anche a studenti di altri paesi che desiderano imparare l'"American English". E’ presente nella maggior parte dei paesi asiatici, America Latina e, sempre più di frequente, nei paesi scandinavi. E’ crescente anche il numero delle università italiane che offrono oggi la possibilità di laurearsi in American Language and

Literature, riconoscendo che l’inglese britannico non rappresenta più l’unico modello accettabile, anche didatticamente.

Mentre lo SBE sta perdendo terreno ad apparente vantaggio del GenAm, diventa sempre più chiaro che per molti studenti l’obiettivo di una competenza quasi-nativa è poco realistico. Addirittura succede spesso che popstar britanni- che, cantando modifichino il loro accento, lo attenuino nella direzione del Ge- nAm, attuando in tal modo un vero e proprio code switching, allo scopo di ri- sultare più “attraenti” e quindi “vendibili” sul mercato internazionale. Data la natura sia linguistica che geografica di questa varietà essa viene spesso definita

Mid-Atlantic English. Un altro modello di riferimento internazionale che sta

52 sempre più prendendo piede, soprattutto in Europa, è il cosiddetto Euro-En- glish. Nell’Unione Europea infatti, l’inglese funziona sempre più da lingua franca (ELF). Lo Euro-English è nato attraverso due principali tipi di processi:

 la nativizzazione del discorso, in cui le espressioni derivanti dalle

altre lingue europee e quindi non presenti nelle varietà native diventano va-

lidi strumenti comunicativi.

 la fossilizzazione, attraverso la quale strutture non-standard o gram-

maticalmente non corrette, grazie ad un uso ripetuto, diventano forme ac-

cettabili della lingua. È il caso, ad esempio, dell’espressione “We were five

at the party” al posto di “There were five of us at the party”.

4.2 Quale inglese insegnare

L’indebolimento dello SBE e del GenAm come modelli di riferimento

internazionali, l’emergere di nuove varietà come il Mid-Atlantic English o

lo Euro-English (per non parlare delle molte altre varietà di New English)

ha fatto sorgere non pochi quesiti su quale tipo di varietà insegnare a chiun-

que voglia utilizzare l’inglese come lingua internazionale. Diventa perciò

fondamentale che gli insegnanti abituino gli studenti ad una gamma quanto

più vasta possibile di accenti, strutture morfosintattiche e lessicali. Ma lo

sforzo non è solo dei parlanti non nativi. Anche chi ha l’inglese come pro-

pria L1 deve sempre più sapersi adattare a queste varietà emergenti, al fine

di comunicare efficacemente. Vi sono diverse ipotesi che ciò porterà alla

formazione di un’unica grande varietà unificatrice, un International Stan-

dard English.

53

Capitolo 3

IL SUCCESSO DELL’INGLESE NEL XX SECOLO:

DAI MEDIA ALL’AIRSPEAK

1. Al posto giusto al momento giusto

Come spesso accade, a determinare il successo o il declino di una lingua

sono fattori esterni che coinvolgono spesso diversi aspetti della struttura so-

ciale di tale lingua, varietà o dialetto . Poiché l’uso di una lingua da parte dei

soli parlanti nativi non è sufficiente a garantirne lo status di internazionalità,

diversi possono essere le cause che conducono una lingua verso questo tra-

guardo. Riguardo all’inglese, è possibile individuare almeno tre fasi del pro-

cesso:

a. espansione militare della Gran Bretagna (dal XVIII agli inizi del XX

secolo);

b. espansione politica di Gran Bretagna e Stati Uniti (soprattutto XIX

secolo);

c. espansione economica, culturale e tecnologica degli Stati Uniti (dalla seconda metà del XX secolo);

Secondo il modello espansionistico di Rudolph Quirk (1985), i motivi

che hanno contribuito alla diffusione mondiale dell’inglese, e coincidenti

grosso modo con le fasi sopracitate, sono :

54

a. espansione imperialistica: l’inglese si diffonde attraverso l’afferma-

zione del controllo politico sulle popolazioni colonizzate (XIX e XX secolo,

soprattutto in Asia e Africa);

b. espansione demografica: l’inglese si diffonde attraverso la migrazione

e gli insediamenti di parlanti nativi provenienti dalla Gran Bretagna (soprat-

tutto in America e Australia);

c. espansione econo-culturale: l’inglese si espande attraverso la combi-

nazione di un ruolo centrale planetario sia dal punto di vista economico e com-

merciale sia culturale ed intellettuale (soprattutto ad opera degli Stati Uniti).

Come spiega Brutt-Griffler (2002) i primi due tipi di espansione impli-

cano una migrazione di parlanti nativi: l’inglese sostituisce, quindi, la lingua

nativa e diventa la Native Language.

Nell’espansione economica-culturale, invece, si parla di macroacquisi-

zione, cioè di un apprendimento su larga scala da parte della popolazione lo-

cale: in questi casi l’inglese dà origine ad un New English, cioè ad una varietà

indigenizzata di inglese (ad esempio in India), oppure si sviluppa una situa-

zione di bilinguismo o plurilinguismo in cui l’inglese è una Foreign Language

usata solo per le comunicazioni internazionali (ad esempio in Cina).

Si possono così individuare, i principali canali che oggi favoriscono la

diffusione e il mantenimento dell’inglese come lingua internazionale, dividen-

doli per macroaree37:

37 CRYSTAL, David, English as a Global Language, Cambridge, Cambridge University Press (1997)

55

 Media: (stampa, trasmissioni radio-televisive, ci-

nema, musica)

 internet (si parla oggi sempre più spesso di Netspeak)

 Viaggi internazionali (in tutti gli aeroporti, ad esem-

pio, le indicazioni (uscita, controllo passaporti, ritiro bagagli,

ecc.) compaiono generalmente sia nella lingua nazionale sia in

inglese

 Sicurezza internazionale ( solo un paio di esempi: nel

1980 venne promosso un progetto per realizzare l’Essential En-

glish for International Maritime Use, in seguito diventato famoso

come Seaspeak, che dava indicazioni su come iniziare, svolgere

e terminare conversazioni in ambito di navigazione marittima. Il

secondo esempio si riferisce al cosiddetto Airspeak, la lingua uf-

ficiale internazionale del traffico aereo, approvata già nel 1951.)

 Istruzione e ricerca scientifica (molte università scel-

gono oggi sempre più spesso di svolgere i propri corsi in inglese,

a prescindere dalla lingua nazionale del paese in cui si trovano)

In sostanza, l’enorme sviluppo delle comunicazioni e degli scambi internazionali cui si è assistito a tutti i livelli e in tutti i settori a partire dalla Seconda Guerra Mondiale hanno fatto emergere la necessità di una lingua planetaria comune: l’inglese si è dunque trovato nel posto giusto

(le condizioni storiche, economiche, politiche, ecc.) al momento giusto, per soddisfare questo crescente bisogno.

56

2. L’AIRSPEAK

Nella vita di tutti i giorni le persone si trovano a comunicare tra di loro.

Attraverso la comunicazione giungono delle informazioni, ma non sempre que- ste ultime arrivano a destinazione nel modo giusto. Sono infatti frequenti gli errori di comunicazione e quelli ancora più frequenti avvengono quando i sog- getti coinvolti si trovano a comunicare in una lingua che non è la loro lingua madre. Questi errori causano incomprensioni spesso senza gravi conseguenze, ma se commessi in contesti più specifici possono portare a danni disastrosi.

Analizzando le comunicazioni in campo aeronautico ci si rende conto di quanto importante sia evitare di commettere errori comunicativi per evitare di- sastri aerei.

E’ perciò fondamentale seguire determinate regole per una comunicazione efficace. Ritroviamo queste regole in un certo senso nel campo aeronautico in cui vengono stabilite delle tecniche di trasmissione dei messaggi che aiutano a far sì che il passaggio delle informazioni avvenga in modo corretto.

Il linguaggio aeronautico diviene ancor più complesso in quanto è un am- biente in cui si trovano coinvolti nello scambio di messaggi persone che parlano lingue diverse. È stata perciò scelta una lingua comune per ovviare a questi pro- blemi: la lingua inglese, la quale è stata standardizzata per il linguaggio speci- fico aeronautico al fine di rendere più brevi e coincise le trasmissioni. Nono- stante ciò, però, gli equipaggi continuano a commettere errori, sia per scarsa competenza linguistica in inglese, sia per mancanza di utilizzo delle procedure standard.

57

2.1 Etimologia del termine

La Società delle Nazioni e, più tardi, L’Organizzazione delle Nazioni

Unite sono state le prime alleanze moderne a promuovere un ruolo speciale per

l’inglese nelle procedure internazionali.

Nel 1951 l’ICAO (Organizzazione internazionale dell’aviazione civile)38

diede linee guida a livello linguistico favorendo la nascita dell’airspeak.

Per quanto riguarda l’etimologia del termine, si tratta di un nome compo-

sto da due parole: in particolare il suffisso -speak, sembra abbia un’origine

“folk”, affettiva, e che il suo uso avesse uno scopo quasi dispregiativo, di sva-

lutazione di status dell’attività.

Indica cioè che l’attività designata sia di poco conto, o da ridicolizzare.

L’averlo mutato nella terminologia tecnica, di proposito, è indicazione sia della

ricerca del gioco e dell’atteggiamento ludico di molti studiosi anglofoni in que-

ste discipline, sia, di una scelta ideologica nei confronti proprio della materia da

studiare 39.

Capostipite di questa nuova forma è il Newspeak del romanzo fantapolitico

di George Orwell 1984 (1948); non c’è dubbio che Orwell abbia consapevol-

mente coniato questo termine, il quale rappresenta una varietà di linguaggio

progettata per controllare il pensiero dei cittadini sottomessi.

38 L'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (in inglese International Civil Aviation Or- ganization, ICAO) è un'agenzia autonoma delle Nazioni Unite incaricata di sviluppare i principi e le tecniche della navigazione aerea internazionale, delle rotte e degli aeroporti e promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto aereo internazionale rendendolo più sicuro e ordinato. 39 Cfr. VINCENT, Jocelyn, 'Talk-speak: Gioco e Ideologia nei logonimi inglesi' in C. Vallini (ed.) Le parole per le parole - I logonimi nelle lingue e nel metalinguaggio. Rome: Il Calamo (2000) p.2

58

In seguito su Newspeak e sul suo successore fortemente “affettivo” dou-

ble-speak 40, due termini in particolare, Airspeak e Seaspeak , si sono modellati

per rimanere come come lessemi fissi e come termini tecnici a tutti gli effetti.

All’inizio ironici e giocosi, sono ora diventati termini “seri”, tecnicismi in piena

regola.

3. Importanza della comunicazione efficace

nell’aviazione

Per quanto possa sembrare eccessivo, una comunicazione efficace è infatti

la condizione essenziale per ottenere grandi prestazioni di lavoro di squadra e

per evitare qualsiasi tipo di effetto negativo a causa di incomprensioni. Nel

campo dell’aviazione, rivela tutta la sua importanza soprattutto se direttamente

connessa alla gestione di situazioni critiche in cui il minimo equivoco potrebbe

portare a conseguenze disastrose.

Recenti studi hanno ripetutamente dimostrato che i problemi di comunica-

zione sono da considerarsi tra le cause principali alla base di disastri aerei, molto

più frequentemente dei problemi tecnici.

Nell’ambito della sicurezza aerea, la condivisione delle informazioni è

difatti una componente fondamentale. Secondo Billings e Reynard, le aspetta-

40 Coniato dall’unione di Newspeak + Doublethink e reso famoso dal “premio” Doublespeak Award che denuncia i peggiori casi di eufemismo pubblico o istituzionale

59

tive sono per esempio uno dei più comuni fattori chiave tendenti a creare frain-

tendimenti41. Essi sono così giunti alla conclusione che piloti e controllori di

volo tendono spesso a sentire ciò che si aspetterebbero di sentire42.

Negli ultimi decenni, diversi episodi hanno dimostrato che anche quando

un pilota e/o controllore pensa di prestare attenzione a ciò che gli viene riferito,

il processo può essere inconsapevolmente influenzato da un preconcetto, come

ad esempio il comune caso in cui si pensa che un’autorizzazione al decollo o

all’atterraggio in una pista specifica sia già stata confermata mentre, in realtà,

non lo è. Un altro errore commesso di frequente è quello di fare supposizioni,

ovvero interpretare il significato del messaggio - o la situazione stessa – se-

condo il proprio pensiero, e non secondo ciò che il mittente vorrebbe trasmet-

tere. Tuttavia, per quanto le aspettative e le supposizioni possano compromet-

tere l’efficacia comunicativa nelle operazioni di trasporto aereo, le principali

cause di incomprensione coinvolgono piuttosto la lingua, l’accento, e il gergo.

Sebbene sia abbastanza facile anche per un madrelingua inglese frainten-

dere i messaggi provenienti da non-native speakers, la situazione potrebbe com-

plicarsi facilmente se ad essere coinvolti nel processo comunicativo fossero

esclusivamente non native speakers. Un recente articolo ha infatti riportato l’al-

larme lanciato dalla Civil Aviation Authority (CAA) britannica, secondo la quale

la conoscenza della lingua più parlata del mondo da parte dei piloti è fortemente

41 BILLINGS, C.E., and REYNARD, W. D, Dimensions of the information transfer problem, NASA, Ames Research Center, Moffet Field, CA, 1981 42 GRAYSON, R.L., and BILLINGS, C.E, “Information transfer between air traffic control and aircraft: Communication problems in flight operations”, in “Information Transfer Problems in the Aviation System/ National Aeronautics and Space Administration, 1981

60

scesa al di sotto degli standard internazionali richiesti. Stando a quanto denun-

ciato dal rapporto, un buon numero di piloti stranieri avrebbe ottenuto i certifi-

cati in cui si garantiva la loro competenza in inglese, attraverso accordi amiche-

voli, piuttosto che con un regolare esame. Lo dimostrerebbero alcune presunte

prove dell'imbroglio, per le quali un candidato aveva superato i test dopo solo

10 giorni di studio, un risultato considerato “quasi impossibile”.

Accuse gravi che potrebbero ripercuotersi negli spazi aerei internazionali.

Quello del Regno Unito è attraversato quotidianamente, sostiene il rapporto, da ae- rei guidati da piloti a cui manca la competenza minima prevista dagli standard en- trati in vigore nel 2008.

Il che ha portato a 267 incidenti, dei quali 89 solo nel Regno Unito, provocati da problemi di comunicazione fra i velivoli e le torri di controllo.

Alcune domande sorgono quindi spontanee: che tipo di comunicazione do-

vrebbe quindi imporsi nel settore del trasporto aereo? In che modo una comu-

nicazione efficace potrebbe evitare tragiche conseguenze? E come può l’indu-

stria aeronautica riuscire a trovare il modo di gestire tali problemi di comunica-

zione per migliorare la sicurezza del volo?

61

3.1 Forme di comunicazione nell’aviazione

La comunicazione nel settore dell’aviazione avviene sotto diverse forme:

può essere infatti unidirezionale o bidirezionale; la prima è, per esempio, la co-

municazione che si instaura tra gli strumenti della cabina di pilotaggio e i piloti,

mentre la seconda, anche detta “comunicazione interpersonale” riguarda la co-

municazione tra due o più individui (ad esempio tra controllori di volo e piloti

o tra qualsiasi altro soggetto coinvolto in operazioni di gestione del traffico ae-

reo)43.

Data l’estrema delicatezza dello scambio di informazioni in contesti ope-

rativi del settore dell’aviazione, l’obiettivo principale del personale coinvolto in

tali attività dovrebbe essere quello di elaborare delle strategie di comunicazione

in grado di trasmettere i messaggi nel modo più veloce ed efficace possibile.

3.1.1 Comunicazione scritta

Nell’industria dell’aviazione, una grande quantità di informazioni viene

trasmessa attraverso messaggi scritti. Nella gestione della documentazione, la

comunicazione scritta riveste difatti un importante ruolo. Questi documenti (ov-

vero manuali di volo, piani di volo, liste di controllo ecc.) dovrebbero fornire ai

soggetti coinvolti informazioni precise, concise e dirette o istruzioni facilmente

adattabili a potenziali situazioni critiche. Ciò li aiuterebbe a fronteggiare situa-

zioni critiche nel migliore dei modi, utilizzando un linguaggio codificato stan-

dard e prendendo decisioni attingendo dalle diverse soluzioni consigliate per

43 SPINNER, D., Communication Skills, (4th ed.) Auckland: Addison Wesley Longman New Zea- land Limited, 1998

62

ogni situazione specifica. Un esempio di comunicazione codificata è costituito

dal cosiddetto Sita Network, un sistema globale di telecomunicazioni utilizzato

per scambiare messaggi operativi tra vettori, handler e aeroporti attraverso l’uti-

lizzo di un codice standard illustrato nel manuale IATA (International Air Tran-

sport Association) dell’aeroporto e degli handler. Tuttavia, soprattutto in situa-

zioni di emergenza, il personale di volo non sempre adotta la fraseologia ripor-

tata in questi manuali. Di conseguenza, i problemi di comunicazione sono di-

ventati una delle più comuni cause di gravi incidenti.

3.1.2 Comunicazione orale

Tra tutte le forme di comunicazione utilizzate nel trasporto aereo, nessuna

è comunque più critica dell’interazione verbale. A causa di differenze indivi-

duali, culturali e interpersonali tra i diversi soggetti coinvolti nell’interazione è

infatti piuttosto difficile evitare che emergano potenziali barriere comunicative.

Identificare i propri “punti deboli” al fine di evitare che un messaggio impor-

tante per il mittente finisca per non avere la stessa importanza per il destinatario

diventa quindi fondamentale44 .

Soltanto la pratica e la formazione possono aiutare a minimizzare le diffe-

renze interpersonali e consentire ai soggetti coinvolti di diventare speaker effi-

caci.

Dal momento che lo scambio di messaggi tra controllori del traffico aereo,

piloti, personale operativo e handler aeroportuali di culture diverse (e quindi

44 CHASE, O’ROURKE, SMITH, SUTTON, TIMPERLEY& WALLACE, Effective Business Communication in New Zealand, Communication, Auckland/Northland , 2003.

63 con diversi accenti in inglese) è una componente inevitabile del settore del tra- sporto aereo, l’industria aeronautica ha sviluppato alcune soluzioni innovative che possono essere adottate al fine di migliorare l’efficacia comunicativa..

3.1.3 Comunicazione non-verbale

La comunicazione non verbale è un’altra forma di scambio di informazioni spesso utilizzata nelle procedure di volo. Il linguaggio del corpo è infatti impie- gato in procedure che richiedono uno scambio di informazioni tra il personale aeroportuale ground e la cabina di pilotaggio di un aeromobile, tra i membri dell’equipaggio durante le operazioni di routine o anche tra l’equipaggio di ca- bina e dei passeggeri durante situazioni di turbolenza aerea. Difatti, in caso in cui cuffie e microfoni siano inutilizzabili, è possibile ricorrere al linguaggio dei segni. Questo tipo di comunicazione può persino ridurre facilmente il rischio di incomprensioni tipico della comunicazione verbale. L’utilizzo della comunica- zione non verbale tra la cabina di pilotaggio e il personale aeroportuale di terra

è pertanto un collaudato metodo di comunicazione .

Esiste una serie di segnali standard che piloti e personale di terra usano per comunicare e, poiché la sicurezza di un volo dipende anche da un effettivo svi- luppo di tali procedure standard, è importante rendere il personale coinvolto in tali operazioni sempre più consapevole del fatto che il mancato rispetto dei se- gnali standard può creare equivoci e avere conseguenze disastrose.

64

3.1.4 Comunicazione grafica e computerizzata

Oltre a forme e sistemi di comunicazione tradizionali, esistono anche al-

cuni sistemi complessi che integrano contemporaneamente la comunicazione

scritta e grafica. Ne sono un esempio i programmi di volo utilizzati esclusiva-

mente all’interno di una società, i quali hanno lo scopo di fornire al personale

operativo informazioni su operazioni di volo, nonché dettagli su equipaggi, pas-

seggeri, carburante a bordo, condizioni climatiche ecc. Altra forma di comuni-

cazione è infine quella con e tra computer in aeromobili che dispongono di

un’avanzata tecnologia 45. Tale forma di comunicazione è generalmente conce-

pita per permettere un’interazione tra sistemi tecnologici diversi come, ad esem-

pio in casi di attivazione dell’opzione “pilota automatico”46.

3.2 Fraseologia

L'ICAO ha definito una fraseologia standard che (cosiddetta fraseologia

ICAO), diffusa mondialmente, è raccolta in diversi volumi.

Nella trasmissione dei messaggi si devono utilizzare tutte quelle tecniche

mirate a garantirne la perfetta comprensione. In particolare:

 Utilizzare semplici costruzioni grammaticali

 Evitare parole contenenti suoni o costruzioni sillabi-

che difficili da pronunciare per chi non è nativo inglese

45 HAWKINS, Frank H., ORLADY, Harry W., Human Factors in Flight, Paperback, 1992. 46 ORLADY, H. & ORLADY, L., Human Factors in Multi-crew flight Operations, Published Al- dershot: Ashgate, 1999.

65

 Un linguaggio che sia chiaro, privo di ambiguità e

breve

 Corretto uso del microfono, mantenendo un tono nor-

male e costante e pronunciando le parole in modo chiaro e distinto

 Parlare lentamente ed evitare suoni di esitazione

come “er” o “ah”

 E’ vietato l’uso di forme di cortesia (saluto e ringra-

ziamenti) perché tutto ciò che è superfluo alla comunicazione va

eliminato

 Effettuare brevi pause prima e dopo la trasmissione

dei numeri

 I messaggi, generalmente, non dovrebbero contenere

più di tre frasi specifiche, compresa un'autorizzazione, un'istru-

zione o un'informazione, allo scopo di evitare possibili incompren-

sioni di alcuni elementi della trasmissione.

Vi sono inoltre varie categorie di messaggi gestiti nel servizio mobile ae- ronautico e posti in ordine di priorità. La più famosa è senz’altro la categoria dei messaggi d’emergenza, rappresentata dal celebre “MAYDAY”, la quale viene pro- nunciata solamente in caso di criticità estrema; PAN PAN o PAN MEDICAL rap- presentano invece messaggi d’urgenza ma di un livello di gravità minore e per in- dicare il segnale di trasporto medico. Come è evidente questo linguaggio tecnico presenta degli elementi intraducibili, creati esclusivamente in base alla chiarezza del suono emesso al momento della pronuncia.

66

Per facilitare la comprensione di alcuni messaggi potrebbe essere necessario scandire le lettere una ad una e in tal caso si useranno per la compitazione (spelling) alcune parole standard, le cui iniziali rappresentano ciascuna una lettera dell'alfa- beto. Tuttavia alcune abbreviazioni o acronimi, che a seguito della loro diffusione sono divenuti di uso comune, possono essere pronunciati come parole singole.

Le parole standard da usare nella compitazione sono elencate nella seguente tabella:

67

Per comunicare con immediatezza concetti semplici si ricorre inoltre all’utilizzo di alcune parole standard ad esempio:

 AFFIRM (affermo) = sì

 CLEARED (autorizzati) = autorizzato a procedere se-

condo le condizioni specificate

 I SAY AGAIN (ripeto) = ripeto per chiarezza o per

enfasi

 OVER (passo) = la trasmissione è terminata e rima-

niamo in attesa di una vostra risposta

 OUT (chiudo) = questo scambio di trasmissioni è ter-

minato e non si attende risposta

 ROGER (ricevuto) = ho ricevuto tutta la vostra ultima

trasmissione

68

4. Incidenti aerei causati da incomprensioni linguistiche

4.1. Disastro aereo di Tenerife

Le incomprensioni linguistiche durante la comunicazione radiofoniche hanno portato ad incidenti disastrosi; a volte il lessico può presentare delle ambiguità, ed anche una singola parola può generare diversi significati. Tale trascuratezza ha cau- sato il più grave incidente aereo della storia dell’aviazione, portando alla morte di quasi 600 persone. Si tratta della collisione avvenuta in data 27 marzo 1977 tra due aerei passeggeri Boeing 747 sulla pista dell'aeroporto di Los Rodeos dell'isola spa- gnola di Tenerife, nell'arcipelago delle Canarie. Vi persero la vita tutti i passeggeri a bordo del volo olandese KLM 4805 e buona parte di quelli imbarcati sul volo Pan

Am 1736. La dinamica dei fatti vide l'aereo olandese colpire in fase di decollo il dorso del Jumbo statunitense, che stava rullando in direzione opposta; entrambi i velivoli presero fuoco e andarono completamente distrutti. L'incidente fu causato dal concatenarsi di molti fattori: il volo Pan Am stava rullando verso una posizione d'attesa accodato al volo KLM, che invece era in procinto di decollare. Non essendo possibile utilizzare allo scopo i raccordi (quel giorno sovraffollati di velivoli in so- sta), i due 747 stavano entrambi manovrando sulla pista di volo dell'aeroporto di

Tenerife, secondo le istruzioni impartite dai controllori del traffico a terra. La scarsa visibilità causata dalle avverse condizioni meteorologiche impediva tuttavia il con- tatto visivo tra i due Boeing ed egualmente alla torre di controllo: la posizione dei velivoli poteva quindi essere determinata solo in base alle comunicazioni radio, che quel giorno risultavano particolarmente disturbate e di difficile comprensione, com- plice la non perfetta padronanza dei fonemi della lingua inglese da parte del perso- nale della torre. E proprio a seguito di una comunicazione radio fraintesa il capitano

69 olandese, credendo che il Pan Am avesse liberato la pista (cosa invece non ancora avvenuta) e che gli fosse stata data l'autorizzazione a decollare, si allineò a fondo pista e lanciò l'aereo a tutta velocità, innescando il tragico epilogo degli eventi.

Ascoltando la comunicazione i piloti del Pan Am non capirono se gli fosse stato detto di uscire dall'uscita numero 1 o dalla numero 3: l'imperfetta pronuncia inglese del controllore spagnolo e i disturbi alla radio non permettevano di capire se l'ordine riguardasse la first (prima) o la third (terza). L'equipaggio chiese allora chiarimenti e la torre di controllo rispose perentoria:

(EN) (IT)

« The third one, sir. One, two, « La terza, signore. Uno, due,

three, third, third one. » tre, terza, la terza. »

Così le azioni degli addetti della torre di Tenerife andarono ad aggiungersi agli elementi di criticità già evidenziati. Essi erano infatti sotto pressione, in quanto chiamati a gestire un volume di traffico del tutto insolito per l'aeroporto che con- trollavano, ed erano incapaci di padroneggiare fluentemente la lingua inglese.

Il copilota del KLM ripeté le istruzioni ricevute e soggiunse:

(EN) (IT)

« We are now « Adesso stiamo

taking off. » decollando. »

70

La torre di controllo, probabilmente non avendo compreso se tale frase signi- ficasse che l'aereo fosse pronto a decollare oppure che si fosse già lanciato lungo la pista, gli rispose di attendere:

(EN) (IT)

« Ok, stand by for take off. I « Ok, aspettate per il decollo.

will call you. » Vi chiamerò. »

L'equipaggio del Pan Am, udendo l'annuncio di decollo del KLM, chiamò contemporaneamente la torre sulla stessa frequenza:

(EN) (IT)

« And we're still taxiing « Stiamo ancora rullando sulla

down the runway, the Clipper one pista, Clipper 1736. »

seven three six. »

La sovrapposizione delle voci che ne derivò generò un'interferenza a seguito della quale il KLM non poté intendere la chiamata del Pan Am, ricevendo al con- tempo il messaggio della torre in modo frammentario:

(EN) (IT)

« Ok [...] for « Ok [...] per il

take off [...]. » decollo [...]. »

Lo scambio di comunicazioni riportato sopra, abbastanza abituale per i canoni dell'epoca, è considerato molto pericoloso per gli standard moderni: l'uso dell'e-

71 spressione "take off" (decollo) prima del decollo vero e proprio, abbinata ad un'e- spressione di accettazione informale e non standard ("Ok"), è infatti potenzialmente foriero di fraintendimenti che possono indurre azioni errate e pericolose.

Questo fu esattamente ciò che accadde: convinto di aver ricevuto l'autorizza- zione al decollo, senza dare ulteriori comunicazioni alla torre, il comandante del

KLM rilasciò i freni e diede piena potenza ai propulsori.

Come conseguenza del disastro vi furono diversi cambiamenti nelle regole di gestione del traffico aereo. Per prima cosa, le autorità aeronautiche introdussero l'obbligo di usare frasi standard nelle comunicazioni tra i velivoli e la torre di con- trollo, in modo da evitare qualsiasi fraintendimento.

Fu proibito l'utilizzo di termini non convenzionali e venne reso obbligatorio ripetere integralmente l'ordine appena ricevuto nei casi di comunicazioni di parti- colare importanza, in modo da potersi accertare di averlo compreso correttamente e ricevere eventuali correzioni. Inoltre l'uso del termine "take-off" (decollo) fu ri- stretto alla sola autorizzazione al decollo (in qualsiasi altro contesto, per riferirsi al decollo, viene attualmente usato il più generico termine "departure"). Venne anche posta notevole attenzione sull'adeguata conoscenza e sulla corretta pronuncia della lingua inglese nelle comunicazioni radio per piloti e personale delle torri di con- trollo.

72

CONCLUSIONI

L'analisi delle lingue franche nel passato e quella del presente, secondo Ni- cholas Ostler, può darci dei suggerimenti - o quantomeno un'idea - di cosa possiamo aspettarci per il futuro.

Il motivo principale per cui l'inglese potrebbe andare incontro ad un declino linguistico come Lingua Franca è la concorrenza delle altre lingue.

Più interessante è capire il futuro della lingua franca in quanto tale, ovvero se grazie alle nuove condizioni create dall'innovazione tecnologica nel campo della linguistica, la necessità di una lingua comune possa essere soddisfatta da qualcosa di diverso da una Lingua Franca.

Che i cambiamenti vengano da dentro (caso del latino) o da fuori (caso del persiano), è evidente che la storia di una LF non dipende mai solo da se stessa, ma dalla competizione che deve affrontare47.

In ogni caso, rimane difficile pensare che l'inglese possa essere sostituito come

LF, ed esistono motivazioni ben precise a sostegno di questa affermazione.

L'impressione che si ha analizzando la diffusione delle lingue nel mondo - eccetto l'inglese - è che esse siano presenti in aree “regionali”, risultando quindi più funzionali su scala continentale che globale.

Uno dei fattori che storicamente ha funzionato come mezzo divulgativo della lingua è la migrazione massiva da un Paese all'altro, o per la formazione di insedia- menti coloniali, o per motivi commerciali, o per la presenza di guerre da cui fuggire.

Eppure, dalla prima metà del XX secolo si è verificato un flusso di migrazioni in- verse: coloro che si erano precedentemente spostati per cercare condizioni di vita

47 N. Ostler, op. cit. pp. 225-226

73 migliori, invece di rimanere, hanno deciso di tornare al proprio Paese di origine.

Ovviamente questo non aiuta la diffusione della lingua, che anzi perde ogni contatto nel Paese estero. Esistono anche casi più disperati, ovvero spostamenti di massa dai

Paesi del terzo mondo verso l'Europa e il Nord America dovuti a condizioni di vita disagiate e guerre civili. Con la speranza di riuscire a costruirsi un futuro migliore, milioni di persone si sono spostate, creando delle comunità di parlanti di lingue straniere all'interno dei Paesi ospitanti. Sebbene questo fattore possa influire posi- tivamente nello sviluppo di una lingua come LF nel Paese ospitante, ciò non accade per diverse ragioni. Dato che queste lingue vengono usate come L1 all'interno delle comunità, esse vengono socialmente considerate al pari di forme dialettali e dunque di nessuna utilità economico-culturale per il resto della società.

Per quanto riguarda la tendenza a considerare il cinese o l’arabo come le lin- gue che spodesteranno l'inglese, è sufficiente riportare che, sebbene i loro mercati siano in espansione mondiale, esistono davvero pochissime realtà in cui vengano studiate come L2 in Paesi non asiatici e arabi, soprattutto per la difficoltà di appren- dimento. Invece, in Cina per esempio, le lingue studiate sono il cantonese e l'in- glese, e non si prevede che questa situazione sia destinata a cambiare in tempi brevi.

Quest'analisi porta alla conclusione che - perlomeno nel medio termine - l’in- glese sarà ancora la lingua per la quale il sole non tramonta mai.

Secondo la visione di Ostler invece, è proprio la rivoluzione informatica che abbatterà tutte le barriere linguistiche, a partire dal traduttore simultaneo. Sebbene al giorno d’oggi produca ancora traduzioni imprecise, il suo perfezionamento potrà condurre a risultati oltremodo soddisfacenti. Difatti la prospettiva di una reciproca accessibilità tra diverse L1 sta diventando reale: nel dicembre 2014 è stata rilasciata

74 da Microsoft la prima versione di Skype Translator, uno strumento di traduzione simultanea che permette di comunicare in tempo reale con interlocutori stranieri parlando la propria lingua.

75

ENGLISH SECTION

76

INTRODUCTION

Today, the myth of the Tower of Babel represents the stereotype of our planet’s immense linguistic diversity, and since it has always been given a negative value, a condemnation to live in a world where peoples are separated, among other things, by the multiplicity of languages. The presence of thousands and thousands of different languages is experienced in our culture, and perhaps also based on our everyday experience, as a disadvantageous condition that penalizes the relationships between people. In reality, its contemporary interpretation is far different from this i.e. a message of cultural richness that characterizes every language. Therefore, the intention of God, in the origin myth, is not to punish the arrogance of the people who want to reach heaven, but rather to protect the linguistic-cultural particularity of each nation and the wealth that derives from the natural diversity of languages. Yet, even today, a negative idea of this myth prevails, a sense of condemnation linked to the observation of the presence of many different languages that separate and do not allow communication. Indeed, it is true that in our global society the difficulty of communicating with people who live outside of our country is widely perceived, but also in the past people needed a single, universal language to express themselves.

Then, as today, different strategies were adopted to tackle this problem; the function that English plays today is in fact comparable to that of Latin in the ancient, medieval and modern age. In the past, even alternatives that were even more effective from a communicative and learning point of view were sought; we are speaking about artificial languages, some of which are developed from existing natural languages.

77

Many of these linguistic attempts failed, while in some cases they gave rise to auxiliary languages that survived for a while. One of these, Esperanto, developed towards the end of the nineteenth century, is still spoken and used by a few million people. It is a language born to be used as a universal, international lingua franca and therefore to facilitate communication around the world between people of different mother tongues: a second language for everyone. Despite this ambitious project, Esperanto has still not become a universal language. However, its spread and easy grammar still makes it an interesting language with great potential that could aspire to assume the role that today is covered by the English language, but does this ideal of universality also correspond to a grammatical structure such as to make it effectively learnable by any mother tongue? Does the grammar, and in particular, the morphology that characterizes it, respect the universality of the language that distinguishes every language naturally generated? This is the question posed not only for Esperanto, but for any artificial language that aspires to affirm itself globally and to push English to the background, an almost utopian ambition today.

The goal that we set ourselves with this paper is therefore to verify how much

English is effectively established and branched in the vast majority of sectors, and if this record is destined to reign unchallenged for many decades.

For this purpose, in the first chapter, we will present the birth and the history of the various artificial languages created over time, within a much broader and more articulated question: the search for a universal language. After clarifying the meaning of concepts such as "artificial", "auxiliary", "universal", "a priori", "a posteriori", and "planned", as well as those of "glottoteta" and "linguistic planning",

78 we will propose a classification of artificial languages and we will continue illustrating the most important moments in the history of the search for a universal language, from ancient times to the last century.

The second chapter will focus on the role played by English today as the most widely used lingua franca in the world and what this implies. We will begin by analyzing the term "franca", and a classification of the various existing groups, after which we will examine the spread of English worldwide and how this has led to disassociation and deculturalization for native speakers and the birth of new forms of English, which are different from the standard one.

In the third and last chapter, the English language continues to be the protagonist. We will talk about its impact on almost every sector from the twentieth century to the present day due to globalization and the advent of social media.

Particular attention will be given to the world of aviation and how English is a double-edged sword during air-traffic-control communications, thus questioning its role as a universal auxiliary language.

We will thus be able to draw conclusions about the future of this lingua franca, if its eventual decline will take place in favor of the languages of the new "giants" of the world’s economy ( and Chinese), or if it will remain a phenomenon unchanged over time.

79

Chapter 1

IN SEARCH OF A UNIVERSAL LANGUAGE

History began in Europe, the second smallest continent but one with unparalleled diversity and cultural value. In the Old Continent, 24 official languages are spoken, although the enormous influx of migrants and refugees from Africa and the Middle East in recent years has transformed the great metropolises into real multilingual centers. Although this is a treasure that undoubtedly reflects the

European Union's motto - "United in Diversity" - if we really want the consolidation of a real European democracy, and not only of a façade, we would have to adopt a common linguistic tool. This concept is firmly supported by the linguist Tullio De

Maura in his book “In Europa sono già 103”. The question of language does not fall exclusively within Europe’s borders it is a world affair. This "confusion" is considered an obstacle; it makes communication and international exchanges very difficult in an increasingly globalized world, leading to a waste of energy, time and money, by hindering direct dialogue and increasing misunderstandings. Even if the

European context is very limited (compared to the entire world), the need for a single language to communicate with people who speak a different language is becoming increasingly urgent and pressing, an urgency that has not even subsided with the affirmation of English, which has apparently assumed to all intents and purposes the function of a universal language. This will not imply, as many fear and criticize, and as De Mauro himself claims, a cultural and linguistic impoverishment.

In this chapter, therefore, an accurate description and classification of natural

80 languages "created" by man over the centuries will be made, underlining the reasons that have given rise to their invention and application.

1. Terminology and classification of planned languages

The origin of human language has always been a subject of interest and controversy, due to the mystery and fascination surrounding it, and above all due to the lack of "fossil" traces that explain its origin.

In general, all hypotheses refer to two different theories on the origin of human language: one that considers it an innate faculty of the human race, while the other that it is a learned skill48, but this is not the place where we will discuss the question.

What is certain is that man developed certain cognitive and linguistic abilities thanks to his continuous interaction with other speakers, until he recognized his uniqueness and learned to exploit it by testing his limits and needs.

With the term artificial or invented language, or with its more recent English term conlangs (Constructed Languages)49, we mean:

48 See BOUCHARD, Denis, The Nature and Origin of Language, Oxford, Oxford University Press, 2013, pp. 8-58 49 See http://conlang.org/, a portal dedicated to invented languages, where you can consult Con- langer's Library, "a compilation of articles, books, educational materials, films, internet resources, and much, much more relating to constructed languages (conlangs) and those who construct them (conlangers) ', and a 'timeline of the history of conlangs going back to Ancient Greece'. There is also a page (http://conlang.wikia.com/wiki/Create_a_Language) that provides various tools, guides, instructions, catalogs, etc. to anyone who wants to try their hand at being a conlanger and create their own imaginary language

81

[...] a "fictitious" language, that is not natural, where the "natural" attribute indicates a language formed through a well-defined historical process and whose learning takes place through oral transmission from parents and the surrounding environment. For some scholars the difference between natural and artificial languages lies in the fact that the former are the result of "unconscious production", while the latter stem from a "conscious act". In any case, we can define as

"imaginary" any type of artificial language that is the result of the elaboration of one or more people, not necessarily belonging to the category of "professional linguists". The inventors of international auxiliary languages, such as Esperanto or

Volapük - except for some rare cases, such as that of the Danish linguist Otto

Jespersen – are for the most part doctors, engineers, mathematicians, priests, lawyers, school teachers, etc.)50 .

Therefore, according to Albani, a writer and visual poet, you do not need to be an expert in languages or linguistics to create a language, and there exist many online sites where you can share your creations51. Nonetheless, to create a language one does need the following basic skills:

• Knowledge of the grammar of a language other than your mother tongue

(even a regional language)

• Basic knowledge of phonics

• Basic general linguistic knowledge

50 ALBANI, Paolo, Imaginary Jargons and Perfect Languages, talk given during the series of meetings on "Communication, Faces and Forms: the Jargons", Center for Studies and Research on Communication chaired by Giovanni Manetti, 8 August 2000, available at http://www.paoloal- bani.it/Gerghi.html 51 www.zompist.com/ikit.html Home Page del The Language Construction Kit- Zompist

82

The following can be useful:

• Knowing the IPA52

• Knowing several languages well

1.1 Artificial and natural languages, a priori, a posteriori and

mixed languages

The art of creating artificial languages is called glossopoiesis, from the Greek glossa (word) and pòiesis (creation). The authors of these artificial languages are called “glottoteta” or “glossopoeta”, and they develop the phonetics, the orthography, the morphology, the syntax and the lexicon of any language they intend to create. They are divided into three categories - artistic or imaginary languages (used in artistic, literary or cinematographic works, such as those of JRR

Tolkien or those of Star Trek), logical-philosophical ones (designed to allow, or enforce, statements without ambiguity) and auxiliary. We speak more often of

"international auxiliary languages" (abbreviated with the English acronym IAL), an expression that can designate both artificial and natural languages.

Imaginary languages can be divided into two major areas. On the one hand, we have those of a sacred nature, whose aim is "to communicate" with the divine or in any case to give voice to a spiritual world that cannot be represented with ordinary language. On the other hand, there are those whose purpose is of a non- sacred nature, created for having fun, the so-called ludic languages. However, the

52 Phonetic alphabet of the International Phonetics Association

83 playful and sacral motivations are certainly not the only ones, and often there are

"secular" and "utilitarian" reasons. In the intentions of many creators, their artificial language project should facilitate communication between native speakers of different languages, without favoring either one (auxiliary languages). Often, all these motivations have in common a veiled purpose of utopianism i.e. to create a perfect language. Continuing with the terminology, a language built from one or more natural languages as sources is defined as "a posteriori"; an "a priori" language, on the other hand, is created "from scratch" without using elements from any natural language. Finally, in the "mixed" languages there are both a priori and a posteriori languages. In reality, no language is completely a priori, because it is impossible for a person to create a language without being influenced by his or her linguistic competence, even if it were only relative to phonetics; similarly, the a posteriori ones are not pure as they always contain some elements of a priori53 ones.

53 See LIBERT, Alan, Mixed Artificial Languages, Lincom Europa, Munchen 2003, p. 1.

84

1.2 Interlinguistics and Linguistic Planning

Interlinguistics is the branch of linguistics that studies every aspect of linguistic communication between people who cannot, or do not want to be understood through their mother tongues. It studies how ethnic languages and auxiliary languages (lingua franca and pivot languages54) behave in such situations.

The interest of this branch of linguistics also concerns the mutual influence between languages spoken in geographical proximity (linguistic contact, contact languages), linguistic planning and international auxiliary languages. The term "planned language" is synonymous with "artificial language", often preferred by speakers to avoid the negative connotation of unnaturalness of the adjective "artificial".

By "linguistic planning", on the other hand, we mean everything that is put in place to influence the acquisition, dissemination, use and status of a language, be it natural or artificial, as well as the study of these processes. In the former sense, these are concrete measures or legislative, administrative and scholastic actions aimed at the standardization of a language, implementation of a spelling, grammatical or normative dictionary reform ("corpus planning"), recognition of a language as official and national in relation to others ("status planning"), literacy, encouraging the learning of a language ("acquisition planning"), etc.

54 A pivot language or metalanguage is a natural or artificial language used as an intermediary lan- guage for translations. Using a pivot language, the combinatorial explosion is avoided due to hav- ing different translators for each combination of the supported languages.

85

1.3 Classification of artificial languages

To trace a typology of linguistic invention, both Albani and Bausani distinguish two strands: that of the sacred languages and that of the secular languages, which in turn can be further subdivided as follows:

A) Sacred Languages:

1. Sacred artificial language proper (such as, for example, Balaibalan, a sacred language developed around the 16th century;

2. Partial sacred pseudo-lingualization (e.g. glossolalia55, initiatic languages, magic formulas, languages of mystical ecstasy).

B) Lay languages:

1. Artificial-expressive artistic languages (like the languages invented by

J.R.R. Tolkien for the imaginary universe of Arda)

2. Artificial languages for international communication, such as Esperanto,

gathered under the umbrella term, interlingua.

55 Partial sacred pseudo-language

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2. In search of a universal language

2.1 From ancient times to the Middle Ages

Since ancient times, human beings have searched for and tried to create a universal language.

However, according to the Italian semiotician and novelist Umberto Eco, it is not until the Middle Ages, when the idea of Europe begins to take shape and with it the European culture and the awareness of the fragmentation of languages, that real interest in a single language took shape.

Before then, there was no need for a common language in the West, partly because it was already there; this function was covered first by the Greek and then by Latin. The Greek language spread as a common language throughout the

Mediterranean and Eastern area after the conquests of Alexander the Great, becoming a sort of universal language, also spoken by intellectuals and upper-class

Romans. Gradually, however, Latin also gained ground, until it became the language of the Roman Empire, Christianity and the Middle Ages. It is in this period that a multiplicity of languages deriving from Latin vulgaris spread and that the drama of linguistic fragmentation became increasingly felt.

Along with Christian Latin, the cabalistic Hebrew should be mentioned.

According to Cabbalistic tradition56, God created the world by pronouncing his will in the Hebrew language. It is precisely between the 16th and 17th centuries that a revival of Hebrew, considered the perfect language par excellence, from which all

56 The Cabbala is a Jewish mystical current, present in Europe from the twelfth century, which had a strong influence on research and the creation of a perfect language.

87 other languages derive, was witnessed. In the Renaissance, this utopian vision of

Hebrew was supplanted (but not entirely replaced) by the belief that the presence of many languages was a natural pre-Babel process. An attempt was made to classify several languages, including Hebrew, and to look for what they had in common. Latin, in the meantime, remained an international language throughout the Middle Ages and beyond, especially among the educated. However, after having been forcibly re-established with Humanism, it became a dead language due to the new practical and cultural needs of the emerging classes.

However, it was used by intellectuals up to the 1600s, and remained the language of Catholic worship until the Second Vatican Council57 and is still the official language of the Holy See. Among the languages deriving from Latin vulgaris, the so-called Romance languages, one in particular came close to becoming a universal language in the Late Middle Ages, and that language is

French, with which English could not compete in literary circles in the 12th and

13th centuries.

57 With the Apostolic Constitution "Sacrosanctum Concilium", December 4, 1963.

88

2.2 From the seventeenth-century philosophical languages to

contemporary languages

Around the seventeenth century, the search for a universal language increasingly tended to detach itself from the religious purposes that had accompanied it until then. There were various factors that determined this change, such as the expansionist tendencies of England and therefore the need to facilitate international trade (and to save money on interpreters), the rejection of Latin as the language of the Catholic Church, the search for a language with a regular spelling to overcome the difficulties encountered in learning English, etc. The language issue became a subject of interest of philosophers, who felt the need for a language in which the words and the way in which they were associated respected logical rules. In fact, it is precisely between the seventeenth and eighteenth centuries that numerous projects of a priori languages that would respond to these needs were developed. In particular, the contribution of Descartes (1596-1650) regarding

Esperanto should be emphasized. As part of the search for an international language suitable for scientific communication, Descartes pointed out that the problem of a universal language was not so much in terms of vocabulary, but rather in the grammatical structure. In the nineteenth century, there were still some attempts to build a priori but no longer philosophical languages, and it is precisely in this period of maximum social, economic, political and scientific development and the century of the undisputed supremacy of the European continent and culture, that the explosion of auxiliary or a posteriori universal languages occurred.

89

The invented language was therefore no longer a sacred language but, as the inexplicable natural national linguistic variety is accepted, the common elements were extracted from the same elements that allow communication between peoples on practical and commercial bases. In particular, there was the need for a strictly phonetic phonography, of a phonetic structure of simple words and of a common

European vocabulary, as well as an easy and regular grammar consisting of a limited number of rules with no exceptions. Attempts to build such a language soon led to a sort of Babel of international languages, which at the beginning of the twentieth century counted about forty proposals. Among these, it is worth mentioning Volapük, proposed in 1880 by the German Catholic priest Johann

Martin Schleyer (1831-1912). The late nineteenth century (between 1872 and 1887) also saw the appearance of the famous Esperanto, idea of the Polish ophthalmologist Ludwik Lejzer Zamenhof, the most successful auxiliary language to this day. Son of Esperanto, in name and fact, was Ido, which eliminated some of what were considered the main defects of Esperanto but that, despite being one of the most intelligently conceived languages ever, did not manage to replace its

"parent" supported by the powerful organization of the Esperantists.

The group of utopian languages, i.e. those linguistic productions used in literary works to describe worlds or utopian universes, remains isolated.

They are characterized by the fact that they appear to be related to the type of society, the type of customs, politics, and the environment described. The utopian aspect is however present in many other types of invented languages, since one of the most typical procedures of linguistic invention corresponds to a simplification

90 of one or more natural languages, falling into the B1 typology identified by Bausani, that of artificial artistic-expressive languages.

This is the case of science fiction and fantasy literature, especially in English and American literature. In many cases, these languages have been so successful that, as already mentioned, many real communities have emerged, where users can learn and converse in them. Exemplary case are the invented languages and grammar of JRR Tolkien used in the Lord of the Rings trilogy, real linguistic systems invented by imitating historical-natural languages, or the (2011), developed by David J. Peterson for the TV series Game of

Thrones (based on the Song of Ice and Fire saga by George RR Martin).

To conclude this overview of the main artificial a posteriori languages, we can affirm that only a few have come down to us and still enjoy considerable use today.

To simplify, we can say that the one that most embodies regularity is Esperanto, while that which comes closest to naturalness is Interlingua. The problem of the effective universality of an artificial language (which therefore also affects the a posteriori languages) will probably remain unsolvable. The reason for this lies not only in the difficulty or inability to create a language that effectively takes into account all languages in terms of vocabulary and language structure, but rather because of the close link that exists between language and culture.

91

Chapter 2

ENGLISH AS A LINGUA FRANCA AND

INTERNATIONAL LANGUAGE

In the new millennium, English, an international language used as a lingua franca in some regions controlled politically by England, found itself playing the role of a global language. As we have seen, the question of the search for a universal language that circumvents the drama of multilingualism and incommunicability has been formulated differently in different periods of European history. But why would anyone go to the trouble of creating a universal artificial language, when currently English could be considered an international language? It is beyond doubt that today there is a clear supremacy of English over all other languages in international communication: it is in fact used at all levels (from the highest to the lowest), in the scientific, academic, and political fields etc.

Here is the first crux of the matter, i.e. that the concept of a universal language is above all a cultural problem. In fact, every language expresses a particular vision of the world, and this is why there cannot be a universal language. The supremacy of a natural language would therefore imply not only its widespread use, but also the worldview associated with it, and would thus lack the equal dignity and respect of different cultures. Being a native English, Chinese or Russian speaker has different effects on the architecture of thought, according to a growing number of studies”. The problem, however, is not only of a cultural nature, as it can also include economic and political facets. The spreading and learning of English as the world’s main L2, as Andrea Chiti Batelli points out, brings several billion euros a

92 year into the coffers of Great Britain. The fact that it is also a political problem is confirmed by the fact that Esperanto, despite its usefulness and easy acquisition, has still not become a world language, as Zamenhof and all Esperantists expected.

A language can be affirmed internationally only if it has a political, economic and military force behind it, which plans its spread and imposes it from above. It is also for this reason that Esperanto, born with the best intentions to unite different peoples and nations, has remained chained to its ludic function.

What then can we do, about this situation? The conclusion proffered by Chiti

Batelli is categorical: "Due to the political dominance of the United States - to which we must add Great Britain, Australia, New Zealand, Ireland itself and so on

- it is not modifiable for the moment, so today there is no alternative to English for the immediate future". To tell the truth, it can be said that things are changing: perhaps recently a small glimmer of hope appeared with Brexit, as according to some, now that Britain is no longer a member of the European Union, there is no sense to using English as the official language of the Parliament and the European

Commission.

93

1. Lingua Franca

Many centuries before the globalization of the economy and the spread of

English as the first language of international trade, people from different countries were almost forced to devise a simple but effective way to communicate. In the

Mediterranean Sea region, which became a center of trade in the period following the crusades, a spontaneous language called Franca used by sailors and merchants developed.

It took its name from the lingua franca Mediterranea or Sabir58 , a language spoken in the ports of the Mediterranean between the era of the Crusades and the nineteenth century. By its nature, it could only be acquired by oral means; it was characterized by a simple grammar, heterogeneous lexicon and rather reduced vocabulary59. Not covering all the existing words, it could hardly be considered a real language. Franco is also the word with which the Arab world generically identified Europeans, even if according to others it derived from the extension of the Franco denomination, understood as enjoying particular deductibles. Today, the term lingua franca means any means of communication shared between people of different languages.

58 The Lingua Franca Mediterranea, the mother of all the free languages (at least for linguists), worked for several centuries. It was full of words coming from Italian, in particular from Lom- bardo and, later, from Venetian. Over the centuries, it absorbed numerous Portuguese and Spanish words, in addition to Greek, Turkish, Arab, Berber and French terms. This tradition disappeared when Europe decided to colonize African countries in the 1800s by exporting its national lan- guages. Linkpop, How much do we need a lingua franca for the Mediterranean today? www.linki- esta.it, 2016. 59 MINERVINI Laura, Italian as a lingua franca, on http://www.treccani.it, 2010.

94

In the past, there were several factors that led to its spread:

• Military conquests

• International trade

• Religious missions

However, the concept and idea of lingua franca have undergone considerable change over time. Today, the lingua franca has evolved into a means that connects not only empires, but the whole world; if Latin could be considered a lingua franca because it ideally united all Catholics who participated in religious services, today we consider the lingua franca useful to circumvent linguistic differences in everyday life.

95

1.1 Classification of lingua francas

Lingua francas can be divided into two groups, depending on their origin and evolution. They can be:

• Contact languages

• International languages

With the expression "contact language" we mean the coexistence in one place at the same time of two or more languages60 .

A contact language is closely associated with bilingualism, but the two languages may find themselves interacting without necessarily assuming that the speakers or the communities are bilingual. In this sense, the languages of the new millennium are for the most part in contact with English. In fact, they convey in varying degrees its influence, without an assumed or effective knowledge of

English on the part of their speakers, and this is particularly evident as far as Italian is concerned.

An international auxiliary language abbreviated as "auxlang" or "IAL", is an artificial language created for communication between people of different nations who do not have in common one language. The term "auxiliary" implies that it is an additional language that can be learned as a second language by everybody, rather than a substitution for their native language.

The term can however also be extended to a natural language identified for such purposes by international consent (in this case we are talking about lingua

60 BERRUTO, Gaetano, contact language, www.treccani.it , 2010

96 franca): for example, English is currently the main auxiliary language in the world, followed by French.

2. English, lingua franca par excellence

Today English is a language in clear supremacy compared to its "competitors", in all areas and sectors, so it seems that those who do not know English are destined to remain "outside the world" and its interactions.

According to the linguist, Nicholas Ostler, treating English like any other language is a mistake. In the translation market, for example, works translated from

English into other languages count for 60-70% of the total, clearly demonstrating that English literature is reputed to be interesting even outside the British and

American borders. Inversely, this sentiment is unrequited, as translations from other languages to English are decreasing more and more. Furthermore, it certainly true that entering the international market without knowing English is unthinkable61.

International events have in fact brought people of different linguistic and socio-cultural backgrounds closer, making sure that English has been adopted as a common language by people speaking different mother tongues. Already in 2000, in his book "The Future of English", Gradol claimed that 99% of European organizations used English as a working language.

61 OSTLER, Nicholas, The last lingua franca: the rise and fall of world languages, London, Walker Publishing Company Inc., 2010, p.8.

97

2.1 Support and opposition of linguists

One of the main controversies originating within the context of the use of

English as a lingua franca concerns the idea that English native speakers - and the forms of English they speak - have lost importance in international communication and that they can no longer be considered the "owners" of the English language.

Some researchers in the linguistic field are of the opinion that English belongs to whoever speaks it and who allows the language to evolve in the world independently of the linguistic changes that take place in English-speaking countries. The number of English speakers is estimated at around two billion and, precisely for this reason, linguists have identified three macro-categories in which to divide the territories where English is spoken:

English as a Native Language (ENL)

This category includes territories such as Great Britain, Australia, New

Zealand, and the United States. In these countries, English occupies a position of absolute importance compared to other languages present. Ireland, Canada and

South Africa should be added to the group of ENL territories.

English as a Second Language (ESL)

This includes the territories in which English is used in the academic field or in the drafting of official administrative documents.

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English as a Foreign Language (EFL)

The last group, which can in turn be divided into two sub-categories, includes the territories in which English is a foreign language that is learned only at school.

According to scholars, it is no longer necessary for English L2 students to comply with the English standards of native speakers. In her book, "World

Englishes", the researcher Jennifer Jenkins supports, in fact, the need to establish phonetic rules and pronunciation models based on English as an international language whose main objective is comprehensibility for those who speak English as a second language. For supporters of this position, English as a lingua franca should not be considered inferior or incorrect when compared with the English of those who speak it as a first language. They are both variants of the English language with the same authority and authenticity in their own contexts.

In contrast, linguists like I-Chun Kuo argue that although a certain degree of phonological and grammatical inaccuracy can be tolerated in real communication, the teaching of English cannot be based on such a model of communication. From his point of view, the model provided by English used as a first language represents a complete base. It will be up to teachers and students to decide how to conform to this model depending on the context.

99

3. Expansion: the paradox of the internationalization of

language

Today, English is the language of world politics, international finance and trade, the Internet, communication and media, the sports and leisure industry, and the international scientific community.

From a sociolinguistic point of view, this process is leading to the development of diglossia in the EU Member States. English will be increasingly used in the aforementioned areas, while in all other contexts the different national languages will be used.

However, English does not play a prominent role in one important area; it does not have strong ties with any of the great religions.

Despite its gradual internationalization, the price that this language has had to pay to become and remain such is twofold:

• deculturization (and the relative denationalization): English, as has already been mentioned, has been progressively stripped of its association with the Anglo-

American world or in any case native English speakers. This means that the study of English no longer refers to British, North American, Australian culture, etc., but has simply become a communication tool devoid of a socio-cultural background and interpreted and reused differently depending on the background of the person who uses it 62. On the other hand, native speakers are progressively expropriated of their own language.

62 SANTIPOLO, Matteo, From sociolinguistics to glottodidattics, Torino, Utet Università, 2006

100

• the expropriation of the native speakers also entails an ever-increasing linguistic variability concerning pronunciation, vocabulary, morphosyntax, etc. The more people speak the language, the more geographically and culturally it moves away from the center that produced it, the greater will be its variation. In the long run, this process of differentiation could create varieties of English so distant from each other that the speakers of the different forms will no longer be able to understand each other. In this case, its strength as an international language status could become the main cause of its weakening. However, this differentiation linked to expansion is today largely attenuated by international communications. In other words, by linguistic globalization.

• Closely linked to the globalization of a language is its democratization.

While Latin and French, which in the past played an international role at international level comparable to that played today by English, although not identical in terms of geographical extension, were in fact elitist languages. English, on the other hand, is also within reach of the more socially and economically disadvantaged part of the population, to which formerly international communication was precluded.

In any case, if a language wants to remain dominant over the others, it must remain intelligible to both native and non-native speakers. For this reason, it is necessary to set limits to this continuous varying. This can be done by determining some reference models that maintain a "standard" level, which is the international quality of the language. This applies, of course, especially to those countries where

English is not the native language and where, as we have seen, new varieties at times very different from those considered standard can develop.

101

3.1 Models of linguistic reference

As regards the countries where English is historically spoken as a native language, the reference models refer to the different national traditions. You can find, for example, a Standard Scottish English, an Australian English, a Canadian

English, an Irish English, etc.

The models that have historically prevailed have been Standard British

English (SBE) and General American (GenAm). A brief overview will be provided based on in-depth studies conducted by Gramley & Pätzold. The term SBE refers to that variety of English, of which grammar, syntax, morphology, slang, and vocabulary are more widely accepted and spoken in Britain. From a historical- geographical point of view, SBE developed in the triangle between London, Oxford and Cambridge, while from a historical-social point of view it is associated with the upper and most educated classes of the population. Internationally, SBE has always been the main reference model for countries like South Africa, India or Nigeria, as well as most European countries where English is taught as a second language.

Contrary to what is often thought, GenAm is the variety of English considered most prestigious and acceptable to the middle classes of the United States. It is mostly spoken in the Midwestern states, but has become the reference model for most TV and radio presenters, in movies and in advertising. General American is the variety of American English typically taught to those who study English as a second language in the United States, and also to students from other countries who wish to learn "American English". It is present in most Asian countries, Latin

America and, more and more frequently, in Scandinavian countries. There is also a

102 growing number of Italian universities offering the opportunity to graduate in

American Language and Literature, recognizing that British English is no longer the only acceptable model, even at academic level.

While SBE is losing ground to the apparent benefit of GenAm, it is becoming increasingly clear that for many students the goal of quasi-native competence is unrealistic. It often happens that when singing British pop stars change their accent to make it more GenAm, thus implementing a real code switching, in order to be more "attractive" and therefore "sellable" on the international market. Given the linguistic and geographical nature of this variety, it is often referred to as Mid-

Atlantic English. Another model of international reference that is increasingly gaining ground, especially in Europe, is the so-called Euro-English. In the European

Union, in fact, English functions more and more as a lingua franca (ELF). Euro-

English was born of two main types of processes:

• the nativization of the discourse, in which the expressions deriving from the other European languages and therefore not present in the native varieties become valid communication tools.

• fossilization, through which non-standard or grammatically incorrect structures, due to repeated use, become acceptable forms of the language. This is the case, for example, of the expression "We were five at the party" instead of

"There were five of us at the party".

103

3.2 Which English should we teach?

The weakening of SBE and GenAm as international reference models, the emergence of new varieties such as Mid-Atlantic English or Euro-English (not to mention the many other varieties of New English) has given rise to a few questions about what variety to teach to people who want to use English as an international language. It is therefore essential for teachers to accustom students to the widest possible range of accents, and morphosyntactic and lexical structures. The effort that has to be made, however, is not just for non-native speakers. Even those who have English as their own L1 will have to get used to adapting to these emerging varieties, in order to communicate effectively. There are several hypotheses that this will lead to the formation of a single unifying variety, International Standard

English.

104

Chapter 3

THE SUCCESS OF ENGLISH IN THE 20th CENTURY: FROM

THE MEDIA TO AIRSPEAK

1. In the right place at the right time

As often happens, determining the success or decline of a language are external factors that often involve different aspects of the social structure of that language, variety or dialect.

According to the expansionist model of Rudolph Quirk (1985), the reasons that have contributed to the worldwide diffusion of English, are:

a. imperial expansion

b. demographic expansion

c. econo-cultural expansion

We can thus identify the main channels that today promote the dissemination and maintenance of English as an international language, dividing them by macro- areas63:

• Media (press, radio and television broadcasts, cinema, music

 The internet (Netspeak)

• International travel

63 CRYSTAL, David, English as a Global Language, Cambridge, Cambridge University Press (1997)

105

• International security (just a couple of examples: in 1980 a project was promoted to create the Essential English for International Maritime Use, later known as Seaspeak. The second example refers to the so-called Airspeak, the official international air traffic language, approved as early as 1951.)

• Education and scientific research

In essence, English has found itself in the right place (historical, economic, political, etc.) at the right time.

2. The Airspeak

Communication errors are frequent and occur even more frequently when the subjects involved find themselves communicating in a language that is not their mother tongue. These errors cause misunderstandings often without serious consequences, but if committed in more specific contexts can lead to disastrous damage.

Analyzing communications in the aeronautical field, we realize how important it is to avoid making communication mistakes to avoid air disasters.

It is therefore essential to follow certain rules for effective communication.

The aeronautical language becomes even more complex as it is an environment in which people who speak different languages are involved in the exchange of messages. A common language, English, was therefore chosen to overcome these problems, and was standardized for the specific aeronautical language in order to make transmissions shorter and more concise. Despite this, however, the crews continue to make mistakes, both due to lack of linguistic proficiency in English and to the lack of use of standard procedures.

106

2.1 Etymology of the term

In 1951 the ICAO (International Organization of Civil Aviation) gave linguistic guidelines favoring the birth of the airspeak.

As for the etymology of the term, it is a name composed of two words: in particular the suffix -speak, seems to have a "folk" origin, affective, and that its use had an almost derogatory purpose, of devaluation of the status of the activity.

It means that the designated activity is of little importance, or to be ridiculed.

The change in the technical terminology, on purpose, is an indication both of the research of play and of the playful attitude of many English-speaking scholars in these disciplines, and of an ideological choice towards the subject to be studied64.

Later the terms Airspeak and Seaspeak, were modeled to remain as fixed lexemes and technical terms in all respects. At the beginning ironic and playful, they have now become "serious" terms, full-blown technicalities.

64 See VINCENT, Jocelyn, 'Talk-speak: Game and Ideology in English Logics' in C. Vallini (ed.) Words for words - Logonyms in languages and metalanguage. Rome: Il Calamo (2000) p.2

107

3. Importance of effective communication in aviation

Effective communication is in fact the essential condition to avoid any kind of negative effect due to misunderstandings, and in these situations, even the slightest misunderstanding could lead to disastrous consequences.

Recent studies have repeatedly shown that communication problems are to be considered among the main causes behind air crashes, much more frequent than technical problems.

For example, expectations and assumptions are one of the most common key drivers to create misunderstandings. However, the main causes of misunderstanding rather involve language, accent, and jargon.

Although it is easy enough for a native English speaker to misunderstand messages from non-native speakers, the situation could easily get even more complicated if they were exclusively non-native speakers involved in the communication process.

Some questions therefore arise spontaneously: what kind of communication should therefore prevail in the air transport sector? How can effective communication avoid tragic consequences? And how can the aviation industry manage to find ways to handle these communication problems to improve flight safety?

108

3.1 Forms of communication in aviation

Communication in the aviation sector takes place in different forms: it can be unidirectional or bidirectional; the former, for example, is the communication that is established between the instruments of the cockpit and the pilots, while the second, also called “interpersonal communication” concerns the communication between two or more individuals (for example between flight controllers and pilots).

3.1.1 Written communication

In the aviation industry, a great deal of information is transmitted through written messages. In the management of documentation, written communication is of paramount importance. These documents ( flight manuals, flight plans, checklists, etc.) should provide accurate, concise and direct information or instructions that are easily adaptable to potential critical situations and should use a standard codified language. However, especially in emergencies, flight personnel do not always adopt the phraseology shown in these manuals.

3.1.2 Oral communication

Of all the forms of communication used in air transport, none is however more critical than verbal interaction. Because of individual, cultural and interpersonal differences, it is indeed difficult to avoid potential communication barriers. Only practice and training can help to minimize interpersonal differences and allow those involved to become effective speakers.

109

The aviation industry has consequently developed some innovative solutions that can be adopted in order to improve communication effectiveness.

3.1.3 Non-verbal communication

Non-verbal communication is another form of information exchange often used in flight procedures. Body language is in fact used in procedures that require an exchange of information between the airport ground staff and the cockpit of an aircraft, between the crew members during routine operations etc. In fact, if for any reason it is not possible to use the headphones and microphones, it is possible to use sign language. This type of communication can even easily reduce the risk of misunderstandings typical of verbal communication.

3.1.4 Graphic and computerized communication

In addition to traditional forms and communication systems, there exist complex systems that simultaneously integrate written and graphic communication.

Examples are flight programs used exclusively within a company, which are intended to provide operational personnel with information on flight operations, as well as details of crews, passengers, fuel on board, weather conditions, etc. Finally, another form of communication is that with and between computers in aircraft that have advanced technology. This form of communication is generally designed to allow an interaction between different technological systems such as, for example when the "autopilot" option is activated.

110

3.2 Phraseology

The ICAO has defined a standard phraseology that, used throughout the world, which is collected in several volumes.

When transmitting messages, all those techniques aimed at guaranteeing their perfect comprehension must be used. In particular personnel should:

• use simple grammatical constructions

• avoid words containing sounds or syllabic constructions that are difficult to pronounce for non-native English speakers

• use clear, unambiguous and short sentences

• proper use of the microphone, maintaining a normal and constant tone and pronouncing words clearly and distinctly

• speak slowly and avoid hesitant sounds like "er" or "ah"

• never use forms of courtesy (greeting and thanks) because all that is superfluous to communication must be eliminated etc.

There are also various categories of messages managed in the aeronautical mobile service and placed in order of priority. The most famous is undoubtedly the category of emergency messages, represented by the famous "MAYDAY", which is pronounced only in cases of extreme criticality; PAN PAN or PAN MEDICAL, instead, represent emergency messages with a lower level of gravity and to indicate the medical transport signal. As is evident, this technical language presents some untranslatable elements, created exclusively on the basis of the clarity of the sound emitted when they are uttered.

111

4. Air accidents caused by linguistic misunderstandings

4.1. The Tenerife air disaster

Linguistic misunderstandings during radio communication have led to disastrous incidents. This neglect has caused the most serious air crash in aviation history and led to the death of nearly 600 people,when two Boeing 747s collided on the runway of Los Rodeos airport on the Spanish island of Tenerife, in the

Canary archipelago on 27 March 1977. All the passengers on board the Dutch flight

KLM 4805 and most of those on board the Pan Am 1736 flight died. The accident was caused by the concatenation of many factors: the Pan Am flight was still on the runway when the KLM flight started its takeoff, but due to the poor visibility caused by the adverse weather conditions, however, prevented visual contact between the two Boeing and the control tower: the position of the aircraft could therefore be determined only on the basis of radio communications, which on that day were particularly disturbed and difficult to understand, thanks to the lack of perfect mastery of the English speaking phonemes by the tower staff.

They were under pressure, as they were called to handle a volume of traffic that was completely unusual for the airport they controlled, and they did not speak fluent English.

This was exactly what happened: convinced that he had received clearance to take off, without contacting the tower again, the commander of the KLM released the brakes and gave full power to the engines.

As a consequence of the disaster, several changes were made to air traffic management rules. First, the aeronautical authorities introduced the obligation to

112 use standard phrases in communications between aircraft and the control tower, in order to avoid any misunderstanding.

113

CONCLUSIONS

According to Nicholas Ostler, the analysis of the lingua franca in the past and present can give us some suggestions - or at least an idea - of what we can expect for the future.

The main reason why English could undergo a linguistic decline as Lingua

Franca is the competition of the other languages.

It is more interesting to understand the future of the lingua franca as such, that is, if thanks to the new conditions created by technological innovation in the field of linguistics, the need for a common language can be satisfied by something different from a lingua franca.

It remains difficult to think that English can be replaced as LF, and there are precise reasons to support this statement.

One of the factors that has historically functioned as a popular means of language is the massive migration from one country to another, or the formation of colonial settlements, for commercial reasons or because of the need to flee from conflicts. Yet, since the first half of the twentieth century, there has been a flow of inverse migrations: those who had previously moved to seek better living conditions, instead of staying, decided to return to their country of origin. Obviously this does not help the spread of the language, which actually loses all contact in the foreign country. There are also more desperate cases, that is mass movements from third world countries to Europe and North America due to poor living conditions and civil wars. With the hope of being able to build a better future, millions of people have moved, creating communities of speakers of foreign languages in the

114 host countries. Although this factor can positively influence the development of a language like LF in the host country, this does not happen for several reasons. Since these languages are used as L1 within the communities, they are socially considered in the same way as dialectal forms and therefore of no economic-cultural utility for the rest of society.

As for the tendency to consider Chinese or Arabic as the languages that will overwhelm English, it is sufficient to report that, although their markets are expanding worldwide, there are very few realities in which they are studied as L2 in non-Asian and Arab countries, above all for the difficulty of learning. Instead, in

China, for example, the languages studied are Cantonese and English, and this situation is not expected to change quickly.

This analysis leads to the conclusion that - at least in the medium term -

English will still be the language for which the sun never sets.

According to Ostler's vision, on the other hand, it is precisely the computer revolution that will bring down all the linguistic barriers, starting from the simultaneous translator. Although today it still produces inaccurate translations, its refinement can lead to extremely satisfactory results. In fact, the prospect of reciprocal accessibility between different L1 is becoming real: in December 2014

Microsoft released the first version of Skype Translator, a simultaneous translation tool that allows you to communicate in real time with foreign interlocutors speaking your own language.

115

SECCIÓN ESPAÑOLA

116

INTRODUCCIÓN

El mito de la torre de Babel representa ahora el estereotipo de la inmensa diversidad lingüística, ya que siempre ha tenido un valor negativo, una condena a vivir en un mundo donde los pueblos están separados, entre otras cosas, también por la multiplicidad de idiomas. En realidad, su interpretación contemporánea es muy diferente de esto: un mensaje de riqueza cultural que caracteriza a todos los idiomas. Entonces, la intención de Dios, en la historia, es proteger la particularidad lingüístico-cultural de cada nación y la riqueza que se deriva de la diversidad natural de las lenguas. Sin embargo, aún hoy prevalece una idea negativa de este mito, un sentido de condena vinculado a la observación de la presencia de muchos idiomas diferentes que separan y no permiten la comunicación. La función que hoy desempeña el inglés es de hecho comparable a la del latín en la era antigua, medieval y moderna. En el pasado también se han buscado alternativas que fueran aún más efectivas desde un punto de vista comunicativo y de aprendizaje: se trata de lenguajes artificiales, algunos de los cuales se construyen sobre la base de los lenguajes naturales existentes. Uno de estos, el esperanto, desarrollado hacia el final del siglo XIX, aún es hablado y utilizado por unos pocos millones de personas. Es un lenguaje nacido para ser utilizado como lengua franca universal e internacional, aunque no se ha convertido en un lenguaje universal. El objetivo que nos fijamos con este trabajo es, por lo tanto, verificar cuánto inglés está efectivamente establecido y ramificado en la gran mayoría de los sectores, y si está destinado a reinar sin ser cuestionado durante muchas décadas.

Para este propósito, en el primer capítulo presentaremos el nacimiento y la historia de los diversos lenguajes artificiales creados a lo largo del tiempo, dentro

117 de una cuestión mucho más amplia y más articulada: la búsqueda de un lenguaje universal. El segundo capítulo se centrará en el papel desempeñado por el inglés hoy en día como la primera lengua franca más utilizada en el mundo y lo que conlleva; al final, en el tercer capítulo, teniendo siempre a la lengua inglesa como protagonista, hablaremos de su impacto desde el siglo XX hasta la actualidad, con el advenimiento de la globalización y los medios de comunicación , y cómo se ha ramificado en casi todos los sectores, haciendo un análisis particular del mundo de la aviación . De este modo, podremos llegar a algunas conclusiones sobre el futuro de esta lengua franca, si su eventual declive se llevará a cabo a favor de los nuevos

"gigantes" de la economía mundial (árabe y chino), o seguirá siendo un fenómeno sin cambios en el tiempo.

118

Capítulo 1

EN BUSCA DE UN IDIOMA UNIVERSAL

En el Viejo Continente, se hablan 24 idiomas oficiales, aunque la enorme afluencia de migrantes y refugiados ha transformado las grandes metrópolis en verdaderos centros multilingües; incluso si el contexto europeo es muy limitado (en comparación con el mundo), la necesidad de un idioma único para comunicarse con personas que hablan un idioma diferente es cada vez más urgente y apremiante, una urgencia que ni siquiera se ha calmado con la afirmación del inglés. Esto no implicará, ya que muchos temen y critican, a un empobrecimiento cultural y lingüístico. En este capítulo, por lo tanto, se hará una descripción precisa y clasificación de las lenguas naturales "creadas" por el hombre a lo largo de los siglos, subrayando las razones que han dado lugar a su invención y aplicación.

1. Terminología y clasificación de las lenguas planificadas

Para crear un lenguaje artificial o inventado, o con su término en inglés más reciente, conlangs (Idiomas Construidos)65, las habilidades básicas para crear un lenguaje artificial distinto del italiano son:

65 Consulte http://conlang.org/, un portal dedicado a los idiomas inventados, donde puede consultar la Biblioteca de Con-langer, "una compilación de artículos, libros, materiales educativos, películas, recursos de Internet y mucho, mucho más relacionado con los lenguajes construidos (conlangs) y para los que los construyen (conlangers) ', y para' la línea de tiempo de la historia de los conlangs que se remonta a la Antigua Grecia. También hay una página (http://conlang.wi- kia.com/wiki/Create_a_Language)que proporciona una variedad de herramientas, guías, instruc- ciones, catálogos, etc. a cualquier persona que quiera probar ser un intermediario y crear su propio lenguaje imaginario

119

• Conocimiento de la gramática de algún idioma que no sea italiano

• Conocimiento básico de fonética

• Conocer el IPA66

• Conocer bien muchos idiomas

1.1 Idiomas artificiales y naturales, a priori, a posteriori y mixtos

El arte de crear lenguajes artificiales se llama glossopoiesis, del griego glossa

(palabra) y pòiesis (creación). Los autores de estos lenguajes artificiales se llaman

"glottoteta" o "glossopoeta", y desarrollan la fonética, la ortografía, la morfología, la sintaxis y el léxico de cualquier idioma que pretendan crear. Se distinguen en lenguas artísticas o imaginarias, lógico-filosóficas y auxiliares. Se habla más a menudo de "idiomas auxiliares internacionales", una expresión que puede designar tanto idiomas artificiales como naturales.

Los lenguajes imaginarios se pueden dividir en dos áreas principales. Por un lado tenemos aquellos de naturaleza sagrada, y de un carácter no sagrado, es decir, tienen principalmente un propósito divertido y de entretenimiento. Todas estas motivaciones a menudo tienen en común un propósito velado del utopismo, crear un lenguaje perfecto. Continuando con la terminología, se describe "a posteriori" un lenguaje construido a partir de uno o más lenguajes naturales como fuentes, el lenguaje "a priori", se crea "desde los cimientos" sin usar cualquier lengua natural.

Por último, en las lenguas "mixtas" hay lenguas a priori y a posteriori.

66 Alfabeto fonético de la Asociación Internacional de Fonética

120

1.2 Clasificación de idiomas artificiales

Las lenguas sagradas y la de las lenguas seculares, que a su vez pueden subdividirse a su vez de la siguiente manera:

A) Lenguajes Sagrados:

1. Lenguaje artificial sagrado

2. Pseudo-lingüística sagrada parcial

B) Idiomas laicos:

1. Lenguajes artísticos expresivos-artificiales

2. Idiomas artificiales para la comunicación internacional

2. En busca de un lenguaje universal

2.1 Desde la antigüedad hasta la Edad Media

Solo en la Edad Media, según Eco, es cuando comienza a tomar forma la conciencia de la fragmentación de las lenguas.

Antes de eso, no había necesidad de un lenguaje común en Occidente, en parte porque ya estaba allí: esta función había sido cubierta primero por el griego y luego por el latín. Poco a poco, sin embargo, el latín también se abrió paso, hasta que se convirtió en un lenguaje del Imperio Romano, del cristianismo y de la Edad Media.

Es en este período que una multiplicidad de vulgaris se ha extendido y que el drama de la fragmentación lingüística se ha hecho sentir cada vez más.

121

Junto al latín cristiano, debe mencionarse el hebreo, considerado el idioma perfecto por excelencia, del que derivan todos los demás idiomas. En el

Renacimiento, esta visión utópica del hebreo ha sido suplantada por la creencia de que la presencia de muchos idiomas es un proceso natural. El latín, sin embargo, se convirtió en un idioma muerto ante las nuevas necesidades prácticas y culturales de las clases emergentes.

Sin embargo, fue utilizado por los intelectuales hasta el '600, siguió siendo el idioma del culto católico hasta el Concilio Vaticano II67 y sigue siendo el idioma oficial de la Santa Sede.

2.2 De los lenguajes filosóficos del siglo diecisiete a los idiomas

contemporáneos

Alrededor del siglo diecisiete, la búsqueda de un lenguaje universal tendía cada vez más a separarse de los propósitos religiosos. Los factores que han determinado este cambio son diferentes: las tendencias expansionistas de Inglaterra y, por lo tanto, la necesidad de facilitar el comercio internacional, la búsqueda de un lenguaje con una ortografía regular para superar las dificultades encontradas en el aprendizaje de inglés, etc. La cuestión del lenguaje se ha convertido en el objeto de interés de los filósofos, que sintieron la necesidad de un lenguaje en el que las palabras y la forma en que se asociaron respetaran las reglas lógicas. En particular, se necesita una estructura fonética de palabras simples y un vocabulario europeo

67 Con la Constitución Apostólica "Sacrosantum Conciulium", 4 de diciembre de 1963

122 común, así como una gramática fácil y regular que consista en un número limitado de reglas sin excepciones. Los intentos de construir tal lenguaje pronto llevaron a una especie de Babel de lenguas internacionales, como el volapük o el famoso esperanto, la lengua auxiliar más exitosa hasta nuestros días. Aislado es el grupo de lenguas utópicas, es decir, aquellas producciones lingüísticas que se describen en obras que describen mundos o universos utópicos.

El aspecto utópico está presente en muchos otros tipos de lenguajes inventados, ya que uno de los procedimientos más típicos de invención lingüística corresponde a una simplificación de uno o más lenguajes naturales, que cae en la tipología B1 identificada por Bausani, la de la expresión artística-expresiva artificial idiomas.

Este es el caso de la literatura de ciencia ficción y fantasía, especialmente literatura inglesa y estadounidense.

Al concluir esta revisión resumida de los principales lenguajes artificiales a posteriori, solo unos pocos han llegado hasta nosotros y disfrutan de una considerable difusión incluso hoy en día. Simplificando, podemos decir que el que más encarna la regularidad es el esperanto, mientras que el que más se acerca a la naturalidad es interlingua. El problema de la universalidad efectiva de un lenguaje artificial (que, por lo tanto, también afecta las lenguas a posteriori) probablemente seguirá siendo irresoluble; la razón de esto radica no solo en la dificultad o incapacidad de crear un lenguaje que tenga en cuenta efectivamente todos los idiomas en términos de vocabulario y estructura del lenguaje, sino más bien debido al estrecho vínculo que existe entre el lenguaje y la cultura.

123

Capitulo 2

INGLÉS COMO LENGUA FRANCA Y LENGUA INTERNACIONAL

En el nuevo milenio, el inglés, un idioma internacional utilizado como lengua franca, se encontró desempeñando el papel de un lenguaje global. ¿Por qué alguien pasaría por la molestia de un lenguaje artificial universal, cuando el inglés ahora podría considerarse un idioma internacional? Es indudable, que hoy existe una clara supremacía del inglés sobre todos los demás idiomas en la comunicación internacional: de hecho se utiliza en todos los niveles (del más alto al más bajo), en el campo científico, universitario, político, etc.

El de un lenguaje universal es, antes que nada, un problema cultural. De hecho, cada idioma expresa una visión particular del mundo, y por esta razón no puede haber un lenguaje universal. La supremacía de un lenguaje natural implicaría, por lo tanto, no solo la difusión de su uso, sino también la visión del mundo asociada a

él: por lo tanto, carecería de la misma dignidad y respeto de las diferentes culturas.

Pero el problema también puede presentar facetas económicas y políticas. La difusión y el aprendizaje del inglés como principal L2, señala Andrea Chiti Batelli, aporta varios miles de millones de euros al año a los cofres de Gran Bretaña. Y es un problema político porque un idioma puede afirmarse internacionalmente solo si tiene una fuerza política, económica y militar detrás, que planifica su propagación y lo impone desde arriba.

124

1. Lengua Franca

Muchos siglos antes de la globalización de la economía y la difusión del inglés como primera lengua del comercio internacional, las personas de diferentes países se vieron casi obligadas a idear una forma simple pero efectiva de comunicarse. En el mar Mediterráneo, que se convirtió en un centro de comercio en el período posterior a las cruzadas, se formó un lenguaje espontáneo, llamado lengua franca, utilizado por marineros y comerciantes.

Toma su nombre de la lengua franca mediterranea o sabir68, una lengua que se habla en los puertos del Mediterráneo entre la época de las Cruzadas y el siglo

XIX. Por su naturaleza, solo se podía adquirir por medios orales, y se caracterizaba por una gramática simple, un léxico heterogéneo y un vocabulario bastante reducido. Franco es también el término con el que en el mundo árabe se identifica genéricamente a los europeos, incluso si otros hacen que se derive de la extensión de la denominación de Franco, entendida como que goza de deducibles particulares.

Hoy con lengua franca significa cualquier medio de comunicación en común entre personas de diferentes idiomas.

En el pasado, hubo varios factores que llevaron a su difusión:

• Conquistas militares

• El comercio internacional,

68 La Lingua Franca Mediterranea, la madre de todas las lenguas libres (al menos para los lingüistas), trabajó durante varios siglos. Estaba lleno de palabras procedentes del italiano, en par- ticular de Lombardo y, más tarde, de Venecia. A lo largo de los siglos, absorbió numerosas pala- bras portuguesas y españolas, además de los términos griego, turco, árabe, bereber y francés. Esta tradición desapareció cuando Europa decidió colonizar los países africanos en el siglo XIX expor- tando sus idiomas nacionales. Linkpop, ¿Cuánto necesitamos una lengua franca para el Mediter- ráneo hoy? www.linkiesta.it, 2016.

125

• Misiones religiosas

Hoy en día, la lengua franca ha evolucionado como un medio que conecta no solo a los imperios, sino a todo el mundo.

1.1 Clasificación de la lengua franca

La Lengua Franca se puede dividir en dos grupos, según su origen y evolución.

Ellos pueden ser:

• Idiomas de contacto

• Idiomas internacionales

Con la expresión "lenguaje de contacto" nos referimos a la convivencia en un lugar y en un tiempo de dos o más idiomas69.

Los idiomas del nuevo milenio están de hecho en su mayor parte en contacto con el inglés. Un idioma auxiliar internacional abreviado como "auxlang" es un lenguaje artificial creado para la comunicación entre personas de diferentes naciones que no tienen en común un idioma. El término "auxiliar" implica que es un lenguaje adicional que se propone aprender como un segundo idioma para todas las personas en el mundo, en lugar de una sustitución de sus idiomas nativos.

Sin embargo, el término también puede extenderse a un lenguaje natural identificado para tales fines por consentimiento internacional (en este caso estamos hablando de lengua franca): por ejemplo, el inglés es en realidad el principal idioma auxiliar del mundo, seguido por el francés.

69 BERRUTO, Gaetano, lenguaje de contacto, www.treccani.it , 2010

126

2. Inglés, lengua franca por excelencia

Hoy el inglés es un idioma en clara supremacía en comparación con sus

"competidores", en todas las áreas y sectores; por lo que parece que aquellos que no saben inglés están destinados a permanecer "fuera del mundo" y sus interacciones.

En el mercado de la traducción, por ejemplo, los del inglés (como idioma de origen) representan el 60-70% del total, y las traducciones de otros idiomas hacia el inglés están disminuyendo cada vez más. Por lo tanto, es cierto que ingresar al mercado internacional sin saber inglés es imposible70.

De hecho, los eventos internacionales han acercado a personas de diferentes antecedentes lingüísticos y socioculturales, asegurándose de que el inglés se haya adoptado como un idioma común entre las personas que hablan diferentes lenguas maternas. Ya en el año 2000, en su libro "El futuro del inglés", Gradol afirmó que el 99% de las organizaciones europeas usaba el inglés como idioma de trabajo.

70 OSTLER, Nicholas, The last lingua franca: the rise and fall of world languages, London, Walker Publishing Company Inc., 2010, p.8.

127

2.1 Entre el apoyo y la oposición de los lingüistas

Una de las principales controversias originadas en el contexto del uso del inglés como lengua franca se refiere a la idea de que los hablantes nativos de inglés han perdido importancia dentro del contexto de la comunicación internacional; los lingüistas han identificado tres macrocategorías en las que dividir los territorios donde se habla inglés:

Inglés como idioma nativo (ENL)

Inglés como segundo idioma (ESL)

Inglés como lengua extranjera (EFL)

Según los estudiosos, ya no es necesario que los estudiantes de inglés L2 como lengua franca no debe considerarse inferior o incorrecto en comparación con el inglés de quienes lo hablan como primer idioma. Ambas son variantes del idioma inglés con la misma autoridad y autenticidad en sus propios contextos. Por el contrario, lingüistas como I-Chun Kuo argumentan que el modelo proporcionado por el inglés utilizado como primer idioma representa una base completa.

128

3. Expansión: la paradoja de la internacionalización del

lenguaje

El inglés es hoy el lenguaje de la política mundial, las finanzas y el comercio internacionales, Internet, las comunicaciones y los medios de comunciación, la industria del deporte y la comunidad científica internacional.

A pesar de su gradual internacionalización, dos son los principales precios que debe pagar un idioma para convertirse y permanecer así:

• deculturación (y la relativa desnacionalización)

• la desapropiación de los hablantes nativos: cuanta más gente hable el idioma, cuanto más geográfica y culturalmente se aleje del centro que lo produjo, mayor será su variación.

• la democratización: el inglés, está al alcance de la parte de la población social y económicamente menos elevada.

En cualquier caso, si un idioma quiere seguir siendo predominante sobre los demás, debe seguir siendo inteligible para hablantes, nativos y no nativos. Por esta razón, es necesario establecer límites a esta variación continua. Esto se puede hacer determinando algunos modelos de referencia que mantienen un nivel "estándar", es decir, la calidad internacional del idioma.

129

3.1 Modelos de referencia lingüística

Los modelos de referencia se refieren a las diferentes tradiciones nacionales.

Puede encontrar, por ejemplo, un inglés escocés estándar, un inglés australiano, un inglés canadiense, un inglés irlandés, etc.

Pero los modelos que han prevalecido históricamente han sido el inglés británico estándar (IBE) y el general americano (GenAm). El término IBE se refiere a esa variedad de inglés, cuya gramática, sintaxis, morfología, jerga, vocabulario son más ampliamente aceptadas e incluidas en Gran Bretaña. A nivel internacional, el SBE siempre ha sido el principal modelo de referencia. El GenAm, es la variedad de inglés considerada más prestigiosa y aceptable para las clases medias de los

Estados Unidos. Se habla principalmente en los estados del medio oeste, pero se ha convertido en el foco de referencia para la mayoría de los presentadores de televisión y radio, en las películas y en la publicidad. Mientras que el SBE está perdiendo terreno ante el aparente beneficio del GenAm, se vuelve cada vez más claro que para muchos estudiantes el objetivo de la competencia casi-nativa es poco realista. A menudo ocurre que las estrellas pop británicas, cantando para cambiar su acento, lo mantienen en la dirección de GenAm, implementando así un cambio de código real, para ser más "atractivo" y, por lo tanto, "vendible" en el mercado internacional. Dada la naturaleza tanto lingüística como geográfica de esta variedad, a menudo se la conoce como inglés del Atlántico Medio. Otro modelo de referencia internacional que está ganando terreno cada vez más, especialmente en

Europa, es el llamado euro-inglés. En la Unión Europea, de hecho, el inglés funciona cada vez más como lingua franca (ELF). euro-inglés nació a través de dos tipos principales de procesos:

130

• la nativización del discurso, en el cual las expresiones derivadas de las otras lenguas europeas y por lo tanto no presentes en las variedades nativas se convierten en herramientas de comunicación válidas.

• fosilización, a través de la cual estructuras no estándar o gramaticalmente incorrectas, gracias al uso repetido, se convierten en formas aceptables de lenguaje.

Este es el caso, por ejemplo, de la expresión "Éramos cinco en la fiesta" en lugar de

"Había cinco de nosotros en la fiesta".

3.2 ¿Qué inglés enseñar?

El debilitamiento de la SBE y GenAm como modelos de referencia internacionales, la aparición de nuevas variedades como el inglés del Atlántico medio o el euro-inglés (por no mencionar las muchas otras variedades de inglés nuevo) ha dado lugar a algunas preguntas sobre qué tipo de variedad para enseñar a cualquier persona que quiera usar el inglés como idioma internacional. Por lo tanto, es esencial que los profesores acostumbren a los estudiantes a la gama más amplia posible de acentos, estructuras morfosintácticas y léxicas. Pero el esfuerzo no es solo para hablantes no nativos. Incluso aquellos que tienen el inglés como L1 deben saber cada vez más cómo adaptarse a estas variedades emergentes, con el fin de comunicarse de manera efectiva. Existen varias hipótesis de que esto conducirá a la formación de una única gran variedad unificadora, un inglés estándar internacional.

131

Capítulo 3

EL ÉXITO DEL INGLÉS EN EL SIGLO XX: DE LOS

MEDIOS A EL AIRSPEAK

1. En el lugar correcto en el momento oportuno

Determinar el éxito o el declive de un idioma son factores externos que a menudo implican diferentes aspectos de la estructura social de ese idioma. Se pueden identificar los principales canales que promueven hoy la difusión y el mantenimiento del inglés como lengua internacional, dividiéndolos por macroáreas:71

• Medios (prensa, emisiones de radio y televisión, cine, música, internet)

• Viajes internacionales

• Seguridad internacional ( como el Seaspeak y el Airspeak)

• Educación e investigación científica

71 CRYSTAL, David, English as a Global Language, Cambridge, Cambridge University Press (1997)

132

2. El Airspeak

Los errores de comunicación son frecuentes y aún más frecuentes ocurren cuando los sujetos involucrados se encuentran a sí mismos comunicándose en un idioma que no es su lengua materna. Estos errores causan malentendidos a menudo sin consecuencias graves, pero si se cometen en contextos más específicos, pueden provocar un daño desastroso.

En el lenguaje aeronáutico, por lo tanto, se eligió un lenguaje común para superar estos problemas: el idioma inglés, que se ha estandarizado para el lenguaje aeronáutico específico a fin de hacer las transmisiones más cortas y más concisas.

A pesar de esto, sin embargo, los equipos continúan cometiendo errores, tanto debido a la falta de competencia lingüística en inglés como a la falta de uso de procedimientos estándar.

2.1 Etimología del término

En 1951, la OACI (Organización Internacional de Aviación Civil) dio pautas lingüísticas que favorecían el nacimiento del airspeak.

En cuanto a la etimología del término, tener un origen "folk", afectivo, es decir que la actividad designada es de poca importancia, o para ser ridiculizada. Más tarde, los términos Airspeak y Seaspeak, se han modelado para permanecer como lexemas fijos y términos técnicos en todos los aspectos. Al principio irónico y lúdico, ahora se han convertido en términos "serios", tecnicismos en toda regla.

133

3. Importancia de la comunicación efectiva en aviación

Estudios recientes han demostrado que los problemas de comunicación se deben considerar entre las principales causas de los accidentes aéreos, con mucha mayor frecuencia que los problemas técnicos.

Por ejemplo, las expectativas y suposiciones son uno de los factores clave más comunes para crear malentendidos. Sin embargo, las causas principales de la incomprensión implican más bien el lenguaje, el acento y la jerga.

¿ Cómo puede la industria de la aviación encontrar maneras de manejar estos problemas de comunicación para mejorar la seguridad del vuelo?

3.1 Formas de comunicación en aviación

La comunicación en el sector de la aviación se lleva a cabo de diferentes formas: puede ser unidireccional o bidireccional; la primera es, por ejemplo, la comunicación que se establece entre los instrumentos de la cabina y los pilotos, mientras que la segunda, también llamada concierne a la comunicación entre dos o más individuos (por ejemplo, entre los controladores de vuelo y los pilotos).

3.1.1 Comunicación escrita

En la industria de la aviación, una gran cantidad de información se transmite a través de mensajes escritos. Estos documentos (manuales de vuelo, planes de vuelo, etc.) deben proporcionar información o instrucciones precisas, concisas y directas que sean fácilmente adaptables a situaciones críticas y que utilicen un lenguaje codificado estándar. Sin embargo, especialmente en situaciones de

134 emergencia, el personal de vuelo no siempre adopta la fraseología que se muestra en estos manuales.

3.1.2 Comunicación oral

De todas las formas de comunicación utilizadas en el transporte aéreo, ninguna es, sin embargo, más importante que la interacción verbal. Debido a las diferencias individuales, culturales e interpersonales, es realmente difícil evitar posibles barreras de comunicación. En consecuencia, la industria de la aviación ha desarrollado algunas soluciones innovadoras que pueden adoptarse para mejorar la eficacia de la comunicación.

3.1.3 Comunicación no verbal

El lenguaje corporal se utiliza por ejemplo en los procedimientos que requieren un intercambio de información entre el personal de tierra del aeropuerto y la cabina de un avión, etc. De hecho, en el caso de que los auriculares y micrófonos no puedan usarse, es posible usar lenguaje de señas. Este tipo de comunicación puede incluso reducir fácilmente el riesgo de malentendidos típicos de la comunicación verbal.

3.1.4 Comunicación gráfica e informatizada

Otra forma de comunicación es la con y entre computadoras en aviones que tienen tecnología avanzada. Esta forma de comunicación generalmente está diseñada para permitir una interacción entre diferentes sistemas tecnológicos, como, por ejemplo, en casos de activación de la opción de "piloto automático".

135

3.2 Fraseología

La OACI ha definido una fraseología estándar y, cuando se transmiten mensajes, se deben utilizar todas las técnicas destinadas a garantizar su comprensión perfecta. En particular:

• Usar construcciones gramaticales simples

• Evitar palabras que sean difíciles de pronunciar para hablantes no nativos

• Un lenguaje claro, inequívoco y corto

• Uso adecuado del micrófono, manteniendo un tono normal y constante y pronunciando palabras clara y distintivamente

• Está prohibido utilizar formas de cortesía (saludo y agradecimiento) porque todo lo que es superfluo para la comunicación debe ser eliminado, etc.

También hay varias categorías de mensajes ordenados por orden de prioridad. El más famoso es indudablemente la categoría de mensajes de emergencia, representados por el famoso "MAYDAY", que se pronuncia solo en caso de extrema criticidad; PAN PAN o PAN MEDICAL, en cambio, representan mensajes de emergencia con un nivel de gravedad menor y para indicar la señal de transporte médico. Como es evidente, este lenguaje técnico presenta algunos elementos intraducibles, creados exclusivamente sobre la base de la claridad del sonido emitido en el momento de la pronunciación.

136

4. Accidentes aéreos causados por malentendidos lingusíticos

4.1. Desastre aéreo de Tenerife

Los malentendidos lingüísticos durante la comunicación por radio han llevado a incidentes desastrosos. Este descuido ha causado la colisión de aire más grave en la historia de la aviación, llevando a la muerte de casi 600 personas. Esta es la colisión ocurrida el 27 de marzo de 1977 entre dos Boeing 747 en la pista del aeropuerto de Los Rodeos en la isla española de Tenerife. El accidente fue causado por la concatenación de muchos factores: a causa de la mala visibilidad causada por las condiciones climáticas adversas, la posición de la aeronave podría determinarse

únicamente sobre la base de las comunicaciones de radio, que ese día fueron particularmente perturbado y difícil para entender, gracias a la falta de dominio perfecto de los fonemas de habla inglesa por parte del personal de la torre.

Como consecuencia del desastre, hubo varios cambios en las reglas de gestión del tránsito aéreo. En primer lugar, las autoridades aeronáuticas introdujeron la obligación de utilizar frases estándar en las comunicaciones entre la aeronave y la torre de control, a fin de evitar cualquier malentendido.

137

CONCLUSIONES

La razón principal por la cual el inglés podría sufrir un declive lingüístico como Lengua Franca es la competencia de los otros idiomas.

Sigue siendo difícil pensar que el inglés puede reemplazarse como LF, y existen razones precisas para apoyar esta afirmación.

Uno de los factores que históricamente ha funcionado como un medio popular de lenguaje es la migración masiva de un país a otro, o la formación de asentamientos coloniales, o por razones comerciales, o la presencia de guerras de las cuales huir. Sin embargo, desde la primera mitad del siglo XX, ha habido un flujo de migraciones inversas: aquellos que antes se habían movido para buscar mejores condiciones de vida, en lugar de quedarse, decidieron regresar a su país de origen. Obviamente, esto no ayuda a la difusión del idioma, que en realidad pierde todo contacto en el país extranjero. En cuanto a la tendencia a considerar el chino o el árabe como los idiomas que abrumarán al inglés, es suficiente informar que, aunque sus mercados se están expandiendo en todo el mundo, hay muy pocas realidades en las que se estudien como L2 en países no asiáticos y árabes, sobre todo por la dificultad de aprender. En cambio, en China, por ejemplo, los idiomas estudiados son cantonés e inglés, y no se espera que esta situación cambie rápidamente.

Este análisis lleva a la conclusión de que, al menos en el mediano plazo, el inglés seguirá siendo el primer idioma mundial.

De acuerdo con la visión de Ostler, por otro lado, es precisamente la revolución informática la que derribará todas las barreras lingüísticas, comenzando

138 por el traductor simultáneo. Aunque hoy todavía produce traducciones inexactas, su refinamiento puede conducir a resultados extremadamente satisfactorios. De hecho, la posibilidad de acceso recíproco entre diferentes L1 se está haciendo realidad: en diciembre de 2014, Microsoft lanzó la primera versión de Skype

Translator, una herramienta de traducción simultánea que le permite comunicarse en tiempo real con interlocutores extranjeros que hablan su propio idioma.

139

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