Comune FARINI, , , PONTE DELL'OLIO,

Provincia

Titolo del progetto Rifacimento dorsale acquedottistica della Val nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte Cantoniera, Case Camia - Bettola e Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell'Olio (tratto Torrano - Calero)

Livello di progettazione Settore di business Disciplina D I1 GEN

Numero Titolo Scala

RT - 002 Relazione geologica-sismica -

ID Progetto Titolo sintetico (nome file di stampa) Codifica WBS

2016PCIE0177-01 Relazione geologica-sismica C10I1-E021-62-0044

00 Maggio 2018 Emissione Prog. Definitivo M.C. B.B. M.G. Rev. Data Descrizione Redatto Controllato Approvato

Redatto: Verificato: Approvato:

Geol. Francesco Cerutti ing. Barbara Barani ing. Marco Guerra

Via M. K. Gandhi 22 Reggio Emilia - www.riviengineering.com Responsabili progettazione: Ing. Willer Rivi, Ing. Matteo Cantagalli Funzione Ingegneria e Realizzazioni IRETI.S.p.A - Società con socio unico IREN S.p.A Sottoposta a direzione e coordinamento di IREN S.p.A Sede legale : S.P. 95 per Castelnuovo Scrivia - 15057 Tortona (AL) cod.fisc e P.IVA n° 01791490343 pec:[email protected] Geologia: Geol. Carlo Caleffi, Geol. Francesco Cerutti Collaboratori: Ing. Giulia Mainardi, Dott.ssa Alessandra Cantoni PROGETTO LIVELLO

RIFACIMENTO DORSALE ACQUEDOTTISTICA DELLA nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte-Cantoniera, Case Cadmia - Bettola e Progetto definitivo Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero)

INDICE

1 Premesse ...... 3 1.1 Opera in progetto ...... 3 1.2 Normativa di riferimento ...... 6 1.3 Elaborati grafici prodotti ...... 6 2 Geologia ...... 7 2.1 Quadro geologico di riferimento ...... 7 2.1.1 Area appenninica ...... 7 2.1.2 Area di Pianura ...... 9 2.2 Aspetti geologici locali ...... 12 2.2.1 Coperture quaternarie che interferiscono con l’opera in progetto ...... 13 2.2.1.1 Deposito di frana (a1 – attiva; a2 – quiescente) ...... 13 2.2.1.2 Deposito di versante (a3) ...... 13 2.2.1.3 Deposito eluvio-colluviale (a4) ...... 13 2.2.1.4 Detrito di falda (a6) ...... 13 2.2.1.5 Deposito alluvionale in evoluzione (b1) ...... 13 2.2.1.6 Conoide torrentizia in evoluzione (i1 – attiva; i2 – inattiva) ...... 14 2.2.1.7 Successione Neogenico-Quaternaria del Margine Appenninico Padano ...... 14 2.2.2 Unità geologiche che interferiscono con l’opera in progetto ...... 16 2.2.2.1 Unità liguri ...... 16 2.2.2.2 Unità subliguri ...... 18 2.2.2.3 Unità toscane ...... 18 2.2.3 Analisi geologica del tracciato ...... 18 2.2.3.1 Fase 1 ...... 18 2.2.3.2 Fase 2 ...... 19 2.2.3.3 Fase 3 ...... 19 2.2.3.4 Fase 4 ...... 19 3 Geomorfologia ...... 21 3.1 Quadro geomorfologico di riferimento ...... 21 3.2 Aspetti geomorfologici locali ...... 24 3.2.1 Elementi morfologici che interferiscono con l’opera in progetto ...... 24 3.2.1.1 Frane ...... 24 3.2.1.2 Altri depositi di versante ...... 25 3.2.1.3 Conoidi torrentizie ...... 26 3.2.1.4 Alvei attivi ...... 26 3.2.2 Analisi geomorfologica del tracciato ...... 26 3.2.2.1 Fase 1 ...... 26 3.2.2.2 Fase 2 ...... 26 3.2.2.3 Fase 3 ...... 27 3.2.2.4 Fase 4 ...... 27 4 Idrogeologia ...... 28 4.1 Quadro idrogeologico di riferimento ...... 28 4.1.1 Caratteristiche idrogeologiche della zona montana ...... 28 4.1.2 Caratteristiche idrogeologiche della zona di pianura ...... 32 5 Sismica ...... 35 5.1 Sismicità storica del territorio ...... 35 5.1 Sorgenti sismogenetiche ...... 38 5.2 Classificazione sismica ...... 39 5.3 Amplificazioni stratigrafiche e topografiche ...... 42 5.4 Rischio di liquefazione ...... 44 6 Analisi dei dissesti...... 45 Elaborato Data Agg. Pag.

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RIFACIMENTO DORSALE ACQUEDOTTISTICA DELLA VAL NURE nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte-Cantoniera, Case Cadmia - Bettola e Progetto definitivo Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero)

6.1 Fase 1 ...... 45 6.2 Fase 2 ...... 51 6.3 Fase 3 ...... 64 7 Attraversamenti dell’alveo del torrente Nure ...... 77 7.1 Attraversamento definitivo nei pressi di Ponte dell’Olio ...... 77 7.2 Attraversamento provvisorio a Ponte Cantoniera ...... 78 8 Principali problematiche progettuali di natura geologica ...... 80 8.1 Caratterizzazione dei terreni oggetto di scavo ...... 80 8.2 Smaltimento dei terreni di scavo ...... 81 8.3 Sezioni di scavo e rinterro ...... 84 8.4 Problematiche di stabilità dei versanti ...... 87

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1 PREMESSE

La presente relazione descrive lo studio geologico e sismico effettuato a supporto della progettazione definitiva del rifacimento della dorsale acquedottistica della Val Nure. Detto studio è stato effettuato nel rispetto della normativa vigente, richiamata nel paragrafo 1.2, e, in particolare del D.M. 17/01/2018, Testo Unico - Norme Tecniche per le Costruzioni. Esso ha comportato lo svolgimento delle seguenti attività: 1. Raccolta dei dati editi e inediti relativi alle caratteristiche geologiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area d’intervento. 2. Rilievo geologico e geomorfologico preliminare al fine di verificare la correttezza dei dati di cui al punto 1 e individuare i tratti che potrebbero presentare problematiche di stabilità. 3. Acquisizione di ulteriori elementi per la valutazione dei dissesti censiti con il rilievo di cui al punto precedente, mediante confronto con tecnici del Servizio "Viabilità, Edilizia e Servizi tecnologici" della Provincia di Piacenza. 4. Definizione geologica e morfologica della zona di studio con redazione di Carte geologico morfologiche. 5. Rilievi geomorfologici di dettaglio, al fine di prevedere il tipo di terreni che saranno interessati dagli scavi e approfondire l’analisi dei movimenti gravitativi attraversati dall’acquedotto in progetto. 6. Relativamente ai 2 tratti di attraversamento dell’alveo del torrente Nure, ricostruzione del modello geologico e definizione delle caratteristiche litostratimetriche del sottosuolo oggetto d’intervento, mediante l’analisi di dati litostratigrafici pregressi. 7. Definizione idrogeologica dell’area in studio mediante ricostruzione del modello acquifero della zona e definizione del campo di moto delle falde. 8. Studio relativo alle possibilità di smaltimento dei terreni estratti. 9. Analisi di tutte le problematiche geologiche, geomorfologiche e idrogeologiche dell’intervento in esame. 10. Stesura della presente relazione geologica-simica.

1.1 Opera in progetto

Il progetto in esame prevede il rifacimento e potenziamento della dorsale di adduzione fra le sorgenti del comune di Ferriere e i centri distributivi collocati nei comuni di Farini, Bettola, Ponte dell’Olio e Vigolzone, dando priorità ai tratti danneggiati durante l’alluvione del 2015 e a quelli il cui potenziamento, in termini, di diametro apporterebbe i maggiori benefici all’intero sistema acquedottistico. Sono state così individuate 4 differenti fasi (cfr. Fig. 1): - Fase 1: ponte Nano- ponte Cantoniera - Fase 2: ponte Cantoniera - Farini - Fase 3: Case Cadmia - Bettola

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- Fase 4: Torrano – Calero

FIG. 1 - INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DELL’INTERVENTO IN PROGETTO CON EVIDENZIATE LE 4 DIFFERENTI FASI

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Va chiarito che il presente studio prende in esame l’intero territorio oggetto di una prima ipotesi progettuale. Essa è stata poi modificata, per motivi di costi, in particolare, limitando l’estensione dell’intervento della fase 3, che, anziché arrivare, verso valle, in prossimità dell’abitato di Bettola, si ferma al km 32,873.

Per la definizione del tracciato di progetto, in considerazioni alle criticità evidenziate, è stato assunto come criterio principale quello di garantire la messa in sicurezza della tubazione rispetto agli eventi di piena e di garantire l’accessibilità all’infrastruttura per le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria. Per tali ragioni il nuovo tracciato di progetto è stato localizzato, perlopiù, nell’area di monte lungo la strada provinciale SP 654. Solo per quello che riguarda la fase 4 è stato valutato preferibile procedere tramite attraversamento in alveo del torrente Nure nei pressi di Ponte dell’Olio. Infatti, gli approfondimenti svolti con l’amministrazione provinciale, relativi all’alternativa progettuale di posa della tubazione lungo il ponte esistente, hanno evidenziato notevoli difficoltà tecniche, essenzialmente legate al grado di ammaloramento del manufatto. Inoltre,l tale alternativa avrebbe portato ad un consistente incremento della lunghezza del tracciato. Un altro attraversamento del Nure seppur provvisorio è stato previsto, nella fase 1, in corrispondenza di Ponte Cantoniera, ove sono previsti interventi di adeguamento, a seguito dei quali si avrà la dismissione del tratto in alveo e l’installazione di una condotta aerea tramite mensole.

Anche se l’intervento in esame prevede, sostanzialmente, solo la posa di tubazioni e non la realizzazione di opere soggette ad autorizzazione sismica, in relazione a quanto disposto delle NTC 2018 (Cap. 2.4), insieme a Committenza e progettisti, sono stati definiti i seguenti parametri di progetto: - VITA NOMINALE: “Costruzioni con livelli di prestazione elevati” la cui vita nominale è Vn ≥ 100 anni (come definito dalla Tab. 2.4.I delle N.T.C. 01/2018) - CLASSE D’USO: Classe IV: “Costruzioni con funzioni pubbliche o strategiche importanti, anche con riferimento alla gestione della protezione civile in caso di calamità. Industrie con attività particolarmente pericolose per l’ambiente. Reti viarie di tipo A o B, di cui al D.M. 5 novembre 2001, n. 6792, “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”, e di tipo C quando appartenenti ad itinerari di collegamento tra capoluoghi di provincia non altresì serviti da strade di tipo A o B. Ponti e reti ferroviarie di importanza critica per il mantenimento delle vie di comunicazione, particolarmente dopo un evento sismico. Dighe connesse al funzionamento di acquedotti e a impianti di produzione di energia elettrica” (come definito dal paragrafo 2.4.2 delle N.T.C. 01/2018) - PERIODO DI RIFERIMENTO PER L’AZIONE SISMICA: Considerata la classe d’uso IV, il coefficiente d’uso risulta Cu=2.00 (cfr. Tab. 2.4.II delle N.T.C. 01/2018), e di conseguenza la Vita di riferimento dell’opera in progetto è VR=VN*Cu= 200 anni.

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1.2 Normativa di riferimento

 Decreto ministeriale 17-01-2018 – Norme Tecniche per le Costruzioni  Decreto ministeriale 14-01-2008 – Testo unitario – Norme Tecniche per le Costruzioni Allegati A e B  Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 17-01-2018, Circolare 20 febbraio 2018  Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – Pericolosità sismica e Criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale. Allegato al voto n° 36 del 27/07/2007  Eurocodice 8 (1998) – Indicazioni progettuali per la resistenza fisica delle strutture. Parte 5: Fondazioni, strutture di contenimento ed aspetti geotecnici (stesura finale 2003)  Eurocodice 7.1 (1997) – Progettazione geotecnica –Parte I: Regole Generali – UNI  Eurocodice 7.2 (2002) – Progettazione geotecnica –Parte I: Progettazione assistita da prove di laboratorio - UNI  Eurocodice 7.3 (2002) – Progettazione geotecnica –Parte II: Progettazione assistita da prove in sito - UNI  O.P.C.M. n° 3274 (2003) - "Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica"

1.3 Elaborati grafici prodotti

A supporto della presente relazione sono stati redatti gli elaborati grafici indicati nella seguente tabella (cfr. Tab. 1– Elaborati grafici prodotti):

Fase Numero Titolo Scala

1 EG-002 SDP - Fase 1 - Sovrapposizione a carta geologico morfologica 1:5.000 1 EG-003 SDP - Fase 1 - Sovrapposizione a carta dei dissesti 1:5.000 2 EG-002 SDP - Fase 2 - Sovrapposizione a carta geologico morfologica 1:5.000 2 EG-003 SDP - Fase 2 - Sovrapposizione a carta dei dissesti 1:5.000 3 EG-002 SDP - Fase 3 - Sovrapposizione a carta geologico morfologica 1:5.000 3 EG-003 SDP - Fase 3 - Sovrapposizione a carta dei dissesti 1:5.000

4 EG-002 SDP - Fase 4 - Sovrapposizione a carta geologico morfologica 1:5.000

TAB. 1– ELABORATI GRAFICI PRODOTTI

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2 GEOLOGIA

Il progetto in esame interessa porzioni di territorio con caratteriste geologiche molto differenti: infatti, se gran parte del rifacimento della dorsale (cfr. fasi 1, 2 e 3) sarà localizzato lungo la strada provinciale SP 654, in un contesto montano-appenninico, la fase 4 prevede la posa di una nuova tubazione a partire da località Torrano sino al serbatoio Calero, in una porzione di Pianura Pedeappenninica, occupata da depositi quaternari continentali del margine padano-adriatico. Di conseguenza, in analogia a quanto effettuato dai rilevatori della Carta Geologica d’Italia, nel presente studio, si sono dovuti utilizzare 2 approcci differenti: in pianura, si è adottato il criterio stratigrafico-sequenziale; nell’area appeninica, quello litostratigrafico.

2.1 Quadro geologico di riferimento

2.1.1 Area appenninica II settore di territorio montano, oggetto di studio, è il risultato dell’impilamento di prismi di accrezione (falde) che si è venuto a formare a seguito dei movimenti ricollegabili alle varie fasi tettoniche dell’orogenesi appenninica, che si sono sviluppate, a partire dal Cretacico superiore (intorno ai 100 milioni di anni fa), attraverso momenti di culmine, rappresentati dalla fase ligure (Eocene medio), subligure (Oligocene superiore- Miocene inferiore), burdigaliana e toscana (Tortoniano), per concludersi con i movimenti messiniani e plio- pleistocenici. I terreni interessati dalle deformazioni tettoniche hanno subito traslazioni di entità differente a seconda della loro originaria posizione paleogeografica. In accordo con la storia geologica, la messa in posto del substrato è stata condizionata da una progressione dei fenomeni tettonico-sedimentari orientata verso Nord- Nord-Est. Tale continua evoluzione geodinamica ha conformato questo settore dell’Appennino settentrionale come un edificio costituito da scaglie sovrapposte che permettono localmente, in corrispondenza di “finestre” tettoniche, l’affioramento dei termini strutturalmente più profondi. Avvicinandosi al margine padano, affiorano unità progressivamente più recenti e, in particolare, le Unità Liguri prima e le Epiliguri poi. Le Unità Epiliguri, sono depositi sedimentatisi, dopo la Fase Ligure, in bacini satelliti (del tipo a “piggy-back”) con base discordante sulle preesistenti Unità Liguri costituenti la parte sommitale dell’orogene in via di costruzione. In Fig. 2 è riportato lo schema tettonico dell’area in cui ricade il territorio in esame, delimitato in rosso; mentre, il confine della provincia di Piacenza è stato raffigurato con una linea blu. Le unità rappresentate in tale figura sono elencate di seguito, rispettando la numerazione indicatata nella legenda: 1) Unità Padano- Adriatiche, 2) Successione Epiligure e Bacino Terziario Piemontese, 3) Unità Antola (Ligure), 4) Unità Liguri

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Interne, 5) Unità Liguri Esterne, 6) Unità Subliguri, 7) Unità Toscane, 8) Complesso Metamorfico Apuano, 9) Unità della Zona Sestri-Voltaggio, 10) Unità del Gruppo di Voltri. La simbologia indicata a fianco del numero 11 corrisponde ai principali sovrascorrimenti sepolti.

FIG. 2 - SCHEMA TETTONICO DELL’AREA IN CUI RICADE IL TERRITORIO IN ESAME TRATTO DA “NOTE ILLUSTRATIVE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA ALLA SCALA 1:50.000 – FOGLIO 197 BOBBIO” DEL SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA Si osserva che le unità affioranti nel territorio provinciale appartengono ai seguenti domini tettonico- stratigrafici riconosciuti a livello regionale, elencati secondo l’ordine di sovrapposizione, dal più alto, cioè superficiale, al più basso, cioè profondo, in cui si trovano attualmente collocati, seppur a grande scala e in prima approssimazione:  Dominio Padano-Adriatico – Evaporiti messiniane  Successione Epiligure

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 Dominio Ligure  Dominio Subligure  Dominio Tosco-Umbro. L’ordine sopra indicato potrebbe essere considerato anche in termini cronologici, ossia secondo il momento della deposizione delle unità più antiche del dominio, dalle unità più giovani, più superficiali, a quelle più vecchie, più profonde, con qualche eccezione. Tali assetti sono visibili osservando uno spaccato geologico ad andamento SSO-NNE (cfr. Fig. 3).

FIG. 3 - PROFILO GEOLOGICO SCHEMATICO LUNGO LA TRASVERSALE CAMOGLI – CREMONA. TRATTO DA ELTER ET ALII (1992) MODIFICATO IN “NOTE ILLUSTRATIVE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA ALLA SCALA 1:50.000 – FOGLIO 197 BOBBIO” DEL SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA Quanto alle caratteristiche litologiche delle unità che caratterizzano questo settore di territorio, che saranno dettagliatamente descritte nel paragrafo 2.2, sono molto varie, ma si possono riconoscere alcune caratteristiche predominanti, quali la prevalenza di materiali duri e compatti, stratificati (bancate arenacee o calcaree compatte) o non (ofioliti), materiali costituiti da alternanze tra livelli lapidei e pelitici (flysch), materiali granulari cementati (brecce, areniti), marne e argille consistenti (argilliti).

2.1.2 Area di Pianura Come sopra indicato, la fase 4, che prevede il rifacimento dell’attraversamento del Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero), dal punto di vista geologico, interessa un settore dell’alta pianura piacentina, la quale, a sua volta, è compresa nella pianura emiliano-romagnola, che costituisce il settore meridionale di quella padana, la più grande pianura alluvionale d’Italia, formata dai depositi del fiume e dei suoi affluenti. Essa ha cominciato a formarsi nel Pleistocene medio, circa 500.000 anni fa, quando, a seguito del sollevamento in atto, il mare si è spostato dal margine appenninico, via via sempre più verso est, sino alla sua attuale posizione.

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Il sottosuolo è contraddistinto da un forte accumulo di sedimenti alluvionali quaternari che appoggiano, con discontinuità a discordanza semplice, sul substrato di sedimenti marini del pliocene superiore e del pleistocene inferiore. L’assetto di tale corpo sedimentario è il risultato dell’evoluzione deposizionale dei corsi d’acqua, legata sia alle variazioni climatiche pleistoceniche sia ai recenti movimenti tettonici della zona di margine, vale a dire di quella fascia interposta tra la Pianura s.l. in abbassamento e l’Appennino in sollevamento. In pianura sono presenti esclusivamente depositi “sciolti”, cioè non litificati, seppur localmente cementati o molto addensati, derivanti dal disfacimento dei depositi rocciosi presenti nel settore montano. E’ possibile riconoscere nella Pianura dell’Emilia-Romagna alcuni ambienti deposizionali: le conoidi alluvionali sono tipiche della zona pedeappenninica, ad esse fa seguito la piana alluvionale, che passa verso costa alla piana deltizia del fiume Po e alla piana costiera. I sedimenti di questi ambienti deposizionali sono costituiti, prevalentemente, da: ghiaie, nelle conoidi alluvionali; sabbie, limi e argille, nella piana alluvionale; sabbie nella piana deltizia e costiera. Nel sottosuolo i depositi continentali della pianura costituiscono un cuneo che si allarga velocemente procedendo dal margine appenninico verso nord; lo spessore massimo di questi depositi è di vari centinaia di metri. L'assetto geostrutturale delle formazioni prequaternarie è caratterizzato da una successione plicativa ad anticlinali e sinclinali spesso fagliate e sovrascorse, con assi a vergenze appenniniche. In tale schema la pianura emiliana è compresa nell'arco delle pieghe emiliane caratterizzate da due distinti fasci di thrust: il primo, più meridionale, detto fronte di accavallamento appenninico (P.T.F.), definisce il limite della catena appenninica affiorante; il secondo, detto fronte di accavallamento esterno (E.T.F), definisce il limite dell'appennino sepolto che, in corrispondenza della zona in esame si estende a nord, oltre il fiume Po, sovrascorrendo sulla piattaforma padano-veneta. Queste strutture sono tagliate trasversalmente dalle linee tettoniche che determinano un inarcamento (in pianta) della linea dei thrust. L'andamento strutturale dell'Appennino sepolto può essere interpretato come effetto di una compressione e di un raccorciamento crostale che, secondo i moderni schemi geodinamici, è legato a un doppio fenomeno di subduzione e/o ispessimento della crosta. In tale quadro d'insieme, si giustifica lo sviluppo della rete idrografica maggiore che risulta conforme ai principali assi di sinclinali sepolte.

I depositi di pianura sono contraddistinti da una potente successione terrigena del quaternario. A scala padana la successione quaternaria ha un forte carattere regressivo con sabbie e peliti torbiditiche alla base, seguite da un prisma sedimentario fluvio-deltizio, progradante, ricoperto al tetto da depositi continentali. Questi ultimi sono caratterizzati da due direzioni di progradazione: la prima, assiale, est-vergente, originata dal fiume Po; la seconda, trasversale, nordest-vergente, originata dai sistemi di alimentazione appenninica.

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Sulla base delle direzioni di progradazione possono essere individuate le seguenti classi di sistemi deposizionali:  pianura pedemontana ad alimentazione appenninica  pianura alluvionale ad alimentazione appenninica  pianura alluvionale di alimentazione assiale (paleo Po)

Il territorio interessato dalla fase 4, ricade all’interno del sistema deposizionale di pianura pedemontana ad alimentazione appenninica caratterizzato da depositi prevalentemente ghiaiosi nelle aree attigue e contigue dei corsi d’acqua principali e limi e/o argille prevalenti o, comunque, più abbondanti nelle aree perifluviali d’interconoide. Il rapporto tra materiali grossolani e fini, elevato nella zona di alta pianura, decresce linearmente procedendo verso valle e verso le zone più interne delle aree perifluviali (zone d’interconoide), fino a valori medi, generalmente superiori all’unità. I sedimenti sono organizzati in grandi sistemi di conoide alluvionale, dove le litologie grossolane (ghiaie e sabbie) costituiscono estesi corpi tabulari, interdigitati da cunei di materiali essenzialmente fini (limi e argille). In altri termini la “Pianura pedemontana” è il frutto della coalescenza dei sistemi di conoide alluvionale e delle zone d’interconoide.

In conformità con quanto assunto dal Servizio Geologico e cartografico della Regione Emilia-Romagna, le unità stratigrafiche definite ed utilizzate nel presente studio rientrano nella classe delle Sequenze Deposizionali sensu Mitchum et Al. (1977). Dal punto di vista gerarchico di distinguono due Sequenze Principali (Supersintemi secondo la terminologia delle U.B.S.U.) denominate come segue:  Supersintema del Quaternario Marino, costituito da terreni paralici e marini depostisi tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore.  Supersintema Emiliano-Romagnolo, costituito da depositi di ambiente continentale depostisi a partire da 800.000 anni BP.

Nel complesso i depositi superficiali della zona oggetto di studio (cfr. Fase 4: rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio), sono relativi prevalentemente all’Alloformazione Emiliano-Romagnola Superiore e, in particolare, alle 2 sottounità più recenti in cui è suddivisa, definite in letteratura geologica come Subsintema di Ravenna (AES8, al cui interno si distingue l’unità di Modena, AES8a) e Subsintema di Villa Verucchio (AES7, dove, a loro volta, si distinguono l’unità di Niviano, AES7a, e l’unità di l’unità di Vignola, AES7b) . Solo nei 200 m più orientali, alle quote maggiori (oltre i 200 m s.l.m.), affiorano depositi più antichi, del Subsintema di Agazzano (AES3), del Subsintema di Maiatico (AES2) e, addirittura del Sintema di Costamezzana (CMZ), appartenente al Supersintema Quaternario Marino.

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La rappresentazione grafica della conformazione del rilievo del sistema deposizionale della Pianura Pedemontana ad alimentazione appenninica e dei rapporti tra le prime 2 unità stratigrafiche sopracitate è riportata nella seguente Fig. 4.

FIG. 4 – CONFORMAZIONE DEL RILIEVO DEL SISTEMA DEPOSIZIONALE DELLA PIANURA PEDEMONTANA AD ALIMENTAZIONE APPENNINICA

2.2 Aspetti geologici locali

Gli aspetti geologici dell’area oggetto di studio sono stati raffigurati in 4 elaborati cartografici (uno per ciascuna fase), alla scala 1:5.000, intitolati “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”. Nei paragrafi 2.2.1 e 2.2.2, viene proposta una descrizione rispettivamente delle coperture quaternarie e delle unità geologiche che interferiscono con l’opera in progetto; mentre, nel paragrafo 2.2.3, è riportata la descrizione delle caratteristiche geologiche del tracciato in esame.

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RIFACIMENTO DORSALE ACQUEDOTTISTICA DELLA VAL NURE nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte-Cantoniera, Case Cadmia - Bettola e Progetto definitivo Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero)

2.2.1 Coperture quaternarie che interferiscono con l’opera in progetto

2.2.1.1 Deposito di frana (a1 – attiva; a2 – quiescente) Deposito costituito da litotipi eterogenei, raramente monogenici, ed eterometrici, più o meno caotici. La tessitura dei depositi è condizionata dalla litologia del substrato e dal tipo di movimento prevalente. In prevalenza, risulta costituita da clasti di dimensioni variabili immersi in una abbondante matrice pelitica e/o sabbiosa. Per la distinzione dei corpi franosi sulla base dello stato di attività e della tipologia di movimento si rimanda al paragrafo 3.2.1.1.

2.2.1.2 Deposito di versante (a3) Deposito costituito da litotipi eterogenei ed eterometrici più o meno caotici. Frequentemente l’accumulo si presenta con una tessitura costituita da clasti di dimensioni variabili immersi e sostenuti da una matrice pelitica e/o sabbiosa (che può essere alterata per ossidazione e pedogenesi), a luoghi stratificato e/o cementato. La genesi può essere dubitativamente gravitativa, da ruscellamento superficiale e/o da soliflusso.

2.2.1.3 Deposito eluvio-colluviale (a4) Coltre di materiale detritico, generalmente fine (sabbie, limi e peliti) prodotto da alterazione ʺin situʺ o selezionato dall’azione mista delle acque di ruscellamento e della gravità, con a luoghi clasti a spigoli vivi o leggermente arrotondati.

2.2.1.4 Detrito di falda (a6) Accumulo detritico costituito da materiale eterogeneo ed eterometrico, generalmente a quote elevate o molto elevate, con frammenti litoidi di dimensioni variabili tra qualche cm 3 e decine di m 3 , privo di matrice o in matrice sabbioso‐pelitica alterata e pedogenizzata, di origine gravitativa frequentemente alla base di scarpate e lungo i versanti più acclivi.

2.2.1.5 Deposito alluvionale in evoluzione (b1) Ghiaie, talora embriciate, sabbie e limi argillosi di origine fluviale, attualmente soggetti a variazioni dovute alla dinamica fluviale; detrito generalmente incoerente e caotico, costituito da clasti eterometrici ed eterogenei, talora arrotondati, in matrice sabbiosa, allo sbocco di impluvi e valli secondarie.

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2.2.1.6 Conoide torrentizia in evoluzione (i1 – attiva; i2 – inattiva) Depositi alluvionali, prevalentemente ghiaiosi, a forma di ventaglio aperto verso valle, in corrispondenza dello sbocco di valli e vallecole trasvesali ai corsi d’acqua principali ove la diminuzione di pendenza provoca la sedimentazione del materiale trasportato dall’acqua, soggetti ad evoluzione dovuta alla dinamica torrentizia. Per la distinzione delle conoidi torrentizie sulla base dello stato di attività si rimanda al paragrafo 3.2.1.3.

2.2.1.7 Successione Neogenico-Quaternaria del Margine Appenninico Padano

2.2.1.7.1 Sintema Emiliano-Romagnolo Superiore (AES)

Pleistocene medio - Olocene Unità costituita da depositi alluvionali intravallivi, terrazzati, di conoide alluvionale ghiaiosa e di interconoide. Dove non è suddivisa in subsintemi l’unità è rappresentata da ghiaie e ghiaie sabbiose prevalenti, localmente cementate: depositi alluvionali terrazzati. Lo spessore dei depositi terrazzati non supera i 25 metri; il profilo di alterazione è molto evoluto e raggiunge i 7‐ 8 m di profondità. Lʹunità presenta una copertura fine, composita, dello spessore massimo di 4 m, costituita da limi e limi argillosi giallastri. Il suo profilo di alterazione è molto evoluto. Il tetto è rappresentato dalla superficie topografica, mentre il contatto di base è erosivo e discordante su unità più antiche. Lo spessore complessivo varia da 0 a 120 m circa.

2.2.1.7.1.1 Subsintema di Ravenna (AES8)

Pleistocene superiore - Olocene; post circa 18.000 anni B.P. Ghiaie sabbiose, sabbie e limi stratificati con copertura discontinua di limi argillosi: depositi intravallivi terrazzati e di conoide ghiaiosa. Limi e limi sabbiosi: depositi di interconoide. Il profilo di alterazione varia da qualche decina di cm fino ad 1 m. Il tetto dell’unità è rappresentato dalla superficie deposizionale, per gran parte relitta, corrispondente al piano topografico, mentre il contatto di base è discordante sulle unità più antiche. Lo spessore massimo dell’unità è inferiore a 20 metri. Unitàʹ di Modena (AES8a) Olocene Ghiaie prevalenti e sabbie, ricoperte da una coltre limoso argillosa discontinua: depositi alluvionali intravallivi, terrazzati, e di conoide. Il profilo di alterazione è di esiguo spessore (poche decine di cm). Lo spessore massimo dell’unità è di alcuni metri.

2.2.1.7.1.2 Subsintema di Villa Verucchio (AES7)

Pleistocene superiore Ghiaie sabbiose, sabbie e limi stratificati, localmente con copertura discontinua di limi argillosi: depositi di conoide ghiaiosa e depositi intravallivi terrazzati. Il profilo di alterazione presenta uno spessore fino a 4-5 m. Il

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2.2.1.7.1.3 Subsintema di Agazzano (AES3)

Pleistocene medio Ghiaie e ghiaie sabbiose prevalenti: depositi alluvionali intravallivi e di conoide ghiaiosa; sabbie e limi argillosi, con subordinati livelli di ghiaie e sabbie, localmente stratificati: depositi di interconoide. I depositi intravallivi sono spesso terrazzati. Il profilo di alterazione dell’unità è molto evoluto e raggiunge i 7-8 m di profondità. L’unità presenta una copertura fine, composita, dello spessore massimo di 4 m, costituita da limi e limi argillosi giallastri contenenti manufatti del Paleolitico medio. Il suo profilo di alterazione è molto evoluto. Il contatto di base è erosivo e discordante sulle unità più antiche. Spessore variabile da alcuni metri a 25-30 m.

2.2.1.7.1.4 Subsintema di Maiatico (AES2)

Pleistocene medio Ghiaie e ghiaie sabbiose prevalenti, localmente cementate: depositi alluvionali intravallivi e di conoide ghiaiosa; limi argillosi e sabbie con subordinati livelli di ghiaie: depositi di interconoide. I depositi intravallivi delle valli del Torrente Nure e del Fiume sono spesso terrazzati. Il profilo di alterazione dell’unità è molto evoluto e raggiunge i 7-8 m di profondità. L’unità presenta una copertura fine, composita, dello spessore massimo di 4 m, costituita da limi e limi argillosi giallastri contenenti manufatti del Paleolitico medio. Il suo profilo di alterazione è molto evoluto. Il contatto di base è generalmente erosivo e discordante su unità più antiche; il limite basale su AES indistinto è erosivo e discordante a Sud di Ponte dell’Olio, mentre verso Nord diventa continuo e concordante. Lo spessore è variabile da alcuni metri a 30-40 metri.

2.2.1.7.2 Sintema di Costamezzana (CMZ)

Pleistocene medio. Limi sabbiosi e sabbie limose grigio-azzurri, giallo ocracei allʹalterazione; frequenti i livelli ricchi in frustoli vegetali ed in sostanza organica. Ghiaie, ghiaie sabbiose e sabbie, spesso cementate, grigio-verdastre, ocracee allʹalterazione. In corrispondenza dei paleo-apparati fluvio-deltizi maggiori (Trebbia) i depositi grossolani diventano predominanti. Depositi di fan-delta e di ambienti marino-marginali e continentali. Contatto basale

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2.2.2 Unità geologiche che interferiscono con l’opera in progetto

2.2.2.1 Unità liguri

2.2.2.1.1 Flysch di Bettola (BET)

Campaniano sup. - Daniano. Marne calcaree, calcari marnosi e marne grigie a base arenitica in strati prevalentemente spessi e molto spessi, frequenti i banchi. Presenti intercalazioni di argilliti scure prive di carbonato di calcio in strati molto sottili e di arenarie medio‐fini e peliti in strati medio‐sottili. Al tetto della formazione vi sono calcilutiti e calcari marnosi bianchi in strati spessi e molto spessi. Torbiditi carbonatiche, torbiditi ilicoclastiche ed emipelagiti bacinali. Spessore 400‐500 m.

2.2.2.1.2 Flysch di Farini d’Olmo (FAR)

Daniano - Luteziano. Unità torbiditica arenaceo‐pelitica e calcareo‐marnosa, suddivisa in sottounità. Membro di Rigolo (FAR2) Ypresiano – Luteziano inf. Calcari marnosi e marne chiare in strati da medi a molto spessi e locali banchi, sovente a base arenitica grigia, alternati a subordinate areniti e peliti grigie in strati sottili e medi con rapporto A/P>2. Localmente presenti argilliti di colore grigio piombo con intercalazioni di calcari silicei grigio-verdastri e liditi in strati medi e sottili. Contatto per alternanze su Membro di Predalbora. Potenza max stimata 670 m.

2.2.2.1.3 Flysch di Monte Caio (CAO)

Campaniano sup. - Maastrichtiano. Torbiditi calcareo‐marnose, grigio‐scure, in strati da medi a molto spessi con una base arenitica media o fine passante a marna; a tetto intervalli sottili e medi di argilla nerastra fissile. Si alternano a pacchi di torbiditi arenaceo‐pelitiche da sottili a medie e a torbiditi calcareo‐pelitiche chiare in strati sottili e medi. Torbiditi di piana abissale e fanghi intrabacinali con depositi da colata di detrito. Contatto inferiore su complesso di Casanova.

2.2.2.1.4 Complesso di Casanova (CCV)

Campaniano inf. Unità litostratigrafica costituita da varie litofacies che si alternano senza un apparente ordine stratigrafico. Litofacies a brecce mono e poligeniche a matrice pelitica (CCVb) Campaniano inf.

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Brecce monogeniche prevalenti) e poligeniche per lo più matrice sostenute con abbondante matrice pelitica grigio scura e clasti eterometrici, da angolari a subarrotondati, di calcilutiti chiare (per lo più riferibili alle argille a Palombini), più rari clasti di areniti scure e calcareniti. Le brecce poligeniche (CCVb1 litofacies a brecce poligeniche a matrice pelitica) sono costituite in prevalenza da clasti eterometrici di calcilutiti, riferibili alle Argille a Palombini, e, in subordine, di basalti, ultramafiti con differente grado di serpentinizzazione, oficalciti, gabbri, granitoidi, Diaspri e Calcari a Calpionelle. Depositi marini profondi da scivolamento in massa e flussi gravitativi.

2.2.2.1.5 Arenarie di Scabiazza (SCB)

Da: Cenomaniano A: Campaniano. Torbiditi arenaceo‐pelitiche e pelitico‐arenacee con arenarie litiche grigio‐nocciola, grigio‐scure o grigio‐ verdastre, fini e medie in strati sottili e medi regolarmente alternate a peliti grigie o verdastre o marne siltose debolmente marnose; si intercalano talora marne grigie a base arenacea fine e molto fine in strati da molto sottili a spessi (rapporto A/P da <1 a >1); calclititi e litoareniti grigio chiare, conglomerati e brecce, frequentemente gradati, associati a marne e marne siltose grigie, in strati da medi a molto spessi e banchi. Localmente si intercalano livelli di argille rossastre. Sono talora presenti brecce matrice‐sostenute, debolmente cementate, di composizione litica prevalentemente carbonatica, in strati spessi e banchi ed olistoliti eterometrici di Maiolica: depositi da colata e frana sottomarina. Può essere presente una litofacies a brecce argillose (SCBa) con strati spessi di brecce a elementi di rocce sedimentarie a cemento carbonatico; una litofacies calcareo‐marnosa (SCBc) con strati molto spessi e banchi di marne calcaree grigie a base arenitica; una litofacies conglomeratica (SCBd) con torbiditi conglomeratico‐arenacee in strati spessi e molto spessi ad elementi prevalentemente sedimentari (calcari, arenarie e diaspri) e più raramente cristallini, una litofacies marnoso‐siltosa (SCBms). Torbiditi ed emipelagiti di ambiente marino profondo.

2.2.2.1.6 Argille a palombini (APA)

Da: Creatacico inf a: Creatacico inf. Argilliti o argilliti siltose grigio scure, più raramente verdi, ocracee, rossastre, fissili, alternate a calcilutiti silicizzate grigio chiare e grigio‐verdi, biancastre o giallastre in superficie alterata, talora a base calcarenitica laminata, e più rari calcari marnosi grigi e verdi in strati spessi e marne calcaree grigio scure o verdi, in strati medi e spessi. Possono essere presenti, verso la parte sommitale della formazione, marne e marne calcaree in strati medi e spessi e areniti fini in strati sottili. Si possono presentare in brecce monogeniche con abbondante matrice pelitica e clasti calcarei. E’ stata localmente distinta una litozona a dominante pelitica, localmente ricca in silt in strati molto sottili, di colore di alterazione bruno rossastro (APAa – litozona argillitica). Possono essere presenti olistoliti di Serpentiniti (Σ) costituite da peridotiti lherzolitiche serpentinizzate, di colore scuro, verde chiaro allʹalterazione, talora brecciate, basalti, olistoliti di brecce ofiolitiche, Diaspri e Calcari a

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Calpionelle. Sedimentazione pelagica argillosa, intervallata da risedimentazione di fanghi carbonatici. Potenza geometrica variabile da alcune decine ad alcune centinaia di metri.

2.2.2.2 Unità subliguri

2.2.2.2.1 Flysch di Vico (FVI)

Eocene inf.-medio. Calcari, calcari marnosi e marne, in genere a base arenitica, talora biocalcarenitica, in strati gradati da medi a molto spessi e banchi. Intercalazioni subordinate di arenarie fini e peliti in strati medio‐sottili e di peliti nere non carbonatiche in strati molto sottili. Presenti verso l’alto intercalazioni di sottili strati calcareo‐marnosi. Torbiditi ed emipelagiti di ambiente bacinale.

2.2.2.3 Unità toscane

2.2.2.3.1 Formazione di Salsominore (FSN)

Oligocene inf. ‐ Miocene inf. Peliti carbonatiche a stratificazione indistinta alternate a siltiti o arenarie fini‐finissime in strati sottili. Frequenti intercalazioni di olistoliti di argille e calcari di Canetolo, flysch di Vico e arenarie di Rio Fuino e più raramente della formazione della Val d’Aveto. Presenti intercalazioni di brecce mono e poligeniche (FSNol – litofacies a brecce argillose). Emipelagiti e torbiditi fini con depositi da scivolamento in massa e da colata di detrito.

2.2.3 Analisi geologica del tracciato

2.2.3.1 Fase 1 Il tratto che ricade all’interno della fase 1, come si può evincere dalla Tav n. EG-002 “SDP – Fase 1 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica”, si estende per una lunghezza complessiva di circa 3 chilometri, interessando differenti unità geologiche. In particolare, analizzando il tracciato da Sud a Nord, dopo circa 20 metri si assiste al passaggio dalla Formazione di Salsominore appartenente, all’Unità Toscana, all’Unità Subligure del Flysch di Vico. Più a valle, considerando come riferimento le chilometriche della SP645, a partire in prossimità del chilometro 47,850, si incontrano le Unità Liguri, con predominanza prima, del Flysch di Monte Caio e, poi, oltre il chilometro 46,956, delle Argille a Palombini, interrotte, tra il chilometro 47,737 e il chilometro 45,520, dalla litofacies a brecce mono e poligeniche a matrice pelitica del Complesso di Casanova. Un breve tratto,di poco inferiore a 200 metri, è stato cartografato a parte, in quanto attraversa un olistolite di Serpentiniti (Σ).

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Nel complesso le unità geologiche coinvolte (per la cui descrizione si rimanda al paragrafo 2.2.2, sono affioranti o sub affioranti all’incirca nel 40% del territorio cartografato. Più spesso sono ricoperte dai depositi quaternari coinvolti nei movimenti gravitativi descritti nel paragrafo 3.2.2.1.

2.2.3.2 Fase 2 La fase 2 (cfr. Tav n. EG-002 “SDP – Fase 2 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica”) attraversa un contesto geologico più omogeneo rispetto alla fase 1. La formazione predominante, che interessa circa l’88% dell’intero tratto di oltre 4 chilometri di lunghezza è il Flysch di Bettola, appartenente all’Unità Ligure e costituito da marne calcaree, calcari marnosi e marne grigie a base arenitica in strati prevalentemente spessi e molto spessi. Fanno eccezione, l’estremità più a Sud, a monte del chilometro 44,706 dove sono state cartografate delle Argille a palombini, e la zona tra il chilometro 44,221 e il chilometro 44,145 interessato dalla presenza delle Arenarie di Scabiazza; anch’esse (Argille a palombini e Arenarie di Scabiazza) appartenenti all’Unità Ligure. Pure in questo settore le unità geologiche risultano affioranti o sub affioranti in una ridotta porzione del tratto in esame, inferiore al 23%, risultando spesso ricoperte dai depositi quaternari coinvolti nei movimenti gravitativi descritti nel paragrafo 3.2.2.2.

2.2.3.3 Fase 3 Osservando la Tav. EG -002 “SDP – Fase 3 - Sovrapposizione a carta geologico morfologica” si evince che, anche in questa fase, il substrato geologico è sempre costituito da Unità Liguri. Analizzando, come in precedenza, il tracciato da Sud verso Nord, nel primo tratto, fino al chilometro 33,821, si incontrano calcari marnosi e marne chiare del membro di Rigolo, del Flysch di Farini d’Olmo. Più a valle, è invece presente la formazione del Flysch di Bettola e, soprattutto, quella delle Arenarie di Scabiazza, cartografate nell’ampio intervallo tra il chilometro 33,476 e il chilometro 31,694. La fase 3 è quella in cui è maggiore la percentuale di coperture di depositi quaternari, perlopiù, coinvolti nei movimenti gravitativi descritti nel paragrafo 3.2.2.3. Infatti, le zone attraversate dal tracciato con unità marine affioranti o sub affioranti sono percentualmente inferiori al 19%.

2.2.3.4 Fase 4 Come già indicato la fase 4 si inserisce all’interno di un contesto geologico completamente diverso dalle fasi sopra descritte: infatti, non è più ubicata in un settore montano, ma attraversa una porzione di Pianura Pedeappenninica, occupata da depositi quaternari continentali del margine padano-adriatico. Esaminando il tracciato da Est verso Ovest, cioè da Torrano verso Calero, (cfr. “SDP – Fase 4 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica”), i primi 2,4 chilometri, ricadono sul terrazzo in cui affiorano i depositi più recenti, del Subsintema di Ravenna, attraversato dall’alveo attivo del torrente Nure.

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Il tratto più occidentale, posto a quote maggiori, interessa, invece, unità più datate, appartenenti, prima, al terrazzo dell’Unità di Niviano; quindi, oltre i 200 m s.l.m., ai Subsintema di Agazzano e Maiatico e, addirittura, al Sintema di Costamezzana. In un limitato tratto, lungo circa 150 m, è stata cartografata una copertura costituita da deposito di versante.

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3 GEOMORFOLOGIA

3.1 Quadro geomorfologico di riferimento

L'attuale assetto geomorfologico dell’ambito territoriale in esame è il risultato dell'effetto combinato di alterne vicende climatiche di varia intensità, lente deformazioni tettoniche e, in epoca recente, interventi antropici. Come nella trattazione degli aspetti geologici anche per le caratteristiche geomorfologiche del territorio oggetto d’intervento, va fatta una netta distinzione tra le zone interessate dalle prime tre fasi, corrispondenti con i versanti della media val Nure, e il settore di pianura ove è stata prevista la fase 4. Nel primo caso, uno dei parametri geomorfologici più importanti nella modifica ed evoluzione del territorio è costituito del diverso grado di morfoselezione presente, che risulta strettamente correlato con le caratteristiche litologiche e dipendente da altri fattori come clima, acclività, coperture boschive e arboree ecc... La morfoselezione può essere definita come la tendenza dei terreni e delle rocce ad evolversi verso forme e strutture selettive sotto l’azione dei processi e degli agenti morfogenetici principali (acque superficiali e meteoriche, vento, gelo-disgelo, gravità, ecc.). In questa ottica, la morfoselezione risulta correlata all’impedenza (capacità dei suoli di opporsi all’erosione operata dalle acque superficiali dilavanti) ed alla ritenzione idrica dei suoli (quantità di acque superficiali assorbita dai terreni superficiali), a loro volta condizionate dal tipo e grado di copertura vegetale esistente e dalla geologia e litologia del substrato; litofacies argillose o pelitiche offrono infatti una minore resistenza all’erosione rispetto a rocce arenacee o calcaree e, quindi, hanno meno possibilità di queste ultime di originare nel tempo forme selettive (picchi o rilievi rocciosi, scarpate strutturali, ecc.). Tutti questi elementi condizionano in ultima analisi la stabilità idrogeologica dei versanti e i tempi di corrivazione (velocità di ruscellamento delle acque superficiali verso valle) e, quindi, i tempi di formazione delle piene fluviali. La bassa morfoselettività delle rocce pelitiche e di quelle argilloso-marnose in genere, è di norma abbinata ad una elevata e diffusa franosità, che col tempo si evolve verso morfologie più dolci e meno acclivi (ossia più stabili), che consentono, di conseguenza, una più agevole e conveniente utilizzazione antropica dei suoli e dei terreni. Non a caso, infatti, le zone meno densamente antropizzate della fascia appenninica risultano quelle in cui affiorano le rocce maggiormente morfoselettive, ossia quelle che originano una morfologia impervia, con acclività e pendenze elevate e che comportano la formazione di suoli di ridotto spessore e produttività; su tali superfici, localizzate per lo più nelle zone di crinale, si sviluppano quindi boschi, cespugli e praterie. Alla luce delle caratteristiche geologiche e litologiche principali delle rocce presenti nel territorio collinare- montano in esame, in grado di determinare un comportamento geomorfologico piuttosto omogeneo anche su grandi areali, sono state individuate le 4 classi di morfoselezione seguenti:

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1) Terreni con grado di morfoselezione da basso a molto basso: comprendono, di norma, le litofacies pelitiche (argillose) e marnoso-argillose, ma anche quelle in cui la fitta stratificazione o l’alternanza di litologie diverse o l’elevato grado di fratturazione delle stesse (tipo rocce argilloso-caotiche), portano ad evidenziare un comportamento poco resistente nei confronti dell’erosione e dell’alterazione morfologica. In tale classe sono state pertanto comprese le formazioni argillose quali le Argille a palombini, la Formazione di Salsominore e il Complesso di Casanova - litofacies a brecce mono e poligeniche a matrice pelitica. 2) Terreni con grado di morfoselezione da basso a medio: sono composti da litologie con comportamento geomorfologico intermedio, in quanto, almeno in parte, resistenti, ma condizionate negativamente dal grado di fratturazione della compagine rocciosa. In tale classe è stata considerata la formazione delle Arenarie di Scabiazza costituita da fitte alternanze pelitico – arenacee. 3) Terreni con grado di morfoselezione da medio ad alto: ricadono in questa classe le litofacies riferibili alle note sequenze flyschioidi e conglomeratiche, spesso intensamente fratturate, anche se porzioni di flysch particolarmente marnose possono far rientrare tali unità più tipicamente nella classe precedente. La stratificazione massiccia più o meno regolare di tali litofacies, porta alla formazione di rilievi selettivi tabulari (in condizioni geologico-strutturali particolari), o di picchi rocciosi e linee di crinale ben definite rispetto al territorio circostante. In tale classe sono state comprese le formazioni dei Flysch di Bettola e di Monte Caio.

I terreni rientranti nelle tre classi sopradescritte interessano gran parte del territorio oggetto di studio e rendono ragione dell’elevata instabilità e franosità della zona.

4) Terreni con grado di morfoselezione da alto a molto alto: comprende alcune formazioni rocciose, perlopiù con affioramenti di ridotta estensione, la cui resistenza all’erosione risulta talmente evidente da costituire una peculiarità geomorfologica unica e tipicamente riconoscibile sul territorio. Le litofacies che presentano tali caratteristiche di morfoselezione, sono quelle ad alta resistenza e spiccata energia di rilievo e comprendono le seguenti unità: Flysch di Farini d'Olmo - membro di Rigolo, Flysch di Vico e Serpentiniti.

In generale, si può affermare che il territorio della media Val Nure è contraddistinto da una morfologia "giovanile" caratterizzata da versanti più o meno acclivi, con incisioni spesso pronunciate, dovute prevalentemente all'azione erosiva dei corsi d'acqua. Le forme di accumulo fluviale, anche il corrispondenza del corso d’acqua principale hanno estensione piuttosto limitata, occupando i depositi alluvionali sul fondo di valli strette (comprese fra versanti ricoperti da depositi gravitativi o incassate in pendii rocciosi). Molto più diffuse sono le forme di erosione fluviale, specialmente sulle sponde geologicamente instabili o costituite da depositi detritici o litologie "tenere" (argilliti, marne, formazioni flyschoidi ecc.). Spesso tali fenomeni sono la causa dell'innesco di movimenti franosi di neoformazione sui versanti o della riattivazione di vecchie frane quiescenti. Il contesto è tale per cui i fenomeni di gran lunga più significativi e diffusi e che, per i loro effetti, hanno più significative ricadute sul territorio, a causa delle limitazioni e dei danni che provocano, sono i quelli legati alla gravità.

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Nel presente studio, per la definizione dei movimenti gravitativi che interessano le aree in esame, si è fatto riferimento, principalmente, alla Carta del Dissesto, alla scala 1:25.000, facente parte della Cartografia del Piano Territoriale della Provincia di Piacenza, approvato con D.C.P. n.69/2010, e alla Carta Inventario delle frane regionale, in scala 1:10.000, consultabile sul sito web del Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli della Regione Emilia Romagna, opportunamente verificate grazie a una serie di rilievi in sito che hanno consentito un’analisi di dettaglio del settore di territorio interessato dalla dorsale acquedottistica in progetto. Questi elementi morfologici, per la cui descrizione si rimanda al paragrafo 3.2.1.1,, sono stati raffigurati in 4 elaborati cartografici (uno per ciascuna fase), alla scala 1:5.000, intitolati “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”. Relativamente alla stima dell’evoluzione dei dissesti nel tempo, tutt’altro che scontata, sono ormai condivise alcune significative realtà tendenziali:  la stragrande maggioranza dei movimenti franosi attivi medio-grandi si verifica in aree già franate in passato, ossia in aree occupate da corpi franosi quiescenti;  le frane appenniniche attraversano lunghe fasi di quiescenza, seguite da brevi ma importanti riattivazioni, caratteristica che spinge a sottovalutare la pericolosità del fenomeno;  in corrispondenza dei corpi di frana si rilevano spesso, durante i periodi particolarmente siccitosi, significativi abbassamenti della superficie topografica e del primo sottosuolo, con conseguenti danni dei manufatti sovrastanti; fenomeno da imputare, non tanto, all’azione gravitativa, quanto, alle variazioni di volume conseguenti alla diminuzione del contenuto d’acqua.

Sempre nelle tavole “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”, sono stati rappresentati, in coerenza con le cartografie sopraccitate prese a riferimento, anche dei depositi, genericamente definiti, di versante (cfr. paragrafo 3.2.1.2), che pur non essendo direttamente riferibili a frane possono essere di utilità per la comprensione complessiva delle dinamiche dei versanti stessi, le conoidi (cfr. paragrafo 3.2.1.3) e i depositi alluvionali (cfr. paragrafo 3.2.1.4).

L’assetto morfologico del settore di territorio posto a Nord di Ponte dell’Olio risulta, invece, ubicato nella pianura pedemontana piacentina (alta pianura). Essa comprende quella fascia di territorio che borda il margine appenninico in cui è presente un ambiente formato dalla coalescenza delle conoidi fluviali e dei terrazzi alluvionali intravallivi che si raccordano alla bassa pianura con un passaggio graduale ed eteropico. Le caratteristiche stratigrafico-sedimentologiche sono tipiche dei corsi d'acqua con canali intrecciati a bassa sinuosità e ad alta energia, dove la sedimentazione all'interno dell'alveo è prevalentemente grossolana (ghiaie), mentre nelle aree perifluviali essenzialmente fine (argille, limi). Il paesaggio della pianura pedemontana è contraddistinto da corsi d'acqua ad andamento rettilineo che scorrono nelle aree topograficamente inferiori e da zone perifluviali pianeggianti e terrazzate.

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Allontanandosi dai corsi d'acqua verso le porzioni più interne delle zone perifluviali si possono infatti individuare vari ordini di terrazzi, impostati a quote progressivamente superiori e caratterizzati da superfici pianeggiati, degradanti verso N-NE, interrotte lateralmente da scarpate di alcuni metri (orli di terrazzi fluviali). In questo settore, le interazioni tra i vari fattori dinamici hanno condizionato un paesaggio relativamente omogeneo, contraddistinto da superfici pressoché piane debolmente degradanti verso nord/nord-est con basso gradiente topografico. L’alveo del torrente Nure è rimasta l’unica zona che mantiene ancora, nonostante i massicci interventi di regimazione, un alto grado di naturalità con frequenti emergenze morfologiche. Al contrario le aree perifluviali esprimono il congelamento di una situazione originatasi antecedentemente alla limitazione degli alvei fluviali entro percorsi prefissati, in cui le opere di bonifica agraria, infrastrutturazione e insediamento hanno conferito al rilievo un assetto costante ed uniforme, livellando molte asperità del terreno.

3.2 Aspetti geomorfologici locali

Come anticipato, gli aspetti geomorfologici dell’area oggetto di studio, al pari di quelli geologici, sono stati raffigurati in 4 elaborati cartografici (uno per ciascuna fase), alla scala 1:5.000, intitolati “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”. Nel paragrafo 3.2.1 viene proposta una descrizione degli elementi morfologici che interferiscono con l’opera in progetto; mentre, nel paragrafo 3.2.2, è riportata la descrizione delle caratteristiche geomorfologcihe del tracciato in esame.

3.2.1 Elementi morfologici che interferiscono con l’opera in progetto

3.2.1.1 Frane Si è già indicato che gli elementi geomorfologici legati alla gravità (frane) sono i più significativi e diffusi nel territorio in esame, anche se rilevati solo in corrispondenza delle prime 3 fasi. Per comprendere l’entità del fenomeno in Val Nure basti pensare che, in provincia di Piacenza, il comune che ha la maggiore percentuale di territorio coinvolta nei movimenti franosi, rispetto all’area totale, è Farini (50- 60%), seguito da Bettola (40-50%). In cartografia viene proposta una rappresentazione dei dissesti attuali, distinti, a seconda del loro stato di attività, nelle seguenti classi:  frana attiva: movimento gravitativo con evidenze di movimenti in atto o recenti, ritenuto attivo o riattivato (in un settore di corpo di frana quiescente) all’atto dell’indagine fotointerpretativa, ovvero rilevato o confermato da controllo sul terreno; l'attività può trovare conferma anche in dati documentali recenti (pubblicazioni, carte geologiche, relazioni tecniche, ecc.); nel presente studio, i rilievi di dettaglio, lungo il tracciato dell’opera in progetto, hanno consentito di rilevare e raffigurare in tavola vari movimenti in atto non indicati nelle carte prese a riferimento (cfr. Carta del Dissesto provinciale e Carta Inventario

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delle frane regionale); differentemente, a favore di sicurezza, negli elaborati “Sovrapposizione a carta geologico morfologica” sono stati rappresentati in frana attiva anche settori di territorio dove gli stessi non avevano fatto emergere alcun indizio in tal senso.  frana quiescente: riguarda tutti i tipi di dissesto in cui è possibile desumere, da indizi di natura geomorfologica e considerazioni di evoluzione morfoclimatica del territorio appenninico, la temporanea inattività del corpo di frana e della scarpata principale ad essa connessa.

Inoltre, sulla base del tipologia di movimento sono state differenziate 3 sottoclassi:  frana per scivolamento: originata dal movimento verso la base del versante di una massa di terra o roccia, che avviene in gran parte lungo una superficie di rottura o entro una fascia, relativamente sottile, di intensa deformazione di taglio.  frana per colamento di fango: messa in posto da un movimento distribuito in maniera continuata all’interno della massa spostata. Le superfici di taglio all’interno di questa sono multiple, temporanee e generalmente non vengono conservate. I materiali coinvolti sono per lo più coesivi.  frana complessa: data dalla combinazione nello spazio e nel tempo di due o più tipi di movimento.

Si è osservato che la maggior parte dei depositi di frana del territorio oggetto di studio è di tipo complesso ed è il risultato di più tipi di movimento sovrapposti nello spazio e nel tempo (tipicamente scorrimenti/colamenti).

3.2.1.2 Altri depositi di versante I depositi, genericamente definiti, di versante, che pur non essendo direttamente riferibili a frane possono essere di utilità per la comprensione complessiva delle dinamiche dei versanti stessi, sono quelli già trattati nel paragrafo 2.2.1, ovvero:

3.2.1.2.1 Deposito di versante s.l.

La cui genesi può essere dubitativamente gravitativa, da ruscellamento superficiale e/o da soliflusso.

3.2.1.2.2 Deposito eluvio-colluviale

Risulta prodotto da alterazione in situ o selezionato dall’azione mista delle acque di ruscellamento e della gravità.

3.2.1.2.3 Detrito di falda

Ha origine gravitativa e si trova frequentemente alla base di scarpate e lungo i versanti più acclivi.

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3.2.1.3 Conoidi torrentizie Le conoidi torrentizie sono degli elementi morfologici, a forma di ventaglio aperto verso valle, presenti in corrispondenza dello sbocco di valli e vallecole trasversali ai corsi d’acqua principali, ove la diminuzione di pendenza provoca la sedimentazione del materiale trasportato dall’acqua. Si distinguono:  conoidi torrentizie attive: soggette a evoluzione dovuta alla dinamica torrentizia  conoidi torrentizie inattive: non soggette ad evoluzione

3.2.1.4 Alvei attivi Le porzioni di territorio cartografate nelle tavole “Sovrapposizione a carta geologico morfologica” con presenza di depositi alluvionali in evoluzione, già descritti nel paragrafo 2.2.1.5, rappresentano anche degli elementi morfologici e idrografici importanti, in quanto costituiscono l’alveo attivo, innanzitutto del torrente Nure, ma anche di alcuni corsi d’acqua minori.

3.2.2 Analisi geomorfologica del tracciato

3.2.2.1 Fase 1 Per quanto riguarda gli aspetti geomorfologici, nel tratto relativo alla fase 1 (cfr. Tav. EG-002 “SDP – Fase 1 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica), così come per gli altri due tratti che si inseriscono in un contesto montano, gli elementi di maggior rilievo sono rappresentati dai corpi di frana di differente natura ed entità descritti dettagliatamente nel paragrafo 3.2.1. Questi interessano circa il 60% del tracciato in progetto, perlopiù, sotto forma di frane complesse, quiescenti (per il 51 % dei tratti in frana) o attive (un ulteriore 39%). Nella porzione più a monte della chilometrica 47,500, sono presenti, oltre a dei depositi di versante s.l., 2 frane quiescienti: una per scivolamento e una per colamento di fango. Stesse tipologie di movimenti ma giudicati attivi sono quelli dei 2 corpi cartografati all’incirca tra le chilometriche 46,850 e 47,100.

3.2.2.2 Fase 2 Anche nel tratto relativo alla fase 2 (cfr. Tav. EG-002 “SDP – Fase 2 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica), così come per gli altri due tratti che si inseriscono in un contesto montano, gli elementi morfologici di maggior rilievo sono rappresentati dai corpi di frana di differente natura ed entità descritti dettagliatamente nel paragrafo 3.2.1. Questi interessano oltre il 77% del tracciato in progetto, quasi esclusivamente sotto forma di frane complesse, quiescenti (per il 57 % dei tratti in frana) o attive (un ulteriore 39%).

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Nella porzione più a monte della chilometrica 47,500, sono presenti, oltre a dei depositi di versante s.l., 2 frane quiescienti: una per scivolamento e una per colamento di fango. All’incirca tra le chilometriche 43,470 e 43,600 sono state cartografate 2 frane per scivolamento: una attiva e una quiescente.

3.2.2.3 Fase 3 Come per gli altri due tratti che si inseriscono in un contesto montano, anche in quello relativo alla fase 3 (cfr. Tav. EG-002 “SDP – Fase 3 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica), gli elementi morfologici di maggior rilievo sono rappresentati dai corpi di frana di differente natura ed entità descritti dettagliatamente nel paragrafo 3.2.1. Questi interessano oltre l’81% del tracciato in progetto, perlopiù, sotto forma di frane complesse, quiescenti (per il 64 % dei tratti in frana) o attive (un ulteriore 19%). Inoltre sono stati cartografati:  una frana quiescente per scivolamento, circa, tra il km 34,550 e il km 34,650  2 frane quiescenti per colamento di fango, all’incirca, la prima, tra il km 32,780 e il km 32,920, e, la seconda, tra il km 31,580 e il km 31,700  dei depositi di versante s.l., in 2 tratti posti, circa, tra il km 33,470 e il km 33,680

3.2.2.4 Fase 4 Come anticipato nella trattazione geologica, il contesto geomorfologico nel quale si inserisce il tracciato della fase 4 (cfr. Tav. EG-002 “SDP – Fase 4 – Sovrapposizione a carta geologico morfologica) è diverso dai precedenti poiché, essendo ubicato in un settore di pianura, sono assenti i fenomeni gravitativi descritti per le altre fasi. In tale zona la nuova dorsale attraverserà un tratto di deposito alluvionale in evoluzione, caratterizzato da ghiaie sabbie di origine fluviale soggetti a variazioni dovute alla dinamica fluviale, confinanti, da entrambi i lati, con depositi terrazzati di conoide ghiaiosa appartenenti al Subsintema di Ravenna. Nella settore orientale, verso Monte Santo è stata cartografata una fascia di territorio caratterizzata dalla presenza di depositi di versante s.l., costituiti da litotipi eterogenei ed eteromertrici più o meno caotici.

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4 IDROGEOLOGIA

4.1 Quadro idrogeologico di riferimento

Considerato i contesti geologici molto differenti in cui si inseriscono le opere in progetto, di seguito si propone una trattazione distinta dei corpi acquiferi e dello schema di circolazione delle acque sotterranee, descrivendo, prima, le caratteristiche idrogeologiche del settore montano-appenninico, dove sono ubicate le fasi 1, 2 e 3, quindi, quelle dell’area di pianura (fase 4).

4.1.1 Caratteristiche idrogeologiche della zona montana Relativamente agli aspetti idrogeologici, dell’ampia porzione del territorio in esame ubicata nel settore collinare e montano della Val Nure, il quadro risulta particolarmente complesso e con carenza di informazioni. Solo recentemente, l’Ufficio Geologico della Regione Emilia-Romagna ha iniziato un lavoro di ricerca ed acquisizione di dati, tutt’ora in corso, nella prospettiva di elaborazione di carte tematiche che consentano di sviluppare argomenti di immediato interesse applicativo utilizzando come base geologica la cartografia approntata nel corso dell’ultimo ventennio. Tra gli argomenti sviluppati nell’ambito di questo progetto di cartografia, che sintetizza la distribuzione delle aree-problema (vulnerabili e critiche) in ambito regionale, figura la localizzazione e perimetrazione delle aree interessate dalla presenza dei principali acquiferi sfruttati nell’Appennino emiliano-romagnolo. Va, infatti, considerato che si tratta di aree strategiche per l’approvvigionamento di risorse idriche di buona qualità, destinate all’uso idropotabile, con alta vulnerabilità nei confronti degli inquinanti e, per ora, studiate solo per settori. Ad oggi, quello che si ha a disposizione è una zonizzazione ottenuta attraverso il confronto tra i risultati di una prima raccolta dati sulla localizzazione delle sorgenti captate e la geologia. Si sono identificate in prima approssimazione, le cosiddette “rocce-magazzino”, aree interessate da concentrazioni di sorgenti, sede dei complessi idrogeologici maggiormente permeabili e quindi di risorse idriche sotterranee da tutelare. Questa ricerca è stata sviluppata per la preparazione dello “Schema Direttore della pericolosità geoambientale”. Nella perimetrazione delle “rocce-magazzino” la Regione ha tentato di individuare le formazioni geologiche (singole o raggruppate) corrispondenti ai serbatoi alimentatori, con l’approssimazione consentita dalla restituzione finale a grande scala. I limiti di tali aree possono essere di tipo geologico o localmente ricavati applicando il criterio altimetrico-geomorfologico. All’interno di queste aree sono contenuti i settori delle zone di protezione che corrispondono alle aree di alimentazione delle sorgenti captate per l’approvvigionamento idropotabile e alle eventuali aree di riserva. La cartografia delle “rocce-magazzino”, alla scala 1:250.000, ripresa dal sito web del Servizio geologico, sismico e dei suoli della Regione Emilia Romagna è riportata in Fig. 5. In tale figura, si osserva che il tratto di strada provinciale 654, compreso tra Ponte Nano e Farini (fasi 1 e 2), non ricade su nessuna delle unità

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FIG. 5 - STRALCIO DELLA CARTOGRAFIA DELLE “ROCCE-MAGAZZINO”, ALLA SCALA 1:250.000, RIPRESA DAL SITO WEB DEL SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA Da un’analisi di maggior dettaglio, però, si osserva che aumentando la scala dello stesso tematisma cartografico (1:10.000), sempre sul sito web del Servizio geologico, sismico e dei suoli della Regione Emilia Romagna la legenda è differente. Come rappresentato in Fig. 6, Fig. 7 e Fig. 8, oltre alle sorgenti, vengono, infatti, distinte le seguenti unità:  Depositi alluvionali o all1 - Depositi alluvionali in evoluzione o all2 - Depositi alluvionali terrazzati  Coperture di versante, su ammassi rocciosi o cop1a - Coperture detritiche di versante, associate ad ammassi rocciosi, “rocce magazzino”  Ammassi rocciosi o Ammassi rocciosi, “rocce magazzino”

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FIG. 6 - STRALCIO DELLA CARTOGRAFIA DELLE “ROCCE-MAGAZZINO”, ALLA SCALA 1:10.000, RIPRESA DAL SITO WEB DEL SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA – TRATTO PONTE NANO – PONTE CANTONIERA

FIG. 7 - STRALCIO DELLA CARTOGRAFIA DELLE “ROCCE-MAGAZZINO”, ALLA SCALA 1:10.000, RIPRESA DAL SITO WEB DEL SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA – TRATTO PONTE FARINI - PONTE-CANTONIERA

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FIG. 8 - STRALCIO DELLA CARTOGRAFIA DELLE “ROCCE-MAGAZZINO”, ALLA SCALA 1:10.000, RIPRESA DAL SITO WEB DEL SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA – TRATTO CASE CADMIA - BETTOLA Interrogando il sito regionale si è osservato che la unità già descritte nel paragrafo 2.2.2, quelle identificate come rocce magazzino sono:  Nel tratto Ponte Nano – Ponte Cantoniera o FVI - Flysch di Vico o CAO - Flysch di Monte Caio o sigma - Serpentiniti  Nel tratto Ponte Nano – Ponte Cantoniera o BET - Flysch di Bettola o SCB - Arenarie di Scabiazza  Nel tratto Case Cadmia - Bettola o FAR2 - Flysch di Farini d'Olmo - membro di Rigolo o BET - Flysch di Bettola o SCB - Arenarie di Scabiazza

D’altra parte, non sono state identificate tra le unità che presentano caratteristiche idonee alla circolazione e all’immagazzinamento di acqua, quelle costituite da depositi prevalentemente fini, contraddistinti da una bassa permeabilità, quali:

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 Nel tratto Ponte Nano – Ponte Cantoniera o FSN - Formazione di Salsominore o APA - Argille a palombini o CCVb - Complesso di Casanova - litofacies a brecce mono e poligeniche a matrice pelitica  Nel tratto Ponte Nano – Ponte Cantoniera o APA - Argille a palombini

4.1.2 Caratteristiche idrogeologiche della zona di pianura Le caratteristiche degli acquiferi del territorio di pianura (interessato dalla sola fase 4) vanno inquadrate nel modello evolutivo tridimensionale, sia idrogeologico sia stratigrafico, dell’intera Pianura Padana emiliano- romagnola. Secondo gli studi (cfr. Regione Emilia-Romagna, Eni-Agip, 1998) si distinguono, sia in superficie che nel sottosuolo, tre Unità Idrostratigrafiche di rango superiore, denominate Gruppi Acquiferi (cfr. Fig. 9).

FIG. 9 – SCHEMA IDROSTRATIGRAFICO DELLA PIANURA EMILIANO-ROMAGNOLA

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Esse affiorano sul margine meridionale del Bacino Idrogeologico della Pianura per poi immergersi verso nord al di sotto dei sedimenti depositati dal fiume Po e dai suoi affluenti negli ultimi 20.000 anni, contenenti acquiferi di scarsa estensione e potenzialità (Acquifero Superficiale). Ciascun Gruppo Acquifero risulta idraulicamente separato, almeno per gran parte della sua estensione, da quelli sovrastanti e sottostanti, grazie a livelli argillosi di spessore plurimetrico sviluppati a scala regionale. Al suo interno ogni Gruppo è composto da serbatoi acquiferi sovrapposti e giustapposti, parzialmente o totalmente isolati tra loro, suddivisi, in senso orizzontale, in Complessi Acquiferi, da barriere di permeabilità costituite da corpi geologici decametrici, a prevalente granulometria fine. Nell’ambito del territorio in esame è possibile riassumere il seguente quadro idrogeologico:  i serbatoi acquiferi del Bacino Idrogeologico della Pianura Padana si formano a partire da circa 1 milione di anni fa, dapprima all’interno di un sistema deposizionale di delta-conoide alluvionale (Gruppo Acquifero C3) e quindi, nel Pleistocene medio e superiore, all’interno di piane e conoidi alluvionali attribuibili ai corsi d’acqua appenninici (Gruppi Acquiferi B e A);  gli elementi che condizionano la formazione delle conoidi alluvionali e l’evoluzione del drenaggio appenninico sono l’evoluzione strutturale della catena appenninica e le oscillazioni climatiche quaternarie;  i depositi grossolani ascritti al Gruppo Acquifero C3 costituiscono serbatoi acquiferi di grande estensione, solitamente in pressione, intercalati da barriere di permeabilità di notevole spessore e continuità, la cui correlazione è estendibile a tutta l’alta pianura;  i Gruppi Acquiferi B e A, di origine alluvionale, risultano molto complessi e più articolati del gruppo C, con numerosi livelli idrici sovrapposti e giustapposti. Facendo riferimento sempre allo studio di Regione Emilia-Romagna, Eni-Agip, pubblicato nel 1998 il Gruppo Acquifero A, nella zona in esame, si approfondisce fino a circa 50 m dal piano campagna, con uno spessore cumulativo dei livelli permeabili di 20÷40m.

Dall’esame degli studi idrogeologici effettuati per la ricostruzione dei quadri conoscitivi dei Comuni di Ponte dell’Olio e di Vigolzone, si osserva che, con eccezione del tratto più occidentale, il tracciato in esame ricade nell’unità 1, costituita dai depositi tardo pleistocenici e olocenici del torrente Nure di natura prevalentemente ghiaiosa. Lo spessore di questa unità aumenta progressivamente a partire dal margine pedecollinare; analogamente, le ghiaie (che ospitano le acque sotterranee) affiorano a profondità decrescente dalle zone marginali sino all’asse del torrente in corrispondenza del quale affiorano direttamente a piano campagna. La falda assume comportamento da freatico a localmente confinato (quest'ultimo caso in presenza di significative coperture fini) e risente dell'effetto drenante esercitato dal Nure quando il corso d'acqua si trova in condizioni di morbida. Le superfici di affioramento dei depositi ghiaiosi costituiscono l'area di ricarica dell'Unità Idrogeologica A (Regione Emilia-Romagna, ENI-AGIP, 1998). Questa unità costituisce il sistema acquifero tradizionale, interessato da un discreto numero di pozzi.

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La ricostruzione delle linee isopiezometriche, riferita ad un periodo di magra del Nure, evidenzia direzioni di flusso con direzione verso i quadranti settentrionali, al tempo stesso, mettendo in luce come il corso d’acqua costituisca l’asse di drenaggio della falda a partire dal suo sbocco in pianura. In occasione delle principali piene è, invece, ipotizzabile che avvenga, almeno localmente, una inversione del regime di alimentazione. La circolazione idrica sotterranea risulta più o meno direttamente collegata ai livelli idrici solo per il basso terrazzo mentre, per la restante piana alluvionale, i livelli freatici sembrano influenzati, più che dal livello del Nure, dalla rete idrica secondaria e dagli apporti idrici che avvengono per infiltrazione e/o percolazione dai territori pedecollinari.

Quanto alla porzione più occidentale del tracciato della fase 4 (circa gli ultimi 350 m), ricade sull’unità 2 costituita dai depositi plio-pleistocenici di natura prevalentemente conglomeratica e, in subordine, ghiaiosa, sabbiosa, limosa o argillosa che costituiscono il subsrato del sistema dei terrazzi pedecollinari. In questa unità le acque sotterranee costituiscono falde generalmente sospese, talora effimere, ospitate in lenti ghiaioso-sabbiose confinate entro i depositi più cementati e meno permeabili; tali acquiferi alimentano pozzi idrici di modeste portate e locali fenomeni sorgentizi lungo le principali scarpate (sorgenti di terrazzo). I pozzi, in corrispondenza dei terrazzi pedecolinari, captanto le acque da orizzonti permeabili saturi posti a quote differenti. Anche i valori piezometrici statici non sono fra loro correlabili e non consentono la ricostruzione di una superficie, confermando come si tratti di falde generalmente sospese, di geometria lenticolare, il cui schema di alimentazione e circolazione segue linee di flusso complesse.

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5 SISMICA

5.1 Sismicità storica del territorio

La storia sismica del territorio in esame è stata desunta da "DBMI15, database macrosismico italiano"1, realizzato dal Gruppo Nazionale per la Difesa dei Terremoti che contiene i dati macrosismici provenienti da studi dello stesso GNDT e di altri enti. In particolare si è fatto riferimento alla storia di Piacenza, che tra le località vicine, è quella che contiene una serie più lunga di dati. Secondo quanto indicato in DBMI15, la storia sismica a Piacenza è riassunta in Tab. 2 dove sono elencate le osservazioni, aventi la maggiore intensità, indicando per ciascuna di esse, oltre alla stessa intensità al sito (MCS), la data (comprendente giorno, mese, anno, ed, eventualmente, ora e minuti) in cui si è verificata, l’intensità massima epicentrale in scala MCS (Io) e la magnitudo momento (Mw). (MCS) Data Ax Io Mw 8 03/01/1117 15:15 Veronese 9 6.52 F 25/12/1222 12:30 Bresciano-Veronese 7-8 5.68 F 29/07/ 1276 18:30 Monferrato 5 4.81 5 23/10/ 1304 00:45 Pianura emiliana

F 25/01/ 1348 ------Alpi Giulie 9 6.63 5 11/06/1438 02:00 Parmense 8 5.56 F 07/05/ 1473 07:45 Milanese 4 3.7 5 26/03/1511 15:30 Friuli-Slovenia 9 6.32 4-5 25/02/1695 05:30 Asolano 10 6.4 F 04/02/ 1732 18:20 Parma 5-6 4.65 7 05/11/ 1738 00:30 Emilia occidentale 7.5 5.1 5 14/07/1779 19:30 Bolognese

4 23/11/1779 18:30 Bolognese 5 4.7 6 07/04/ 1786 00:15 Pianura lombarda 6-7 5.22 4 12/05/1802 09:30 Valle dell'Oglio 8 5.6 4-5 25/12/1810 00:45 Pianura emiliana 6 5.06 3 09/12/1818 18:55 Parmense 7 5.24 5 09/10/1828 02:20 Oltrepò Pavese 8 5.72 3-4 06/09/1829 19:30 Cremona 5-6 4.4

1 Locati M., Camassi R., Rovida A., Ercolani E., Bernardini F., Castelli V., Caracciolo C.H., Tertulliani A., Rossi A., Azzaro R., D’Amico S., Conte S., Rocchetti E. (2016). DBMI15, the 2015 version of the Italian Macroseismic Database. Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. doi:http://doi.org/10.6092/INGV.IT-DBMI15

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(MCS) Data Ax Io Mw F 13/09/1832 03:30 Reggiano 7-8 5.51 4 14/02/1834 13:15 Val di Taro-Lunigiana 9 5.96 3 04/07/1834 00:45 Val di Taro-Lunigiana 6-7 5.08 NF 01/02/1857 ------Parmense-Reggiano 6-7 5.11 2-3 12/03/1873 20:04 Appennino marchigiano 8 5.85 F 16/05/1873 19:35 Reggiano 6-7 5.01 4 29/06/1873 03:58 Alpago Cansiglio 9-10 6.29 4-5 17/09/1873 ------Appennino tosco-ligure 6-7 5.26 3 15/05/1882 05:00 Val Borbera 6 4.77 3 07/03/1883 21: 15 Piemonte sud-occidentale 4-5 4.17 NF 12/09/1884 07:23 Pianura lombarda 6 4.7 5 26/02/1885 20:48 Pianura Padana 6 5.01 5-6 23/02/1887 05:21 Liguria occidentale 9 6.27 NF 08/03/1889 02:57 Bolognese 5 4.53 NF 08/12/1889 ------Gargano 7 5.47 4 07/06/1891 01:06 Valle d'Illasi 8-9 5.87 NF 01/08/1891 13:32 Lugo 4-5 4.36 NF 05/01/1892 ------Garda occidentale 6-7 4.96 NF 05/03/1892 ------Valle d'Aosta 7 4.98 3 27/11/ 1894 05:07 Bresciano 6 4.89 NF 18/05/1895 19:55 Fiorentino 8 5.5 F 07/08/1895 19:49 Appennino tosco-emiliano 5 4.67 NF 09/08/1895 17:38 Adriatico centrale 6 5.11 NF 16/01/1898 13:10 Romagna settentrionale 6 4.59 4 04/03/1898 21:05 Parmense 7-8 5.37 6 30/10/1901 14:49 Garda occidentale 7-8 5.44 2-3 04/08/1902 22:36 Lunigiana 6 4.78 NF 04/12/1902 16:35 Lunigiana 5 4.35 3 25/02/1904 18:47 Reggiano 6 4.81 2-3 10/06/1904 11:15 Frignano 6 4.82 3 25/08/1906 03:11 Parmense 5 4.25 3 25/04/1907 04:52 Veronese 6 4.79 4 13/01/1909 00:45 Emilia Romagna orientale 6-7 5.36 4-5 23/01/1910 01:50 Piacentino 5 4.39 5 01/10/1912 18:10 Piacenza 4 3.7

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(MCS) Data Ax Io Mw 4 27/03/1913 02:25 Val Trebbia 4-5 4.24 4 27/10/1914 09:22 Lucchesia 7 5.63 2 17/05/1916 12:50 Riminese 8 5.82 F 13/01/1918 12:00 Pianura lombarda 4 4.62 5 07/09/1920 05:55 Garfagnana 10 6.53 NF 13/06/1928 08:00 Carpi 6 4.67 NF 10/04/1929 05:44 Bolognese 6 5.05 3 20/04/1929 01:10 Bolognese 7 5.36 3 11/05/1929 19:23 Bolognese 6-7 5.29 2 26/10/1930 07:31 Modenese 4 4.12 6 15/05/1951 22:54 Lodigiano 6-7 5.17 2 23/03/1960 23:10 Vallese 7 5 NF 03/04/1967 16:36 Reggiano 5 4.44 4 15/07/1971 01:33 Parmense 8 5.51 4 25/10/ 1972 21:56 Appennino settentrionale 5 4.87 3-4 13/11/1975 19:55 Appennino piacentino 5-6 4.36 4 09/02/1979 14:44 Bergamasco 6 4.78 NF 23/11/1980 18:34 Irpinia-Basilicata 10 6.81 5-6 23/12/1980 12:01 Piacentino 6-7 4.57 5 09/11/1983 16:29 Parmense 6-7 5.04 NF 06/12/ 1986 17:07 Ferrarese 6 4.43 3 31/10/1991 09:31 Emilia occidentale 5 4.33 NF 21/08/2000 17:14 Monferrato 6 4.94 4 11/04/2003 09:26 Valle Scrivia 6-7 4.81 F 24/11/2004 22:59 Garda occidentale 7-8 4.99 2 18/04/2005 10:59 Valle del Trebbia 4 3.97 F 23/12/2008 15:24 Parmense 6-7 5.36 3 17/07/2011 18:30 Pianura lombardo-veneta 5 4.79

TAB. 2 – PRINCIPALI EVENTI SISMICI I CUI EFFETTI SI SONO RISENTITI A PIACENZA

Dalla lettura di Tab. 2, e dal grafico di Fig. 10, si evidenzia che il massimo evento censito a Piacenza si è verificato il 3 Novembre 1117 con un’intensità del VIII grado della scala MCS.

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FIG. 10 – GRAFICO RIASSUNTIVO DELLA DISTRIBUZIONE TEMPORALE ED INTENSITÀ DEGLI EVENTI SISMICI CHE HANNO INTERESSATO IL PIACENTINO

5.1 Sorgenti sismogenetiche

Studi recenti2 hanno individuato nella zona interessate dalla nuova dorsale acquedottistica (limitatamente alla fase 4) o poco ad est, le seguenti due “potenziali sorgenti sismogenetiche composte” (cfr. Fig. 11):  ITCS045 – -Fornovo di Taro  ITCS027 – Bore – Montefeltro – Fabriano – Laga.

Tali sorgenti sismogenetiche presentano una magnitudo massima attesa pari a rispettivamente 5.5 Mw e 6.2 Mw, che marginalmente potrebbe interessare anche la zona in esame.

2 DISS Working Group (2018), Database of Individual Seisemigenic Sources (DISS), Version 3.2.1; A compilation of potential sources for earthquakes larger than MW 5.5 in Italy and surrounding areas. http://diss.rm.ingv.it/dissmap/dissmap.phtml

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ITCS045

ITCS027

FIG. 11 – DISS 3.2.1 – POTENZIALI SORGENTI SISMOGENETICHE NELL’AREA IN OGGETTO

5.2 Classificazione sismica

L’Ordinanza n. 3274 del 20 marzo 2003, suddivide il territorio italiano in 4 zone sismiche con diversi livelli di accelerazione sismica. Secondo tale ordinanza, come indicato in Fig. 12, tutti i Comuni interessati dagli interventi del progetto in esame (Bettola, Farini, Ferriere, Ponte dell’Olio e Vigolzone), ricadono in zona 3 (a sismicità bassa), cui corrispondono valori di accelerazione di picco orizzontale del suolo (ag), con probabilità di superamento del 10% in 50 anni, compresi tra 0,05*g e 0,15*g (dove g è l’accelerazione di gravità).

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FIG. 12 - CLASSIFICAZIONE SISMICA DEI COMUNI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Tale classificazione ha tuttavia valore esclusivamente a fini amministrativi; alle Norme Tecniche per le costruzioni del D.M. 14-01-2008, è infatti allegato un documento sulla pericolosità sismica (Allegato A), nel quale l’azione sismica sulle costruzioni è valutata a partire dalla pericolosità sismica di base, più semplicemente chiamata pericolosità sismica che costituisce l’elemento di conoscenza primario per la determinazione delle azioni sismiche.

Le azioni di progetto si ricavano, ai sensi delle N.T.C., dalle accelerazioni ag e dalle relative forme spettrali. Le forme spettrali previste sono determinate, su sito di riferimento rigido orizzontale, in funzione dei tre parametri:

 ag accelerazione orizzontale massima del terreno;

 F0 valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione orizzontale;

 TC* periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione orizzontale.

Questi tre parametri sono definiti in corrispondenza dei punti di un reticolo di riferimento (in Fig. 13 centrato sull’abitato di Bettola), i cui nodi non distano fra loro più di 10 km, per diverse probabilità di superamento in 50 anni e per diversi periodi di ritorno (variabili tra 30 e 2475 anni).

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FIG. 13- ESEMPIO DI MAPPATURA DELL’ACCELERAZIONE ORIZZONTALE MASSIMA DEL TERRENO (AG) CON TEMPI DI RITORNO DI 1898 ANNI PER IL SITO DI BETTOLA

Per determinare il tempo di ritorno (TR) si utilizza l’espressione: V T  R R ln1 P  VR dove VR è il periodo di riferimento della costruzione (nel caso in esame pari a 200 anni, cfr. paragrafo 1.1), mentre PVR è la probabilità di superamento nel periodo di riferimento, i cui valori sono indicati nelle N.T.C. 01/2018 (vedi Tab. 3.2.I del Paragrafo 3.2.1): in particolare, probabilità pari al 10%, per lo stato limite ultimo di Salvaguardia della Vita (SLV) e pari al 63%, per lo stato limite di esercizio di Danno (SLD).

Qualora il sito in esame non ricada nei nodi del reticolo di riferimento, i valori dei parametri ag, F0 e TC* possono essere ricavati come media pesata dei valori assunti nei quattro vertici della maglia elementare del reticolo di riferimento contenente il punto in esame, utilizzando come pesi gli inversi delle distanze tra il punto in

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5.3 Amplificazioni stratigrafiche e topografiche

Oltre a quanto indicato nel paragrafo 5.2, va considerato che i valori dei tre parametri necessari per un’eventuale determinazione delle azioni sismiche vanno calcolati tenendo conto anche delle possibili amplificazioni, sia di carattere stratigrafico che topografico, che potrebbero verificarsi in un territorio quale quello oggetto di studio.

Relativamente agli aspetti stratigrafici, in alternativa a una valutazione della risposta sismica locale, il D.M. 17-01-2018 definisce 5 categorie in cui suddividere i terreni d’imposta in base ai valori di velocità delle onde sismiche trasversali nei primi 30 m sotto il piano di posa della fondazione (VS,30).

Categoria Descrizione

Ammassi rocciosi affioranti o terreni molto rigidi caratterizzati da valori di velocità delle onde di taglio A superiori a 800 m/s, eventualmente comprendenti in superficie terreni di caratteristiche meccaniche più scadenti, con spessore massimo pari a 3 m. Rocce tenere e depositi di terreni a grana grossa molto addensati o terreni a grana fina molto consistenti, B caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 360 m/s e 800 m/s. Depositi di terreni a grana grossa mediamente addensati o terreni a grana fina mediamente consistenti con C profondità del substrato superiori a 30 m, caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 180 m/s e 360 m/s. Depositi di terreni a grana grossa scarsamente addensati o di terreni a grana fina scarsamente consistenti, D con profondità del substrato superiori a 30 m, caratterizzati da un miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di velocità equivalente compresi tra 100 e 180 m/s.

Terreni con caratteristiche e valori di velocità equivalente riconducibili a quelle definite per le categorie C o E D, con profondità del substrato non superiore a 30m.

TAB. 3 - CATEGORIE SISMICHE DEI TERRENI

La velocità equivalente delle onde sismiche di taglio nei primi 30 m sotto il piano di posa della fondazione

(VS eq) è definita come:

dove hi e Vi sono lo spessore e la velocità delle onde delle strato i-esimo entro i 30 m dalla fondazione, N il numero degli strati e H la profondità del substrato.

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Sulla base della categoria di appartenenza del terreno il D.M. 17-01-2018 introduce i coefficienti SS

(coefficiente di amplificazione stratigrafica) e CC (coefficiente funzione della categoria di sottosuolo) per tener conto dell’amplificazione stratigrafica del valore dell’azione sismica di progetto. Per le categorie B, C, D e E, questi due parametri possono essere calcolati attraverso le espressioni riportate in Tab. 4, dove i valori di F0 e

TC* sono relativi al sottosuolo di categoria A, g è l’accelerazione di gravità ed il tempo è espresso in secondi.

Categoria SS CC A 1.00 1.00 a g * 0.20 B 1.00  1.40  0.40 F0   1.20 1.10 T  g C a g * 0.33 C 1.00 1.70 0.60 F0  1.50 1.05 T g  C  a g * 0.50 D 0.90  2.40 1.50 F0   1.80 1.25 T  g C a g * 0.40 E 1.00  2.00 1.10 F0   1.60 1.15 T  g C

TAB. 4 - VALORI DEI PARAMETRI SS E CC

L’analisi della superficie topografica consente, invece, di considerare o meno la presenza di effetti locali legati ad elementi morfologici. In assenza di specifiche analisi di risposta sismica locale, si utilizzano i valori del coefficiente topografico

ST riportati di seguito, in funzione della categoria topografica e dell’ubicazione dell’opera o dell’intervento:

 STmax = 1 per Categoria topografica T1 “Superficie pianeggiante, pendii e rilievi isolati con inclinazione media i < 15°”

 STmax = 1,2 per Categoria topografica T2 “Pendii con inclinazione media i > 15°”, in corrispondenza della sommità del pendio 1,2

 STmax = 1,2 per Categoria topografica T3 “Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media 15° ≤ i ≤ 30°in corrispondenza della cresta di un rilievo con pendenza media minore o uguale a 30°

 STmax = 1,4 per Categoria topografica T4 “Rilievi con larghezza in cresta molto minore che alla base e inclinazione media i > 30°”, in corrispondenza della cresta di un rilievo con pendenza media maggiore di 30°

La variazione spaziale del coefficiente di amplificazione topografica è definita da un decremento lineare con l’altezza del pendio del rilievo, dalla sommità o dalla cresta, dove ST assume il valore massimo riportato sopra, fino alla base, dove ST assume valore unitario.

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Il progetto in esame prevedendo, sostanzialmente, solo la posa di tubazioni e non la realizzazione di opere soggette ad autorizzazione, non entra nel merito della quantificazione delle azioni sismiche. Ciononostante, anche per tenere conto del rischio di terremoto, la condotta è stata progettata con giunti antisfilamento sul 100% della sua lunghezza complessiva.

5.4 Rischio di liquefazione

Nell’intero territorio in esame, in base a quanto descritto nei capitoli 2, 3 e 4 si esclude la presenza di strati di terreno granulare a grana fine (sabbie), a bassa densità, con spessori pari o superiori al metro nei primi 15 metri di profondità. Ciò consente di affermare che il rischio di liquefazione è da considerarsi nullo.

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6 ANALISI DEI DISSESTI

Il presente studio ha previsto un’analisi dettagliata dei dissesti che possono coinvolgere la dorsale in progetto. Essi sono stati identificati con un codice in cui il primo numero coincide con la fase di appartenenza, mentre, il secondo è un progressivo crescente da monte verso valle, nel tratto di strada considerato. A ciascuno di essi è stato anche attribuito un valore, nell’intervallo numerico da 1 a 5, ad indicarne la gravità, ovvero, il rischio di danno che il dissesto può arrecare all’opera in progetto. In particolare, sono state adottate le seguenti definizioni:  Gravità 1 = rischio di danno molto basso. La strada non è danneggiata nella porzione dove verrà ubicata la condotta ed è improbabile che il dissesto si evolva coinvolgendo tale zona.  Gravità 2 = rischio di danno basso. La strada non è danneggiata nella porzione dove verrà ubicata la condotta ma è possibile che il dissesto si evolva coinvolgendo tale zona.  Gravità 3 = rischio di danno medio. La strada, nella porzione dove verrà ubicata la condotta, presenta tracce di piccoli movimenti, presumibilmente minori di 1 cm/anno.  Gravità 4 = rischio di danno alto. La strada, nella porzione dove verrà ubicata la condotta, presenta tracce di movimenti, presumibilmente nell’ordine di qualche cm/anno.  Gravità 5 = rischio di danno molto alto. La strada, nella porzione dove verrà ubicata la condotta, presenta tracce molto evidenti di movimenti, presumibilmente nell’ordine di 10 cm/anno.

I dissesti censiti sono stati rappresentati su degli elaborati cartografici (uno per ciascuna fase), alla scala 1:5.000, denominati “Sovrapposizione a carta dei dissesti”.

6.1 Fase 1

 DISSESTO 1.1 – da Km 47.270 a Km 47.315 – Gravità 3 Il dissesto 1.1, di lunghezza pari a 45 m e che interessa per circa 30 anche la corsia di monte, si inserisce in una porzione di territorio in cui le cartografie precedenti non segnalavano la presenza di fenomeni franosi. In realtà è evidente un movimento in tale tratto, principalmente con componente verticale, e conseguente ’abbassamento della piattaforma stradale.

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Interventi di stabilizzazione sono presenti a monte dell’intervallo chilometrico evidenziato, dove sono stati realizzati un muro in CLS ed una barriera paramassi. L’intero tratto stradale. è stato ripavimentato 3÷ 4 anni fa.

FIG. 14 – DISSESTO 1.1 (VISTA DA SUD)

FIG. 15 – DISSESTO 1.1 CON INTERVENTI A MONTE (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 1.2 – da Km 47 a Km 47.040 – Gravità 3 Nei 40 metri interessati dal dissesto 1.2 si rileva un avvallamento in evoluzione tra il 2011 ed i sopralluoghi del 2018, come evidenziato dalle fessurazioni della piattaforma stradale rifatta 4÷5 anni fa.

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RIFACIMENTO DORSALE ACQUEDOTTISTICA DELLA VAL NURE nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte-Cantoniera, Case Cadmia - Bettola e Progetto definitivo Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero)

Sebbene, nelle cartografie precedenti, tale dissesto ricada in un’area interessata da un colamento di fango, si ritiene che il problema evidenziato possa essere dovuto prevalentemente all’ammaloramento del rilevato stradale. L’adeguata manutenzione dei fossi a monte della carreggiata, e la realizzazione di una trincea drenante migliorerebbero sicuramente la situazione attuale.

FIG. 16 – DISSESTO 1.2 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 1.3 – da Km 46.890 a Km 46.935 – Gravità 2 Nell’intervallo chilometrico interessato dal dissesto 1.3, oggetto di manutenzione stradale nel 2017, è stato cartografato un movimento lento del versante segnalato nelle carte dei dissesti provinciale e regionale come frana attiva per scivolamento. Anche in questo tratto, per migliorare la stabilità del rilevato in vista della realizzazione della dorsale, si propone di realizzare opere di regimazione delle acque superficiali, che agevolino il deflusso e impediscano il ristagno.

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FIG. 17 – DISSESTO 1.3 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 1.4 – da Km 46.520 a Km 46.535 – Gravità 2 In corrispondenza del dissesto 1.4 si sono individuati 15 m di avvallamento che lambiscono in piccola parte anche la corsia di monte. Questo tratto nelle cartografie dei dissesti regionale e provinciale ricade all’interno di una frana attiva complessa.

FIG. 18 – DISSESTO 1.4

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 DISSESTO 1.5 – da Km 46.395 a Km 46.410 – Gravità 2 La frana attiva, riportata sulla cartografia provinciale e regionale, che interessa il dissesto 1.4 si estende fino al dissesto 1.5, coinvolgendo la strada provinciale in prossimità di abitazioni che però non evidenziano nessun tipo di lesione. Le foto aeree e, soprattutto, i sopralluoghi in sito hanno messo in luce l’abbassamento della piattaforma stradale (15 cm) per un breve tratto (15 m) dove la scarpata di valle è particolarmente ripida.

FIG. 19 – DISSESTO 1.5 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 1.6 – da Km 46.030 a Km 46.198 – Gravità 3 I 168 m del dissesto 1.6, ricadono all’interno di una porzione di territorio che le cartografie dei dissesti indicano in frana quiescente complessa. Fessure di detensionamento e avvallamenti della pavimentazione stradale sembrano da imputare all’acclività della scarpata di valle, che, osservando le foto storiche, nella porzione a sud, è stata interessata da crolli di alberi. Da quanto emerso nel corso dei sopralluoghi, per una migliore stabilità dell’area, è auspicabile la realizzazione di 2 trincee drenanti.

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FIG. 20 - DISSESTO 1.6 (VISTA DA SUD)

FIG. 21 – DISSESTO 1.6 (VISTA DA NORD)

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 DISSESTO 1.7 – da Km 45.422 a Km 45.650 – Gravità 3 Il dissesto 1.7, coinvolge un tratto di provinciale, lungo 228 metri, oggetto di numerosi interventi di ripavimentazione che si sono succeduti nel tempo. Esso ricade all’interno di una rana quiescente complessa indicata nella cartografia provinciale e regionale. Si osserva un’alternanza di avvallamenti provocati dai lenti movimenti del versante. Una probabile concausa del fenomeno gravitativo è data dall’erosione al piede del torrente Nure.

FIG. 22 – DISSESTO 1.7 (VISTA DA NORD)

6.2 Fase 2

 DISSESTO 2.1 – da Km 44.839 a Km 44.915 – Gravità 3 I 76 metri del dissesto 2.1 riguardano un tratto stradale caratterizzato da avvallamenti che coinvolgono principalmente la corsia di valle e, in zone localizzate, anche la corsia di monte. Nel corso dei sopralluoghi si è constatato che interventi puntuali per cercare di stabilizzare la zona non sarebbero efficaci in quanto, le problematiche di instabilità coinvolgono un’ampia porzione di territorio (movimento lento della parte bassa del versante) e non riguardano solo il rilevato e il suo stratto intorno. Da cartografia provinciale e regionale l’area ricade all’interno di una frana quiescente complessa.

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FIG. 23 – DISSESTO 2.1 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 2.2 – da Km 44.707 a Km 44.732 – Gravità 3 Il dissesto 2.2, lungo 25 metri, coinvolge la sola scarpata di valle. Le foto storiche (10/2014) hanno messo in luce che il questo tratto è stato ripavimentato ma il movimento continua a segnare la strada negli stessi punti. Nelle cartografie di riferimento questo dissesto ricade in frana quiescente complessa.

FIG. 24 – DISSESTO 2.2 (VISTA DA NORD)

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 DISSESTO 2.3 – da Km 44.547 a Km 44.620 – Gravità 5 Il dissesto 2.3 ricade, per la cartografia provinciale e regionale, in frana quiescente complessa. In questa zona, nel corso degli anni, sono stati effettuati due interventi di stabilizzazione significativi da parte del Consorzio di Bonifica e della Provincia. Tramite regimazione delle acque superficiali, dreni suborizzontali, opere di difesa spondale e gabbionate a metà e al piede del versante, si è cercato di ridurre il movimento franoso. Nonostante tali tentativi il pendio non si è assestato e la pavimentazione stradale, rifatta 2 anni fa, risulta già segnata, su entrambe le corsie. Sono, infatti, presenti crepe ed abbassamenti della piattaforma stradale (max 10 cm) che riguardano soprattutto la parte Nord dove è presente un attraversamento. In questa zona non si consigliano ulteriori interventi; ma solo di controllare l’eventuale perdita da parte della vasca e delle condotte dell’acquedotto posto poco a monte.

FIG. 25 – DISSESTO 2.3 (VISTA DA NORD)

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FIG. 26 – DISSESTO 2.3 (LATO VALLE)

FIG. 27 - DISSESTO 2.3 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 2.4 – da Km 44.284 a Km 44.375 – Gravità 2 Nell’intervallo chilometrico del dissesto 2.4 è interessata da abbassamenti la sola corsia di valle della strada provinciale, che risente di un movimento lento della parte bassa del versante in prossimità di un attraversamento. Sulla carta del dissesto provinciale e regionale la zona è indicata all’interno di una paleofrana.

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Ai fini di un miglioramento locale delle condizioni di stabilità si propone, contestualmente alla posa della dorsale acquedottistica, di realizzare una trincea drenante.

FIG. 28 – DISSESTO 2.4 (VISTA DA SUD)

FIG. 29 – DISSESTO 2.4 (VISTA DA NORD)

 DISSESTO 2.5 – da Km 44.213 a Km 44.242 – Gravità 3 Il dissesto 2.5 interessa l’intera carreggiata in un settore di territorio dove la cartografia provinciale e regionale indicano la presenza di una frana quiescente complessa.

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Esso si trova poco più a Sud rispetto ad una zona in cui sono stati eseguiti alcuni interventi di stabilizzazione: Nel 2000, infatti, Anas ha costruito, in prossimità di un attraversamento, un cordolo su micropali, e regimato le acque di monte con drenaggi. Per contribuire alla stabilità del rilevato stradale, in questo tratto, si consiglia la costruzione di un’ulteriore trincea drenante.

Campo con drenaggi

FIG. 30 – DISSESTO 2.5 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 2.6 – da Km 43.891 a Km 43.920 – Gravità 3 Nonostante tale instabilità ricada per metà in un ambito di frana attiva, secondo quanto rappresentato sulle carte del dissesto di Regione e Provincia, si ritiene che la strada si presenti danneggiata presumibilmente per l’ammaloramento del muro di sostegno in pietrame che sostiene il rilevato.

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FIG. 31 – DISSESTO 2.6 (VISTA DA LATO VALLE)

 DISSESTO 2.7 – da Km 43.800 a Km 43.820– Gravità 1 In corrispondenza del dissesto 2.7.è stato rilevato solo un piccolo smottamento di circa 20 m che riguarda la sola scarpata di valle a cavallo di un attraversamento. Da cartografia provinciale e regionale l’area ricade in frana attiva , anche se, nel corso dei rilievi, non si sono osservati movimenti recenti (anche i fabbricati non presentano alcuna lesione).

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FIG. 32 – DISSESTO 2.7 (VISTA DA NORD)

 DISSESTO 2.8 – Km 43.531 a Km 43.562 – Gravità 3 La zona del dissesto 2.8, per Provincia e Regione cartografata in paleofrana, si presenta tale presumibilmente per lo svuotamento del rilevato stradale a causa dell’ammaloramento del muro di sostegno. Eventuali interventi di regimazione delle acque sono complicati; la roccia in questo tratto è affiorante.

FIG. 33 –DISSESTO 2.8 (VISTA DA NORD)

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 DISSESTO 2.9 – da Km 43.018 a Km 43.149 – Gravità 3 Il dissesto 2.9 coinvolge l’intero rilevato stradale, presentando un evidente avvallamento e deterioramento della corsia di monte. Esso ricade in frana attiva complessa secondo quanto indicato nelle cartografie dei dissesti di Provincia e Regione. Sebbene siano presenti 2 attraversamenti che raccolgono molta acqua che arriva da monte, si consigliano ulteriori interventi di regimazione delle acque superficiali.

FIG. 34 – DISSESTO 2.9 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 2.10 – da Km 42.890 a Km 42.930 – Gravità 4 L’avvallamento riscontrato in corrispondenza del dissesto 2.10, evidente anche nelle foto storiche risalenti al 10/15 e 03/17, coinvolge sia il lato monte che il lato valle della carreggiata. Questo tratto nelle cartografie dei dissesti regionale e provinciale ricade all’interno di una paleofrana. Ai fini di un miglioramento locale delle condizioni di stabilità si propone, contestualmente alla posa della dorsale acquedottistica, di realizzare una trincea drenante.

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FIG. 35 – DISSESTO 2.10 (VISTA DA NORD)

 DISSESTO 2.11 – da Km 42.815 a Km 42.825 – Gravità 3 Il dissesto 2.11, che secondo la carta dei dissesti provinciale e regionale si inserisce in un contesto di paleofrana, coinvolge l’intera sede stradale. A giudizio dello scrivente è causato dall’ammaloramento del muro di sostegno del rilevato che ne provoca un parziale svuotamento.

FIG. 36 – DISSESTO 2.11 (VISTA DA SUD)

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FIG. 37 – DISSESTO 2.11 DETTAGLIO CARREGGIATA DI MONTE

FIG. 38 – DISSESTO 2.11 DETTAGLIO AMMALORAMENTO DEL MURO

 DISSESTO 2.12 – da Km 42.542 a Km 42.584 – Gravità 2 Nel tratto in cui è stato rilevato il dissesto 2.12 sono presenti piccoli avvallamenti che interessano, in maniera discontinua, la corsia a valle. La strada è stata riasfaltata nel 2014, così come è documentato dalle foto storiche, ma ad oggi i segni di movimento sono riapparsi negli stessi punti. La cartografia provinciale e regionale riporta, in quest’area, una frana attiva complessa.

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FIG. 39 – DISSESTO 2.12 (VISTA DA NORD)

FIG. 40 – PANORAMICA DISSESTO 2.12

 DISSESTO 2.13 – da Km 42.377 a Km 42.408 – Gravità 2 In una zona in cui, nelle carte geologiche, è rappresentato il substrato affiorante, la strada continua a segnarsi, soprattutto nella corsia di valle, per una lunghezza di 28 m. In corrispondenza di questo tratto nella scarpata a valle strada si osserva un’opera di sostegno in massi che era stata eseguita da Anas.

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FIG. 41 – DISSESTO 2.13 (VISTA DA SUD)

FIG. 42 – DISSESTO 2.3 DETTAGLIO ATTRAVERSAMENTO

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 DISSESTO 2.14 – da Km 41.505 a 41.879 – Gravità 3 Il dissesto 2.14 interessa un tratto di strada, dove probabilmente sono in atto movimenti lenti della parte bassa del versante, con presenza di avvallamenti segnalati dalla cartellonistica stradale. Prima che la strada passasse sotto la gestione della Provincia, si era verificata una frana con evidenti danni anche in corrispondenza della sede stradale (salti di 1 m). In seguito, Anas è intervenuta per ripristinare la viabilità e con una serie di opere finalizzate a migliorare la stabilità dei pendii, di cui, però, non si hanno testimonianze.

FIG. 43 – DISSESTO 2.14 (VISTA DA SUD)

6.3 Fase 3

 DISSESTO 3.1 – da Km 35.154 a Km 35.202 – Gravità 5 In corrispondenza del dissesto 3.1 si rileva un abbassamento importante dell’intero rilevato stradale che, a valle, presenta una scarpata molto ripida. Il tratto è stato riasfaltato circa 2÷3 anni fa e, ad oggi, sono già presenti fratture evidenti nella pavimentazione. Secondo quanto indicato nelle cartografie dei dissesti di Provincia e Regione la zona risulta in paleofrana.

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FIG. 44 – DISSESTO 3.1 (VISTA DA SUD)

FIG. 45 – DISSESTO 3.1 DETTAGLIO LATO MONTE

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FIG. 46 – DISSESTO 3.1 DETTAGLIO LATO VALLE

 DISSESTO 3.2 – da Km 34. 838 a Km 34.890 – Gravità 4 Il dissesto 3.2 interessa un’area inserita, nella Carta del dissesto regionale e provinciale, all’interno di una frana quiescente. Nell’intervallo chilometrico indicato sono presenti avvallamenti della piattaforma stradale che coinvolgono soprattutto la porzione di valle, con evidenti abbassamenti della banchina. Nel 2001 Anas ha cercato di stabilizzare il tratto costruendo un’opera di sostegno (di cui è visibile solo un cordolo) e realizzando un sistema di raccolta delle acque superficiali. Tali opere non hanno fermato il movimento lento del versante che costringe la Provincia a ripavimentare la strada all’incirca ogni 2 anni, come documentato da foto storiche. Si suggerisce, per migliorare la stabilità della zona, di realizzare, contestualmente alla nuova dorsale una o più trincee drenanti.

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FIG. 47 – DISSESTO 3.2 (VISTA DA SUD)

FIG. 48 – PANORAMICA LATO MONTE DISSESTO 3.2

FIG. 49 – DETTAGLIO DISSESTO 3.2

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 DISSESTO 3.3 – da Km 34.730 a Km 34.835 – Gravità 3 L’instabilità rilevata nei 105 metri del dissesto 3.3, riguarda la sola scarpata di valle e coinvolge un tratto a cavallo di un attraversamento. Da cartografia geologica l’intervallo chilometrico ricade per quasi tutta la sua estensione in una zona in cui sono presenti affioramenti.

FIG. 50 – DISSESTO 3.3 (VISTA DA SUD)

FIG. 51 – DISSESTO 3.3 DETTAGLIO CORSIA LATO VALLE

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 DISSESTO 3.4 – da Km 33.920 a Km 33.955 – Gravità 4 Il tratto rilevato come dissesto 3.4 è di circa 30 metri e coinvolge, per l’intera estensione, la corsia di valle, mentre, la carreggiata di monte è interessata solo per gli ultimi 15 metri. Tale area ha sempre creato problemi a chi si è occupato della manutenzione della strada provinciale. A valle, tra il 2014 e il 2015, è stato realizzato un muro in gabbioni successivamente al cedimento di un metro di strada. Il campo a monte (risagomato 2 anni fa) risulta una conca naturale, che raccoglie acqua, ma, la poca manutenzione e la scarsa pulizia degli attraversamenti non ne ermettono il corretto scolo e favoriscono la formazione di ristagni. In previsione della posa della condotta acquedottistica, si suggerisce una nuova risagomatura del campo, affiancata a migliorie nel sistema di raccolta acque, considerando l’ipotesi dell’inserimento di dreni in prossimità del Km 34, dove è presente un incrocio con una strada comunale. Nella carta delle coperture quaternarie delle Regione Emilia Romagna, la zona viene segnalata in paloefrana.

FIG. 52 – DISSESTO 3.4 (VISTA DA SUD)

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FIG. 53 – DISSESTO 3.4 (VISTA DA NORD)

FIG. 54 – DETTAGLIO DISSESTO 3.4 LATO VALLE

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FIG. 55 – DETTAGLIO DISSESTO 3.4 CAMPO LATO MONTE

 DISSESTO 3.5 – da Km 33.741 a Km 33.777 – Gravità 2 Sempre nell’ambito della frana quiescente in cui ricade il dissesto 3.4, sulla cartografia del dissesto provinciale e regionale, si rileva un’instabilità della scarpata di valle del rilevato per una lunghezza pari a 36 metri in un contesto di frana di versante.

FIG. 56 – DISSESTO 3.5 (VISTA DA SUD)

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 DISSESTO 3.6 – da Km 33.510 a Km 33.597 – Gravità 5 Il dissesto 3.6, lungo 87 m e oggetto di manutenzione periodica, è causato da un movimento di una porzione di pendio che coinvolge l’intera sede stradale in una zona dove la Carta geologica indica la presenza di deposito di versante. Molti sono, invece, gli indizi che il pendio sia in frana: negli anni passati, nel campo, si sono formati salti anche di un metro, un traliccio telefonico è crollato e strada e tombino sono stati traslati verso valle. Al fine di migliorare la stabilità della zona, si suggerisce di intervenire con un buon sistema di raccolta delle acque prendendo in considerazione l’ipotesi di un rifacimento dell’attraversamento che, ad oggi, sembra poco efficiente.

FIG. 57 – DISSESTO 3.6 (VISTA DA SUD)

FIG. 58 – PANORAMICA LATO MONTE DISSESTO 3.6

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FIG. 59 – PANORAMICA LATO VALLE DISSESTO 3.6

 DISSESTO 3.7 – da Km 33.332 a Km 33.873 – Gravità 3 Il dissesto 3.7 si manifesta tramite avvallamenti discontinui della pavimentazione stradale e fratture di distacco sul pendio a valle dell’infrastruttura, causati da lenti movimenti del versante. Secondo quanto indicato sulla carta provinciale e regionale, ricade, solo per metà, all’interno di una frana quiescente. Contestualmente al rifacimento della nuova dorsale acquedottistica si suggerisce la realizzazione di 2 trincee drenanti per migliorare la stabilità della zona interessata dalle opere in progetto.

FIG. 60 – DISSESTO 3.7 (VISTA DA SUD)

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RIFACIMENTO DORSALE ACQUEDOTTISTICA DELLA VAL NURE nei tratti: Ponte Nano - Ponte Cantoniera, Ponte Farini - Ponte-Cantoniera, Case Cadmia - Bettola e Progetto definitivo Rifacimento attraversamento Nure a Ponte Dell’Olio (tratto Torrano-Calero)

FIG. 61 – DETTAGLIO DISSESTO 3.7 LATO VALLE

FIG. 62 – DETTAGLIO CORSIA DI MONTE DISSESTO 3.7

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 DISSESTO 3.8 – da Km 32.344 a Km 32.583 – Gravità 3 In corrispondenza del dissesto 3.8, l’instabilità della scarpata di valle provoca un leggero abbassamento della relativa carreggiata. In questo tratto la pavimentazione stradale risulta segnata anche se è stata rifatta solo 2 anni fa La zona, nella cartografia dei dissesti provinciale e regionale, è indicata in paleofrana.

FIG. 63 – DISSESTO 3.8 (VISTA DA SUD)

 DISSESTO 3.9 – da Km 32.322 a Km 32.328 – Gravità 3 Il dissesto 3.9 si presenta come un sollevamento localizzato che interessa la sola corsia di monte. Si ipotizza che possa essere conseguenza dell’ammaloramento del muro a secco posto a monte della strada che sostiene una scarpata molto ripida Secondo quanto indicato sulla carta provinciale e regionale, ricade, all’interno di una frana quiescente.

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FIG. 64 – DISSESTO 3.9 (VISTA DA SUD)

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7 ATTRAVERSAMENTI DELL’ALVEO DEL TORRENTE NURE

7.1 Attraversamento definitivo nei pressi di Ponte dell’Olio

La fase 4 prevede un attraversamento in alveo del torrente Nure nei pressi di Ponte dell’Olio (cfr. Fig. 65). Infatti, gli approfondimenti svolti con l’amministrazione provinciale, relativi all’alternativa progettuale di posa della tubazione lungo il ponte esistente, oltre a portare ad un consistente incremento della lunghezza del tracciato, hanno evidenziato notevoli difficoltà tecniche, essenzialmente legate al grado di ammaloramento del manufatto.

FIG. 65 – ATTRAVERSAMENTO DEL TORRENTE NURE IN CORRISPONDENZA DELLA FASE 4 In Fig. 66 è riportata la relativa sezione tipo di scavo e rinterro.

FIG. 66 – SEZIONE TIPO DI SCAVO E RINTERRO NEGLI ATTRAVERSAMENTI IN SUBALVEO DEL TORRENTE NURE

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Per la modellazione geologica del sottosuolo in corrispondenza di questo attraversamento, a causa delle difficoltà di accesso ai possibili punti d’indagine, si è dovuto fare riferimento a dati pregressi relativi a perforazioni effettuate nell’intorno. Tutte queste verticali a stratigrafia nota, tra cui quella desunta nel corso della perforazione di un pozzo in corrispondenza del cantiere della Bon-Beton s.r.l., posto sulla sponda sinistra del torrente, proprio all’altezza del tracciato in progetto, indicano la presenza, in superficie, di un banco costituito prevalentemente da ghiaie, ciottoli e blocchi, deposti dal corso d’acqua, di spessore di almeno 15 m, che raggiunge quindi i 168 m s.l.m.. Tenuto conto delle profondità di scavo indicate in Fig. 66 e del fatto che il rilievo della sezione d’alveo indica sempre quote del profilo del terreno superiori a 177 m s.l.m., è comprensibile che tale orizzonte risulta essere l’unico d’interesse per il presente studio.

7.2 Attraversamento provvisorio a Ponte Cantoniera

Un altro attraversamento del Nure, seppur provvisorio, è stato progettato, nella fase 1, in corrispondenza di Ponte Cantoniera, ove sono previsti interventi di adeguamento, a seguito dei quali si avrà la dismissione del tratto in alveo e l’installazione di una condotta aerea tramite mensole. Tale attraversamento è stato ubicato una ventina di metri a monte del ponte della strada provinciale, protetto, a valle, da una briglia. La sezione di scavo e rinterro sarà sempre conforme al tipologico riportato in Fig. 66.

FIG. 67 – SEZIONE TIPO DI SCAVO E RINTERRO NEGLI ATTRAVERSAMENTI IN SUBALVEO DEL TORRENTE NURE

Anche in questo caso per la ricostruzione del modello geologico dei terreni coinvolti dagli scavi si è dovuto ricorrere a studi pregressi e, in particolare, a una sezione sismica ripresa da “Indagine idrogeologica dei

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FIG. 68 – SEZIONE SISMICA IN CORRISPONDENZA DI PONTE CANTONIERA REALIZZATA DA GEOINVEST S.R.L.

Confrontando le sezioni di Fig. 66.e di Fig. 68 si osserva che l’attraversamento in progetto interferirà solo con l’orizzonte più superficiale, costituito da alluvioni del torrente Nure, a tessitura grossolana (ghiaie, ciottoli e blocchi), con spessore sempre superiore a 10 m.

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8 PRINCIPALI PROBLEMATICHE PROGETTUALI DI NATURA GEOLOGICA

8.1 Caratterizzazione dei terreni oggetto di scavo

Tra le principali problematiche di competenza del geologo, relative al rifacimento della dorsale acquedottistica, vanno considerate quelle relative agli scavi. In particolare, i progettisti hanno richiesto un’indicazione della tipologia di terreni da rimuovere, sotto l’aspetto sia delle caratteristiche meccaniche, al fine di valutare le modalità e i costi dell’escavazione, che ambientali, per prevedere come effettuare l’eventuale smaltimento (argomento per il quale si rimanda al paragrafo 8.2). Relativamente al primo aspetto, tralasciando la demolizione dello strato più superficiale, costituito dalla pavimentazione bituminosa, si è fatto riferimento , essenzialmente, a 3 voci che possono essere, a seconda dei casi applicate alle lavorazioni in progetto: 1. Scavo a sezione ristretta eseguito con mezzi meccanici, in materiale di qualunque consistenza e natura, asciutto o bagnato, compreso l'allontanamento con qualsiasi mezzo dell’acqua dallo scavo, la frantumazione di opere in conglomerato cementizio, in pietrame o miste in pietrame e conglomerato, senza speciali attrezzi di demolizione, nonché l'estrazione di massi fino ad un volume di 0,50 m3 2. Scavo a sezione ristretta in roccia alterata, in conglomerati, - in giacimenti sassosi compresi i massi di volume fino a 0,50 m3 -, eseguito con mezzi meccanici, anche con ausilio di attrezzi pneumatici oppure idraulici montati sul mezzo meccanico di scavo, comunque senza ausilio di esplosivi. 3. Scavo a sezione ristretta in roccia compatta di qualunque natura e durezza eseguito con ausilio di attrezzi pneumatici oppure idraulici montati sul mezzo meccanico di scavo, comunque senza ausilio di qualsiasi tipo di esplosivo.

Quindi, si è preso in esame il tracciato di progetto e si è cercato di prevedere le tipologie di terreni, definite nel paragrafo 2.2, oggetto delle escavazioni, provando a stimare, per ciascuna di essa, anche le modalità di scavo, facendo riferimento alle 3 voci sopra definite. Tale analisi ha evidenziato che gli scavi:  in prevalenza, interesseranno materiali sciolti o formazioni “tenere” dove sarà sufficiente l’utilizzo di escavatori;  in subordine, incontreranno rocce alterate (in particolare in corrispondenza delle formazioni flyschioidi quale quella di Vico, di Monte Caio, di Bettola e di Farini d’Olmo) dove, in alcune zone, sarà necessario l’uso del martellone;  solo nel tratto interessato dalla presenza di un’olistolite di serpentiniti (fase 1 tra il km 45,840 e il km 45,913) possono essere definiti “in roccia compatta”.

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I dati ricavati con la stima sopra descritta sono stati trasferiti ai progettisti che li hanno potuti utilizzare in fase di computazione.

8.2 Smaltimento dei terreni di scavo

La problematica relativa allo smaltimento dei terreni di scavo è strettamente connessa con le caratteristiche ambientali degli stessi terreni, la cui tipologia (cfr. paragrafo 2.2) è stata stimata osservando gli andamenti dei tracciati di progetto negli elaborati cartografici “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”. Nel presente studio, si sono considerati solo i terreni di scavo naturali e non i materiali costituenti il corpo stradale che, presumibilmente si configureranno come rifiuti con codice CER 17.09.04 “rifiuti misti dell'attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 17.09.013, 17.09.024 e 17.09.035. Questi, in base alle informazioni raccolte, sono stati distinti 3 tipologie:  terreni che avranno probabilmente concentrazioni inferiori a quelle fissate nella Colonna A della Tabella 1, Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V, del D.Lgs 152/2006 e, quindi, se non riutilizzati in sito, potranno essere trattati come sottoprodotti e riutilizzati per ripristini morfologici, da quanto verificato, entro i 55 km, dalla fase 1, i 50 km, dalla fase 2, i 40 km, dalla fase 3 e i 30 km, dalla fase 4;  terreni che avranno probabilmente concentrazioni superiori a quelle fissate nella Colonna A della Tabella 1, Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V, del D.Lgs 152/2006, ma con un rischio di presenza di amianto basso o molto basso; questi terreni, se non riutilizzati in sito, potrebbero dover essere trattati come rifiuti e conferiti nella tipologia di discarica definita dal test di cessione (presumibilmente discara per inerti);  terreni che avranno probabilmente concentrazioni superiori a quelle fissate nella Colonna A della Tabella 1, Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V, del D.Lgs 152/2006, e con un rischio di presenza di amianto alto; questi terreni, se non riutilizzati in sito, potrebbero dover essere trattati come rifiuti speciali contenenti amianto e conferiti in apposite discariche all’estero.

Un alto rischio di presenza di amianto è stato indicato solo in un breve tratto della fase 1, di circa 175 m, che attraversa delle serpentiniti. A riguardo, va segnalato che, generalmente, lo sviluppo e le concentrazioni di minerali asbestiformi all'interno di questo tipo di rocce, sono essenzialmente legati alla presenza di vene, zone cataclastiche, fratture e faglie. Ciò premesso, nonostante le minime profondità necessarie alla posa dei tubi, si prescrive, ogni qualvolta verrà intercettato il substrato roccioso, di mettere in atto, durante le operazioni di scavo, tutti gli accorgimenti possibili onde mitigare il rischio connesso alla potenziale esposizione da parte degli operatori, con eventuali

3 Rifiuti da demolizione e costruzione contenenti mercurio 4 Rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione contenenti PCB 5 Altri rifiuti dell’attività di costruzione e demolizione contenenti sostanze pericolose

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Nel contesto in esame, terreni che avranno probabilmente concentrazioni superiori a quelle fissate nella Colonna A della Tabella 1, Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V, del D.Lgs 152/2006, ma con un rischio di presenza di amianto basso o molto basso, sono quelli coincidenti con i depositi alluvionali, in particolare del Nure. Infatti, come evidenziato in vari studi, tra i quali va citato “Individuazione e classificazione delle Unità geologiche ofiolitiche e ofiolitifere nell’Appennino Emiliano Romagnolo” a firma dei dott. geol. Maria Teresa De Nardo e Stefano Segadelli, le unità geologiche del bacino di questo corso d’acqua sono in grado di fornire ai sedimenti fluviali un apporto in componenti di origine ofiolitica, cui consegue un elevato contenuto di metalli e, in particolare di cromo e nichel. In casi in cui il superamento delle concentrazioni soglia avviene per fenomeni di origine naturale, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 120/2017, è fatta salva la possibilità che le concentrazioni di tali parametri vengano assunte pari al valore di fondo naturale esistente. A tal fine, in fase di predisposizione del piano di utilizzo, il proponente segnala il superamento di cui sopra, ai sensi dell' D.Lgs 152/2006, e contestualmente presenta all'Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo naturale da assumere. Tale piano, condiviso con la competente Agenzia, è eseguito dal proponente con oneri a proprio carico, in contraddittorio con l'Agenzia entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso. Il piano di indagine può fare riferimento anche ai dati pubblicati e validati dall'Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente relativi all'area oggetto di indagine. Sulla base delle risultanze del piano di indagine, nonché di altri dati disponibili per l'area oggetto di indagine, l'Agenzia di protezione ambientale competente per territorio definisce i valori di fondo naturale. Il proponente predispone il piano di utilizzo sulla base dei valori di fondo definiti dall'Agenzia.

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Dati interessanti per definire i valori di fondo naturale, sono consultabili sul sito web del Servizio geologico, sismico e dei suoli della Regione Emilia-Romagna, dove è indicata la distribuzione areale nel subsoil (90÷140 cm di profondità) del contenuto di metalli nei suoli ad uso agricolo. Tale profondità è ritenuta rappresentativa del contenuto di fondo naturale ('pedo-geochemical content' secondo la norma ISO/DIS 19258, 2005). Le unità cartografiche sono rappresentate da gruppi di poligoni appartenenti a classi di concentrazione crescente. I fattori che regolano il contenuto naturale di metalli nei suoli sono: provenienza del sedimento in cui si è formato il suolo, tessitura, e grado evolutivo. Dall’esame delle distribuzioni areali dei differenti metalli, si osserva che la porzione di territorio interessata dalla fase 4 ricade in classi con concentrazioni superiori a quelle fissate nella Colonna A della Tabella 1, Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V, del D.Lgs 152/2006, interamente, per quanto riguarda il cromo e il vanadio e, parzialmente, per quanto riguarda il nichel.

FIG. 69 – DISTRIBUZIONE AREALE NEL SUBSOIL DEL CONTENUTO DI CROMO (DA SITO WEB DEL SERVIZIO GEOLOGICO, SISMICO E DEI SUOLI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Infine, quanto alla possibilità di definire il materiale da scavo come sottoprodotto e, quindi, poterlo riutilizzare nell’ambito della procedura delle terre e rocce da scavo, si ricorda che è necessario che, all’interno del “Piano di gestione delle terre”, da trasmettere ad ARPA e Comuni entro 15 giorni dall’inizio dei lavori, venga dimostrato che le concentrazioni di elementi e composti di cui alla tabella 4.1 dell'allegato 4 del D.P.R.120/2017

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8.3 Sezioni di scavo e rinterro

Le sezioni di scavo e di rinterro, concordate con i progettisti, sono state differenziate a seconda che il tracciato interessi strade provinciali (cfr. Fig. 70), strade comunali (cfr. Fig. 71) o terreni naturali (cfr. Fig. 72).

FIG. 70 – SEZIONE TIPO DI SCAVO E DI RINTERRO IN SEDE STRADALE PROVINCIALE

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FIG. 71 – SEZIONE TIPO DI SCAVO E DI RINTERRO IN SEDE STRADALE COMUNALE

FIG. 72 – SEZIONE TIPO DI SCAVO E DI RINTERRO IN TERRENO NATURALE

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In tutti i 3 casi, la larghezza dello scavo è di 60 cm e la condotta in ghisa sferoidale DN300 viene posata, all’interno di un cassonetto di pietrischetto, di altezza pari a 58 cm, comprensivo di 15 cm di letto di posa. In corrispondenza delle fasi 1, 2, e 3, sotto la strada provinciale, è stato prevista, a fondo scavo, anche la posa di un tubo PE DN110 corrugato, fessurato, rivestito con fibra geotessile, in modo da migliorare l’allontanamento delle acque intercettate dai nuovi manufatti e favorire la stabilità delle zone d’intervento (cfr. paragrafo 8.4). Per i tratti non posizionati sotto a pavimentazioni stradali il rinterro avverrà, fino a piano campagna, con terreno di risulta degli scavi. Differentemente, in corrispondenza delle strade, sono stati individuati , a partire dall’alto i seguenti strati:  per le strade comunali o 3 cm di conglomerato bituminoso 0/6 per tappeto d'usura per intera carreggiata su emulsione bituminosa o 13 cm di pavimentazione bituminosa in conglomerato tipo binder 0/25 o rinterro in misto granulare stabilizzato compattato 0/40  per le strade provinciali o 3 cm di conglomerato bituminoso 0/6 per tappeto d'usura per intera carreggiata su emulsione bituminosa o 7 cm conglomerato bituminoso tipo binder 0/20 o 13 cm di pavimentazione bituminosa in conglomerato tipo binder 0/40 o 20 cm di soletta in calcestruzzo C20/25 o 10 cm di misto granulare stabilizzato compattato 0/40 o rinterro in misto granulare stabilizzato compattato 0/70

Riguardo a quest’ultima sezione tipo, si sottolinea come la scelta di realizzare una soletta in calcestruzzo di 20 cm, anziché prevedere il riempimento dell’intero scavo, fino al cassonetto in pietrisco, con misto cementato, sia stata dettata dalla volontà di:  non inserire una struttura particolarmente rigida in un contesto dinamico, sia per l’attività dei movimenti franosi che per le modifiche di volume dei terreni che maggiormente risentono delle variazioni di umidità stagionali;  evitare la realizzazione di un setto impermeabile che avrebbe ostacolato il deflusso delle acque sotterranee e contribuito a destabilizzare i pendii. D’altra parte, gli eventuali cedimenti dei terreni granulari, che non dovessero essere perfettamente compattati, saranno certamente scontati prima della realizzazione, sull’intera carreggiata, del tappeto d'usura; ultima lavorazione in programma che consentirà di sistemare i possibili danni della pavimentazione stradale

Al fine di garantire la stabilità degli scavi dovranno essere assunte le seguenti precauzioni:  per profondità di scavo maggiori di 150 cm dovrà essere previsto il blindaggio a pannelli metallici e puntoni regolabili

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FIG. 73 – SEZIONE TIPO E MODALITÀ DI SCAVO PER ALTEZZE DI SCAVO MAGGIORI DI 150 CM

 nei cantieri mobili lungo la viabilità provinciale, la recinzione provvisoria di cantiere che limiterà la corsia di marcia a senso alternato, dovrà essere posizionata almeno a 120 cm dal ciglio scavo  in ogni caso, l’eventuale necessità di sostenere gli scavi, anche per profondità inferiori a 150 cm, nonché la dimensione degli stessi, sia in senso longitudinale che trasversale, dovranno essere attentamente verificati in corso d’opera da personale qualificato, soprattutto in presenza di acqua, di spessori anomali del rilevato e/o copertura bituminosa, e nei tratti segnalati in frana negli elaborati cartografici “Sovrapposizione a carta geologico morfologica”.

8.4 Problematiche di stabilità dei versanti

Come anticipato nel capitolo 3 e nel capitolo 6, il contesto geomorfologico in cui si inseriscono le fasi 1, 2 e 3 dell’intervento in progetto, comporta varie problematiche relative alla stabilità dei versanti.

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Nel capitolo 6 è stata proposta un’analisi dettagliata dei dissesti che possono coinvolgere la nuova dorsale acquedottistica, censendoli, rappresentandoli cartograficamente e attribuendo loro differenti gradi di gravità. Nei singoli paragrafi sono state effettuate anche delle proposte di interventi a favore della stabilizzazione se non dell’intero pendio, della porzione strettamente connessa al rilevato stradale, quali riordini del sistema di scolo delle acque superficiali (vedi dissesti 1.2, 1.3, 2.9, 3.4 e 3.6) e realizzazione di trincee drenanti (proposte per i dissesti 1.2, 1.6, 2.4, 2.5, 2.10, 3.2, 3.4 e 3.7) I progettisti hanno recepito le indicazioni di cui sopra, estendendo a tutti i dissesti la sistemazione dei fossi, e prevedendo la realizzazione di trincee drenanti secondo la tipologia rappresentata in Fig. 74 e Fig. 75.

FIG. 74 – INTERVENTI DI SISTEMAZIONE GEOMORFOLOGICA

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FIG. 75 – SEZIONE TIPO DELLA TRINCEA DRENANTE

A ciò si aggiunga che la condotta in progetto sarà dotata di giunti antisfilamento, sul 100% della sua lunghezza complessiva, anche con lo scopo di proteggere il sistema contro possibili movimenti e assestamenti dei versanti, e che la sezione tipo, sotto la strada provinciale, è stata prevista riempita con materiale drenante e con posa di un tubo fessurato, rivestito con fibra geotessile, in modo da migliorare l’allontanamento delle acque intercettate, che saranno recapitate a valle del rilevato, in corrispondenza di tutti gli attraversamenti incontrati. Detto ciò, bisogna ammettere che la problematica della stabilità geomorfologica non risulta risolta e, conseguentemente, pur rilevando che, spesso, in un contesto quale quello in esame, gli interventi di consolidamento, anche se onerosi, possono non essere risolutivi, si auspica che, nell’ambito delle successive fasi progettuali, possano essere individuate altre opere a favore della stabilità dei pendii e/o sistemi di monitoraggio della loro dinamica.

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