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I Ladri Dagli Occhi Verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 2 I Ladri Dagli Occhi Verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 3 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 2 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 3 Nuova Narrativa Newton 235 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 4 Titolo originale: Green Eyed Thieves Copyright © Imraan Coovadia 2006 Traduzione dall’inglese di Tiziana Felici Prima edizione: ??? 2010 © 2010 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-1216-2 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Corpotre, Roma Stampato nel ??? 2010 da Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma) I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 5 Imraan Coovadia I ladri dagli occhi verdi Newton Compton editori I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 6 Per Jerry, Zaheer (+1, –1) RINGRAZIAMENTI Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutata a scrivere questo libro: Helen, che non si è mai stancata di spiegare come si conducono le indagini sulla scena del crimine riuscendo a farlo capire anche a me; Sara e Moses che hanno letto le pri- me bozze con occhio fresco ed esperto; Sarah Turner per avermi incoraggiata quando l’idea della Serie delle Shetland era appena nata; e Julie che ha reso pia- cevole tutto il processo di redazione finale. I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 7 CAPITOLO 1 I colori: le innumerevoli gradazioni di verde e la lucentezza metallica di una Beretta per signore. I numeri: il tre, il fortunato sette e i sessantamila dollari che abbiamo preso per il lavoretto a Sun City. I luoghi: Peshawar, la melanconica Lourenço Marques1, Brooklyn, New York. Gli oggetti: le chiavi della Mercedes blu (una SL, non la vecchia Road- ster), una scatola di sigari foderata di feltro verde e, al suo interno, le munizioni di piccolo calibro sparpagliate come monetine. Un gilet di Brioni... un detonatore con innesco elettrico... un reggiseno di rayon dalle grandi coppe di un colore bianco argentato. Con queste e molte altre circostanze ancora inizia la mia storia, a co- minciare dal fascicolo 3741 presentato alla corte dell’Eastern District di Brooklyn. Si chiama in giudizio Firoze Peer per essersi spacciato per un funzionario federale. Sono inoltre stato accusato di aver venduto passaporti a quei famigerati dirottatori e di aver violato la sicurezza degli Stati Uniti. Ma è tutta colpa di quello scervellato di mio fratello, Ashraf. Io e lui non abbiamo nulla in comune, eccetto questo bagliore sulfureo negli occhi verdi. Ashraf non è solo mio fratello: è mio gemello... è un alibi... ed è que- sto il motivo per cui non ci sarà mai fine alle colpe che mi vedrò ad- dossare a causa di questo santo patrono delle rivoltelle, questo adora- tore di Kahlil Gibran e Louis L’Amour, questo tipo da gruppo heavy metal che modella il suo look alla maniera di David Hasselhoff. Il fat- to di avere i geni di un fesso come Ashraf mi impedisce di darmi delle arie. E mi costringe a stare dietro le sbarre. Come un bruco che si trasfor- 7 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 8 ma in farfalla, il fascicolo 3741 si è trasformato in un ordine di incar- cerazione nel giro di un’estate. Non avevo un avvocato. In questo pae- se si dice che un uomo che è avvocato di se stesso ha per cliente uno stupido. Ma con Ashraf come fratello, sarei un pazzo a non dire qual- che parola in mia difesa. Al pubblico piace che i propri scrittori vengano incarcerati. Questo stato comprova l’autenticità dello scrittore, la sua conoscenza delle co- se al di là dei confini della propria mente. È assolutamente vero che uno scrittore rimane intrappolato tra le pagine del suo libro come un insetto in una goccia d’ambra. E dunque il mondo è pronto, io credo, ad accogliere un manoscritto redatto con una IBM Selectric nella cuc- cetta inferiore di una cella del penitenziario di Fort Dix. (Indirizzare le richieste per i diritti teatrali a F. Peer, Dottore in Lettere, n. 2663, Se- ven East, FCI Fort Dix – Federal, P.O. Box 38, Fort Dix, NJ 08640). Dov’era mio fratello? Lui rappresentava la mia unica speranza, per- ché il giudice non era affatto colpito dal mio caso. Thomas Lodge Ca- meron era un uomo arcigno, dalla barba rossa e sulla sessantina. Die- tro gli occhiali bifocali si celavano occhi simili a quelli di una carpa. Mi parlava con finto rispetto, lanciandomi stoccate come se stesse com- battendo un duello. Attribuisco il suo atteggiamento mentale a una questione geografica. A Brooklyn le persone devono lasciare intendere che hanno già visto il peggio di tutto e non cambiano idea su nulla. In quel pomeriggio di luglio mi aspettavo che Ashraf arrivasse a migliora- re l’atteggiamento brooklynese di Cameron, forse con una di quelle scazzottate unilaterali per le quali mio fratello nutre tanta passione. Ma sembra che questa possibilità non potesse verificarsi. «Non vuole degnarsi di dirci il suo vero nome, signor Peer?» «Vostro Onore», faccio io, «sta mettendo in prigione il fratello sba- gliato. Io amo questo paese. Non presterei mai il mio aiuto a un uomo che volesse arrecargli danno. Il mio incontro con Atta, Mohammad el- Amir, è durato giusto il tempo di notare che era una persona dalle idee confuse, un tipo molto emotivo. Ha tentato di sedurmi. Voglio dire, l’intera faccenda è tragicomica». Cameron non sembrava ricettivo. «Per lei sembrerebbe più una com- media. Per noi si tratta di una tragedia. Bene, basta con questi giri di 8 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 9 parole nella mia aula. Mi lasci un minuto, signor Peer, se questo è ve- ramente il suo nome, per prendere la mia ultima decisione». Ebbi il tempo di pensare all’amore mentre Cameron faceva i suoi cal- coli. L’imputato sostiene che gli basta un niente per innamorarsi, e nei quattro pomeriggi passati in tribunale avevo consegnato il mio cuore alla signora Velasquez, una cinquantanovenne testimone d’accusa, e poi alla stenotipista del tribunale, Irene, i cui occhi verde pisello guiz- zavano nella mia direzione. Come colei che l’aveva preceduta, Irene era di costituzione robusta, piuttosto formosa sui fianchi e più minuta all’altezza delle spalle lentigginose. È una legge della natura umana che un tipo come me, quasi scheletrico, graviti attorno a una donna che tende verso il lato più allegro della pinguedine, se ha davvero fiducia in se stesso. Siamo noi a decidere le nostre punizioni. È un paradiso e un inferno allo stesso tempo, sapete, essere incostanti come me. Possedevo una lettera d’amore standard redatta in stile persiano, destinata a Fazila in Pakistan. Io sono innamorato cotto di Fazila, certo, ma dentro di me c’è anche spazio per le moltitudini femminili. Ho indirizzato una copia della stessa lettera a Irene, con carta da lettere sottratta dalla scrivania del gauleiter al Metropolitan Correctional Centre. L’ho scritta con una Smith Corona scassata in una cabina assegnata agli imputati. A ogni colpo la testina rotante si abbassava emettendo un sibilo. Essendomi autoproclamato scrittore, vado orgoglioso della frase introduttiva: «Dolce Irene, Irene delle rondini e degli squali, lascia che io porti a te usignoli e mazzi di rose, lascia che ricopra la tua bocca umida di parsi- moniosi baci...». La mia lettera d’amore credo prenda spunto dalla prosa elaborata di mia madre. La mia vita, il mio stile, sono colpa di mio fratello. Sono colpa di mia madre. Sono colpa di mio padre... Mia madre, Sameera Peer, laureata in filosofia, è una cultrice del giorno di San Valentino. Siamo entrambi svampiti, e dunque lei comprende questa mia tenden- za a innamorarmi perdutamente. Se mia madre si fosse data pena di venire al processo, avrebbe apprezzato Irene. Lavorando come stenotipista in tribunale, pensai, Irene non doveva incontrare uomini interessanti. Pochi di quelli che comparivano alla 9 I ladri dagli occhi verdi 1-244 2-08-2010 14:39 Pagina 10 sbarra erano imputati di un certo calibro. Il parametro per determina- re la grandezza di una nazione, credo io, risiede nel livello dei propri imputati. Nelle pagine seguenti spiegherò per quale motivo il talento criminale americano, talento nel vero senso della parola, sia scarso. Ma quello che voglio dire è che il contesto aumentava le mie possibilità di successo con Irene. Le situazioni molto intense favoriscono l’amore: il caveau di una banca a mezzanotte e mezza, i sobbalzi sul sedile poste- riore di una macchina in fuga con Ashraf alla guida, il secondo piano di una villa a Peshawar, quando sull’alto soffitto compaiono fori di proiettile come pannocchie di granturco. E, naturalmente, quest’aula di tribunale di Brooklyn. Non che Irene sia facile. L’uomo tarchiato nella mia futura cella, quel- lo credo sarebbe una preda facile. E il signor Atta, i cui occhi erano co- sì scuri che parevano truccati con il kohl, lui – ve lo giuro – mi guar- dava con palese lascivia, una sera a Brooklyn. Mentre Irene comporta- va fiori, poesia, vino rosso e vino bianco, lunghe passeggiate sotto le stelle. Sentite, so di essere ridicolo. Mio fratello falsifica passaporti, mentre io falsifico romanticherie e trasformo le cose tragiche in trivia- lità. Finché non arriva il momento in cui queste cose triviali mi preoc- cupano. Le manette alle caviglie con cui mi hanno scortato in tribuna- le erano la cosa che mi preoccupava di più. Mi intrappolavano. Un’en- trata grandiosa è un notevole alleato per un pretendente, ma il raggio della catena di circa quaranta centimetri mi impedì di gironzolare per l’aula.
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