IL CASTELLO URSINO E I MUSEI DI CATANIA NEL XX SECOLO Di Alvise Spadaro
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(Pubblicato su “Ricerche” a. X n. 1 Gennaio-Luglio 2006 pp. 49-102) IL CASTELLO URSINO E I MUSEI DI CATANIA NEL XX SECOLO di Alvise Spadaro alla memoria di Mario Sipala e Corrado Dollo Per l’inaugurazione del più antico museo catanese in attività, trofei, bandiere, tendaggi bianchi e rossi e un palco capace di 300 posti a sedere. Era il 30 luglio del 1858 e s'inaugurava l’Orto botanico dell’Università voluto da Tornabene Roccaforte, benedettino docente di botanica dell’Università di Catania e ampliato due anni dopo con un’area destinata alla coltivazione delle specie spontanee, grazie ad una donazione del catanese Mario Coltraro. Poi la città raggiunse così rapidamente l’impianto che non fu possibile alcun’altra espansione. Con ingresso gratuito su via Antonino Longo, sorge su un impianto che risale al 1788, e che ha mantenuto la sua struttura ottocentesca estesa per una superficie di circa mq 16.000. non suscettibili d'ampliamento. L’edificio porticato in stile neoclassico opera dell’architetto Distefano occupa il centro dell’area. L’Orto Generale di tredici piccole serre, una delle quali contiene le piante grasse della collezione del dr Gasperini; una serra caldo-umida per la riproduzione delle palme, una cinquantina di specie, e per la coltura di piante esotiche; tre vasche circolari per la coltivazione di piante acquatiche. Vi era anche una grande serra, detta Tepidario che fu demolita in seguito ai danni subiti durante l’ultimo conflitto mondiale. L’Orto Siculo di mq. 3.000 realizzato verso il 1887, ha esemplari provenienti da tutta l’Isola e specie esotiche da lungo tempo coltivate in Sicilia. Al centro dell’Orto botanico vi è un erbario con funzione di documentazione storica: vi sono custoditi, in ottanta armadi, complessivamente 150.000 fogli (la raccolta più antica è costituita da due volumi della fine del Seicento). Un’oasi nella città, ma anche metaforica nel contesto dei musei che percorrerà il Novecento con una storia travagliata e a volte dolorosa. Nella seduta del 17 settembre 1903, il vice presidente della Società di Storia Patria denunciava che non era stata ancora avviata alcuna pratica per la cessione del Castello Ursino dallo Stato al Comune di Catania e, agli inizi del successivo anno, la Società votava un ordine del giorno con il quale si sollecitava l’intervento dell'Amministrazione comunale per ottenerne la concessione. Il Soprintendente alle antichità della Sicilia, fece valere la sua autorevolezza nella questione proponendo che il Castello, opportunamente restaurato, fosse destinato a museo civico. 49 Il progetto di tale destinazione è documentato sin dal 1904, infatti una nota pubblicata dall’A.S.S.O. (Archivio Storico per la Sicilia Orientale) riferisce: “Sono iniziate le pratiche fra il Comune di Catania e il Governo per la retrocessione alla città del Castello Ursino, che s’intende restituirlo alla sua primitiva forma e farne un gran museo e un conservatorio di tutti i nostri archivi.” Così il castello avrebbe custodito due grandi raccolte formatesi nel Settecento. Quella dei Benedettini e quella del principe Biscari. Il Museo dei Benedettini, formatosi sotto l’impulso animatore di Vito Amico e Placido Scammacca, era pervenuto al Comune nel 1868, in seguito alla soppressione delle corporazioni religiose. Era composto di cinque spaziose stanze del monastero di San Nicola l’Arena, con gli oggetti suddivisi per argomento: archeologia, storia naturale, manufatti medievali, armi da fuoco, reperti etnografici, iscrizioni greche e latine, mosaici, cammei, collezione malacologica e mineralogica. Un museo ammirato solo da Byron e che il conte de Borch, nella sua visita del 1776 giudica abbastanza trascurato e senza granché di veramente pregevole, come farà nove anni dopo Münter e successivamente Goethe e gli altri illustri visitatori del Settecento e dell’Ottocento. Anche il conte Carlo Castone, sul finire del Settecento, trova il museo in gran disordine, coi vetri delle bacheche così sporchi da non potervi vedere attraverso. Fra i quadri non individua che pochi originali. Ritiene la miglior tela una Deposizione di Cristo che attribuisce a Caravaggio e che ritroviamo elencata, con la stessa attribuzione, in una guida di Catania del 1899. Ma anche alla vigilia del primo conflitto mondiale, non si poteva entrare nelle sale del museo senza provare una stretta al cuore: una gran confusione, così che la Facoltà di Lettere aveva chiesto al Comune l’autorizzazione alla gestione gratuita dell’istituzione: Ai quadri, pervenuti perlopiù da chiese catanesi, il Comune aggiungerà 123 opere che aveva ereditato nel 1826 da G. B. Finocchiaro e che aveva dovuto subito disperdere perché allora non si riuscì a trovare un edificio abbastanza grande da poterle contenere tutte. Infatti, a quell’epoca, gli uffici municipali erano solo al primo piano del palazzo comunale, perché l’ultimo piano era ancora incompleto e il piano terra ospitava, oltre che i vigili urbani, anche gli uffici postali e una scuola elementare. Quindi i dipinti che non trovarono posto al primo piano, forse a cominciare da quelli stimati di minor valore, finirono con l’essere trasferiti, negli anni, chissà dove. E così il museo dei Benedettini portava al Castello Ursino anche una pinacoteca che annoverava opere, tra le altre, di De Saliba, Novelli e Stomer, incrementata nel 1913 da alcune tele di Michele Rapisardi, donate dal fratello. Il Museo Biscari, invece fu aperto nel 1758 nel palazzo del principe alla marina. Un’iniziativa di stampo prettamente illuminista di Vincenzo Paternò Castello, che restituiva a Catania il ruolo di Atene Sicula. Brydon nel 1770 cominciò la visita alla città proprio con questo celeberrimo museo e ricorderà di non aver mai visto una raccolta d’antichità così grande. Al Münter la visita al museo provocherà stupore e commozione: Goethe ne rimarrà ammirato. Dodici sale, tre gallerie e tre atri con numerosi bronzi, grandi statue, busti ed iscrizioni greche e latine, grandi crateri greco-siculi istoriati e altri vasi di minor grandezza, statue fittili e raccolte mineralogiche, vulcanologiche, malacologiche, zoologiche e armi antiche e più di diecimila monete: quattrocento d’oro e la maggior parte d’argento. Carlo Castone, trattando del museo e del monetario scriverà. “Converrebbe tessere un grosso volume per descriverlo degnamente...vidi eziandio il copiosissimo medagliere e per ben tre ore feci passare in rivista le medaglie della Sicilia”. Ma già nel 1818 de Gourbillon trovò la raccolta in gran disordine e, meno di trent’anni dopo, la collezione delle monete non era più visibile e il museo inaccessibile al pubblico a causa della contestata proprietà. 50 Il Comune di Catania aveva fatto di tutto per rilevarne appunto la proprietà e infatti il secolo finisce con un contenzioso con gli eredi, a fasi e risultati alterni, che si conclude con la minaccia di una vendita all’asta che avrebbe disperso gli oggetti appartenenti al museo. Il Governo si offrì di finanziare il diritto di prelazione ma, dal 1927, seguendo l’esempio di Roberto Paternò Castello che donò la sua quota, i più cedettero anche la propria al Comune che poté così facilmente acquistare le rimanenti. Mancavano però l’armeria e il monetario, venduti dagli eredi già da qualche tempo. Intanto lo Stato italiano concedeva il Castello Ursino al Comune di Catania per la durata di ventinove anni, concessione rinnovabile, e quindi definitiva. Si cominciò ad occupare così l’edificio con le casse contenenti gli oggetti riscattati del museo Biscari e quelle del museo dei Benedettini. Occupazione strategica, vano dopo vano, riducendo così poco a poco gli spazi ancora occupati dai militari per indurli ad affrettare l’abbandono definitivo di quella che era stata la loro caserma: utilizzazione che risaliva addirittura al Settecento. Il trasloco si concluse nel luglio 1930, ma i lavori di restauro previsti, presto iniziati, restarono fermi per tre anni, a causa d’impedimenti burocratici e per “lassismo” dell’impresa appaltatrice. Ripresi il 21 novembre 1932 con cinquanta operai si chiusero il 18 ottobre 1934, cioè due giorni prima dell’inaugurazione, con un totale di spesa di seicentosessantasettemila lire. A lavori ultimati, nel piano terra erano stati sistemati i reperti archeologici con le statue classiche; nel piano superiore le pitture del Quattrocento e bronzi del Rinascimento; nelle sale del secondo piano le pitture cinquecentesche e seicentesche; nel gran salone e bel vano superiore le opere dell’Ottocento. Guido Libertini, direttore dell’istituto universitario di Archeologia oltre che primo direttore del museo, fu appassionato animatore dell’iniziativa che vedeva unificata la collezione del principe Biscari, della quale aveva pubblicato un monumentale catalogo, con quella dei Benedettini e dell’Antiquarium Comunale, nonché esauriente relatore della commissione, preposta ai lavori di restauro, che comprendeva anche Francesco Fichera, Sebastiano Agati, Giuseppe Mancini ed Ercole Fischetti. Il museo civico di Castello Ursino è così inaugurato nel piovoso 20 ottobre 1934 alle ore 15 e alla presenza di Vittorio Emanuele III: un ritorno a Catania dopo soli quattro anni per il sovrano che il 5 Maggio del 1930 aveva inaugurato il Museo Civico Belliniano. La modesta casa dove era nato Vincenzo Bellini, tre vani nel mezzanino del palazzo Gravina Cruyllas, diventava museo grazie anche ad una sottoscrizione promossa dalla stampa nazionale che ne consentì il riscatto e l’acquisto dell’arredamento museale, dopo il fallimento del campanilistico tentativo promosso da Giovanni Verga di circoscrivere l’iniziativa all’esclusiva sensibilità dei Catanesi. Effetto della passione che il gran compositore suscita ancora adesso nel mondo, non solo nei suoi ammiratori che oggi non fanno mai mancare un fiore sulla sua tomba, ma anche negli altri grandi musicisti tra i quali, oltre Wagner, si deve annoverare Chopin che, in punto di morte, chiese ed ottenne, anche se per soli ventisette anni, di essere seppellito accanto al Catanese. Quello spazio striminzito era già colmo d’ogni sorta d’oggetti gli si potessero riferire direttamente o anche indirettamente.