PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

I. PIAZZA DEI SIGNORI.

La piazza de i Signori della sua grandezza contenta ride d’ognintorno per si belle fabriche che vi sono di palazzi, di corridori, di statue, et ornata di tre logge coperte, porge comodità et rifugio alle persone di ricovrarsi a tetto quando piove et soffiano venti importuni…. 1

Il Palazzo della Provincia, nel corso dei secoli detto anche del Podestà o del Pretorio, occupa tutta l’area settentrionale di un intero isolato nel cuore della romana, delimitato dal decumano massimo, attuale corso S. Anastasia, dal secondo cardo destrato-citrato, attuale vicolo Cavalletto, dal I decumano, attuale via S. Maria Antica e dal I cardo destrato- citrato, attuale via Fogge (tav.1) . All’interno del tracciato di questo isolato sta anche parte di piazza dei Signori, che sorta durante il tardo medioevo, verso il XII sec., divenne gradualmente spazio di rappresentanza del potere civile. Attorno ad essa si raccolsero, tra Duecento e Trecento, le residenze dei Signori scaligeri (da cui il nome) cui si aggiunsero in epoca veneziana la Loggia del Consiglio e la facciata seicentesca del palazzo dei Giudici. La piazza e i suoi palazzi assunsero così ruolo istituzionale, atto a incutere riverenza e nel contempo ad irradiare valori e significati, luogo deputato del potere, testimone della potenza dei Signori, da vivi, ma anche da morti, dal momento che il loro cimitero, le Arche Scaligere, sta di fronte alle facciate dei loro palazzi. Accanto alla palazzo della Provincia, ci sono dunque altri edifici importanti, gravitanti attorno alla piazza, direttamente al servizio degli Scaligeri, delle loro famiglie e delle varie magistrature, così come poi lo saranno dei rappresentanti del governo della Serenissima, i Podestà, assumendo tra Trecento e Cinquecento, sempre più le sembianze della tipica piazza protorinascimentale di rappresentanza. Anche nell’Ottocento, in seguito alla caduta della Repubblica di Venezia, quando Verona passò in mano a i francesi e poi agli austriaci la piazza mantenne sempre le sue caratteristiche, così come avvenne in seguito all’unificazione italiana e al periodo fascista, pervenendo pressoché intatta fino ai giorni nostri, emblema dei fasti del passato.

1 VALERINI, A., 1586, p. 63. 1 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

II. LA CONTRADA DI S. MARIA ANTICA E I DELLA SCALA.

La contrada di S. Maria Antica è storicamente legata alla famiglia dei della Scala. Quest’area, anticamente chiamata guaita di S. Maria Antica, è oggi delimitata a est da corso S. Anastasia (il Cursus ), a ovest da via Cairoli, che la separava dalla guaita di San Salvar, a nord dalla vicolo Cavalletto ( via Communis ) e a sud dal lato orientale di piazza delle Erbe. I Signori di Verona, risedettero per lungo tempo in questo quartiere cittadino, che con il passare del tempo venne profondamente alterato dalla costruzione degli edifici e dei palazzi scaligeri (tav. 1-2) . Le indagini archeologiche condotte su parte del cortile del Tribunale tra il 1981 e il 1985 2 in occasione del restauro degli Uffici Giudiziari, hanno contribuito a fornire indicazioni certe e ad integrare e correggere le precedenti teorie, basate esclusivamente su fonti di tipo letterario. Dallo studio dei dati di scavo, delle fonti epigrafiche e letterarie, è emerso che la prima zona ad essere occupata dai della Scala fu proprio quella corrispondente all’odierno cortile del Tribunale, attualmente delimitato da via Arche Scaligere ad est, da via Cairoli a ovest, da vicolo Cavalletto a nord e da via Dante a sud (tav. 3) . La prima attestazione riguardante la presenza di membri della famiglia della Scala residenti in quest’area risale al 1245, anno in cui Ongarello II della Scala e i suoi fratelli Bonifacio e Aleardo vendettero per 100 lire a Bressanino dei Toli una proprietà con casa e corticella retrostante, che giaceva su piazza S. Maria Antica, da un lato confinante con la strada, da un altro con gli eredi di Facino de Boso, da un terzo con il pellicciaio Lanfranchino e da un quarto con la casa – torre di Bonaventura nipote del fu Enrico de Briccio 3. Anche aveva qui delle proprietà, che vennero cedute nel 1277 al fratello Alberto I della Scala. In alcuni documenti dell’ultimo quarto del XIII sec., si trovano numerosi accenni riguardanti la residenza di Alberto I della Scala (fondatore il 17 ottobre del 1277 della Signoria scaligera e signore cittadino dal 1277 al 1301), il quale ebbe il merito di dare un assetto a queste prime dimore. Dagli Statuti Albertini del 1276 si apprende che la casa di Alberto era collocata “ in strada que vadit ante domum domini Alberti a flumine Athacis usque ad viam capitelli ”. Dato che la “ via capitelli ”

2 HUDSON P., 1983-84-85. 3 ASVr, Esposti , perg. 354: “ super plateam Sancte Marie Antique de una parte via, de altera heredes Facini de Bosio, de tercia Lanfranchinus peliparius et de quarta casaturris Bonaventure nepoitis quondam dicti domini Endici de Briccio ” 2 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA corrisponde all’odierna via S. Maria Antica, essa era verosimilmente collocata lungo l’attuale via arche Scaligere. Due anni più tardi l’abitazione di Alberto I viene ancora definita domus 4, mentre nel 1285 un’indagine riguardante la campagna data in affitto dal comune di Verona agli abitanti di Villafranca e Valeggio sul Mincio, si tenne “ in palatio novo nobilis viri domini Alberti de la Scala. ”5 Nello stesso anno, un’aggiunta agli Statuti Albertini, che permise ad Alberto di costruire un edificio fortificato nell’area intorno al Palazzo del vecchio Comune (edificato tra il 1193 e il 1194), dove tali costruzioni erano proibite 6, suggerisce che la sua abitazione fosse stata ricostruita in forma di palazzo e presumibilmente allargata. Grazie alle disposizioni del 1285, Alberto I, ebbe il diritto di fortificare la propria abitazione e infatti, già nel 1293, abbiamo notizia dell’esistenza di una torre, 7 mentre un altro documento del 1298, estratto dal Syllabus Potestatum, 8ci informa di una seconda torre verso ponte Nuovo, portandoci a pensare che il palazzo fosse dotato di due torri difensive collocate lungo le strade pubbliche. Sappiamo anche che il palazzo, già dal 24 gennaio 1924, era dotato di un pozzo e di una porta ad esso contigua. 9 Una terza fase di espansione del palazzo è ascrivibile all’ultimo decennio del XIII sec. Nel 1295, infine, il carattere fortificato del palazzo venne accentuato dalla costruzione di un’altra torre “ super strata qua itur ad pontem novum et est super angulo palacii dicti domini Alberti ”. 10 Pertanto il complesso, nel suo ultimo arrangiamento, comprendeva almeno tre torri, due lungo le strade pubbliche citate nei documenti e la terza all’interno dell’area indagata dallo scavo. ( tav. 4) . Dopo la morte di Alberto I, avvenuta nel 1301, le fonti scritte relative ai successivi abitanti del suo palazzo, Bartolomeo e Alboino, forniscono pochi indizi per ipotizzare un’ulteriore estensione del complesso, che venne sicuramente riconfigurato e ampliato da Cansignorio (1364).

4 SANDRI, 1931, 18, n.5. 5 ASVr, Gazola , perg. non numerata, maggio 1285. 6 CAMPAGNOLA B., Liber iuris civilis urbis Verone , 1728, p. 43. Statuto Albertino , libro IV, pp. CLXVI, CLXVII, Statuto di Cangrande 1, IV, pp. CLI, CLII. 7 ASVr., Da Sacco , c. 15, m. 5, n. 4: “ via pubblica iuxta turrim palacii nobilis viri domini Alberti della Scala. ” 8 C. CIPOLLA, 1890, Antiche Cronache Veronesi. Syllabus Potestatum , p. 402: “ 1298 . Et turris similiter facta per nobilem virum dominum Albertum, quae est super strata qua itur ad pontem novum et est super angulo palacii dicti Domini Alberti ” 9 A.A.V., S. Maria in Organo . Istromenti. I. “ Verone ante portam nobilis viri domini Alberti della Scala apud puteum .” 10 v. nota 9. 3 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Si sa che i figli di Mastino I, dopo la morte del padre avvenuta nel 1277, abitarono nella residenza dello zio Alberto I, della quale erano forse comproprietari, 11 mentre quando il 3 settembre 1301 Alberto morì, proclamò eredi equaliter i suoi tre figli maschi, nominando il primogenito, Bartolomeo (1301-1304), già associatogli al potere nel Capitanato 12 fin dal 1299, tutore dei fratelli minori Alboino e Cangrande. Il palazzo prese il nome dal successore della Signoria, 13 ma, dal momento che egli visse solo fino al 7 marzo del 1304, il palazzo e la piazza vennero intitolati ad Alboino (1304-1311), il secondogenito. 14 Verso i primi anni del XIV sec. però, sembra che avvenne una divisione delle proprietà tra i figli di Alberto I 15 , e probabilmente, in questo periodo, anche Federico della Scala, figlio di Alberto Piccardo del ramo di Bocca, si staccò dai suoi parenti ed edificò il suo palazzo sul lato orientale di vicolo Cavalletto, a lato della chiesa, ora sconsacrata, di S. Maria in Chiavica 16 . Un documento del 1311 ci informa che il minore dei figli di Alberto I, Cangrande, viveva con il nipote Francesco, figlio del defunto Bartolomeo, in un nuovo palazzo 17 . E a quanto pare, lo stesso Francesco, costruì, qualche anno più tardi, una sua residenza, anch’essa nella contrada di S. Maria Antica (forse dove sorge oggi la Loggia del Consiglio) 18 , mentre Mastino II e Alberto II, figli di Alboino, anche dopo la morte del padre, continuarono a vivere nel palazzo paterno, verso il ponte Nuovo 19 .

11 A.A.V., S. Eufemia mon. 2 n. 87, 1278: “ in domo domini Alberti de la Scala et nepotum. ” 12 VERCI, Storia della Marca Trevigiana , IV, p. 140: “ et Barholomeus primogenitus penes eum Comuni set popoli veronensis Capitaneus generalis ”. 13 A.A.V ., S. Maria in Organo , 1302: “ in palatio Magnifici Domini Bartholomei della Scala” 14 A.A.V., Comune , 1305: “ Verone in palatio maiori domini Alboyni de la Scala Comunis et popoli Verone Dominus et Capitaneus generalis .” A.A.V., S. Zeno , 1II, f. 101 b., 1306: “ in curte Nob. Et Magnifici Viri domini Albini de la Scala Verone et popoli Capitaneus Generalis ” e ancora A.A.V., S. Spirito , 74 App. n. 73, 9 gennaio 1310: “ in cutivo palacii nobili set magnifici domini Alboini de la Scala ”. 15 FAINELLI V.,1917, Le condizioni economiche dei primi Signori Scaligeri . Atti dell’Accademia di Agricoltura, Scienze , Lettere di Verona, serie IV, Vol. XIX, p.15 e n. 2. 16 A.A.V.V., Comune, perg. 1316: “ in domo habitationis dni Friderici sita in guaita S. Marie Antique .” 17 A.A.V.V., Archivio Murari . Istromenti, I, 18 ottobre 1311: “ in guaita Sancte Marie Antique in palatio novo domini Canisgrandis de la Scala, in camera domini Francisci olim bone memorie domini Bartolomei de la Scala .” 18 A.A.V.V., Archivio Murari . Istromenti I, 10 febbraio 1316: “ in contrada Sancte Marie Antique, in Palatio habitationis Nob. Viri Domini Francisci q. bonememorie Domini Bartholomei de la Scala. ” 19 A.A.V.V., Esposti , 1286, 17 novembre 1312: “ in guaita S. Marie Antiquein camera inferiori habitacionis dominorum Alberti et Mastini fratrum filiorum condam bonememorie domini Albini de la Scala que est in curte nova, versus pontem novum ”. 4 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Durante la Signoria di Cangrande, dunque, gli Scaligeri avevano quattro dimore distinte, quella di Cangrande appunto, quella di Federico, di Francesco e il palazzo di Alberto I, probabilmente rimaneggiato e dotato di una nuova corte da Alboino e abitato dai figli Mastino II e Alberto II, tutte nella contrada di S. Maria Antica. In seguito, Francesco morì senza eredi nel 1325, nello stesso anno Federico della Scala, avendo tentato di impadronirsi del potere durante una grave malattia di Cangrande, venne arrestato, esiliato e i suoi beni furono confiscati. 20 Cosicché, spentosi improvvisamente nel 1329 anche Cangrande, tutte le proprietà ed i palazzi siti nella contrada di S. Maria Antica, confluirono nelle mani di Alberto II e di Mastino II, successivamente di Cangrande II e poi di Cansignorio, che riorganizzò, ampliò, fortificò e unificò con passaggi aerei tutti i possedimenti dei suoi predecessori. In sintesi, lo sviluppo dei palazzi scaligeri di S. Maria Antica, ebbe come maggiori protagonisti Alberto I della Scala e successivamente Cansignorio. Prima della signoria di Alberto le fonti scritte non sembrano attestare una radicata presenza scaligera. Precedentemente alla cessione da parte di Mastino I ad Alberto della proprietà che fu poi il nucleo del suo palazzo sappiamo soltanto della presenza di Ongarello II che nel 1245 vendette un terreno collocato nell’isolato. Mastino I poi nel 1277 cedette le sue proprietà ad Alberto, il quale, nell’arco di venticinque anni riuscì ad impadronirsi di circa un quarto dell’isolato. I dati raccolti nei recenti scavi hanno gettato nuova luce sulla natura di questa espansione, che ebbe il suo apice con l’edificazione del fastoso palazzo di Cansignorio, E’ necessario colmare però a colmare le lacune riguardanti da una parte le costruzioni qui eseguite tra la morte di Alberto e l’edificazione del palazzo di Cansignorio e dall’altra la costruzione del palazzo di Cangrande.

20 RR.II.SS., Cronicon veronese , c. 644. Si veda anche SIMEONI L., Federico della Scala, conte di Valpolicella , in A.I.V. 1903-1904.

5 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

III. IL PALAZZO DELLA PROVINCIA IN ETA’ SCALIGERA.

III.1. IL PALAZZO DI CANGRANDE I DELLA SCALA.

Mentre il cortile del Tribunale, nel corso degli anni ottanta, è stato oggetto di scavi e rilievi archeologici che hanno permesso di delineare lo sviluppo delle proprietà scaligere in quell’area (in particolare il palazzo di Alberto I e quello di Cansignorio), per ricostruire le fasi evolutive del Palazzo della Provincia, data la totale assenza di elementi topografici e di documentazione archeologica, si sono utilizzate esclusivamente fonti letterarie, via via prodotte nel corso dei secoli, a partire dalla dominazione scaligera, fino al XX sec. Un documento redatto il 18 ottobre del 1311 in contrada S. Maria Antica 21 , ci da le prime notizie relative al palazzo di Cangrande. Giulio Sancassani, 22 lo studioso che rinvenne questa importante testimonianza, sostiene con certezza che la data 1311, potrebbe corrispondere all’anno di conclusione dei lavori, che egli fa iniziare dopo il 1308, cioè quando Cangrande venne associato al potere del fratello Alboino. È sicuramente errata invece la data di fondazione proposta dagli storiografi veronesi della fine dell’Ottocento, che decisero di collocare sul palazzo una lapide, ora rimossa, che così recitava: “Mastino I della Scala eresse nel 1272 questo palazzo trasformato dalle succedute Signorie. Giotto e il veronese Altichieri qui dipinsero opere che perirono. Cangrande vi accolse che lo glorificò dedicandogli la terza delle eterne sue cantiche.” L’errore di datazione in cui caddero venne chiarito nel 1924 dal Da Re, 23 il quale spiega che motivo di confusione fu l’edificazione di un altro edificio pubblico collocato esattamente dall’atro lato della piazza rispetto al palazzo della Prefettura, la Domus Nova (oggi con facciata seicentesca), edificata nel 1273 per volere del Podestà Andalo de Andalo in seguito alla pace con Mantova del 1272.

21 ASVr, Murari della Corte , perg. 4: “ In guaita S. Marie Antique, in palacio novo domini Canisgrandis de la Scala, in camara domini Francisci olim bone memorie domini Bartholomei de la Scala. ” 22 SANCASSANI G., 1965, I maestri muratori Bartolomeo e Nascimbene e l’edilizia Scaligera da Alberto I a Cangrande I , in Annuario del Liceo Scipione Maffei di Verona dedicato al VII centenario della nascita di Dante. 23 DA RE G., 1924, Quando fu eretto il Palazzo della Prefettura di Verona? ,in A.A.VV., Miscellanea per le nozze Brenzoni-Giacometti , pp.17-19. 6 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Non si hanno sufficienti elementi per stabilire se il sedime del palazzo fosse occupato da qualche edificio prima della sua costruzione. Pare comunque accertato che pre-esistesse, almeno fino ad una certa altezza, la torre d’angolo tra via Arche Scaligere e vicolo Cavalletto, il cui nucleo inferiore fino al poggiolo del secondo piano risalirebbe, secondo Antonio Avena, al XIII sec. e segnerebbe “gli inizi della difficile ascesa scaligera ”, mentre invece le grandi finestre degli altri piani e del corpo aggiunto “ suscitano il ricordo del fastoso Cangrande .” 24 Durante i lavori degli anni 1927-1930 si constatò che verso piazza dei Signori, allora non ancora completamente costituitasi, c’erano una serie di costruzioni. Il direttore artistico dei lavori, Antonio Avena, così scriveva nella sua relazione: “ il palazzo di Cangrande aveva la fronte sulle Arche con un breve fianco di dodici metri su piazza dei Signori. Uno stretto vicolo lo separava da una vecchia casa con una loggia terrena che assai presto divenne proprietà scaligera e fu incorporata col palazzo; e a sua volta la loggia era poi divisa per un vicolo da un’altra casa. Abbiamo ritrovato le finestre di queste due casette; guardavano sopra i vicoli, e con la piccolezza e la forma ora rettangolare ora a feritoia, ci suggeriscono ancora la visione di un borgo medievale di povere catapecchie, annidate presso le torri. E portano tracce d’incendio .” 25 Poi continua: “ quando queste casette siano state fuse col palazzo di Cangrande, non ci è risultato né dai documenti né dai lavori: probabilmente durante la stessa dominazione scaligera, come appare dalle analogie dei grandi finestroni che al secondo piano si spingono fino ad occupare anche l’area che un tempo era pubblica strada. Forse Cansignorio, l’organizzatore dei palazzi scaligeri, saldò anche questa compagine fino a corso S. Anastasia .” 26 Il palazzo infatti aveva il fronte principale e l’ingresso su via Arche Scaligere e due corpi laterali o ali, si allungavano su via Cavalletto da una parte e per 12 m. sulla piazza, dall’altra. Un vicolo separava l’ala del palazzo sulla piazza da un edificio romanico con loggia terrena, di fronte al quale stava, separato da un vicolo, un’altra costruzione (tav. 5) , che potrebbe corrispondere al palazzo di Francesco della Scala, figlio di Bartolomeo Avena sostiene inoltre di aver rinvenuto alcune finestre rettangolari e a feritoia appartenenti a questi edifici, che dice furono inglobati in un periodo imprecisato, all’interno del palazzo, forse già da Cangrande o nel momento in cui Canignorio decise di edificare la loggia terminante su Corso S. Anastasia.

24 AVENA A., 1931, p. 39. 25 AVENA A., 1931, p. 141. 26 Ibidem . 7 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Pertanto si tende a pensare che la pianta originaria fosse a ferro di cavallo, con il fronte principale rivolto su S. Maria Antica, e i due lati minori prospettanti su vicolo Cavalletto e sulla piazza, come teorizzato dall’Avena. Oltre l’ingresso, si trovava un atrio, chiamato anche “Loggia delle Colonne”, che venne alla luce dopo i lavori di restauro degli anni Trenta. Infatti, nel corso del XVIII sec., il portale del Sanmicheli divenne l’ingresso principale del palazzo, mentre il portale su via Arche Scaligere venne murato e l’atrio occupato “ con vari uffici, intersecando con muri gli spazi, rompendo le stesse arcate, e persino togliendo di sotto alle spalle d’imposta le colonne e i pilastri. ”27 Antonio Avena, descrive entusiasticamente tale atrio come “ veramente ospitale per grandiosità, quanto suggestivo per intersecazioni di linee e d’ombre; ha il mistero delle cripte e il lusso coloristico dei colonnati arabi ” ( tav. 7-8) . Ci spiega poi che per ricomporre questo spazio “ fu ribassato il livello del suolo, fu rinforzata con un sottarco la saldezza degli archi, fu rivivificata e compiuta la decorazione. Il soffitto è a travetti su modiglioncini e mostra una decorazione cinquecentesca; ma sotto di essa spia vivacissima la decorazione trecentesca. Così sulle pareti, vi sono due strati decorativi: il più antico a libere volute con fiorami vivaci, il secondo a riquadri d’intonazione dorata. Ma il senso originario del colore di questo atrio ci è suggerito in modo particolare dal capitello mediano che la pietra tutta decorata in bianco , rosso e verde .” 28 Nonostante si avanzi sul terreno delle supposizioni, sembra che debba “ appartenere alla prima redazione del palazzo di Cansignorio una grande loggia che ne decorava il cortile interno, di fronte all’antico vicolo che metteva tale cortile direttamente in comunicazione con piazza dei Signori (ove adesso è l’androne del portone sanmicheliano). In data ancor recente infatti, all’interno degli uffici della provincia, nell’edificio prospiciente vicolo Cavalletto e nella sua porzione riferita al primo cortile, sono venuti alla luce, al secondo piano, nella stessa muratura che divide il corridoio centrale dagli uffici affacciati al cortile, resti di grandi archi che potrebbero appartenere ad una loggia dei tempi di Cangrande (tav. 9) , murata quando poi si costruì quella di Canignorio. Tale loggia si sarebbe sviluppata su tutto il fronte del cortile interno, in posizione ovviamente più arretrata rispetto all’attuale prospetto, partendo dalla torre d’angolo e giungendo fino all’altezza del secondo cortile, laddove quest’ala del palazzo piega ad angolo retto, restringendosi notevolmente in spessore. La qualificazione dell’area annessa al palazzo verso il corso è senza alcun dubbio più tarda perché legata alla costruzione della loggia di Cansignorio, ma niente

27 AVENA A., 1931, p. 51. 28 Ibidem . 8 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA impedisce che qui, già ai tempi di Cangrande, potessero essere state costruite o riutilizzate, al servizio della sua reggia, casupole barchesse, portici e stalle. ”29 Esisteva effettivamente su via Cavalletto una loggia dei tempi di Cangrande murata successivamente da Cansignorio? Potrebbe l’edificio romanico con loggia su piazza dei Signori essere stata già assorbita nel palazzo ai tempi di Cangrande andando a costituire un’altra ala con loggia frontale a quella su via Cavalletto? Purtroppo in assenza di dati topografici “ le ipotesi sin qui avanzate circa la sistemazione di quest’area all’epoca di Cangrande, restano per il momento soltanto tali, almeno sino a nuovi possibili lumi archivistici, peraltro al momento rivelatisi assai scarsi.. ”30

III. 2. OSPITI ILLUSTRI E FESTE PRESSO LA CORTE DI CANGRANDE I DELLA SCALA.

Sappiamo per certo che questo palazzo suscitava lo stupore di chi lo visitava, che si trattasse di personaggi di rango ed ambasciatori, o di poeti, rifugiati politici, giullari o uomini semplici, così come fu sommamente celebrata la magnificenza e la generosità del suo proprietario, Cangrande I della Scala (tav. 10) , osannato e ricordato anche da molti uomini di intelletto e di cultura, tra cui lo stesso Dante Alighieri. Quando il signore dava una festa, la maggior parte degli invitati sedeva alle mense approntate nelle logge e nei porticati a seconda del rango e, mentre egli banchettava nella sala maggiore con gli intimi e gli ospiti di riguardo, lo rallegravano giocolieri, buffoni e suonatori. Si mangiava sempre a sazietà e si beveao il leggero vino delle colline veronesi o il profumato rosso della Valpolicella, fermentato nelle cantine degli Scaligeri. Per tutti era sempre imbandita la mensa dei Signore di Verona , specialmente quando non era impegnato in imprese belliche o a caccia, o in riunioni di consiglio Alcune stanze della residenza di Cangrande erano addirittura affrescate con simboli adeguati alle qualifiche dei singoli ospiti: i guerrieri erano alloggiati in stanze con scene di trionfi bellici, gli esuli erano confortati dal simbolo della Speranza, i poeti dalle Muse, i predicatori dalla raffigurazione del Paradiso, gli artisti e i mercanti dall’immagine di Mercurio.. Nei suoi Elogia , Paolo Giovio,

29 BRUGNOLI, P., 2001, p. 42. 30 Ibidem. 9 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA basandosi su una relazione di Sagacio Gazata di Reggio scrive “ che la corte di Cane fu liberale e illustre ricetto a tutti i forestieri uomini d’ingegno e a coloro specialmente i quali, cacciati da casa loro, erano travagliati dalla nemica fortuna: e ciò tra gli altri mette Gazadio da Reggio, il quale si come quelli che era il suo famigliare, tanto distintamente descrisse i modi di tutta la disciplina ospitale, le spese e gli ornamenti ordinati e diverse camere e sale, che particolarmente raccontò l’abito dei dispensatori, gli uffici di diversi ministri, i titoli posti a ciascuna porta, e l’imprese dell’una e dell’altra fortuna, figurate in razzi e pitture (“titulosque singulis iuanis praescriptos et argumenta utriusque fortunae,auleis et picturis espressa”). Percioché in diverse parti del palazzo con disegual condizione alloggiavano i forestieri secondo che venivano, talché i magnanimi e i vincitori erano assegnati a’ trionfi; i fuoriusciti alla buona speranza; gli scacciati alla sicura confidenza; i poeti all’ombre delle muse; gli artefici eccellenti a Mercurio; i predicatori sacri al paradiso terrestre .” 31 Il Marchi nel 1988 commenta così questo passo: “ e dunque tra i magnalia e i beneficia, tra le magnificenze di Cangrande cantate da Dante, andrà annoverata anche la cortesia di aver pensato ad allestire stanze con iscrizioni e ornamenti (pitture o arazzi) che si adattassero alle varie condizioni degli ospiti ”. Il passo del Giovio prosegue narrando altri aspetti della vita di corte presso il palazzo scaligero: “ Oltre l’armonia della musica piacevole ancora giocolatori, e dolci e non goffi buffoni scambiandosi a vicenda, visitavano quegli alloggiamenti. Et egli ancor talora quei che voleva mettere alle mani, fattane una grave e piacevole scelta, soleva tenere sulla tavola, fra quali v’era spesse volte Dante fuoruscito piuttosto meraviglioso che piacevole per la libertà del suo dotto, ma troppo pungente parlare (“Danthes exul, eruditi quidam, sed nimis aculeati sermonis libertate admirabilis potius quam jucundus”) e Uguccion della Faggiuola precipitato di si gran fortuna di principato […]. Soleva dir Cane, che in questa vita non v’è cosa più nobile né più felice, che con animo invitto opporsi alla sua e parimenti alla altrui fortuna, e con perpetue opere di cortesia e di liberalità avere acquistato fama di valore. ” Il giudeo Emanuele Romano, nel suo Bisbidis , scrive anche del palazzo di Cangrande: “ Baroni e Marchesi, di tutti i paesi, gentili e cortesi, qui veddi arrivare. Quivi astrologia, con filosofia, e di teologia, udrai disputare. Quivi Tedeschi, Latini e Francesi, Fiammenghi e Ingleseschi, insieme parlare; e fanno un trombombe, che par che rimbombe, a guisa di trombe, che pian vol sonare. Chitarre e liuti, viole e flauti, voci alt’ed acute, qui so’odon cantare. Statutù ifiù, statutù ifiù, statutù

31 MARCHI, G.P., 1988, p. 485. 10 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA ifiù, tamburar, suffolare. Qui boni cantori, con intonatori, e qui trovatori, udrai concordare. Qui si ritrova, mangiatori a prova, che par cosa nova, a vederli golare ”. 32 Ma la cortesia di Cangrande è ricordata anche da Petarca 33 il quale ci informa che “ apud Canem magnum veronensum, comune tunc afflictorum solamen et refugium…erant histriones ac nebulones omins generis ”34 , mentre il Boccaccio, che, pare, mai visitò Verona e mai conobbe personalmente il Signore Scaligero, nella settima novella della prima giornata del Decameron , parla di Cangrande come “ uno de’ più notabili e de’ più magnifici signori che dallo imperatore Federico II in qua si sapesse in Italia. ”35 Il Vasari racconta che anche Giotto era un frequentatore del palazzo scaligero e che “a messer Cane fece nel suo palazzo alcune pitture e particolarmente il ritratto di quel Signore.” 36

Ma l’ospite più importante e più famoso del palazzo, fu senza dubbio Dante Alighieri, che soggiornò a Verona in due occasioni. Su Dante e Verona è stato scritto molto, ed è risaputo che fu Cacciaguida, bisavolo di Dante, ad annunciare al lontano nipote, nel canto XVII del Paradiso, che dopo la dolorosa cacciata dalla città natale, sarebbe stato ospitato sulle rive dell’Adige da Cangrande della Scala, di cui sarebbe diventato amico e alleato politico.

“ lo tuo primo rifugio, il primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che n’su la scala porta il santo uccello / ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo / Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l'opere sue. / Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte/ ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d'argento né d'affanni / Le sue magnificenze conosciute

32 MARCHI, G.P., 1988, pp. 494-495. 33 AVESANI, R., 1988, pp. 505-507. Petrarca giunse per la prima volta a Verona, la prima nel 1345 in fuga da Parma, per poi ritornarvi a più riprese. Dunque non conobbe mai di persona Cangrande I, ma i suoi successori. Il suo giudizio, nonostante il passo riportato nel testo, non sembra essere stato dei più lusinghieri, anzi, il Petrarca mai ebbe, né sollecitò il patronato degli Scaligeri. È però accertato che frequentò spesso la loro corte e di conseguenza le loro residenze. 34 PETRARCA, F., Rerum mem ., II, 83-84 e III, 97. 35 BERTOLINI, V., 1988, pp. 511-513. La novella racconta di un tale Bergamino che alla fine di una “notabile e meravigliosa festa” indetta a Verona da Cangrande I della Scala, non riceve alcun dono di commiato, contrariamente a quanto era sempre avvenuto in precedenza e a quanto era toccato, anche in quell’occasione agli altri convitati. Bergamino allora narra a Cangrande l’analoga sorte capitata ad un noto compositore di versi latino presso l’abate di Cluny. Lo Scaligero, “ il quale intendente signore era […] ottimamente intese ciò che dir volea Bergamino ” e sorridendo lo congedò donandogli vesti nuove, denari e un cavallo. Il Bocaccio commentando l’avarizia di Cangrande in questo frangente, la definisce come “ nova ” cioè inusitata, strana. La conclusione positiva della novella conferma ulteriormente la generosità del Signore. 36 VASARI, 1568, I, p. 373. 11 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute / A lui t'aspetta e a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici.”

La prima permanenza di Dante a Verona risale al 1304, quando la città era governata da Bartolomeo I della Scala. Egli risiedeva nel grande palazzo turrito eretto dal padre Alberto I della Scala nelle immediate vicinanze della chiesa di S. Maria Antica, e con lui i due fratelli Alboino e Can Francesco, detto fin da allora Cangrande per la statura, e poi per le imprese. Durante questa prima permanenza Dante pose mano e forse ultimò il Convivio (1304) e l’anno seguente preparò il De vulgari eloquentia (1305). Il secondo soggiorno durò sei anni (dal 1312 al 1318), durante i quali il legame con la città si fece sempre più stretto, anche perché il figlio Pietro viveva da qualche anno a Verona, in prossimità di S. Anastasia. In questo periodo di tempo Dante vide in Cangrande l’incarnazione del proprio sogno politico di unità della penisola sotto un’unica corona, e tra i due nacque anche una sincera amicizia, che portò l’esule fiorentino a risiedere a più riprese, come amico e come consigliere, nel fastoso palazzo e a godere della proverbiale ospitalità di messer Cane di Verona , il “gran Lombardo” che aggiunse al simbolo della scala l’aquila imperiale. Furono quelli gli anni che videro la stesura finale della Divina Commedia e la pubblicazione dei canti dell’ Inferno e del . Il Paradiso , completato, venne posto nelle mani di Cangrande.

III. 3. LA LOGGIA DI CANSIGNORIO.

Cansignorio della Scala (1359-1375) è generalmente riconosciuto come il riorganizzatore dei palazzi scaligeri. 37 Questa opinione è confermata anche dal Cronicon veronese dell’anno 1364, nel quale si legge: “Dominus Cansignorius fecit fieri et aedificari Broilum et Revoltum et plura palatia cum cameris et

37 Nel suo progetto di riconfigurazione delle dimore scaligere, Cansignorio decise di collegarle le une alle altre, con un ponticello ligneo, chiamato appunto pontesèl . In questo modo si otteneva un doppio risultato: da una parte, rispondendo sicuramente ad esigenze di sicurezza, l’area in questione diventava una sorta di enorme fortezza, con le residenze collegate tra loro. Dall’altra permetteva a lui e alla sua corte di spostarsi a piacere da un palazzo all’atro senza dare nell’occhio . 12 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA ornamentis. ” 38 e dalla Cronica della città di Verona dello Zagata, edita dal Biancolini: “ L’anno 1364 el prefeto misser Can Signorio fè edificare il Brolo e rivolti, e Palazzi e Camere e altri ornamenti come sta al presente in li soi Palazzi de Corte .” Egli infatti, oltre ad aver portato a compimento nel 1364 la costruzione del castello di San Martino in Aquàro (o Castelvecchio), si impegnò nell’edificazione di un’imponente complesso che chiuse il lato occidentale del palazzo di Alberto I (poi detto appunto di Cansignorio), con tre robuste torri e una loggia sopra un ampio porticato. Edificò poi nel palazzo di Cangrande, un secondo porticato con loggia soprastante, probabilmente utilizzata per i ricevimenti ufficiali, che correva lungo tutto il fianco occidentale del brolo e che dal palazzo si estendeva fino a Corso S. Anastasia (tav. 11) . Il palazzo andava ad assumere così una nuova configurazione. Ai tempi di Cangrande I, infatti, esso presentava il fronte principale e l’ingresso, con relativo atrio o “loggia delle colonne”, su via Arche Scaligere, mentre a partire dalla torre angolare, si snodava lungo parte di vicolo Cavalletto, un corpo di fabbrica, forse loggiato, di cui sono state rinvenute recentemente le arcature murate. Infine, sul lato opposto, si affacciava sulla piazza per una lunghezza di circa 12 m. una fabbrica ad ala, che in un momento indeterminato (forse già durante la signoria di Cangrande o forse durante quella di Cansignorio) andò a saldarsi con l’edificio con loggia terrena descritto dall’Avena. Con Cansignorio il lato sulla piazza, e solo quello, venne notevolmente prolungato con la costruzione della sopra citata loggia, detta appunto di Cansignorio, che aumentò notevolmente l’estensione perimetrale del palazzo, che ora arrivava a lambire il tracciato di Corso S. Anastasia. Il Mellini, verso la metà del Novecento descrisse la loggia in questi termini: “ scatola muraria rettangolare di mattoni fugati, bucata sotto da volti, sopra da finestre ogivali; colonne, pilastri e capitelli, una modanatura che corre lungo tutto il davanzale massiccio, sono in rosso Verona. Il tetto in legno spiove sostenuto dalle estremità sagomate dei travi e sottolinea la stereometria della fabbrica che sporge dal vecchio allineamento con lo spessore del fianco e ha una veduta necessitata per angoli. A terra si apriva una piazza coperta, di sopra la sala grande sul giardino; tondini di cristallo piombati dovevano diaframmare la luce delle pitture. I vasi avevano la pianta totale. Una fabbrica indubbiamente di gusto assai raffinato e senza paragone .” 39 (Tav. 12-13)

38 R.I.S., Cronicum veronense , VIII, c. 658. 39 MELLINI G.P., 1959, p. 332. 13 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

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Interessane infine è poi la descrizioni delle condizioni del solaio e del soffitto: “ diligenti ricognizioni effettuate nell’attuale solaio della fabbrica hanno potato alla riscoperta del soffitto originario a capriate intatto, posante su eleganti mensole di rosso di Verona a foglie d’acqua. Prima dell’attuale ripartizione, ne era stata fatta un’altra che divideva l’unica sala in due stanze. In alto all’altezza delle mensole, gira ancora tutto intorno il bordo dell’arriccio originale, listato da due strisce di cinabro e più a basso bianco, graffiato a losanghe. I un punto lungo la parete maggiore, sembra sovrapporsi intatto l’intonaco dell’affresco; in alto, dove sono tracce di ridipintura a secco, raffigurante una cornice aggettante a tre gradi; in basso, dove è stato picchiettato, conserva tracce vistose di ocra, cinabro e terra verde e sembra un fondale di paesaggio. Vi si sovrappongono almeno tre strati di intonaco; il penultimo con tracce di pittura quadraturistica, risale alla fine del Seicento. Sempre nel solaio, di fronte a questo punto, intorno alle finestre, sono ben visibili tracce della antica decorazione a fresco .”

III. 4. LA “SALA GRANDE”.

Le prime notizie riguardanti decorazioni di pregio all’interno della Sala Grande, risalgono al 1477. Ne parla Francesco Corna, nel suo Fioretto de le antiche cronache di Verona : “ Tra quei palaci (scaligeri), e circa da ogni mano,/ altre loge de grande fature;/ tra l’altre vi è una sala per certano/ tutta dipinta con magne figure/ con le historie de Tito Vespasiano./ Et è si ricca d’oro e de pentire, / con le figure tanto naturale/ che tutta Italia non ha un’altra tale ”. A testimonianza dello splendore della sala e delle sue decorazioni Marin Snudo, nel 1483, nel suo Itinerario per Terraferma Veneta scrisse anche, dopo averlo visitato, del “ Palazzo del Podestà con la salla pynta excellente” .

Verso la metà del novecento, il Mellini, 40 storico veronese, intuì che la Loggia di Cansignorio avrebbe potuto ospitare la “Sala Grande”, già nota dagli anni Trenta con il titolo di Loggia Barbara, titolo “ datole da Sandri perché su un capitello, ad evidentiam sostituito, porta accanto a quello di un Venier, lo stemma di Zaccaria Barbaro .” 41

40 Ibidem . 41 MELLINI, G.L., 1965, p. 315. 14 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

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E sempre a Mellini si deve il collegamento tra questa Sala Grande e quella decorata dall’Altichiero, descritta a più riprese dal Vasari. Nel 1550 egli infatti scrisse che “ in Verona fiorì la pittura per lungo tempo; […] come ancora possono fare chiara fede nel tempo de’ Signori della Scala, le bellissime pitture fatte da Aldighieri da Zevio pittor molto pratico, et espedito; di mano del quale si vede ancora la sala del Palazzo del Podestà, dipinta con fierezza grandissima. ”42 nelle Vite, nel 1568, aggiunse poi che “ fu nella medesima città di Verona Aldigeri da Zevio famigliarissimo dei signori della Scala, il quale dipinse, oltre a molte altre opere, la sala grande del palazzo loro, nella quale oggi abita il Podestà, facendovi la guerra di Gerusalemme, secondo che è scritta da Iosafo. Nella quale opera mostrò Aldigeri grande animo e giudizio, spartendo nelle facce di quella sala, da ogni banda, una storia con un ornamento solo, che la ricigne attorno; nel quale ornamento posa dalla parte di sopra, quasi per fine, un partimento di medaglie, nelle quali si crede che siano ritratti di naturale molti uomini segnalati di que’ tempi et in particolare molti di que’ signori della Scala, ma perché non se ne sa il vero, non dirò altro. Dirò bene che Aldigeri mostrò in questa opera d’avere ingegno, giudizio et invenzione, avendo considerato tutte le cose che si possono in una guerra d’importanza considerare. Oltre ciò il colorito si è molto ben mantenuto, e fra molti ritratti di grandi uomini e litterati, vi si riconosce quello di Messer Francesco Petrarca .” 43 Il Vasari parla di numerose opere realizzate nel palazzo dall’Altichiero, sottolineando tra queste per bellezza, raffinatezza e cura dei particolari, la Guerra di Gerusalemme secondo Giuseppe Flavio , purtroppo andata perduta, forse nel corso dei successivi interventi che interessarono la loggia. 44 La sala era poi impreziosita da una cornice all’interno della quale erano inseriti una serie di medaglioni, raffiguranti uomini illustri di quei tempi e alcuni Signori scaligeri. Si decise di dipingere La Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio dal momento che era un’opera assai letta nel medioevo, in latino, in volgare, in inglese, francese, italiano e tedesco, e questa popolarità dipendeva in larga parte dallo spirito cavalleresco diffusosi in occidente con le crociate e le peregrinazioni in Terra Santa. La decorazione a cornice che correva sopra La Guerra Giudaica , cioè il patimento di medaglie, ritraeva i busti di Signori scaligeri e di personaggi illustri dell’epoca, tra cui anche Petrarca, nonostante non sia chiaro dove esattamente quest’ultimo fosse collocato. La descrizione vasariana

42 MELLINI, G.L., 1965, pp. 317-318. 43 VASARI, 1568, II, p.554. 44 DAL POZZO, G., 1718. Il dal Pozzo, tornato a verificare la notizia vasariana, notò laconicamente nelle sue Vite , che “ di queste pitture hoggi per l’alteratione delle fabbriche non se ne vede vestigio alcuno .” 15 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA riguardante i ritratti inseriti in medaglioni, troverebbe comunque conferma nei venti Epigrammata di Antonio da Legnago, che Rino Avesani 45 ritiene composti tra il 1375 e il 1381, relativi a 19 personaggi vivi o scomparsi nella prima metà del XIV sec. e che suggeriscono di essere stati ideati per occupare degli spazi parietali. Ma decorazioni ad affresco raffiguranti busti, erano presenti anche nei sottarchi della loggia, dove sono stati rinvenuti ritratti di Cesari (tav. 13) . Il Mellini li attribuisce ai pittori Altichiero e a Jacopo Avanzi e li descrive cosi: “ una elegante trama di giallo di Torri, dalle nervature intrecciate a catena dispari, rilevate allusivamente dalla luce radente, con campionature d’azzurro d’Alemagna, inquadra araldicamente negli occhi qudrilobi busti di Cesari di profilo in grisaille su fondo terrad’ombra, in alterna impaginatura. Intorno ad ogni testa ispirata a medaglie imperiali, gira per tre lati un’epigrafe che conferma la grande tradizione calligrafica veronese.” Da sinistra a destra, l’ordine e l’iconografia dei ritratti integri, anche solo in parte, è la seguente: secondo sottarco: 1. Adriano, 2. Antonio, 4. Sabina Augusta (tav. 14) . quarto sottarco: 1. Faustina Seniore (tav. 15) ., 4. Massimino. quinto sottarco: 1. Gordiano, 4. Clodio Balbino Augusto (tav. 16) . sesto sottarco: 2. Tullio Filippo. nono sottarco: 4. Caro Invitto.

I fregi della prima, terza, settima, ottava finestra e quelli della decima e undicesima, sono molto rovinati, in gran parte rifatti a secco o a olio, mentre gli elementi epigrafici di alcuni medaglioni conservati sono stati ridipinti con sostanze che hanno intaccato l’intonaco, sgretolandolo intorno alle teste. Tali danneggiamenti occorsero in seguito agli interventi di fine Ottocento (di cui parlerò in seguito), condotti sulla loggia di Cansignorio, nel corso dei quali il pittore Pietro Nanin completò “tutta la parte ornamentale ed omettendo qualsiasi aggiunta alle parti di figure guaste, e dove queste manchino del tutto sostituendo unicamente le tinte di fondo. ” 46 Mellini proseguiva poi dicendo che “ questo (i medaglioni nei sottarchi) è l’esempio più antico di medaglioni imperiali finora attestato nell’età di mezzo e anticipa le medaglie dei , tenute fino ad oggi l’esempio più antico di questa forma di gusto aulico preumanistico. […] questo genere

45 AVESANI, R., 1988. 46 BRUGNOLI, P., 2001, p. 58. 16 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA trova forse a Verona, ricchissima di memorie romane e dalla grande tradizione storico. Politica, rinnovata da Can Grande col Vicariato dell’Impero, i suoi incunabuli. Gli esempi più remoti sono rappresentati infatti sempre a Verona dai sigilli di Berengario.” 47 I pregevoli affreschi rinvenuti nei sottarchi, vennero staccati e restaurati nel 1967 e sono ora collocati e visitabili presso il Museo Cavalcaselle di Verona. Riguardo le condizioni in cui versavano, le tecniche utilizzate per il restauro e altri dettagli interessanti, riporto di seguito un passo di Maria Teresa Cuppini 48 : “ nella documentazione presentata dal Mellini le immagini appaiono leggibili, nonostante le numerose ridipinture (assegnate dallo studioso a restauri secenteschi, ma in realtà databili all’ultimo intervento sul complesso del Palazzo della Provincia, come dimostravano la grana delle malte aggiunte e la tecnica di esecuzione dei rifacimenti), i fondi rifatti in un azzurro volgare che intendeva riprodurre il blu lapislazzuli caduto, il desquamarsi e lo sfarinarsi della pellicola del colore, l’annerimento del grassaggio di tutta la superficie. I guasti manifestavano in misura imponente le conseguenze sulle pitture della esposizione all’arai, tanto più tossica da quando il cortile, sul quale guarda la loggia, è un parcheggio frequentatissimo. L’andamento delle ustioni (da cui l’eruzione dell’intonaco in bolle friabili presto tradotte in lacune della pittura) lungo la superficie curva dei sottarchi segna i punti di maggiore attacco dei gas. Il salvataggio non poteva prescindere il distacco degli affreschi dai supporti irrimediabilmente infetti, dal trasporto su nuovi supporti e dal ricovero delle pitture in locali sani e protetti. L’operazione, che sarà completata con il recupero dei cimeli del fregio, venuto a trovarsi, in seguito alla ristrutturazione della loggia, nel sottotetto, fu laboriosa e complessa: non potendosi procedere allo grassaggio senza avere arrestato le emorragie della malta pulverulenta attraverso gli innumerevoli crateri della superficie aver fissato il colore, privo, ormai, di coesione con l’intonaco. Il grassaggio effettuato per sollevare il “tono” delle immagini era col tempo degenerato in una sorta di patina fumosa, dietro la quale i guasti, i rifacimenti e la pittura autentica assumevano un aspetto assai simile. Tanto più lodevole pertanto, il recupero critico attuato dal Mellini, il quale seppe anzitutto vedere un monumento che era sfuggito anche ai più acuti studiosi del Trecento veronese, e che era praticamente invisibile; quindi intenderne la qualità insultata e identificarne , infine, l’autore .” E ancora: “ i l distacco egli affreschi ha portato al ritrovamento di disegni, schizzi (tav. 18-19) , appunti, uno solo dei quali in relazione coi profili dei Cesari. Prima di scalfire l’arriccio, Altichiero

47 MELLINI, G.L., 1965, pp. 317-318. 48 CUPPINI, M.T., 1970, p. 68. 17 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA usava l’invitante superficie come un foglio bianco e vi annotava le sue invenzioni. Nelle mani dell’artista, il pennello, intinto in un colore bruno seppia, fa miracoli, ottenendo dalla diversa pressione e frequenza dei segni, effetti non inferiori a quelli delle pitture finite. Si vedano la testa del cavallo, il profilo di un imperatore della decadenza, sorta di Trimalcione incoronato, o il soldato o la donna, o la chiesa col tetto carenato. Da questi appunti si ricava che il pittore, nei disegni, è francamente realistico. Procedendo nell’esecuzione fino al compimento del suo lavoro, l’oggetto della rappresentazione. Anche in questi disegni, allorché vuole rendere un’idea compiuta della figura, Altichiero non delinea più il contorno, ma parte già con tratteggio lievissimo e vibrante. Non sarebbe necessario il tocco di rosso sulle labbra della bella testa femminile, per farne risaltare il colore: infatti l’ombra, passando per mezzo dello sfumato a una tenera luminosità, crea una suggestione di tenue policromie . “

18 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

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IV. IL PALAZZO IN EPOCA VENEZIANA

IV. 1. IL QUATTROCENTO.

Caduta la Signoria scaligera nel 1387, Visconti dapprima (1387-1404) e Carraresi poi (1404-1405) presero possesso della città e utilizzarono i palazzi di piazza dei Signori per dare una dimora ai governatori e ai relativi uffici. In questi anni il palazzo non subì trasformazioni a livello strutturale. L’unica variazione sembra riguardare il nome che in età viscontea cambiò in Palazzo dei Consiglieri. Il 24 giugno 1405 i cittadini veronesi, malcontenti sia della dominazione viscontea che di quella carrarese, inviarono una delegazione composta da quaranta prestigiosi personaggi cittadini a Venezia, affinché consegnassero al Doge le insegne della città e giurassero fedeltà alla repubblica veneta. Il procuratore veneziano Gabriele Emo ebbe in consegna le chiavi e il sigillo della città, mentre gli stendardi del comune vennero posti in piazza San Marco dal Doge Michele Steno. A Verona, nel frattempo, il carroccio fu fatto sfilare trionfalmente per le vie della città, con issato il vessillo della repubblica veneta. Verona sanciva la propria Deditio alla Repubblica di Venezia e il 16 luglio i privilegi della città furono stabiliti da una bolla d'oro e da quel momento, fino alla fine del XVIII sec. la città venne retta da due veneti: il podestà e il capitano. Il primo, con poteri civili, si insediò nel nostro palazzo che da questo momento viene chiamato palazzo del Podestà o del Pretorio, mentre il capitano, con funzioni militari, si sistemò nel palazzo di Cansignorio, nel cortile del Tribunale, che prese il nome di palazzo del Capitano. Già da allora, ma probabilmente anche dai tempi della riconfigurazione dei palazzi voluta da Cansignorio, il palazzo, ora del pretorio, doveva occupare lo spazio attuale. Portale e facciata principale rivolte verso le Arche Scaligere, le due ali allungate su vicolo Cavalletto da un lato e sulla piazza dall’altro, un cortile interno con una cappella per le celebrazioni liturgiche (di cui parlerò in seguito) e, di fronte alla Loggia di Cansignorio, un viridario, probabilmente delimitato, sul lato adiacente a vicolo Cavalletto, da un muro o forse da qualche sorta di costruzione utilizzata a pro di stalla o altro (tav. 6) .

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RELAZIONE STORICA

Sandri 49 , osserva come il palazzo, nei primi anni della dominazione veneziana, fosse ingentilito da due logge terrene, oltre a quella “aerea” poggiante sul porticato edificato da Cansignorio: “dobbiamo scendere fino agli inizi del dominio veneto, per avere notizie, che sicuramente si riferiscono al Palazzo, ora al Governo, e per conoscere che aveva allora due logge, una sulla piazza e una, detta “delle colonne”, adiacente all’ingresso e vicina alle scale dell’abitazione del Podestà. Quella sulla piazza, restaurata e ampliata nel 1419 (tav. 20) , essendo Rettori Niccolò Zorzi ed un Morosini, come si può vedere dai loro stemmi dipinti unitamente a quello della Città sulle travature (tav. 21) , fu per questo detta lodia nova Magnificorum Rectorum. La qualifica di nova le rimase per breve tempo, poiché intorno al 1430, forse per iniziativa del Podestà Venier, sorse un’altra loggia vicino all’ufficio delle bollette, che era al piano terreno della domus nova. Da allora, e specie nella seconda metà del Quattrocento, la loggia del palazzo viene detta solamente “dei Rettori”, o anche, per distinguerla da quella più recente, loggia vecchia. Essa rimase aperta sino al restauro del Prefetto Smancini e nel secolo XVIII era chiamata anche loggia dei XII, perché nella vicina cancelleria solevano riunirsi i dodici consiglieri ad utilia. Sotto di essa si leggeva un’iscrizione 50 a lettere d’oro, su pietra di paragone, in onore di Luigi Vallaresso, per l’opera generosa svolta quale Provveditore di qua del Mincio, durante la pestilenza del 1630. La “loggia delle colonne” invece, retrostante l’ingresso di via Arche Scaligere, si conservò per poco tempo. Per ragioni di statica, le belle arcate a tutto sesto furono chiuse e le colonne murate. ”51 Dal testo si deduce che, nonostante sia accertata l’esistenza della loggia dei Rettori nel corso dei primi anni della dominazione veneziana, insufficienti sono le informazioni per datarne il periodo di costruzione. All’operato del Podestà Contarini, e più precisamente all’anno 1478, sono invece attribuite le due finestre gotiche con arco trilobato di chiara influenza veneziana, aperte al piano nobile, sulla facciata del palazzo verso le Arche Scaligere, conservate dai lavori di restauro del 1928-1930. Tra di esse si vede tuttora lo stemma Contarini (tav. 22) .

49 SANDRI, 1931, p.10 50 MOSCARDO L., Historia di Verona, Padova, 1668. Il testo dell’iscrizione, che il Moscardo erroneamente colloca nella Loggia del Consiglio, è il seguente: “ Aloysio Vallaresso eq. Sen. Ampliss. / qui furente bello, grassante lue / hostem fataq. compesquit / preacunctis semper impavidus / Veronal qui funeribus labantem adivit / proprio ut pericolo servaret / securiora aspernatus loca / egenis qui stipem sepul. quaesivit / ne famis magis stiparet magis sepulcra / prov. sal. ad plaud. ci vit ex cons. d. pp. / servatori veluti numini / lapide funerum auro beneficii / memoriam perennantes / abeunte tandem saevite anni MDCXXX ” 51 SANDRI G., 1931, pp. 27-28. 20 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

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Sappiamo anche che, sempre nel corso dei primi anni della dominazione veneziana, avvennero delle riguardanti la suddivisione degli spazi di competenza dei rettori e quelli di competenza del Comune. La cancelleria del Comune venne infatti trasferita al piano terra del nostro palazzo, e forse fu proprio in quella occasione che la “loggia delle colonne” venne murata. Fu aperto un grande ingresso sul lato di piazza dei Signori, mentre il portale su via Arche Scaligere perse d’importanza, per esser poi definitivamente murato verso la fine del XVIII sec., 52 ed infine riportato alle dimensioni originarie negli anni Trenta. 53 Nel palazzo del Comune (oggi chiamato palazzo della Ragione, tra piazza Erbe e piazza dei Signori) si andarono invece ad insediare i depositi del sale, gli uffici della Camera fiscale, ma anche banchi dei giudici, tra i quali quelli dello stesso Podestà.” 54 Forse, proprio ai lavori di trasferimento della cancelleria al primo piano e ai lavori di apertura delle due finestre gotiche su S. Maria Antica, si riferiva una lettera ducale del 12 giugno 1475 inviata a Verona dal doge Pietro Mocenigo, nella quale si concedeva una spesa pari a 100 ducati provenienti dall’esazione di alcune multe (“ possitis expendere ducatos centum de pecuniis multarum ”) per la riparazione del palazzo pretorio (“ pro reparatione palatii magnifici domini potestatis ”), semidistrutto da un incendio (“ igne incensi ”). 55 Purtroppo, allo stato delle conoscenze attuali, sono scarsi gli elementi che permettano di mettere in connessione diretta il testo della lettera con gli interventi condotti nel XV sec. e da noi conosciuti. Sicuramente fin dai primi anni del Quattrocento il palazzo fu oggetto di cure e dovette subire modifiche e cambiamenti, soprattutto, annota il Sandri, “ quando prevalse la consuetudine da parte del Podestà, di immortalare il proprio nome adattando e decorando una delle diverse sale. Uno degli iniziatori, fu probabilmente un Contarini, Podestà nel 1478, al quale dobbiamo le due finestre gotiche verso S. Maria Antica, fra le quali ancora si conserva il suo stemma. La sala barbadica ci viene ricordata del 1485 come prospiciente verso la piazza dei Signori. In seguito ecco la sala contarina, la dieda, la maurocena, la garzona, la saletta leona, la camera trivisana, la sala georgia, la camera bragadina, la camera

52 SANDRI G., 1931, p.28. 53 BRUGNOLI, P., 2001, pp.154-174. 54 Sull’antico palazzo del Comune, o palazzo della Ragione, si guardi SANDRI G., 1945 e la bibliografia correlata. 55 ASVr CF. reg. 4, c. 74r. 21 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA donata, la camera trona. Fino a che non si dovette coprire le insegne dei precedenti Rettori per dar posto ai nuovi. Si ebbe così la sala olim dieda et nunc donata. ”56

La Cappella di San Sebastiano: Di una cappella interna al Palazzo si ha notizia fin dal XV sec. 57 Costruita probabilmente già in epoca scaligera, venne definitivamente eliminata alla fine del XIX sec. quando su progetto dell’architetto Giacomo Franco fu costruita una scala che porta all’appartamento del prefetto. 58 Sulla sua struttura originaria il Sandri scrive: “ era situata nell’interno di un edificio romanico che ancora si vede a sinistra dell’ingresso dalla piazza dei Signori. Costituito a pian terreno da ampie colte sostenute da pilastri e colonne e al primo piano da più camere con piccole finestre aperte sui quattro lati, doveva essere in origine isolato. Fu congiunto al palazzo scaligero fin da quando, innalzato il secondo piano, furono aperti i grandi finestroni a tutto sesto. Gli stessi Scaligeri, incorporandolo nel loro palazzo, ne adattarono il piano terreno a cappella, poiché la chiesa di S. Maria Antica, nel cui cimitero innalzarono i loro sepolcri, non servì mai ad uso esclusivo della Corte. ”59 (tav. 23) Egli dunque ipotizza che la cappella facesse parte di quell’edificio, di quel fabbricato con loggia romanica terrena, di cui parla anche Avena affrontando le fasi evolutive della fronte del palazzo su piazza dei Signori. Nei documenti successivi è ricordata come cappella di San Sebastiano (o Bastianin), a cui fu intitolata nella seconda metà del Quattrocento, forse in occasione della peste che infierì su Verona nel 1478, quando il culto di tale santo venne associato a quello di San Rocco (Santo protettore degli appestati), le cui reliquie erano appena sbarcate da Montpellier a Venezia. 60 Dagli Atti del Consiglio di Verona del 17 marzo 1488 veniamo poi a sapere che la cappella di San Sebastiano godette di indulgenze, grazie all’intercessione di Sebastiano Badoer 61 , oratore della

56 SANDRI, 1931, p. 30. 57 SANDRI, 1931, p. 10 n. 3. Due documenti ne fanno accenno. Il primo ci informa che nel 1411 si tenne una delibera del consiglio Provinciale di Verona “ in cappella curtivi Palacii residentie domini potestatis Verone ”, il secondo è un’annotazione del Liber dierum iudicorum Communis Verone , datata 9 dicembre 1427: “ in cappella ubi celebrantur divina officia posita in palacio habitationis potestatis .” 58 SCOLA GAGLIARDI, R., 1989, pp. 62-64. 59 SANDRI, 1931, p. 29. 60 BRUGNOLI, 1997, p. 163. 61 ASVr, AACVr, Atti del Consiglio , reg. 64, cc. 185v-186r. da una delibera del 17 marzo 1488: “ pro indulgentia concessa Cappelle Sancti Sebastiani site in curia magnifici domini potestatis, deliberatum fuit omnium consensu, lectis litteris magnifici et carissimi equitis domini Sebastiani Baduari degnissimi oratori 22 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Serenissima presso il Pontefice, mentre fino agli ultimi anni della dominazione veneziana la cappella fu ufficiata da un cappellano residente nel palazzo. 62 , Riguardo l’arredo interno e le decorazioni il Biancolini scrive: “ la cappella fu dipinta a fresco da Carlo Todesco. La pala dell’altare rappresentante la Beata Vergine Annunziata dall’angiolo sembra opera del Padovanino. Le immagini della Madonna e di alcuni Santi infine con alcuni ritratti di Rettori di Verona, opere sono di Simon Brentana, di Andrea Voltolino e d’altri pittori .” 63 Nel corso del XVIII sec. venne anche decorata a fresco, con quadrature e figure, opere di Carlo Todesco. 64 Nel 1797, durante i disordini seguiti all’occupazione francese di Verona, la cappella, come il resto del palazzo, venne saccheggiata. Così un anonimo contemporaneo scriveva nelle sue memorie: “Nel mezzo della piazza al luogo della Giustizia furono abbruciati tutti li quadri che esistevano in S. Bastianin ed altri luoghi, ove erano dipinti li rettori che pro tempore erano stati mandati da Venezia al Governo di questa Città; così furono strascinate le bandiere, arme e ducati, che fu ultimo rettore Alvise Contarini, dai scrigni del palazzo alla piazza della Brà, e poi abbrucciate .” 65 Della distruzione degli arredi invece, riferirà qualche anno più tardi Saverio Dalla Rosa, nel Catastico, confermando anche la presenza di un’opera del Padovaninno: “ S. Sebastiano di Palazzo. Nella piazza dei signori ora detta Nazionale. Eccettuata la statua antica della Vergine col bambino, che è di marmo sopra un altare, non è rimasto in questa chiesa nessuna tavola, o quadro dei tanti, dai quali era tutta coperta, ed ornata, essendo stati nella seguita rivoluzione abbracciati, e dispersi tutti i retratti delli Rettori Veneti che vi erano d’intorno collocati, e la tavola stessa dell’altro altare, rappresentante la Beata Vergine Annunziata dall’angelo, essendosi non so dove, e come posteriormente perduta: del Padovanino .” 66

illustrissimi nostri Domini apud summum pontificem et bulla indulgentie predicte: quo quidam eidem magnifico domino Sebastiano scribatur agendum sibi gratis de tali tantoque munere: et rogando magnificentiam suam ut attento quod bulla predicta applicut post diem festum Sancti Sebastiani et non potuti habere locum anno presenti pro indulgentia plenaria unius anni. Impetrate velit a pontefice maximo: ut ipsiam indulgentiama trasferatur in annum proxime futurum, que quidam indulgentia et plenaria pro primo anno in festo Sancti Sebastiani: ab uno vespero ad alterum et post annorum XXV et totidiem quadregenarum singulis annis in perpetuum porrigentibus manus adiuntrices et oblationes convertantur in utilitatem carceratorum, ut plenus constat apostolica bulla. ” 62 SANDRI, 1931, p. 29. 63 BIANCOLINI, G.B., 1750, III, pp. 139. 64 SANDRI, 1931, p. 29. 65 LENOTTI, T., 1937, p. 77. 66 MARINELLI, S., RIGOLI, P., 1996, p. 333. 23 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

IV. 2. IL CINQUECENTO.

In seguito alla costituzione nel 1509 della lega di Cambrai (a cui aderirono, oltre al pontefice, Luigi XII di Francia, Massimiliano I del Sacro Romano Impero, Ferdinando II d'Aragona ed Alfonso I d'Este Duca di ) e alla rotta dell’esercito veneziano nella battaglia di Agnadello, Verona venne occupata e ceduta all’imperatore Massimiliano I (1509-1517). Ben presto però la città, con giubilo cittadino, venne riconquistata dalla Repubblica Veneziana e si cominciò a dare nuovo impulso in particolare all’edilizia pubblica, con il rinnovamento del fronte bastionato difensivo e delle porte urbane (entrambe le opere affidate all’architetto Michele Sanmicheli), ma anche con il rifacimento o il consolidamento di palazzi ed edifici già esistenti. Per quanto riguarda il palazzo del Podestà, sembra accertato, grazie al ritrovamento di uno stemma del podestà Francesco Bernardo, che la costruzione della grande loggia neoclassica contrapposta a quella di Cansignorio, risalga a questa fase, più precisamente all’anno 1560 67 (tav.25) . Il prospetto verso il cortile si presenta costituito da un alto basamento, nel quale sono ricavate le aperture del piano terra e di un mezzanino e sul quale poggia una loggia scandita da un’alternanza di grandi arcate e finestre rettangolari (1 arcata, 2 finestre rettangolari, 1 arcata, 2 finestre rettangolari e così via), scandite e suddivise tra loro da lesene ioniche. Il prospetto su vicolo Cavalletto fu completamente inventato verso la fine dell’Ottocento con la realizzazione di una facciata pseudo-Scaligera. Anche l’interno dell’edificio, più volte svuotato e tramezzato, non offre più alcun elemento originale. A lato del cortile, sul corso, la facciata ospita un bell’altare tardo-gotico: una cornice trilobata contiene un affresco raffigurante una Madonna con Bambino, che purtroppo, nonostante il recente restauro, è quasi illeggibile 68 (tav. 26) .

Il Mellini attribuisce l’ideazione del progetto originario al Sanmicheli e riguardo all’edificazione della loggia e alla nuova configurazione del cortile, scrive: “ Anche questa idea sanmicheliana è molto interessante. Per intenderla bisogna avere presente la situazione urbanistica trecentesca e

67 A.A.V., Archivio Notarile . Liber dierum iuridicorum etc., 20 dicembre 1485, e SIMEONI, 1909, p. 23. 68 FORTI, G., 2001, pp. 21-23. 24 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA non mi resta che rimandare alla sua ricostruzione archeologica. Se la soluzione del problema statico della fabbrica cinquecentesca, necessariamente sviluppata longitudinalmente e in altezza per ragioni di spazio, fu ottenuta con lo spezzarne in tre l’allineamento sul cortile, spigolo e cantone furono sistemati all’altezza dello spigolo della loggia di fronte, creando un incastro che divide nettamente il nuovo cortile dal vecchio e una platea rigorosamente geometrica. Le vedute obbligate di questo cortile sono nella direzione dell’asse maggiore; alcune per esempio sono concentrate lungo la deambulazione dell’arco Dolfin alla scala del Podestà. Vista da questo percorso, la faccia maggiore, inabissandosi o riemergendo dallo sperone che ne cela la giuntura, appare otticamente staccata e dilata illusionisticamente l’esiguo spazio materiale della corte .” 69 Continua poi: “ è poi notabile che anche l’altezza del nuovo edificio si coordina a quello della loggia di fronte, pur avendo un piano più di essa e altrettanto fanno i suoi paramenti, che all’ultimo piano, riprendendo in sintassi sanmicheliana il ritmo degli opposti archi creano un bassorilievo di finestroni ciechi (quadri gemini ammezzati a centina) un sommesso accordo, dove una grafica volutamente in sé relativa, vitalizza nel rapporto uno spazio ambientale. Una soluzione scenografico, meglio, tutta urbanistica (l’interno è affatto trascurabile), analoga e diversa da quella dell’altra corte. Il Sanmicheli, anche qui come altrove, sa legare sapientemente la propria architettura con quella trecentesca, non attraverso ripristini o imitazioni, ma inserendosi con spirito moderno e qualità poetica nel tessuto vitalissimo della Verona medioevale e umanistica .” 70

Da alcuni documenti datati gennaio 1534 apprendiamo poi che il Senato Veneto, su sollecitazione dei rettori veronesi, consentiva la vendita del fatiscente palazzo della Domus Nova Communis Veronae e deliberava che parte del ricavato fosse destinato ad “ adaptare le stantie […] delli giudici nella corte del Podestà ove si sono loci assai capaci di accomodar senza incomodo de essi Rettori nostri ”. Venne incaricato del progetto il rinomato architetto Michele Sanmicheli. 71 E a testimonianza dell’effettiva presenza all’interno del palazzo di stantie o uffici dei Giudici, ci sono anche alcune iscrizioni su portali (tav. 27) . Due di queste ( SUPERAN. BRIXIA. IUD. RE. IUL. ROVEL. IUD. GRIFFONI. MDLXIX” e “MATTH. PRAET. III. VIC. MDLIX. IO. FRATRE. TRINCAVEL. IUD. MAL .”), datate 1559, sono oggi nella loggia di collegamento tra gli uffici della Provincia e quelli della

69 MELLINI, 1961, p. 32. 70 Ibidem . 71 BERTOLDI, A., 1874. 25 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Prefettura, qui trasportate dalla sopracostruzione nel corso dei lavori di restauro degli anni Trenta 72 . Un’altra proviene da un portale situato all’interno della loggia cinquecentesca con l’iscrizione che così recita: “IN PATRIA CIVILI / PACIS CUPIDUS / CUM LEGE MUNICIPALI / ET PIA / IUSTITIAM ADMINISTRAVI / OPTIMATUM AC / ALIORIUM CIVIUM CONCURSU.” 73 Il fatto che le prime due epigrafi siano entrambe dell’anno 1559, che la terza sia stata rinvenuta all’interno della loggia cinquecetesca, e che l’edificazione di quest’ultima sia datata al 1560, ha fatto ipotizzare il Mellini, che le stantie per gli uffici dei Giudici furono sistemate proprio all’interno della nuova “ala loggiata”. Da collegarsi all’attività degli uffici giudiziari dovrebbe essere anche la presenza di prigioni nel palazzo, che, come in altri palazzi di piazza dei Signori, si trovavano sotto i tetti e in particolare nella parte alta del torrazzo in angolo tra via Arche Scaligere e vicolo Cavalletto. Tutte le prigioni situate nella guaita di S. Maria Antica, cioè quelle del nostro palazzo, del palazzo dell’Antico Comune ( palazzo della Ragione ) e del palazzo del Capitanio, erano tra loro collegate da passaggi aerei, soprelevati, che attraversavano anche via Dante Alighieri e via Arche Scaligere. Prima dei lavori degli anni Trenta, all’interno della torre, nel grande locale al terzo piano, erano ancora leggibili iscrizioni e graffiti dei prigionieri, completamente scomparse in seguito alla ri- tinteggiatura delle decorazioni delle pareti volta a ravvivarne i colori. A riguardo Avena, direttore artistico del lavori condotti negli anni Trenta, scrive: “ Questa decorazione a tondi è la predominante. La ritroviamo disfrenare tutto il suo capriccio, un poco pirotecnico, anche nei due locali al terzo piano. Qualche fascia giro tutto intorno, e una reca dipinta l’iscrizione: Agostinus Centra fu pres. Chi sia stato agostino Cendrata non risulta da documenti; certo è ch’egli fu prigioniero in questa torre e molti altri vi furono prima e dopo di lui. Le pareti sono incise dei graffiti dei prigionieri che segnavano col nome spesso anche la pena. Ricorderò Berton e Barda (1500) Zuano Cedola “fu colpado de due omeni”, Jo. Jugo (1547), Ranchago (1547), Angelo Guantero (1539), Batista de Greciana (1541), Primo de Agustino (1548), “Franc. Bogara stete zorni 5 in fondo de tor…Loco ala gastaldo al suo marzo desueto fu deliberato”, Zuane Batista Olegno (1541) ecc. Un grafito è un epigramma d’amore: “W. Madona Pasqua e Bartolomio Trentin suo chiarissimo amante nel cuore al sia ferto 1547. ”

72 AVENA A., 1931, p. 54. 73 BRUGNOLI P., 2001, p. 92. 26 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Durante il Cinquecento gli interventi non si limitarono a quelli sopra citati e si continuò ad adattare il palazzo in base alle esigenze dei nuovi “inquilini”. Nel 1574 il podestà Nicolò Barbarico ricavò nuovi ambienti tra i quali una stanza che venne lasciata “ semplice e nuda di ogni pittura ” sostenuta “ da cinque travi piane traverse, da tre lacunari dritti che formano disdotto sfondi e la sua cornice di legno d’intorno assiso ”. Si tratta della Sala Pretoria, al piano nobile sopra la loggia dei Rettori, con finestre verso le Arche scaligere e una porta che conduceva sul balcone della piazza. 74 Anche il podestà Lazzaro Mocenigo (1577-1579) provvide alla realizzazione di lavori all’interno del palazzo “ nelle camere come nella cosina et in altri lochi” ma anche “molte altre operationi di gran necessità et anco a maggior ornamento per comodo di esso palazzo .” 75 Questi interventi vennero affidati al maestro muratore veronese Giovanni Bellè 76 , il quale “ non solamente si è dimostrato prontissimo ad ogni richiesta di soa magnifica clarità, ma, affaticandosi con molta diligenza et sollecitudine, ha con molto vantaggio e sparano del denaro speso in esse opere, sattisfatto completamente a quanto gli è stato imposto del prefato carissimo signor podestà .” 77 Sembra inoltre che il Bellè, in virtù dei propri servigi, fosse stato beneficiato dai rettori, a partire dal 29 marzo del 1575, dell’utilizzo gratuito per ventiquattro anni di una bottega all’interno del palazzo del Podestà, sul lato rivolto verso S. Maria Antica. 78 Era comunque una consuetudine abbastanza radicata quella di concedere locali del palazzo a terzi. Nel 1551, Giacomo Andrea Boni da Illasi, custode incaricato della chiusura delle porte e della pulizia del cortile ottenne infatti gratuitamente, vita natural durante, “ due lochi del ditto Palazzo, che sono presso la porta piccola dell’antedetta corte”, cioè sempre sul lato di fronte al cimitero scaligero. Ma anche il famoso pittore Paolo Farinati aveva uno studio nel palazzo, concessogli nel 1570 dal podestà Giacomo Contarini, forse, come per Bellè, in cambio di lavori qui eseguiti, e

74 SANDRI, G., 1931, p. 31. 75 ASVr., AACVr., 25. 76 Per informazioni sul Bellè e la sua famiglia si veda BRUGNOLI, P, 2001, p.108-109, nota n.5 e GUZZO, 1998, p. 133. 77 ASVr., AACVr., 25. 78 Ibidem . La bottega gli venne concessa per dodici anni a partire dal 29 marzo 1575 “ Una bottega ritrovata già con la propria industria del predetto maestro Zuane nel detto palazzo, appresso la porta che guarda verso S. Maria Antiqua per anni dodese .” Il contratto venne poi rinnovato da Lazzaro Mocenigo per altri dodici anni, per un totale di ventiquattro anni a partire dal 1575: “ si che detto maestro Zuane possi continuare in detto godimento per anni ventiquattro principati dal di della sopradetta concessione, affidando essa bodegheta per detto tempo a suo beneplacito et scodendo gli affitti di esso in premio et riconoscimento delle sue mercedi e fatiche.” 27 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA sembra che il pittore vi si trovasse davvero bene, al punto che nei primi mesi del 1573 supplicò addirittura il doge Luigi Mocenigo affinché gli venisse confermata la concessione, assumendosi, in caso di morte di Giacomo Andrea Boni anche il “servizio per le porte del Palazzo e mondicia della corte. ”79 Il Sandri sottolinea che “ questi lochi erano al pian terreno, tra l’ingresso ed il vicolo Cavalletto ”80 , mentre il Garibotto, 81 agli inizi del Novecento pubblicò una serie di documenti che coprono un periodo di tempo compreso tra il 1563 e il 1582, inerenti pagamenti effettuati dai rettori a beneficio del pittore Serafino Serafini, in cambio di opere svolte dall’artista nel palazzo. 82 I

79 PUPPI, 1965, p. XIII. 80 SANDRI, G., 1931, p. 28. L’ingresso è riferito al piccolo portale che allora si apriva su via Arche Scaligere. Il testo del Sandri da delucidazioni anche sulla sorte toccata a questi locali nel corso del sec. XVIII: “ Giovanni Battista Ferrerio Volpini, il 29 luglio 1763 li acquistò dal Magistrato Eccellentissimo de’ Signori Presidenti sopra l’esazione del denaro, e divise il primo luogo verso l’ingresso in tre piccole botteghe con provvisionali separazioni. Solo qualche anno dopo la città chiese al Governo Veneto di chiudere l’ingresso verso S. Maria Antica e di acquistare detti locali per ampliare la cancelleria divenuta angusta; cancelleria che era al piano terreno, dove si era stabilita fin dal 1407, tra le due logge, dopochè il podestà trasferì il suo ufficio e la così detta Cancelleria Pretoria al piano superiore. ” 81 GARIBOTTO C., 1914, pp.184-185. 82 I documenti pubblicati dal Garibotto sono riportati anche in BRUGNOLI, P., 2001, pp. 109-114. Il primo documento di cui siamo a conoscenza è una bolla di pagamento emanata dal podestà Nicola Quirino, il 15 dicembre 1564: “ commettemmo a voi Augustin dai Buoi vice collateral nostro che levar dobbiate una bolletta de scudi diese mozi a maestro Seraphin per la sua mercede d’aver depento un camerino del palazzo nostro da esserli dati de denari de le condenation .” 15 novembre 1572: “ Commettemmo alli settabilicollaterali della banca generale di questa città che levar debbino una bolletta a masetro Seraphin et compagni pittori de lire cento de danari veronesi applicati a la restauration de la fabbrica del palazzo nostro de li denari de la condannation fatta contro messer Francesco Confaloner .” 1 dicembre 1572 : “Commettemmo una bolletta de lire cento denari veronesi a maestro Seraphin et compagni pittori della condannation a loro applicati per il dipingere et adornare il palazzo nostro e la corte pretoria .” 4 dicembre 1572: “ Commettemmo una bolletta a maestro Seraphin et compagni pittori de lire cento danari veronesi per la fabbrica et ornamento del palazzo.” 14 gennaio 1573: “ Commettemmo una bolletta a Seraphin pittore et compagni de lire cento veronese applicati a lori per far la fabbrica della loza del palazzo nostro della condannacion fetta contro Battista Zanella di Radon.” 27 gennaio 1573: “ messer Seraphin e compagni per esser stata depenna la loggia del palazzo nostro ànno cento lire .” 10 giugno 1573: “ una bolletta de lire 61 de piccoli alli infrascritti per pitture fatte nel palazzo nostro come appar per polizza apposta in filo a maestro Donà di Danesi lire 31, a maestro Seraphin de Seraphini lire 14 a Zuan Zarotto lire 16 .” 14 maggio 1573: “ per aver depento de fuora sul corso appresso la sopracitata porta e di dentro la faccia del muro verso la corte cussì da cordo con il magnifico signor Pio turco provveditor .” 18 maggio 1573: “ cometemo ai colaterali della banca che levare debbino una bolleta de ducati diese correnti a messer Seraffini per aver dipinto un quadro di nostra donna con altre figure sopra il corso appresso la porta nova de la corte nostra, indorata l’arme sopra detta porta di dentro della corte et medesimamente le arme con il San Marcoposte sopra il Tribunale sotto la loza del Consiglio iuxta l’accordo fatto con il magnifico Pio turco. Item de lire 22 de piccoli per resto et saldo della pittura fatta intorno a deta porta di dentro et di fuori della corte predetta et questo de denari de condenation.” 11 febbraio 1577: “ Commettemo una bolletta a maestro Serafin de ducati 86 quale compito pagamento delle pitture fatte nelle nuove scale et in altri luoghi del palazzo.” 2 28 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA documenti parlano di pagamenti in denaro (ricavato in larga parte dalle sanzioni e dalle condanne) di decorazioni e pitture eseguite in varie parti del palazzo: in un camerino, nella loggia (anche se non si sa esattamente in quale), sopra una porta in tufo sul Corso (S.Anastasia) eseguita nel 1574 dal lapicida Battista da Prato e da lui decorata sia sull’interno (indoratura dell’arma veneziana) che sull’esterno (Vergine con altri Santi), sulle scale dette nuove ed infine il solaio della cancelleria del podestà danneggiato da un incendio avvenuto il 29 settembre del 1581. 83 Per quanto riguarda l’ultimo decennio del secolo, da due documenti datati 1589 e 1601, veniamo a conoscenza di interventi condotti sotto la direzione dell’ingegnere Francesco Malacreda. Il primo (27 ottobre 1589) è una missiva inviata dal doge Pasquale Cicogna al podestà Domenico Dolfin e al capitano Matteo Zane, 84 nella quale viene loro concesso di utilizzare i proventi delle condanne, destinandone i 5/8 alla ristrutturazione di palazzo della Ragione e di palazzo del Capitanio e i rimanenti 3/8 al palazzo del Podestà. La lettera purtroppo non specifica il tipo di interventi da effettuare né la parte del palazzo interessata, anche se comunque sembra si tratti sostanzialmente di lavori di consolidamento strutturale. Il secondo documento (30 settembre 1601) è di circa dieci anni posteriore al primo. Si tratta anche in questo caso di una lettera indirizzato dal doge Marino Grimani al podestà Ermolao Zeno e al capitano Francesco Priuli, riguardante la concessione di una determinata somma di denaro da

gennaio 1579: “ Comettemo una bolletta a maestro Serafin de ducati de lire 25 de denari veronesi per pitture fatte nel palazzo nostro.” Infine, 10 luglio 1582: “ Commettemo una bolletta de 18 ducati correnti quale compito pagamento delle pitture fatte nella cancelleria del podestà guastatasi per un incendio il 29 settembre .” 83 BRUGNOLI, P., 2001, p.112. 84 ASVr CF, reg. 12, c. 107: “ Da quando ci è stato scritto con più mani di lettere vostre et de un precesso habbiamo inteso il bisogno che hanno il palazzo della raggione di quella città et quelli parimente di ambi voi rettori di esser restaurati per l’eminente rovina che loro soprasta di precipitosamente cadere, con manifesto pericolo di quelli fidelissimi sudditi et altri che si trovassero presenti, come da deposizione de l’ingegner nostro Malacreda hora letta, si è parimenti inteso et volendo noi che opportunamente sia rimediato a questo necessario bisogno acciochè si come al presente con mediocre spesa così doppo caduto non sia necessitata la signoria nostra con molto maggior dispendio restaurare essi palazzi. Però vi danno autorità col Senato che li danari de li cinque ottavi de le condanne che si ritrovano in quella camera di ragione nostra possiate spender nell’accomodar il palazzo de la ragione ducati dosento cinquanta et in quello di voi capitano ducati cinquecento. Per la reparatione di quello di voi podestà vi dicemo col medesimo Senato mente nostra essere che debiate impiegar tanti danari de l’altri tre ottavi de le medesime condanne, la disposition di quali in esecution di parte a noi s’aspetta che giudicarete necessari per la suddettta reparatione da esser spesa tutta questa somma di danaro con quel magior avantaggio che dovemo fermamente promettervi de la nostra diligentia et virtù vestra.” 29 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA destinare in parte alla riparazione della sala grande del palazzo del Capitano e in parte alle stanze dei curiali e dei ministri del palazzo del Podestà.85

Il palazzo nel corso del Cinquecento fu a più riprese sottoposto a vari interventi di diversa natura, mirati in particolare al consolidamento strutturale e alla modificazione di alcuni spazi interni (come la Sala Pretoria), tanto che un letterato del periodo, il Pola, in un suo interessante scritto del 1616 intitolato Lo Stolone , simulò un dialogo tra un forestiero di nome Alodapo ed il veronese Stolone, il quale poneva l’accento sulle condizioni di degrado in cui versava il palazzo prima dei ripetuti interventi cinquecenteschi dei podestà veneziani. 86

Il portale del Sanmciheli: Se gli altri interventi sanmicheliani all’interno del palazzo sfortunatamente oggi non sono più ben leggibili nella loro interezza, resta invece ben conservato il bel portale affacciato su piazza dei Signori. Come già accennato nel paragrafo relativo al Quattrocento , fin dai primi decenni del XV sec., per problemi statici e per ricavare degli ambienti da destinare alla cancelleria del comune, vennero murati sia il portale su Via Arche Scaligere che la retrostante “loggia delle colonne”, mentre fu aperto un nuovo portale di ingresso al centro della facciata su piazza dei Signori.

Nel corso del primo ventennio del XVI sec., durante la breve Dominazione Imperiale su Verona (1509-1517), il conte Cariati, il governatore che allora reggeva la città in nome di Massimiliano I, chiamò tale pittore (filo-veneziano) Gerolamo a dipingere sopra l’ingresso del palazzo del Podestà,

85 ASVr CF, reg. 12 c. 264: “p oiché si come ci scrivete con lettere del 2 luglio et 7 del presente sono così urgenti li bisogni di presta reparatione del salon grande del palazzo di voi capitaio et una parte del palazzo di voi podestà con le stanze dei curiali et ministri della nostra corte, giusta la disposizione che per informatione nostra ci avete mandata vi concedemo col Senato facoltà che satisfando cadauno per la parte che si aspetta con li danari delli tre ottavi delle condanne che avette libertà di spender nell’occorrenza del reggimento per quello che importa la metà della spesa possiate all’altra metta supplire con li denari delli cinque ottavi d’esse condanne, cioè voi podestà per ducati settecento cinquanta e voi capitano per ducati mille e dieci, solamente compiendo però con altrettanta summa di denaro all’altra mettà con li tre ottavi sopra diti, d’esse condanne e non altamente dandone particolar conto alli provveditori alle fortezze con gli istessi obblighi che avuto per altre fabriche spettanti all’ufficio loro .” 86 POLA, F., 1615: “ Dovete però sapere, che questo Palagio era già da molti anni assai deforme, et negletto,, come le cose dell’età passata; ma la magnanimità de venetiani Magistrati è sempre ita tempo per tempo riformando hora in una parte, hora ne l’altra, più nobilmente che s’è potuto, secondo i genii loro particolari et diversi; et se alcuna imperfezione v’ha, è difetto più tosto dell’antica edificazione che tutta non s’è potuta mutare, et della varietà dei pensieri di chi v’ha fatto por mano, che d’altro.” 30 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA in sostituzione del Leone di S. Marco, l’ Aquila bicipite imperiale. L’episodio, è narrato in una novella da Matteo Bandello: “ Egli [Gerolamo ] era il più faceto e il più piacevole uomo ed il miglior compagno che si possa immaginare, e troppo volentieri dava il giambo ed il pigliava. Era poi tanto affezionato ai nostri signori veneziani che tutta Verona per tali il conosceva. Ora in quei calamitosi tempi de le guerre che tanto a la città nostra nocquero e senza dolore non si possono ricordare, mentre che Verona fu in potere dei nemici di San Marco, non era possibile che maestro Girolamo tacesse, e che non discoprisse l’affezion sua. Aveva il conte di Cariati un giorno fatto levar via San Marco, ch’era su la porta del palazzo del signor podestà,e in luogo di quello volle che vi si dipingesse l’aquila con l’insegna di casa d’Austria. Fu l’impresa data a maestro Girolamo il quale malvolentieri prese l’assunto di farlo; nondimeno non essendo a quei di chi gli desse guadagno, per esser una gran parte dei cittadini fuori, chi in esiglio e chi per non vedere tutte l’ore lo strazio che dai soldati si faceva, non avendo altro esercizio a le mani da guadagnarsi da vivere, si mise a dipingere le dette insegne. E mentre dipingeva v’era sempre gente in piazza ed alcuni si fermavano a vedere. Il buon pittore a cui troppo era dispiaciuto il levar via San Marco e gli doleva dove fare quell’arme, non si poteva contenere che non sospirasse e molte volte discese: - Durabunt tempore curto – onde fu subito accusato al conte per un gran marchesco. Il conte dubitò che forse nella città alcun occulto trattato contra l’imperadore e che il pittore ne fosse consapevole. Il perché, fattolo a sé chiamare, diligentemente cominciò ad esaminarlo e domandargli a che fine avesse dette quelle parole latine. Egli che non credeva esser stato sentito e vedeva che il negarle non ci aveva luogo, da subito consiglio aiutato, con un buon viso rispose: - Signore, io vi confesso aver detto le parole che mi ricercate e le dico anco di bel nuovo, che quelle insegne non dureranno. Sapete voi perché? Perché ho avuto tristi colori che a l’aria e a la pioggia non reggeranno. – Piacque mirabilmente la pronta risposta al conte, ed in effetto pensò che a cotal fine qual narrato avea, il pittore le parole puramente dette avesse, e più innanzi non investigò il fatto. Ché ancora che trattato contra gli imperiali non ci fosse, non dimeno il sagace pittore disse le parole, come gli amici affermava, con salda speranza che i veneziani dovessero ricuperar la città e far levar via l’aquila con l’insegna d’Austria, come non molto dopo fu fatto. Vi par egli che al bisogno si sapesse schermire e che molto galantemente si salvasse? Egli seppe sì ben fare e di modo governarsi che del conte divenne molto domestico e ne traeva assai profitto .” 87

87 BRUGNOLI, P.,2001, p.104. 31 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Dopo la parentesi di dominazione austriaca, con il ritorno della Serenissima, nel 1533, il Podestà Giovanni Dolfin, chiese a Michele Sanmicheli di rivestire l’ingresso del palazzo con un portale monumentale di gusto classico (la lavorazione vera e propria è però da attribuire alla bottega del fratello del Sanmicheli, Paolo, eccellente lapicida), a mo’ di arco trionfale romano, sovrastato dalla statua del leone di S, Marco. Ed il portale, formato da un arco a tutto sesto, ornato con quattro colonne ioniche, con stemmi negli intercolonni e due bellissime vittorie alate negli angoli, riprese abbastanza chiaramente il prospetto dell’arco celebrativo della famiglia dei Gavii “ salvo l’alto basamento, non potutosi qui realizzare in quanto il nuovo ingresso al palazzo podestarile doveva venire a sovrapporsi […] ad altro che in precedenza pure esisteva ”88 e in effetti la struttura risultò leggermente più tozza rispetto all’archetipo romano, oggi visibile a lato di Castelvecchio (tav. 28) . Aggiunta successiva, della fine del XVIII sec., furono le due statue poste sulla sommità del portale, raffiguranti L’Arte e l’Agricoltura, fatte rimuovere dai direttori dei lavori degli anni Trenta (tav. 29- 30) . Per la costruzione della porta si volle utilizzare lo stesso tipo di pietra bianca utilizzata per la Cappella Pellegrini nella chiesa di S. Bernardino, chiamata Nembro di Selva di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Si tratta di un tipo di un tipo di pietra bianchissimo, definita dal Vasari come “ la più bella sorte di pietra che dopo il marmo sia stata trovata insino a’ tempi nostri, essendo tutta solda e senza buchi o macchie che la guastino. ”89 Vennero utilizzati blocchi di notevoli dimensioni, le colonne sono tutte d’un pezzo ed il timpano con il suo fregio sono furono scolpiti in un unico blocco monolitico. Il tutto è giuntato da graffe in ferro fissate nel piombo colato, una tecnica nobile molto utilizzata in antichità, ma che ha delle controindicazioni, dal momento che il ferro a contatto con l’umidità, si corrode e si rigonfia, causando danni e lesioni, occorse anche in questo caso.

Ma vediamo ora cosa pensavano di quest’opera del Sanmicheli gli esperti, le cui opinioni, spesso contrastanti tra loro, si susseguirono nel corso degli anni. Già nella seconda metà del XVI sec.. Il Vasari, nella Vita di Sanmicheli, riguardo alla mancata realizzazione del basamento, scrisse: “ non tacerò già che fece le bellissime porte di due palazzi: l’una fu quella de’ rettori e del capitano,

88 BRUGNOLI P., 2001, p.98. 89 VASARI, 1568, III, p. 194. 32 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA l’altra fu quella del podestà, ambedue in Verona e lodatissime: se bene quest’ultima, che è d’ordine ionico con doppie colonne e intercolonni ornatissimi, ed alcune Vittorie negli angoli, pare, per la bassezza del luogo dove è posta, alquanto nana, essendo minimamente senza piedistallo e molto larga per la doppiezza delle colonne: ma così volle messer Giovanni Delfin, che la fe’ fare .” 90 Quasi tre secoli più tardi, nel secondo decennio dell’Ottocento, Giambattista da Persico, nella sua Guida alla città e provincia , espresse un’opinione diversa: “ al Vasari […] parve questa porta alquanto tozza a vedere: ciò fu per essere stata ingombra dinanzi e ai lati da ferrati cancelli, oltre il poco spazio lasciato dalle finestre del piano superiore, come vi stanno ancora. Tale però ora non appare. E a chi ben osserva si mostra anzi regolata da modanature delle antichità greche, che le più stanno senza piedistalli. Ciò non pertanto difformata ne venne dappiedi, stante il pendio del piano. Tra i suoi pregi architettonici si vuol notare com’abbia il Sanmicheli saputo imporre lo stesso capitello ionico sulle colonne e sui pilastri scanalati pure essi, schivando lo sconcio che ne dovea procedere nello scompartimento degli ovoli, sostituendone un mezzo retto sotto le volute, quando gli altri vi stanno rotondi […]. Non altrettanto possiamo dire dell’altra che mette agli uffizi giudiziari, non cadendo in essa siffatti obbietti. Vedi però in ambedue che simmetria d’invenzione, e che grazia di forme .” 91

Il portale in questione, nel corso dei secoli, che ce lo consegnano pressoché intatto, dovette però subire sia le ingiurie del tempo, sia quelle degli uomini. In seguito alla caduta della Repubblica Veneziana nel 1797 ed in particolare in seguito agli eventi delle Pasque Veronesi (17-25 aprile 1797), che videro contrapporsi il popolo veronese al nuovo dominatore francese, “ un’ondata di furore giacobino contro San Marco distrusse rapidamente e crudelmente quanto poteva ricordare al popolo il cessato governo: i leoni alati, gli stemmi, le iscrizioni ” 92 vennero scalpellati, compresi quelli del portale del palazzo del Podestà, cui fu strappata anche l’iscrizione del fregio. Fortunatamente l’iscrizione in bronzo non venne scalpellata ma solo rimossa, lasciando al loro posto i solchi dei chiodi, così che nel 1927, nel corso dei lavori preventivi ai restauri del 1928-30, fu facilmente ricomposta con nuove lettere bronzee che presero il posto di quelle antiche. In questa

90 VASARI, 1568, III, p. 946. 91 DA PERSICO, 1820, I, p. 234. 92 MESSEDAGLIA, L., 1953, pp. 69-70. 33 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA occasione vennero anche rimosse le due statue aggiunte verso la fine del XVIII sec. in alto ai lati del portale e venne ricollocato in situ il leone di San Marco, nuova scultura del Colbertardo. 93 Infine, lavori per il recupero visivo del portale, sono stati condotti recentemente, nell’ambito di una campagna, finanziata dal Ministero dei Beni Culturali, per la salvaguardia di alcuni monumenti di Sanmicheli. Il restauratore Romano Cavalletti effettuò interventi sia sul portale del palazzo dl Capitano che su quello del Podestà, mirati al consolidamento statico (con l’uso di resine), alla pulitura e alla protezione superficiale, onde evitare un ulteriore degrado. Il Brugnoli poi spiega con queste parole l’entità del restauro inerente alla porta del palazzo del Podestà: “ la pulizia del paramento lapideo costituente la porta è avvenuto mediante la rimozione dei depositi incoerenti estranei alla pietra, la pulitura della superficie con un e a pasta gelatinosa ad azione solvente e successivo lavaggio con acqua. Si è provveduto poi al fissaggio dei frammenti lapidei staccati, alla rimozione delle vecchie stuccature tra pietra e pietra e rifacimento delle stesse con resina acrilica e caricata con polvere bianco Verona, all’applicazione di resina consolidante e protettiva; e infine al ritocco delle superfici con l’eliminazione di resina eccedente per evitare spiacevoli effetti lucido. A seguito della recente pulitura – che ha reso oltremodo leggibile tutta la sottile e raffinata decorazione scultorea del portale – sono apparse anche tracce di doratura sulla chiave di volta, il che fa pensare che, oltre alla chiave, anche altri elementi del portale (come gli stemmi) fossero ricoperti di analoga foglia d’oro. La pulitura ha anche evidenziato alcune lesioni sui conci dell’arco che hanno subito un cedimento e che ha interessato anche il bassorilievo della Vittoria nel pennacchione sinistro. Ma l’inconveniente si è assestato. ”94

IV. 3. IL SEICENTO .

La riconfigurazione degli spazi interni proseguì anche nel XVII sec. Sempre il Pola nello Stolone ci informa della pregiata decorazione pittorica commissionata per una stanza del palazzo, la sala pretoria.

93 BRUGNOLI, P., 2001. p. 101-102 e MESSEDAGLIA, L., marzo 1928, Un portale del Sanmicheli e un oltraggio riparato , all’interno della rivista “ Il Garda ”. 94 BRUGNOLI P., 2001, p. 104-105, n. 6. 34 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Sala pretoria: La sala pretoria è la sala di cui ho accennato precedentemente, in angolo tra via Arche Sacligere e piazza dei Signori. Rimodellata ma lasciata priva di decorazioni nel 1574 dal podestà Nicolò Barbarico, dallo Stolone sappiamo che venne fatta decorare nel 1614 per volere del podestà Agostino Amulio o Della Mula, durante gli ultimi mesi del suo mandato. 95 Il racconto del Pola prosegue poi con un aneddoto, secondo il quale 96 i pittori veronesi Ottino, Farinati, Creara e Orbetto rifiutarono l’incarico offerto loro dal podestà Della Mula di decorare la sala pretoria a causa della ristrettezza del tempo a disposizione e pertanto l’opera venne realizzata dal bresciano Antonio Gandino 97 , discepolo di Paolo Caliari, 98 Ma la pubblicazione da parte di Guzzo 99 di alcuni interessanti documenti 100 relativi la decorazione di questa sala, ha corretto la versione del Pola. Egli sostiene che è vero che i pittori veronesi rifiutarono l’incarico, ma non per penuria di tempo, quanto perché l’ideazione del programmi iconografico fu da subito affidato al bresciano Ottavio Rossi, il quale a sua volta chiese la collaborazione pittorica del suo concittadino Antonio Gandino. Aneddoti a parte, molto prezioso è il contributo del Pola, che descrive dettagliatamente le pitture della sala, che a quanto pare era decorata con finte architetture. L’architrave, sostenuto da quattordici colonne centrali di vario ordine e da quattro colonne angolari, era dipinto con centoquattordici stemmi, settantadue dei quali appartenevano alle famiglie dei senatori veneziani che avevano governato Verona dal 1517 in poi, mentre gli altri quarantadue spazi erano stati lasciati liberi per accogliere gli stemmi dei futuri rettori. Negli intercolumni dodici nicchie decorate a figure allegoriche, fiancheggiate da colonnine attiche lavorate e coronate da vittorie alate

95 Ibidem : “ Desiderò il signor Podestà, et tentò, ch’alcuno dei nostri lo servisse dell’opra sua in questo affare, ma non trovò alcuno di loro, che osasse di fare questa fatica con quella celerità, che richiedeva l’angustia di tre quattro mesi, in cui egli doveva da la Podestaria far partita .” 96 In POLA, F., 1615, è riportata anche un’iscrizione ora perduta, che testimoniava le decorazioni effettuate nella sala. L’epigrafe recitava cosi: “ QUAM SPECTAS AULAM / AUGUSTINUS AMULIUS PRAETOR HOC PICTURAE DECORE / EXORNAVIT / VERONENSIBUS SUIS / ANNO MDCXIV / P.F. SYLVESTRO VALERIO V.A. / QUICUM ILLE / CONIUNCTISSIMUM. ” 97 GUZZO E.M., 1991. 98 SANDRI, G., 1931, p. 31. 99 GUZZO E.M., 1991. 100 GUZZO, E.M., 1991, pp.49-50. Si tratta di due lettere inviate da Ottavio Rossi al podestà Agostino Della Mula. La prima testimonia la gratitudine per l’incarico commissionato e il desiderio di poter collaborare con il Gandino, mentre nella seconda traspare l’amarezza del Rossi per non essere nemmeno stato menzionato nella descrizione della decorazione fornita dal Pola nello Stolone . I testi delle due lettere sono pubblicate all’interno del volume. 35 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA sdraiate, con in mano una palma. Le diciotto virtù che fanno un buon magistrato 101 decoravano i dodici sfondi nel soffitto, con un’iscrizione che ne dava spiegazione: 102 “ SCIN? QUAE VIRTUTES / MAXIMUM FACIANT MAGISTRATUM / LACUNAR INDICAT PICTUM / SCIN? QUOS FRUCTUS / MAXIMUS PATIAT / MAGISTRATUS / PARIETES INDICANT PICTI / SPECTATE DISCITO FRUITOR .” 103 Un’epigrafe, ora scomparsa, celebrava il committente dell’opera, il podestà Della Mula e ricordava l’anno di esecuzione dei lavori, il 1614. 104

Ma la sala subì ulteriori modifiche nel corso degli anni, tanto che, nel suo Catastico, Saverio Dalla Rosa, nei primi anni dell’Ottocento, la chiama sala delle Udienze. Le figure allegoriche sono state sostituite da pitture a fresco, “ felicissime produzioni di Marco Marcola ”105 che purtroppo non potremmo mai ammirare dal momento che anche questa sala, come gran parte dei locali su piazza dei Signori, venne completamente obliterata dai radicali lavori ai tempi del prefetto napoleonico Antonio Smancini. Gli interventi seicenteschi non si limitarono alla decorazione della Sala Pretoria, ma andarono anche ad intaccare e a modificare le strutture interne. In un relazione datata 25 settembre 1632 inviata al Senato Veneto, il podestà Antonio Longo testimonia e accenna ad una serie di interventi strutturali interni al palazzo, da lui voluti e basati principalmente sulla riconfigurazione di alcuni ambienti. 106 Il fatto che egli parli di “ cose stabili e permanenti ” in opposizione alle “ cose simili, facili per sua natura a perire e consumarsi ” porta a pensare ad interventi profondi, radicali, non limitati

101 Il Pola nella descrizione della decorazione della sala pretoria enumera le 18 virtù. Sono: Consiglio, Risoluzione, Erudizione (virtù intellettuali), Religione, Pietà, Zelo, Giustizia, Equità, Rigore, Cortesia, Liberalità (virtù morali relative agli atti), Temperanza, Fatica, Industria (virtù morali relative agli affetti), Nobiltà e Buonevento (virtù innate o di fortuna). 102 BRUGNOLI, P., 2001, p. 116-117. 103 POLA, F., 1615. 104 In POLA, F., 1615. L’epigrafe recitava cosi: “ QUAM SPECTAS AULAM / AUGUSTINUS AMULIUS PRAETOR HOC PICTURAE DECORE / EXORNAVIT / VERONENSIBUS SUIS / ANNO MDCXIV / P.F. SYLVESTRO VALERIO V.A. / QUICUM ILLE / CONIUNCTISSIMUM. ” 105 MARINELLI S. e RIGOLI, S., 1996. p. 36. 106 BRUGNOLI, P., 2001, p. 120: “ et perché il palazzo del Podestà riusciva non solo incomodo ma senza alcuna apparenza di pubblico decoro, come è notorio, avendo perciò osservato certo luogo dietro il palazzo negletto e innutile, pensai al bel principio di fabricarvi appartamento […]; a questo applicai perciò l’animo et ridussi alcune stanze in tale perfettione che posso con verità dire di haver datto l’anima a quel palazzo non solo per comodo del Rettore, ma per publico servitio ancora in ogni occorrenza d’alloggi. Questa spesa si è fatta dal danaro di tre ottavi delle condanne conforme l’uso antico et in vigor della parte 1596, stimando esser molto meglio l’impiegare questo danaro in cose stabili et permanenti che servono al decoro et comodo publico, che in utensilij o altre cose simili facili per sua natura perire e consumarsi.” 36 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA insomma a tamponamenti d’emergenza o a decorazioni, mentre quel “ per publico servitio ancora in ogni occorrenza d’alloggi ” potrebbe significare la demolizione di alcuni grandi ambienti per la creazione di stanze di dimensioni più ridotte. Purtroppo, ancora una volta, disporre esclusivamente di fonti letterarie in assenza di documentazione topografica, rende molto difficile capire quali furono le modifiche apportate e di quale entità fossero stati gli interventi effettuati. E’ comunque fortemente probabile che a seguito di questi lavori, il palazzo cominciò a perdere, soprattutto all’interno, le peculiarità originali del tempo degli scaligeri, e fu forse in questa fase che andò stravolta e perduta anche la Sala Grande dipinta dall’Altichiero.

IV. 4. IL SETTECENTO.

I lavori eseguiti dal podestà Longo furono davvero consistenti se si pensa che le successive testimonianze relative a interventi o progetti riguardanti il palazzo, risalgono alla seconda metà del XVIII, poco prima della caduta della Serenissima.

Del 18 febbraio 1771 è una relazione tecnica fornita dall’ingegnere Adriano Cristofali in seguito ad un sopralluogo eseguito sul “torrazzo” in angolo con via Arche Sacligere, al termine della quale egli esclude che le “ crepadure sulle sue muraglie possino causare qualche detrimento di dannosa conseguenza. ” Consigliava di evitare interventi consistenti e suggeriva l’utilizzo di alcune graffe in ferro all’altezza dei piani primo e secondo, per rinsaldare la compattezza della struttura. 107

107 ASVr, Gazzola , 83. Il testo è riportato integralmente anche in BRUGNOLI, P., 2001, p. 122-123: “ in ubbidienza de li venerati si voccali comandi dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Aloise Mocenigo.secondo podestà e vicecapitanio, del dì 16 detto, essendomi postato io sottoscritto unitamente al capo maestro Muratore Domenico Ceroni, nel Turrione di questo Palazzo Pretorio posto sull’angolo di esso riguardante a mattina e mezzo giorno, il qual comprende parte dell’appartamento nobile di esso Eccellentissimo Podestà, ed ivi avendo esaminato se le crepadure fra le sue muraglie che detrimento di dannosa conseguenza, rassegno umilmente con l’opinione anche del Capo mastro medesimo.” E ancora: “che essendo le dette crepadure assai vecchie, e il detto angolo sano e ben fondamentato per quanto rilevassi, tutto costrutto di quadrelli unitamente alli suoi latti formati di grosse e robuste muraglie, posso accertare, che presentemente le dette crepadure non devono causare maggior pregiudizio e che solo può umiliare la mia insufficienza, per cautarsi delle remote cause, che arecer potessero il difetto, di levare il pesnate pergolo di petra e ferri che circonda esso angolo e che lo gravitò continuamente, ed agisse come una leva carica, ed intlarare l’angolo stesso con chiavi di ferro incrociate ponendone due sul piano nobile, e due nel secondo piano; e rabboccare vallidamente le crepadure stesse. La spesa delle quali compresa la fattura di poterle in opera, puol importare fra tutte lire 360 circa. Adriano Cristofoli Pubblico Ingegnere. ” 37 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

L’aspetto del palazzo rimase pertanto invariato (tav. 31) e solo verso la fine del Settecento, il Comune di Verona chiese al Governo Veneto di poter murare l’ingresso su Via Arche Scaligere per ampliare gli uffici della cancelleria 108 (tav. 32) .

L’Accademia di Agricoltura: All’inizio degli anni Ottanta del Settecento, il Senato Veneto cominciò a ricevere richieste insistenti da parte dei membri della Accademia di Agricoltura di Verona, affinché le pubbliche amministrazioni concedessero loro una sede propria, dove potersi riunire per discutere, studiare, tenere riunioni. Finalmente, con un provvedimento del 13 maggio 1781 la Serenissima provvide ad assegnare all’Accademia uno spazio all’interno del palazzo pretorio, 109 nella loggia cinquecentesca contrapposta alla loggia di Cansignorio (tav. 33) . A conferma di ciò, anche il Simeoni, nel 1909, affermava che nella loggia “ ha sede l’Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere ed Arti, fondata con scopi agricoli nel 1768 dalla Repubblica […]. Le sue sale sono decorate con i ricordi e con i busti dei membri più illustri che essa ebbe nella sua lunga vita. ” Continua poi : “nella sala della dunanze ci sono i busti del primo segretario Zaccaria Betti (1818), di A.M. Lorgna, l’idraulico illustre (1796), e di Bartolomeo Lorenzi (1828). Nella sala antecedente ci sono i busti del botanico Ciro Pollini (1835), del naturalista Abramo Massalongo (1861), di Carlo Montanari e di Angelo Messedaglia. Nella saletta antecedente vi è una lapide posta nel 1780 al cap. V. pod. Francesco Donato che ottenne per l’Accademia l’uso delle sale, di cui è ancora in possesso. Ai piè della scala è relegata la lapide che ricorda la visita di Francesco I d’Austria (1820). Chiude il cortile verso S. Anastasia un’elegante cancellata moderna imitata da quella delle arche scaligere (1874) .” 110 L’Accademia mantenne la sua sede all’interno della loggia fino al 1927, quando venne definitivamente trasferita presso il Museo di Storia Naturale a Palazzo Pompei, in lungadige Porta Vittoria. 111

108 SANDRI, G., 1931, pp. 28. 109 VANZETTI, C., 1989-1990, pp. 47-48. 110 SIMEONI L., 1909, pp. 23-24. 111 BRUGNOLI, P., 2001, p. 122. 38 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

V. L’OTTOCENTO.

Dopo quattro secoli di fedele soggezione alla Serenissima, l’1 giugno 1796 le truppe napoleoniche espugnarono e occuparono la città, che si vide costretta ad accettare a malincuore dapprima la dominazione francese (fino al 1814, nonostante dal 1801, in base al trattato di Luneville, la città venne divisa tra francesi e austriaci, con i primi in destra d’Adige ed i secondi in sinistra) e successivamente quella austriaca (dal 1814 al 1866), per poi liberarsi da qualsiasi gioco entrando a far parte del Regno d’Italia nel 1866. Nel corso dei torbidi seguiti all’occupazione delle armate francesi, in città si registrarono numerose distruzioni di monumenti, statue, epigrafi commemorative o effigi che potessero ricordare la Repubblica di Venezia. Anche il palazzo fu oggetto di devastazioni, oltre che con il sopracitato saccheggio della cappella di San Sebastiano, con l’abbattimento del leone di S. Marco sul portale del Sanmicheli, la rimozione dell’iscrizione in lettere bronzee che su di esso campeggiava e lo scalpellamento di stemmi e lapidi. Inoltre, durante le giornate di rivolta popolare del 1797, conosciute come Pasque Veronesi, i cannoneggiamenti francesi provenienti da Castel S.Pietro, distrussero parte delle merlature medievali che ne coronavano la facciata. Alle devastazioni francesi del primo periodo seguì un intenso programma di riconfigurazione urbanistica della città, che coinvolse anche il nostro palazzo. Nel 1810 infatti, il prefetto napoleonico Antonio Smancini, seguendo come spesso accade i gusti architettonici del tempo, orientati al neoclassicismo, decise di modificare radicalmente il palazzo, che comunque doveva presentarsi allora veramente fatiscente. Al termine dei lavori l’edificio perse qualsiasi connessione con il passato, se si esclude il portale sanmicheliano, evidenziando invece quelle caratteristiche di simmetria e chiarezza tipiche dell’architettura neoclassica (tav. 34) . I lavori più sostanziali furono quelli condotti all’interno dell’edificio, che venne suddiviso in tre piani. si uniformò l’altezza dei solai degli ambienti scaligeri, già in parte rimodellati dagli interventi veneti, con la conseguente obliterazione di ogni antica o più recente decorazione, sia sulle pareti che sui soffitti lignei.

39 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Il risultato dei lavori sull’esterno del palazzo, fu una facciata compatta, ottenuta murando la loggia dei rettori (aperta nel corso dei primi anni della dominazione veneziana) e costituita da un alto zoccolo a bugnato nel quale si aprivano simmetricamente al portale due porte a tutto sesto e quattro finestre rettangolari. I tre piani superiori erano scanditi da tre ordini di finestre rettangolari, l’ultimo delle quali privo di contorni. La breve cornice che precedentemente sosteneva la merlatura venne mantenuta e, a rinforzo illusivo, venne dipinta una grondaia. Su tutto venne data una consistente mano di intonaco, che andò a coprire stipiti, lapidi ecc. (tav. 35) .

È chiaro che interventi radicali di questo tipo si prestano, e si prestarono anche allora, ai dibattiti e alle discussioni di carattere tecnico e artistico di estimatori e detrattori. Tra i detrattori uno dei più accaniti fu il Pinali, che all’interno di una sua memoria segreta del 1834 molto interessante dal punto di vista storico e in alcuni passi anche divertente, scrisse: “ Ma della metamorfosi e dell’imbianchimento di questo palazzo […] non hanno parte veruna i Veronesi Magistrati. Fu quella una recente impresa di un prefetto Lombardo, intollerante dell’antico e tenerissimo dell’arte di Como, però Veronesi le mani mercenarie, e vili che lo secondarono. Un loggiato esisteva inferiormente dall’un dei fianchi, d’una delle lodate Porte del Sanmicheli, occupato l’altro da un Tempietto col titolo di San Sebastiano. Era il loggiato ad uso dei Cittadini, ivi congregati pria di salire al vicino Palazzo così detto del Consiglio e scorgansi serbate in esso molte e molte effigiate memorie, e molte insegne di que’ Veronesi Patrizi, che servito avevano senza lucro la Patria. Memorie d’onore v’erano ancora di queste erette ai benemeriti Veneti Governatori; ed una ne rammento a Bernardo Bembo […] Voi scorgete ora, o Signori, la ben variata decorazione di questo Palazzo, e la rimarcano gli esteri osservatori, richiamati da tutte le apparenze ad attribuire la nuova fabbrica, anziché a Residenza di Governo, alla porta di una locanda”. Prosegue poi : “Ma il colmo del ridicolo architettonico vi brilla nell’estrema sua cornice o grondaja, che non è già rilevata e sporta siccome esser deve per propria funzione quella parte di ogni ordinato edifizio, onde allontanarne dalle esterne mura le piogge, ma vi è finta dal pennello, e verticalmente sciorinata. Economico non più veduto divisamento, e proprio solo di quel riformatore de’ Veronesi antichi edifizi, che insaziabile dell’uso di calce e d’imbiancamenti imbrattonne villanamente una porzione

40 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA della colonna quadra, l’ultima cioè d’angolo del Palazzo municipale (del qual son per dirvi più estesamente) per nulla valutando i fregi in marmo maestosamente scolpiti […].”112 Fatto sta che, nonostante le invettive di chi non apprezzò il risultato del restauro, il palazzo mantenne tale aspetto anche durante la successiva dominazione austriaca 113 , con un’unica modifica riguardante il portale del Sanmicheli, dove il leone di San Marco il 12 aprile 1814 venne sostituito con l’aquila imperiale austriaca, scolpita da Diomiro Cignaroli, 114 Nel 1866, in seguito all’entrata del Veneto e di Verona nel Regno d’Italia, essa cedette il posto allo scudo sabaudo, affiancato nel 1922 dal fascio littorio. 115

Il palazzo e il Regno d’Italia: Durante la dominazione austriaca, il palazzo non fu oggetto di importanti lavori di restauro. Sarà soltanto dopo l’annessione del Veneto che si porrà, nel clima fervoroso di recupero della città medievali e rinascimentale, il problema del suo ritorno agli antichi splendori 116 . Sono questi gli anni dei due grandi architetti Giacomo Franco, sostenitore del movimento neoromanico e neogotico e Camillo Boito, patrono di tutte le iniziative che si stavano portando avanti in Italia in questo settore. Ed in effetti mai nessuna epoca fu così prolifica di restauri architettonici se si pensa che non esiste chiesa o palazzo pubblico della Verona di età comunale e scaligera sui quali non si sia intervenuto. In piazza Erbe, ad esempio, si mise mano alla Domus Mercatorum, all’antico palazzo del Comune e alla fontana nota col nome di Madonna Verona, in piazza dei Signori alle dimore e alle sedi delle magistrature scaligere (palazzo del Capitanio e il nostro palazzo), oltre che al cimitero delle Arche Scaligere e alla chiesetta di S. Maria Antica. Risale al 1871 l’acquisto, da parte dell’amministrazione provinciale, dell’intera proprietà del complesso, mentre già nel 1874 il pianterreno dell’ala verso le Arche Scaligere, corrispondente all’antica Loggia delle Colonne e murato fin dai primi anni della dominazione veneziana, venne abbandonato dagli uffici comunali che si trasferirono nella Gran Guardia Nuova (Palazzo Barbieri) in piazza Bra e occupati dal nuovo ente (tav. 36-37-38-39) .

112 PINALI G., 1834, pp.16-19. 113 Il palazzo in epoca austriaca fu la sede della Imperial Regia Delegazione Provinciale. 114 BRUGNOLI, P., 2001, p.130. 115 LENOTTI, T., 1954, p. 15. 116 BRUGNOLI, P., 2001, p.132. 41 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Cominciarono subito dopo una serie di lavori, inerenti diverse aree del palazzo, che potremmo per maggior chiarezza dividere in due fasi. Una prima fase, circoscritta agli anni 1876 e 1885 e ben riassunta da una monografia del prefetto Sormani-Moretti, 117 interessò la loggia di Cansignorio, dotata di una scala d’accesso al piano superiore, l’area del cortile inferiore e l’esterno dell’ala su vicolo Cavalletto Da una relazione del 31 settembre 1877 del deputato provinciale Edoardo de Betta, apprendiamo che il porticato terreno a sesto acuto della loggia di Cansignorio era stato appena riaperto e si stava allora discutendo della riapertura anche della loggia stessa (tav. 40) .118 Nemmeno un mese più tardi, il 27 ottobre 1877, la Commissione Conservatrice dei Monumenti d’Arte e d’Antichità, riguardo al restauro del loggiato superiore, asseriva che “ incominciati i lavori nel Palazzo prefettizio, e aperte due delle arcate, si trovarono affreschi che furono giudicati pregevoli: per cui la commissione degli ingegneri incaricati della direzione dei lavori, intendendo a conservarli, propone alcune modificazioni al progetto primitivo, in seguito alle quali il muro, che deve chiudere l’arcata, si alzerebbe sopra una risega interna lasciando allo scoperto l’arcata stessa. ”119 Dopo un lungo dibattito sulla miglior soluzione da adottare il 28 marzo 1878 si decise di metter da parte le variazioni e di approvare il progetto iniziale di ripristino, con la liberazione di tutte le arcate, che furono dotate di vetrate e la suddivisione dello spazio interno in ambienti destinati ad uffici. Infine il restauro dei dipinti nei sottarchi della loggia superiore venne affidato al pittore Pietro Nanin, il quale completò “ tutta la parte ornamentale ed omettendo qualsiasi aggiunta alle parti di figure guaste, e dove queste manchino del tutto sostituendo unicamente le tinte di fondo. ”

117 SORMANI-MORETTI L., 1904, III, p. 232: “ Non appena nel 1871, l’Amministrazione provinciale […] l’acquistò ed il Municipio, nel 1874, ne abbandonò il piano terreno per andare a installarsi in palazzo Barbieri: 1. Si riattò l’ala del cortile ed elevato portico in sesto acuto e superiore loggia ad arcate mettendo queste a finestra e quella dividendo in camere per uffici; 2) si alzò una conveniente cancellata di chiusura verso il corso S. Anastasia ed al prospiciente porticato con sovrapposto loggiato chiuso da invetriata, diedesi in alto il finimento d’un doppio rango di finestre arcuate con tettoia mediana da canto alla torre d’angolo in parte rimerlata; 3) si eresse il suaccennato nuovo scalone sopra disegno dell’architetto Giacomo Franco riattando in pari tempo la corrispondente fronte verso il cortile interno a triplice ordine di larghe finestre arcuate, e si adattò il piano nobile ad alloggio del regio prefetto. Più tardi provvedendo a migliori comodi e più conveniente distribuzione degli Uffici interni, venne rifatta la fronte verso vicolo Cavalletto sull’antiche rimastevi tracce poi che era sconveniente […] non solo ma statisticamente pericolosa .” 118 ACP ad annum , pp. 323-328.. 119 ACC ad annum , p. 11. 42 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Sul sedime dell’antica cappella di San Sebastiano l’architetto Giovanni Franco fu incaricato di costruire una nuova scala composta da sei rampe di undici gradini ciascuna, tuttora esistente, che porta agli appartamenti privati del prefetto. 120 Contemporaneamente si intervenne sull’edificio romanico prospiciente il cortile interno, lato loggia di Cansignorio, con l’apertura del triplice ordine di finestroni arcuati. L’interno venne anch’esso riattato in modo tale da poter ospitare gli alloggi del prefetto (tav. 41). L’ala cinquescentesca contrapposta alla loggia di Cansignorio, in questo periodo sede dell’Accademia di Agricoltura, ricevette interventi di consolidamento statico. La facciata esterna (su vicolo Cavalletto) di questa struttura risalente al XVI sec., venne invece inspiegabilmente riconfigurata in maniera pseudo-romanica, con una forzata alternanza di mattoni in cotto e tufo, tipica dell’architettura romanica veronese (tav. 42) . La seconda campagna di lavori, che ebbe inizio nel 1885 e si concluse nel 1902, ebbe come obiettivo il restauro della ormai fatiscente e scrostata facciata su piazza dei Signori, snaturata dal radicale progetto di restauro del prefetto Smancini, che aveva nascosto, se non addirittura distrutto, le tracce ancora visibili del suo glorioso passato. Anche in seguito alla diffusione delle moderne teorie in materia di restauro, volte principalmente alla veridicità e alla conservazione del bene artistico, a partire dal 1888, prese piede un intenso dibattito di carattere metodologico tra istituzioni ed esperti, che vide tra i suoi protagonisti un personaggio di spicco della cultura cittadina, come l’ingegnere Giuseppe Manganotti e il prefetto Sormani-Moretti, e di fama nazionale, come l’architetto Camillo Boito. Le fasi della discussione possono essere così sintetizzate. Dopo un primo sopralluogo da parte dell’Ufficio Tecnico Provinciale, si decise di interpellare per un sopraluogo, dapprima l’ingegner Manganotti ( 2 giugno 1887) e successivamente l’architetto Boito (21 luglio 1887), il quale, dopo avere ottenuto la completa martellatura e liberazione della parete dallo strato di intonaco (tav.35) , in data 17 maggio 1888 scrisse una relazione in cui proponeva due progetti differenti, uno più costoso, mirato alla valorizzazione delle fabbriche scaligere e veneziane, l’altro, più economico, classicheggiante e complementare al precedente restauro del prefetto Smancini. Questo il testo inerente il primo progetto: “Può e vuole la Provincia spendere ora per la facciata del nuovo palazzo una somma abbastanza rilevante e sottomettere a qualsiasi fastidio alcuni dei

120 SCOLA GAGLIARDI, R., 1989, pp. 62-63. 43 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA suoi uffici e l’appartamento dell’. On. Sig. Prefetto? Vuole invece la Provincia spendere una somma piuttosto ristretta, e non sopportare né procurare nessun disagio? Nel primo caso ecco il progetto: mantenere scrupolosamente al loro posto e riaprire, rifacendo piedritti ed archi, le aperture antiche così del piano terreno come del primo e del secondo piano giusta le leggi del buon restauro. Aprire nell’altra metà della facciata delle finsetre euritmiche nella identica forma delle antiche segnando in una dei conci di ciascuna di quelle l’anno del rifacimento.conservare sul portone del Sanmicheli le due finestre adesso esistenti per non distruggere ogni memoria della facciata moderna e per dare luce al locale sovrastante all’andito d’ingresso, le quali due finestre non potrebbero venire abbassate per causa del timpano del cornicione della porta. Serbare i fori del terzo piano quali ora stanno, oppure trovar loro una forma, che, scostandosi meno dallo stile Scaligero, non inganni simulando una bugiarda antichità, l’occhio della persona intelligente. Rifare le merlature, deducendone il disegno dalle tracce antiche, dai merli superstiti del palazzo, da vecchi dipinti, da altri documenti.” Affrontando poi l’aspetto statico - strutturale e dell’incomodo causato dai lavori scriveva: “ così il progetto, mentre si uniformerebbe alle ragioni archeologiche, riuscirebbe nobile e regolare e degno del palazzo provinciale; né gli inconvenienti né i disturbi, cui bisognerebbe sottostare, sarebbero tanto gravi quanto paiono a primo tratto. Non sarebbe necessario toccare né i solai né i soffitti: i davanzali delle antiche finestre stanno ancora sopra i pavimenti, e basterebbe a riparo un basso parapetto che si confondesse con il serramento dell’invetriata. Nel secondo piano, il piano principale, le antiche finestre salgono con l’arco all’altezza delle finestre moderne; nel primo piano stanno con la loro serraglia circa novanta centimetri più giù. Invece di otto finsetre per piano, ce ne sarebbero sei nel primo, cinque nel secondo, ma le finestre antiche sono molto più larghe delle finestre moderne. Nessun locale resterebbe oscuro, nessun muro maestro si dovrebbe toccare. Insomma considerando il progetto con calma, si riconosce che il primo piano terreno ed il secondo piano non iscapiterebbero affatto e il primo piano scapiterebbe di poco. ” 121 Il secondo progetto invece, “ quello in cui la Provincia voglia cavarsela con un dispendio molto misurato e senza impacci di sorta nell’interno dei locali, il progetto è più semplice anzi è per l’appunto che fu già messo innanzi sotto varie forme dall’Ufficio Tecnico Provinciale. Compiere la facciata moderna con un cornicione il quale in grazia del suo stile classico, tanto potrà esprimere

121 AVENA, A., 1931, pp. 45-46. 44 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA l’arte nostra contemporanea, quanto acconciarsi a quella di ottanta anni fa senza disdire alla porta del Sanmicheli. Riattare le sagome delle finestre ove ne avessero bisogni e intonacare a nuovo, con una tinta bene intonata tutto quanto il muro di prospetto.”122 Al termine dell’enunciazione delle due ipotesi di restauro concludeva dicendo: “ se terminassi qui, non mi sembrerebbe tuttavia di aver adempiuto intieramente all’incarico ricevuto dalla S.V. Ill. e dall’On. Deputazione Provinciale. Io devo esprimere con maggiore precisione e risoluzione il mio parere. Ho più volte chiesto a me stesso che cosa farei e come voterei in questa faccenda, se avessi l’onore di essere deputato provinciale o membro del Consiglio. Ecco: mi appiglierei al primo di questi due ultimi progetti da me indicati: quello del restauro scrupoloso per la parte antica e modesto per la parte nuova. ”123 Dalla relazione traspare chiaramente la predilezione del Boito per il primo progetto, che tuttavia non fu né approvato, né tanto meno scartato, la discussione semplicemente proseguì e l’architetto fu lasciato in disparte. In una relazione del 23 marzo 1889 l’ingegner Manganotii proponeva un intervento praticamente identico a quello suggerito dal Boito, che però “ rinunziava alla porta del Sanmicheli per l’inesorabile necessità dello spazio e per quelle stesse ragioni estetiche che avevano esercitato tanta influenza anche sul Boito. ”124 La Commissione Provinciale dei Monumenti approvò questa proposta di restauro “in stile scaligero” senza il portale del Sanmicheli, ma a causa di mancanza dei fondi necessari non se ne fece nulla. Passarono altri anni, nel corso dei quali furono avanzate altre proposte, come quella dell’ingegnere veronese Arvedo Arvedi, il quale nel 1894 propose di mantenere il portale, risistemare i cornicioni delle finestre del terzo piano e di ridare malta e tinta. Tale progetto, approvato dal Consiglio Provinciale, venne però bocciato dal il prefetto Sormani-Moretti, allora presidente della Commissione dei Monumenti, il quale si oppose definendolo “ un ripiego meschino e pitocco che si voleva far passare col nome di Boito mentre equivaleva a fraintendere Boito ”, aggiungendo inoltre “ che se proprio per povertà non si può spendere la non grande somma occorrente per un restauro che conferma l’antico, almeno non si voglia imitare […]: non si distruggano i merli, per buona sorte ancora visibili nelle connessure; poiché a tanto si arriverebbe colla costruzione di un nuovo cornicione. Si conservi la facciata com’è: si risparmieranno cos’ anche le spese dell’imbiancatura e delle nuove superfetazioni e si rimandi ogni progetto a tempi migliori; non si voglia commettere la bruttura di rifare la comunissima casa

122 AVENA, A., 1931, p. 46. 123 AVENA, A., 1931, p. 47. 124 Ibidem . 45 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA o meglio la locanda del Prefetto Smancini. ” Così il 21 settembre del 1894 il prefetto chiese e ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione il decreto che vietava l’intonacatura e manomissione dei muri e la costruzione di un cornicione aggettante. 125 Nel 1900 infine, l’Ufficio Tecnico Provinciale, memore del rifiuto apposto sei anni prima alla propria proposta di progetto, lo ripropose tale e quale, stanziando una somma di 50.000 lire. Si prevedeva pertanto di sistemare la facciata stuccando la muratura a cotto, lasciando in evidenza le tracce del fabbricato scaligero e concludendo tutto sotto un cornicione neoclassico fatto a imitazione di quello del Sanmicheli sul suo portale. Il 22 gennaio del 1901 la Commissione delle Belle Arti “ pur notando la disarmonica unione di un paramento a cotto con fori e sagomature classiche, e consigliando di levare lo stemma reale dal portale sanmicheliano e di non intaccare menomamente col cornicione la pretesa merlatura. ” Seguì poi la conferma dell’ufficio regionale dei Monumenti e della Giunta superiore delle Belle Arti. Al termine dei lavori, che si conclusero alla fine del dicembre del 1902, la Commissione Edilizia, non a torto, giudicava che il restauro “non soddisfaceva né in linea storica […] né in linea estetica […]”126 e l’arguzia veronese diede all’edificio l’appellativo di “palazzo tacon.” 127 (tav. 43-44) .

125 BRUGNOLI, P., 2001, pp. 152-153. 126 AVENA, A., 1931, p. 49. 127 Tacon in dialetto veronese significa rappezzato, rammendato, tamponato provisoriamente. 46 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

VI. IL NOVECENTO.

Fu solo con l’avvento del Regime Fascista che tornò a porsi il problema di un radicale assetto del palazzo. In questo periodo il preside della Provincia, Luigi Messedaglia, decise di intervenire organicamente sul palazzo in occasione del sesto centenario della morte di Cangrande della Scala (

+1329), inaugurando nel 1928 i lavori di restauro che si conclusero dopo soli due anni, il 28 ottobre 1930. A studiare un nuovo progetto furono chiamati Antonio Avena, storico dell’arte e direttore dei Museo Civico di Castelvecchio, in qualità di direttore artistico, e Pietro Giacobbi, ingegnere dell’ufficio tecnico della Provincia. Una prima fase di interventi è da circoscrivere al 1927, anno in cui si intervenne sul portale del Sanmicheli e sull’arco detto “della tortura”. Il portale cinquecentesco del Sanmicheli, che fortunatamente non era stato obliterato dagli interventi di fine Ottocento, venne liberato dalla due goffe statue aggiunte in alto ai lati del portone sul finire del XVIII sec., fu nuovamente ornato con il leone di S. Marco, opera dello scultore Colbertardo. Venne poi ricollocata in situ l’iscrizione in lettere bronzee (M. D. IOANNE. DELPHINO. LAV. F. PRAETORE . XXX. III.) strappata durante i torbidi seguiti alle Pasque Veronesi (1797) (tav. 28) . L’ “arco della Tortura”, così chiamato perché nel XVI sec. vi si appendevano la corda e gli altri strumenti di tortura, già anticamente fungeva da collegamento aereo tra il palazzo della Provincia e il palazzo del Tribunale. In epoca veneziana, probabilmente nel corso del XVIII sec., su di esso venne alzato un piano abitativo e un secondo fu aggiunto dal prefetto napoleonico Smancini, nel 1812 (tav. 45-46) . L’abbattimento delle sopracostruzioni portò alla luce due grandi finestre scaligere del piano nobile, sopra di esse la cornice di gronda e infine la merlatura (tav. 47) . I veri e propri lavori di restauro sul palazzo cominciarono l’anno seguente, il 4 marzo 1929, e partirono dalla torre angolare tra vicolo Cavalletto e via S. Maria Antica, cioè dalla parte più antica del complesso. Antonio Avena, direttore artistico dei lavori così scriveva: “ Il nucleo più antico del palazzo prospettava su vicolo Cavalletto con una fronte che, alcuni decenni fa, fu restaurata disgraziatamente. Le tracce più belle di decorazione architettonica e figurata si sono trovate su quest’ala del fabbricato (tav. 48) . Quest’ala era ed è angolata da una casa – torre tra vicolo

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RELAZIONE STORICA

Cavalletto e via S. Maria Antica, che nella struttura del bugnato e dei muri richiama alla memoria le altre torri scaligere. Da questa torre cominciò il restauro (tav. 49) . Sul prospetto di S. Maria Antica, a dieci metri dall’angolo, si vedeva e si vede, nel muro uno stacco o taglio netto da terra alla sommità. La torre era stata mozzata, ma tardi, perché nel XVIII sec. aveva ancora l’intero ultimo piano e la merlatura (tav. 31, a) e con essa fu mozzata l’antitorre, cioè il corpo laterale che si era aggiunto anticamente per costituire due locali ad ogni ripiano. Gli elementi architettonici di questa torre sono stati ritrovati talvolta in superficie, talvolta in profondità (tav. 50-51) ; e le finestre celavano ancora nella decorazione negli sguanci la decorazione; le mensole del poggiolo angolare sono apparse spezzate sotto il paramento dei mattoni, anche all’ultimo piano, sussistevano tuttavia i monconi degli stipiti delle finestre e ne fu facile l’integrazione, dato il rapporto quasi costante tenuto dall’architettura scaligera. Il ripristino ci ha rivelato la storia intima di questa torre. Vi leggiamo espressi i due tempi della sua costruzione, sincroni a due tappe della famiglia scaligera: il nucleo inferiore sull’angolo sino al poggiolo del secondo piano risale al sec. XIII e segna gli inizi della difficile ascesa scaligera; invece le grandi finestre degli altri piani e del corpo aggiunto suscitano il ricordo del fastoso Cangrande.” Parla poi anche degli spazi all’interno della torre: “ La torre angolare […] ci ha serbato le sorprese più gradite: saloni vasti e alti, con finestre varie di forma, dimensione e sito, dai soliti archetti di scarico, sguanci decorati, ora obliqui ora diritti e spesso l’uno diritto e l’altro obliquo, scale alla castellana. I soffitti, ancora a posto, li abbiamo trovati ormai decrepiti, purtroppo; i camini demoliti; ma sui muri sgretolati si stendeva ancora la decorazione a grandi tratti, vivace di colore, fantasiosa d’invenzione (tav. 35-37). Al primo piano sono apparse tracce della decorazione trecentesca soltanto negli sguanci delle finestre e della porta; sulle pareti nel sec. XVI sec. fu sostituita una decorazione del rinascimento che nel fregio chiudeva dentro tondi il Leone di San Marco. Al secondo piano, sulle pareti delle due stanze sono dipinti dei grandi tondi, dentro i quali giocano o stelle o cerchi variopinti (tav. 52) . E questi tondi sembrano disseminati capricciosamente, e nella sala maggiore sono legati da un fastoso fregio e da un grazioso motivo geometrico. Questa decorazione a tondi è predominante. La ritroviamo disfrenare tutto il suo capriccio, un poco pirotecnico, anche nei due locali al terzo piano (tav. 53) . qualche fascia gira tutto intorno, e una reca dipinta l’iscrizione: AGOSTINUS CENDRA FU PRES. Chi sia stato Agostino Cedrata non risulta dai documenti; certo è che egli fu prigioniero in questa porre e molti altri vi furono prima e dopo di lui. Le pareti sono incise da grafiti di prigionieri che segnavano col nome spesso anche la pena .”

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RELAZIONE STORICA

Si proseguì poi su quella che originariamente era la fronte del palazzo, su via S. Maria Antica (tav. 54-55) . Avena così documentava ciò che c’era prima dei lavori e ciò che i lavori andarono a modificare: “ all’inizio del sec. XIV Cangrande costruì sulla piazzetta della chiesa la fronte del suo nuovo palazzo, appoggiandosi alla torre ampliata e sovralzata. L’edificio doveva essere a due piani , luminoso e sicuro come il dominio di quel principe dantesco. Ma l’abiezione in cui poi cadde, non suscitava più l’immagine delle “magnificenze” scaligere; il portone era stato murato e ferito da una vasta finestra rettangolare (tav. 56) , la merlatura demolita forse per agevolare lo spiovere delle acque; erano state inserite piccole finestre dentro le originali arcuate, qualcuna azzoppandola, qualche altra chiudendola, e in compenso a pianterreno e al terzo piano si erano aperte le teorie delle finestre per dar luce ai locali ricavati negli spazi degli altri. N’era uscito un edificio sordido e piatto che, piegando con la sua linea di gronda sopra l’arcone della tortura, chiudeva dentro un giro grigio di case la filigrana delle Arche (tav. 57) .” Riguardo l’opera di ripristino: “ il restauro ha ridato al palazzo la sua pristina e agile pittoricità; la riapertura del portone ha restituito la giusta orientazione, la chiusura delle finestre al pianterreno e al terzo piano ha ricostituito la forte massa alla base e al fastigio. Due sole finestre arciacute sono state lasciate sotto la cornice di gronda perché, pur essendo posteriori, sono l’indice, elegante per giunta, della prima trasformazione dell’edificio. Al primo piano sono state conservate le due finestre gotico-veneziane inserite dal podestà Contarini nel 1478 (tav. 22) . Testimoniano un’epoca di serenità nella nostra storia, ed essendo centrali, svariano la serie delle finestre e l’arricchiscono di una nota fastosa. Della merlatura furono trovati i tronconi e riscontrate le misure degli scomparti. La facciata ora ha una mole trecentesca ferrigna, saldamente angolata dalla torre, poderosa per vastità, ariosa di finestre che la incidono come una pagina musicale, asimmetriche, di varia proporzione (tav. 58) ” La fase successiva dei lavori interessò la facciata prospiciente piazza dei Signori, anch’essa più volte rimaneggiata, per non dire snaturata, nel corso della lunga storia del palazzo. Ho già detto che inizialmente, durante la Signoria di Cangrande, l’ingresso era situato di fronte alle Arche scaligere, mentre sulla piazza si snodava un corpo di fabbrica lungo 12 m. (tav. 5) , che in un momento imprecisato, quasi certamente in età scaligera, venne prolungato andando ad inglobare anche un fabbricato con loggiato terreno, dal quale era separato da uno stretto vicolo. Nel corso della dominazione veneziana, fu aperto un grande portale, che divenne l’ingresso principale del palazzo. Nel 1416 la facciata fu poi impreziosita con una loggia terrena che dalla piazza svolta su via S. Maria Antica, mentre sull’altro lato, per amor di simmetria, si crearono tre altri archi cechi.

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RELAZIONE STORICA

Nel 1553 il Sanmciheli venne incaricato di monumentalizzare l’ingresso con un portale di stile neoclassico, simile per struttura agli archi trionfali romani. Seguì poi nel corso di Sei e Settecento, un periodo di incuria o di interventi sporadici (tav. 31, a,b) , di emergenza, soprattutto all’interno del palazzo più, fino ad arrivare alla caduta della Serenissima e ai lavori condotti dal prefetto napoleonico Smancini nel 1810 (tav. 34) . Tali lavori andarono a mutare profondamente la precedente fisionomia della facciata, che acquisì un aspetto neoclassico, con la chiusura della loggia terrena e delle tre arcate cieche speculari (al cui posto vennero aperte due finestre e una porta, a sinistra e a destra del portale) e la creazione artificiosa e simmetrica di tre ordini di finestre, otto per piano. Il tutto ricoperto da un fitto strato di intonaco. Infine, i lavori condotti tra 1885 e 1902 ebbero come risultato lo scrostamento dell’intonaco al fine di reperire qualche traccia della facciata medievale (si vedevano ora i profili delle tre arcate della loggia e delle altre tre arcate cieche), e la creazione di un cornicione con grondaia, incomprensibilmente omesso dai precedenti lavori (tav. 43) . Data la complessità degli interventi effettuati nel corso dei secoli, i responsabili dei lavori, al fine di condurre un restauro il più possibile verosimile e storicamente attendibile, dovettero dedicarsi al reperimento di fonti storiche scritte, ma anche di documenti visivi delle varie epoche, che permettessero una verosimile riconfigurazione storica del palazzo. Molto utili in questo caso furono alcuni dipinti, in particolare Cinquecenteschi, e alcune stampe, con soggetto il palazzo. Il primo a raffigurare tale soggetto fu Nicolò Golfino (1476-1555), il quale, incaricato di rappresentare il martirio di S. Agata , immaginò che la Santa attraversasse nuda la piazza dei Signori per essere poi condotta nel palazzo de Comune (tav. 59) . Nel dipinto si vede da un lato la Loggia del Consiglio, da poco edificata (fine del Quattrocento), dall’altro il palazzo del Capitanio, ora del Tribunale, e sullo sfondo il palazzo del Podestà, che fin da allora aveva subito alcune modifiche. Ancora privo del portale del Sanmicheli, si nota che le tre arcate cieche erano già scomparse ed al loro posto c’erano due finestrine rettangolari, forse destinate ad illuminare la Cappella interna di S. Sebastiano, mentre la loggia terrena risultava essere riparata da una balaustra. Nonostante manchi una qualsiasi indicazione di un terzo piano e tutta la composizione appaia eseguita con una certa libertà pittorica, tale documento fu molto prezioso e permise di ipotizzare quale fosse la fisionomia del palazzo al termine del primo secolo di dominazione veneziana. La facciata è raffigurata quasi identica in un'altra interessante opera del Giolfino, da poco emersa dal mercato antiquario londinese, il sacrificio di Muzio Scevola (tav. 60) , A differenza

50 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA del martirio di S. Agata, qui viene omessa la merlatura mentre l’arco “della tortura” è dotato di una balaustra, che effettivamente doveva avere. Dopo il Giolfino nessuna altro pittore ha riprodotto il palazzo del Podestà così compiutamente. Nel 1543 Francesco Torbido, nel ritratto del conte Giusti, riprodusse tutta la fronte del palazzo dl Capitano e l’arcone e l’angolo del palazzo del Podestà, con un’arcata della loggia terrena ed il poggiolo del primo piano (tav. 61) . L’anno successivo, il 1544, Antonio Badile, dipingendo per la chiesetta di S. Spirito una Vergine in trono con i S.S. Pietro e Andrea (tav. 62) , usò lo stesso scorcio, ma fortunatamente l’angolo del palazzo è riprodotto fino ai merli. Sante Creara, verso la fine del XVI sec. nella Consegna delle chiavi di Verona a G. Emo , ora conservato presso la Loggia del Consiglio, dipinse lo stesso angolo con gli stessi elementi, ovviamente con qualche piccola variazione. La stessa veduta, seppur senza alcuna precisione o indizio utile dal punto di vista architettonico, venne ripresa verso la metà del Cinquecento anche da Paolo Caliari, detto il Veronese, in una teletta intitolata Ester condotta ad Assuero (tav. 63) . Due piccole stampe della seconda metà del XVIII sec., già viste precedentemente, riproducono tutta la piazza, compreso, sullo sfondo, il palazzo del Podestà. In queste, al pianterreno, alla sinistra del portale del Sanmicheli, si nota una porticina, probabilmente appartenente alla cappella di San Sebastiano, mentre a destra è ancora aperto il loggiato terreno, sopra al quale corrono due poggioli, l’uno con tre finestre arcuate, l’altro con una sola finestra e una porticina quadrangolare. Interessante notare inoltre che dal poggiolo superiore, una breve rampa di scale saliva verso l’arcone “della tortura” che appare rialzato da una sopracostruzione e comunica, con il palazzo del Capitano. Analizzando le incisioni l’Avena aggiunge inoltre che “ molte finestre sono aperte nel muro capricciosamente, senza simmetria. Numerose sono le alterazioni nei tre piani e non le credo dovute al capriccio dell’incisore perché nella riproduzione degli altri prospetti egli è abbastanza preciso. Il palazzo era dunque ridotto ad avere una caotica distribuzione degli elementi architettonici. ”128 In realtà, il restauro novecentesco della facciata, nonostante le indicazioni iconografiche, fu abbastanza arbitrario. Più che mai qui, ma anche in altre parti del palazzo, si optò infatti per un rifacimento “in stile” con i criteri che pochi anni prima erano stati adottati dallo stesso Avena anche per la ricostruzione di Castelvecchio. Così Alberto Grimoldi ne scriveva: “ Le fotografie

128 AVENA, A., 1931, p. 43. 51 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA precedenti l’intervento e la relazione dell’ingegner Giacobbi, il progettista dei veri e propri lavori edili, chiariscono meglio in cosa consista l’originalità di Antonio Avena. Il palazzo viene sventrato , secondo una prassi perfezionata ed estesa nel secondo dopoguerra, i solai lignei vengono sostituiti con una orditura metallica ancorata a grossi pilastri in muratura disposti lungo i muri perimetrali e i muri di spina conservati, e su questi, come nell’edilizia residenziale del tardo Ottocento, viene montata un’orditura lignea, decorata e ricoperta dai resti degli antichi solai. Degli intonaci sopravvivono i soli lacerti con affreschi medioevali e, in misura minore, cinquecenteschi. L’impiego di pezzi estirpati, o semplicemente acquisiti in altri luoghi di Verona, la vera da pozzo di palazzo Paletta, lo stemma scaligero offerto dai Giusti, confermano che è stato perseguito un effetto meramente scenografico, che si è voluto ricomporre in unità ciò che nel secolo precedente si sarebbe accettato, obtorto collo, come frammentario. Allora però i lacerti sarebbero stati ricomposti on edificio, con grande, anche se discutibile rigore tecnico costruttivo e non semplicemente appoggiati ad una diversa costruzione. ” 129 Come si evince dal testo, i commenti dei contemporanei sul risultato del restauro, non furono sempre lusinghieri. Per questo Avena, una volta terminati i lavori, per documentare il proprio operato e motivare le scelte fatte scriveva: “ Occorreva togliere alla fronte i piazza dei Signori l’aspetto piagato; perciò primamente furono rimesse in funzione le architetture originali venute in luce, cioè le arcate della loggia veneta con la loro massa d’ombra , le balconate del primo e del secondo piano, le arcate cieche a sinistra; poi fu segnata la linea di gronda a limite delle case aggiunte e sopra si fece correre la merlatura ricostruendola sul modello di quella esistente nel fabbricato contiguo; infine, per corrispondere alle necessità degli edifici, furono integrate le architetture originali con nuovi elementi architettonici esprimendoli col minimo rilievo, ma con sincerità inequivocabile (tav. 64) . La conservazione in loco delle lapidi scalpellate testimonia lo scrupoloso rispetto osservato per ogni vestigio, e poiché difficilmente gli occhi arrivano a leggere le scalpellature, riferirò che la più piccola e alta ricorda DELPHINUS DELPHINO PRAETOR M.D.XLIII; la maggiore e più in basso reca la data M.D.L. la struttura della fronte è salda, massiccia e la corona dei merli […] si propaga oltre i limiti della piazza sino alle case più lontane (tav. 65) . Il lungo poggiolo scaligero del piano nobile, dalla ringhiera agile ed elegante, è la nota mediana di gran voce che corre sino all’angolo, sino alla loggia; sotto di esso tre finestre, anch’esse scaligere,

129 VECCHIATO, M.S., 2001, p. 187. 52 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA vengono attraversate dal bianco poggiolo cinquecentesco, elemento di grazia in tanta austerità (tav. 66) ; a piano terra la loggia aperta è un magnifico dono fatto ai cittadini […] . A riscontro di questa loggia, le tre arcate venete sono state messe in pristino come le avevano costruite i Veneti, per solo scopo di equilibrio architettonico; in mezzo, sul portale sanmicheliano che la Repubblica Veneta eresse nel 1553, il Leone di San Marco, opera di Vittorio di Colbertaldo, è tornato con la prepotenza degna della Serenissima in una città di tradizioni imperialiste. Ardua prova era quella di fondere insieme queste reliquie di varie opere e permettere inoltre che la pienezza della vita ritornasse nel palazzo sede del governo; ma forse alla piazza che è detta dei Signori è stato restituito il crisma della signoria; signoria d’arte e d’ospitalità.” 130 In particolare, riguardo la restituzione della loggia veneta proseguiva dicendo che “ l’opera d’indagine rivelò quanto erta stata spietata la deturpazione (tav. 67) ; ma fu anche feconda di buoni risultati, perché ha restituito il soffitto a travature mirabilmente conservato con gli stemmi veneto dei rettori Zorzi e Morosini nel 1419 e ha dimostrato intera l’architettura e persino gli spunti della decorazione pittorica […] (tav. 20) . Una lapidino ricorda il costume veneto delle denunce segrete; tre altre epigrafi commemorano il plebiscito veronese del 1866, quello nazionale fascista del 1929 e l’inaugurazione del ripristino del palazzo. Quest’ultima è stata dettata dl prof. Fajani e dice: DOMICIULIUM VERONENSE IMPERII / AEDES OLIM SCALIGERAE / QUAS FAMA DANTIS HOSPITIS CIRCUMVOLAT / ANNO DOM. MCMXXX / VIII AB ITALIA PER FASCES RENOVATA / VICTORIO EMMANUELE III REGE / BENITO MUSSOLINI DUCE / ALOYSIO MESSEDAGLIA PROV. PRAESIDE / VETUSTI AEDIFICI RESTITUTORE.” Gli interventi coinvolsero anche l’interno del palazzo. Si intervenne sull’atrio di Cangrande I o “delle colonne”, anche questa volta ampiamente documentato dall’Avena, che scrive: “ il palazzo di Cangrande I aveva la fronte su S. Maria Antica; ma a poco a poco la vita dell’edificio fu orientata su piazza dei Signori e, murato il portone nel sec. XVIII (tav. 68) , si occupò il piano terreno con vari uffici, intersecando con muri gli spazi (tav. 69) , rompendo le stesse arcate, e persino togliendo di sotto alle spalle d’imposta le colonne ed i pilastri. Qualche traccia di ghiere e di soffitti faceva intravedere l’antica struttura; ma quando furono abbattute le pareti divisorie, si rivelò impressionate lo sfacelo strutturale dell’edificio. Lo si è ricomposto con ogni amore. Fu ribassato il livello del suolo (tav. 70) , fu rinforzata con un sottarco la saldezza degli archi, fu rivivificata e

130 AVENA, A. 1931, pp. 49-50. 53 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA compiuta la decorazione. Il soffitto è a travetti su modiglioncini e mostra una decorazione cinquecentesca; ma sotto di essa spia vivissima la decorazione trecentesca. Così sulle pareti vi sono due strati decorativi: il più antico a libere volute con fiorami vivaci, il secondo a riquadri d’intonazione dorata. Ma il senso originario del colore di questo atrio ci è suggerito in modo particolare dal capitello mediano che la pietra tutta decorata in bianco, rosso e verde (tav. 8) […] . quell’atrio, nei documenti, si suole chiamare con il nome pittoresco di “loggia delle colonne” […] veramente ospitale per grandiosità, quanto suggestivo per intersecazioni di linee e d’ombre; ha il mistero delle cripte e il lusso coloristico dei colonnati arabi (tav. 71) . Molto opportunamente in questo atrio una sola parola è stata scritta ed è dantesca: il ricordo dell’ospitalità scaligera consacrata nella terza cantica della Divina Commedia (tav. 72) . Lo scavo ridiede alla luce anche due memorie romane, quasi a esprimere il fondamento della nostra civiltà; una lapide con l’epigrafe, mutila: V M I / I A P • F / SORO / N / N P /. Gli scaligeri la distesero a terra a sostenere il peso dell’arcata mediana. Nello sterro fu trovato anche un fascio littorio che venne infisso nel muro, e un rocco di colonna. Nel porticato vicino, accanto alla finestra della torre, la munificenza del Co. Giovanni Giusti ha permesso che fosse posto lo stemma scaligero ch’egli conservava nel suo giardino. Dalla documentazione dei lavori eseguiti non risulta che si interenne strutturalmente né nell’atrio cinquecentesco sottostante il portale del Sanmicheli (tav. 73) , né nel loggiato romanico retrostante “ dalle volte a crociera con conci ben congegnati, secondo la bella tecnica del murari del XII sec. […] con le arcate basse e potenti che sono cieche, perché una grossa rifoderatura di muro fatta sull’esterno aveva servito agli Scaligeri a rialzare la fabbrica sino al livello del palazzo delle Arche.” 131 Avena ipotizza che questa loggia terrena romanica possa corrispondere a quella della casa con loggiato inglobata dal palazzo in una data imprecisata e sostiene che, insieme alla torre su vicolo Cavalletto, sia la parte più antica del complesso. 132 Per quanto riguarda i porticati sul cortile inferiore interno egli spiega: “ il cortile del palazzo di Cangrande aveva le colonne dentro le fosse e le arcate apparivano tozze per il sopralzo del terreno. La facciata interna aveva subito un’architettura pseudoromanica (tav. 74-75) di cui rimangono saggi pietosi in altri edifici medievali veronesi. Al di sotto di questo paramento architettonico si sono scoperti i contorni delle finestre e balconate scaligere. Verso il cortile, il palazzo non aveva

131 AVENA, A., 1931, p. 53. 132 Ibidem. 54 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA originariamente il porticato; ma i due ordini di loggiati che adesso si vedono, dovettero esservi aggiunti abbastanza presto, specialmente quello terreno che pare quattrocentesco (tav. 76) . Così dicasi del porticato che, fiancheggiando l’ala del palazzo, si appoggia alla Loggia Barbaro. Raggiungendo il livello originario del terreno, le arcate hanno riavuto la loro proporzione di linee e tutto il cortile ha guadagnato un aspetto di armonia e di decoro. La scoperta della canna del vecchio pozzo sull’angolo della Loggia Barbaro spinse a ricercare nella città una di quelle viere che i nostri padri mettevano nelle case o nelle piazze con tanto senso di bellezza; e nella casa dell’Istituto Don Mazza in Stradone Duomo n. 6, una se ne trovò con lo stemma Dandolo che fu ceduta e posta in opera (tav. 77) . La scalinata che vi conduce ha risolto elegantemente il problema del dislivello tra i cortili (tav. 78) . La loggia aperta del primo piano sostituisce vantaggiosamente la precedente che si sfasciava. Su di esse guardano porte e finestre, scaligere e classiche (tav. 79-80- 81) . Le scaligere sono state accuratamente ricomposte; le classiche vi sono state portate dalla sopracostruzione del secondo piano. Negli archi recano scolpiti i nomi di Giudici, sotto gli auspici dei quali furono costruite (tav. 21) . L’una dice: SUPERAN BRIXIA IUD REG / IUL ROVEL IUD GRIFFONIS / MDLXIX/, l’altra: MATTH FORCAT III VIC MDLXIX / IO FRAN TRINCAVEL IUD MAL /. Qualche residuo d’affresco religioso, qualche stipite o ghiera d’arco spezzato, lo stemma Tron mutilato sono le reliquie emerse e gelosamente salvate .” 133 Per quanto riguarda infine gli altri ambienti, sale e stanze leggiamo: “ le altre stanze non rivelarono notevoli tracce di decorazione, perché troppo insistette su quei poveri muri l’oltraggio dei manomissori. Ma la sala, ora addetta all’Archivio di Prefettura al primo piano, oltre a un buon soffitto cinquecentesco, mostra tutto intorno i resti di una triplice decorazione; la più antica a grandi fasce e dischi, analoga a quella già ritrovata nella torre, la seconda quattrocentesca di cui rimangono tra le due finestre gotico-veneziane alcuni elementi intorno agli stemmi. La terza, cinquecentesca a figure, è di tipo Farinatesco. La sala d’angolo al primo piano, tra piazza dei Signori e l’arcone, ha rivelato nei muri fra le balconate due finestrucole cieche a forma di feritoia, sormontate da un archetto trilobato; nello spessore del muro il vano si allarga, abbastanza profondamente, ma è cieco. Non si sa a quale uso servissero. Qualche altro elemento interessante affiorò anche nelle altre stanze del primo piano e precisamente negli uffici del R. Prefetto: nell’anticamera una Madonnina cinquecentesca; poi in questo e negli altri locali: finestre e porte

133 AVENA, A., 1931, pp. 53-54. 55 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA scaligere, rozze o rifinite, a feritoia o riquadrate, perfino una bella finestrina romanica a tutto sesto nel locale che sovrasta la loggetta, pur romanica, del pianterreno. Una bella porta centinata del rinascimento, trovata scomposta nella cantina, fu riusata a sfondo del corridoio. Al secondo piano nel salone centrale di rappresentanza l’on. Bruno Bresciani ha donato un elegante camino del rinascimento con gli stemmi di Serego e Alighieri. È il gioiello del salone. Al terzo piano, una fascia decorativa in un ufficio prospiciente il cortile indica l’altezza a cui dovevano giungere i saloni del secondo piano, quando il palazzo serviva da residenza principesca e non a sede di uffici. Finalmente nel sottotetto un frammento decorativo a volute floreali, trecentesco, segna l’altezza dell’edificio verso la piazza dei Signori.” Infine Avena aggiungeva: “ Gli altri elementi decorativi che hanno ridato decoro alla scala (tav. 82) , alle sale, sia di rappresentanza sia di ufficio (tav. 83) sono delle intonazioni, alle quali ho anche cercato di accordare con speciali progetti pavimenti, soffitti, mobili, lampadari, copriradiatori ecc. forse non c’è un’invincibile inimicizia neanche tra le necessità moderne e la bellezza antica! Ma nell’appartamento prefettizio, ricavato in un lato del palazzo dove non era apparsa la più lieve reliquia di antico, era opportuna che una sana modernità imprimesse il suo segno. Perciò la decorazione e l’ammobigliamento di questo appartamento furono esclusivamente di stile moderno (tav. 84). ” Si può anche annotare che, tra i decoratori di sale e corridoi del palazzo, non mancarono nomi di artisti veronesi di valore. Fu lo stesso Antonio Avena a sceglierli e a sollecitare, in due documenti datati 30 giugno e 10 luglio 1930, il pagamento dovuto ad ogni singolo artista 134 Queste bolle, oltre a darci un’idea del compenso pattuito, ci permettono di identificare il nome dell’artista e la parte del palazzo da lui decorata. In data 30 giugno 1930 leggiamo quindi che: “ al pittore Albino Siviero L. 3.300 per la decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco nel locale a destra dell’anticamera destinata a gabinetto di lavoro di sua ecc. il prefetto; al pittore Alfredo Ambrosi L. 3.000 per il lavoro di decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco per l’ufficio del capo di gabinetto; al pittore Angelo Zamboni L. 6.100 per il completamento del porticato nell’angolo di piazza Signori con via Arche; al pittore Vittorio Bagattini L. 3450 per il lavoro di decorazione del nuovo loggiato al primo piano degli uffici di Prefettura; al pittore Bruno Mastacchi L. 4.000 per il lavoro di decorazione dei soffitti in legno e pareti al terzo piano dei quattro uffici di piazza dei Signori e del corridoio centrale; al pittore Ferruccio Bragantini L. 5.200 per i soffitti in legno e le

134 ASAPVr, 1926-1930, cat. X, spec. 6

56 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA pareti dell’atrio di via Arche e del salone al secondo piano; al pittore Guido Farina L. 3.500 per la decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco del corridoio degli uffici di Prefettura al primo piano; al pittore Paolo Richelli L. 3174 per decorazione pareti e soffitti in legno uffici terzo piano.” In data 30 luglio 1930: “ al pittore Giuseppe Zancolli la decorazione del soffitto in legno a tempera e delle pareti a fresco del salone al primo piano in angolo verso il Tribunale, L. 3.670; al pittore Benvenuto rocca la decorazione del soffitto e delle pareti della locale torre e dell’antitorre al terzo piano, L. 3900; al pittore Gianni Casarini per la decorazione del soffitto in legno e pareti a fresco del porticato sul cortile parallelo a piazza dei Signori L. 2.250; al marmista Enrico Bragantini per la provvista delle colonne e dei pilastri completi occorsi nel porticato e nell’atrio del pian terreno e nel nuovo loggiato ed inoltre per le riparazioni e completamenti del colonnato su piazza dei Signori e per lo zoccolo occorso al muro di cinta delle Arche, L. 19.800 .” 135

Ritengo poi interessante riportare alcuni passi della relazione “tecnica” relativa ai lavori sul palazzo, stesa dall’ingegnere Giacobbi. “ SOTTOMURAZIONI. Si doveva ridare saldezza ad un assieme di murature che ormai non davano certezza di stabilità; si avevano locali distribuiti in modo caotico, con solai siti a quote diverse nello stesso piano del fabbricato, e portati da travature di legno, delle quali molte spezzate e da tempo puntellate (tav. 85-86) ; le aperture di porte e di finestre erano solo ricche di crepe e di gravi distacchi di murature. Una perizia di spesa avrebbe dovuto considerare tutto questo lavoro incerto e vasto, ma tutte le incognite vennero risolte nei quindici mesi di durata del lavoro. Le prime cure si rivolsero alla torre, struttura alta, dominante sull’angolo di vicolo Cavalletto con S. Maria Antica. Questa torre aveva troppe crepe in ogni piano; al terzo piano era poi in sfacelo. Ovunque tagli per camini, tagli per fori di nuove porte e di nuove finestre. Nell’assieme, non v’era nessuna certezza sulla bontà delle fondazioni e si temeva che fossero insufficienti. Infatti le fondazioni non c’erano che in forma troppo ridotta, sia in altezza che in ampiezza. Solo v’era ben consolidato, con grossi blocchi di pietra, lo spigolo della torre all’angolo di vicolo Cavalletto. Tutti gli altri muri maestri della torre e del fabbricato della Signoria, non posavano che su di un mal sicuro piano di terriccio. Questo terreno, che in origine, avrebbe permesso di appoggiarvi solo una costruzione di ben limitata elevazioni, ora, invaso dalle acque superficiali e da acque di fogna stagnanti tutto all’intorno, non aveva ormai nessuna consistenza.

135 VECCHIATO, M.S, 2001, p. 188. 57 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Un sicuro piano di posa del fabbricato, si trovò ad una quota di ben metri 5.50 sotto il piano stradale di via S. Maria Antica, e ciò riferendoci all’asse della soglia del cancello di ingresso al fabbricato su detta via. A quella profondità un alto strato di ghiaie frammiste a grossi ciottoli, stava disteso e lo si trovò presente in ogni sottomurazione. Il torrione, che doveva raggiungere a lavoro finito i trentun metri di altezza sulla quota stradale, richiese una solida base di appoggio che partì sul piano di ghiaia con una larghezza di tre metri e che si elevò a riseghe . Fu questa una costruzione che richiesta tanta attenzione e fu lavoro lungo e difficile e rischioso, perché il sottomurare questi muri vecchi, sebbene di forte spessore, era cosa pericolosa data la loro ruina. Fu necessario ricorrere a puntellature numerosissime ed a sbadacchiature solide. Ai piani inferiori vennero completamente chiusi tutti i fori di finestre e di porte, ricorrendo alla costruzione di grossi muri di mattoni con ottima malta cementizia. La torre fu alleggerita in alto, con la demolizione del tetto e di quelle parti di muro più pericolante per le lesioni ben manifeste. […] Ogni precauzione possibile fu attuata con volontà di completa responsabilità. Perciò il tozzo torrione fu coronato da solide ed alte impalcature, che dovevano impedire la caduta in strada e sulle arche anche dei più minuti pezzi di muratura. […] sui muri perimetrali della Torre e sui muri maestri del Palazzo Scaligero, le sottomurazioni vennero lentamente eseguite e risultarono compiute dopo cinque mesi di lavoro. Venne fatto largo impiego dell’ottimo cemento granito di Tregnago. IL CONSOLIDAMENTO DELLE MURATURE MAESTRE. Compiuto il lavoro sotterraneo, si pensò al consolidamento delle murature maestre: così si principiava il ripristino artistico del Palazzo Scaligero in accordo col Prof. Avena. Collegate con cura amorevole ed attenta le tracce sicure della vecchia architettura; completate le tracce dei fori di finestra sulle facciate che nei tentativi precedenti di ripristino si erano fortunatamente salvate da una irreparabile distruzione, il ripristino ha potuto ridare organico nei suoi piani l’originario Palazzo Scaligero. Fu particolare cura della Direzione dei Lavori quello di renderlo il più possibile adatto ad uffici della R. Prefettura e di ridare sale ospitali in questo Palazzo. Con viva attenzione vennero consolidate le murature maestre: le aperture originali si riaprirono; quelle false, che in tempi recenti si erano aperte, con tanto danno per una buona solidità delle murature, si richiusero. Grossi blocchi di solida muratura nuova, collegati da alte piattabande in cemento armato, correnti senza interruzione ai vari piani e su tutte le murature maestre, formarono la struttura portane del fabbricato, che cos’ oggi risulta come scomposto coi suoi muri in tanti riquadri, individuabili nelle grosse linee dei piani di ricorrenza dei solai e dalla pilastrate portanti le pesanti travi dei ferro delle impalcature nuove. Ne

58 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

è così risultata una vera costruzione moderna asismica. Mentre tanto lavoro di consolidamento veniva eseguito, il fabbricato continuava ad ospitare la quasi totalità degli uffici di Prefettura poiché solo una piccola parte ebbe a peregrinare, e per breve tempo, in altro luogo. Certo devesi riconoscere che l’occupazione continuata del fabbricato fu causa di qualche lentezza nel rapido sviluppo dei lavori di ripristino, poiché non si poteva trascurare la vita di coloro che occupavano il fabbricato o vi accedevano ogni giorno. Gli uffici, in corso di lavoro, ebbero a passare in più riprese da un lato all’altro del fabbricato, con dura e lodevole prova di adattamento degli stessi impiegati di Prefettura. […] I SOLAI VECCHI E NUOVI. Tutti i solai si dovettero demolire, e quelli artistici vennero amorevolmente raccolti e ricomposti in luogo. Le travi in posto erano in pessime condizioni di resistenza. Dovevano e avrebbero potuto servire per carichi tanto minori di quelli a cui sarebbero stati assoggettai. I carichi eccessivi a cui erano state sottoposte, le avevano o spezzate o rese inservibili. Si trovò, demolendo i solai, che in più locali due o tre pavimenti stavano sovrapposti l’uno all’altro come se nessun danno alla stabilità di essi avrebbe prodotto il lasciare il pavimento vecchio sotto a quello nuovo (tav. 87) . Fu questo certo uno stratagemma economico di incosciente direttore d’arte. E dove non si trovarono più pavimenti a ridosso, fu trovato che al forte cedimento dei solai., per la troppa freccia delle travi maestre, si era ottenuta la livellazione dei pavimenti con riporti di grossi strati di pesanti calcinacci. Spessori di oltre venti centimetri di calcinacci vennero tolti nei solai dei vari piani, ed un migliaio di grossi carretti carichi di tanta abbondanza vennero scaricati in Adige. I solai vennero ricostruiti. Vennero impiegati come travature maestre, alte travi in ferro di profilo Differdfangen e su di esse si posarono travetti di legno ben rifilati, onde formarvi la travatura minore. Si ricostruirono così i solai in legno, che i nostri artisti veronesi poi decorarono. Ora si hanno dei solai che possono resistere anche ad eccezionali affollamenti che possibili avvenimenti politici potrebbero causare in Palazzi chiamati ad uso tanto importante. Ora non si sa più ricordare la lunga serie di stanzuccie che ai vari piani si succedevano buie e senza disimpegno. Oggi ogni pavimento ha ripreso la quota che aveva avuto in origine, poiché i mozziconi delle mensole in vivo delle travature di un tempo e le pitture salvate a tratti e riscattate dagli spessi intonaci recenti, ci hanno dato quelle quote senza dubbi e con logica conferma.” 136

136 GIACOBBI, P., 1931, pp. 60-64. 59 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

Questo restauro tanto discusso, l’ultimo nella lunga storia del palazzo, chiudeva definitivamente un’epoca, quella dei restauratori alla Viollet-le-Duc, alla Boito o alla Feltrami, un’epoca nel corso della quale amministratori e operatori culturali delle città d’Europa furono pervasi dall’idea di ridare ai vari centri storici un volto medievaleggiante. L’ultimo di questi cultori di un passato ormai remotissimo, nel clima dei vari modernismi, razionalisti e fascisti, fu appunto Antonio Avena, fedele ad una cultura che era stata la sua e che si andava velocemente appannando per il sopraggiungere di nuove tendenze, fra cui quelle legate ai movimenti avanguardisti e futuristi. “Anche ai merli irti e sgraziati del palazzo scaligero di piazza Dante ci si abituerà, non temete. Adesso, è vero, sembrano ritagliati nel cartone da un’innocente mano infantile, ma con il tempo. Gli “esperti” che hanno pensato e diretto il così detto ripristino non possono essere tanto innocenti con tutti i peccatacci che hanno sulla coscienza. La costumanza è caduta in disuso e adesso dal cervello degli archeologi e dei sovrintendenti scaligeri non esce più nulla bell’e fatto, neppure una facciata del Trecento .” 137

137 VECCHIATO, M., 2001, p. 163. 60 PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO , ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E ALL 'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI

RELAZIONE STORICA

INDICE DELLE ABBREVIZIONI.

ACC. Atti della Commissione Conservatrice dei monumenti e oggetti d’arte e d’antichità “Foglio periodico della Prefettura di Verona” dal 1877 al 1885. ACP. Atti del Consiglio Provinciale di Verona dal 1867 alla soppressione fascista del Consiglio. ASAPVr. Archivio Storico dell’Amministrazione Provinciale di Verona, aa. 1926-1930, cat. X, spec. 6. ASVr. Archivio di Stato di Verona AACVr. Antico Archivio del Comune di Verona.

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