Langobardia Minor, Secoli IX-XI Persistenza E Trasformazione Dell'identità Longobarda Tra Confronto Politico, Pratiche Giuridiche E Memoria Storiografica

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Langobardia Minor, Secoli IX-XI Persistenza E Trasformazione Dell'identità Longobarda Tra Confronto Politico, Pratiche Giuridiche E Memoria Storiografica Corso di Laurea magistrale in Storia dal medioevo all'età contemporanea Tesi di Laurea Langobardia minor, secoli IX-XI Persistenza e trasformazione dell'identità longobarda tra confronto politico, pratiche giuridiche e memoria storiografica. Relatore Prof. Stefano Gasparri Laureanda Giulia Zornetta 811003 Anno Accademico 2011 / 2012 Introduzione L'oggetto della presente tesi è la persistenza e la trasformazione dell'identità longobarda nell'Italia meridionale, ovvero come la ricca tradizione del Regnum Langobardorum venga ripresa dopo il 774, cioè dopo la caduta di quest'ultimo nelle mani dei Franchi, dal ducato di Benevento e qui riabilitata, oltre che progressivamente trasformata, in funzione delle nuove esigenze – sociali e politiche – del Mezzogiorno longobardo. Questo processo ha dunque inizio con la seconda metà dell'VIII secolo ed arriva a compimento tra IX e X secolo, per poi archiviarsi definitivamente con la conquista normanna dell'Italia meridionale, avvenuta nel secolo XI per mano delle famiglie Drengot e, soprattutto, con gli Altavilla. A tale proposito si sono prese in esame essenzialmente tre tipologie di fonti, ovvero quelle cronachistiche da un lato e quelle documentarie e legislative dall'altro. Le prime hanno consentito un'analisi degli aspetti riguardanti la costruzione sociale della memoria storiografica – un processo che ha sede soprattutto negli ambienti colti ed in primo luogo a Montecassino – e, accanto a ciò, di quelli relativi alla rappresentazione del potere, con una particolare attenzione per quanto riguarda il ruolo del principe e quello del palatium. L'autorità principesca viene infatti messa in scena dagli autori delle cronache all'interno del peculiare contesto politico del principato – dall'849, dei due principati, quello di Benevento da un lato e quello di Salerno dall'altro – lasciando scorgere in controluce sia la sostanziale tenuta pubblica dell'organizzazione statuale, al vertice della quale vi erano infatti sempre il principe ed il palazzo, sia la forte competizione interna per il potere, soprattutto durante i primi secoli, la quale sarà alla base della guerra civile intra-longobarda, lungamente protrattasi durante il secolo IX e fortemente biasimata da Erchemperto nella sua Ystoriola. Le fonti legislative e documentarie, che risultano peraltro parecchio abbondanti, considerato il periodo, grazie a quanto conservato nei ricchi archivi dei monasteri meridionali, hanno consentito alcune osservazioni a proposito, ancora una volta, della rappresentazione del potere principesco, in particolare attraverso le oscillazioni delle titolature, ma anche – e soprattutto – una riflessione sulla pratica del diritto, che intendeva ricollegarsi direttamente a quello della grande tradizione dell'editto di Rotari. La questione dell'identità longobarda, declinata qui dunque nei tre poli della memoria storiografica, della pratica del diritto ed, infine, del confronto politico – interno, tra Longobardi, 1 ed esterno, con i Franchi, i Bizantini ed i Saraceni – viene inoltre arricchita dall'analisi delle fonti narrative che osservano l'Italia meridionale da fuori e che fanno riferimento, sebbene molto raramente, ai Longobardi meridionali ed alle vicende che li vedono coinvolti. La prospettiva esterna ha permesso dunque di precisare, tra gli altri, il fondamentale atteggiamento dei Franchi verso il principato di Benevento ed ha inoltre posto in evidenza il forte interesse dell'area laziale verso il vicino Mezzogiorno. La tradizione narrativa qui elaborata, tramandata in modo particolare nel secolo XI da Benedetto del monastero di Sant'Andrea del Soratte, si ritrova inoltre in area bizantina, negli scritti dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito, ed evidenzia quindi peraltro gli stretti legami che intercorrevano tra Roma e Bisanzio. L'analisi della persistenza e della trasformazione dell'identità longobarda nell'Italia meridionale viene dunque qui portata avanti sulla base di tali differenti tipologie di fonti e scandita a partire da queste, le quali, a seguito della loro individualità, hanno saputo fornire punti di vista differenti, talvolta anche difficilmente integrabili. Ciò che appare sullo sfondo è comunque, lungo l'arco cronologico qui preso in esame, la complessità della società e della struttura politica del Mezzogiorno longobardo, i suoi differenti legami con il mondo mediterraneo e con quello invece più strettamente europeo, la sua riconoscibile originalità culturale. Questo contesto, nonostante la ricchezza delle fonti documentarie e cronachistiche dell'area, non ha affatto trovato numerosi interpreti2, probabilmente anche in ragione del fatto che la storiografia ha tradizionalmente preferito concentrarsi sul periodo dell'unità normanna piuttosto che su quello della divisione e del “particolarismo” precedente. L'analisi seguente vuole quindi anche riportare l'attenzione su tale elaborata esperienza, così spesso lasciata a margine nonostante la sua inconfutabile ricchezza. 2 La stagione di ricerche sul Mezzogiorno longobardo fu infatti aperta da Nicola Cilento, il quale, sebbene abbia avuto il pregio di porre l'attenzione sull'Italia meridionale pre-normanna, faceva leva su categorie storiografiche superate e sul desiderio malcelato di ricollegare il suo Mezzogiorno al più vasto Medioevo europeo, spesso soprassedendo sulle peculiarità vivissime del contesto meridionale. Agli studi di Cilento ed in opposizione ad essi si collocano quelli, recenti, di Vito Loré, il quale, al contrario, mette in evidenza proprio l'originalità della struttura socio-politica del Mezzogiorno longobardo. La ricca cronachistica meridionale ha invece avuto maggiore attenzione, anche a seguito dell'importanza rivestita in quest'ambito da Montecassino, ma le riflessioni a questo proposito non sono state sempre e ugualmente acute e pertinenti. Si rimanda alla bibliografia – ed anche alle discussioni successive – per quanto riguarda questi riferimenti. 2 Parte prima. La storiografia del Mezzogiorno longobardo. 1. La storiografia meridionale I. Cronicae Sancti Benedicti Casinensis3 La compilazione che viene qui chiamata complessivamente Cronicae Sancti Benedicti Casinensis è un'opera anonima che narra - in tre diverse sezioni - le vicende che hanno interessato l'Italia meridionale sino alla discesa di Ludovico II. Le tre differenti parti potrebbero essere, secondo alcuni, state composte da distinti cronisti e successivamente riunite insieme da un'altra persona oppure, secondo altri, essere state redatte dal medesimo scrittore in tre momenti diversi4. Il fatto che Montecassino abbia in tutte le sezioni un ruolo rilevante, insieme alla collocazione del testo nel codice Cassinese 175, i cui ruolo e posizione verranno approfonditi successivamente, induce comunque a supporre con un certo margine di credibilità che il cronista o i cronisti fossero monaci di questa abbazia5. Il manoscritto che riporta questo testo è appunto il 175 dell'Archivio della Badia di Montecassino (ff. 267-282), un codice in littera beneventana risalente all'inizio del X secolo, ovvero al periodo 3 Si accetta qui il titolo – e la connessa volontà di sottolineare il carattere frammentario, tripartito, della compilazione - attribuito a questa cronaca da Luigi Andrea Berto nella recente edizione in collaborazione con Walter Pohl (Cronicae Sancti Benedicti Casinensis, ed. a cura di L.A. BERTO, Società Internazionale per lo Studio del Latino Medievale, Firenze 2006, p. XXVIII). La cronaca si trova tuttavia più comunemente denominata secondo la dicitura dei MGH (Chronica Sancti Benedicti Casinensis, ed. G. WAITZ, MGH Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannover 1878, pp. 467-489). Nessuna parte delle Cronicae presenta infatti un prologo o una dedica da cui evincerne il titolo e solamente per la terza sezione il manoscritto propone la titolatura “Cronica de monasterio sanctissimi Benedicti”. 4 In realtà l'ipotesi più accreditata resta la prima. Luigi Andrea Berto fa notare una certa omogeneità linguistica tra la prima e la seconda sezione, in particolare per la presenza di parole chiave che vengono utilizzate nella medesima accezione (patria, Francia). Questo fatto lascia intravedere l'ipotesi di due autori molto vicini tra loro, ma, al di là delle affinità, non si può parlare di un medesimo autore in quanto ci si trova comunque di fronte a non disprezzabili differenze di carattere linguistico (Cronicae Sancti Benedicti Casinensis, cit., p. XXII). La brevità della prima parte e la differenza nella strutturazione delle due sezioni, inoltre, inducono definitivamente a pensare che esse non siano state scritte dalla medesima persona (Ibidem, p. XXVI). A sostegno di ciò si può portare anche il fatto che l'autore del secondo testo, in apertura, intende dichiaratamente approfondire il lavoro del suo predecessore. 5 Nessuno dei compilatori riferisce qualcosa a proposito di sé, a parte l'autore della prima sezione, che racconta semplicemente di scrivere ai tempi dell'abate Bertario (856-883) in occasione della preliminare definizione cronologica che apre la stesura del testo. Ibidem, I/1, p. 2. 3 in cui la comunità monastica risiedeva a Capua in seguito alla distruzione dell'abbazia, avvenuta ad opera dei Saraceni nell'883. È nel medesimo codice che si trova anche una delle due versioni della Cronaca dei conti e dei principi di Capua, opera che verrà esaminata più oltre in questo capitolo, a sottolineare appunto il legame sei cassinesi con questa città. Su questo manoscritto, considerato un vero e proprio «codice-monumento della storia cassinese6»,
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