Le Torri Costiere Della Calabria
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GUSTAVO VALENTE LE TORRI COSTIERE DELLA CALABRIA » CHIARAVALLE Edizioni FRAMA’S PREMESSA Interessato alla conoscenza delle vicende della Calabria duran te gli interminabili secoli della lotta ovunque ingaggiata tra la ci viltà cristiana e quella ottomana, in particolare nella sua manifesta zione più dolorosa per le popolazioni del vecchio Regno di Napoli, in terrogando archivi pubblici e privati, cercando sulle coste jónica e tir renica della nostra Regione le superstiti pietre graffite, chiedendo al le centinaia di volumi che direttamente o per inciso trattano dell’ar gomento, ho potuto ripercorrere una storia avvincente, nuova per gli aspetti veritieri che svela di una tradizione radicata anche là dove meno avrebbe dovuto attecchire. A quella storia ho dedicato, nella luce dell’amore alla mia terra diletta, ben oltre che la sola premura di conoscere una secolare pagi na abbondante di episodi lagrimevoli, talvolta eroici, altre volte ric chi di imprevisti notevoli, ma sempre indicativi delle vicissitudini di un popolo ansioso ed anelante ad una vita placida, serena, laborio sa. Ne è così venuto fuori uno scritto di cui ”Le torri costiere”, con la ulteriore aggiunta ’’della Calabria”, altro non è che un capitolo al quale dò la luce separatamente perchè, riguardando opere in parte ancora visibili e che possono richiamare l’attenzione del turista, pen so non ritorni discaro alla mia Regione. Ho riportato integralmente quanto nel febbraio del 1960 pre mettevo alla prima edizione di queste ’’torri costiere”, perchè ri tengo in tutto valido quanto allora scrivevo. Devo, però, aggiungere che, come allora ; ançhe questa volta lo stralcio del capitolo per una pubblicazione a se stante è motivato da un avvenimento culturale in Calabria. Allora perchè si pensò di offrire ai giornalisti della stampa turistica italiana che si riunivano a Congresso in Calabria un volume 7 che presentasse loro un panorama di talune opere legate strettamente alla storia di un periodo tempestoso e spesso amaro per l’Europa, e ciò anche perchè si riteneva che la Calabria potesse sottolineare il ruolo che nel particolare tipo di turismo la nostra Regione può a tut to titolo sostenere. Questa volta, perchè l’avvenimento è ancora più specifico. In quanto dal 31 maggio al 3 giugno l’Istituto Italiano dei Castelli organizza un viaggio di studio nella Calabria tirrenica, ed in quell’occasione tiene l’Assemblea Generale nel Castello Svevo di Co- , ...senza. E perciò si è pensato, da parte del Consiglio Direttivo della Se zione Calabria del predetto Istituto, anche per soddisfare una ripetu ta esortazione del suo Presidente, il Principe Bino Fasanella d’Amore di Buffano, di ripubblicare queste ’’Torri costiere della Calabria”. Fortunatamente, dal 1960 ad oggi molto altro materiale è stato possibile raccogliere, sì che il volumetto ne è venuto ampliato ed ar ricchito. Devo subito dire che ciò è stato possibile, soprattutto, per gli aiuti cortesemente dati da D. Ricardo Magdaleno Redondo, Di rettore dell’Archivio di Simancas; dall’indimenticabile Barone Filip po de Nobili, Direttore della Biblioteca Civica di Catanzaro, che mi fu generoso sempre di illuminati consigli; dal Marchese Arduino Lu cifero che con obbligante affettuosità mi ha consentito con incorag giamenti di lavorare agevolmente nel ricco Archivio della sua fami glia in Crotone; dal Principe Ferdinando Acton di Leporano che mi ha favorito preziose copie di documenti; dal Barone Antonino Ne sci che dal suo Archivio familiare di Reggio mi ha tratto copia di docu menti qui riportati in Appendice; dal Senatore Elio Tiriolo; dal Comm. Franco Cipriani, di Reggio di Calabria; dal Dottor Vincenzo Maria Egidi, già Direttore dell’Archivio di Stato di Cosenza, e da quanti altri, volta a volta, ricordo nelle pagine che seguono, amici al trettanto utili ed egualmente generosi. Devo, tuttavia, ancora aggiungere che essendosi il capitolo arricchito in modo esorbitante per l’economia dello scritto cui era inserito, cioè per « Calabria, calabresi e turcheschi nei secoli della pirateria (1400-1800)», in corso di stampa presso la stessa Casa Editrice Frama’s di Chiaravalle, quale volume della Collana della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, questa volta vede la luce in volumetto definitivo. Per cui, mentre m’inchino riverentemente alla memoria dei cari / 8 PAOLA: Torre del Saffio amici nel frattempo scomparsi, con animo che non dimentica, espri mo il mio vivo ringraziamento a tutti coloro che mi sono stati gen tili di informazioni e di segnalazioni, ringraziamento che va esteso alla signorina Silvana Naccarato per l’applicazione con la quale ha curato l’indice dei nomi. Célico, maggio 1972. Come primo effetto, le incursioni turchesche, sempre più fre quenti, ed ognora più dannose, produssero la desolazione nelle cam pagne e lo spopolamento degli abitati lungo le coste, alcuni dei quali vennero perfino del tutto abbandonati. Era, sotto questo aspetto, il ripetersi di un dolore antico portato da incursori diversi lungo il corso di molti secoli, lasciando conseguenze ancora non del tutto eliminate, anche perchè, seppure a secoli di distanza, il rinnovarsi della ferita sul corpo tuttora malato ne protraeva il tempo della gua rigione. Ed era anche la ripetizione di quelle stesse cagioni che ave vano portato la Calabria, dopo lo splendore magnogreco, ad una decadenza desolante ed irreparabile, tanto che i secoli successivi non poterono mai più sanare, anche in conseguenza delle soprag giunte nuove forme di civiltà che da questa preesistente divergevano per la obbligata preferenza richiamata da luoghi ove la vita aveva le premesse di una fortuna sicura e fervida. Esattamente com’era accaduto nel periodo saraceno, quando le città secolari e le campagne ubertose, continuo bersaglio di attacchi provenienti dal mare, venivano disertate dagli uomini affannosa mente sospinti alla ricerca d’un sicuro rifugio sulle colline affac ciatesi al mare, o addirittura più all’interno tra le selve delle mon tagne per tante e diverse ragioni ritenute inaccessibili ad oste nemica. Con altrettale ansia, questa volta, cedendo alla perenne minaccia incombente su genti e paesi, donne e uomini, stanchi e travolti* dall’abulia, si spinsero a cercare riparo nei paesi più all’interno, portando di preferenza il passo verso le città fortificate, talvolta fino a Napoli, .ritenuta tra tutte la più sicura ed anche la più atta ad accoglierlil. 1 Francesco Lenormant: La Magna Grecia, Trad, e note di Armando Lu cifero, Crotone, Pirozzi, 1932, II, 235. 11 Dal tempo remoto della guerra mossa dai pirati contro Roma — di cui Plutarco ci ha lasciato un impressionante racconto *—r a quello di alcuni secoli dopo, durante il quale il Mediterraneo, in seguito al predominio che vi avevano stabilito i Musulmani, era da dirsi quasi trasformato in lago arabo, la minaccia aveva fatto sempre pensare seriamente a far fronte sulle coste anche meno esposte all’attacco dei pirati di anno in anno crescenti di numero, in virulenza ed in pericolosità. Tuttavia, è ai tempi degli Svevi e degli Angioini che quel vasto disegno, tentato in proprio isolatamente da privati, da potenti e da organismi religiosi in tempi diversi, senza una preven tiva intesa, e pure con discontinua attuazione, si concretizza in siste ma uniforme e completo di difesa organica, per cui tutto il Regno viene a trovarsi dietro la protezione di una serie di torri, elevate a guardia dell’intera costa, visibili l’una all’altra, ubicate a vigilare sulle anse e sulle cale, là dove, probabilmente, l’insidia poteva più agevolmente annidarsi. Ma, infecondo ed inutile, provvisorio e non permanente sarebbe stato quel sistema difensivo se non si fosse concluso nella naturale ed ovvia conseguenza di un completamento con un servizio di segnalazione. Il quale fu organizzato in modo tale che durante il giorno con il fumo, e nella notte con il fuoco, l’uno e l’altro regolati opportunamente, assieme alPallarme portas sero anche la notizia del numero dei legni apparsi all’orizzonte. Però, medicina manipolata per curare un male endemico, era natu rale che quello domato, o scomparso, al medicamento non più si pensasse. Perciò, decaduta la funzione in seguito alla diminuita pressione ostile, mutate le direttive, e le cure di governo allentate per il ridotto pericolo, tutto il sistema decadde: le torri, per desue tudine lasciate libero dominio dei venti e dei temporali, senza dirle alla mercè di mani rapaci e dissennate, ristretto il servizio soltanto a poche, unicamente a riguardo della loro posizione strategica, con strana rapidità peggiorarono tutte il loro stato fino a che, deterio randosi vieppiù per altre varie ragioni, non apparvero che compieta- mente inservibili a qualsiasi uso. Sulla strada del danno a lungo camminarono le vicende di quelle fabbriche. Fino a tanto che, col ritorno e l’intensificarsi crescente delle incursioni, e principalmente nella prima metà del sedicesimo secolo, ad esse si ritornò a pensare con desiderio ognora più vivo di ripristinarle quali utili strumenti di difesa. Allora, lungo le zone più esposte, come eccitata dal più che 12 secolare sopore ammonito dalla silenziosa presenza delle mura vedovate di funzioni, si diffuse quasi una febbre edilizia. Feudatari e signori pensarono in proprio a costruire per la difesa; così che torri sorsero là dove il bisogno di premunire territori e genti, già indicati dall’esperienza di precedenti attacchi ai quali erano stati esposti, le facevano ora inderogabili. E tanto si costruì e tanto si adeguò di vecchi muri di altri edifici comunque ridotti, utilizzando muri estranei così sottratti agli scopi originari, che si videro perfino case allacciate a torri anche a mezzo di cavalcavia. Queste costruzioni, in prosieguo, quando, cioè, si pensò di dare ordine alla difesa ed al sistema, e dopo che gli esperti le avevano riconosciute valide e di pubblica utilità, dietro regolare indennizzo furono espropriate ai particolari che le avevano costruite2. Ma già prima che l’uragano si scatenasse, i poteri centrali ave vano volto lo sguardo alla necessità di provvedere.