La Destinataria Del Congedo E Un'ipotesi Di Contestualizzazione
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LA DESTINATARIA DEL CONGEDO E UN’IPOTESI DI CONTESTUALIZZAZIONE UMBERTO CARPI Su questo tema mi sono già soffermato altrove e il mio contributo non potrà andar molto oltre la ripresa di quanto già ho detto1, salvo qualche ulteriore osservazione suggerita soprattutto dalle acquisizioni nel frattempo intervenute sull’ordinamento delle canzoni dopo la capitale edizione De Robertis e alla luce delle conseguenze che ne sono state tratte in particolare da Natascia Tonelli (sviluppate anche nel nostro convegno dell’anno scorso su Tre donne). La strutturazione infatti come ‘libro delle canzoni’ e l’ipotesi che tale strutturazione risalga proprio a questa fase e sia legata al noto invio a Moroello della ‘montanina’ inducono a leggere le tre canzoni conclusive in modo fortemente sistematico anche dal punto di vista delle prospettive politiche e dell’elaborazione concettuale, e ciò non solo in quanto legate alla medesima fase biografica, ma anche perché concepite appunto nel mentre che quella strutturazione era in corso e dunque ad essa in qualche modo funzionalmente (analoga funzionalità al ‘libro’, del resto, andrà riscontrata nelle attualizzanti reinterpretazioni ‘conviviali’ di canzoni risalenti ad altra epoca e a diversissimo contesto e nella stessa teorizzazione del genere canzone abbozzata nel De vulgari). Che in Tre donne Venere e Drittura siano scoperte e enfatizzate sorelle mi pare essenziale ad intendere l’inscindibilità del nesso tra Virtù e Bellezza in Doglia mi reca; l’esilio dato a Drittura e alle sue figlie – esilio non solo fiorentino ma generale e d’epoca – comporta il bando di Larghezza e Temperanza, le cui conseguenze sociali, culturali, relazionali nel senso più profondo, costituiscono la materia del ragionamento analitico di Doglia mi reca; là le armi d’Amore per non usar … turbate appunto 13 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE consequenzialmente al bando di Larghezza, qui divaricazione fra Virtù e Bellezza per egemonia d’Avarizia e Amore praticato fuor d’orto di ragione; Firenze e il desiderio di rientro e l’esperienza profonda delle corti dell’esilio in uno strettissimo intreccio. Delle proiezioni su Amor, da che convien e della luce che a sua volta ne deriva, diciamo così, à rebours e a conclusione, tratteremo l’anno prossimo. «Canzone, presso di qui è una donna | ch’è del nostro paese»: del nostro paese, non della nostra terra o città, non fiorentina insomma, bensì toscana, della Tuscia. Dunque Dante, mentre scrive, non è nel suo paese, nella Tuscia, e la donna cui la canzone viene inviata è lì nei pressi, a sua volta fuori dalla comune regione d’origine: l’attacco del congedo indica inequivocabilmente una lontananza dalla Toscana sia del mittente che della destinataria. Qui, lontani l’uno e l’altra dal loro paese: ma qui, dove? Posto che la donna sia effettivamente, né esiste alcun motivo per dubitarne, la contessa casentinese Bianca Giovanna dei Guidi di Bagno, sorella del Federigo Novello che «pregava con le mani sporte» in Purg. VI, vv. 16-17 (a conferma dell’interesse e della simpatia del Dante del primo esilio per questi due figli del conte Guido Novello cognato di Manfredi e già imperante a Firenze negli anni ghibellini dopo Montaperti), allora, se siamo lontani da casa, è tanto più certo che non siamo in Casentino, dove invece esplicitamente ci troveremo – dopo il servizio presso i Malaspina – in Amor, da che convien. Quando? Fenzi mi invita ad alzare un poco, comunque dopo la Lastra, la data del 1306 che a suo tempo proposi, diciamo tra ultimi mesi del 1304 e 1305 (Vedi in questo volume pp. ). Siamo in uno scivolosissimo terreno di ipotesi, ma credo che Fenzi abbia ragione se devo seguire fino in fondo il criterio che mi è caro delle compatibilità e delle convenienze politico-relazionali cui Dante soprattutto in questa fase, né avrebbe altrimenti potuto lui esule per di più nel momento in cui compiva una traumatica, pericolosa scelta di scissione e dunque di schieramento altro, fu stretto ad attenersi. Ora, per quel che sappiamo, Dante chiese doni ai Guidi di Romena e, per quel che possiamo supporre, 14 Umberto CARPI La destinataria del congedo... allo Scaligero del suo primo ostello: per come subito a caldo li trattò (i primi in Inferno, il secondo in Convivio e in Purgatorio, c’è da credere che proprio da loro abbia imparato di quanto sale sapesse l’altrui pane, quanto costasse un dono volto in vendita e che proprio queste fossero le esperienze a cui reagiva con tanta durezza. Tanta e univoca: di Gherardo appena conosciuto (mallevadorie di Guidi guelfi o dello stesso Corso?) e dei suoi avversari dirà subito in Convivio. Ma né in Convivio né qui una traccia dei Malaspina, la cui borsa invece di doni dovette essergli molto larga e che fu conosciuta tra 1306 e 1307. Ecco perché tendo ad accogliere il suggerimento di Fenzi. Non ho condotto le forse possibili verifiche d’archivio (soprattutto sul versante della famiglia maritale), ma Bianca Giovanna – oltre che d’un Cacciaconti senese – è dalle fonti edite data per moglie anche di un Saracino dei mantovani Bonacolsi2. Se questa notizia è vera (io tendo a crederla tale non solo per la consueta serietà della fonte, dove si riscontra sì qualche inevitabile imprecisione ma non una mera invenzione come di necessità questa sarebbe, bensì anche per la sua natura di notizia, diciamo così, difficilior e d’altronde il caso della coetanea Margherita Aldobrandeschi3 dimostra come queste comitisse sbattute fra le traversie politiche ed ereditarie delle loro famiglie avessero vite matrimoniali di straordinaria complicazione), se ne possono dedurre ipotesi biografiche e ideologiche molto pertinenti. Osservo intanto che questo Saracino figlio di Tagino era nipote del Pinamonte ricordato da Dante in Inf. XX come signore della città fondata da Manto («prima che la mattia da Casalodi | da Pinamonte inganno ricevesse»), e a Dante sarà forse occorso di incontrarlo più tardi presso l’imperatore Arrigo VII. Bisogna sapere che Saracino, con altri consanguinei, si trovava dal 1299 esule a Ferrara per faide interne alla famiglia, nelle quali erano coinvolti sia gli Este di Azzo VIII sia gli Scaligeri di Bartolomeo e di Alboino: e bisogna contestualmente ricordare che Dante – a parte le ragioni di omaggio ‘virgiliano’ che interverranno nella Commedia – mostra nel De vulgari, dunque circa all’altezza di Doglia mi reca, una notevole 15 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE attenzione mantovana (Sordello e Gotto esemplari fruitori del volgare). Si capisce che, con Verona, anche la Mantova dei ghibellini Bonacolsi dovesse attrarre molti sbanditi fiorentini della compagnia malvagia e scempia: lì, frequentemente, il podestà era scelto nella famiglia Uberti! Dunque l’attacco del congedo diventa molto chiaro: siamo lontani dal «nostro paese», cioè dalla Tuscia; la destinataria si trova presso di qui (a Ferrara col marito?, ovvero in uno dei possedimenti che Saracino Bonacolsi conservava nella zona padana?); il poeta è in una località vicina, molto verosimilmente a Treviso in occasione della permanenza presso i Caminesi, proviamo a dire nel 1305. Essendo Gherardo e Rizzardo da Camino in stretti rapporti con gli Estensi, si spiega bene la possibilità di relazioni dantesche con una domina casentinese fattasi affine d’una famiglia di mantovani estrinseci esule a Ferrara, relazione difficile invece ad ammettersi nella Verona degli Scaligeri, saldamente alleati coi mantovani intrinseci e dunque inibita al fuoruscito Saracino. Mi sembra d’altronde significativo che, nella poco benevola evocazione del potere bonacolsiano a Mantova, Dante faccia sarcastico riferimento – e per una città ospitale nei confronti degli esuli fiorentini – proprio al fenomeno inverso dei numerosi esiliati mantovani, come appunto era Saracino marito di Bianca Giovanna: «Già fuor le genti sue dentro più spesse…». Aggiungiamo che, nelle considerazioni negative su famiglie nobili richiamate a onorare la nobiltà del sangue, anzi il nome, con opere e virtù, Dante esemplificherà nel Convivio proprio con gli Uberti di Firenze – ma di casa a Mantova, ho ricordato, i figli e nipoti di Farinata – e i Visconti di Milano, l’altra famiglia ghibellina alleata di Scaligeri e Bonacolsi intrinseci. Già leggendo il secondo congedo di Tre donne (Carpi 2007) ho detto di questo segmento biografico di Dante – fra abbandono dello schieramento bianco e ghibellino dopo la sconfitta della Lastra nel 1304 e tramonto, segnato dalla morte di Corso Donati e dal fallimento della missione pacificatrice del cardinale Napoleone Orsini nel 1308, delle speranze di rientro concordato in Firenze – 16 Umberto CARPI La destinataria del congedo... connotato da nuove frequentazioni politiche di segno guelfo: Moroello Malaspina, il ramo guelfo dei Guidi Dovadola di Guido Salvatico, i Caminesi… È il periodo più difficile da definire nelle sue ragioni: la crisi irreversibile dei rapporti di lui guelfo con i suoi vecchi sodali ‘bianchi’, con l’area ghibellina dei fiorentini fuorusciti come gli Uberti ovvero dei nobili feudali come i Romena e i Pazzi, insomma con l’alleanza che lui stesso aveva sottoscritto a Gargonza e a San Godenzo; un contesto politico fluido a Firenze per la crisi interna del potere ‘nero’ con le aperture politiche manifestate nientemeno che da Corso Donati, fluido in Italia fra conflitto angioino-aragonese nel Mezzogiorno, cattività avignonese della Chiesa ma suo intervento fra Tuscia e Romandiola col cardinale Napoleone Orsini, sviluppo delle tirannie presignorili in Romagna e nel Nord, non essendo neppure all’orizzonte la previsione