LA DESTINATARIA DEL CONGEDO E UN’IPOTESI DI CONTESTUALIZZAZIONE

UMBERTO CARPI

Su questo tema mi sono già soffermato altrove e il mio contributo non potrà andar molto oltre la ripresa di quanto già ho detto1, salvo qualche ulteriore osservazione suggerita soprattutto dalle acquisizioni nel frattempo intervenute sull’ordinamento delle canzoni dopo la capitale edizione De Robertis e alla luce delle conseguenze che ne sono state tratte in particolare da Natascia Tonelli (sviluppate anche nel nostro convegno dell’anno scorso su Tre donne). La strutturazione infatti come ‘libro delle canzoni’ e l’ipotesi che tale strutturazione risalga proprio a questa fase e sia legata al noto invio a Moroello della ‘montanina’ inducono a leggere le tre canzoni conclusive in modo fortemente sistematico anche dal punto di vista delle prospettive politiche e dell’elaborazione concettuale, e ciò non solo in quanto legate alla medesima fase biografica, ma anche perché concepite appunto nel mentre che quella strutturazione era in corso e dunque ad essa in qualche modo funzionalmente (analoga funzionalità al ‘libro’, del resto, andrà riscontrata nelle attualizzanti reinterpretazioni ‘conviviali’ di canzoni risalenti ad altra epoca e a diversissimo contesto e nella stessa teorizzazione del genere canzone abbozzata nel De vulgari). Che in Tre donne Venere e Drittura siano scoperte e enfatizzate sorelle mi pare essenziale ad intendere l’inscindibilità del nesso tra Virtù e Bellezza in Doglia mi reca; l’esilio dato a Drittura e alle sue figlie – esilio non solo fiorentino ma generale e d’epoca – comporta il bando di Larghezza e Temperanza, le cui conseguenze sociali, culturali, relazionali nel senso più profondo, costituiscono la materia del ragionamento analitico di Doglia mi reca; là le armi d’Amore per non usar … turbate appunto

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consequenzialmente al bando di Larghezza, qui divaricazione fra Virtù e Bellezza per egemonia d’Avarizia e Amore praticato fuor d’orto di ragione; Firenze e il desiderio di rientro e l’esperienza profonda delle corti dell’esilio in uno strettissimo intreccio. Delle proiezioni su Amor, da che convien e della luce che a sua volta ne deriva, diciamo così, à rebours e a conclusione, tratteremo l’anno prossimo. «Canzone, presso di qui è una donna | ch’è del nostro paese»: del nostro paese, non della nostra terra o città, non fiorentina insomma, bensì toscana, della Tuscia. Dunque Dante, mentre scrive, non è nel suo paese, nella Tuscia, e la donna cui la canzone viene inviata è lì nei pressi, a sua volta fuori dalla comune regione d’origine: l’attacco del congedo indica inequivocabilmente una lontananza dalla Toscana sia del mittente che della destinataria. Qui, lontani l’uno e l’altra dal loro paese: ma qui, dove? Posto che la donna sia effettivamente, né esiste alcun motivo per dubitarne, la contessa casentinese Bianca Giovanna dei Guidi di Bagno, sorella del Federigo Novello che «pregava con le mani sporte» in Purg. VI, vv. 16-17 (a conferma dell’interesse e della simpatia del Dante del primo esilio per questi due figli del conte Guido Novello cognato di Manfredi e già imperante a Firenze negli anni ghibellini dopo Montaperti), allora, se siamo lontani da casa, è tanto più certo che non siamo in Casentino, dove invece esplicitamente ci troveremo – dopo il servizio presso i Malaspina – in Amor, da che convien. Quando? Fenzi mi invita ad alzare un poco, comunque dopo la Lastra, la data del 1306 che a suo tempo proposi, diciamo tra ultimi mesi del 1304 e 1305 (Vedi in questo volume pp. ). Siamo in uno scivolosissimo terreno di ipotesi, ma credo che Fenzi abbia ragione se devo seguire fino in fondo il criterio che mi è caro delle compatibilità e delle convenienze politico-relazionali cui Dante soprattutto in questa fase, né avrebbe altrimenti potuto lui esule per di più nel momento in cui compiva una traumatica, pericolosa scelta di scissione e dunque di schieramento altro, fu stretto ad attenersi. Ora, per quel che sappiamo, Dante chiese doni ai Guidi di Romena e, per quel che possiamo supporre, 14 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

allo Scaligero del suo primo ostello: per come subito a caldo li trattò (i primi in , il secondo in Convivio e in , c’è da credere che proprio da loro abbia imparato di quanto sale sapesse l’altrui pane, quanto costasse un dono volto in vendita e che proprio queste fossero le esperienze a cui reagiva con tanta durezza. Tanta e univoca: di Gherardo appena conosciuto (mallevadorie di Guidi guelfi o dello stesso Corso?) e dei suoi avversari dirà subito in Convivio. Ma né in Convivio né qui una traccia dei Malaspina, la cui borsa invece di doni dovette essergli molto larga e che fu conosciuta tra 1306 e 1307. Ecco perché tendo ad accogliere il suggerimento di Fenzi. Non ho condotto le forse possibili verifiche d’archivio (soprattutto sul versante della famiglia maritale), ma Bianca Giovanna – oltre che d’un Cacciaconti senese – è dalle fonti edite data per moglie anche di un Saracino dei mantovani Bonacolsi2. Se questa notizia è vera (io tendo a crederla tale non solo per la consueta serietà della fonte, dove si riscontra sì qualche inevitabile imprecisione ma non una mera invenzione come di necessità questa sarebbe, bensì anche per la sua natura di notizia, diciamo così, difficilior e d’altronde il caso della coetanea Margherita Aldobrandeschi3 dimostra come queste comitisse sbattute fra le traversie politiche ed ereditarie delle loro famiglie avessero vite matrimoniali di straordinaria complicazione), se ne possono dedurre ipotesi biografiche e ideologiche molto pertinenti. Osservo intanto che questo Saracino figlio di Tagino era nipote del Pinamonte ricordato da Dante in Inf. XX come signore della città fondata da Manto («prima che la mattia da Casalodi | da Pinamonte inganno ricevesse»), e a Dante sarà forse occorso di incontrarlo più tardi presso l’imperatore Arrigo VII. Bisogna sapere che Saracino, con altri consanguinei, si trovava dal 1299 esule a Ferrara per faide interne alla famiglia, nelle quali erano coinvolti sia gli Este di Azzo VIII sia gli Scaligeri di Bartolomeo e di Alboino: e bisogna contestualmente ricordare che Dante – a parte le ragioni di omaggio ‘virgiliano’ che interverranno nella Commedia – mostra nel De vulgari, dunque circa all’altezza di Doglia mi reca, una notevole 15 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

attenzione mantovana (Sordello e Gotto esemplari fruitori del volgare). Si capisce che, con Verona, anche la Mantova dei ghibellini Bonacolsi dovesse attrarre molti sbanditi fiorentini della compagnia malvagia e scempia: lì, frequentemente, il podestà era scelto nella famiglia Uberti! Dunque l’attacco del congedo diventa molto chiaro: siamo lontani dal «nostro paese», cioè dalla Tuscia; la destinataria si trova presso di qui (a Ferrara col marito?, ovvero in uno dei possedimenti che Saracino Bonacolsi conservava nella zona padana?); il poeta è in una località vicina, molto verosimilmente a Treviso in occasione della permanenza presso i Caminesi, proviamo a dire nel 1305. Essendo Gherardo e Rizzardo da Camino in stretti rapporti con gli Estensi, si spiega bene la possibilità di relazioni dantesche con una domina casentinese fattasi affine d’una famiglia di mantovani estrinseci esule a Ferrara, relazione difficile invece ad ammettersi nella Verona degli Scaligeri, saldamente alleati coi mantovani intrinseci e dunque inibita al fuoruscito Saracino. Mi sembra d’altronde significativo che, nella poco benevola evocazione del potere bonacolsiano a Mantova, Dante faccia sarcastico riferimento – e per una città ospitale nei confronti degli esuli fiorentini – proprio al fenomeno inverso dei numerosi esiliati mantovani, come appunto era Saracino marito di Bianca Giovanna: «Già fuor le genti sue dentro più spesse…». Aggiungiamo che, nelle considerazioni negative su famiglie nobili richiamate a onorare la nobiltà del sangue, anzi il nome, con opere e virtù, Dante esemplificherà nel Convivio proprio con gli Uberti di Firenze – ma di casa a Mantova, ho ricordato, i figli e nipoti di Farinata – e i Visconti di Milano, l’altra famiglia ghibellina alleata di Scaligeri e Bonacolsi intrinseci. Già leggendo il secondo congedo di Tre donne (Carpi 2007) ho detto di questo segmento biografico di Dante – fra abbandono dello schieramento bianco e ghibellino dopo la sconfitta della Lastra nel 1304 e tramonto, segnato dalla morte di Corso Donati e dal fallimento della missione pacificatrice del cardinale Napoleone Orsini nel 1308, delle speranze di rientro concordato in Firenze – 16 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

connotato da nuove frequentazioni politiche di segno guelfo: Moroello Malaspina, il ramo guelfo dei Guidi Dovadola di Guido Salvatico, i Caminesi… È il periodo più difficile da definire nelle sue ragioni: la crisi irreversibile dei rapporti di lui guelfo con i suoi vecchi sodali ‘bianchi’, con l’area ghibellina dei fiorentini fuorusciti come gli Uberti ovvero dei nobili feudali come i Romena e i Pazzi, insomma con l’alleanza che lui stesso aveva sottoscritto a Gargonza e a San Godenzo; un contesto politico fluido a Firenze per la crisi interna del potere ‘nero’ con le aperture politiche manifestate nientemeno che da Corso Donati, fluido in Italia fra conflitto angioino-aragonese nel Mezzogiorno, cattività avignonese della Chiesa ma suo intervento fra Tuscia e Romandiola col cardinale Napoleone Orsini, sviluppo delle tirannie presignorili in Romagna e nel Nord, non essendo neppure all’orizzonte la previsione d’un intervento sovrano nel giardino dell’Impero; più che mai fluido anche in Europa fra crisi della legittimazione imperiale e affermazione egemonica della monarchia francese. La riflessione di Dante sul sistema politico è, come mostrano Convivio e De vulgari, in piena evoluzione verso un’idea imperiale assolutamente impensabile nell’intellettuale comunale di qualche anno prima, e comunque ancora lontana dagli estremi esiti di imperialismo universalistico della Monarchia: per giungere al quale saranno necessari il tormentato iter ideologico dei due trattati, del Purgatorio, poi l’esperienza sconvolgente e il fallimento dell’alto Arrigo, il tragitto paradisiaco verso il sistema della Ierusalem celeste in progressivo e definitivo distacco dall’epoca del fiorino. Per adesso Dante è ancora fortemente coinvolto in un’orbita intorno a Firenze (lo sarà, sia pure con diversi atteggiamenti politici dalla richiesta di perdono ai fiorentini al consiglio all’imperatore della loro distruzione, fino al fallimento di Arrigo), ma ormai – e il problema aveva cominciato a porsi già negli ultimi mesi prima dell’esilio, l’indipendenza del Comune dalle pretese ierocratiche di Bonifacio e dalle insidie francesi, dunque la necessità di ripensare il sistema entro cui collocare l’epoca comunale – l’orizzonte si è 17 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

rovesciato, non più l’universo visto dalla città, bensì la sua città sullo sfondo dell’universo: il governo stesso della città dentro il governo complessivo dell’universo. Se Firenze è lacerata dai partiti, se la Tuscia si sfalda tra Comuni in conflitto e giurisdizioni feudali in disgregazione, se l’Italia è senza più centro politico e culturale, senza più linguaggio di governo e di cultura, se l’Europa tutta è senza pace, la questione in sé del rientro a Firenze come esito d’una faida guelfo- ghibellina ovvero bianco-nera è progressivamente venuta perdendo di attrattiva e di significato: il destino di Firenze, e in essa di Dante, non può essere identificato col transeunte delle fazioni; neppure può, il destino di Dante, trovare una ragione altra (se mai stimoli e prospettive e ulteriori motivi di riflessione sulla crisi generale delle giurisdizioni) nei luoghi dell’esilio, corti appenniniche, tiranni romagnoli, signori lombardi e veneti. Non fu, si badi bene, un distacco dalle contingenze della politica e dalla partecipazione alla vita delle partes: il rifiuto di identificarsi sia con guelfi che con ghibellini non significò affatto estraniarsi dalle loro lotte, rinunciare a destreggiarsi nell’intrico dei loro conflitti ed alleanze, anche ad avvicinarsi contingentemente a qualche insegna guelfa o ghibellina (per esempio ai guelfi Malaspina prima dell’avvento di Arrigo, ai ghibellini Scaligeri dopo). Nella fattispecie, ho mostrato altrove perché Dante, in questo periodo, fosse indotto a recidere i legami col mondo ghibellino e bianco e a stringerne con una parte del mondo guelfo-nero: è anche il periodo di scrittura dell’Inferno, dove, senza mai parteggiare da guelfo, Dante spiega, anzi rivendica – dal colloquio con Farinata all’incontro con Brunetto – tutte le ragioni della propria storica appartenenza guelfa e, sempre in termini guelfi, allude alla propria stessa attuale dislocazione – il disprezzo per i Romena del periodo bianco- ghibellino e l’apologia, attraverso Guido Guerra, dei Dovadola di questa nuova fase guelfa – nella topografia politica dei rami Guidi. All’apologia dei Dovadola sarà complementare quella, nel Purgatorio, dei Malaspina e dei Caminesi: alla quale sarà a sua volta complementare in senso inverso – riprova della contraddittorietà o 18 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

evolutività in itinere dei percorsi danteschi, e certo del netto stacco fra la situazione storica peraltro internamente in movimento delle prime due cantiche e la situazione storica della terza – la dura rampogna antiscaligera fatta pronunciare all’abate di San Zeno. Una geografia politica puntualmente riscontrabile nel Convivio, là dove Dante produce i ben noti esempi – negativi e positivi – di nobiltà o ignobiltà e di avarizia ovvero larghezza: quei temi appunto della nobiltà e del denaro, così strettamente connessi all’ideologia d’amore e all’idea stessa di poesia, che sono centrali nella revisione del suo antico pensiero comunale, quando il referente era la particolare classe dirigente cittadina magnatizia e delle artes, mentre ora si tratta di configurare i tratti sociologici, etici ed estetici della curia generale. Uno dei motivi del fascino di questo Dante sta proprio nell’intreccio fra la passionalità e talvolta fin la strumentalità breve dell’immersione nelle esperienze contingenti e lo sviluppo di lunga durata – contraddizione dietro contraddizione, tentativo su tentativo, conflitto dopo conflitto, di corte in corte dai Guidi e dagli Ordelaffi ai Malaspina e ai Caminesi e ai Bonacolsi e agli Scaligeri – d’un grande pensiero organico. Una critica radicale della società del danaro, fondata su una ricchezza mobilizzata per tasso d’interesse e non per dono, in cui sono impossibili virtù e bellezza: la patologia dell’avarizia, col suo risvolto uguale e contrario della prodigalità, non divorava dunque solo il Comune del fiorino, ma aveva minato anche la vita delle corti. Diciamo che la logica del fiorino, della società finanziaria, si era imposta in termini distruttivi anche nelle corti: e per l’appunto la dannazione dei Romena non era stata determinata proprio dalla falsificazione del fiorino, cioè dalla forma più ignobile di subalternità alla logica monetaria? Ai nipoti di Alessandro da Romena, Uberto e Guido, è noto che Dante si era rivolto epistolarmente attorno al 1304 vantando il proprio stretto legame con l’appena defunto loro zio e chiedendo aiuto pecuniario, un vero e proprio dono di cavallo e di armi: mi pare evidente che il dono non arrivò, oppure arrivò ma in quella misura e maniera che volge ’l donare in vender, ed è questa la 19 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

vera colpa, anzi meglio è questo il vero motivo per cui le anime triste di Guido, di Alessandro e del loro fratello già sono, o vi sono attese, in (per Guido, il protettore nella lettera esaltato come tale e destinato al , l’inversione di giudizio fu davvero repentina, tanto imbarazzante fuori da quello stretto contesto politico da costringere anche storici eccellenti come Davidsohn o Sestan ad optare contro ogni verosimiglianza filologica per l’inautenticità della lettera medesima). Falsatori, in ogni senso subalterni al fiorino perché di fiorino bisognosi anzi assetati, e però incapaci di reggere – diremmo oggi – le sue compatibilità produttive e finanziarie: ed era una difficoltà che più o meno gravemente attanagliava tutto quel mondo, non solo i Romena, con micidiali conseguenze sui suoi valori identificanti, suoi suoi stili comportamentali, insomma sulla sua cultura e sui suoi equilibri sociali. Dice nulla che nelle due grandi laudationes di Purgatorio per i Malaspina e di Paradiso per Cangrande, Dante batta nell’un caso – insieme che sul valore della spada – sul pregio della borsa, nell’altro sul non curar d’argento, sulle magnificenze e sui benefici, sull’arte dunque di regolare la mobilità sociale per via di dono («per lui fia trasmutata molta gente, | cambiando condizion ricchi mendici») senza gli sconvolgimenti e l’instabilità della Firenze bancaria? La questione di una società fondata sul fiorino si pone ben diversamente qui fra queste famiglie feudali di nobiltà del sangue ovvero fra le tirannie presignorili della Romagna e del Veneto da come si era posta (anni Novanta, magnati e popolani, Ordinamenti di giustizia) nella Firenze comunale dei banchieri, dei cambiatori, degli speculatori immobiliari, dei commercianti e industriali, delle professioni mediche, notarili, legali. Una differenza non solo di quadro economico, sociale, istituzionale, ma proprio di concezione di sé nel mondo, di coscienza giurisdizionale: il Comune trova la propria legittimazione in sé e per sé, nelle proprie magistrature, Firenze guelfa si è sottratta al primato dell’Impero aderendo alla pars Ecclesie, però i guelfi Lapo Saltarelli e respingono con altrettanta nettezza, nello ierocratismo di Bonifacio VIII, il 20 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

primato della Chiesa e diffidano, in Carlo di Valois, delle insinuazioni egemoniche manifestate dalla Francia potenza europea emergente. Là e allora per esempio, negli anni Novanta, per Dante non era stata questione – anche ai fini della poetica d’Amore – di nobiltà del sangue appartenente alla piramide della gerarchia imperiale, bensì solo di nobiltà dell’animo, di etiche ed estetiche del comportamento, leggiadria e sollazzo, nelle pratiche dell’aristocrazia cittadina con la sua orizzontale geografia di potentes, casta magnatizia dall’incerto statuto fra società delle torri e società bancarie o commerciali, arti maggiori, arti minori. Adesso e qui, nell’esilio, per lui è ineludibile questione di nobiltà del sangue (re marchesi conti baroni e altre nobili gentes per le quali vanno ridefinite una cultura, una lingua, una letteratura), cioè dei protagonisti della curia imperiale sia pure dispersa e dunque di domus inserite appunto nella piramide a vertice imperiale, come mostrerà nella valletta dei principi la dislocazione dei Visconti galluresi di Nino gentile, dei Malaspina lunigianesi di Corrado l’antico, degli stessi marchesi di Monferrato (ma anche nel Convivio troviamo, là dove si elencano gli artefici di liberali messioni, una disposizione gerarchica nobiliar-imperiale, da Alessandro imperatore a Galasso di Montefeltro, degradando attraverso «lo buono re di Castella, o il Saladino, o il buono Marchese di Monferrato, o il buono Conte di Tolosa, o Beltramo dal Bornio»). Certo la nobiltà dell’animo, vale a dire il complesso delle virtutes imprescindibili per la definizione d’una nobiltà intera e perfetta, resta essenziale, anzi viene fondata su basi filosofiche e teologiche (ricordo ancora l’intreccio parentale in Tre donne fra Venere- Bellezza, Drittura-Virtù, Amore, propedeutico al nesso Virtù/Bellezza di cui si innerva tutto il ragionamento svolto in Doglia mi reca) che vanno ben oltre le categorie largamente sociologizzanti adottate da Dante negli anni comunali: però la loro definizione adesso è funzionale alle relazioni con un’aristocrazia non di magistrature o di potentati economici cittadini bensì di sangue feudale o signorile (certo anche, per un lungo tratto cui pertengono 21 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

Tre donne, Doglia mi reca, Amor, da che convien, allo sforzo di ristabilire un rapporto con Firenze, ma una Firenze ormai guardata dall’esterno e non in sé, anzi sullo sfondo della crisi italiana ed europea), dunque la nobiltà del sangue diventa a sua volta imprescindibile per il possesso di quella nobiltà intera (imprescindibile sempre più, man mano che viene pienamente precisandosi l’idea imperiale, talché Dante giungerà ad inventarsi erede di cavaliere a spron d’oro di diretta investitura imperiale, esigenza ed orgoglio di cui non troviamo ancora traccia né bisogno nella stessa puntigliosa rivendicazione famigliare guelfa opposta al ghibellino Farinata degli Uberti in Inferno X). Del resto, quanto i referenti di Dante nella geografia dell’esilio fossero mutati e diversificati e quanto e in quale direzione il suo pensiero si stesse trasformando ce lo dice la rilettura-commento di Le dolci rime d’amor ch’ i’ solia nel quarto trattato del Convivio: sono passati dieci anni, ma il distanziamento è abissale. In Doglia mi reca l’avarizia (essendone la prodigalità una semplice perversione derivata, «avaritia est crimen, prodigalitas corruptela», aveva sentenziato Boncompagno nell’Epistola mandativa ai Guidi così pertinente al nostro contesto), connota una società fondata sul danaro in cui l’incapacità – impossibilità? – di donare (cioè di redistribuire le ricchezze se non a ragione d’interesse, questo istinto dell’accumulazione per sua natura senza limiti, «come con dismisura si rauna, | così con dismisura si ristrigne» / «ché non solvete quel che non si spende?») diventa univoca attitudine del donatore a vendere, del donato a farsi mero compratore a prezzo, «quanto sa sol chi tal compera paga». E nella medesima dimensione etica dell’interesse (intendo proprio il danaro che produce danaro, meccanismo sconvolgente che stava tormentando e per secoli tormenterà la stessa riflessione teologica), dove è esclusa la redistribuzione per via di dono, sono travolti l’uno e l’altro, venditore e compratore, «tanto chi prende smaga, | che ’l negar poscia non gli pare amaro». L’oro è il vero signore, secondo una memorabile sentenza di Guittone opportunamente addotta da De Robertis nel suo commento alla 22 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

canzone (e Guittone, si badi, vi pullula): «non manti acquistan l’oro, ma l’oro loro», e così è un generale inseguir avere, «ch’ a tutti segnoreggia». La spietatezza dell’economia finanziaria; banca e usura, i tarli micidiali con cui le città comunali minano le corti: per la verità – genti nove e subiti guadagni, come Dante spiega ai tre gentili fiorentini sotto la pioggia di fuoco – minano anche se stesse nei tradizionali rapporti etico-sociali e nella propria misura estetica, e mi è già capitato di dire del crudo realismo con cui le relazioni monetarie della società fiorentina e le loro drammatiche conseguenze erano state messe a nudo da certa poesia di banchieri, Monte Andrea innanzi a tutti, assai influente sul Dante anni Novanta. Però quel che nel cuore del Comune fiorentino, pur tra conflitti durezze volgarità, comunque produceva sviluppo e ricchezza e nuova classe dirigente fondando un futuro, nelle corti sta irrompendo con una carica dissolvitrice, declino economico e tramonto di un ceto. Ho detto che c’è molto Guittone, e Guittone era stato, prima della conversione, il poeta dei Guidi4: della generazione dei Guidi precedente a quella di Dante, però ancora ben presente negli anni dell’esilio dantesco, in persona o nei discendenti diretti, tra cui appunto Bianca Giovanna. E c’è più che traccia di quell’intellettuale che per i Guidi nel loro momento di massimo splendore era stato quel che poi Brunetto Latini sarà per il Comune guelfo di Firenze (Parte guelfa in Firenze divenne, da partito, autentica magistratura strutturante), dico Boncompagno da Signa: i due versi, come già ebbi ad osservare, in cui qui Dante spiega quali comportamenti – non solo psicologici, si badi bene – volgono «il donare in vender» sono la traduzione letterale (un autentico lacerto di volgarizzamento illustre) d’un passo della già ricordata, straordinaria lettera-trattato inviata proprio da Boncompagno ai figli di Guido Guerra III e di Gualdrada di Bellincion Berti non ancora divaricati nei rami micidialmente frazionanti la loro antica giurisdizione: «tres sunt languores donorum: protractio temporis, turbida facies et indiscretio donatoris». Appunto: «chi con tardare» / protractio temporis; «chi con vana vista» / indiscretio donatoris; «chi con sembianza trista» / 23 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

turbida facies. Alla destinataria Bianca Giovanna e agli altri Guidi dei primi anni del Trecento (ma, diciamo, ai nobili in generale presso cui si ricoverava) Dante ribadiva in volgare illustre e nella forma eccellente della canzone le norme di cortesia che Boncompagno aveva fissato nella lingua della grammatica per i loro avi; e le aveva fissate come essenziali, va sottolineato, al mantenimento della loro identità politica, etica, culturale di principi palatini, in quanto ne definivano i modi di governo dei gruppi dirigenti e degli equilibri economici. Nulla li avrebbe disidentificati quanto il crimen dell’avaritia: a Firenze il degrado dei valori vigenti nella città antica di Bellincion Berti padre di Gualdrada, nelle corti il degrado della cortesia connotante la forza politica di Guido Guerra il vecchio (però a Firenze la forza delle case bancarie, nelle corti la fragilità di nobili strangolati dall’usura o costretti a battere moneta falsa, ma questa intrinseca debolezza storica della prospettiva di Dante aprirebbe tutt’altro discorso). D’un tale messaggio la contessa Bianca Giovanna (personalità con cui Dante in quella fase aveva evidentemente un rapporto molto stretto e che tendeva ad evidenziare, se anche il defunto fratello suo Guido Novello, ripeto, lo faceva spiccare tra la folla d’anime di Purg. VI a supplicarlo di orazioni) era dunque destinataria ideale. Tanto più lo era se, per quella particolare situazione matrimoniale di cui ho detto, lei casentinese si trovava davvero in area veneta e in rapporti verosimilmente di amicizia con i Caminesi di Treviso, di ostilità con gli Scaligeri di Verona; oltretutto questo rende compatibile anche il fatto che Dante potesse rivolgersi a lei, che pure apparteneva a un ramo ghibellino, in un momento in cui i suoi legami erano piuttosto con i rami guelfi (e d’altronde, sempre in quella fase, il nuovo rettore della Massa Trabaria casentinese era un guelfo trevigiano…). Questo il possibile sfondo di relazioni: e non serve neppure che io ricordi come Gherardo da Camino, il buon Gherardo del Purgatorio (uno dei tre soli nobili rimasti nel paese rigato da Adige e Po a testimoniare la gentilezza e la cortesia dell’antica generazione, altrimenti affatto scomparse dopo la briga 24 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

avutavi dall’imperatore Federico, secondo il parere di Marco Lombardo) sia speciale esempio di nobiltà – per virtù e per sangue – anche in Convivio; con lui, sia in Purgatorio che in Convivio a testimonianza d’un blocco di giudizi molto solido e convinto, anche il poco noto ma nobilissimo Guido da Castello reggiano. Ora, in Convivio Guido da Castello (nobile in quanto non vile) viene contrapposto ad Alboino della Scala (dunque meno nobile, ancorché più illustre, in quanto ‘più vile’), e il giudizio negativo sugli Scaligeri verrà a sua volta ribadito in termini durissimi, come tutti sappiamo, dall’abate di San Zeno in Purgatorio: giudizio che sarà rovesciato nel Paradiso, dopo la calata e la sconfitta di Enrico VII, in tutt’altra fase della biografia personale e politica di un Dante ormai sulla via, allontanatosi l’orizzonte fiorentino, della Ierusalem celeste e giunto ad un ulteriore stadio dell’evoluzione ideologica verso la Monarchia. Perciò ho ricordato la specificità di questa fase ‘guelfa’ e del sistema di relazioni che la caratterizza, tanto più cruciale se pensiamo come sia in queste contestualità che prende avvio la Commedia: altrimenti è difficile intendere, avendo in mente Paradiso XVII, come gli Scaligeri possano costituire, negli anni fra Convivio e Purgatorio, un così clamoroso esempio di perduta cortesia (e un analogo, né meno vistoso esempio di rovesciamento dei giudizi tocca, per quell’area geografica e politica e per il suo sistema di alleanze, i da Romano, con Ezzelino infernale tiranno calato nel sangue di Flegetonte e Cunizza paradisiacamante beata nel cielo di Venere!). Che Dante incontri qui la tradizione di Boncompagno e di un certo Guittone (con altri d’epoca, già in Contini il rinvio a Iacopo da Lèona, «Contessa è tanto bella e saggia e conta…»), ho detto; ma è tutto un filone di critica della perdita di gentilezza e di cortesia – rinuncia all’onor per il pro – da parte aristocratica nell’emergente contesto popolare-borghese che egli incrocia, filone efficace in poesia fin dalla metà del Duecento, ricordo almeno in area pisano- lucchese la voce d’un Inghilfredi (Monte Andrea, ribadisco, era altra cosa e altro punto di vista, e se mai c’è da dire che Dante quei due punti di vista parziali – l’aristocratico e il borghese-bancario – li 25 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

fonde in una critica complessiva, l’esilio a Larghezza è dato nel Comune ma anche nelle Corti il bando la perseguita). Dante esce da Firenze e incontra, in un mondo in declino, il passato. È un arcaismo col quale fa duramente i conti nel Convivio, nel De vulgari, nella Commedia, e sono conti linguistico-letterari insieme che ideologico- politici, nel senso che l’orizzonte degli antichi duecentisti restava anche politicamente affatto municipale mentre l’orizzonte di Dante si allarga presto all’Italia-pomerium e all’Impero nel suo complesso (che a Firenze non si potesse rispondere da Romena o da Forlì, che anzi i conti d’Appennino e i tiranni di Romagna fossero dentro la medesima crisi di cui Firenze era un fulcro, lo intuì subito). Non voglio ripetere quanto ho già osservato nella Nobiltà di Dante, ma qui devo ulteriormente precisare che le sollecitazioni antiborghesi e antimonetarie – le definisco così un po’ all’ingrosso e per intenderci – stimolate dagli ambienti dell’esilio sono di grande suggestione critica, però dal punto di vista storico-politico fondamentalmente regressive: in questo senso coerenti col processo ideologico (anzi in esso una tappa determinante) che perverrà all’estrema utopia antistorica della Monarchia. Certo in questi anni, quelli del primo esilio poi dell’Inferno e del Purgatorio, il rapporto di Dante con gli eventi della politica è serratissimo, una reattività quasi giorno per giorno alle contingenze che rende così mossi, talvolta intricati e contraddittorî, come la sua personale biografia, anche i percorsi delle prime due cantiche e gli stessi panorami dei due incompiuti trattati: difficile perciò, ma necessario, tenere in vista la logica di lunga durata della sua evoluzione ideologica dal Comune fino all’utopia dell’Impero e alla suprema corte del Paradiso, per le tappe brevi, fitte, diuturnamente drammatiche e geograficamente reali attraverso la Tuscia, l’Appennino e la Romandiola, il Settentrione veneto e lombardo e la Francia e l’Europa. Da questo punto di vista proprio le canzoni, nella loro concentratissima essenzialità ideologica e insieme con la puntualità dei loro indirizzi-congedo, servono straordinariamente a correlare i due piani, a intendere come i dati, i volti, le svolte dell’esperienza precipitassero in un progetto di risistemazione universale della storia disgregata. 26 Umberto CARPI La destinataria del congedo...

Bianca/bella, Giovanna/saggia, Contessa/cortese: un’interpretatio nominis che riassume e concentra nella destinataria – bellezza, virtù, nobiltà – il significato e i valori della canzone. Una destinataria, fra l’altro, cui sembra essere assegnato ben altro ruolo che quello d’omaggiata dedicataria: a lei, autorevole domina compaesana e partecipe della stessa lontananza del poeta, viene infatti affidato – oltre che per questa corregionalità, in forza delle specifiche virtù personali, la saggezza, la bellezza, evidentemente la refrattarietà alla ‘gente vile’ se il suo titolo comitale resta sinonimo di cortesia, dunque di gentilezza intera – un particolare compito di mediazione attiva, anzi proprio decisionale nell’ulteriore iter del testo. Prima sia lei e solo lei («prima con lei t’arresta, | prim’ a lei manifesta…») a leggere e valutare i contenuti della canzone e ad esser messa a conoscenza delle finalità dell’autore («…quel che tu sé e quel per ch’io ti mando»); poi sia lei a decidere – modalità di pubblicazione e selezione degli indirizzi? – sugli invii successivi («poi seguirai secondo suo comando»), in un contesto del quale Dante fa capire quanto richiedesse di riservatezza e prudenza e insieme di fermezza: «a costei te ne va chiusa e onesta». In una fase nella quale lui esule abbandonava gli altri esuli ghibellini e bianchi e chiedeva il perdono per rientrare a Firenze con un sottile gioco di nuove alleanze guelfe, e però questo compromesso politico non rinunciava ad accompagnarlo, anzi lo radicalizzava, con l’approfondimento di una critica strutturale della società contemporanea e con una riflessione politica stricto sensu né guelfa più né ghibellina delle ragioni profonde dei suoi sconvolgimenti; in una geografia del potere così frammentata e conflittuale fra Impero e Chiesa e Regni, fra Comuni e giurisdizioni feudali e tiranni-signori e nell’intrico di relazioni fra personalità e famiglie sbandite e sradicate (Dante ‘bianco’ fiorentino ora esulante fra ‘neri’ dell’Appennino e del Veneto, Saracino ‘ghibellino’ di Mantova presso gli Este), insomma nella disgregata realtà del giardino dell’Impero la diffusione di testi così ideologicamente forti e netti, dei quali adesso non è sempre facile se non talvolta addirittura impossibile individuare con certezza i circostanziati obiettivi polemici, ma in cui allora le allusioni ad 27 LA BIBLIOTECA DE TENZONE GRUPO TENZONE

ambienti, persone e fatti dovevano risultare affatto scoperte e suonare di particolare violenza, una canzone come questa era ben delicata con la sua critica radicale dell’avarizia di interi ambienti aristocratici. Perciò Dante la trasmette in sé onesta, ma prudentemente chiusa: ad una contessa Bianca Giovanna dei Guidi (se lei, non più giovane e certo esperta delle difficoltà e dei pericoli nelle relazioni politiche di quel mondo, ostaggio com’era stata a lungo col fratello, bambina, presso Carlo d’Angiò e poi presso Ildebrandino il Rosso degli Aldobrandeschi padre dell’altra tragica comitissa Margherita), alla moglie casentinese di un Saracino Bonacolsi mantovano (se tale, ben addentro alle difficoltà dell’esulato nella terra ch’Adige e Po riga, deserta di cortesia fra Scaligeri, Caminesi, Estensi) la responsabilità di ‘aprirla’, di renderne ‘aperti’ (come, quanto, a chi) gli aspri contenuti, i vizî e i vili che vi erano illustrati e additati. Certo, la conclusione su bellezza e amore impossibili o sfigurati nel mondo avaro di questi cotali pertiene a quei temi di poetica che Dante continuerà a trattare nei mesi successivi con Cino e con Moroello: ma tutta la tematica relativa a danaro e uso della ricchezza e al degrado delle corti per vizio d’avarizia ha una valenza squisitamente politica. Di senso a sua volta politico, dunque, l’invio della canzone in quei termini alla contessa Bianca Giovanna e il compito affidatole (e che lo affidi a una donna e dopo un tale ragionamento mi pare sommamente significativo) di decidere della sua ulteriore diffusione: contarono dunque molto, per Dante, queste donne dell’esilio casentinese5. Sul terreno etico-politico questa fascinosa e un po’ enigmatica Bianca Giovanna; vedremo, contrastivamente per un suo emblematico amore appunto fuor d’orto di ragione, la ‘montanina’; e sarà nella biografia, alla fine, ancor dopo Verona, una vecchia comitissa romagnola ammogliata Aghinolfo dei Guidi di Romena ad assicurare a Dante e famiglia una buona rendita ravennate!

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NOTE

1 Carpi 2004: ad nomina. 2 Luigi Passerini nelle Famiglie italiane celebri di Pompeo Litta. 3 Si vedano i vari studi di A. Lisini citati in La nobiltà di Dante (Carpi 2004: 427). 4 Si veda, in La nobiltà di Dante, II (Carpi 2004: 580-621), il paragrafo Un incontro con Guittone; per Monte Andrea e le tematiche poetico-bancarie, Ivi, I, pp. 228-51, il paragrafo La nobiltà del fiorino; per i Guidi e Boncompagno, Ivi, II, pp. 534-79, I conti Guidi di Romena e gli altri nipoti della buona Gualdrada. 5 Torna preziosa, in questo senso, la nota a sotto benda proposta qui da De Robertis (pp. 11-12). Suggestiva, e non necessariamente incompatibile con la mia, la tesi di Violeta Díaz-Corralejo che nell’indirizzo alla compaesana Bianca Giovanna possa essere sottintesa (anche) una richiesta d’aiuto (Vid. in questo volume p. 38).

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