I panni sporchi del regime – Le ragioni di una sconfitta (1)

I panni sporchi del regime – Le ragioni di una sconfitta (1)di Giuseppe Baiocchi del 13/06/2016

Si è aggirato per anni negli Italiani un luogo comune, un pensiero ripetuto come una convinzione sottaciuta e condivisa, una certezza tramandata a mezza bocca, un qualcosa che si pensa, ma non si dice. In molti hanno creduto che il fascismo fosse stato, sì è vero, una dittatura che ha strappato con violenza la libertà agli italiani e avesse eliminato ogni opposizione, dissenso, libertà di stampa, partiti politici, ma almeno (è questo il pensiero segreto, forse indicibile) i fascisti non rubavano, non erano corrotti, non corrompevano, non abusavano, non favorivano, non piegavano lo stato ai propri interessi, anzi (è questo il luogo comune) apparivano disinteressati, puliti, irreprensibili. In molti, anche in buona fede, lo credevano, ma non era vero, almeno per i dirigenti.

Le ragioni di una sconfitta.

Il 3 Gennaio 1925, Mussolini esclamava in parlamento: Antindividualista,“ la concezione fascista è dello Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica.E’ contro il liberalismo classico che sorse in bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua concezione storica, da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolari. Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell’individuo. E se la libertà dev’essere l’attributo dell’uomo reale e non di quello astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il fascismo è per la libertà. E’ per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato. Giacchè per il fascista, tutto è nello Stato e nulla di umano o spirituale esiste e tanto meno ha un valore fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita di un popolo” E’ a questa totalitaristica concezione “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”, che si informano le grandi realizzazioni che portano la data del 3 Gennaio 1925. Sono di quel tempo la legislazione sindacale e la Carta del lavoro che sfoceranno nella creazione del Consiglio nazionale delle Corporazioni, “la più radicale riforma” dirà Mussolini “nella storia dei tempi moderni”. Veri pilastri, che oltre a sfociare in un più che giusto consenso popolare risolvevano con l’equilibrio giuridico, diseguaglianze sociali che ai tempi solo il regime comunista era riuscito (con la forza ovviamente e altre tipologie di soprusi) a sanare. Allora perché Piazzale Loreto? Perché tanto accanimento? In questo articolo si cercheranno di spiegare queste motivazioni. Avverranno dei chiarimenti tra la realtà del regime fascista e come citato sopra la teoria, del regime. Una cosa è certa: come fu un leader indiscusso del fascismo, pagò per tutti i suoi collaboratori (se li era scelti lui, ovviamente) corrotti che portarono a fondo l’Italia, fino alla guerra civile.

30 ottobre 1922, due giorni dopo la marcia su Roma, Mussolini ottiene dal Re l’incarico di formare il nuovo governo, è il nuovo presidente del Consiglio e lo deve per l’ampia schiera dei fedelissimi di sempre: i gerarchi, gli squadristi, i RAS locali. E’ arrivato il momento di ripagare chi ha creduto in lui, chi lo ha sostenuto nella affermazione del fascismo, chi per lui si è “sporcato le mani”; non solo per riconoscenza, ma soprattutto per assicurarsi l’obbedienza e la dedizione di personalità spesso ambiziose, avide e certo non insensibili allo odore dei soldi. Questo lo sa bene il nuovo (da Duca)che nel 1923 in una riunione del suo primo governo elargisce a piene mani incarichi alle sue, fedeli, camicie nere. Si apre una vera e propria corsia preferenziale per i sostenitori della prima ora, ed è subito assalto alle cariche pubbliche. Le poltrone più ambite vengono destinate ai gerarchi: (i gerarchi erano i dirigenti del PNF, partito nazionale fascista) ministeri, forze armate, aziende, banche, giornali; non solo nella capitale, anche nei centri più remoti di provincia. Sembra infatti, che il comandamento del Duce (pur se celato sotto la retorica del regime) sia uno solo: “fascisti arricchitevi!” E i fascisti non se lo fanno dire due volte, al punto che “l’Assalto” (il giornale fascista di Bologna) già nel Dicembre del 1922 in polemica con la dilagante corruzione nel PNF fa suo il motto: “il fascismo si serve, non serve”. A parole Benito Mussolini è per una intransigenza morale assoluta. Il 10 luglio del 1929 rivolto ai Gerarchi milanesi dichiara: “il fascismo è una casa di vetro, nella quale tutti possono e devono guardare. Guai a chi profitta della tessera e indossa la camicia nera per concludere affari che altrimenti non gli riuscirebbe di condurre a termine.” Un rigore, che in realtà, verrà applicato solo nei confronti dei “pesci piccoli”. Tutt’altro accade difatti, quando a delinquere sono eminenti personalità del regime e una accusa potrebbe suscitare scandalo. Non c’è dubbio che Mussolini sia informato di tutti i maneggi dei suoi dirigenti… eppure lascia correre. Cominciamo questo elenco dalla passione per le residenze, palazzi di lusso comune a molti Gerarchi.

In prima fila il secondo da sinistra: . In prima fila il quarto da sinistra: Roberto Farinacci. In seconda fila il terzo da sinistra con occhiali: Arturo Bocchini

Non manca, chi approfitta dei contributi del ministero dei lavori pubblici per costruirsi Chalet in Montagna e ville al Mare: come il RAS di Cremona, l’avvocato Roberto Farinacci (l’uomo dei manganelli e dell’olio di ricino) l’organizzatore dello squadrismo agrario della Lombardia, il più estremista, esagitato e fanatico, ma non il più onesto. A Farinacci il mare piace molto, tanto da acquistare una grande villa in prossimità della spiaggia di Gaeta. Dal mare alle città, gli immobili del Farinacci sono situati in postazione strategiche: a Milano, a Napoli, a Roma (nella capitale, in più, possiede una tenuta di 12 ettari con annessa casa colonica sulla via Numentana). A Cremona poi ha fatto costruire il palazzo dove ha sede il suo giornale: “il regime fascista”. Lo stesso Mussolini nel 1943 annoterà nel suo scritto “pensieri continui e saldi”: “stento a credere che in casa di Farinacci si siano trovati ottanta chili di oro”. In un ventennio il tesoro accumulato da Farinacci è veramente imponente: si parla di un capitale di circa 300.000.000 di lire del 1945, oltre 10 milioni di euro di oggi. Passiamo ora a nominato Conte di Misurata, grazie al suo governatorato in Tripolitania e collante fra il mondo dell’industria e il fascismo. Già ricco di famiglia Volpi di Misurata vede crescere esponenzialmente nell’arco del ventennio i suoi possedimenti: acquista appartamenti, palazzi e terreni. A Roma, a Venezia, a Firenze e a Siena; oltre ad una imponente villa a Tripoli quando è governatore di quella regione. Ma quello che colpisce maggiormente è l’assolta spregiudicatezza con la quale gestisce il conflitto di interessi. Diventa Ministro delle Finanze, mentre al tempo stesso è già strettamente legato alla banca commerciale che agevolerebbe finanziamenti in favore di imprese meccaniche e siderurgiche di sua proprietà. Nel 1948, il ministero delle Finanze della neonata repubblica italiana farà degli accertamenti sull’ammontare dei profitti del Regime, relative al Conte Volpi: un ammontare di 165.000.000 di lire, circa 2 milioni e 800.000 euro di oggi; come emerge da alcuni documenti presso l’archivio centrale dello Stato di Roma. Non tutti però, approvano tanta diffusa illegalità. Augusto Turati (segretario del partito 1926/1930) avrebbe detto a Mussolini: “il popolo stanco di sacrifici e di soprusi, odia i gerarchi e li divide in due categorie: quella dei ladri e quella dei fessi”. Sfidato dal Duce a compilare la lista degli uni e degli altri gli avrebbe consegnato due elenchi, dove in quello dei “fessi” il primo nome era proprio quello di Benito Mussolini, quello dei “ladri” cominciava con il nome di Costanzo Ciano (padre del più noto , ministro poi degli esteri e fucilato dallo stesso Mussolini per tradimento) eroe della grande guerra, uno degli uomini più potenti del regime, è così influente che perfino Mussolini trova necessario farselo amico. L’alleanza viene sancita dal matrimonio celebrato nel 1930 tra il figlio di Costanzo: Galeazzo e la primogenita del Duce: Edda.Tra un brindisi e l’altro Costanzo Ciano opera in barba agli interessi statali: è ministro delle comunicazioni, ma al tempo stesso è anche azionista di grandi aziende che vincono appalti di forniture statali, aziende che portano lauti guadagni nelle sue tasche. E’ evidente che questo doppio ruolo di ministro e di azionista gli permette un giro d’affari molto lucroso e certamente ambiguo. Il 30 aprile 1934, Ciano è eletto per acclamazione presidente della Camera dei Deputati; perfino il Re mal digerisce l’eccessiva libertà concessa al Conte Ciano che alla sua morte lascia una eredità che ammonterebbe oggi a circa 700.000.000 di euro. L’elenco degli arricchimenti sospetti è lungo. Basti ancora citare quelli di Leandro Arpinati, il sottosegretario agli interni. Arpinati riesce ad acquistare la grossa tenuta di Malacappa: 70 ettari nei dintorni di Ferrara. Addio Damaro, ambasciatore di Mussolini in Svizzera nelle sue memorie scrive che l’avrebbe ricevuta in dono, da un gruppo di amici vicini ad alcuni dirigenti della Banca Commerciale. Un regalo in cambio di cosa mi chiedo, ma molte informazioni sono andate perdute.. o distrutte. Molto chiacchierato è anche , uomo forte del sindacalismo fascista e ministro dell’agricoltura dal 1935 al 1939. Si dice che i fondi ministeriali finiscano tutti in opere per il suo paese natale: Tresigallo in provincia di Ferrara. In un inchiesta riservata che arriva sul tavolo del Duce si legge: “risulta che la stessa popolazione del suo paese è sbalordita di fronte ai grandi lavori eseguiti, sproporzionati di fronte alle esigenze del posto.” Opere per cui vengono sborsati nel complesso 500.000.000 di lire del 1939, circa 400 milioni di euro, per un paese di 4.503 abitanti. Si agisce nei propri interessi grazie alle cariche pubbliche che si ricoprono un po’ ovunque. Per esempio nella Milano del 1925. Il RAS Ernesto Belloni, pur ricoprendo la carica di podestà (nome dato alla carica dell’attuale sindaco italiano) del capoluogo lombardo entra in una ventina di consigli di amministrazione, in alcuni casi il conflitto di interessi è particolarmente grave poiché le sue aziende firmano contratti di un certo peso con lo stesso comune. Belloni ama fare sfoggio delle sue ricchezze, nel periodo in cui è primo cittadino compra una enorme villa, varie opere d’arte e mantiene molte amanti. Quanto al conflitto di interessi, un caso a sé è quello del ragioniere Edmundo Balbo, fratello di Italo (il potentissimo RAS di Ferrara e quadriunviro della marcia su Roma, il famoso trasvolatore, il governatore della Libia). Edmondo è soltanto un ragioniere di provincia, eppure in virtù di questa sua altolocata parentela diventa presidente di quattro società, liquidatore di cinque, amministratore unico di una, consigliere di quattro e revisore dei conti di altre venti. Miracoli della parentela. Neanche le banche sfuggono al potere della avidità dei Gerarchi fascisti: molti sono fortemente coinvolti nel crac della Banca Agricola di Lusignani di Parma che finanzia gli agrari del luogo. Nel 1925, nella Siena che festeggia il palio, i fratelli Ciliberti (eminenti fascisti della città) vengono accusati letteralmente di “profittandismo” per aver sfruttato a fini personali, la loro posizione all’interno della banca Monte dei Paschi di Siena. Coltivano interessi illeciti, non solo ministri, sottosegretari e podestà, ma il malaffare tocca anche i vertici militari. Il generale della milizia Ulisse Igliori è un invalido di guerra ed ora è un imprenditore edile. Così scrive una informativa di un agente dell’OVRA (la polizia politica di Mussolini): “la nota impresa Igliori, ha assunto un nuovo appalto per la costruzione di altre caserme a Viterbo in località Acque Albule, per un importo di 28.000.000 di lire, fra la ditta Igliori e alcuni funzionari dell’ufficio tecnico del ministero della guerra (oggi ministero della difesa) intercorrono reciproci e illeciti interessi”. Il Duce viene quindi informato di tutto, eppure, anche questa volta “lascia fare”. Così come è impossibile che non sappia degli strani traffici del generale Emilio del Bono, il più anziano dei quadriunviri (coloro che hanno guidato la marcia su Roma) ed eroe della Grande Guerra, governatore della Tripolitania dal 1925 al 1928. Incaricato di gestire lo sviluppo della agricoltura nelle colonie africane, Del Bono opererebbe in modo così malaccorto da mandare in fumo 30 milioni di lire di finanziamento speciali dello Stato, per il generale fu un operazione con un tornaconto assolutamente personale. Insomma, i più alti rappresentanti del fascismo si danno parecchio da fare. Il Duce chiude un occhio, ma come ho detto questo atteggiamento nasconde in realtà uno scopo ben preciso: avere in pugno i gerarchi, poterli ricattare, e per far questo Mussolini mette in opera la polizia: vengono incoraggiate denunce, lettere anonime, segnalazioni e la polizia prepara voluminosi dossier. Tomi preziosi per Mussolini. Potentissime armi da utilizzare all’occorrenza contro i suoi più stretti collaboratori.

da sinistra a destra: Giuseppe Volpi, Edmondo Rossoni, Ulisse Igliori, , Guido Buffarini Guidi

La dittatura di Mussolini, come abbiamo visto, convive con la corruzione.. eppure nonostante tutto la maggior parte del popolo italiano continua ad illudersi di vivere nel più onesto dei paesi. Molti, forse, non si rendono neppure conto, di un nuovo diffuso e turpe malaffare che ha inizio dal 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. Per Benito Mussolini (che aveva diverse amanti ebree) l’adozione delle leggi marziali ha carattere meramente politico, una mossa in uno scacchiere (quello europeo) dove conviene inserire il pedone nella casella giusta.Ovviamente Mussolini è costretto ad assecondare il più forte alleato, ma guadagnerà anche su questa legge, non avendo nulla assolutamente contro la razza ebraica come quella negra. Il ciò non è giustificabile, ma gli orrori che sarebbero venuti, non furono conosciuti neanche da Mussolini in pieno. Così, gli ebrei che possono accampare meriti particolari verso il regime, hanno la possibilità di evitare l’applicazione della legge con la cosìdetta pratica di “arianizzazione”. E’ una procedura che deve essere svolta da una apposita commissione impropriamente detta “Tribunale della Razza”. La commissione viene istituita dalla direzione generale per la demografia e la razza, la famigerata “demorazza”. Questa dipende dal ministero degli interni e fa capo al sottosegretario Guido Buffarini Guidi. Ci saranno avvocati e fra loro alcuni gerarchi, che non esiteranno ad esigere dagli ebrei parcelle vergognose di migliaia di lire per patrocinare queste pratiche e altri soldi serviranno per oliare i commissari.

Fra questi, ancora una volta, l’avvocato Roberto Farinacci, che si faceva pagare direttamente in oro. Chi non ha un padre o un nonno caduto in guerra o non è stato iscritto al prima della marcia su Roma non ha altra possibilità che cedere al non malcelato ricatto dei membri della commissione di arianizzazione, i quali non si fanno scrupoli a chiedere ed estorcere grosse somme di danaro, oro o gioielli. Si occupa di questo traffico è il sottosegretario agli interni Buffarini Guidi che ben conosce i commissari, oppure per sfuggire alle leggi razziali molti ebrei sono costretti ad infangare l’onore delle proprie famiglie sostenendo di essere il frutto delle relazioni che le proprie madri avrebbero avuto con ariani, ma lei stessa deve dichiarare la propria infedeltà, in caso contrario servono testimoni che possano garantire del suo comportamento adulterino. Come si denota, vi è una delle grandi caratteristiche italiche: quella di poter cercare di aggirare le regole o i regolamenti, con sotterfugi di tutte le tipologie. L’esempio sulla razza è un caso stocastico. Non mancano i detrattori: da Venezia una lettera avverte il ministero a Roma, che il Barone Gastone T. (ex squadrista) avrebbe detto in giro di aver pagato per la sua arianizzazione un milione e mezzo di lire, circa un 1.250.000 euro odierni considerando il valore della lira nel 1938. Il Barone, continua la lettera, vorrebbe fare arianizzare i nipoti, facendoli far passare per figli propri, sostenendo che la cognata sarebbe stata la sua amante. Fin qui, ho analizzato gli uomini di cui si circonda Mussolini: Gerarchi, Ministri, Prefetti, Generali i quali rubano, rubacchiano, corrompono, imbrogliano. Nel prossimo articolo vi racconterò del Duce stesso. Da questo articolo possiamo solo iniziare ad analizzare l’accanimento (sempre ingiustificato) di Piazzale Loreto. Una riflessione finale: ma oggi dopo i numerosi scandali politici, la situazione (rapportata al contesto sociale e civile odierno) non è strettamente similare?

Per approfondimenti: _Di Figlia Matteo “Farinacci, il radicalismo fascista al potere”, Editore Donzelli _ Leonardo Salvatore Siliato “Costanzo Ciano”, Edizioni Cantore, Torino _Franco Fucci, “De Bono, il maresciallo fucilato”, Edizioni Mursia _Pier Giorgio Zunino “L’ideologia del Fascismo”, Edizioni il Mulino _Renzo de Felice “il Fascismo” Editore Laterza

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Il Mussolini privato e il reato pederasta. Le ragioni di una sconfitta (2)

Il Mussolini privato e il reato pederasta. Le ragioni di una sconfitta (2)di Giuseppe Baiocchi del 09/06/2016Benito Mussolini è un uomo spregiudicato, nella sua carriera politica come nella vita privata non si è mai fatto troppi scrupoli: sa bene come gestire il potere per ottenere danaro e come utilizzare il danaro per ottenere il potere, mantenendolo. foto dell’Istituto Luce (L’Unione Cinematografica Educativa): Mussolini miete il grano insieme ai fattori

L’Italia degli anni venti, a differenza di oggi, nella politica estera è la quarta/quinta potenza mondiale agli occhi dell’Europa e del Mondo. Ci sopravanzavano solo Germania, Inghilterra, Francia; poi viene la volta dell’Italia al pari del Giappone e Stati Uniti. Nelle trattative importanti, da grande statista quale era, Mussolini si sedeva sempre al tavolo delle decisioni che contano, facendo comunque gli interessi del suo paese. L’espansionismo anacronistico italiano in africa Orientale e la costituzione dell’Impero (1935) avevano toccato l’opinione pubblica Europea definendo l’Italia uno stato aggressivo, ma in espansione e soprattutto forte. Nei prossimi capitoli racconterò poi cosa c’era dietro (come organizzazione di uomini e materiali) alla conquista africana. Mussolini dunque, come tutti i grandi personaggi della storia è un uomo controverso: amato dal popolo (almeno nel ventennio) fece grandi riforme ed opere architettoniche sociali che portarono benessere al paese, ma in privato si muoveva nella corruzione sia sua, che dei suoi uomini e questo lo portò al disastro. Personaggio controverso, come d’altronde l’Italia. Nel 1914, allo scoppiare della grande Guerra, quando da socialista pacifista, Mussolini diventa interventista, viene cacciato dalla direzione dell’Avanti, ma in breve fonda “Il Popolo d’Italia” grazie ad un finanziamento proveniente dalla Francia, che spingeva affinchè l’Italia entrasse nel conflitto.Qualcuno potrebbe insinuare che il finanziamento provenuto dalla Francia abbia contribuito non poco alla conversione dal pacifismo all’interventismo di Benito Mussolini, il quale però la sua guerra l’ha fatta ed è stato anche ferito a quota 144 sul Carso con l’11° Bersaglieri. Nel 1919, il suo giornale “il Popolo d’Italia” si fa promotore di un ingente raccolta di fondi a favore di Gabriele D’Annunzio e dei suoi volontari. Questi hanno occupato la città di Fiume (oggi territorio croato) per riportarla all’Italia. Mussolini si guarda bene da inviarli l’ingente gruzzolo per intero, ne nasconde all’incirca la metà e questa cifra gli servirà per finanziare la sua prima campagna elettorale che lo vedrà candidato a deputato con il simbolo dei Fasci di Combattimento. Ma si accontenta anche di appropriazioni minori, come quella della sua prima automobile: una Edoardo Bianchi tipo 15 che l’amante Margherita Sarfatti mette in conto all’opera Scaldarancio, una associazione benefica sorta durante la grande guerra. Una volta al potere Mussolini, gestisce, disinvoltamente il fondo cassa della sua segreteria “particolare” . Nel cassetto della sua scrivania, a Palazzo Venezia (Roma), accanto alla pistola tiene sempre una mazzetta di banconote, per un valore di almeno 500.000 lire, circa 420.000 euro, considerando il valore della lira nel 1930, per “piccole spese” ed “elargizioni temporanee”. Il Duce, aiutava anche i privati, i quali alle volte gli chiedevano aiuto. In media giungono a Mussolini circa 140.000 richieste di sussidio l’anno. Nel 1933 una direttiva dell’ufficio stampa e propaganda raccomanda ai giornali di non pubblicare il numero degli italiani beneficiari, essendo questi oltre 2.000.000. Insomma, la cifra complessiva delle donazioni certificate è di oltre 172.000.000 di lire, oltre 150.000.000 di euro. Ma tanti e costosi sono anche i regali che il Duce continua a ricevere: soprattutto cavalli e automobili che raccoglie a villa Torlonia in due scuderie, non manca del resto di far partecipare le sue fuori serie a competizioni sportive. Villa Torlonia, per intercessione della scrittrice Margherita Sarfatti, gli è offerta dal principe Torlonia stesso, per la cifra simbolica di 1 lira l’anno. La villa è costituita da una abitazione principale con quaranta stanze, attorno, diversi villini dalle architetture più bizzarre, poi le scuderie, la limonaia, il galoppatoio, il teatro, un piccolo lago, perfino una finta tomba etrusca – tutto bene in armonia fra i molti ettari di parco. Non c’è che dire, è un regalo che il Duce gradisce moltissimo. Dalle manovre corsare per finanziare la sua scalata al potere, fino agli omaggi e alle regalie del periodo del consenso, abbiamo visto che il Duce ha parecchi scheletri nell’armadio, ma non se ne cura. A lui tutto è consentito. Consente tutto, anche ai suoi fedelissimi, fino a quando non decide di presentare il conto. Mussolini ha un arma molto potente nelle sue mani, molto più infima delle leggi razziali da usare contro i suoi oppositori di partito: l’omosessualità (oltre ai vari dossier dell’OVRA su ogni singolo Gerarca, avendo sotto ricatto l’intera classe dirigente). In epoca fascista, infatti, gli omosessuali sono considerati avere una vera e propria malattia. Per loro c’è il confino o perfino il manicomio. Alle volte non serve neppure che l’accusa sia fondata, basta mettere in moto il meccanismo della calunnia (attenzione, oggi avviene la macchina del fango dei giornalisti e della televisione) per distruggere la reputazione di personalità anche molto importanti. Nel discorso alla camera del 16 maggio 1925, il ministro della giustizia Alfredo Rocco, indica testualmente come uno dei principali compiti dello Stato sia: “reprimere, tutte le forme di deviazione e di degenerazione della morale pubblica e privata” ed in questo ambito rientra anche l’omosessualità. Nel codice penale, approvato il 19 ottobre del 1930 si evita di prevedere direttamente il reato di pederastia: “certe cose, meno le si nota e le si nominano e meglio è! Il paese è abbastanza sano, il turpe vizio non è diffuso” afferma il giurista. I provvedimenti contro gli omosessuali di allora rientrano in quelli relativi all’ordine pubblico e in poco tempo più di 2000 persone vengono confinate, per questa ragione, alle isole Tremiti, alle Egadi, a Ponza, confusamente rubricati come “politici” o come “delinquenti comuni”. Per quelli che restano nei luoghi d’origine c’è una quotidiana persecuzione fatta di ammonizioni, diffide, arresti, schedature, interrogatori, pestaggi, il calvario dei così detti “traditori della stirpe” include anche il manicomio che inghiotte silenziosamente un numero imprecisato di persone: quelle a cui il regime nega ogni diritto civile, trovandole in contrasto con i “sacri destini della gioventù italica”. L’accusa di omosessualità è per lui uno strumento micidiale per allontanare o destituire persone politicamente scomode, per ammorbidire, minacciare, ricattare, personaggi anche illustri. Per controllare ed intimorire RAS e Gerarchi troppo intraprendenti o paradossalmente troppo onesti. Il sospetto di pederastia, inchioda ed è inappellabile: vero o falso che sia, è inaccettabile, inammissibile e le teste a cadere sono tante. Si pensi che la prima è quella dell’onesto Augusto Turati, fascista della prima ora, chiamato da Mussolini alla segreteria del partito nazionale fascista proprio per svolgere un opera moralizzatrice dopo la gestione Farinacci. Turati dovrebbe moderare l’ingordigia dei Gerarchi e certo prende il suo compito molto sul serio, fino a pestare i piedi perfino agli “intoccabili” del regime. Sono in molti a lamentarsi: Costanzo Ciano, Emilio De Bono, , ma a tendere la corda al boia è proprio Roberto Farinacci che attacca Turati dalle pagine del suo giornale, “il regime fascista” di Cremona. Come evitare lo scandalo? Intanto Turati che dal 1930 era anche direttore del quotidiano “La Stampa” viene sospeso nel 1932 dal partito fascista, una punizione non sufficiente a evitare che la strategia della calunnia segua il suo corso. Se ne occupa ancora una volta Roberto Farinacci. Egli si procura una lettera compromettente inviata da Augusto Turati ad una mezzana torinese, proprietaria di una casa di tolleranza. Il direttore de “La Stampa” ha avuto l’imprudenza di chiedere alla tenutaria di incontrare come è avvenuto altre volte il “maschietto”. Scatta quindi l’accusa di pederastia, anche se “il maschietto” in oggetto non sarebbe un ragazzo, ma una prostituta giovanissima con i capelli tagliati, appunto, alla “maschietta”. Mussolini, lascia che le illazioni partite da Cremona crescano fino a diventare verità. Turati aveva toccato i poteri forti, che andavano lasciati indisturbati e viene bollato come “invertito” colpevole della “aborrita sodomia” e intorno a lui si fa il gelo: viene emarginato ed espulso definitivamente dal PNF ed è esiliato a Rodi dove rimane fino al 1937 e tormentato crudelmente negli anni successivi. , successore di Turati, alla guida del Partito Nazionale Fascista farà presto la stessa fine del suo predecessore. Anche Giuriati, come Turati ha l’incarico di indagare sugli affari dei fedelissimi del regime e pagherà a caro prezzo la denuncia della diffusa corruzione. Non solo Giuriati scopre le illegalità commesse dai gerarchi più importanti, ma fa molto di più: passa al vaglio l’intero partito fascista e compila una lista di truffatori da epurare, una lista lunghissima. Come zittire, il nuovo e più pericoloso Savonarola? Giuriati viene travolto dallo scandalo, insieme al direttore degli uffici di questura della Camera dei deputati, in una delazione inviata all’ufficio della polizia politica, si legge: “ il direttore degli uffici di questura, sfruttando la sua posizione conduce una vita dissoluta, accompagnandosi fino a tarda notte in atteggiamenti lascivi con giovani militari e con il personale in servizio a Montecitorio. Per la sua pederastia passiva è sempre riuscito a salvarsi, perché Giuriati, avendo il suo stesso vizio, non ha potuto agire contro di lui”. Giuriati conosce bene il direttore degli uffici della questura essendo nel 1930 (oltre che segretario del partito) anche presidente della Camera. Viene quindi accusato di aver protetto l’amico. Dietro questa campagna infamante ci sono l’onnipresente Roberto Farinacci e (vice di Giuriati). La testa di Giuriati rotola, dunque, dopo appena 14 mesi di incarico, nonostante da molti sia considerato il miglior segretario della storia del Partito nazionale fascista.

Da sinistra a destra: Augusto Turati, Giovanni Giuriati, Achille Starace, Arturo Bocchini

“Chi di spada ferisce, di spada perisce”, anche Achille Starace (dopo aver affossato Giuriati) prende il tremendo incarico di guidare la segreteria del partito nel dicembre 1931 e rischia di essere vittima della stessa accusa di omosessualità: finirà nelle grinfie del capo della polizia Arturo Bocchini, il quale trova irritante tutto quell’atletismo circense che il segretario ama in modo particolare. Starace non perde occasione, infatti, per esibirsi atleticamente davanti agli occhi del Duce e il superpoliziotto Bocchini (con quella sua mole piuttosto sgraziata) si sente tagliato fuori. Confeziona, dunque, delle micidiali informative su alcune presunte esperienze sessuali di Starace. Si dice che questi sia stato espulso dal collegio nazionale di Lecce per pederastia passiva e che successivamente avrebbe preso parte ad orge con uso di stupefacenti e varianti sodomitiche.Un accusa incredibile, per il Duce, ogni giorno esaltato dal suo fedele gregario. Questa volta è lo stesso Mussolini a impedire che la macchina della diffamazione stritoli Starace (uno dei suoi gerarchi più fidati e obbedienti) mette quindi personalmente a tacere Bocchini. Il caso più singolare concerne due personaggi di punta dell’apparato repressivo. Carmine Senise, capo della polizia dal 1940 al 1943, divide l’appartamento da diversi anni con Leopoldo Zurlo, il responsabile della censura teatrale e questo è sufficiente per destare sospetti. I delatori non mancano. La lettera anonima questa volta viene inviata a Donna Rachele Mussolini nel 1943, vi si legge: “l’attuale capo della polizia, anche moralmente, è pacatissimo. Egli è un pederasta e da tanti anni convive con l’eccellenza Zurlo che gli fa da amica ed è anche in rapporti intimi con la sorella di lei. Qualche giovane funzionario di pubblica sicurezza è in rapporti omosessuali con lui, ed è divenuto per questo ricco e strapotente, temuto da tutti. Credete voi che ce ne sia abbastanza per cacciarlo via, come merita? O volete aspettare che possa sotterrare le accuse?”. Fin qui, abbiamo visto come lo spettro dell’omosessualità sia stato usato contro eminenti personalità del partito fascista, ma le dicerie sfiorano persino il colle più alto: il Quirinale.

Una foto dell’erede al trono, principe di Piemonte, Umberto II con la moglie Marie-José del Belgio

C’è una questione molto scabrosa, che serpeggia fin dagli anni trenta in Italia, una questione così scottante da essere taciuta ancora e da venire confinata nel pettegolezzo dopo la fine della guerra e per molti anni ancora: si tratta della presunta omosessualità del Principe Umberto, erede al trono del Savoia. Voci che correvano nonostante il principe avesse quattro figli con la moglie Maria Josè e gli fossero attribuite inoltre, numerose amanti. Giovane e di bello aspetto, è di modi gentili, elegante, a volte un po’ eccentrico, chiamato in tutta Europa “le Prince Charmant” (il principe azzurro). Umberto è brutalmente definito dall’Ovra (la polizia politica) “il principe pederasta”. Un arma di ricatto straordinaria per Mussolini, che non nutre certo simpatia per la Monarchia. Nel 1928, in Belgio, l’erede al trono scampa all’attentato di un socialista italiano e da quel momento con la scusa di proteggerlo, gli viene tessuta attorno una fitta rete di controllo. Il dossier concerne alcune relazioni che Umberto avrebbe avuto fin dagli anni giovanili con Luchino Visconti, il pugile Primo Carnera, l’attore francese Jean Marì e ufficiali dell’esercito. Il tenente Enrico Montanari, bersagliere e futuro partigiano, racconta nelle sue memorie di aver respinto le regali avance e di aver pagato quel rifiuto con la fine della sua carriera. Ma a tradire definitivamente il principe rivelando numerosi particolari compromettenti è il suo stesso attendente personale. Mussolini, tiene dunque in pugno Umberto, tanto da poterlo ricattare.. eppure nulla trapela. Il Duce si limita a specificare con una velina ai giornali che: “Questi, non deve mai essere definito principe ereditario, ma solo principe del Piemonte“. E’ allora che la stampa fascista comincia ad attaccare la monarchia più direttamente e Umberto viene derisoriamente soprannominato Stellassa“ ” (bella stellina). Le carte del dossier devono essere state considerate dal Duce di tale importanza che le porta con se nei giorni della Repubblica di Salò. Tenute nella famosa borsa che portava il Duce, durante il suo ultimo viaggio furono prese dai partigiani e queste carte scompariranno misteriosamente. Così personalità di grande rilievo venivano tenute “sotto scacco” con la accusa di omosessualità. Che si tratti di pura calunnia o che ci siano invece dei fondamenti di verità in fondo cambia poco. Per Mussolini, l’importante è raggiungere il suo scopo: controllare ed eventualmente eliminare i suoi uomini. Ma quali sono, invece, i provvedimenti previsti dal regime per chi non ricopre cariche di prestigio? Quale è il destino degli Omosessuali? A Catania, un uomo per vestirsi in maniera definita “effeminata” viene costretto all’ispezione medica del retto e dichiarato: “persona dedita alla pederastia passiva” viene per questo condannato, dopo processo, a cinque anni di confino da scontare alle isole Tremiti. Ora in questo punto voglio fare una precisazione: bisogna considerare la pena (assolutamente da condannare) all’epoca in cui questi avvenimenti accadevano. In regimi come quello spagnolo, portoghese, nazista, ungherese la condanna era molto più estrema: avvenivano uccisioni o condanne capitali senza processo. In Italia, il regime si limitava al confino. Anche qui una delle grandi caratteristiche del nostro popolo: “la via di mezzo” le mezze condanne o le mezze assoluzioni. A S.Domito nelle Tremiti, c’è una colonia penale di “signorine” così vengono chiamati un centinaio di Omosessuali. Antonio B. viene definito dalla polizia: pederasta“ tipico della sua inveterata deplorazione, per le sue fattezze fisiche e per il suo modo di comportarsi che non fa mistero delle sue bieche tendenze alla femminilità, tanto che si compiace di farsi chiamare Ninetta, inoltre si vanta di avere parecchi amanti con i quali accoppiarsi in luoghi reconditi, qualche volta sorpreso in atteggiamenti lascivi, ributtanti”. Di Giuseppe L.P. viene fatto questo ritratto: “dal viso scarno, gli occhi infossati, dalle narici larghe, le labbra grosse: appare il tipo perfetto del sensuale. La voce non rivela anomalie, ma è la pratica nell’intimo che da prova della sua perversione sessuale.” Il questore per avere una conferma oggettiva dell’omosessualità sottopone tutti gli imputati per pederastia a visita medica. La definizione di: “pederasta occasionale, non ad uso a coito abituale” è la meno ricorrente e la più neutra delle definizioni. In un ultimo episodio Barbaro M. (che ha un fratello dottore) scoppia una vera lotta di perizie e controperizie. Il malcapitato, nel frattempo, è stato confinato alle isole Tremiti. L’ultima parola spetta perciò al responsabile di quelle colonie penali: il medico provinciale di Foggia. Nella conclusione la sua perizia è spietata: Culo“ rotto” scrive e il ricorso è respinto. In realtà nella gran mole di certificati medici, i responsi sono molto peggiori, disumani nel dettaglio. Il fascismo derideva e si accaniva contro “i traditori della razza” e il reato di omosessualità era considerato ai tempi uno dei reati più infamanti, ma più in generale è la vita sessuale ad essere sotto osservazione e gli agenti dell’OVRA riempiono pagine e pagine sulle abitudini più private e segrete di personaggi anche molto illustri.

_Emilio Gentile, Fascismo storia e interpretazione _Renzo De Felice, Mussolini il fascista _Tommaso Giartosio, Gianfranco Goretti, La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista

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