Poetica in Cino Da Pistoia. Lingua E Stile Oltre Lo 'Stilnovo'
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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by AMS Tesi di Dottorato Alma Mater Studiorum – Università di Bologna DOTTORATO DI RICERCA IN Culture Letterarie, Filologiche, Storiche Ciclo XXVII Settore Concorsuale di afferenza: 10/F1 Settore Scientifico disciplinare: L-FIL-LET/10 La ‘ragione’ poetica in Cino da Pistoia. Lingua e stile oltre lo ‘Stilnovo’ Presentata da: Silvia Tranfaglia Coordinatore Dottorato Relatore: Prof.ssa Luisa Avellini Prof. Gian Mario Anselmi Correlatore: Prof. Giuseppe Ledda Esame finale anno 2016 Ai miei genitori «Multum est consideranda mens et ratio legislatoris et ubi possit colligi mens et ratio, quae est idem, ibi ea est concludendum». Cyni Pistoriensis Consilium XIX I. Qui dulcius subtiliusque poetati vulgariter sunt Qualsivoglia approssimazione all’universo poetico ciniano non potrà prescindere dal giudizio che Dante ribadisce a più riprese nel De Vulgari Eloquentia , dove il poeta pistoiese occupa una posizione di assoluto prestigio, comparendo in ben cinque luoghi 1 - delle sei menzioni a lui dedicate 2 - come pendant dello stesso Dante, vale a dire ideale contrappunto di una nuovissima teoria della storia letteraria, quale quella che il trattato dantesco intorno alla lingua volgare restituisce. Nuovissima prima di tutto perché – come ha messo in luce il Mengaldo – il discorso sull’ eloquentia è presentato come un discorso sugli eloquentes 3 , laddove l’irrinunciabile principio di autorità del pensiero medievale viene ad essere rifondato sull’incessante pratica di verifica della ragione 4 , di cui la discretio 5 dantesca, esibita nel trattato, è principale strumento: uno strumento – sia chiaro da subito - affatto ponderato sulla stringente necessità per Dante di affermare il 1 La formula ‘ amicus eius ’ lega il nome di Cino a quella del ‘suo amico’ Dante in De vulgari eloquentia I x 2 [ha poetato ‘dulcius subtiliusque’]; I xvii 3 [le sue canzoni sono esempio di volgare illustre]; II ii 8 [‘ cantor rectitudinis ’]; II v 4 [autore di canzoni che cominciano per endecasillabo]; II vi 6 [autore di canzoni con costrutto eccellente]. 2 In Dve I xiii 4 Cino è ricordato tra i toscani Cavalcanti, Lupo e un ‘altro’, scilicet lo stesso Dante. 3 Cfr. P IER V INCENZO MENGALDO (a cura di), D ANTE A LIGHIERI , De vulgari eloquentia , in Opere minori , II, Editrice Antenora, Padova, 1979, p. XLVIII. 4 È sempre Mengaldo a ricordare quanto “l’approccio alla verità avviene medievalmente e scolasticamente, mediante l’uso convergente di due strumenti euristici: l’uso della ragione e il ricorso alla verità”. Cfr. P IER V INCENZO MENGALDO , De vulg. eloq ., cit. , II, p. XXVI. 5 Discretio è termine ricorrente nel De Vulgari , dove è impiegato – come mostra chiaramente Mengaldo nella voce omonima dell’ Enciclopedia Dantesca (P IER V INCENZO ME NGALDO , voce «discretio» in Enciclopedia Dantesca (1970) ora disponibile a libero accesso sul sito www.treccani.it. – “secondo due ordini fondamentali, e tradizionali, di significati: quello originario e concreto di ‘distinzione’, ‘separazione scelta’, e quello, storicamente derivato dal primo e attinente alla sfera intellettuale-morale di ‘discernimento’, ‘equo giudizio’, ‘capacità razionale di scelta’. Che sia termine ‘tematico’ e chiave dell’intero trattato lo dimostra la prima occorrenza (su quindici totali) che si registra in I i 1 nella proemiale dichiarazione di intenti dell’autore: «discretionem aliqualiter lucidare illorum qui tanquam caeci ambulant per plateas, plerunque anteriora posteriora putantes». 1 “valore ‘politico’ dell’esperienza dei vulgares eloquentes e della loro dignità morale e sociale, ben superiore a quella degli ordini costituiti”. 6 L’intima correlazione tra l’esercizio della discretio dantesca e la dignitas riconosciuta ai doctores eloquentes è ben evidente tra la chiusura del primo libro del De Vulgari e il principio del secondo, dove si tratta della corrispondenza tra grado di dignità del volgare e dignità personale dello scrivente. Exigit ergo istud sibi consimiles viros, quemadomodum alii nostri mores et habitus: exigit enim magnificentia magna potentes, purpura viros nobiles; sic et hoc excellentes ingenio et scientia querit, et alios aspernatur, ut per inferiora patebit. […] convenit ergo individui gratia. Sed nichil individuo convenit nisi per proprias dignitates 7, puta mercari militari ac regere. ( Dve II i 5-7). La selezione degli autori così come quella degli argomenti illustri sono infatti fondate sul concetto di dignitas e precisamente il discorso acquista chiarezza metodologica nell’esposizione di II ii 1-6, nelle premesse al ben celebre passo sui magnalia : qui Dante pone il 6 P IER V INCENZO ME NGALDO , De vulgari eloquentia , cit. , p. XLVIII, cfr. anche De vulgari eloquentia I xvii 5: «Nonne domestici sui reges, marchiones, comites et magnates quoslibet fama vincunt? Minime hoc probatione indiget. Quantum vero uos familiares gloriosos efficiat, nos ipsi novimus, qui huius dulcedine glorie nostrum exilium postergamus. Quare ipsum illustre merito profiteri debemus». 7 Nella resa in italiano di proprias dignitates Fenzi si distacca dalla traduzione letterale di Mengaldo e Tavoni e interpreta il sintagma come ‘posizione sociale’, anticipando così la chiara esemplificazione di ordini sociali che Dante fa seguire al passo citato, presentata, come di norma, secondo una progressione ascendente. ENRICO FENZI , (a cura di), De vulgari eloquentia , in Opere di Dante, vol. III, Salerno Editrice, 2012, p. 141. Diverse le puntualizzazioni di Tavoni nella corrispettiva nota al testo (M IRKO T AVONI , (a cura di), De vulgari eloquentia , in D ANTE ALIGHIERI , Opere , vol I, p.1374, I 7, Mondadori, Milano, 2011, p. 1374): «Queste tre figure sociali corrispondono a tre dignitates : come nell’opera di San Tommaso, dove fra le frequentissime attestazioni della parola troviamo, passim , la dignitas sacerdotalis , ecclesiastica , regia , prophetalis ; e ,seguita da genitivo, la dignitas sanctuorum , iustorum , praedicatoris , ecc. Si dovrà intendere che ognuna di queste figure sociali ha la propria dignitas nel senso che sarà dichiarato in II 2-3; cioè ogni individuo che incarna quel ruolo sociale ha meritato di conseguire quella dignitas come risultato delle proprie azioni». Da segnalare Mengaldo ad l ., cita Tommaso, In Eth . Arist ., v lect. 4 n. 10: « aliquid dicitur est iustum in distributionibus, in quantum unicuique datur secundum dignitatem, prout cuuique dignum est dari» (‘si dice che si dà giustamente quando a ognuno si dà secondo la sua dignità,nella misura in cui ciascuno è degno di ciò che riceve’), commentando ARISTOTELE Eth . Nic ., IV 7 1123b. 2 problema di id quod intellegimus quod dicimus dignum e, ripercorrendo la strada medievale dell’ habitus 8 , definisce la qualità astratta della dignità come il punto di arrivo di ciò che si è meritato (meritorum effectus sive terminus ), e in tal senso graduabile. È questo un passaggio fortemente significativo: la nozione di dignità, seppur ricercata in un passo dalla rigida impostazione scolastica e in un contesto di trattazione retorica, nel costituirsi come effetto, obiettivo sarebbe a dire, sembra voler sorpassare e lasciare indietro ogni determinazione classista, ricollegandosi invece al concetto cardine di convenientia 9. […] optimis conceptionibus optima loquela conveniet. Sed optime conceptiones non possunt esse nisi ubi scientia et ingenium est, ergo optima loquela non convenit nisi illis in quibus ingenium et scientia est. Dve II i 8 Equazione che implica la netta condanna di Illorum stultitia qui, arte scientiaque immunes, de solo ingenio confidentes, ad summa summe canenda prorumpunt; et a tanta presumptuositate desistant, et si anseres natura vel desidia sunt, nolint astripetam aquilam imitari. Dve II iv 11 8 «Et dicimus dignum esse quod dignitatem habet, sicut nobile quod nobilitatem; et si cognito habituante habituatam cognoscitur in quantum huiusmodi, cognita dignitate cognoscemus et dignum», De vulgari eloquentia II ii 2. È questa una modulazione di pensiero saldamente congruente al razionalismo scolastico: si confronti a proposito la definizione di habitus che dà Tommaso, distinguendo tra un semplice possesso, aliquid habere , e il modo di possedere ciò che si è: «Respondeo dicendum quod hoc nomen habitus ab habendo est sumptum. A quo quidem nomen habitus dupliciter derivatur: uno quidem modo, secundem quod homo vel quaecumque alia res, dicitur aliqyuid habere; alio modo secundum quod aliqua re aliquo modo se habet in seipsa vel ad aliquid aliud» (T OMMASO D'A QU INO , Summa Theologiae , Iª-IIae q. 49 a. 1 co.) 9 Significativo è notare in che modo Dante reinterpreti il principio di convenientia stilistica, centrale nelle retoriche medievali, analizzando il problema a parte subiecti («Sed hoc non convenit nobis gratia generis, quia etiam brutis conveniret, nec gratia speciei, quia cunctis hominibus esset conveniens, de quo nulla questio est – nemo enim montaninis rusticana tractantibus hoc dicet esse conveniens -: convenit ergo individui gratia» DVE II, i 6), laddove le poetiche mediolatine presentano invece un interesse prevalente per l’adeguazione tra sententie , materiale verbale e scelta del tema, facendone derivare una pedantesca casistica tematica (Cfr. a riguardo P IER V INCENZO MENGALDO , De vulg. eloq ., cit. , p. XLIV). 3 D’altra parte, non stupisce lo scarto degli ambiti di indagine, se si fa riferimento a quella che P. Delhaye ha definito ‘pédagogie littéraire’ 10 , per indicare l’intima connessione che nel Medioevo