IL MESSAGGERO VENETO 27 GIUGNO

Il governatore: «Ok a 4-5 strutture semidetentive e controllate in regione» L'idea è aprirne una per capoluogo trasformando il sistema di ospitalità Fedriga moltiplica i Centri di espulsione di Mattia Pertoldi UDINE Il Fvg e il suo governatore, Massimiliano Fedriga, abbracciano senza patemi il "sistema Carroccio" e si allineano, in tutto e per tutto, ai nuovi indirizzi politici sull'immigrazione disegnati dal neo ministro dell'Interno - e leader leghista - . Cosa significa? Semplicemente che la Regione è pronta ad aprire non uno, ma almeno quattro o cinque Centri di espulsione dei migranti - si chiamino Cpr, Cie o come deciderà il Governo - a condizione che questi diventino «strutture semidetentive» in cui i profughi non possano circolare liberamente per il territorio fino alla definizione delle procedure legate alle richieste di asilo.«È mia intenzione comunicare a Roma - ha detto il presidente della Regione - che il Fvg è disponibile a farsi carico di alcune strutture di identificazione e rimpatrio, quelli che al momento sono definiti Cpr, a fronte della cancellazione di tutto il resto dell'accoglienza diffusa, in primis dei Cara, i centri dedicati ai richiedenti asilo dove è impossibile garantire un reale controllo durante le ore diurne perché coloro i quali vi soggiornano sono liberi di circolare ovunque lo ritengano opportuno».Fedriga, che ieri ha visitato il Cara di Gradisca d'Isonzo, accoglierebbe con favore la rivisitazione della normativa nazionale - conditio sine qua non per il ritorno ai Cie e per impedire eventualmente ai richiedenti asilo di circolare liberamente - e spiega che «i centri per chi potrebbe essere espulso devono caratterizzarsi come contenitivi, ovvero impedire quelle dispersioni nell'area circostante che, all'insegna dell'accoglienza diffusa, hanno creato non pochi problemi ai cittadini residenti» con «le forze dell'ordine che devono poter intervenire all'interno del centro, garantendone la sicurezza complessiva».Fedriga ha escluso la coesistenza di Cara e Cpr «perché non credo ci possano essere due strutture insieme» e ha ricordato che «molti Comuni in regione, come Gorizia, e Udine, hanno dato disponibilità ad accogliere un Cpr: mi sembra una cosa molto saggia, perchè è una struttura controllata da dove chi è entrato illegalmente non può uscire e fare quello che vuole e garantisce molto di più la sicurezza rispetto all'accoglienza diffusa, dove le persone vengono sparpagliate nel Comune e possono agire come credono».Il governatore, quindi, ha promesso che a breve scriverà «questa proposta al Governo spiegando qual è la posizione della Regione, dopodichè spetterà all'esecutivo prendere le scelte migliori che sono convinto potranno andare in questa direzione». Fedriga ha infine sottolineato come «il 60% di chi arriva in Italia ottiene il diniego alla protezione di qualsiasi tipo, umanitaria compresa, e continua a circolare liberamente sul territorio nazionale» per cui secondo il governatore «prima dobbiamo intervenire su quelle moltissime persone che non hanno il diritto di rimanere: se poi cominciamo a controllare i confini e a effettuare l'attivazione di Dublino questo viene meno, ma sono presupposti fondamentali per riportare legalità e sicurezza nel Paese».La linea, dunque, è tracciata, anche se vale la pena ricordare come nonostante l'appoggio dei sindaci dei Comuni capoluogo - tutti di centrodestra e di cui riportiamo a parte - la "svolta" difficilmente potrà avvenire a breve. La Regione, infatti, può sì consegnare al Governo, come peraltro spiegato dallo stesso Fedriga, una propria indicazione, politica oltre che gestionale, ma, come noto, in materia è priva di competenze. Cambiare la normativa è infatti compito del Governo, o meglio del Parlamento, che dovrà, nel caso, votare il ritorno ai Cie - o comunque ai Centri di semidetenzione al netto del termine tecnico -, ed eventualmente imporre lo stop alla circolazione dei richiedenti asilo.Il tutto, tra l'altro, tenendo in considerazione come nessuna struttura di quelle potenzialmente prese in considerazione - al netto forse del Cara di Gradisca - sia attualmente dotata di sistemi di sorveglianza e del necessario numero di forze dell'ordine per essere trasformata in un Centro chiuso 24 ore al giorno. Per farlo, in altre parole, serviranno investimenti che la Regione certamente non è in grado di supportare in autonomia e che dovranno arrivare dal Viminale. Insomma, se la strada teorica e politica è stata ampiamente tracciata, resta da capire - sempre Gradisca a parte - quanto tempo eventualmente servirebbe per la creazione dei nuovi Cie così come i costi economici. Domande, al momento, cui è quasi impossibile dare risposta.

Appoggio del sindaco di Gorizia. E Dipiazza (Trieste): necessario impedire loro di bighellonare in giro Ziberna: «Così la smetteranno di spacciare»

UDINE Udine e Pordenone, ma pure Gorizia e Trieste. Massimiliano Fedriga porta a casa l'en plein di appoggio - per quanto riguarda i Comuni capoluogo - da parte dei quattro sindaci dei Municipi principali della Regione in relazione alla sua proposta di stretta sull'immigrazione locale.Anche Rodolfo Ziberna e Roberto Dipiazza, infatti, si allineano alla posizione politica del governatore che ha deciso di comunicare a Roma la disponibilità a realizzare di quattro-cinque Centri di espulsione dei migranti in cambio della parola fine a qualsiasi altro tipo di accoglienza, sia essa attraverso il modello "diffuso" oppure nelle strutture come i Cara di Gradisca d'Isonzo. «Se l'idea è quella di creare un Cpr oppure un Cie - ha detto Ziberna -, noi ci siamo come abbiamo già detto in più occasioni. Mi sembra intelligente e logico pensare di tenere all'interno di queste strutture i migranti. Poi, una volta espletate le formalità burocratiche e di verifica, chi ha diritto a restare in Italia potrà uscire, mentre gli altri verranno espulsi. E nel frattempo eviteremo che delinquano in giro, spaccino oppure molestino le nostre ragazze. Quanto alla localizzazione del posto ideale francamente Gorizia è piena di caserme. Ma penso, ad esempio, alla Del Fante, in via Duca d'Aosta».Siamo più o meno sulla stessa linea d'onda, infine, spostandoci a est e facendo tappa nel capoluogo regionale. «Piena condivisione con la posizione della Regione - ha spiegato il sindaco di Trieste, Dipiazza - e con le parole pronunciate dal governatore Fedriga. Come ho sempre detto, il primo obiettivo è quello di impedire a queste persone di bighellonare in giro e la creazione di strutture appositamente dedicate all'identificazione e al controllo dei richiedenti asilo mi trova totalmente favorevole. La ratio, d'altronde, deve essere semplice: quelli che hanno diritto di restare, e fuggono dai conflitti, vengono autorizzati a stabilirsi in Italia, mentre gli altri devono essere espulsi». Quanto alla definizione della possibile struttura da adibire a Centro di semidetenzione, invece, secondo qualcuno si potrebbe optare per l'ex caserma di Monte Cimone di Banne - dove si è già intervenuti su tetto e soffitto -, ma al momento non c'è assolutamente nulla di certo. (m.p.)

Fontanini plaude al presidente: «Si può usare la Cavarzerani» UDINE Pronto a mettere a disposizione l'ex caserma Cavarzerani di via Cividale, o meglio una porzione di essa considerato come la parte maggiore dovrebbe essere trasformata nella "cittadella della sicurezza", Pietro Fontanini, sindaco di Udine, plaude al governatore e compagno di partito Massimiliano Fedriga. «Sono totalmente d'accordo con la posizione del presidente - conferma il primo cittadino - e pronto a mettere a disposizione una struttura di Udine a condizione, ovviamente, che questa venga realmente trasformata in un centro chiuso, controllato da un sistema di videosorveglianza e con le forze dell'ordine presenti in zona. A cosa penso? A una parte della Cavarzerani che potrebbe essere perfetta. Difficile, anzi quasi impossibile, invece che la scelta ricada sull'ex caserma Friuli sia perché è utilizzata dalla Croce Rossa sia perché mi pare troppo piccola allo scopo». Chiaro, per Fontanini, che un eventuale Centro di espulsione a Udine comporterebbe - come peraltro già annunciato in campagna elettorale -, l'eliminazione del sistema di accoglienza cittadino chiamato Aura. (m.p.)

Ciriani si mette a disposizione «Pronti a fare la nostra parte» PORDENONE «Davanti a un'opzione di questo genere, così come prospettata da Massimiliano Fedriga, Pordenone risponderebbe positivamente». Parola di Alessandro Ciriani, primo cittadino del capoluogo della Destra Tagliamento, secondo il quale una struttura di semidetenzione sarebbe preferibile, e di gran lunga, alla situazione con cui si trova a fare i conti attualmente Pordenone. «In linea di principio sono favorevole ai Cpr o Cie - spiega l'ex presidente della Provincia -. Piuttosto che continuare a vedere in giro per la città gente che non fa nulla tutto il giorno sarebbe svolta positiva. Senza dimenticare come attualmente le espulsioni siano di fatto impossibili visto che i migranti, anche quando è stato negato loro l'asilo, vengono fermati e appunto rimpatriati soltanto nel caso in cui vengano "pescati" a commettere reati. Chiuderli in Centri, invece, aiuterebbe, molto, i controlli. A Pordenone, tra l'altro, abbiamo già un hub attivo, quello dell'ex caserma Monti, che potrebbe agevolmente essere riconvertito a Centro chiuso e sorvegliato 24 ore al giorno». (m.p.)

Pd, Open Sinistra Fvg e Cittadini: questo non è il modo per risolvere i problemi «Impossibile privare uno straniero dei diritti umani, i veri criminali sono altri» Le opposizioni insorgono: basta con gli spot elettorali di Maurizio CesconwUDINEPd, Cittadini e Open Sinistra Fvg non perdono tempo e attaccano le esternazioni del presidente della Regione Fedriga sui «centri di semi detenzione per gli immigrati in attesa di espulsione». Parlano di spot, di campagna elettorale permanente della Lega, di idea assolutamente non percorribile. Insomma un vero e proprio fuoco di sbarramento su un tema, quello dei profughi, che tocca le sensibilità di ogni cittadino.«Prendo atto che Fedriga pare aver raccolto la richiesta di togliere il Cara a Gradisca, la stessa richiesta che da presidente di Regione e da deputata ho già rivolto ai ministri Minniti e Salvini: è la prima condizione affinché si possa istituire qui un Centro per il Rimpatrio, in cui raccogliere e vigilare un numero limitato di persone in attesa di rapida espulsione - afferma la deputata del Pd ed ex presidente della Regione - . La situazione di Gradisca è sicuramente una delle più pesanti del nostro territorio e sforzarsi di dare sollievo a questa cittadina penso sia doveroso a prescindere dal colore politico di chi governa la Regione. Rimane tuttavia una contraddizione nei numeri, allorché si dice no anche all'accoglienza diffusa, perché i 4 o 5 Cpr che per Fedriga potrebbero essere aperti sul territorio della regione non avranno mai la capienza sufficiente a custodire tutti i richiedenti asilo che attualmente sono in Friuli Venezia Giulia, tra i quali vi sono molti minori non accompagnati. Non è questione di buonismo o pregiudizio ideologico ma di dare risposte praticabili e umane a problemi complessi. Constatiamo ancora una volta come risulti difficile ipotizzare di porre in regime di reclusione alcune migliaia di profughi, non solo per una questione di rispetto del diritto internazionale ma anche per problemi meramente logistici, di strutture adeguate e di personale di pubblica sicurezza».Molto critico anche il consigliere regionale del Pd Diego Moretti. «Tolte le promesse elettorali della Lega, non resta nulla di più di quanto è stato già fatto in tema di profughi e immigrazione. Nella sua visita a Gradisca, Fedriga non ha portato notizie nuove rispetto a quanto Minniti aveva già proposto per il territorio isontino, pur in un quadro generale molto diverso - spiega Moretti -. Ritorna il mantra leghista del fatto che il "60 per cento dei richiedenti asilo non ha diritto a nessuna protezione". Se c'è la disponibilità della Regione ad aprire quattro o cinque Cpr sul territorio (uno il sindaco Ziberna l'ha già chiesto per Gorizia), Fedriga spieghi quale sarà lo status reale di queste strutture, perché questi luoghi detentivi non possono risolvere il problema dei richiedenti asilo. Quattro o cinque strutture servirebbero solo per coloro che riceverebbero il decreto d'espulsione, ma per quel 40 per cento rimanente? Quali soluzioni ha in mente il presidente della Regione? Grandi centri aperti? Le norme del diritto nazionale e internazionale non permettono di rinchiudere le persone che richiedono lo status di rifugiato per un tempo indefinito e questo dovrebbe saperlo. Quali sarebbero le risorse destinate per un'operazione del genere? Da dove vengono distolte le forze dell'ordine per gestire dei luoghi di questo tipo? Sono troppe le domande a cui la Lega non riesce a dare una seria risposta: anziché fare discorsi semplicistici, ci piacerebbe che mettessero i piedi per terra».«Quella di Fedriga è un'ipotesi non percorribile - sostiene il leader di Open Sinistra Fvg Furio Honsell -, è solo un annuncio. L'accglienza non prevede che i richiedenti asilo vengano privati dei diritti civili e umani, non si tratta di criminali. Fedriga piuttosto si occupi di lavoro, di povertà, della poca ricerca e innovazione che c'è anche in Friuli Venezia Giulia. La questione dei migranti, eventualmente, sarà risolta a livello internazionale, non certo in regione. E comunque non dimentichiamoci che il nostro Paese, a causa dell'invecchiamento della popolazione, ha bisogno di una politica seria sull'immigrazione. L'indice di vecchiaia cresce sempre di più, invece di fare appello agli istinti di intolleranza della gente, Fedriga pensi a trattenere qui i nostri giovani». «Mettere in piedi istituti di detenzione - osserva il capogruppo dei Cittadini in Consiglio Tiziano Centis - fa parte di una linea politico-elettorale che non mi vede d'accordo. Basta con gli spot quotidiani, il problema va risolto con ragionevolezza, non cavalcato a scopi propagandistici. Chi non ha diritto a restare in Italia va rimpatriato, ma non può essere rinchiuso in una specie di prigione».

Bini cambia il turismo «Concessioni più care e investimenti privati» forum MV di Mattia Pertoldi UDINE Una rivoluzione copernicana del settore turistico che abbracci concessioni, management e strutture di accoglienza. Punta in alto Sergio Emidio Bini, assessore con in mano la delega in materia - oltre a quella chiave delle Attività Produttive - e che sul settore turistico ha intenzione, almeno così dice, di investire una parte cospicua del suo impegno politico e amministrativo.Assessore in che condizioni si trova, oggi, il comparto turistico regionale?«Negli ultimi due anni è cresciuto del 6,3%. È positivo, ma secondo me ha potenzialità infinitamente più ampie».Cosa è mancato, dunque, secondo lei nel corso dell'ultima legislatura?«Va rivisto completamente il concetto di promozione turistica perché, spiace dirlo, il Fvg non è molto conosciuto all'esterno dei confini regionali. Abbiamo la fortuna di avere tutto - mare, montagna, colline e città d'arte - in una manciata di chilometri, però dobbiamo saper presentare al mondo le nostre bellezze. Viviamo in una società globale e invece, fino adesso, abbiamo continuato a pensare che i turisti potessero arrivare soltanto da Germania e Austria. Adesso, però, si cambia musica».A partire dalla gestione di PromoTurismoFvg e dalla sua governance?«Sì, stiamo cercando una figura conosciuta ed esperta a livello nazionale che sia in grado di disegnare un piano strategico e di sviluppo complessivo necessario al comparto».Non è vera, dunque, la voce secondo cui state pensando a Enrico Bertossi come figura a capo dell'agenzia?«No, assolutamente. È una fake news».Andiamo oltre: cos'altro ha in mente per il turismo, al di là della promozione?«Dobbiamo rendere il territorio moderno e attrattivo. Vi faccio un esempio. Qualche giorno fa sono andato a Barcis. Posto meraviglioso. Poi guardo il telefonino e mi accorgo che non c'è campo. Ecco, una situazione del genere non è accettabile perché i turisti, al giorno d'oggi, pretendono, a ragione, servizi moderni ed efficienti. Ma c'è di più...».Prego...«In Fvg mancano strutture ricettive. O meglio, immobili adeguati e di alto livello sia per l'accoglienza sia per il turismo balneare. E in questo senso ho già qualche idea per migliorare la situazione».Può spiegarsi meglio?«Penso ad esempio ad aumentare le tariffe per le concessioni demaniali. Al momento, è inutile girarci attorno, gli "affitti" sono troppo bassi. Incassare di più, invece, permetterebbe alla Regione di investire quantità maggiori di denaro nel settore».E sulla durata delle concessioni cosa ne pensa?«Non sono concettualmente contrario a tempistiche lunghe anche decenni, ma a una condizione e cioè che le concessioni demaniali siano vincolate a investimenti certi, e corposi, da parte dei privati. Anche qui consentitemi un esempio. Come Regione, a Lignano Sabbiadoro, abbiamo il controllo della Lisagest e degli uffici che vanno dall'1 all'11. E stiamo ragionando assieme alla Banca europea degli investimenti per attrarre fondi non irrilevanti nella zona. Bene, mettiamo che ci riusciamo e invece chi ha in concessione il resto della zona non ci mette un euro. Che risultato otteniamo? Il nulla».La soluzione, quindi, qual è secondo lei?«Concessioni sul lungo periodo vincolate a investimenti obbligatori anche se, in fondo, sono convinto che un po' più di concorrenza farebbe bene a tutti. In primis ai turisti».Cambiamo argomento e parliamo delle Attività Produttive. Che assessorato ha trovato al suo arrivo?«Mi ritengo un assessore fortunato perché ho ereditato una struttura con un'ottima organizzazione e composta da personale preparato e qualificato».Cosa ne pensa della legge chiave del suo predecessore, Sergio Bolzonello, e cioè Rilancimpresa?«Una buona norma che trovo positiva soprattutto nella parte che riguarda i cluster e lo sviluppo locale. Bolzonello ha lavorato in prospettiva e noi non abbiamo alcuna intenzione di cancellare quello che funziona bensì, come in questo caso, migliorarlo».Su quali aspetti?«Il vero problema è quello di facilitare l'accesso al credito delle Pmi che rappresentano il 90% del nostro tessuto imprenditoriale. Pensiamo di rafforzare il sistema dei Confini e il Frie, ottimi strumenti, così come intervenire su Friulia che deve cambiare mission. Non è e non può diventare una banca, ma certamente ha il dovere di essere più incisiva entrando, ove necessario, nel capitale delle imprese friulane stimolandone la crescita».Senta, il centrosinistra l'ha già accusata di conflitto d'interessi, lo sa?«Sì, ma è inutile perché, come noto, ho rinunciato a ogni incarico all'interno di Euro&Promos per cui le accuse rappresentano una semplice speculazione politica».Ma è rimasto proprietario...«Vero, ma ho preso la decisione di non fare partecipare la mia azienda a nessuna gara pubblica bandita dalla Regione. Costerà qualcosa al bilancio di Euro&Promos, è innegabile, ma ho la fortuna di avere un'azienda solida e che lavora in tutta Italia. E poi quando uno decide di interessarsi alla vita pubblica deve compiere scelte e sacrifici».A proposito, come mai non ha mantenuto sotto le Attività Produttive il controllo sulla cooperazione?«Anche in questo caso è stata presa una scelta all'insegna dell'opportunità, per evitare ogni polemica, spacchettando la materia tra i colleghi Riccardo Riccardi, per il sociale, e Alessia Rosolen per il lavoro».

Il leader di ProgettoFvg ostenta sicurezza rispetto al ruolo di consigliere. E apre a Colautti e Cargnelutti «Il ricorso di Bandelli e Sette? Non lo temo»

UDINENessun timore di perdere il ruolo di consigliere regionale - peraltro presto dimissionario come stabilito da Massimiliano Fedriga per chi è entrato in giunta - dopo il ricorso presentato al Tar del Fvg da Lanfranco Sette e Franco Bandelli. No, Sergio Emidio Bini si dice sereno e guarda avanti. «Non c'è nessun tipo di problema - spiega il leader di ProgettoFvg - anche perché credo che ognuno sia libero, in uno Stato democratico, di provare a fare valere i propri diritti, se ritiene che questi siano stati violati. Poi decideranno i giudici, ma personalmente sono davvero tranquillo».Discorso diverso, invece, in prospettiva. «Ci stiamo attrezzando per presentarci in ogni Comune alle elezioni del prossimo anno - continua - e credo ci sia uno spazio d'azione, in questa Regione, davvero interessante. Alessandro Colautti e Paride Cargnelutti? In tempi non sospetti, quando in tanti ci additavano come un partito o un movimento dello "zero virgola" ho spiegato che ProgettoFvg era aperto, e lo è ancora, a tutte le intelligenze del territorio friulano. Per cui, se sono interessati al nostro movimento, lo dicano e ne possiamo discutere».E dopo aver riconosciuto il ruolo di Giuseppe Ferruccio Saro descritto come «una persona che stimo veramente, l'ultimo politico vero di questa regione e del quale ascolto sempre volentieri i consigli», Bini passa ad analizzare lo stato attuale, e del recente passato, della "confederazione" che ha portato Regione Speciale ad allearsi con ProgettoFvg. «I rapporti sono ottimi - spiega il leader del movimento civico che si sta strutturando in partito vero e proprio - e credo che ogni componente sia stata in grado di trovare soddisfazione all'interno del Consiglio o della giunta regionale. Se sono rimasto stupito di aver chiuso alle spalle di Mauro Di Bert nel collegio? No, è logico. Io in questi anni ho fatto l'imprenditore, non il politico e non ho creato il cosiddetto consenso personale sul territorio. C'è di più, inoltre, perché durante la campagna elettorale in molti mi hanno detto che il simbolo ProgettoFvg non "tirava" e dunque mi sono concentrato più a tirare la volata al partito che a "pressare" le persone affinché scrivessero il nome Bini sulla scheda elettorale». (m.p.)

L'assessore Roberti: passo indietro per farne due avanti Tornano i Comuni fuori dalle Uti. Pezzetta (Anci) approva Dopo il pressing Pd slitta il nuovo Cal entrano più sindaci di Michela Zanutto UDINE «Un passo indietro per farne due avanti». Così l'assessore alle Autonomie locali Pierpaolo Roberti, ha spiegato il ritiro dell'emendamento di giunta sulla composizione del Consiglio delle autonomie locali, che proprio oggi era all'ordine del giorno del Cal. Dopo il pressing del centrosinistra, la discussione apre a una rivisitazione più organica dell'istituto, anche nelle funzioni. Il filo rosso che guida l'azione dell'assessore Roberti si potrebbe riassumere in un ritorno al passato. «L'idea di fondo è che se si chiama Consiglio delle autonomie locali deve rappresentare le autonomie locali e non solo le Uti - ha stigmatizzato Roberti ieri al termine dei lavori della V Commissione -. Il ritorno alla rappresentanza per fasce di popolazione era il mio obiettivo sin dall'inizio. Ma poi ho preferito propendere per l'ipotesi dell'ampliamento ai Comuni fuori Uti per non creare troppi scossoni in questa fase. Riformulare il Cal avrebbe significato mandare a casa anche alcuni degli attuali componenti. Per non creare attriti avevo aumentato la composizione con altri sei membri». Alias i Comuni di Codroipo, Gemona, Monfalcone, Sacile, San Daniele e Tarvisio. Nel frattempo però la minoranza ha aperto a un dialogo su una riforma strutturale. La nuova proposta, nelle intenzioni di Roberti, arriverà già entro lunedì 16 luglio e sarà «più organica, con un impianto di rivisitazione completa», ha aggiunto. C'è poi il nodo dell'incidenza del Cal. Da quando il parere del Consiglio non è più vincolante, ha perso una parte del proprio potere (mantenendo però il peso politico e di rappresentanza delle istituzioni). «Ci si è ridotti a fare passaggi formali al Cal - ha constatato Roberti - e stiamo valutando di cambiare anche questo». Aperto al dialogo anche il consigliere del Pd ed ex presidente del Consiglio, Franco Iacop. «Siamo pronti al dialogo su tutto - ha assicurato -. La maggioranza ha accolto una richiesta fatta da Bolzonello in sede di capogruppo e cioè che la modifica del Cal non venisse presentata già alla prossima assemblea per poi andare subito in Aula come emendamento, ma che ci fosse l'opportunità di discuterne. E quindi ne parleremo in sede di Commissione». Il presidente dell'Anci, Mario Pezzetta, ha promosso il metodo della nuova Giunta, anche per la rivisitazione della legge 26. «La questione di spostare i termini per le scadenze nell'affidamento di altre funzioni tutto sommato non è un grosso problema - ha assicurato -, ma dobbiamo capire che ente di area vasta ha in mente la nuova maggioranza. Il problema, e questo è un paletto dell'Anci, è che se si vuole un nuovo ente di area vasta a elezione diretta, non deve sottrarre funzioni comunali, altrimenti ci vedremmo espropriati. Poi se qualcuno vorrà delegare autonomamente, questo lo vedremo. Abbiamo chiesto però di non penalizzare quelli che svolgono servizi in forma aggregata: vanno riconosciuti lavoro e risultati di Comuni che assieme stanno svolgendo funzioni e servizi con risultati positivi». delibera in aula il 28 giugno

Nicoli subentrerà a Romoli TRIESTE «Il 14 giugno scorso è venuto a mancare il presidente del Consiglio regionale, Ettore Romoli. Poiché si è reso vacante un seggio del Consiglio, la Giunta delle elezioni deve proporre all'Aula la surroga di chi è cessato dalla carica». È quanto ha riassunto il vicepresidente del Consiglio Francesco Russo ai componenti della Giunta delle elezioni, aggiungendo che l'Aula però non ha ancora convalidato le elezioni dei 49 consiglieri regionali (da regolamento interno, le proposte di convalida o di annullamento devono essere presentate all'Assemblea entro 90 giorni dall'insediamento del Consiglio) perciò, prima della surroga, bisognerà che si proceda alla convalida dell'elezione di Romoli. «Non risultando alcuna causa di ineleggibilità - ha fatto presente Russo -, si può proporre al Consiglio tale convalida. Inoltre, poiché Romoli è stato eletto nella lista di della circoscrizione di Gorizia, il primo dei non eletti nella stessa lista risulta essere Giuseppe Nicoli. Sarà suo il nome che si proporrà di deliberare all'Aula all'inizio dei lavori già in calendario per giovedì 28 giugno». Il Comitato per la legislazione, il controllo e la valutazione ha intanto eletto l'Ufficio di presidenza. Questi gli esiti delle votazioni: presidente Franco Iacop (Pd), vicepresidenti Stefano Turchet (Lega) e Simona Liguori (Citt), consigliere segretario Alessandro Basso.

lo scontro sulle camere di commercio

Pordenone diffida Fedriga «Deve fermare la riforma» PORDENONE Unindustria e Confartigianato Pordenone hanno trasmesso ieri alla Regione Fvg e al Commissario ad acta incaricato della procedura di accorpamento tra la Cciaa di Pordenone e Udine, un invito-diffida a sospendere la procedura di costituzione della nuova camera di Commercio. Una richiesta «indispensabile», secondo le categorie economiche, in attesa che la Presidenza della Repubblica si pronunci sul ricorso che le due associazioni hanno promosso pochi giorni fa su analoga materia sollevando profili di illegittimità differenti e ulteriori rispetto a quelli già oggetto dei gravami proposti dalla Cciaa di Pordenone presso il Tar Lazio e, in fase di ricorso, al Consiglio di Stato. «La sospensione - è scritto nel documento - non comporterebbe alcun danno alla nuova Camera di commercio di Pordenone-Udine; per contro - sostengono i legali di Unindustria e Confartigianato, lo studio BM&A di Treviso - «la costituzione di un nuovo ente in violazione (denunziata e dunque nota) di norme di diritto pubblico, causando la nullità degli atti assunti, sarebbe foriera di un gravissimo danno economico e istituzionale». Infine grande partecipazione all'incontro di ieri sera all'ex Convento di San Francesco tra categorie economiche, imprenditori e cittadini, che si è concluso con una manifestazione simbolica davanti alla sede dell'ente camerale a rischio "annessione".

Tilatti: finalmente un segnale positivo ma strada in salita «Aspettavamo da tempo di poter commentare dati come questi - dichiara il presidente di Confartigianato Udine, Graziano Tilatti (in foto) -. Dopo aver stretto i denti per i lunghi anni della crisi qualcosa inizia finalmente a muoversi anche per l'edilizia che più di tutti i settori ha pagato il ciclo negativo dell'economia. Un po' d'amarezza rimane comunque leggendo questi dati: se le imprese hanno infatti ripreso ad assumere è anche perché, il lavoro che prima veniva a spalmarsi su una ricca platea, oggi si concentra su un numero inferiore di aziende, "vere e proprie campionesse di resistenza"». Per il capogruppo dei costruttori artigiani, Gino Stefanutti, c'è inoltre «la necessità di avere certezza del diritto, perché se un inquilino non paga, io, proprietario, devo pagare comunque le tasse e di certo non sono nelle condizioni di investire sul mio immobile. Dobbiamo fare in modo che la casa torni ad essere il bene rifugio che era un tempo, specie a nordest e in Friuli Venezia Giulia».

L'annuncio dell'assessore dopo la riunione con i Servizi demografici Ciani: «Fuori i nomadi da via Monte Sei Busi» di Cristian Rigo«Vogliamo ristabilire la legalità e quindi il campo nomadi di via Monte Sei Busi sarà sgomberato». Il neoassessore alla Sicurezza, Alessandro Ciani (nel riquadro), ieri, al termine di un vertice con i servizi demografici, ha incaricato i messi comunali di verificare quanti siano effettivamente i residenti del campo che vivono lì e quanti invece frequentino la zona pur non avendo titolo. «Ho deciso di avviare uno studio sulla situazione dei nomadi in città - spiega - e in particolare del campo di via Monte Sei Busi». Ma quello è solo il primo passo. «Nel momento in cui avrò a disposizione tutti i dati mi confronterò con le altre forze di polizia e con la prefettura per trovare una soluzione - dice - ma l'obiettivo è quello di sgomberare il campo». E il motivo è molto semplice. «La legge è una sola e deve valere per tutti - sottolinea -. Non possiamo tollerare che a Udine ci sia una zona franca dove è consentito vivere occupando un'area di proprietà del demanio e sfruttando collegamenti abusivi all'energia elettrica sulla cui sicurezza ci sarebbe molto da dire. Per non parlare dei falò e dei fuochi quando vengono bruciate gomme e altri rifiuti che costringono i residenti della zona a barricarsi in casa a causa del fumo e dell'odore. A nessuno è consentito bruciare rifiuti in giardino e lo stesso deve valere per chi vive nel campo nomadi». Ciani non si sbilancia sui tempi, ma assicura che il Comune farà di tutto per risolvere la questione al più presto. «Sappiamo che al momento ci sono una settantina di residenti in via Monte Sei Busi ma non tutti vivono lì e invece ci sono molte persone non residenti che di fatto sono insediate lì. Questi ultimi - assicura - saranno allontanati per primi, ma la mia intenzione è quella di trovare una soluzione alternativa anche per i residenti. Entro fine mandato voglio che il campo sia sgomberato». La precedente amministrazione, che aveva aderito al progetto finanziato dall'Unione Europea "Roma-Net. Integration of Roma population", era riuscita a ridurre il numero delle persone che vivevano nell'area di Paderno - da 150 a una cinquantina circa - attraverso una politica di integrazione che ha portato molte famiglie a trasferirsi in appartamenti. «Se hanno diritto a una casa popolare ben venga - dice Ciani -, io non ce l'ho con i rom, ma pretendo che le regole valgano anche per loro. Come tutti anche loro devono trovarsi un lavoro». Ciani precisa che l'iniziativa non ha nulla a che fare con il censimento annunciato da Salvini e con l'episodio che si è verificato in un bar del centro dove due rom hanno aggredito i baristi. «Prima ancora di ricevere la delega alla Sicurezza (ufficiale da lunedì, ndr) avevo già deciso di fare questo studio che tra l'altro nove anni fa è stato fatto anche dall'amministrazione Honsell a dimostrazione del fatto che non si tratta di nulla di particolare. La decisione quindi non è collegata a Salvini e nemmeno all'aggressione. Svuotare il campo è una questione di rispetto della legalità e non certo un'iniziativa a sfondo razzista. Penso che i rom siano come tutti gli altri, hanno gli stessi diritti, ma anche gli stessi doveri». Quello del campo nomadi però è solo uno dei temi qui quali intende muoversi l'assessore alla Sicurezza: «Ho ricevuto una delega importante perché per la Lega la sicurezza è un tema fondamentale e sono molto contento perché lo considero un atto di fiducia da parte del sindaco nei miei confronti. Il consigliere Pierluigi Mezzini (anche lui della Lega, ndr) è spesso in trasferta per motivi di lavoro e solo per questo motivo ha preferito rimettere la delega non potendo essere sempre presente. Da parte mia mi sono messo subito al lavoro. Voglio dare avvio a un tavolo per inasprire le pene previste dal regolamento di polizia urbana per quanto riguarda l'accattonaggio e anche i clienti delle prostitute che, per quanto mi riguarda, non è accettabile vedere sulle strade».

5 stelle «Più controlli ma anche incontri sul pericolo alcol» «Maggiori controlli da parte della polizia locale e incontri informativi in grado di sensibilizzare la popolazione giovanile sui problemi legati all'alcol». Domenico Liano, consigliere comunale dei 5 Stelle, definisce «inaccettabile» l'episodio accaduto nella notte tra sabato e domenica alla champagneria "La Sciabola" di via delle Pellicceria: 5 giovani di etnia rom hanno devastato il locale. Liano invoca «la necessità di cominciare a sensibilizzare, in maniera efficace, ragazzi e ragazze sull'abuso di bevande alcoliche attraverso incontri culturali, religiosi e sportivi». Liano in passato è stato titolare di un locale «e - racconta - mi sono reso conto della propensione al bere facile e senza mezze misure da parte di alcuni nostri giovani. Il nostro compito è quello di educarli e nel contempo creare alternative di svago e incontro sociale dove ritrovarsi senza necessariamente mettere in pericolo la vita propria e altrui». L'esponente dei 5 Stelle chiede quindi la mobilitazione della politica e degli operatori. Occorre anche che «il territorio, periferie comprese, siano controllati in maniera continuativa e non approssimativamente. La sicurezza è una cosa seria - afferma il consigliere - e gli esercenti come tutti i residenti hanno bisogno di percepirla. Ieri sono passato per vedere da vicino cos'era successo alla champagneria e mi sono reso conto che poteva andare anche peggio. La polizia municipale deve tornare sotto il comando del Comune». (d.v.)

IL PICCOLO 27 GIUGNO

Migranti di Luigi Murciano TRIESTE Creazione sul territorio regionale di più Centri permanenti per il rimpatrio («quattro o cinque»). Smantellamento dell'accoglienza diffusa. Superamento del Cara di Gradisca. Sono le linee guida in materia di gestione dell'immigrazione messe nero su bianco ieri da Massimiliano Fedriga durante la visita al centro per richiedenti asilo del comune isontino. Strategie, ha chiarito il presidente del Friuli Venezia Giulia, che richiederanno al contempo una revisione delle normative nazionali ed europee in materia migratoria, di cui si occuperà a Roma il governo giallo-verde.«Il Friuli Venezia Giulia è disponibile a prendere in carico anche più di un Cpr - ha ribadito il presidente della Regione -, ma questo dovrà comportare un alleggerimento del numero complessivo di migranti in un'ottica di scomparsa di tutto il resto dell'accoglienza. Per chi deve essere espulso - ha detto - andranno creati dei centri semidententivi, dai quali non si possa uscire e dove non si possa fare ciò che si vuole». Fedriga lo dirà per iscritto al ministro dell'Interno, Matteo Salvini: «La mia intenzione è comunicare al governo che il Fvg è disponibile a prendersi in carico anche più di una struttura - chiamiamola appunto Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) o come vorrà chiamarla l'attuale governo - ma questo deve comportare un alleggerimento che mira alla scomparsa di tutto il resto dell'accoglienza, compresa quella che passa dal Cara» ha precisato Fedriga. Secondo il governatore, «sul territorio non può insistere una struttura come questa, in cui è impossibile il controllo durante il giorno, perché da mattino a sera gli ospiti possono uscire e fare quello che vogliono. I Cpr garantiscono molta più sicurezza rispetto alla cosiddetta e fallimentare accoglienza diffusa». All'orizzonte («ma questo spetterà al governo deciderlo») anche una revisione delle normative, forse della stessa Bossi- Fini. «I centri di espulsione devono essere semidetentivi e le forze dell'ordine devono poter operare all'interno, non come avveniva in passato nei Cie».Un piano d'azione, quello illustrato da Fedriga, che esclude la coesistenza di Cara e Cpr a Gradisca: «Non credo ci possano essere due cose insieme, mi auguro possa proseguire il programma di trasferimenti in altre strutture. Sino al completo azzeramento di questo centro». E su un punto è stato ancor più chiaro: « Gorizia, Trieste e Udine, hanno dato disponibilità ad accogliere un Cpr: mi sembra una cosa saggia, perché è una struttura controllata. Il 60% di chi arriva ottiene il diniego alla protezione di qualsiasi tipo, umanitaria compresa, ma continua a circolare liberamente. Noi dobbiamo cambiare questa situazione. E iniziare poi a controllare i confini e ad applicare la "normativa Dublino" affinchè i richiedenti asilo siano accolti nel Paese di primo ingresso. Così facendo la situazione progressivamente migliorerà». Ma i sindaci dei Comuni interessati che ne pensano? Roberto Dipiazza, a Trieste, non ha esitazioni: «Lo dico da anni, strutture di controllo sarebbero di grande aiuto sia a questi disperati che circolano nelle città, sia alla popolazione che ha un senso di insicurezza sempre più marcato. A Fedriga ho parlato delle ex caserma dismessa di Banne». Anche da Gorizia, Rodolfo Ziberna ci sta: «Sono da tempo disponibile a una struttura detentiva, purchè rispettosa della dignità umana, per chi è clandestino, deve essere identificato o ha perso il diritto all'accoglienza. Una struttura di questo tipo consente maggiore controllo e risparmio di risorse. Gorizia potrebbe fare la propria parte con l'ex caserma "del Fante", ma sarà lo Stato a decidere. I richiedenti asilo? Certamente c'è chi ha diritto alla protezione, ma una struttura come quella di Gradisca è troppo vicina al centro abitato e sappiamo tutti quali problematiche ha portato. Mi auguro dunque possa essere superata». Il sindaco della cittadina, Linda Tomasinsig, ha sensazioni contrastanti: «Al presidente abbiamo chiesto che gli impegni che la Regione aveva assunto con il precedente governo vengano mantenuti, condizionando l'apertura di un Cpr alla contestuale chiusura del Cara, al trasferimento al Comune di Gradisca delle strutture occupate dal Cara e alla garanzia che il numero di 100 posti previsto sarà inteso come capienza massima. Condizioni che dovranno assolutamente essere rispettate nel caso in cui ci venisse imposta l'apertura di un Cpr - fa presente Tomasinsig -. Gradisca ha già vissuto la presenza di un Cie: i gradiscani non hanno dimenticato le sirene nella notte e le fughe nei campi limitrofi. Esperienze che speravamo di non rivivere più, e che invece sembrano sul punto di tornare. Almeno speriamo di avvertire la vicinanza della Regione. Auspichiamo quindi pieno sostegno a tutti i progetti che l'amministrazione metterà in campo - per esempio le operazioni di pulizia delle sponde dell'Isonzo - per mitigare gli effetti della presenza delle persone sul territorio».

IL CONSIGLIERE DEM Moretti all'attacco: «Strategia inconsistente» «Tante parole mirabolanti, ma poca sostanza». Presente alla visita del presidente della Regione Massimiliano Fedriga al Cara di Gradisca, il consigliere regionale isontino del Pd Diego Moretti (nella foto) boccia senza mezze misure le riflessioni del governatore. «Tolte le promesse elettorali della Lega, nelle sue parole non ho trovato soluzioni concrete - afferma Moretti -. Fedriga non solo non ha portato notizie nuove rispetto a quanto l'ex ministro dell'Interno Minniti aveva già proposto per il territorio isontino, ma non ci dice come pensa di risolvere la problematica dell'impatto dei richiedenti asilo sul territorio». Secondo Moretti «ritorna il mantra leghista del fatto che "il 60 per cento dei richiedenti asilo non ha diritto a nessuna protezione" ma non ha detto una parola su quale sarà lo status reale dei Cpr, perché queste strutture detentive certo non sono la soluzione. I quattro, cinque fantomatici Cpr servono per clandestini in attesa di espulsione, ma per gli asilanti quale sarà la destinazione? Grandi centri, come sostiene Fedriga, ma aperti? Le norme del diritto nazionale e internazionale infatti non permettono certo di rinchiudere le persone che richiedono lo status di rifugiato per un tempo indefinito. E quali sarebbero le risorse destinate a un'operazione del genere? Quali e quante le forze dell'ordine distolte dal territorio? Troppe domande a cui la Lega non riesce a dare risposta. L'isontino non può subire una politica indiscriminata sull'immigrazione e tantomeno può farlo Gradisca, che ha già dato ampiamente rispetto a questo tema negli ultimi 12 anni». (l.m.)

Il presidente dell'Ics Schiavone: autoritarismo d'altri tempi» «Saremo una realtà-galera»

TRIESTE«Così si trasforma il Friuli Venezia Giulia in una regione-carcere. Con quattro o cinque Cpr si crea una concentrazione che non ha eguali nella storia d'Italia e, inoltre, proporre di rinchiudere migliaia di persone che hanno chiesto protezione e non hanno commesso reati è qualcosa di osceno e fuori dal vivere civile, oltre a non essere permesso dalla legge italiana». Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà, non usa mezze misure nel criticare la proposta del governatore Massimiliano Fedriga, che «continua a confondere strutture destinate all'accoglienza con strutture destinate all'allontanamento: come confondere una scuola come una caserma. Mentalità autoritaria che ricorda un passato di cui pensavamo di esserci liberati».A protestare è tutta l'opposizione, a cominciare dalla deputata dem Debora Serracchiani, secondo cui «è difficile ipotizzare di porre in regime di reclusione alcune migliaia di profughi, non solo per una questione di rispetto del diritto internazionale ma anche per problemi meramente logistici, di strutture adeguate e di personale di pubblica sicurezza». La parlamentare accoglie però con favore la richiesta del presidente di eliminare il Cara a Gradisca, cui «bisogna dare sollievo perché è una delle situazioni più pesanti del nostro territorio». Il consigliere regionale Roberto Cosolini ritiene che «Fedriga continua a far campagna elettorale: continua a sostenere in maniera assurda la realizzazione di grossi centri dove ammassare i profughi, dicendo no all'accoglienza diffusa, unico modello che finora ha funzionato e Trieste lo ha dimostrato. Proviamo a immaginare quale sarebbe l'impatto sociale di sette, ottocento persone in una caserma». Per il segretario del Pd Fvg, Salvatore Spitaleri, «Salvini dà la parola d'ordine e Fedriga fa l'eco in Fvg, senza neanche pensare se quello che dice sta in piedi. Salvini dice che i campi si faranno "prima di arrivare in Libia" e Fedriga ripete. Forse gli sfugge che con Niger, Ciad e Sudan bisogna appena cominciare a tessere rapporti».Il consigliere regionale Tiziano Centis (Cittadini) spiega a sua volta che, «al netto delle perenni campagne elettorali dei partiti nazionali, serve un'efficace gestione del problema: accogliere chi ha diritto e accelerare il processo di riconoscimento e rimpatrio per chi non ha diritto. Rispetto alla strategia Minniti da noi condivisa, la posizione della Lega appare improvvisata e confusa». Per Furio Honsell (Open Fvg), «Fedriga farebbe meglio a occuparsi di lavoro e povertà: basta cavalcare questa emergenza che emergenza non è, basta con questa gara con chi riesce a esprimere più odio razziale a quattro mesi dalla fine della campagna elettorale. Fare domanda d'asilo non è un reato e togliere i diritti civili non è costituzionale». Andrea Ussai (M5s) pare invece sentire il richiamo gialloverde e per la prima volta mostra segni d'intesa dei pentastellati verso le politiche migratorie leghiste in Fvg. «Fedriga - dice il consigliere - ha incominciato ad ammorbidire la linea tenuta fino a qualche settimana fa. Non cita più i Centri di identificazione ed espulsione come modello di accoglienza per i richiedenti, ma si limita a offrire la disponibilità ad ospitare in regione più Centri per il rimpatrio, coerentemente con il "contratto di governo del cambiamento", che prevede sedi di permanenza temporanea finalizzati al rimpatrio, con una capienza sufficiente per tutti gli immigrati irregolari presenti e tutela dei diritti umani. Auspichiamo che questa linea di buon senso continui, perché la priorità non può essere quella di costruire grandi centri, costosi e inefficaci. La priorità è velocizzare le procedure di riconoscimento e di rimpatrio dei migranti irregolari, migliorando nel contempo la rendicontazione e la trasparenza nell'uso dei fondi pubblici». (d.d.a.)

Le stime di quanto potrebbe costare all'anno il funzionamento delle nuove strutture Tutto dipenderà dal numero di ospiti e dal tipo di regime che si deciderà di attribuire Un progetto "faraonico" In ballo da 13 a 130 milioni di Diego D'AmeliowTRIESTEDa 13 a 130 milioni all'anno per la sola gestione delle strutture. Più altre decine di milioni per la realizzazione degli spazi, da organizzare secondo dispendiosi standard di sicurezza carcerari. È quanto potrebbe costare alle casse dello Stato il sistema in salsa leghista dei Centri di permanenza per il rimpatrio nel solo Friuli Venezia Giulia. Stime di minima e di massima, a seconda che i cinque Cpr immaginati dal governatore Massimiliano Fedriga si limitino a contenere cento persone ciascuno, come proposto dall'ex ministro dell'Interno Marco Minniti, oppure lievitino fino a dover contenere tutti i richiedenti asilo presenti in regione: poco meno di cinquemila persone. Calcoli, questi, che si basano sulle cifre del vecchio Cie di Gradisca, che per un centinaio di ospiti forzati assorbiva all'epoca una cinquantina fra poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari, oltre al personale delle cooperative che lavorava a contatto con i migranti. Mantenendo gli stessi standard di sicurezza, un Cpr alla Minniti costerebbe allora circa 1,2 milioni all'anno per gli stipendi delle forze dell'ordine, cui aggiungere circa 1,5 milioni derivanti da un costo di 40 euro al giorno a persona per retribuire il personale delle cooperative e sostenere le spese di vitto e alloggio dei richiedenti asilo. Si tratta di 2,7 milioni per ciascun Cpr e dunque di 13,5 milioni per i cinque appena delineati da Fedriga. Il presidente dellla Regione immagina una strategia in due tempi, che comincia con la moltiplicazione dei centri del piano Minniti, che prevedeva un solo mini Cie per il Fvg. Con l'aumento a quattro, cinque unità, Fedriga punta a ottenere dal governo un forte sconto sui numeri dell'accoglienza diffusa, in attesa che Roma modifichi radicalmente tutta la gestione dei profughi, aumentando i rimpatri volontari, accelerando le procedure legate al riconoscimento dell'asilo, cancellando il regime speciale di protezione umanitaria e, soprattutto, incrementando la restituzione dei migranti agli Stati europei di prima registrazione (i cosiddetti dublinanti). Procedure non semplici da mettere in campo, da cui passa la riduzione del numero di richiedenti presenti in Fvg, che nella seconda fase il governatore punta a raccogliere interamente nei Cpr in regime di semidetenzione, prevedendo dunque anche la possibilità di ampliare i centri per raccogliere tutte le persone di cui ci sarà bisogno. La scommessa è qui. O il nuovo sistema riuscirà davvero a ridurre le presenze oppure i Cpr dovrebbero espandersi per arrivare a contenere migliaia di persone. Stando ai dati attuali, sono infatti poco meno di cinquemila i migranti che in Fvg attendono l'esito della domanda di protezione. Se dovessero finire tutti nei centri, il costo della gestione quotidiana lieviterebbe a 130 milioni all'anno, oltre alle spese ingenti di realizzazione dei centri. A ciò si sommano i potenziali costi di rimpatrio: biglietto aereo e due agenti di polizia ad accompagnare ciascun migrante nella terra d'origine. Difficile quantificare la spesa per trasformare un edificio esistente in un centro che garantisca un regime semidetetentivo, perché ciò dipende dalle condizioni di partenza della struttura. Basti sapere che, nel 2013, il governo ha stanziato 13 milioni per la sola riapertura dei Cie di Palazzo San Gervasio (Potenza) e Santa Maria Capua Vetere (Caserta), nati come centri temporanei per far fronte all'emergenza degli sbarchi di profughi tunisini: qualcosa di molto simile alla ex caserma Cavarzerani di Udine. I Cie o Crp devono d'altronde essere dotati di misure di sicurezza particolari: muri doppi, stanze in muratura numerose e in piccole dimensioni per far dormire le persone senza produrre assembramenti, letti e armadi avvitati ai muri per evitare che diventino strumenti di offesa, gabbie e altre forme di difesa passiva. E poi una serie di spazi di aggregazione e svago, dal campo di calcio al laboratorio di falegnameria, che non servono nelle strutture aperte, dove i richiedenti si limitano di fatto a passare la notte. Che la spesa sia significativa lo dicono empiricamente due dati locali: i due milioni spesi al Cie di Gradisca per il solo ripristino seguito agli incidenti di alcuni anni fa e il milione abbondante impiegato alla Cavarzerani per approntare soltanto i bagni e gli spazi per dormire, senza seguire le stringenti procedure di costruzione che riguarderebbero invece i Cpr.

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