Wang Bing Il Cinema Nella Cina Che Cambia Agenziax 2010, Agenzia X

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Wang Bing Il Cinema Nella Cina Che Cambia Agenziax 2010, Agenzia X a cura di Daniela Persico agenziax wang bing il cinema nella cina che cambia agenziax 2010, Agenzia X Coordinamento: Giorgia Brianzoli Copertina e progetto grafico: Antonio Boni Immagine di copertina e fotografie interne: Wang Bing e della troupe sul set di The Ditch Contatti Agenzia X, via Pietro Custodi 12, 20136 Milano tel. + fax 02/89401966 www.agenziax.it e-mail: [email protected] Stampa Digital Team s.a.s., Fano (PU) ISBN 978-88-95029-44-3 XBook è un marchio congiunto di Agenzia X e Associazione culturale Mimesis, distribuito da Mimesis Edizioni tramite PDE Hanno lavorato a questo libro... Marco Philopat - direzione editoriale Matteo Di Giulio - editor Agenzia X - redazione Paoletta “Nevrosi” Mezza - impaginazione a cura di Daniela Persico wang bing il cinema nella cina che cambia wang bing Il volume è pubblicato in occasione della retrospettiva “Wang Bing: il tempo del cam- biamento” all'interno della 30° edizione del Filmmaker Film Festival – doc15 (Milano, 15-30 novembre 2010), a cura di Giorgia Brianzoli, Luca Mosso, Daniela Persico. Un’iniziativa sostenuta da: In collaborazione con Ringraziamenti: Wang Bing, Kong Lihong Massimo Buscemi – Regione Lombardia, Assessorato Cultura; Novo Umberto Maer- na, Fabrizio Provera, Cristina Converso, Lucia Cataldo, Maddalena Pugno – Provin- cia di Milano, Settore Cultura; Massimiliano Finazzer Flory, Massimo Accarisi, Anto- nio Calbi, Anna De Benedetto – Comune di Milano Cultura – Settore Spettacolo; Stefano Francia, Fulvio Baglivi – Rai3; Phil Symes, Ronaldo Mourao – The pr contact; Karen Tanguy – Galerie Chantal Crousel; Clément Duboin, Margherita Mangione – Umedia; Hwa-Seon Choi – Doc and Film; Esther Devos, Carole Joly – Wild Bunch; Diana Elbaum, Michi Noro – Entre chien e loup. Wang Yang, Jiang Ming, Zhou Xiaoyan, Daniele Cologna, Elena Pollacchi, Francisco Villa-Lobos, Philippe Avril, Francesca Feder, Arnaud Louvet. Goffredo Fofi, Carlo Antonelli, Luciano Barisone, Carlo Chatrian, Alice Moroni, Cri- stina Piccino, Robin Setton, Shi Yang, Alessandro Stellino, Annamaria Striccoli, Lau- ra Trombetta, Maddalena Vettoretti, Dario Zonta. Alessandra Lavagnino – Università degli Studi di Milano; Stefania Stafutti – CASCC di Torino; Stefano Baia Curioni – Università Bocconi di Milano; Marina Timoteo. Isti- tuto Confucio di Milano, Torino e Bologna. via Aosta, 2 – 20155 Milano – tel +39.023313411 fax +39.02341193 [email protected] – www.filmmakerfest.org Oltre il reale 7 Introduzione al cinema di Wang Bing Daniela Persico La memoria rimossa della Cina 13 Conversazione con Wang Bing a cura di Daniela Persico (con interpretariato di Daniele Cologna) interventi Storie dal margine del presente 37 La Cina contemporanea nei documentari di Wang Bing Daniele Cologna Non uscire da Pechino, entra nel mondo! 47 Il cinema della sesta generazione Cristina Colet Il corpo del lavoro 59 Un percorso in West of the Tracks Carlo Chatrian Lo sguardo del vetro 71 Riflessioni sull’estetica dell’errore cinematografico Rinaldo Censi La resistenza della parola 81 Il discorso di He Fengming Marie-Pierre Duhamel Müller L’arte di sopravvivere 93 Il racconto e l’azione in due opere speculari Eugenio Renzi Non c’è nulla. Cosa state guardando? 101 Wang Bing artista visivo Andrea Lissoni Le nostre fosse, i nostri deserti 107 L’attualità di The Ditch Yu Shicun Rappresentare il lager 115 La fossa delle ideologie Goffredo Fofi Memorie di Jiabiangou 119 Le testimonianze del campo Maria Rita Masci Contro la miseria del mondo 123 Wang Bing e Pedro Costa Federico Rossin Il tempo del cambiamento 133 Lo sguardo di Wang Bing Jean Pierre Rehm materiali Filmografia commentata 143 a cura di Alessandro Stellino Cenni bibliografici 153 Gli autori 157 Oltre il reale Introduzione al cinema di Wang Bing Daniela Persico Credo che una delle caratteristiche della società in cui viviamo consista nel far qualcosa per educare la gente, per condurla verso uno scopo. Bisognerebbe al contrario che la gente tro- vasse da sola la strada che deve intraprendere. Roberto Rossellini1 La città fabbrica e l’universo concentrazionario sono i due poli entro i quali si muove il cinema di Wang Bing: luoghi cardine della riflessione novecentesca, si intrecciano nell’opera di un artista visivo in grado di unire una consapevole idea politica a uno sguardo che sostiene l’umano, nella sua precaria esistenza. Il suo primo film, Tie Xi Qu: West of the Tracks (Tie Xi Qu, 2003), si è imposto sulla scena internazionale grazie alla parte- cipazione, ancora work in progress, alla Berlinale e, in seguito, ai maggiori festival dedicati al cinema documentario. L’opera monstre di Wang Bing offre uno sguardo originale su una Cina poco conosciuta, fuori dagli schematismi globalizzati che ridu- 7 cono ogni paese a una luccicante fiera delle vanità. Niente “luc- cica” nei suoi film: non esistono metropoli ipermoderne (la lo- ro presenza è soltanto evocata), i suoi uomini sono ricoperti di terra, polvere e fuliggine, il lavoro è svuotato del suo scopo (la produzione). Il mondo di Wang Bing è concentrazionario in quanto tutto sembra ruotare attorno alla fine, alla morte come unico sbocco produttivo: il percorso cominciato con gli operai di West of the Tracks, che con il loro lavoro, non pagato e spes- so infruttuoso, tengono in vita una struttura fatiscente, porta lentamente – attraversando una teoria di opere in itinere – ver- so i campi di rieducazione di The Ditch (Jiabiangou, 2010, pre- sentato alla 67° Mostra d’arte cinematografica di Venezia), do- ve le fosse scavate dai “dissidenti di destra” sono quelle in cui dormono, vengono reclusi e infine – nella miglior sorte possibi- le – verranno deposti i loro cadaveri. Il campo diventa qui, co- me nelle più alte riflessioni al riguardo, la metafora del sistema produttivo novecentesco, di una politica diventata biopolitica, in cui – come scrive Foucault – il corpo dell’individuo è la po- sta in gioco delle strategie di potere.2 E proprio sui corpi si po- sa lo sguardo del cineasta che nei sei anni di ricerche per la pre- parazione del film ha ribadito il valore della testimonianza co- me unica via per la sopravvivenza e il recupero della memoria, imprescindibile necessità per prendere parte al presente. Il cinema di Wang Bing non ci svela soltanto l’altra faccia della Cina, mostrando l’immagine della propria terra, lo Shaanxi (regione d’origine di molti registi della sua generazio- ne, tra cui anche Jia Zhangke); non si impegna esclusivamente nel far arrivare in Europa la cultura cinese più antica, legata al- la terra, ai valori senza tempo e alle tradizioni, capace ancora di resistere alla commercializzazione e alla modernizzazione più sfrenata. Le sue opere sono distanti da un certo documentario sociale, pronto a gareggiare con il giornalismo e sfruttare even- ti di risonanza internazionale: ci parlano di lavoratori che si ri- trovano senza impiego e senza casa (West of the Tracks), di uo- 8 mini isolati (Man with No Name, L’Homme sans nom, 2009) e di donne che resistono ad un passato terribile (Fengming, a Chinese Memoir, He Fengming, 2007), di piccoli commercianti in cerca di fortuna (Coal Money, L’Argent du charbon, 2009) o di operai al lavoro in postazioni isolate dal mondo (Crude Oil, Caiyou riji, 2009), di bambine orfane abbandonate in un paesi- no di montagna (Happy Valley, 2009). Questi ritratti del popo- lo cinese sono svolti in opere capitali per comprendere le strut- ture che hanno dominato il Novecento e la resistenza dell’uo- mo all’incedere del mutamento. Esempi privilegiati della sua ricerca sono alcuni lavori com- missionati da fondazioni e gallerie d’arte: Fengming, Crude Oil, Man with No Name, a tutti gli effetti studi, schizzi prepa- ratori, che trovano nella loro semplicità la completezza di un’opera aperta, di un continuo work in progress che rifiuta ogni codificazione e ogni fine. Proprio qui risiede la grandezza dell’opera di Wang Bing, che come tutto il cinema resistente al mercato supera i confini tra fruizione artistica e cinematografica: la sua instancabile ri- cerca nel continuo assottigliare la distanza tra il cinema e la vi- ta, tenendo viva la tensione impossibile su cui si basa fin dalle origini l’arte cinematografica. “Più vero del vero” è la frase ri- corrente per ogni opera che ha saputo spingersi più in là, creando un nuovo rapporto tra le istanze enunciative in gioco. E Wang Bing lavora proprio in questa direzione, facendo pro- prie le suggestioni del neorealismo, ridiscutendo i tempi della visione cinematografica, scegliendo oculatamente la strada del digitale. Citando Bazin, “non c’è stato realismo in arte che non fosse innanzitutto profondamente estetico. [...] Il realismo non comporta affatto una regressione estetica, ma al contrario un progresso dell’espressione, un’evoluzione conseguente del lin- guaggio cinematografico, un’estensione della sua stilistica”.3 L’estetica del cinema di Wang Bing, che si confronta con la spinta verso l’autenticità di molti film d’inizio millennio, sa ri- 9 modellare il rapporto che istituisce con il reale, basandosi in- nanzitutto sul semplice principio delle “immagini fatto”: i suoi film sono costituiti da piani sequenza che abbracciano l’arco di un avvenimento. Sono le corrispondenze create dalla giustap- posizione delle sequenze a creare una traccia narrativa nelle nove ore di West of the Tracks, in cui lo spettatore mette in rela- zione (nei tempi privati e bui in cui si ricostruisce la visione fil- mica) quelle che Bazin definisce le forze centrifughe dell’im- magine. Ci si trova di fronte, come nella vita, a una tessitura di eventi che potenzialmente hanno pari densità di senso, mai ri- dotti a un uso strumentale, sempre caricati dal tempo dello sguardo del regista di un valore proprio. Siano i corpi degli operai o le strutture delle fabbriche, la videocamera di Wang Bing registra nella pasta granulosa del digitale un tutt’uno, in cui gli uomini incarnano realmente la fatiscenza dello stabili- mento industriale e al contempo la sua struttura sociale, che continua a vivere fuori dal tempo dettato dalla storia nelle loro menti.
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