TRASFORMAZIONI INSEDIATIVE NEL PISANO ALLA FINE DEL TRECENTO

Ormai vent'anni fa, Day e Klapisch nel loro contributo sui villaggi abbandonati1, sottolineavano come in Toscana fra Tre e Quattrocento l'abbandono fosse tutto sommato contenuto2; né le guerre, né le pestilenze, né l'emigrazione in città avrebbero svuotato i villaggi o portato profondi mutamenti nella struttura dell'habitat, con l'eccezione del Pisano, dove l'abbandono dei centri abitati sarebbe da mettere in relazione però con trasformazioni economiche3: in particolare la conversione a pascolo di terre già a coltura, iniziatasi con la fine del '200 in concomitanza con un momento di bassi prezzi del grano, come aveva rilevato D. Herlihy nel suo studio su Pisa4. Ricerche successive, non specificamente rivolte a questa problematica, hanno messo in discussione e ridimensionato l'ipotesi di Herlihy, sottolineando come l'impaludamento fosse presente solo in alcune zone e la diffusione dei pascoli limitata ad alcune aree periferiche5. Quali le cause allora di quella crisi insediativa del Pisano evidente anche dallo spoglio sommario delle Rationes Decimarum? Emigrazione in città, guerre e pestilenze come nell'altra Toscana? In che proporzione ciascuna di queste cause contribuì a scardinare il vecchio assetto insediativo, e perché qui molto più che altrove, come mostra anche la carta allegata al ricordato saggio di Day e Klapisch6?

1. LE PESTILENZE

I1 Pisano purtroppo è avaro di estimi, di censimenti di teste, bocche, fuochi che permettano, per quanto imperfettamente, essendo rilevamenti nati a scopo fiscale, di misurare l'andamento della popolazione7. Dai soli dati rinvenuti, limitati a 37 villaggi del Valdiserchio, si riscontra una caduta del 73% delle teste tra 1316 e 14278: una caduta notevole, ma inferiore al calo delle teste (79%) registrato tra 1331 e 1425 nelle Sei Miglia lucchesi9, che non conobbero trasformazioni insediative di grande rilevanza. Infatti dei 144 villaggi presenti nel contado lucchese all'inizio del Trecento ne risultano abbandonati a metà Quattrocento ben pochi: alcuni centri strategici distrutti dai nemici (Castel Passerino, Cotone, Aquilata), i paesi di S. Andrea in Croce (piviere di Brancoli) e Colpozzo (piviere di S. Pancrazio), e una decina di piccoli insediamenti nei pivieri di Compito e Massa Pisana a confine con il territorio pisano10.

Tutte le fonti, se non altrimenti citato, sono conservate in Archivio di Stato di .

1 C. KLAPISCH ZUBER e J. DAY, Villages désertés en Italie. Esquisse , in AA. VV., Villages désertés et histoire économique. XI-XVIII siècle, Sevpen, 1965, p. 419-59. 2 Attorno al 10%. 3 KLAPISCH-DAY, Villages désertés, p. 444. 4 D. HERLIHY, Pisa in the early Renaissance A study of urban growth , Yale University Press 1958, trad. it. Pisa nel Duecento. Vita economica e sociale di una città italiana nel Medio Evo, Pisa, 5 M. LUZZATI, Toscana senza mezzadria . Il caso pisano alla fine del Medio Evo, in AA. VV., Contadini e proprietari nella Toscana moderna (Atti del Conv. di studi in onore di G. Giorgetti), Firenze, 1979 (Biblioteca di Storia Toscana moderna e contemporanea, 19), pp. 279-343, 285 sg. 6 KLAPISCH-DAY, Villages désertés, tab. IV. 7 La scarsezza e la frammentarietà delle fonti documentarie pisane è senza dubbio, almeno per il Trecento, legata alle vicende politiche della città e al succedersi delle diverse signorie, il materiale duccentesco andò in massima parte perduto nell'incendio del 1336 che distrusse le carte prodotte dalle sette Corti, oltre alla cancelleria del Podestà e alla documentazione del Capitano del Popolo (R. RONCIONI, Delle historie Pisane, «Archivio Storico Italiano», VI, pt. 1 (1844), p 769). 8 P. LEVEROTTI, La crisi demografica nella Toscana del Trecento: l'esempio delle Sei Miglia lucchesi , in AA. VV., La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale (Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, S. Miniato, Studi e ricerche, 2), Pisa, 1988, p. 67-150, 105. 9 Ibid., p. 93, tab. 9. 10 In quest'area di confine i primi abbandoni sono precedenti la peste Nera e risalgono appunto ai momenti di maggiore tensione tra le due città nemiche, che si acquietarono nel 1342 con il dominio pisano su Lucca. Nei casi sopracitati i villaggi erano piccoli insediamenti demici non superiorl al 13 fuochi. È perciò difficile imputare principalmente alla peste le trasformazioni dell'habitat pisano; certamente la peste provocò con la morte di gran parte della popolazione lo svuotamento di molti villaggi, ma contemporaneamente mise in circolo una consistente parte dei sopravvissuti. La peste, preceduta e accompagnata da gravi carestie, come è ben noto, veniva a colpire un contado sovrappopolato e molto impoverito, come mostrano alcuni documenti del 134011. In quest'anno infatti i cornitatini proprietari di terre, insieme ai proprietari cittadini ed ecclesiastici, rivolsero una supplica al governo pisano per ottenere l'autorizzazione a nominare un officiale forestiero sui danni e i guasti12, che doveva sostituire13, o affiancare14 i cafaggiari e i guardiani locali, e per il cui salario —si noti—accettavano di rispondere i medesimi richiedenti15. La richiesta, che nel giro di pochi mesi fu presentata da 15 capitanie16, era stata provocata dai numerosi furti di olive e frutti, dal taglio di viti e calocchie, da ruberie e danneggiamenti di bestiame, dalla devastazione dei campi coltivati, che sarebbero stati provocati da «hominibus dissolutis, nihil habentibus et nolentibus laborare vel benefacere»,e ancora «ymmo multos quasi nihil habentes». Tali espressioni, che si alternano e ritornano immutate nelle singole suppliche, portano alla luce la presenza di una moltitudine miserabile e sbandata che, commettendo danni e furti ai danni di chi possiede o tiene terra in affitto, portava a situazioni di gravi tensioni e inimicizie nei comuni del contado, costringendo in alcuni casi—ad esempio nella podesteria di Marti17—i lavoratori a lasciare le terre incolte. La presenza di questi uomini «male condictionis et vitae», che vivevano di furti, rifiutando di lavorare le terre altrui—così si esprimono i documenti —provocava condizioni di malessere non solo riguardo all'economia, ma incrinava la stabilità politica del territorio dal momento che «nec curant huius tales homines de Capitaneo dicte Capitanie vel [de] eius officialibus, sed ipsum capitaneum eiusque officium velut quoddam ridiculum vilipendunt»18. L'epidemia del 1348 aggravò le condizioni di miseria e l'indebitamento dei ceti più poveri, anche perché gli oneri fiscali divennero sempre più gravosi e per le guerre continue e perché venivano ad essere ripartiti, dopo la moria, tra un numero minore di contribuenti. Ciò promosse e in alcuni casi accentuò la mobilità della popolazione alla ricerca di migliori condizioni di vita e di agevolazioni fiscali; una mobilità per una piccola parte soltanto interna al contado o diretta verso il centro urbano, dal momento che la morosità dei partenti rendeva impraticabile la fuga in città o nei paesi vicini a quello abbandonato per timore di essere arrestati, e favoriva piuttosto l'esodo nei contadi contermini di Volterra, Lucca, Siena e Firenze, per usufruire di sgravi ed esenzioni concessi in questi momenti di forte calo della popolazione ai forestieri che venivano a lavorare le terre incolte19.

11 Comune, A, 53 (1340). 12 Nelle capitanie di S. Lorenzo alle corti, S. Pietro di Valdera, Pivieri di Porto Pisano (con il comune di S. Regolo, appartenente alla capitania delle Colline superiori), cioè la fascia adiacente a Pisa, sono solo i cives che presentano tale richiesta (evidentemente in queste aree era assai più estesa la proprietà cittadina), non stupisce perciò che officiali con uguali compiti fossero stati nominati alcuni anni prima nella podesteria di , S. Giovanni alla Vena e Cisano, nonché nel pievanato di Cascina, zone entrambe di forte proprietà cittadina. 13 Vico e . 14 Marti. 15 Lo stipendio doveva essere pagato in parte coi proventi delle condanne e in parte dai singoli uomini, in proporzione alla terra posseduta; naturalmente era controversa la questione se dovevano pagare solo i proprietari delle terre, o anche gli affittuari (Comune, A, 53, c. 34). 16 Piemonte k, Vico, Bagno a Acqua, S. Lorenzo alle corti, S. Casciano Valdarno, Valdiserchio citra e ultra, Calci, Marti, S. Pietro Valdera, , Colline inferiori, Pivieri di Porto, Treggiaia. 17 c. 23 v. 18 C. 32 v. Con il fine di mantenere l'ordine pubblico, oltreché con lo scopo di reclutamento militare nascono le leghe fiorentine all'inizio del XIV secolo; successivamente su queste circoscrlzioni si baserà il prelievo fiscale (P. BENIGNI, L’organizzazione territoriale dello stato fiorentino nel Trecento, in AA. VV., La Toscana nel secolo XIV, cit., pp. 151­ 163, p. 154-5). 19 La documentazione lucchese, molto più ricca di quella pisana, mette in luce per tutto il XIV secolo la presenza di pisani nel contado e nella città di Lucca. Ma anche fonti pisane confermano questi movimenti migratori, provocati dalle guerre e dalle pesanti condizioni finanziarie, presenti in particolare nelle aree di confine già all'inizio del '300. Nel 1318, ad esempio (Comune A, 48, 105 v), nella contrada di Casteldelbosco, nel Valdarno a confine con Firenze e Lucca, la «Villa di Laviano» risulta deserta e gli uomini «dispersi» in altre terre del contado pisano e nel Valdarno lucchese (E. REPETTI, Dizionano geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-46, rist. an. Multigrafica Roma, ricorda alla È uno spostamento diffuso e continuo per tutto il XIV secolo, che difficilmente conosce il radicamento in un luogo, ma appare scandito da pause regolate dalla durata delle esenzioni; finiti i benefici sgravi infatti ci si allontanava alla ricerca di nuove agevolazioni, e magari si finiva per tornare alla località d'origine20. Purtroppo le fonti fiscali non riescono a misurare questi spostamenti di persona dal momento che registrano solo gli originari presenti e non esenti, o i forestieri fermatisi dopo che era finito il periodo delle agevolazioni fiscali. Perciò solo censimenti nominativi della tassa del sale (tassa che in genere pagavano tutti), quando siano ravvicinati nel tempo, o, come nelle fonti lucchesi, indichino separatamente i forestieri con la località di provenienza, oppure la «cerca» delle biade, che descrive la quantità di granaglie conservate in ogni casa, quando riferisca il nome dei capofamiglia, riescono a cogliere questo fenomeno che risulta anche, seppure in misura minore, da atti processuali e notarili21. La presenza di questi flussi in entrata e in uscita, assai consistenti dopo il 1348, se comporta disordine demografico o instabilità sociale22, ha però benefici effetti quanto all'insediamento, dal momento che, accorciando i tempi 'naturali' di abbandono di un villaggio, favorisce la tenuta dell'assetto insediativo anche nei periodi di forte contrazione demografica. La mortalità provocata dalla peste incide maggiormente invece nell'organizzazione amministrativa del contado. Infatti per alleggerire gli oneri dei comitatini sopravvissuti si modificano i precedenti regolamenti per ridurre appunto il numero dei funzionari23, oppure, ma il caso sembra meno frequente nel Pisano, si uniscono villaggi vicini, sempre con lo scopo di diminuire gli officiali24.

voce CasteldelLosco una palude detta di Laviano). Nel 1326 (Comune, A, 50, c. 38 r) invece gli abitanti di Abbazia del Fango richiedono sgravi minacciando la fuga «ad nationes exteras» (REPETTI, voce Badiola del Fango, precisa che era il punto più meridionale del contado pisano e aggiunge: «dopo la prima metà deL XIV secolo non s'incontrano più memorie della Badia al Fango, né del suo castello», ma nel 1377 veniva ancora eletto per questa località un funzionario che ricooriva contemporaneamente le cariche di podestà notaio e cancelliere (Comune, A, 67, c. 47-8). per attestazioni di famuli lucchesi nella Valdera pisana si veda Comune, A, 64-5 c. 6 (1360). 20 Notizie di forestieri emigrati nel pisano, ma tornati via per i troppi carichi in Comune A, 67, c. 44 (Cerratello di Collegoli); per esenzioni decennali richieste da originari e forestieri che tornavano a riabitare Vignale si veda, Comune, A, 70, c. 45. 21 Dalla documentazione lucchese, ad esempio, in particolare estimi e cerche di biade , è possibile individuare il radicamento delle famiplie pisane e valutare quanto si fermassero in una località. I processi conservati nel fondo Curia dei forestieri confermano queste presenze e rivelano come l'insediamento su terra di proprietari lucchesi fosse talora limitato a semplici accordi verbali il che limita, evidentemente, la possibilità di rinvenire nella documentazione notarile contratti stipulati con forestieri. Nella fonte sopracitata si trovano infatti esoressioni siffatte: «non reperitur facta locatio», oppure «nunc familiariter tenet» (Archivio di Stato di Lucca, Curia foretaneorum, 78 (anno 1355), c. 46 e cc. non numerate). 22 Per il contado Lucchese (LEVEROTTI, La crisi demografica, pp. 129-130). 23 Oltre al caso di Abbazia del Fango ricordato a nota 19, modifiche in questo senso a statuti rurali si trovano in Comune, A, 53, cc. 28-31 (uno dei pochi e più antichi statuti rimasti) (Solaria), mentre riduzioni di officiali sono ricordate in Comune, A, 116, c. 13 v (Montemagno) e c. 85 (Colignole di Piemonte). Ma si veda anche l'esempio di Campolungo e Borgonovo nel Valdozeri che nel 1386 ottenevano di eleggere un solo officiale essendo da 12 uomini abili rimasti in 4 (Comune, A, 70, c. 43 v); nel 1393 veniva loro concesso ancora un solo officiale che fungeva da console, sindaco e cafaggiaro (Comune, A, 211, c. 18). 24 Nell'estimo del Valdiserchio pisano risalente al 1315-6 ( Comune, A, 225, ora edito in tesi di laurea di R. Favilla, relatore prof. E. Cristiani, Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa anno acc. 1964 5) alcuni comuni vennero uniti ad altri vicini perché non raggiungevano i sette uommi abili, nel contado lucchese invece un comune rurale poteva esistere purché avesse quattro uomini abili. Questo frammento del 1315-6 è uno dei pochi estimi conservatisi, estimi che in alcuni casi venivano rifatti ogni dieci anni (Comune, A, 24, regolamento per 1'estimo del 1378, dove si precisa anche che i funzionari incaricati di misurare le terre potevano unire o separare i comuni). I consoli dei singoli comuni erano obbligati a indicare il nome del capofamiglia e dei figli maschi, di età maggiore di 18 anni, a parte venivano indicati gli inabili, i maggiori di 70 anni, le vedove, i cives, giurisperiti e cittadini pisani eletti all'uopo dovevano invece stimare i beni mobili e immobili di ogni famiglia: sulla base della ricchezza e delle teste venivano infatti ripartite le tasse. Riportiamo qui due esempi di unioni di abitanti: nel 1348 Arbavola in Valdiserchio, essendosi ridotta a causa della peste a soli 14 uomini poveri e nihil habentes, chiese e ottenne 1'unione con il vicino comune di Cafaccioregio (Comune, A, 113, c. 78). Anche i sette comuni che insieme dovevano andare ad abitare il centro fortificato di Cascina furono riuniti in un solo comune con lo scopo di ridurre il numero dei funzionari, in questo caso però l'unificazione amministrativa precedette di poco il concentramento degli abitanti di più villaggi in un'unica località (Comune A, 152, c. 81 v). Tali unioni però non comportano, a parte qualche eccezione25, la concentrazione degli abitanti in un solo villaggio, possono durare brevi periodi e, il caso è frequente nel Lucchese, quando vengono rinnovate non necessariamente interessano i medesimi villaggi uniti in precedenza. I vuoti di popolazione e la presenza sempre più consistente di forestieri e vagabondi promuovono e rafforzano però la criminalità, mettendo in crisi la tranquillità del contado26, sì che il governo pisano è costretto con provvedimenti comuni anche ad altre città toscane a nominare magistrature straordinarie quali capitani, vicari del contado27, o simili28 con lo scopo di riportare ordine nel territorio e in taluni casi giunge perfino a smembrare antiche comunità29. Si assiste infine, nel corso di questo XIV secolo, a un peggioramento delle condizioni dei comitatini che sotto il peso del fiscalismo sono costretti a causa dei debiti a vendere il poco che possiedono ai comitatini più ricchi o ai cittadini, e a migrare30. E c'è contemporaneamente una recrudescenza della legislazione nei confronti dei lavoratori delle terre, in palese contraddizione con quelle agevolazioni che avrebbero dovuto godere per la maggior richiesta di braccia provocata dall'allentamento della pressione demografica31.

2. LE GUERRE

25 Appunto il caso di Cecina ricordato alla nota precedente e più avanti a p. 000. 26 Un insediamento abbandonato o disabitato, soprattutto nelle località di confine, era fonte di turbamento e per la vita delle comunità vicine, e per la stessa sicurezza del territorio, dal momento che richiamava vagabondi e uomini di malaffare. Così sembra capitare a Villa di Palude in Valdera e Laviano di Casteldelbosco (Comune, A, c. 102 e 105). Anzi, in taluni periodi appare pericoloso anche il raduno di gente per un semplice mercato mensile, per evitare disordini furono perciò aboliti i mercati del borgo di Ponsacco e di Bagno ad Acqua (Comune, A, 50, c. 69 e 77). E, nel pisano, vagabondi risultano presenti anche nel cuore del contado, non solo nelle aree di confine, come mostra la supplica degli abitanti dei pivieri di Porto Pisano che chiedevano di riportare il parlamento comune presso la pieve di S. Lorenzo in Piazza, dal momento che qui risiedeva la maggior parte della popolazione ed era pericoloso recarsi fino a Porto Pisano per la presenza di malfattori e banditi (Comune, A, 48, c. 116). 27 Due vicari, uno in Marittima e uno in Valdera, eletti con lo scopo di tenere tranquilli e in pace queste terre, sono nominati nel 1361 (Comune, A, 65, c. 22). Più assimilabili al capitano del contado lucchese (su cui A. CASALI, L'amministrazione del contado lucchese nel Ouattrocento: il capitano del contado, «Actum Luce» (III) 1978, pp. 127­ 136 e F. LEVEROTTI, Ricerche sul l'amministrazione della vicaria di Massa alla fine del XIV secolo, «Annuario della Biblioteca Civica di Massa», 1980, pp. 99-174, pn. 140-3) con competenze specifiche di catturare banditi, malfattori e sbandati (e nel solo caso della Valdera di riscuotere i crediti del comune pisano) appaiono quegli officiali eletti di quando in quando, per un mese (Comune, A, 121, c. 81 v) o per sei mesi (Comune, A, 131, c. 63 r) con un seguito di famigli (da 6 a 20), un donnicello e un ragazzo, che furono inviati ancora in Valdera e in Marittima, cioè nel contado a confine con Firenze e Siena ad es. nel 1349 (Comune, A, 113, c. 106 in Valdera; c. 119 in Marittima dalla Cornia supra), nel 1354 (ivi, 121, c. 81 in Valdera, c. 88 dalla Cecina citra), nel 1360 (ivi, 131, c. 63 r in Valdera, nelle Colline superiori e inferiori, nei pivieri di Porto Pisano). 28 Ad esempio i quattro eletti per sedare e pacificare comunità del contado eletti nel 1347 (Comune, A, 113, c. 6). 29 Nel pisano in particolare i contrasti interni alle comunità sembrano legati alle fazioni cittadine; noto è il caso del comune di Buti, ripartito nel 1360 in Buti di sopra (con Cintorio) e Buti di sotto. In quest'occasione venne accuratamente misurato tutto il territorio lavorativo e boscato, e ripartito tra i due comuni (Comune, A, 131, c. 63 v e 65: qui le regole di suddivisione del territorio), la misurazione era affidata al nisano Colus Porcacchia della cappella di S. Nicolò probabilmente un esperto dal momento che ià medesimo aveva proceduto alla misura delle terre della vicaria di Massa nel 1356 (F. LEVEROTTI, Massa di Lunigiana alla fine del Trecento. Ambiente insediamenti paesaggio, Pisa, 1982, p. 20 nota 24) E forse collegata a questa ripartizione del territorio butense un estimo di Buti fatto al tempo della signoria Viscontea (Comune, A, 225 bis). Esempi lucchesi in LEVEROTTI, La crisi demografica, pp. 144-5. 30 Comune, A, 70, c. 33 v. 31 Si veda, ad esempio, in Comune, A, 70, la rubrica 117 «de rusticis tractandis more nobilium in maleficiis» che si apre così: «ad conculcandam superbiam et malitiam rusticorum. . .». Di estremo interesse appare questa una rutrica degli Statuti di del 1412: «cum multi sint cives pisani in dicta potesteria qui cotidie mittunt operas et homines pauperes ad eorum laboreria et etiam contractus aciunt cum dicos hominibus predictae potestariae, et quando homines dicte potesterie petunt eisdem denarios dicunt quod vadant Pisas coram potestatem Pisarum ad peten dum eis, et dicto modo non volunt eis solvere» (Archivio di Stato di Firenze, Statuti comunità soggette, 552, c. 68 v). Aveva insistito sul peggioramento delle condizioni dei rustici nel XV secolo anche G. CHITTOLINI, Legislazione statutaria in materia di contratti agrari in Toscana nel tardo Medioevo, relazione (non pubblicata) all'VIII Convegno del centro di Studi di Storia e Arte "Civiltà ed economia agricola in Toscana nei secoli XIII-XV: problemi delle campagne nel tardo Medioevo (Pistoia, 21-24 aprile 1977). P. MALANIMA (La proprietà fondiaria fiorentina e la diffusione della mezzadria nel contado pisano nei secoli XV e XVI, in AA.VV., Contadini e proprietari, cit. p. 345-75, p. 350-1) fa notare invece come i Riccardi acquistassero, a partire dall'inizio del '300, molte terre in Valdera da contadini indebitati Le guerre invero sembrano aver giocato un ruolo molto più importante nelle modifiche insediative del territorio pisano32; infatti, se esaminiamo la carta dei villaggi abbandonati, questi appaiono concentrati nell'area a confine con Firenze, in particolare in Valdarno e Valdera. Inoltre il frammento del «partitus pisani comitatus» del 1315-633, limitato al Valdiserchio, mostra che unioni amministrative per scarsezza di abitanti, probabilmente riconducibili alle guerre e alla vicinanza con Lucca, sono presenti in questa zona molto tempo prima della peste Nera; nel 1315 furono uniti, perché non raggiungevano i sette uomini abili, Borgonuovo a Campolungo, Lama a Malaventre, Quosa a Lugnano, S. Filippo a Vecchializia e S. Michele a Vecchializia34. Anche le trasformazioni insediative del Valdarno, risalenti alla prima metà del XIV secolo e portate alla luce da una recente e documentata ricerca35, sono da mettere in relazione più che con la morfologia di quest'area bassa e paludosa, soggetta alle piene dell'Arno che non aveva un letto regolare, con il fatto che era una delle vie di accesso dei lucchesi e la più facile e diretta dei fiorentini. In quest'area in particolare le scorrerie nemiche provocarono gravi danni all'economia e l'abbandono di molti abitati; fin dal 1318 risultano disabitati Laviano di Casteldelbosco, Palude e Pratiglione36; nel 1330 gli abitanti di Montecchio e Calcinaia erano tutti vagabondi perché, impossibilitati a pagare le tasse, avevano lasciato i villaggi37. Nella seconda metà del secolo però dopo la conquista fiorentina di Volterra e San Gimignano la pressione nemica si sposta in Valdera e Valditora, e sotto il martellamento delle compagnie di ventura si aggravano le condizioni economiche e insediative di queste zone38 Non sorprende perciò—basta sfogliare un qualunque registro di Atti degli Anziani di questo periodo—il lavorio continuo attorno alle fortificazioni esistenti; ma quello che colpisce e sembra tipico di quest'area del contado pisano, è l'abbandono alla fine degli ànni '60 degli insediamenti indifesi e poco protetti per aree fortificate e meglio difendibili39. Si verifica così il trasferimento della popolazione dalla pianura alla collina, o più semplicemente si ha il ritrarsi della stessa nelle sommità più fortificate; la terminologia non lascia adito a dubbi40: ci si

32 Per gli effetti della guerra sull'insediamento si veda AA. VV., Guerre, fortification et habitat dans le monde méditerranéen au moyen âge, Castrum 3 (Collection de l'Ecole francaise de Rome, 105), 1988, in particolare in questo stesso volume G. PINTO, La guerra e le modificazioni dell'habitat nelle campagne dell'Italia centrale (Toscana e Umbria, secc. XIV-XV), pp. 247-55. 33 Comune, A, 225. 34 Borgonovo e Campolungo erano ancora uniti nel 1427 e avevano solo 9 teste; ugualmente Quosa e Lugnano con 14 teste (Archivio di Stato di Firenze, Cinque conservatori del contado, 1 a), un estimo di Malaventre e Lama del 1414 è invece conservato in Archivio Arcivescovile (L. CARRATORI, Inventario dell'Archivio Arcivescovile di Pisa, I, Pisa, 1986, p. 108). 35 P. MORELLI, Per una stona delle istituzioni parrocchiali nel basso Medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, «Bollettino Storico Pisano» LI (1982), p. 33-65. 36 ASP, Comune, A, 48, c. 105 v 102 v, 96. Nei pressi di CasteldelLosco esisteva la pieve di Laviano che nel XIV secolo fu trasiata a Montecastello, anche a Palude era un'antica pieve ugualmente trasferita in questo secolo a Capannoli, Pratiglione invece era situato nel piviere di Barbinaia, uno dei più desolati, come risulta dalle visite pastorali trecentesche e dalle notizie riportate da Morelli (cfr. nota precedente). 37 G. ROSSI SABATINI, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-47). Studi sulla crisi costituzionale del comune , Firenze, 1938, p. 70 sg. 38 Si veda in particolare O. BANTI, Iacopo d'Appiano. Economia, società e politica nel comune di Pisa nel suo tramonto (1392-99), Pisa, 1971 (Pubblicazioni dell'Istituto di Storia, Facoltà di Lettere, 4) e per il periodo precedente P. SILVA, Il Governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti. Contributi alla storia delle Signone italiane, Pisa 1911 (documentatissimo studio attento anche alle trasformazioni insediative). 39 Fenomeno assai diffuso, esaminato recentemente da Settia per l'appennino reggianoparmense ( Crisi della sicurezza e fortificazioni di rifugio nelle campagne dell'Italia settentrionale, in Castrum, 3, cit., p. 263-9) e così sinteticamente descritto: «accentramento, migrazione a breve raggio, abbandono dei luoghi meno difesi e difendibili con tendenza a spostare gli insediamenti daltasso in alto» (p. 264). Fenomeno comune anche alla collina torinese, dove motivi di sicurezza si sposano però nei secoli precedenti il XIV alla pressione signorile (A. A. SETTIA, Villam circa castrum restringere: migrazione e accentramenti di abitati sulla collina torinese nel basso Medioevo, «Quaderni Storici», VIII (1973) n. 24, pp. 905-43. 40 Per la terminologia G. CHERUBINI-R. FRANCOVICH, Forme e vicende degli insediamenti nella campagna toscana dei secoli XIII-XV, «Quaderni Storici», VIII (1973) n. 24, pp. 879-904. Villa era l'abitato rurale sparso e ritira dalle «ville» di Palaia41 dal «borgo» di Laiatico 42, dal « borgo » di Montefoscoli 43, dal «mercatale» di Forcoli44 per risalire nel rispettivo «castrum». Spesso però queste fortezze si rivelano insufficienti e devono essere ampliate. Nel 1370 gli abitanti di Castell'Anselmo in Valditora45 si impegnano a rifare e riparare a loro spese il castello—«fuit iam parvum castrum» precisano—per usarlo in tempo di guerra o quando fossero passate le compagnie di ventura «pro eorum tutela et securitate ac etiam contratae circumiacentis»46. L'anno dopo di Valdera, nelle Colline inferiori, ottiene esenzioni per tre anni essendosi impegnata ad ampliare il suo fortilizio47, mentre i comuni di ne ebbero due dietro promessa che avrebbero completato la loro fortezza con merli, camminatoio e pozzo comunale48. Ancora nel 1370 Rosignano di Val di Fine, visti i danni subiti per le guerre con i fiorentini e Bernabò Visconti, chiese di fortificare il castrum di Rosignano per abitarvi stabilmente con le famiglie; il comune di Pisa si dichiarò favorevole a «construere fortellitium» e concesse anzi sgravi fiscali per quattro anni, ma obbligò a costruire dapprima una torre di avvistamento che doveva essere sorvegliata da un funzionario pisano49. Altre volte invece si costruiscono nuove fortezze, spesso utilizzando il sito di una precedente fortificazione. A Casanuova di Valdera (piviere di Sovigliana) si fortifica e si edifica, «pro habitatione tuta et commoda hominum et familiarum», il poggio omonimo «quod fuit castrum»50. Parrana (in Valditora, piviere di S. Lorenzo in Piazza) ottiene di rifare, insieme con le «ville» vicine, il castello vecchio di S. Maria51, ossia di ricostruire «quandam fortilitiam» nel detto comune nel luogo «ubi dicitur castellare»52, con una bella torre, steccato (da sostituirsi poi con il muro), bertesche e fosso; il comune di Pisa obbligava anche in questo caso a innalzare per prima cosa la torre. In Valdiserchio invece i comuni di S. Alessandro e S. Frediano a Vecchiano, situati in pianura sulla riva destra del Serchio, hanno il permesso di costruire un castrum sul monte di S. Maria di Castello

indifeso, con borgo si indicava un insediamento compatto e accentrato, non necessariamente fortificato; mercatale invece era una località in pianura, spesso lungo un'asse stradale, dove si teneva il mercato. 41 Comune, A, 67, c. 15 (1377) si fa obbligo agli abitanti delle ville di Palaia evidentemente casali sparsi nella campagna, di portare granaglie e beni mobili nel castrum di Paiaia; si concede di fare in un secondo tempo «talliatas aliquas ad reparationem et fortitudinem dicte ville», probabilmente semplici fossati. Repetti così descriveva Palaia: «sopra una collina da più lati dirupata cui sovrasta un rlsalto sopra il quale eslsteva la rocca o torrione con sottostante borgo ben popolato». 42 Comune, A 211, c. 60 (1393). Si vuole disfare una casa nel borgo per ricostruirla nel castello. «Risiede sulla sommità di un poggio spettante a uno sprone interposto fra i torrenti Sterza e Ragone» (quindi naturalmente protetto)—così Repetti alla voce Laiatico—. 43 Comune, A, 67, c. 15 Si ordina di sgomberare il borgo e fortificare il castrum, se poi rimane tempo è consentito di fortificare anche il borgo. Successivamente (ibid., c. 18) i cives proprietari di beni nella zona si impegnano a fortificare a loro spese il borgo, probabilmente per timore che venisse abbandonato dalla popolazione e di perdere così i lavoratori delle loro terre. Tra le opere difensive sono previste una «talliata» vicino alla porta del castello, tra il castrum e il borgo, un ponte levatoio e la fortificazione della torre del castrum. Repetti la descrive in questo modo «Siede sulla sommità di una collina (circondata per tre lati da ruscelli). . . il paese è disposto a forma di borgo saliente la parte più moderna è al suo ingresso inferiore, quella più antica presso alla cima del poggio, dove esiste la chiesa plebana, e dove era la rocca». 44 Ibid. «Villa con più borgate sopra piagge cretose lungo la ripa destra dell'Era e del Roglio (dirimpetto a Capannoli e Solaia). . . il castello essendo caduto in rovina, venne convertito in una casa di campagna», sempre Renetti ricorda che nel 1362 i fiorentini devastarono e assalirono 30 villaggi della Valdera «fra i quali fuvvi il borgo sottostante al castello di , denominato allora i Mercatale». 45 Comune, A, 147, c. 73. 46 Repetti lo ricorda come «villa dove fu un castelletto, sul dorso di una collina», (il castello venne diroccato dai fiorentini nel 1432). 47 Comune, A, 148 c. 80 Repetti ricorda Lavaiano vecchio e nuovo: «due villate a piè delI'estrema base delle colline pisane. . . in mezzo a una pianura già stata fondo di paludi». 48 Ibid., c. 77. 49 Comune, A, 147, c. 71 «Terra cospicua con sovrastante castellare. . . sul vertice di un poggio» (anche questo castello venne raso al suolo nel 1433). 50 Comune, A, 148, c. 70 «villaggio già castello. . . sopra un'umile collinetta, di fronte a », così Repetti che ricorda la fortezza di tal Betto da Casanova nel 1314 ribelle di S. Miniato (probabilmente il primo castrum). 51 Comune, A, 147, c. 79. 52 Comune, A, 148, c. 81 v il termine "castellare" viene qui usato evidentemente per indicare una fortificazione disfatta. nel comune di S. Alessandro, vicino alla suddetta chiesa di S. Maria53, ma devono costruire entro sei mesi il muro di cinta e fortificare la chiesa nella volta, nel successivo semestre invece completare con merli e camminatoio54. In un solo caso, di Valditora, sembra che la fortezza venga costruita ex novo. L'abate del monastero pisano di S. Paolo a Ripadarno infatti otteneva con i comuni di Valtriano, Meletro, , Grecciano, Milliano, La Leccia, a seguito di un sopralluogo di una commissione eletta all'uopo, di costruire nel luogo «ubi dicitur Valtriano» una fortezza per rifugio degli abitanti dei detti centri55. L'intervento del monastero cittadino in questo caso era determinato dal fatto che possedeva in questa località una bella torre con case contigue in luogo adattissimo a costruirvi fortezza (così si esprimono i documenti)56.

3. UNA FORTEZZA IN COMUNE

Dei centri fortificati sopraricordati alcuni sembrano costruiti per rifugio temporaneo di uomini e cose (Castell'Anselmo, Perignano di Triana, Valtriano); altri invece per abitarvi stabilmente (Rosignano, Casanuova, Cascina nel Valdarno, Ponsacco nel piviere di Appiano). Altro elemento caratteristico è che, a parte pochi casi come Cascina, Calcinaia e Ponsacco; tali iniziative partono sempre dal basso, su spinta della popolazione, e coinvolgono sempre più comuni, che possono appartenere a circoscrizioni civili ed ecclesiastiche diverse. Ad esempio, nel piviere di S. Lorenzo in piazza Parrana e le «ville» vicine, non esplicitamente ricordate, Castell'Anselmo e le «contrade» adiacenti (ugualmente non nominate), nel piviere di Triana S. Andrea e S. Lucia di Perignano; nel piviere di Sovigliana il poggio di Casanuova fu fortificato da Casanuova con Monsollazzo e i «comuni» vicini (non indicati), nella pieve di Palaia (già di S. Gervaso) intervennero Palaia e le «ville» vicine (non esplicitate), a Cascina sette comuni del piviere omonimo, a S. Maria a Trebbio cinque del piviere di S. Casciano a Settimo57. Ugualmente il

53 L'appellativo della fortificazione, S. Maria, uguale a Parrana, era determinato dalla presenza materiale dell'edificio sacro, su questo tema importanti osservazioni in A. A. SETTIA, "Ecclesiam incastellare". Chiese e castelli della diocesi di Padova in alcune recenti pubblicazioni, «Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana», 12 (1981), pp. 47-75 e IDEM, Eglises et fortification medievales dans l'Italie du Nord, in AA. VV., L'Eglise et le chateau, Bordeaux, 1988, pp. 81-94. 54 Divenne centro di notevole importanza difensiva se fin dal '74 veniva eletto un castellano nella rocca di S. Maria di Castello (Comune, A, 150), ancora in funzione aPpare nel 1393 quando si diede ordine di comprare una campana per questa rocca (Comune, A, 211, c. 13). 55 Comune, A, 147 c. 75 e 78-9 È interessante ricordare che F. BOCCI, Le colline inferiori pisane , Livorno, 1901, rist. an. Vallerini, Pisa, 1976, p. 255 scrive di Valtriano: «È rimasto questo nome a una villa in fertile pianora poco lungi da Pugnano (uno dei comuni appunto che aveva partecipato alla costruzione), in mezzo a una vasta tenuta, già celebre fattoria dei monaci vallombrosani, dipendente dall'abbazia di S. Paolo a Ripadarno. . . », sempre Bocci ricorda un documento riportato da Tronci da cui si evince che nel 1370 Pietro, abate di S. Paolo a Ripa d'Arno «intimorito dalle fazioni che regnavano nella città e della soldatesca che andava attorno, edificò nel comune di Valtriano, contado di Pisa, la rocca o castello che vogliamo dire, cinse le case di mura e postevi le guardie, vi chiamò non solo i suoi familiari e contadini ad abitare, ma moltissimi altri ancora; quali andativi, prese egli partito di dargli molte case e terre della badia a livello». 56 Da un regesto di documenti del monastero di S. Paolo pubblicato da D. STIAFFINI ( Le carte del monastero di S. Paolo a Ripa d'Arno di Pisa dei secoli XI-XIV, «Archivi e cultura», XV (1982) p. 7-84) si può seguire il costituirsi delle proprietà dell'ente in Valtriano, dove fin dal 1116 ii monastero possedeva beni. Gli acquisti si concentrano tra il 1274 e il 1281 per un totale di 56 pezzi di terra e tra il 1376 e il 1386, quindi dopo la costruzione della fortezza, (circa un'altra quarantina) Un documento del 1398 documenta la vendita di una casa «nel castello di Valtriano», casa che era stata edificata sopra una terra del monastero. Sulla politica economica della badia di Vallombrosa (al cui ordine apnarteneva S. Paolo) a partire dalla fine del '200 e sfociante nella ricomposizione fondiaria poderal:te si veda P. JONES, Economia e società nell'Italia medievale Torino, 1980, p. 417 sg, che ricorda anche come la badia fiorentina si espandesse nel Quattrocento nel territorio di Campo Chiarenti, villaggio abbandonato nel secolo precedente (p. 424). Non è improbabile che l'abate si fosse accollato metà della spesa per la fortificazione conlo scopo di attirare gente dai comuni vicini, per assicurarsi così manodopera per le sue possessioni. 57 Al fortilizio, diroccato nel 1431, avevano collaborato i comuni di S. Prospero di Viacava S. Lorenzo a Pagnatico, S. Giorgio a Bibbiano, Macerata e S. Maria (Comune, A, 148, c. 27), il sito era giustificato da ragioni di opportunità castrum di Rosignano fu costruito «ad utilitatem communis Razignani necnon circustantium vicinorum»58. Appartengono invece a pivieri diversi S. Alessandro a Vecchiano (piv. ) e S. Frediano a Vecchiano (piv. Pugnano) che insieme edificarono un fortilizio; così al castrum di Valtriano, sito nel piviere di Triana, collaborarono, oltre all'abate di S. Paolo a Ripa d'Arno, cinque comuni che amministrativamente appartenevano alla capitania di , ma ecclesiasticamente facevano capo ai pivieri lucchesi di (Pugnano e Meletro), Valtriano (Valtriano), Milliano e la Leccia (i comuni omonimi), mentre di Grecciano (il nome è rimasto tuttora a un podere) ignoriamo la collocazione ecclesiastica. Una delle caratteristiche peculiari, a nostro avviso, dell'organizzazione amministrativa del contado pisano, appare la non coincidenza tra le circoscrizioni ecclesiastiche e quelle civili59, comune ad esempio ai contadi di Lucca e Firenze, che fu probabilmente determinata dal fatto che il contado pisano si estendeva su zone ecclesiasticamente dipendenti dai vescovati di Volterra e di Lucca. Nell'area soggetta all'episcopio lucchese in particolare sembra tenacemente perseguita dal governo pisano la politica di spezzare i pivieri e di accorpare nelle singole capitanie centri appartenenti a circoscrizioni pievane diverse. Questo fece sì che in quest'area non esistessero pievi incastellate, né chiese rurali fortificate—a differenza di quanto capita nelle Sei Miglia lucchesi, o nel contado pratese, dove la chiesa con il suo campanile diventa nei momenti di guerra il nocciolo fortificato in cui si rifugiano gli abitanti—, ma si diffondesse il modello del «fortilitium». Ugualmente non è da escludere che la decadenza di molte pievi e chiese rurali del territorio pisano dipendesse proprio dalla divaricazione tra circoscrizioni civili ed ecclesiastiche. Le popolazioni che partecipavano ai lavori di costruzione e manutenzione del castrum edificato in comune60, lo usavano, talora saltuariamente, come luogo di rifugio per persone e vettovaglie 61 ; ma le lunghe guerre e i vuoti demografici sembrano favorire l'occupazione stabile di questi centri a scapito dei villaggi aperti e meno difendibili della pianura. Alcuni comuni appaiono nei decenni seguenti ancora uniti amministrativamente62 e dallo spoglio del Dizionario geografico fisico storico del Repetti risultano «ignote» o «perdute» o «distrutte» proprio le chiese parrocchiali di quei paesi che si erano consorziati per costruire il fortilizio. Ugualmente non è da sottovalutare l'azione attrattiva esercitata sulle ville vicine dai castra del territorio, che può anche non risultare dalle fonti pubbliche prese in esame, e che certamente provocò sensibili mutamenti nel tessuto insediativo del contado. Nella visita pastorale lucchese del 1382-3, ad esempio, nella descrizione del piviere di S. Gervasio si rileva il buono stato della chiesa di S. Maria di Raparo, ma si aggiunge che era senza parrocchiani perché la popolazione era andata ad abitare nel «castro» di Forcoli63 (S. Maria di Raparo è anch'essa segnalata come «ignota» nel Dizionario del Repetti). In alcuni pochi casi l'iniziativa di costruire una fortezza e costringere le popolazioni vicine ad abitarla sembra presa direttamente dal governo pisano. Gli esempi più noti sono Calcinaia, Cascina e Ponsacco. politica, essendo situato nella vallata dell'Arno a confine con Lucca e Firenze. Finora non è stato possibile appurare se l'iniziativa fosse stata presa dai comitatini o dal comune di Pisa. 58 Comune, A, 147, c. 71 v. 59 Anche nel caso in cui il nome della canitania richiama il niviere (Cascina, S Cassiano a Settimo, S. Lorenzo alle Corti) non c'è coincidenza, ma, a metà del Trecento, l'ambito civile appare più circoscritto di quelle pievanale. 60 Ad esempio Treggiaia faceva custodie e lavori a Montecastello ( Comune, A, 64-5, c. 17) Chianni aiutava a fortificare Peccioli (ibid., 131, c. 6), Laiatico e Toiano collaboravano vicendevolmente (ivi, c. 7), Strido e Rivalta parteciparono alla fortificazione di Chianni (ivi, c. 6). 61 Si veda l'ordine di portare vettovaglie, biade, vino, attrezzi agricoli «ad bonas et defensabiles fortellitias vel ad civitatem pisanam», dove si precisa anche «et si que fortellitie essent in comitatu pisano aue non essent bene defensabiles et in ipsis essent bladum seu victualia ultra que sunt necessaria habitantibus. . . (dunque nei fortilizi si risiedeva anche se solo temporaneamente) illud superfluum de ipsis fortellitiis extrahatur ei in loco tuto reponatur». (Comune, A, 67, c. 6). 62 Nel giugno 1372 i cinque comuni di Valtriano fanno insieme un atto di procura ( Regesto pergamene Nicosia , vol. XII, n. 313). Nell'estimo fiorentino del 1428 S. Lucia e S. Andrea di Perignano sono ancora uniti. 63 ARCHIVIO ARCIVESCOVILE DI LUCCA, Visite pastorali, 2. Calcinaia era una capitania pisania su cui vantavano diritti signorili i nobili Upezzinghi, diritti loro riconosciuti più volte dal comune di Pisa, ad esempio negli anni '80 del Duecento. Fu probabilmente per vanificare quest'ultima convenzione che negli Statuti del 1286 si precisava che il Capitano di Calcinaia doveva «stare facere omnes homines ipsius castri et omolum villarum et cappellarum Calcinarie ad unum comune et non ad divisos»—l'unificazione amministrativa dei comuni del piviere aveva probabilmente lo scopo di rafforzare quelle comunità nei confronti dei diritti di signoria vantati dai nobili Upezzinghi— e sempre in questa rubrica si faceva obbligo agli abitanti del piviere di andare a risiedere entro tre mesi nel castello di Calcinaia, ancora con lo scopo evidente di indebolire gli Upezzinghi sottraendo loro gli uomini64. Calcinaia, situata nella bassa pianura percorsa dall'Arno, fu spesso danneggiata dalle piene del fiume65 e altrettanto di frequente dovette resistere alle scorrerie nemiche, essendo situata all'imboccatura del territorio pisano. Nel 1360 risultano danneggiata la rocca66 e distrutti parte dei muri della terra67; perciò si ordinò di fare il «palancato» e il ponte tra la terra e la rocca68. Nello stesso piviere esisteva anche la terra di Pontedera che, fortificata già nel XIII secolo, era stata smantellata nel 1293 a seguito di un trattato tra Pisa e Firenze69; alla fine degli anni '40 del Trecento però se ne era iniziata nuovamente la fortificazione70. Pontedera anzi, sembra nella seconda metà di questo secolo, destinata a diventare il centro fortificato più importante del piviere, pur continuando Calcinaia a porsi come polo aggregante delle piccole comunità vicine. Nel 1370, ad esempio, a Calcinaia abitavano gli uomini di Schitocculi e Possale71 e nel 1381, quando fu decisa l'aggregazione del comune di Schitocculi, al comune di Calcinaia (cui era stato già unito Montecchio), si stabilì anche che gli abitanti del detto comune andassero a risiedere entro sei mesi con le loro famiglie nel paese di Calcinaia72. Non meraviglia perciò che Repetti alla voce Calcinaia segnalasse come delle 14 ville componenti il piviere la maggior parte (facevano eccezione Pontedera, Bientina e Montecchio) risultassero distrutte o avessero cambiato nome. Alla voce Ponsacco73 nel citato Dizionario, Repetti ricordava come a seguito della distruzione di Appiano, bruciata dai Fiorentini nel 1341, i Ponsacchesi avessero ottenuto nel 1374 di erigere una nuova pieve entro il paese, anche se solo nel 1440 vi furono trasportate le campane e il battistero della vecchia pieve di Appiano. Da documentazione lucchese però si viene a sapere che Giovanni dell'Agnello, allora signore di Pisa, aveva obbligato che i parrocchiani del piviere di Appiano, cioè di Appiano, Gello Putrido e Pegiano (forse Posseano, la primitiva parrocchiale di Ponsacco), a risiedere per loro sicurezza «in fortilitia et castro» di Ponsacco, il solo centro fortificato del piviere; perciò, rimasta senza popolo e deserta la vecchia pieve, nel 1366 venne iniziata la costruzione di una nuova pieve dentro la terra murata74.

64 Statuti inediti della città di Pisa , sec. XII-XIV (a cura di F. Bonaini), I, Firenze, 1854, pp. 174-5. Sempre in questi Statuti (p. 171) è fatto obbligo agli abitanti delle ville di Asciano di andare a risiedere nel castrum, probabilmente per assicurare maggiore protezione agli abitanti. 65 Nel 1333 più di 40 case di Calcinaia erano state distrutte dall'Arno (RONCIONI, Istorie pisane, cit., pp. 763-4). 66 Comune, A, 131, c. 182. 67 Ibid., 65, c. 4. 68 Ivi, c. 25. 69 Repetti alla voce Peccioli ricorda che le mura di Pontedera erano state abbattute dai Pisani stessi in cambio di Peccioli e altri luoghi della Valdera. 70 Comune, A, 34, c. 91 (1348-9) si nomina un «operarius» per alzare e fortificare le mura di Pontedera. 71 Come ricorda ancora Repetti, alla voce , esisteva nel paese una chiesa dedicata a S. Andrea, detta al Castellare o al Pozzale, originariamente chiesa del casale di Alfiano, centro scomparso situato nel piviere di Cascina. Non è da escludere che la decadenza di questo villaggio fosse legata alle condizioni idrologiche del territorio, come lascia intravedere il toponimo Pozzale, sia anche al trasferimento degli abitanti nel centro di Calcinaia. 72 Comune, A, l61, c. 1. 73 «Terra grossa regolarmente edificata. . . di figura quadrangolare con strade regolari ed una centrale più larga, stata altre volte difesa da mura castellane e da sette torri, delle quali ne restano ora quattro, e contornata di fossi che giravano intorno al suo pomerio o carbonaria». Fu smantellata alla fine del '400. 74 ARCHIVIO ARCIVESCOVILE DI LUCCA, Libri antichi, 24, c. 106 v. Nella capitania di Appiano, che comprendeva anche il comune di , appartenente al pievanato di Sovigliana75, era esistito un altro centro fortificato, il castrum di Camugliano, cui probabilmente facevano riferimento i villaggi del piviere di Appiano, castrum distrutto dai Fiorentini nel 1313 e probabilmente raso al suolo nel 1345 da Luchino Visconti, se «dopo la qual epoca —stando al Repetti—la parrocchia di Camugliano fu aggregata a quella di Ponsacco». Il concentramento degli abitanti di questi villaggi nel centro difeso di Ponsacco, insediamento fortificato in tempi recenti—probabilmente dopo la distruzione di Camugliano—se nel 1326 viene nominato ancora come «burgum» situato nel comune di Petriolo76, è chiaramente individuabile in una lettera degli Anziani di Pisa risalente al 1371, inviata ai comuni di Appiano, Petriolo e Camugliano, ovvero agli uomini e persone di questi comuni «residenti nella terra di Ponsacco»77. Anche in questo caso il trasferimento definitivo degli abitanti del piviere di Appiano nella nuova terra murata portò alla disgregazione della rete ecclesiastica originaria: non solo la pieve venne trasferita nel castello, ma dalla visita pastorale lucchese del 1382-3 risulta che le chiese già parrocchiali del piviere, ormai chiamato piviere di Ponsacco, erano tutte senza rettore. Meno esplicite, ma non per questo meno evidenti le notizie su Cascina, finora ignorate dalla storiografia78. Nel 1370 venne nominato un operaio e massaro «laborerii castri et fortilitii fiendorum aput plebem de cascina pro communi pisano, per communia ad ipsorum fortilitia et castrum faciendum deputata et deputanda»79. Cinque anni dopo si viene a sapere che, volendo completare al più presto il castello, tutti i denari esatti dalle condanne dal fiume Cecina citra venivano destinati a quest'opera80; inoltre, per diminuire gli oneri dei comuni di Viacava, Piscioli, Donicolta, S. Martino di Pergola, S. Stefano a Canneto, Rinonichi e S. Ilario, insieme uniti «ad habitandum castrum Cascine», questi venivano raccolti in un solo comune, così da ridurre il numero degli officiali da eleggere, comune che sarebbe stato individuato nel partitus pisani comitatus come «commune Cascine»81. Cascina fu dunque un centro fortificato voluto dal governo pisano che, probabilmente, obbligò gli abitanti dei villaggi limitrofi non solo a costruirlo, ma anche a risiedervi. La formazione artificiosa di Cascina non era sfuggita al Repetti che scriveva: «Cascina cresciuta d'abitatori nell'anno 1385 fu circondata di mura con torri. . .»; lo stesso autore ricordava anche due assalti fiorentini portati al piviere nel 1341 e nel 1362 che probabilmente spinsero il governo pisano a fortificare la località. L'abitato all'inizio del XIV secolo è ricordato nei documenti come «villa»82, un decennio dopo lo troviamo denominato «borgo»83 e come tale viene ricordato nei documenti della prima metà del XIV secolo84 e anche nelle Cronache dei Villani; questo grumo di case non aveva all'inizio del secolo vita amministrativa autonoma, ma faceva parte del comune di Pisciole85. Dagli anni '70 del Trecento però l'appellativo con cui Cascina viene indicato è sempre e soltanto «castrum»86.

75 Al tempo del Repetti ridotto a villa signorile. 76 Comune, A, 50, c. 69. 77 Ivi, 148, c. 8 r. 78 Il recente, documentato volume M. PASQUINUCCI-G. GARZELLA-M. L. CECCARELLI LEMUT, Cascina dall'antichità al Medioevo, Pisa, 1986 non si spinge oltre il XII secolo (soltanto a p. 108 si cita un documento del 1381 che riguarda le fortificazioni di Cascina); inoltre nella ricostruzione del territorio altomedievale vengono omesse alcune località: Lugnano, , Valle, S. Prospero e S. Salvatore di Uliveto, S. Martino al Bagno (perché «sull'attuale riva destra dell'Arno e pertanto escono dall'ambito di questa ricerca», (pp. 84 e 90) e Oratoio e Riglione (perché «non appartenenti all'attuale comune», p. 98). 79 Comune, A, 147, c. 80. 80 Ibid, 152, c. 81. 81 Ivi. 82 Diplomatico, Opera Primaziale, 948, 1314 luglio 17. 83 Diplomatico, S. Silvestro, 96, 1324 maggio 14. 84 Diplomatico, Opera Primaziale , 1605, 1340 novembre 7, ma anche Diplomatico, S. Martino in Kinzica , 147, 1338 aprile 9 (non si è potuto vedere 1'originale, perché la pergamena risultava mancante nel dicembre 1988). 85 Diplomatico, Acquisto Cappelli , 875, 1351 dicembre 12 l'atto risulta steso sotto il portico di una casa posta nel borgo di Cascina sito «in communi Pisciulis», questo comune veniva anche chiamato «di via di Pisciule» (ad es. Spedale Nuovo, 319, 1343 ottobre 5). 86 Nel fondo Convento del Carmine , 79, 1374 aprile 27 è conservata un'interessante pergamena che riguarda la costruzione di una casa (lunga pertiche 5, larga 2 e 1/2 e alta 3) nel castello di Cascina per un tal Giovanni vinaio. CONCLUSIONI

La guerra provocò nel Pisano sensibili modifiche dell'habitat: fortificazione dei paesi di confine, risalita di insediamenti, raggruppamento di abitanti di più villaggi in centri fortificati87. Nel contado pisano del tardo Trecento la fortificazione dei siti—di altura e non—crebbe e si irrobustì a danno dei minuscoli villaggi aperti e indifesi, spesso abbandonati e talora più rioccupati; perciò se di modifiche si deve parlare per questa zona non è soltanto riguardo al numero degli insediamenti quanto alle strutture dell'habitat. Recentemente Herlihy e Klapisch sottolineavano come caratteristica dell'insediamento toscano la discesa al piano e la diffusione della casa isolata, anche in forza dell'estendersi della mezzadria, e portavano come esempio delle «contradictions que le renouvellement de l'habitat rural connait à la fin du Moyen Age»88 il caso dei cinque abitanti di Monsollazzo che avevano lasciato la villa indifesa per il vicino castrum di Casanuova. Un esempio non pertinente, che ha invece una sua logica e trova spiegazione nella particolare situazione pisana. D'altra parte il caso pisano eccezione non è; in Valdelsa, area di mezzadria, ad esempio, non esistevano case isolate per motivi difensivi, perché zona di transito89, così nel Senese, per ricordare questo solo caso, Castelnuovo Berardenga fu edificato nel 1366 da 13 comunità con lo scopo di difendersi dalle compagnie di ventura. L'abbandono dei piccoli insediamenti rurali è dunque riconducibile anche nel Pisano alle guerre e alle pestilenze, ma ebbe qui esiti più macroscopici per l'assenza, fino agli ultimi decenni del Quattrocento, di quella mezzadria poderale che tanta parte ebbe invece nella tenuta della maglia insediativa della Toscana fiorentina90. Nel Pisano inoltre il raggruppamento della popolazione di più villaggi in aree fortificate divenne in molti casi irreversibile, o ebbe soluzioni di ritorno molto tarde, perché il crollo demografico provocato dalle pestilenze fu particolarmente aggravato dalle guerre di fine secolo con Firenze; ancora nel pieno Quattrocento alcuni paesi, ad esempio Pontedera e Montecastello91, poterono essere ripopolati solo grazie all'arrivo di famiglie forestiere. Guerre e spopolamento comportarono poi abbandono di terre già a coltura, estensione dell'incolto, diffusione di zone paludose. Non ultimo anche l'esodo del ceto dirigente pisano, provocato dalla conquista fiorentina92, contribuì ad accentuare il disordine e l'impoverimento del territorio, tanto più che la classe dirigente fiorentina non si mostrò immediatamente disponibile a subentrare al ceto pisano in diaspora, a ragione timorosa della recente conquista, e in un primo momento pensò addirittura di creare una maremma nel territorio adiacente alla città, ossia, approfittando dello spopolamento e dell'abbandono dei coltivi, di convertirlo a pascolo93. Soltanto nel tardo Quattrocento con l'istituzione dell'Opera dei

87 Si tratta di fenomeni comuni assai diffusi, illustrati ad esempio da Settia per il contadoparmense-reggiano (v. n. 32) e la collina torinese. In Villam circa castrum restringere, cit., l'autore sottolinea come «nei secoli XIV-XVI i movimenti di accentramento e di migrazione a breve raggio avvengono in parte spontaneamente e per prevalenti ragioni di sicurezza» (p. 942), che «più che di un puro e semplice accentramento dell abitato sembra. . . si tratti soprattutto di fortificazioni destinate ad accogliere la popolazione del territorio in caso di necessità» (p. 924) e che «in più luoghi quello che era dapprima un semplice ricovero temporaneo finirà per prendere carattere di stabilità» (p. 925-6), che è poi il caso pisano. 88 D HERLIHY-C. KLAPISCH ZUBER, Les Toscans et leurs familles. Une étude du catasto florentin de 1427 , Paris, 1978, P. 234. 89 P. PIRILLO, Insediamenti e mezzadria in Valdelsa, «Ricerche Storiche» XIV (1984) PP. 365-90. 90 G PINTO, Per una storia delle dimore mezzadrili nella Toscana medievale , «Archeologia medievale», VII (1980), PP. 153-172, sostiene che «1'insediamento sparso, ovvero la casa poderale non sorge ex-novo, ma attraverso la trasformazione dei piccoli insediamenti preesistenti, villaggi aperti o castelli che fossero» (p. 161). 91 Repetti alla voce Pontedera ricorda come nel 1454 furono chiamate 100 famiglie di Camporgiano (Garfagnana) e 100 di Albiano e Caprigliola (Lunigiana), con la promessa di esenzioni per un trentennio. Montecastello invece fu rioccupato da 40 famiglie di Filattiera (Statuti et ordini di Montecastello, contado di Pisa, a cura di G. Kirner, in Scelta di curiosità letterarie inedite o rare, n. 237, Bologna 1890, rist. an. Bologna 1969). 92 G. PETRALIA, "Crisi" ed emigrazione dei ceti eminenti a Pisa durante il primo dominio fiorenhno: l'orizzonte cittadino e la ricerca di spazi esterni, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento (Atti del V e VI Convegno di Studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze dicembre 1982 e 1983), Firenze, 1987, pp. 291-352. 93 LEVEROTTI, La crisi demografica, cit., p. 101. fiumi e fossi iniziarono le bonifiche, e da questo momento nella proprietà fiorentina, ormai largamente diffusa94, venne introdotta la mezzadria poderale che portò così a una piccola rivoluzione insediativa: la ricomposizione fondiaria e i nuovi rapporti di produzione significarono un ritorno all'insediamento frammentato e disperso. La rete dei castra e dei fortilitia cresciuti nel pieno Trecento si indeboliva e si smagliava all'ombra del giglio fiorentino: l'arroccamento difensivo non era più necessario, alla lenta crescita endogena della popolazione originaria si affiancava il flusso dei forestieri provenienti dalle aree sature del contado fiorentino95, sulla frammentata realtà economica dei piccoli proprietari e affittuari si stendeva ora la compatta proprietà poderale con la famiglia mezzadrile insediata nel podere, mentre la villa signorile si sostituiva agli antichi villaggi e ai fortilizi in rovina.

Appendice «FORTILITIAM SIVE CASTRUM»

I1 termine trecentesco con cui venivano indicate le fortificazioni di nuova fondazione è fortilitium o fortilitia, spesso usato in alternativa al generico castrum, termine diffuso con questo stesso significato nel contado senese96 e comune all'area piemontese dove questi insediamenti di rifugio, noti con il più frequente appellativo "ricetto"97, appaiono largamente e precocemente diffusi. Tali manufatti non sembrano oggi individuabili, molti furono distrutti tra 1431 e 1433 quando le popolazioni diedero asilo al Piccinino ribellandosi a Firenze98. In diversi casi inoltre, secondo un processo comune al contado di Firenze99, che va di pari passo con l'estendersi della proprietà fiorentina, alcuni villaggi e anche antiche pievi si trasformarono in ville signorili (tali risultano dallo spoglio del Dizionario di Repetti Camugliano, Cedro, Valtriano, S. Marco di Sovigliana, Vallisonzi, Monsollazzo, Gricciano, Montecchio di Valdarno, Colle Alberti)100, o in fattorie (Pietracassa, S. Giovanni Valdisola, S. Gervasio); altre volte invece il solo nome di un podere sembra rimasto a ricordare l'antico insediamento (ad esempio Volpaia di Migliano, Pagliana, Paglianella, Milliano, Grecciano, La Leccia). Ciò rende arduo ricostruire le dimensioni dei fortilizi o riconoscerne le strutture materiali, in pochi casi ancora individuabili alla fine del Settecento101. Dalle fonti documentarie è possibile ricavare le dimensioni del solo Valtriano: largo 10 pertiche, lungo 15, nonché una sommaria descrizione degli elementi fortificatori: circondato da muro, protetto da un fossato attorno al quale erano stati costruiti dei barbacani o parapetti, mentre all'interno si ergeva una torre102. Più minuziosa e dettagliata la descrizione della fortezza che era

94 MALANIMA, La proprietà fiorentina, cit., pp. 345-375. 95 Si vedano in particolare di M. LUZZATI, Demografia e insediamenti nel contado pisano nel Quattrocento (1428­ 1491), «Rassegna Volterrana», LVI (1980), pp. 71-106 e M. DELLA PINA, La formazione di un nuovo polo demografico nella Toscana dei Medici: Pisa e "contado" tra XV e XVII secolo, «Ricerche di Storia Moderna», III, Pisa, 1984, pp. 1-56. 96 CHERBINI-FRANCOVICH, Forme e vicende , cit., p. 887 n. 222, ricordano un «fortilitium» di proprietà privata a Pieve a Molli, dove si rifugiava la comunità in caso di nericolo, ugualmente nella vicina Ancaiano esisteva un «palatium sive fortilitium», bruciato nel 1403, che serviva agli abitanti i n tempo di guerra. 97 A. A. SETTIA, Fortificazioni collettive nei villaggi medievali dell'Alta Italia: ricetti, ville forti, recinti , «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino», LXXIV (1976), pp. 527-618 cita un «receptum seu fortalicium» a Fiorano (p. 545 n. 59) e a Robassomero (p. 547 n. 68), dei «fortalicia» a Scandeluzza (p. 548 n. 73). 98 Le cronache ricordano la distruzione dei centri più importanti, ad esempio S. Maria a Trebbio, Rosignano, Castellanselmo, Donoratico, , Caprona, Calci, Marti e ; le fortificazioni di Pontedera invece furono distrutte solo alla line del XV secolo. 99 JONES, Economia e società cit., pp. 424-5 «Molte fattorie e ville moderne occupano gli stessi luoghi dove si trovavano gii insediamenti medievali». 100 Talora, come a Forcoli e , occupano la sola area già fortificata. 101 G. Mariti in un'interessante opera, purtroppo ancora manoscritta alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, a parte i primi due vo umi (Odeporico o sia Itinerario per le colline Pisane, Firenze Pagani, I, 1797, II, 1799) ha lasciato una minuta descrizione di insediamenti e chiese, corredata da schizzi e planimetrie, alcune delle quali sono state riprodotte in G. CACIAGLI, Pisa, Pisa, 1970 (Le province d'Italia). 102 Comune, A, 147, c. 78-9; più ampio sembrerebbe il fortilizio di Fauglia secondo Bocci (p 108) lungo 50 metri e largo 39, mentre S. Regolo sarebbe stato largo 36 metri e lungo 41 (p. 162). stata costruita a Casanuova103: un muro in terra battuta correva tutt'intorno al poggio, era alto 5 arcate e aveva un ballatoio verso con una torretta di 10 arcate, la porta d'ingresso era fortificata con un'antiporta; più complessa invece la struttura di Pontedera di cui riportiamo più avanti la descrizione. Due appaiono gli elementi più frequentemente indicati, oltre alla torre di avvistamento, cioè il fossato e il muro. Fossati sono ricordati a Castelvaltriano, Lavaiano, Parrana, Cascina, Ponsacco, Perignano, Livorno, Vicopisano, per ricordarne alcuni fossati di una certa importanza se veniva proibito di lavare i panni, abbeverare il bestiame e pescare104, che potevano essere difesi da un terrapieno come a Valtriano. Le mura, talora di terra (Casanuova), più spesso di legno (vallum o steccatum ad Asciano, steccato a Cascina, Parrana, Livorno, palancato a Calcinaia—spesso però queste in legno erano solo la prima forma di difesa e dovevano essere sostituite da strutture in muratura, come è esplicitato per Parrana—), potevano essere anche in muratura, costruite con mattoni e calcina come a Lavaiano, corredate da bertesche (Asciano, Parrana, Casanuova; quelle di Ponsacco erano situate agli angoli), da merli e camminatoi ("corseria" o "corritorium") (Perignano, Montecastello, Vicopisano). Erano tutto sommato protezioni fragili e spesso messe alla prova, che continuamente dovevano essere riattate e completate, costruite probabilmente con approssimazione se quelle di erano cadute105. Il territorio pisano erano dunque ricco di fortificazioni; i documenti ricordano fortilizi a , Nugola, Vada, Cascina, Perignano, Lavaiano, castellare di Parrana, S. Luce, Rosignano, Valtriano, Castellanselmo; castra sono ricordati nelle zone di confine: Vicopisano, Marti, Calcinaia, Montofoscoli, Chianni, Lari, Fauglia, Crespina, , Cascina, Forcoli, Montecchio, S. Maria a Trebbio. Centri difesi erano Soiana, Montecastello, S. Gervasio, Ghizzano, Peccioli, Buriano, , S. Regolo. In alcuni casi all'interno dei villaggi, talora protetti da mura, altre volte indicati come borghi, cioè grumi di case addossate (Nugola, Capalbio, Laiatico, Montefoscoli, , Lorenzana, S. Luce, Toiano) si trovavano rocche alla cui guardia stavano soldati pisani. Rocche sono documentate a Montecalvoli, Bientina, , Palaia, Toiano Montecastello, Orciatico, Pietracassa, Peccioli, Pontedera, Cascina, Ponsacco, Vicopisano, Bibbona, Bientina, Asciano; a Marti in particolare se ne ricordano due, la più in alto era la rocca vecchia superiore, l'altra la rocca inferiore o pisana. Non sempre queste rocche rappresentano però il nocciolo fortificato, separato dal paese da un ponte levatoio; infatti nella documentazione scritta la rocca può venire equiparata alla torre. «Rocca sive turris» erano a Peccioli, Asciano, Capalbio, Marti, Legoli, una «rocca sive turris nova» a Piombino. E che si trattasse nella realtà di modeste torri sembra confermato ancora dalla descrizione che nel secolo scorso faceva Repetti, il quale nel suo Dizionario ricorda ad esempio la « rocca o torrione » di Palaia, mentre alla voce Peccioli, trattando della parte più alta della collinetta su cui sorgeva l'area fortificata, cioè del «poggio della castellaccia», scriveva: «siede ancora l'antica fortezza a forma di torre quadrata fabbricata di mattoni».

LA FORTIFICAZIONE DI PONTEDERA NEL 1354 (Comune, A, 121, c. 68 sg)

«Turris quod incepta est fieri supra portam pisanam dicti castri extollatur et alsetur a terra perticis octo cum duabus voltis et fiant dicte turri portae 2 magnae et sufficientes (videlicet 1 ex latere interiori et alia ex latere posteriori castri predicti). Et in dicta turri versus terram fiat bailus unus altitudinis perticatum quinque, qui bailus incipiat a cantone dicte turris versus meridiem, latitudinis soli a turri predicta perticarum trium, et vadat builus predictus versus cantonem Calcinarie perticarum quinque et postea revolvatur ad murum dicte terre. Et in dicta turri cum bailo predicto fiant habitationes commode castellano et sergentibus qui ad custodiam dicte rocche potuerint indigere; intra quem bailum fiat puteus unus et fiat supra dicto builo corridoria bertesche et merli

103 Comune, A, 148, c. 78. 104 Comune, A, 121, c. 68. 105 Ivi, 211, c. 74 v sicut est in talibus consuetum cum fossis muratis et porta et ponte levatorio (quem pontem levent et calent illi de roccha predicta). Item quod turris imposita supra cantone versus Calcinariam extollatur a terra perticis octo, quae sit clausa per omnem suam faciem et inter turrim predictam fiant habitationes illis sergentibus que indigere possent (sic). Et ante dictam turrim ex parte terre et castri fiat unus murus triangulariter per spatium unius pertice a turri predicta et fiat altitudinis pertice unius cum dimidia et in pede dicti muri fiat unus foveus largus in buccha et cupus ad sufficientiam. Item quod muri dicte terre et castri qui sunt inter turrim predictam de cantone et supascriptam roccham sint sodi sine aliquo arcu et sint magis alti quam muri alii dicte terre perticae unius et sint merlati inter et foris adeo quod possit succurriri de una fortellitia ad alteram sine aliquo impedimento in recipiendo intus vel foris. Et quod Castellani qui pro tempore erunt in roccha predicta pro communi Pisano teneantur et debeant continue quibuslibet temporibus tam pacis quam guerre tenere ad gitam de sergentibus quos habebunt in roccha predicta in turri predicta duos de ipsis sergentibus quos claudere debeant in ipsa turri et claves penes se habere ad minus singula nocte. Item quod ad pedes dicte turris videlicet ex latere exteriori fiat una posterna parva unde possit intrare solummodo unus homo post alium, de qua posternecta teneat claves castellanus rocche predicte; et versus dictam posternectam fiat pons unus levatorius cuiusdam agilis tabule ex unde transire possint pedites videlicet unus post alium, quae tabula sive pons elevetur et caletur per sergentes dicte turris sive per castellanum dicte rocche cum quadam catena ferrea, qua catena supra turrim predictam debeat actari et commendari adeo quod aperiri et claudi non possit sine serramine et bona clavis. Ultimo quod porta et ianua que est facta iuxta dictam roccham ex parte porte pisane moretur aperta quando dominis Anthianis sic videbitur et placebit cum ponte levatorio et per illum modum proprium secundum quem stat et moratur roccha et porta nova terre Pietrasancte».

FRANCA LEVEROTTI