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Un secolo di… Nino Manfredi

Qualche giorno prima del lockdown dello scorso anno, che ha messo in ginocchio l’Italia e il mondo, ebbi l’onore di intervistare la signora Erminia Manfredi, moglie del compianto Nino, per il libro Il ventennio d’oro del cinema italiano- 4 lustri di illustri, edito da Graus Edizioni. In quell’occasione, così vibrante di emozioni, per un autentico e passionale estimatore di Nino Manfredi, ne uscì un ritratto ancora più vero di quello che è stato l’attore, tra il privato e il pubblico. Alla mia domanda se vi erano differenze tra il Manfredi privato e il Manfredi del cinematografo, la signora Erminia rispose così:

“Mio marito, dal punto di vista lavorativo, era l’esatto specchio di quello che lui era nella sua vita privata. Era una persona molto seria e faceva tutto con serietà, nel senso che era molto metodologico e si preparava su tutto. Ad esempio, quando gli proponevano un film, studiava il suo personaggio in maniera tale da entrare completamente nella parte e farla sua. Per esempio, quando ha fatto Geppetto, nel Pinocchio di Comencini, per prepararsi alla parte, pur non avendone l’età, andava di fronte alla nostra casa, a Roma, nel Giardino degli Aranci, a vedere come giocavano i bambini. Il tutto per delineare un Geppetto ancora attivo, desideroso di giocare, che poi grazie a questi “studi” è diventato quel personaggio immortale, che tutti noi continuiamo ancora ad ammirare. Mio marito amava un po’ tutti i personaggi che interpretava, perché in ognuno metteva sempre tutto se stesso e la sua professionalità, ma ad ognuno era in grado di donare sfumature sempre diverse, che fosse Pane e cioccolata o che fosse Brutti, sporchi e cattivi”. Da questo estratto di quell’intervista, che porto sempre nel cuore, fuoriesce tutta l’essenza di quello che è stato il metodologico Nino Manfredi, che rimane ad oggi, esattamente a 100 anni dalla sua nascita un punto di riferimento assoluto nella storia del cinema italiano e della commedia all’italiana, del quale è ritenuto uno dei “4 mostri”, assieme a Sordi, a Gassman e a Tognazzi. Versatile e incisivo, poliedrico e magnetico, come pochi, nel corso della sua carriera ha alternato con uguale vigore ruoli comici e drammatici di notevole efficacia, risultando probabilmente il più grande di tutti, nella sua capacità di entrare nel ruolo e regalarci personaggi immortali. La signora Erminia, ha parlato dello strepitoso e struggente Geppetto del Pinocchio di ; ma il tutto va continuato ed ampliato con il Dudù di Operazione San Gennaro; con il meraviglioso padre di famiglia dell’Italia del boom de Il padre di famiglia; o ancora il leggendario Pasquino di Nell’anno del Signore. Ce ne siamo scordati tanti e potremmo continuare per ore, fino a far diventare questo articolo un saggio vero e proprio, magari da pubblicare.

Eppure non basterebbe neanche un libro per ricordare la grandezza di un attore, che fa parte del patrimonio storico ed emotivo del nostro Paese: un personaggio familiare, che fa parte di noi stessi, di quello che siamo stati e di quello che siamo. 101 film interpretati, tra il 1949 di Torna a Napoli e il 2003 de La fine di un mistero. In mezzo, 9 (record assoluto al maschile), 6 Nastri d’Argento, 4 Globi d’oro e soprattutto la Palma d’oro a Cannes 1971, come miglior opera prima per il suo capolavoro emotivo dal titolo Per grazia ricevuta. Basterebbe questo palmares, per inquadrare Nino, anzi Saturnino, perché questo era il suo vero nome all’anagrafe; ma non basta, perché la sua grandezza non è quantificabile in una stima di quanto il suo lavoro abbia influenzato tutta la commedia, durante gli anni del fulgore della commedia all’italiana e anche nei decenni successivi.

Alcuni di questi film sopravvivono sulle vette più elevate del nostro cinema; altri ancora navigano più in basso; ma tutti gli oltre 100 delineano quella che è stata la maestria metodologica di Manfredi, il più grande nel tuffarsi nel personaggio regalandoci interpretazioni sempre diverse, ma sempre particolarmente realistiche ed efficaci. Dopo una notevole gavetta, fatta di tante particine sparse qua e là, il meritato successo arriva alla fine degli anni ’50, con titoli come Carmela è una bambola, L’impiegato e Audace colpo dei Soliti Ignoti o Anni ruggenti, che ci consegnano un attore diverso dal classico panorama cinematografico nazionale. E i titoli della seconda metà degli anni ’60, non fanno altro che confermare in pieno quell’intuizione. Proprio in questo decennio, Manfredi mette a segno passo dopo passo numerosi successi, fino a quel 1969, che lo issa come miglior attore italiano dell’annata, per quello che sarà il suo anno mirabilis. Nel solo quinquennio 1964-69 è protagonista di oltre 20 film, tra film a episodi come o I cuori infranti e lungometraggi interamente basati sulle sue straordinarie capacità di attore a tutto tondo, quali Straziami, ma di baci saziami, Italian secret service e Operazione San Gennaro, ambientato all’ombra del Vesuvio e impreziosito da un prestigioso intervento del grande Totò; per finire con Il padre di famiglia, uno dei migliori Manfredi di sempre, perfetto nel tratteggiare, come già anticipato sopra, il ritratto di un padre di famiglia alle prese con tutte le problematiche sociali e lavorative degli anni ‘60. Un piccolo gioiello diretto dal regista Nanni Loy.

Ma soffermiamoci un attimo su Italian secret service del 1967, un sottovalutato, ma divertente incrocio tra commedia all’italiana e parodia dei film di spionaggio americani. È il momento migliore della carriera di Nino Manfredi che addirittura nel 1968 si aggiudica due David di Donatello ex- aecquo sia per Italian secret service che per Il padre di famiglia. Caso più unico che raro nella storia della cinematografia mondiale: un ex-aecquo con se stesso. Ciò sta a significare che le sue interpretazioni, ormai, sono tutte di enorme spessore ed è forse l’attore più richiesto del panorama italiano, tra la seconda metà degli anni ’60 e i primi anni ’70. Infatti, è proprio in questo periodo, che l’attore prende piena consapevolezza di sé, dopo anni di gavetta, entrando sull’accogliente carro della commedia all’italiana. Anno dopo anno l’attore scala le vette, pur mantenendo un profilo basso, ravvisabile rispetto agli ingaggi medi degli altri colleghi del periodo: Mastroianni 120 milioni di lire, Tognazzi 50 e Manfredi (si fa per dire) soltanto 30, anche se con un movimento oscillatorio.

Infatti, a seconda del suo gradimento rispetto alla sceneggiatura era consono alzare o diminuire la richiesta, tenendo in mente vari fattori, quali lo studio approfondito del personaggio e i giorni di impegno sul set. Non c’è da sorprendersi, il tutto rientrava in quella grande attenzione che il professionista Manfredi, diffondeva nel suo lavoro: metodo, precisione e orgoglio. Molto spesso era solito inserire con grande vigore, modifiche in seno di sceneggiatura, attirando non di rado, polemiche accese con il regista di turno, quanto più era qualificato il secondo, tanto meno era disposto a cedere il passo. E così, ad esempio sul set di Nudo di donna, nel 1981, avviene un proverbiale e acceso diverbio tra Nino Manfredi e il regista , con quest’ultimo che decide di abbandonare anzitempo il set, e il primo che prenderà le redini del lavoro portandolo a compimento.

Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, Manfredi continua quel processo di maturazione, che lo rende uno degli attori più amati del panorama nazionale.

Nominiamo, dunque, le sue migliori pellicole. Nel 1969 è impegnato sul set di Straziami, ma di baci saziami (1968), gioiellino di comicità paradossale e popolana, tutta giocata sul gusto per il calco filologico e deformante della subcultura popolare, del patetico da fotoromanzo e del romanticismo da festival di Sanremo, che contiene alcune delle più belle battute degli sceneggiatori Age e Scarpelli. Il trio di protagonisti è semplicemente sublime: Manfredi, Tiffin e Tognazzi; mentre il regista è .

L’elenco delle interpretazioni memorabili di Nino Manfredi, strettamente nell’ambito del film a episodi, del quale, va quì ricordato, Manfredi fu uno dei massimi specialisti, si arricchisce nel 1969, di un film Vedo nudo, diretto anch’esso da Dino Risi, che rimane, come film corale, uno dei migliori assoli dell’attore romano. Il migliore dei sette sketch che lo compongono è proprio l’ultimo, ovvero quello che dà il titolo al film e che è rimasto nella memoria collettiva. E’ la storia di un pubblicitario che vede denudate tutte le donne che incontra, ma quando crede di essere guarito la stessa devianza psichica si manifesta con gli uomini. L’episodio, il più divertente del film corale, si basa tutto sulla prova del grande Nino Manfredi e sulle sue espressioni facciali alle prese con le visioni “nude”, che sono da antologia della risata e da scuola di recitazione. Un cortometraggio molto conosciuto anche all’estero, dato anche il grande successo commerciale del film, tanto che pare sia stato preso ad esempio, quando nel 2000 la regista Nancy Meyers ad Hollywood firmò la pellicola What women want, con Mel Gibson. Anche quella è la storia di un pubblicitario alle prese con l’altro sesso, ma stavolta invece di vederle nude, acquista il potere “magico” di ascoltare il loro pensiero. Una prova in più del fatto che il cinema americano, ha spesso tratto spunto da quello italiano, sempre precursore dei tempi.

Quello stesso anno l’attore prende parte a Nell’anno del Signore, campione di incassi della stagione, il quale può essere considerato come il più grande film in costume della storia del cinema italiano. In un cast a dir poco eccelso – Sordi, Tognazzi, la Cardinale, Salerno – si staglia l’interpretazione del vero protagonista del film: Nino Manfredi. Sublime nel tratteggiare Pasquino, il ciabattino, lo storico autore di invettive contro il Papa, nella Roma papalina del 1825. La splendida interpretazione gli valse sia il Nastro d’argento che il David di Donatello come miglior attore protagonista della stagione 1969. Fu proprio con questo film che Manfredi e Magni iniziarono una fruttuosa e redditizia collaborazione, consolidatasi negli anni con In nome del Papa Re (1977) e In nome del popolo sovrano (1991), secondo e terzo capitolo della trilogia sulla Roma papalina di metà Ottocento, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra clero pontificio, aristocrazia e popolo.

Proprio Nell’anno del Signore rappresenta il primo capitolo di questa trilogia con almeno una perla destinata a entrare nella storia del cinema. Esattamente la scena finale –quando Pasquino intuisce che il potere trae forza dalla sua mancanza di emotività, rispetto al popolo che “c’ha er core” – è geniale e allo stesso tempo commovente. Spiega al suo discepolo interpretato da che “…li morti così con una burla de processo pesano più peggio e cor tempo diventano la cattiva coscienza del padrone… perché solo sul sangue versato viaggia la barca della rivoluzione”.

Insomma, sacrificare due carbonari per risvegliare la coscienza del popolo: i primi vaggiti d’Italia 35 anni prima di Garibaldi, in un film realizzato all’alba dei tumulti che caratterizzeranno gli anni ’70 e che il cinema nazionale ha prontamente descritto.

Procedendo velocemente, negli anni ’70, vanno citate altre memorabili interpretazioni. Come Per grazia ricevuta (1971), che segna l’esordio in un lungometraggio di Nino Manfredi come regista, il quale è comunque anche il protagonista del film, con una regia dal sapore naif e un soggetto indubitabilmente nostrano e originale, a metà tra spiritualità e psicoanalisi, sulle conseguenze della cattiva educazione religiosa. Record di incassi della stagione 1970/71. Nino Manfredi, come già accennato sopra, vinse la prestigiosa “Palma d’oro” al Festival di Cannes per la miglior opera prima. Molte scene rimaste nella storia. Capolavoro senza tempo, esattamente come C’eravamo tanto amati (1974), di Ettore Scola, omaggio nostalgico, amaro e sincero al cinema italiano e più in generale ad un pezzo di storia e al tempo che passa inesorabile.

Abbiamo poi anche Pane e cioccolata (1974), a detta di molti, il miglior film della carriera di Nino Manfredi. Elogio dell’italiano all’estero con tante scene entrate nell’immaginario popolare. Manfredi si supera, in un’interpretazione attenta e precisa e vince con merito il David di donatello come miglior attore protagonista. In ultimo citiamo, alcuni film che rientrano nel Manfredi più strettamente drammatico. Un esempio su tutti, Brutti, sporchi e cattivi (1976), un film volutamente sgradevole, ambientato in una borgata degradata della capitale, dove Manfredi offre un’ottima prova della sua straordinaria poliedricità.

E poi abbiamo gli ultimi grandi “fuochi”, scintille di grande cinema d’autore. Parliamo de Il giocattolo (1979), splendido apologo sulla violenza privata, con un Manfredi drammatico che convince appieno; e soprattutto Cafe express (1980), nei panni del venditore abusivo di caffè sui treni Michele Abbagnano, a detta di molti la sua interpretazione più intensa e sofferta. E per questo film Manfredi vinse l’ennesimo Nastro d’argento della sua sfolgorante carriera.

Insomma, fa davvero piacere, che nonostante stiamo vivendo un 2021 complicatissimo, le celebrazioni in onore di Nino Manfredi, siano molteplici in tutto il nostro Paese: pubblicazioni, documentari inediti, omaggi televisivi e numerosi articoli a lui dedicati. Questo vuol dire, che abbiamo ancora una speranza. Abbiamo ancora la speranza che la cultura possa elevarci, che la cultura possa educarci e che quindi la memoria di chi ha reso grande questo nostro martoriato Paese, non si perda mai, nell’oblio degli abulici tempi moderni.

Perciò dobbiamo gridare con forza CIAO NINO ovunque lui sia…e studiarlo, amarlo al pari degli altri suoi colleghi, perché appassionarsi al nostro cinema vuol dire imparare qualcosa di più su di noi e vuol dire fare cultura, quella con la C maiuscola.

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I 100 anni di , l’attore simbolo di un’epoca che fu la perfetta maschera dell’italiano medio e che, oggi, sembrerebbe un esempio di virtù

Cento anni fa, il 15 giugno 1920, nasceva a Roma, per la precisione nel rione di Trastevere, Alberto Sordi, ultimo figlio di Pietro Sordi, professore di musica e strumentista, e Maria Righetti, insegnante elementare.

È considerato, insieme a , e Nino Manfredi, uno dei “4 Mostri della commedia italiana”, o anche uno dei “4 Colonelli” dello stesso genere.

Di sicuro, dei quattro era il più popolare e vicino alla gente. Meno sornione di Tognazzi, meno impegnato di Gassman, meno eclettico di Manfredi, Sordi fu, nei 200 film che interpretò nella sua carriera, la vera maschera dell’Italiano medio, la cartina tornasole dei nostri tanti vizi e delle nostre poche virtù.

PER APPROFONDIRE:

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Nessuno come lui riuscì ad impersonare i vizi, i tic, le manie, le idiosincrasie degli Italiani dal dopoguerra fino al boom economico; di un popolo che in poco più di venti anni era passato dalla dittatura alla democrazia, dalla guerra alla pace, dalle macerie alla ricostruzione, da un’economia prevalentemente agricola ad una industriale, dalla fame degli anni ’50 all’abbondanza, anzi al boom, degli anni ’60.

Attore molto fisico, Sordi cominciò fin da giovanissimo a mostrare talento per le arti: alle elementari mise su un teatro di marionette e cantò come “soprano” nel coro di voci della Cappella Sistina, fino alla precoce trasformazione della sua voce, che diventò quella di un “basso” e che caratterizzerà tutta la sua futura carriera. https://www.youtube.com/watch?v=m76AKgtdQzs&t=80s

Al 1937 risale la sua prima esperienza con Cinecittà ed il cinema; fu infatti una delle comparse nel film “Scipione l’Africano” e, sempre in quell’anno, vinse il concorso della Metro-Goldwyn-Mayer che cercava una voce che potesse doppiare Oliver Hardy, componente del famosissimo duo comico Stanlio ed Ollio.

Il doppiaggio contrassegnò l’inizio della sua carriera, sua la voce di importanti film come “La vita è meravigliosa” (1946), “Ladri di biciclette” (1948) e “Prima comunione” (1950). Diverse le esperienze nel teatro e nella rivista. Benché arruolato nel 1940 nella banda musicale del Regio Esercito Italiano, è proprio durante la guerra che concentra il meglio della sua attività teatrale, che si concluderà con la stagione 1952-53.

Ma il medium che lo renderà famoso e lo avvicinerà al cinema sarà la radio, dove lavorerà dal 1946 al 1953.

Poi arriverà il cinema che, dopo alcuni ruoli minori in una ventina di pellicole, lo porterà a lavorare da subito con grandi maestri, a cominciare da Federico Fellini, che prima lo dirigerà nel surreale “Lo sceicco bianco” (1952) e poi nei “Vitelloni” (1953), che gli regalerà una certa notorietà ed ottime critiche. Ma è il sodalizio artistico con Steno che lo renderà famoso presso il grande pubblico: su tutti sarà “Un americano a Roma” del 1954, dove interpreta il Ferdinando “Nando” Mericoni, borgataro romano ossessionato dalla cultura pop americana.

Poi verranno oltre 150 film girati da protagonista, che lo renderanno l’attore più amato dalle masse. Alla critica nostrana non andò mai particolarmente a genio: probabilmente il motivo principale era da ricercare nel fatto che mostrandoci il perfetto prototipo di “italiano medio”, ma anche le “dinamiche del potere” e le “egemonie di una certa classe dirigente”, molti critici faticavano a comprendere, e il più delle volte se ne risentivano, le interpretazioni caustiche ed irreverenti di alcuni memorabili personaggi di Sordi. https://www.youtube.com/watch?v=zFLlQfxrtBk

Eppure oggi, a distanza di 100 anni dalla nascita e a 17 anni dalla morte, avvenuta nel 2003, sentiamo un vuoto incolmabile, che il cinema contemporaneo non ha saputo riempiere adeguatamente e avvertiamo forte il fatto che, ad eccezione di , la sua immensa eredità non sia stata adeguatamente raccolta.

Alberto Sordi fu senza alcun dubbio il principale interprete della commedia all’Italiana; i suoi personaggi, benché profittatori, meschini, vili, cialtroni, oltre ad essere simpaticissimi mantengono una grande umanità con la quale è impossibile non empatizzare. Pensiamo ai ruoli che interpretò a cominciare dagli anni ’60, quando alcuni registi illuminati e visionari capirono che la maschera di Sordi era perfetta pure per il registro drammatico. Primo della serie è sicuramente “La Grande Guerra”, del 1959, di Mario Monicelli, che lo affianca ad un romano, d’adozione ma doc, come Vittorio Gassman, un film nel quale Sordi interpreta il soldato pavido ed imboscato Oreste Jacovacci, che il contesto storico e una lenta ma inesorabile presa di coscienza porteranno a diventare un vero eroe.

Od ancora il disilluso sottotenente Innocenzi di Tutti a Casa del 1960, di Luigi Comencini; od ancora il giornalista idealista ed impegnato Silvio Magnozzi di “Una Vita difficile”, capolavoro del 1961, di Dino Risi; o il disperato imprenditore Giovanni Alberti del cinico e crudo “Il Boom”, del 1963, di , film sottovalutato che parla a noi oggi, forse ancora di più di quanto non facesse all’epoca, di debiti, apparenze e capitalismo parassitario; od ancora il medico senza scrupoli disposto ad ogni compromesso pur di fare carriera Guido Tersilli de “Il medico della mutua” del 1968, di Luigi Zampa, un personaggio talmente ben riuscito ed amato dal pubblico da tornare un anno dopo nel sequel “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue” di Luciano Salce. https://www.youtube.com/watch?v=hLMF8nsTriU

O, andando avanti, pensiamo ad alcuni memorabili ruoli che interpretò negli anni ’70, primo fra tutti il tragico e disperato Giuseppe Di Noi del kafkiano “Detenuto in attesa di giudizio”, del 1971, di Nanni Loy, ruolo che varrà a Sordi l’Orso d’Argento al Miglior Attore al Festival di Berlino del 1972; fino ad arrivare a quello, che quasi tutti ritengono il vertice della sua capacità recitativa, del modesto impiegato, prossimo alla pensione, Giovanni Vivaldi, che si trasformerà in un sadico e risoluto giustiziere per vendicare la morte dell’amato figlio, avvenuta durante una rapina, nel capolavoro di Mario Monicelli “Un borghese piccolo piccolo” del 1977, che varrà a Sordi la vittoria sia del Nastro d’Argento che del David di Donatello per il Miglior Attore; film epocale che segna, per molti critici e storici del cinema, la fine della commedia all’italiana.

Poi ci saranno tantissimi altri film, 19 dei quali anche da regista, come il primo “Fumo di Londra” del 1966; il melanconico omaggio al teatro di rivista “Polvere di Stelle” del 1973; il crudo e cinico “Finché c’è guerra c’è speranza” del 1974; l’irriverente e dissacrante “Le Vacanze intelligenti” del 1978, dove l’Albertone nazionale si scaglia contro un certo tipo di establishment culturale tipico di quegli anni, ma presente ancora oggi.

E poi ci sarebbero “Io e Caterina”, “Il Marchese del Grillo”, “Il Tassinaro”, “In viaggio con Papà”, “Tutti dentro” e tanti, tantissimi altri film che nessun articolo, tantomeno questo, possono elencare esaustivamente. https://www.youtube.com/watch?v=SbNxE-7g_1c

Insomma, un attore straordinario ma pure un regista, un doppiatore, un autore e presentatore radiofonico e televisivo, un attore di teatro, un cantante, insomma un artista vero ed a tutto tondo, capace come pochi altri di dare corpo e volto alle idiosincrasie dell’italiano medio dagli anni ’50 agli ’80.

Un italiano pieno di vizi e con pochissime virtù, ma in fondo umano e generoso, un italiano medio di cui sentiamo la mancanza soprattutto oggi, quando il radicalismo politico, sociale e culturale del nostro Paese ha prodotto un italiano medio ben peggiore: populista, razzista, misogino, omofobico e corrotto tanto che, a confronto, i personaggi di Sordi, che vi invitiamo a riscoprire, ci sembrano, se non proprio esempi da seguire, di sicuro ben altra pasta di “mediocri”, che oggi potrebbero essere addirittura scambiati per “uomini virtuosi”.

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Il Cinema del Boom Economico nell'Italia degli anni '50 e '60

L’Italia che usciva dagli scempi e dalle rovine della seconda guerra mondiale aveva voglia soprattutto di distrarsi, e se respingeva i tentativi di riproporre l’abulico cinema dei “telefoni bianchi”, non per questo voleva sentirsi ricordare lo sfacelo che aveva travolto il paese. E dopo la sfolgorante, ma breve stagione neorealista, al cinema italiano si chiese dunque intrattenimento, ma un intrattenimento che raccontasse storie vere, plausibili, autentiche, storie che avessero a che fare più da vicino con gli italiani stessi, con la loro voglia di riscatto e con la voglia di rinascita di un’intera nazione.

Nel decennio compreso tra la metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 l’Italia infatti, visse una stagione di crescita economica e di cambiamenti sociali veloci e intensi, e divenne una delle maggiori potenze industriali. Lo sviluppo economico superò addirittura quello demografico (pure evidente) e ciò ebbe come conseguenza un miglioramento diffuso del tenore di vita (i primi apparecchi televisivi, la storica 500). Molti dei film girati in quegli anni testimoniano sia questi cambiamenti, sia le tante contraddizioni ad essi collegate. E se è vero che il cinema è stato ed è lo specchio della società, allora non è azzardato dire che la storia del cinema italiano è andata di pari passo con il mondo reale, e che il cinema dunque è la maniera migliore per rivivere una fetta importante della storia del nostro paese, meglio di qualsiasi trattato sociologico.

Leggi anche:

■ Il cinema italiano e le vacanze: la moda del film turistico-balneare anni ‘50 e ‘60 ■ L’Italia in mostra: quando la Roma cinematografica era il centro del mondo ■ “Vacanze romane” – Il Film ■ Audrey e Marcello, icone di stile e di eleganza nel mondo ■ La Grande Abbuffata – Il Film ■ Il Cinema e le implicazioni socio-economiche negli anni del Boom

In tutto ciò si inserisce prepotente la commedia all’italiana che parte sempre da un’analisi attenta della realtà, ma lo strumento che usa per rappresentarla è l’ironia unita alla satira di costume; e l’ambiente che viene preso di mira non è più quello dei contadini e dei poveracci, ma quello della borghesia rampante che scalciava per emergere, messa alla berlina per i suoi tanti vizi e le sue contraddizioni. Primi scampoli di benessere economico si registrano già a partire dai primi anni ‘50 in due capisaldi della commedia all’italiana: “La famiglia Passaguai” di e con ; e “Pane, amore e fantasia” con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, due film leggendari che ironizzano splendidamente sui comportamenti di una piccola borghesia che si confronta a fatica con i primi segni del benessere, ma che guarda con rinnovata fiducia verso il futuro. Entrambe le pellicole vennero definite il punto di svolta del nostro cinema verso la commedia all’italiana.

E poi venne la fine degli anni ’50 e pellicole leggendarie come “”, con Maurizio Arena e Renato Salvatori; “I soliti ignoti” con Vittorio Gassman, e ancora Renato Salvatori; e “La dolce vita”, che contribuirono a lanciare nel mondo il mito della “dolce vita” italiana, sinonimo di spensieratezza e di benessere economico. In particolare quel 1960 de “La dolce vita” di Fellini e Mastroianni e de “La ciociara” di De Sica e della Loren, è il nostro anno mirabilis: ciliegina sulla torta le Olimpiadi di Roma ’60, il punto più alto dell’Italia del secolo scorso.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema Negli anni ’60 poi, in clima di benessere economico, la commedia all’italiana è quasi dispoticamente dominati dai volti dei quattro grandi protagonisti brillanti del periodo: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, più l’apporto di Marcello Mastroianni spesso impegnato in produzioni internazionali; e quello di Walter Chiari, a metà strada tra cinema più spiccatamente popolare e commedia all’italiana, con la perla, però de “Il giovedi”, delizioso film che per primo pone l’attenzione sulla difficile situazione dei padri separati in epoca pre-divorzio. Allo stesso modo epocali sono altre pellicole del periodo, tra le quali spiccano “Il sorpasso” con Vittorio Gassman; “I mostri” con Tognazzi e ancora Gassman; e “Una vita difficile” con Alberto Sordi, così per citarne alcuni, fra una miriade di ottimi film e non pochi capolavori.