Masarykova univerzita Filozofická fakulta

BAKALÁŘSKÁ PRÁCE

Brno 2011 Hana Krajčíková

Hana Krajčíková

La mafia nelle opere di Leonardo Sciascia

Vedoucí bakalářské práce: Mgr. Zuzana Šebelová, Ph.D.

Masarykova univerzita Filozoficka fakulta Brno

2011

Prohlašuji, že jsem bakalářskou diplomovou práci vypracovala samostatně a že jsem uvedla všechny prameny, jichž jsem použila. Dále prohlašuji, že elektronická verze je totožná s verzí tištěnou.

V Brně 20. 07. 2011 Podpis

Indice:

Introduzione ...... 5

La storia della mafia ...... 6

La storia ...... 8

Il primo periodo ...... 8 Il secondo periodo ...... 10 Il terzo periodo ...... 13

Il giorno della civetta ...... 15

A ciascuno il suo ...... 22

Il Contesto ...... 28

La rappresentazione della mafia nei libri di Sciascia ...... 36

Il giorno della civetta ...... 37 A ciascuno il suo ...... 39 Il contesto ...... 42

Conclusione ...... 43

Bibliogafia ...... 44

Introduzione

Nel mio lavoro ho deciso di trattare il tema della mafia nelle opere dello scrittore italiano Leonardo Sciascia. Oltre ai lavori scelti mi rivolgo all’origine e alla storia della mafia e il suo collegamento con la società. Nell’ultimo capitolo del mio lavoro comparerò le leggi della mafia con la loro immagine nel libro. Ho scelto 3 opere letterarie di Leonardo Sciascia degli anni 60 e 70 del secolo scorso, in cui viene menzionata la problematica della mafia, in modo diretto o indiretto. Il primo libro, Il giorno della civetta, fu pubblicato nel 1961, il secondo, A ciascuno il suo, nel 1965 e l’ultimo, Il contesto, nel 1971. Tutti e tre i libri mi hanno colpito con il loro collegamento tra il giallo immaginario e la realtà criminale della società in cui trova un importante posto la mafia. Le sue opere hanno la funzione di avvertimento su questa minaccia, e di aiuto per chiarire il funzionamento della mafia.

Leonardo Sciascia nacque nel 1921 in Sicilia a Racalmuto. Lavorava come maestro di scuola elementare, prima a Caltanissetta e poi a . Dopo aver finito la facoltà di Magistero di Messina conobbe sua moglie, con cui ebbe due figlie. Il 1948 fu un anno tragico per Sciascia a causa del suicìdio di suo fratello Giuseppe. Questa tragedia lasciò profondi segni nell’anima di Sciascia. Dopo alcuni anni da questa tragedia cominciò a scrivere le sue prime opere intitolate Favole della dittatura (1950) e La Sicilia, il suo cuore (1952). Nel 1953 ottenne il Premio Pirandello per il libro di critica Pirande e il pirandellismo (1953). Nel 1961 pubblicò il suo più famoso romanzo Il giorno della civetta (1961), da cui venne tratto l’omonimo film. Tale romanzo è il primo dei gialli scritti da Sciascia che trattano il tema della mafia. Gli altri libri su questo tema sono Il consiglio d’Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966) e Morte dell’Inquisitore (1964). Nel 1970 andò in pensione e l’anno successivo pubblica il romanzo Il contesto (1971). Per i libri I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978) prese l’ispirazione dalle cronache nere. Nel 1974 pubblicò un romanzo-pamphlet intitolato Todo mondo (1974), che parla dei cattolici nella politica italiana. L’anno successivo si iscrive come candidato indipendente nella lista del partito comunista. Tratti di questo periodo della sua vita sono citati nel libro Candido. Ovvero, un sogno fatto in Sicilia (1977). Sciascia contribuisce ai giornali soprattutto nel Corriere della sera, Gazzetta di Parma, Letteratura ecc. Negli ultimi anni della sua vita si ammalò gravemente, ma non smise di scrivere. Le sue ultime opere furono Porte aperte (1987), Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (1989) racchiudono dei tratti autobiografici. Sciascia muore nel 1989 a Palermo. L’ultimo libro, A futura memoria (1989), viene pubblicato postumo.

La storia della mafia

Esistono alcune opinioni sull’origine della parola italiana “mafia“. La provenienza della parola si potrebbe cercare nella lingua araba, secondo il padre Gabriele Maria di Aleppo la parola mafia significa in arabo “protezione, proteggere”. Un altro significato potrebbe essere “l’incontro o un posto d’incotro”, sempre dalla lingua araba. Oltre alla provenienza araba della parola esiste una versione che suppone la provenienza della parola dal dialetto toscano in cui significa: miseria, pomposità, spettacolarità, presuntuosità. Oggi la parola mafia è utilizzata soprattutto per indicare il crimine organizzato.1 Esistono anche molte altre supposizioni e leggende sull’origine della parola. Una delle leggende narra che la parola proviene dalla Sicilia. Qui si forma da un urlo della madre che piangeva sopra la figlia violentata da un francese. Urlo “ma fii” che significa mia figlia.2

Oggi la parola appartiene ai vocaboli italiani che più si sono diffusi nel mondo. Il suo significato si è esteso dall’organizzazione criminale siciliana al livello mondiale del crimine organizzato. Si conosce oltre alla mafia italiana siciliana anche la mafia americana, russa, giapponese e molte altre. Anche se il loro nome d’origine non è mafia, per la loro somiglianza con l’organizzazione criminale italiana vengono indicate con il termine mafia.

Il significato non è stato sempre lo stesso. All’inizio la parola mafia non stava ad indicare un’organizzazione criminale. Il suo uso comune si è diffuso soprattutto dopo la divulgazione da parte dei mass media.

Nell’opera Cavalleria rusticana scritta da Pietro Mascagni fu per la prima volta usata la parola “mafioso” nel significato di un siciliano che è orgoglioso, onesto e che ha il senso della giustizia. 3 L’uso della parola mafia si é poi diffuso sul piano mondiale. Soprattutto negli ultimi decenni, dopo la pubblicazione di alcuni processi e dopo il successo dei film su questo tema. Ora si può comprendere il fenomeno della mafia da due punti diversi. Sotto un punto di vista “mafia” significa un’organizzazione idealizzata dai media e dalla letteratura che prevede una funzione protettiva nei

1Cfr. LO VERME, Angelo. La mafia, la sicilia e Leonardo Sciascia [reperibile su internet], [consultato il 1 giugno 2011], pp. 6-7. 2Cfr. CRISANTI, Gabriele. Dokumentarni cyklus -Mafie [CD-ROM]. Praha: Česká televize, 2002 [consultato il 1 giugno 2011]. 3Crf. DICKIE, John. Cosa Nostra : dějiny sicilské mafie, Praha: Fortuna Libri, 2009, p. XV. suoi confronti. L’altro punto di vista sotto il quale si può vedere la mafia è quello che smaschera questa organizzazione criminale, che riflette la verità, la crudeltà delle pratiche illegali dei suoi membri.

La storia

La storia della mafia non è chiara. Alcuni autori prendono come inizio della mafia il periodo della caduta dell’impero romano. La causa della sua crescita era un frequente ricambio dei monarchi in Sicilia. Tale ricambio ha provocato nei siciliani l’antipatia verso tutta la dominazione che si è manifestata con la xenofobia e con la solidarietà fra i compaesani. Secondo il parere di altri storici, l’inizio della mafia comincia con la fine del feudalesimo in Sicilia. John Dickie indica come l’inizio della mafia il periodo dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia. Soprattutto “la spedizione dei mille” e l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia hanno agevolato la nascita della mafia.

La storia della mafia si può ripartire in più periodi. Per renderlo più chiaro, ho deciso di definire come il primo periodo quello che va dalle prime notizie sulla mafia provenienti dal diciannovesimo secolo fino alla prima grande persecuzione dei mafiosi durante la prima guerra mondiale. Il secondo periodo invece dalla prima guerra mondiale, quando la mafia si è diffusa dall’Italia all’America, fino al maxiprocesso contro la mafia del 1986, ed infine l’ultimo dal 1986 ad oggi.

Il primo periodo Le prime notizie sugli atti criminali che oggi si potrebbero inserire tra i processi mafiosi provengono dal diciannovesimo secolo. In quel periodo la costa nord ed est della Sicilia era controllata dai “campieri” che comandavano al posto dei proprietari degli agrumeti. Nella letteratura storica sono stati descritti dei casi in cui i campieri, i guardiani degli agrumeti, minacciavano i proprietari degli agrumeti. Questi cosiddetti campieri erano i dirigenti autonomi che decidevano il raccolto, il prezzo e le retribuzioni. Avevano una storia criminale e dei contatti, grazie ai quali riuscivano a proteggere le messe dai ladri. Oltre a questo potevano anche distruggere le messe o svalutarla. 4 Qui si possono vedere le prime forme di clientelismo e la violenza da parte dei campieri. Un altro autore, Salvatore Lupo, sostiene che la nascita della mafia sia avvenuta più tardi, probabilmente nelle solfare dove si applicavano pratiche simili a quelle degli agrumeti. Attorno all’anno 1860 in Sicilia, in provincia di Caltanisetta, fu registrato un incidente che si potrebbe associare ad un atto mafioso. Il proprietario della solfara venne ammazzato dalla mafia come

4Cfr. DICKIE, John. Cosa Nostra : dějiny sicilské mafie, Praha : Fortuna Libri, 2009, p.62. vendetta di una madre di un ex impiegato. Da quel periodo poi sono stati descritti gli scontri tra i gruppi dei minatori. La mafia in quei tempi era considerata come una setta segreta e sconosciuta che raggruppava i criminali. La polizia e le forze dell’ordine non avevano notizie e rifiutavano di accettare informazioni sulla mafia. Questo aiutò molto la sua espansione. Molti siciliani si rivolgevano alla mafia invece che alla polizia. La gente preferiva andare dai campieri che venivano reclutati dagli ex criminali perché solo loro sarebbero riusciti ad impaurire altri criminali. Con il loro aiuto si concludevano gli accordi e si mantenevano i buoni rapporti con i vicini.5 A quei tempi venivano chiamati gli uomini d’onore. L’intitolazione mafioso si è diffusa dall’opera lirica di Pietro Mascagni nell’anno 1890. Fino a quel tempo i diversi gruppi criminali non avevano un nome comune. Ognuno di questi gruppi si chiamava secondo la sfera del mercato in cui effettuava la sua attività illecita. Quelli che curavano i campi e boschi venivano chiamati campieri, invece quelli che si occupavano di contrabbando venivano chiamati gabellotti. Questa prima denominazione derivava dal loro lavoro legale. Questo lavoro legale si è trasformato in lavoro illegale e cosi è cambiato anche il nome dei mafiosi.

Già negli anni 80 del diciannovesimo secolo la mafia iniziò ad essere un mezzo di potere politico. In quel periodo i partiti politici della sinistra avevano la prevalenza in Sicilia. Quando nell’anno 1874 la destra riuscì ad entrare in parlamento accusò i deputati della sinistra di collaborazione con la mafia. Le accuse hanno acceso un dibattito vivo che è approdato nella creazione della commissione parlamentare, che si occupava della collaborazione tra mafia e partiti politici. Con la fondazione della commissione parlamentare ebbero inizio le prime indagini sulla attività mafiosa. Una delle prime grandi indagini della polizia fu attuata da Ermanno Sangiorgi. Tra gli anni 1898 e 1900 scrisse la notizia riguardo le attività mafiose, i loro gruppi e la loro gerarchia. La mafia in Sicilia venne chiamata Cosa nostra, organizzazione creata da numerose famiglie mafiose. Non è una famiglia nel vero senso della parola. La famiglia mafiosa è creata dai criminali o, come si chiamano tra di loro, dagli uomini d’onore che sono collegati tra di loro tramite un giuramento. Queste famiglie si chiamano le cosche e soprattutto su queste indagava Sangiorgi in Sicilia. La sua indagine dettagliata sulla mafia doveva essere la base per un futuro processo. Il tribunale era costretto alla falsità, perchè gli imputati avevano dei contatti con i politici. I risultati dell’indagine furono dimenticati, il che fu la prova di una relazione esistente tra il sistema politico e la mafia.

All’inizio del XX secolo, in Sicilia, si cominciano a creare i primi gruppi di sindacati. Nella città

5Cfr. LUPO, Salvatore. Dejiny mafie od jej vzniku po súčasnosť, Bratislava: Kalligram, 2002, p.15. di , che più tardi fu famosa come la sede degli ultimi grandi capi della mafia, Bernardo Verro aveva creato il suo movimento popolare che comprendeva i lavoratori onesti. Li aiutava nella resistenza contro i grandi proprietari terrieri. Verro ha chiamato tale movimento “Fasci”, ma la somiglianza con il movimento fascista era solo casuale. Oggi sarebbero indicati con il termine di movimento sindacale, ma in quei tempi era piuttosto un’organizzazione dei poveri cittadini che rappresentava uno strumento di potere. La situazione politica ed economica non era chiara. In quel periodo la mafia capì che il movimento di Verro avrebbe dato la possibilità per uno sviluppo. E perciò entrò nella mafiosa. Fu reclutato nascostamente e finche Verro riufiutava alcun collegamento con loro. Verro poi diventò un eroe nazionale. Nell’anno 1910 ottenne la gestione di alcune zone agronome e liberò i contadiniò dalle condizioni lavorative sfavorevoli. Nello stesso anno dichiarò uno sciopero e così fece crollare l’amministrazione locale. Nel frattempo Verro si allontanò dall’ideologica della mafia e diventò una delle poche persone che si sono rivolte contro la mafia. Nel 1914 diventò sindaco di Corleone ma un anno dopo allo scoppio della prima guerra mondiale e Verro fu ucciso.

Il secondo periodo In Sicilia durante la prima guerra mondiale iniziò a fare l’ufficiale di polizia Cesare Mori che aveva basato la sua carriera sulla caccia dei mafiosi. Molti di questi uomini d’onore furono messi in prigione o scapparono all’estero. In Sicilia diminuirono le manifestazioni criminali ma in altre parti del mondo, come per esempio gli Stati Uniti, annunciarono un aumento delle organizzazioni criminali tra i clandestini. Fu creata una versione americana della mafia siciliana che fu nominata Cosa Nostra. Più tardi questo nome della mafia siciliana si diffuse dall’America alla penisola italiana. All’inizio della guerra, la Sicilia, era famosa per i disertori militari e per gli avversatori della guerra. La Sicilia e i siciliani si divisero dal resto dell’Italia non solo per la posizione insulare ma anche per la mentalità diversa. Era quello il motivo per cui quando l’Italia entrò nella prima guerra mondiale molti uomini decisero di non entrare nell’esercito nazionale. La guerra, lontana centinaia di chilometri dalla loro casa, non veniva considerata come una loro lotta in quanto a casa si lottava ogni giorno per sopravvivere. Questa fu la guerra tra i mafiosi e i poliziotti o tra le diverse cosche. I disertori hanno creato l’anarchia e tra gli anni 1919 e 1920 si creò una delle più grandi rivoluzioni popolari dopo Garibaldi. Nell’anno 1925 entrò nel governo il partito fascista con la maggioranza dei voti. L’anno dopo cominciò l’era dittatoriale di Mussolini che prevedeva la lotta contro la criminalità organizzata. Mussolini diede il posto di prefetto di Palermo a Mori che prima si era afferamto come capace poliziotto nella lotta contro la mafia. La caccia ai mafiosi portò all’indebolimento e alla diminuzione della mafia anche nel senso politico. Il partito governativo accusava i membri del parlamento con cui non andava d’accordo di collaborazione con la mafia. La lotta contro la mafia cominciò ad essere più un gioco politico che una reale protezione del popolo. Il partito di Mussolini lo prendeva solo come un punto nel piano di propaganda. Il tentativo di pulire le strade dai criminali e ladri doveva aumentare le loro preferenze. La mafia fu ferita ma non era pienamente morta. Molti mafiosi si rifugiarono in America a causa delle persecuzioni. Qui si è creata una nuova frazione della Cosa Nostra che manteneva i buoni rapporti commerciali con la patria. Questo collegamento aveva molti vantaggi: i criminali ricercati si nascondevano in un altro paese e si sviluppava un commercio delle droghe e della merce mancante. La frazione americana della mafia aveva ottenuto, durante la seconda guerra mondiale, l’offerta dell’amnistia per uno dei loro capi e la possibilità di diminuire la potenza politica di Mussolini. In cambio, la mafia doveva rendere più facile l’accesso delle truppe alleate nel territorio della Sicilia. Come racconta una delle storie dello sbarco, nell’anno 1943 un aereo americano gettò un pacchetto con informazioni e istruzioni in un piccolo villaggio in Sicilia. Così cominciò la prima fase dell’operazione Husky che finì con l’occupazione della Sicilia da parte delle truppe alleate. Il capo mafioso Don Calo a cui arrivò il messaggio si incontrò con le truppe americane per aiutarle a passare per i villaggi siciliani. Grazie a lui e agli altri come lui, gli alleati riuscirono ad occupare tutta la Sicilia senza sparare un colpo. In cambio Don Calo ottenne una macchina americana di lusso e il sostegno della frazione americana della mafia. Purtroppo non esiste nessuna informazione che verifichi questa storia benchè per tutta la Sicilia si trovino molti miti simili. Possiamo constatare che la mafia aiutò gli alleati ad una penetrazione facile dell’isola. L’aiutante americano che collegò Cosa Nostra siciliana con gli americani era Charles ”Lucky” Luciano. In ricambio ottenne la liberazione dalla prigione americana e la deportazione in Sicilia. Nell’anno 1944 ufficialmente gli alleati occuparono la Sicilia. La mafia entrò nella struttura politica. I villaggi iniziarono ad eleggere i nuovi sindaci tra gli uomini d’onore. Il dopoguerra portò la democrazia, l’unità d’Italia ma anche i nemici della unificazione d’Italia. Uno di loro era il capo del partito separatista Salvatore Giuliano. Aveva condotto la rivolta per la separazione della Sicilia ma per molti era più conosciuto come il responsabile del massacro a Portelle della Ginestra. Giuliano cercò di discreditare e impaurire i membri del partito comunista. I suoi atti non ebbero un motivo politico ma piuttosto furono atti criminali e violenti contro i membri del partito opponente. Giuliano viene considerato come l’ultimo grande bandito che abbia lavorato per la mafia. Nell’anno 1947 si incontrarono delle famiglie per le feste di maggio. Un picnic, canto e ballo doveva essere una festa della liberazione che ritornò dopo la caduta del fascismo. Sul palcoscenico si fece vedere il leader regionale del partito comunista Li Causi quando furono sentiti i primi spari. 6 Gli uomini di Giuliano cominciarono a sparare sulla massa, dopo l’attacco furono 11 i morti. Il massacro restò nella storia come uno degli attacchi più sanguini d’Italia. Finora non è sicuro se la morte di Li Causi sia stata ordinata dalla mafia o se sia dipesa dall’attacco da parte del gruppo seperatista condotto da Giuliani. La morte di Giuliani avvenne nell’anno 1949 a Viterbo nei pressi di Roma. Con il dopoguerra comincia lo sviluppo della sfera economica d’Italia. Il cosiddetto “boom economico” porta alla diffusione della criminalità nel settore edilizio collegato con il clientelismo politico. La mafia si sposta dalle campagne alle città . Gli uomini d’onore fondarono le cooperative e penetrarono nella struttura imprenditoriale italiana. 7 La mafia aveva 2 zone d’influenza: il commercio di aree fabbricabili e le ditte edilizie che vi costruivano le case. Tra gli anni 1945 e 1963 avvenne lo scisma tra la mafia siciliana e le sua frazione americana. Fu creata una commissione detta Cupola che doveva coordinare il tràffico collettivo di narcotici. L’organizzazione criminale italiana doveva occuparsi del trasporto delle droghe in America dove continuava a negoziarle con il gruppo americano. Questo periodo è collegato con una persona importante della lotta contro la mafia, il Tommaso Bruscetta. Egli fu la prima persona che riferì sulle pratiche di Cosa Nostra alla polizia e al pubblico. Non fu il primo traditore della mafia ma era il più famoso. Cominciò in un piccolo gruppo di uomini d’onore e fece carriera. Bruscetta all’inizio della sua carriera viaggiò per il mondo e partecipò al contrabbando e ai commerci illegali. A sentire lui, un mafioso ha la possibilità di scegliere: o comincia a fare la carriera e aumenta il suo stato nella gerarchia mafiosa, o comincia a commerciare e guadagnare i soldi per la mafia, lui scelse la seconda strada e cominciò a negoziare. Grazie a collegamenti con l’estero ottenne un posto nella Cupola, che oltre all’organizzazione del contrabbando, aveva anche il compito di creare il principi di base della mafia. Tali regole che fino a quel tempo cambiavano e si adattavano alle circostanze. Questo periodo si potrebbe definire come un periodo calmo dei rapporti mafiosi. Purtroppo ebbe una durata breve. Finì con gli anni 1962 e 1963 quando scoppiò una guerra mafiosa. La guerra scoppiò tra due frazioni, una nuova e una vecchia, della mafia. Una parte vide Salvatore Greco con Luciano Leggio contro Angolo La Barbera con il suo gruppo. Gli ex compagni d’affari si accusavano a vicenda dalla scomparsa delle droghe volte ad America. Iniziò la sanguinaria guerra per ottenere il maggiore potere. Il vincitore avrebbe ottenuto la superiorità della mafia siciliana,

6Cfr. LUPO, Salvatore. Dejiny mafie od jej vzniku po súčasnosť, Bratislava: Kalligram, 2002, pp.219-220. 7Ivi, p.235. formata da più famiglie, e conduttrice di un’area enorme. Lottarono per 2 anni ma il risultato fu peggiore del previsto. Vincitore fu il gruppo di Greco dopo l’uccisione di La Barbera. Questo periodo di guerra provocò i sentimenti antimafia nel popolo italiano. Decisivo per la fine della guerra fu la bomba di Ciaculli. Nell’anno 1963 i mafiosi misero una bomba nella macchina che loro avevano lasciato parcheggiata in mezzo ad un agrumeto. Un anonimo chiamò la polizia che cercò di neutralizzare la bomba ma senza successo. La bomba uccise 7 poliziotti. Queste vittime della guerra hanno aumentato i sentimenti antimafia nella popolazione e la guerra finì. Dopo la prima guerra mafiosa, nell’anno 1964, si formò un gruppo statale per sopprimere gli atti sanguini. La commissione Antimafia non ottenne grande successo, eppure ebbe il sostegno del governo e possedeva sufficienti prove contro la mafia. Un celebre personaggio della guerra mafiosa degli anni 60 fu Luciano Leggio. Questo nome è legato alla storia moderna della mafia. Leggio cominciò come un ladro che fece la carriera nella mafia, fino ad arrivare alla cima di Cosa Nostra. Diventò il capo della famiglia mafiosa di Coerleone. Insieme con i suoi 2 più fedeli aiutanti Toto Riina e , dirigeva tutta la zona. Negli anni 70 la loro influenza aumentò ancora di più, quando la cosca corleonese si ampliò oltremare. Una situazione incerta sull’isola e la mancanza del supporto stabile delle famiglie mafiose unite rese possibile l’aumento del patrimonio dei Corleonesi. Per i corleonesi si aprì un nuovo mercato di contrabbando di droga. In Sicilia si creò un nuovo porto di transito di droghe ed aumentò anche la loro esportazione in America. Il gruppo dei corleonesi ottenne oltre che la superiorità materiale e finanziaria anche la superiorità potente. Questo periodo di accumulo del patrimonio finì nell’anno 1981 con un’altra guerra mafiosa che prese il nome di ”mattanza”. La guerra fu condotta da Leggio contro le altre cosche in Sicilia. Tale rivolta militare ebbe conseguenze con l’egemonia assoluta dei Corleonesi. Si può considerare come uno dei periodi più sanguinari della storia della mafia. Chiunque andasse contro i corleonesi fu ammazzato. Questa guerra sanguinaria finì nell’anno 1983. Molti dei mafiosi si ritrovarono nella lista dei nemici e scapparono all’estero. Simile fu il caso di Bruscetta che alcuni anni più tardi diventò più famoso pentito della mafia.

Il terzo periodo Nell’anno 1984 fu fondato un nuovo gruppo antimafia dai giudici e dagli investigatori che iniziarono uno dei processi più importanti contro la mafia. Fu creato da Giovani Falcone, , Giuseppe Di Lella, Leonardo Guarnotta. Misero insieme tutte le fonti necessarie per il primo grande maxiprocesso contro la mafia che ebbe inizio nell’anno 1986. Furono accusati 474 uomini di cui 119 erano in fuga. Tra gli arrestati c’era anche Leggio ma i suoi aiutanti riuscirono a scappare. L’anno successivo la corte ebbe un risultato. Condannò molti tra gli uomini d’onore, ma Leggio fu liberato per mancanza di prove. Dopo questo processo furono fatti ancora 2 maxipocesi ma la cima della gerarchia mafiosa restava intatta. Il cambiamento avvenne nel 1991 quando entrò in vigore una nuova legge che permetteva di intercettare le telefonate della mafia, di impedire lo scambio dei soldi sporchi e una legge che permetteva di sciogliere un municipio se si trovava il collegamento dei loro membri con la mafia. Grazie a questa nuova legge fu condannato il nuovo capo di tutti i capi Toto Riina. Lui prese il regime dopo Leggio come il capo della frazione Corleonese. Il suo patrimonio enorme fu confiscato dal governo. Questi nuovi eventi diedero spunto per creare dei comandi omicidi. Avvennero gli attentati che ammazzarono 2 dei più importanti giudici antimafia: Falcone e Borsellino. La mafia diede una nuova dimostrazione della sua potenza. Nell’anno 1992 sulla strada di Capaci fu messa la bomba sotto l’autostrada, che uccise il giudice Falcone con i suoi due guardaspalle. Lo stesso anno fu ammazzato anche Borsellino con un’altro attentato. Questa volta misero una bomba nella macchina davanti alla sua casa, fu ucciso lui con 5 membri della scorta. La morte di questi 2 giudici costrinse il governo a rendere le leggi più severe nei confronti della mafia, dopo di che seguì anche l’inasprimento delle leggi che regolano la vita in prigione. Cominciarono nuove indagini sulla corruzione e sul clientelismo nei partiti politici. Cominciò la caccia al più potente dei corleonesi, Toto Riina. Lo arrestarono nel 1993, a sentire alcune voci fu una denuncia del suo collaboratore Bernardo Provenzano. Dopo di che Provenzano divenne il capo della cosca mafiosa. Dopo la scalata alla cima della mafia finì la caccia sanguinosa. La mafia tornò al vecchio modo di vita e ricominciò ad aumentare il proprio patrimonio. Ritornò alle vecchie abitudini che durante il regime di Riina erano state cancellate, come per esempio una retribuzione agli uomini d’onore che stanno in carcere o il , cioè chiedere denaro dai piccoli commercianti in cambio di protezione dai criminali. Il fine fu calmare la situazione dentro la mafia affinchè diventasse una potenza invisibile. Provenzano dovette affrontare il problema dei pentiti. Rese più severa l’ammissione dei nuovi membri tra gli uomini d’onore, ed ai posti importanti della gerarchia mafiosa nominò i mafiosi più vecchi ed affidabili. Riuscì a mantenere il mondo della mafia nascosto fino all’anno 2006 quando fu arrestato dalla polizia dietro al paese natale, Corleone. Oggi la mafia siciliana è divisa in 2 parti: una condotta da e l’altra da Antonio Rotolo.

Il giorno della civetta

L’opera Il giorno della civetta è stata scritta nel 1960. Nel libro l’autore Leonardo Sciascia descrive il periodo degli anni sessanta e racconta una storia della Sicilia del dopoguerra, quando fiorisce il boom economico. Molte delle novelle e romanzi di Sciascia sono ispirati dalla realtà e dalle cronache giornalistiche. Le vicende sulle pratiche illegali adottate nel settore della costruzione creano la base del racconto.

La trama del libro inizia con l’uccisione di un uomo. Salvatore Colasberna viene ucciso mentre sale sull’autobus. L’autista con il bigliettaio hanno chiamato i carabinieri ma nel frattempo che arrivavano, i passeggeri erano già spariti. “Il maresciallo ordinò ai carabinieri di fare sgombrare la piazza e di far risalire i viaggiatori sull’autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di andare a riprendere il loro posto sull’autobus. Quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus; solo l’autista e il bigliettaio restavano.” 8 Sono riusciti a ritrovare gli altri testimoni dell’omicidio. Tra questi c’era anche il venditore del pane che durante l’interrogazione rompe il codice dell’omertà. Dicendo “di aver visto all'angolo di via Cavour - piazza Garibaldi qualcosa come un sacco di carbone appoggiato al cantone della chiesa, e da quel sacco di carbone sono venuti due lampi,”9 Dopo che il maresciallo ha finito di raccogliere tutte le informazioni, rinvia le notizie al capitano Bellodi. Per telefono gli ricapitola il caso “Sì, alle sei e trenta; dall’angolo di via Cavour, due colpi a lupara, forse da un calibro dodici, forse una schioppettata a canne legato... Di quelli che stavano sull’autobus, nessuno ha visto niente.”10 Poi aggiunge i dati personali del morto Salvatore Colasberna: “presidente di una cooperativa edilizia: una piccola cooperativa, pare non abbia mai preso appalti per un importo superiore ai venti milioni, piccoli lotti di case popolari, fognature, strade interne...”11 Il capitano Bellodi fa chiamare i due fratelli Colasberna per discutere su alcune lettere anonime che ha ricevuto. Quando arrivano alla stazione, li fa entrare nell’ufficio. Legge ai fratelli una lettera che secondo lui dava una spiegazione assai probabile. La lettera marcava l’assassino come uno dei concorrenti della loro ditta. Bellodi amplia questa sua ipotesi: “Ammettiamo che in questa zona, in questa provincia, operino dieci ditte appaltatrici: ogni ditta ha le sue macchine, i suoi materiali: cose che di notte restano lungo le strade o vicino ai cantieri di costruzione; e le macchine sono cose

8 SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, p 4. 9 Ivi, p.5. 10Ibidem. 11 Ibidem. delicate, basta tirare fuori un pezzo, magari una sola vite: e ci vogliono ore o giorni per rimetterle in funzione; e i materiali, nafta, catrame, armature, ci vuole poco a farli sparire o a bruciarli sul posto. ”12 Ha continuato il suo discorso parlando sulle tattiche della mafia. Tutto per vedere la loro reazione a tutto ciò che ha detto. Il capitano decide di invitare uno dei suoi confidenti per chiedergli delle informazioni sull’omicidio di Colasberna. Il confidente Parrinieddu è membro della mafia. “Ma il capitano sapeva, da tutto un fascicolo relativo a Calogero Dibella detto Parrinieddu, confidente, che l’uomo, tra le due cosche di mafia del paese (cosca, gli avevano spiegato, è la fitta corona di foglie del carciofo) era vicino, se non dentro, a quella che aveva addentellati certi, anche se non probabili, con i lavori pubblici; mentre l’altra cosca, più giovane e spericolata, aveva a che fare, essendo S. un paese di mare, col contrabbando delle sigarette americane. Prevedeva perciò la menzogna del confidente: ma era comunque utile osservarne, nella menzogna, le reazioni.” 13 Faceva le scarpe ai suoi compagni per riparare i danni passati. Il suo sogno era di poter vivere una vita tranquilla, senza paura. Il capitano Bellodi usa un metodo innovativo dell’interrogazione. Conduce il discorso in maniera tranquilla per ottenere il nome del colpevole. “E dalla gentilezza del capitano sollecitata, la sua vocazione di spia si alzò come allodola, trillò alta la gioia di regalare sofferenza «non so niente: ma tirando a indovinare allo scuro, posso dire che le proposte le avrà fatte Ciccio La Rosa, o Saro Pizzuco...»”14 Il capitano capisce che uno di questi nomi sarà giusto. Pur sapendo questi nomi, il capitano cerca un’altra traccia dell’omicidio. Durante l’interrogazione dei fratelli Colasberna incontra la signora Nicolosi che viene alla stazione per annunciare la scomparsa di suo marito. Bellodi capisce il collegamento tra questi due casi dalle informazioni su Nicolosi: “Da cinque giorni Paolo Nicolosi, di mestiere potatore, nato a B. il 14 dicembre 1920, domiciliato e residente a S., al numero civico 97 di via Cavour, era scomparso. Al quarto giorno la moglie era tornata, in disperazione, dal maresciallo: e il maresciallo aveva cominciato a preoccuparsi sul serio. Il rapporto era sul tavolo del capitano Bellodi, e sottolineato in rosso era quel’numero civico 97 di via Cavour. Il capitano passeggiava per la stanza nervosamente fumando: aspettava che dal Casellario e dalla Procura gli portassero notizie su Paolo Nicolosi; se era un pregiudicato o se aveva carichi pendenti.”15 Bellodi intuisce che il povero Nicolosi ha incontrato l’assassino per puro caso. “I fatti erano questi: un certo Colasberna era stato ammazzato mentre stava per salire sull’autobus per Palermo, in piazza Garibaldi, alle sei e mezzo del mattino; l’assassino aveva sparato dall’angolo di via Cavour - piazza Garibaldi e per la via Cavour era fuggito. Lo stesso giorno, alla stessa ora, un tale che abita nella stessa via Cavour usciva o stava per uscire di casa”16 Il capitano decide di andare a vedere la signora Nicolosi. Lei è convinta che suo marito fosse già

12SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, pp. 7-8. 13Ivi, p.12. 14Ivi, p.14. 15Ivi, p.15. 16Ivi, pp.15-16. morto. “Disse così al carabiniere, la vedova: che per essere morto era morto, dubbio non ne aveva; un uomo tranquillo come Nicolosi non scompare per tanto tempo se non per la semplice ragione che è morto.”17 La vedova gli descrive la tipica giornata di suo marito. Poi si ricorda che quel giorno è ritornato da fuori. “poi le chiese se aveva sentito due colpi che erano stati sparati nelle vicinanze, o se era stato lui, facendo inavvertitamente cadere il Sacrocuore, a svegliarla: perchè era fatto così, capace di farsi una giornata di rimorso per averla svegliata; le voleva bene davvero.”18 Il capitano continua a farle delle domande. La vedova si ricorda che suo marito, prima di partire, le ha detto il nome di un suo vecchio vicino di casa, che ha incontrato per strada. Bellodi con gentilezza continua la loro conversazione, provando a farle ricordare il nome del vicino. Parlano di soprannomi più e meno usati finché “lei precipitosamente, come se il nome le fosse venuto su con singulto improvviso, disse «Zicchinetta». «Zecchinetta» tradusse subito Sposito «gioco d'azzardo: si fa con carte siciliane... ».”19 Poi il capitano manda il maresciallo a raccogliere delle informazioni su Zicchinetta. Il maresciallo è tornato con una chiacchierata saputa dal barbiere. Ha sentito che la vedova aveva avuto un amante. “Il capitano non mostrò meraviglia, domandò invece di Zicchinetta: sconvolgendo così la vecchia consuetudine di dar precedenza agli elementi passionali, se elementi passionali presenta, di un delitto.”20 Il capitano decide di verificare le informazioni su Zichinetta e fa un viaggio nella città B da cui proveniva. “Fecero il viaggio fino a B. in silenzio, lungo il mare che quieto appassiva i colori del cielo. Trovarono il maresciallo in uffìcio, e in evidenza sul suo tavolo un fascicolo intestato a Diego Marchica detto Zicchinetta, da qualche mese dimesso dal carcere per beneficio d’amnistia; e in evidenza sul tavolo del maresciallo, il fascicolo, per certe confidenze ricevute sul giuoco, della zecchinetta appunto, che il Marchica praticava al circolo dei cacciatori: e perdendo somme piuttosto grosse, e prontamente pagandole; il che per un bracciante disoccupato sarebbe stato praticamente impossibile, se segrete e certamente illecite risorse non avesse avuto.” 21 Zichinetta viene descritto come “Le note definivano il Marchica delinquente abilissimo ed accorto, sicario di assoluta fiducia: ma capace, nel giuoco e nel vino, di improvvise svampate, come il tentato omicidio in rissa mostrava.” 22 Nel frattempo i mafiosi si sono accorti che il confidente dei carabinieri agiva stranamente. “E a proposito: quel cornuto di Parrinieddu mi fa venire sospetti, in questo movimento di sbirri la sua zampa ci dev'essere per forza... Ieri, incontrandomi, la sua faccia ha cambiato di colore: ha finto di non vedermi ed è subito

17SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, p.17. 18 Ivi, p.18. 19 Ivi, p.20. 20 Ivi, p.21. 21 Ibidem. 22 Ivi, p.22. svicolato... Io dico: ti ho lasciato fare la spia perché, lo so, devi tirare a campare; ma devi farlo con giudizio, non è che devi gettarti contro la santa chiesa» e santa chiesa voleva dire di se stesso intoccabile, e del sacro nodo di amicizie che rappresentava e custodiva.”23 Per la prima volta ha detto delle informazioni che nelle mani giuste sarebbero potute essere usate contro la mafia. Parrinieddu era impaurito, stava in casa e poi usciva, aspettando lo sparo mortale. Alla mattina prima di morire aveva scritto una lettera con i nomi dei responsabili dell’omicidio. La sera di quel giorno hanno trovato il suo corpo. Grazie a questa lettera vengono arrestati i sospeti nominati da lui. L’arresto di Rosario Pizzuco è stato facile ma quello di don Mariano Arena no. Arena faceva parte della comunità mafiosa. “Ma dalla voce pubblica l’Arena è indicato come capo mafia.”24 Il capitano inizia ad interrogarli. Dopo aver passato la notte nel carcere, il capitano comincia l’interrogatorio. Marchica siede davanti al capitano che gli domanda su Nicolosi. Poi vede che: “Nell’ufficio di fronte, nella cruda luce, entrare il Pizzuco, il maresciallo e un tenente: e subito, appena seduti, il tenente fece una breve domanda: e il Pizzuco cominciò a parlare a parlare; e il maresciallo a scrivere a scrivere. Il tenente aveva chiesto quale vita, e con quali mezzi, il Pizzuco conducesse: e il Pizzuco stava rovesciando l’edificante storia della sua vita onesta, intemerata, di intenso lavoro, sulla penna veloce del maresciallo Ferlisi. Ma dentro di sè, dalla voce del Pizzuco, il Marchica sentiva una storia da ventisette anni di reclusione, ad andar bene: ventisette lunghi anni di Ucciardone che nemmeno Dio sarebbe riuscito a scaricare dalle spalle di Diego Marchica.”25 Poi nell’ufficio del capitano entra il maresciallo e comincia a leggere la falsa confessione del Pizzuco. Marchica inizia a raccontare la sua versione del crimine per sporcare Pizzuco. “Ma poichè si trovava in bisogno e il Pizzuco, insistendo, gli fece balenare la possibilità di un acconto immediato e gli promise per dopo, ad impegno assolto, il saldo della somma pattuita e un impiego come campiere in aggiunta, il Marchica cedette: solo per il fatto, era bene ripeterlo, che si trovava in condizioni di bisogno. Terribile è il bisogno. Furono dunque stabilite, col Pizzuco, le modalità per eseguire il delitto: impegnandosi il Pizzuco a concorrere facendogli trovare l’arma in una casa di campagna di sua proprietà dove il Marchica, la notte precedente all’esecuzione del delitto, si sarebbe dovuto recare. Dalla casa di campagna, non lontana dal paese, il Marchica avrebbe dovuto, seguendo un itinerario prestabilito, appostarsi allo sbocco di via Cavour, all’ora di partenza del primo autobus per Palermo, poichè ad ogni sabato, con quell’autobus, il Colasberna usava recarsi a Palermo. Eseguito il colpo, il Marchica avrebbe dovuto velocemente fuggire per la via Cavour e tornare alla casa di campagna del Pizzuco, dove costui sarebbe poi venuto a prelevarlo per ricondurlo, in macchina, a B.”26 Scappando dal posto del delitto ha incontrato il suo vecchio compaesano Nicolosi. Pizzuco poi lo lascia sparire. Dopo l’interrogazione di Marchica tocca a Pizzuco. L’interrogazione però viene interrotta da una chiamata dalla città S. “Sì: perchè questa telefonata da S. mi informa che è stata trovata l’arma che ha ucciso Colasberna. Vuole sapere dove è stata trovata?... No, non pensi male di suo cognato: stava proprio per eseguire l’ordine che lei, quando sono venuti i carabinieri ad arrestarla, gli ha dato: si è recato stasera in campagna, ad ora tarda; ha preso il fucile a canne

23SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975 , p.24. 24Ivi, p.28. 25 Ivi, p.32. 26 Ivi, p.35. mozze, e stava uscendo per disfarsene proprio mentre i carabinieri arrivavano... Una sfortunata coincidenza... Suo cognato, lei lo conosce bene, si è visto perduto: ha detto che l’incarico lo aveva avuto da lei, e che il fucile avrebbe dovuto nasconderlo nel chiarchiaro della contrada Gràmoli, secondo istruzioni ricevute da lei...» E rivolto al brigadiere domandò «che cosa è il chiarchiaro?». «È una zona pietrosa» disse il brigadiere «un insieme di grotte, di buche, di anfratti...».”27 Pizzuco dopo questa scoperta incolpa Marchica. La legge dell’omertà però resta intatta perchè nessuno di loro accusa il don Arena. A Chiaro hanno trovato oltre l’arma anche il corpo di Nicolosi. Dopo aver finito questo gioco, il capitano decide di interrogare don Arena. “E stava passando a considerare la mafia, e come la mafia si adattasse allo schema che era venuto tracciando, quando il brigadiere introdusse don Mariano Arena.”28 Il capitano sa che con Arena deve parlare con molta gentilezza. Arena come uomo d’onore ha molte amicizie tra i politici ed anche tra i criminali. Il loro discorso è stato molto generale, il capitano non ha scoperto nessuna nuova informazione sull’omicidio e sapeva che non sarebbe riuscito ad accusarlo. Il capitano si lascia ispirare ai casi americani dove hanno condannato i mafiosi per le evasioni fiscali. Il lungo discorso tra il capitano e don Arena è stato quasi infinito, senza che riuscisse a scoprire alcuni informazioni utili. “Il brigadiere cominciava a stancarsi: si sentiva come un cane costretto a seguire il cammino del cacciatore attraverso una pietraia arsa, dove non stinge la più tenue traccia di selvaggina. Un lungo contorto cammino: sfioravano appena i morti ammazzati e subito allargavano il giro; la Chiesa, l’umanità, la morte. Una conversazione da circolo, Cristo di Dio: e con un delinquente..”29 L’arresto di don Arena attira l’attenzione dei giornali. “I giornali della sera dicevano che il fermo di Marchica, Pizzuco e Arena era diventato arresto: il procuratore della Repubblica aveva spiccato i mandati. Da quel che i giornalisti erano riusciti a fiutare, il Marchica aveva confessato un omicidio e ne aveva caricato un altro al Pizzuco; il Pizzuco aveva ammesso un involontario concorso nei due omicidi commessi dal Marchica: due, e non uno come il Marchica aveva confessato; e l’Arena non aveva ammesso niente, nè il Marchica e il Pizzuco lo avevano chiamato in correità. Ma il procuratore della Repubblica aveva spiccato i mandati per omicidio premeditato a carico del Marchica, per omicidio premeditato e mandato d’omicidio a carico del Pizzuco, per mandato d’omicidio a carico dell'Arena. Brutta situazione.”30 I capi mafiosi riescono a soffocare lo scandalo. Le loro conoscenze con i politici hanno creato la protezione dei criminali imputati. Nel frattempo il capitano Bellodi si è trasferito a Bologna. Il processo di Arena è stato cancellato. Finito il soggiorno del capitano a Bologna, capisce che si era innamorato della Sicilia e che ci vuole ritornare.

27 SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, p.38. 28Ivi, p.46. 29 Ivi., p.51. 30 Ivi, pp.53-54. Il tempo in cui è raccontata la storia non è chiaro. Gli elementi storici fanno intuire che la vicenda si svolge attorno all’inizio degli anni Sessanta, all’epoca della pubblicazione del romanzo.Il tempo del racconto si può dividere in due parti. La prima include le indagini del capitano Bellodi e dura poco più di una settimana. La seconda, che include anche il viaggio del capitano a Bologna, dura circa un mese. La narrazione è lineare, interrotta dai flashback utilizzati sopratutto durante le interrogazioni.

Lo spazio della narrazione è la Sicilia, meglio dire i pressi della Palermo. I nomi dei paesini non sono citati. Sono solo accennati con le lettere dell’alfabeto, come S. C. etc. Sciascia descrive la natura siciliana: “La giornata era fredda ma luminosa, il paesaggio nitido: gli alberi, i campi, le rocce davano l’impressione di una gelida fragilità, come se un colpo di vento o un urto potesse frantumarli in un suono di vetro.”31 Le descrizioni sono riferite sopratutto ai posti dei delitti, come a Chiarchiaro. “La luce dell’alba intrideva la campagna, pareva sorgere dal verde tenue dei seminati, dalle rocce e dagli alberi madidi: e impercettibilmente salire verso il cielo cieco. Il Chiarchiaro di Gràmoli, incongruo e assurdo nella pianura verdeggiante, pareva un’enorme spugna, nera di buchi, che veniva inzuppandosi della luce che sulla campagna cresceva.”32 Oltre alla Sicilia, nel libro sono descritte anche le strade di Bologna, dove il capitano fa la sua vacanza.

I personaggi principali sono il Capitano Bellodi come protagonista positivo, e quelli negativi sono: il don Mariano Arena, Diego Marichica detto Zechinetta, il Pizzuco e Calogero Dibella detto Parrinieddu. Le descrizioni fisiche sono molto rare, Sciascia raffigura soprattutto l’anima dei suoi personaggi. L’aspetto interiore è descritto attraverso i pensieri, i monologhi e i dialoghi. Il personaggio principale è capitano Bellodi. È descritto come un giovane, alto e scuro carabiniere. La sua provenienza dal nord è nominata più volte. “Ma il capitano Bellodi, emiliano di Parma, per tradizione familiare repubblicano, e per convinzione, faceva quello che in antico si diceva il mestiere delle armi, e in un corpo di polizia, con la fede di un uomo che ha partecipato a una rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere la legge: e questa legge che assicurava libertà e giustizia, la legge della Repubblica, serviva e faceva rispettare.”33 Il capitano è coraggioso, intuitivo, intelligente e capace di rivelare la verità. È molto rigoroso nei suoi principi, tratta gli investigati dignitosamente e con rispetto. Don Arena lo definisce come l’uomo. “Don Mariano «ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con

31SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, p.16. 32 Ivi, p.40. 33 Ivi, p.13. rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini... E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi... E ancora più in giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito... E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere che la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo...».”34 L’opponente del capitano è don Marriano Arena. Un anziano che è il capo-mafia. È descritto come un galantuomo, con molta forza, con le connessioni nella politica. È il mandante dell’omicidio di Colasberna ma con la legge dell’omertà riesce a essere fuori dai guai. L’unica parte del testo da cui possiamo intendere i pensieri di Arena è la sua conversazione con Bellodi. Gli altri due, Diego Marchica e Pizzuco, sono antagonisti e iniziatori dell’omicidio di Colasberna. L’ultimo protagonista Calogero Dibella soprannominato Parinieddu è un confidente dei carabinieri. L’autore racconta delle informazioni sul suo passato. “L’uomo era pregiudicato, ladro di pecore nell’immediato dopoguerra e ora, a quanto si sapeva, soltanto mediatore di prestiti a usura: faceva il confidente un po’ per vocazione un po’ illudendosi di avere così privilegio di impunità nel mestiere che faceva; un mestiere che, in confronto a quello di rubare a mano armata, considerava onesto e giudizioso, da padre di famiglia.”35 Dopo aver rilevato i nomi dei due capi di mafia viene ucciso davanti a casa sua. La sua confessione scritta in una lettera permette a Bellodi di arrestare i responsabili.

34SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta, Torino : Einaudi, 1975, pp.49-50. 35Ivi, p.11. A ciascuno il suo

In questa tesi ho scelto di analizzare anche un altro romanzo di Leonardo Sciascia. Il romanzo si chiama A ciascuno il suo. L’opera viene pubblicata nel 1965 a Torino. Alcuni critici la definiscono come un giallo atipico che raffigura la realtà siciliana. Come nei tanti altri lavori di Sciascia, anche l’azione di questo romanzo si svolge in Sicilia in un piccolo paesino vicino a Palermo. In primo piano c’è la vicenda del giallo, dove il ruolo dell’investigatore appartiene ad un professore d’italiano. Il titolo del libro proviene dalla prima traccia che porta il professore a risolvere il caso. Si tratta di una frase scritta in una lettera di minaccia, “unicuique” che significava “a ciascuno il suo”.

La vicenda inizia nell’anno 1964, attorno al 16 agosto. Durante l’estate, il farmacista Manno riceve una lettera anonima con la minaccia di morte. Manno sta dietro al banco nella sua farmacia, quando il postino gli porta la lettera. Il farmacista è un uomo tranquillo che ha come l’unico divertimento la caccia. Conoscendo la sua passione, tutti pensano che la lettera sia uno scherzo causato dall’invidia degli altri cacciatori. Come troviamo nel testo: “E forse questa era la sola ragione che aveva suscitato la lettera anonima: un uomo così tranquillo, ad uno che vivesse di ozio e di malizia, metteva la voglia di inquietarlo, di spaventarlo. O forse bisognava cercare un’altra ragione nell’unica passione che aveva, ed era la caccia. I cacciatori, si sa, sono invidiosi:...”36 Tutto cambia il 23 agosto quando, dopo una giornata di caccia, il farmacista viene ucciso insieme ad un suo amico, il dottor Roscio. Il farmacista e il dottore erano compagni di caccia. E così cominciano le indagini dei poliziotti che cercano di risolvere il misterioso omicidio. Per via della lettera arrivata una settimana prima al farmacista Manno, le indagini si concentrano su di lui. I poliziotti controllano il suo passato e si soffermano sulla sua presunta relazione amorosa con una cliente, che però si scopre di essere stata soltanto professionale e niente di più. Di conseguenza il loro indizio si è rilevato inutile. L’unica traccia non chiarita sono i mozziconi delle sigarette di marca ”Branca” lasciate sul posto del delitto. Qui finiscono le indagini dei poliziotti e comincia ad investigare il professor Laurana. Citando dal testo: “Pur mancando ogni indizio, fatta eccezione per un mozzicone di sigaro trovato sul luogo del delitto (e presunsero gli inquirenti che nella lunga attesa, in agguato, uno degli assassini lo avesse fumato), non c’era uno nel paese che non avesse già, per conto suo, segretamente, risolto o quasi il mistero; o che si ritenesse in possesso di una chiave per risolverlo. Aveva la sua chiave anche il professor Laurana: ed era quell’UNICUIQUE che, insieme ad altre parole che aveva dimenticato, fortuitamente era affiorato dal rovescio della lettera per l’obliqua luce che vi cadeva.”37 Laurana era un amico del farmacista. Per noia e per interesse cerca di risolvere questo caso per

36SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p. 5. 37Ivi, p.13. dare un significato ai fatti accaduti. Il professore segue la traccia della lettera e scopre che è stata fatta con lettere incollate. Sul retro c’era la sigla dell’unicuique, di un giornale provinciale. Citando dal testo: “Il professor Laurana, che aveva curiosità riguardo al rito e al linguaggio della denuncia, vide dal rovescio del foglio chiaramente emergere UNICUIQUE e poi, in caratteri più piccoli, confusamente, ordine naturale, menti obversantur, tempo, sede. Si avvicinò per meglio decifrare, a voce alta lesse «umano» e il maresciallo, infastidito e difendendo quello che era ormai un segreto del suo ufficio,...”38 Laurana è sicuro che si tratti di una parte dell’Osservatore romano. Scopre che lo ricevono solo due persone, il parroco di Sant’Anna e l’arciprete, e così il professore intraprende la strada giusta. Purtroppo la polizia non aveva preso in considerazione questa possibilità. Com’è scritto nel testo: “Tutto sommato, a non far caso all’UNICUIQUE la polizia si era comportata con buon senso. L’esperienza, non c’è che dire. Tempo perso mettersi a cercare un ago in un pagliaio, quando si sa che è un ago senza cruna, che non si può infilare alla sequela delle indagini. Lui, invece, era rimasto abbagliato da quel dettaglio.” 39 Laurana scopre un’altro indizio per risolvere questo mistero quando si è trovato per caso a Palermo dove incontra un suo vecchio amico ed ex-compagno di classe che fa il politico. Parlano di tutto, fino a quando a un certo punto arrivano a parlare anche di Roscio. La conversazione tra i due fa pensare Laurana e gli vengono nuove ipotesi sull’omicidio. Com’è scritto nel testo: “Ricordarono, naturalmente, il loro tempo di studenti; e quando affiorò il povero Roscio, «Mi ha fatto tanta impressione, la notizia della sua morte» disse l’onorevole «perchè era venuto a trovarmi proprio quindici o venti giorni prima. Non lo vedevo da almeno dieci anni. È venuto a trovarmi a Roma, alla Camera. L’ho riconosciuto subito, non era cambiato... Noi forse sì, un poco... Io, poi, ho avuto il pensiero che la sua morte fosse da collegarsi a quella sua venuta a Roma, da me: ma ho visto che le indagini hanno accertato che è morto, invece, solo perchè si era trovato in compagnia di un tale che aveva sedotto una ragazza, non so... E sai perchè era venuto da me? Per domandarmi se ero disposto a denunciare alla Camera, sui nostri giornali, nei comizi, un notabile del vostro paese, uno che aveva in mano tutta la provincia, che faceva e disfaceva, che rubava, corrompeva, intrallazzava...»”40 Laurana scopre che il bersaglio dell’omicidio non è stato il farmacista ma il dottor Roscio. Manno è stato ucciso solo per sviare le indagini dei poliziotti. Laurana, con l’aiuto del parroco di Sant’Anna, dei suoi amici e dei pettegolezzi di sua madre, trova la soluzione giusta. Nei primi giorni di novembre, durante la festa dei morti, Laurana trova il motivo dell’omicidio, che è stato il rapporto amoroso della moglie del dottor Roscio. A sentire il discorso di Laurana e sua madre: “«E chi dovrebbe sposare, secondo te?» domandò con una certa irritazione. «Ma suo cugino, l'avvocato Rosello» rispose la vecchia fermandosi a scrutarlo in faccia. «Perché proprio lui?» «Ma perché sono cresciuti assieme, nella stessa casa; perché si conoscono bene; perché il loro matrimonio può

38SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.7. 39Ivi, p.20. 40Ivi, p.27. riunificare una proprietà.» «E ti sembrano buone ragioni? A me pare una cosa piuttosto oscena, e appunto per il fatto che sono cresciuti assieme, nella stessa casa.» «Sai come si dice? Tre c sono pericolose: cugini, cognati e compari. Le tresche più gravi si verificano quasi sempre nella parentela e nel comparatico.» «Ma c'è stata una tresca?» «E chi lo sa? Certo che un tempo, quando erano ragazzi, quando stavano assieme, si disse che erano innamorati... Cose di ragazzi, si capisce... E l'arciprete, si disse, ne ebbe dispiaceri; e ci mise rimedio... Ora non ricordo bene: ma una certa diceria ci fu.»“41 La verità è che il dottor Roscio ha scoperto una relazione intima tra sua moglie Luisa e l’avvocato Rosello, cugino di Luisa. Questo rapporto è durato da anni, e dopo la scoperta del dottore, i due si sono trovati sotto pressione da parte del marito che voleva che la loro storia finisse. Il dottore minaccia l’avvocato che renderà noti alcuni dei suoi documenti segreti e personali. Rosello agisce alle minacce pagando ad un assassino e facendo uccidere il dottore insieme al farmacista. Laurana tiene per se stesso tutto ciò che ha scoperto finchè incontra la bella vedova Luisa. Dopo la festa dei morti, Laurana viaggia con lei per ritornare in città. Durante il viaggio si mettono a parlare e lui capisce che neanche lei crede ai risultati delle indagini della polizia. In più scopre che Luisa ha trovato alcuni documenti sospetti e che va in città a farli verificare. Come viene scritto nel testo “«Sì, l’ho scoperto quasi per caso, quando non ci speravo più... Perchè quello che lei mi ha detto allora mi ha fatto poi ricordare tante cose, tante piccole cose che messe assieme rendevano attendibile il fatto che lei, casualmente era venuto a conoscere... E così mi sono messa a cercare, a cercare: e infine è venuto fuori un diario che mio marito teneva a mia insaputa, nascosto dietro una fila di libri... Quando ormai non ci speravo più, anche se ancora mi ci arrovellavo: e per caso, tirando giù un libro che mi era venuto desiderio di leggere.» «Un diario, teneva un diario...» «Una di quelle grosse agende che le case farmaceutiche mandano ai medici... In tre o quattro righe, ogni giorno, proprio a cominciare dal primo gennaio, con quella sua scrittura quasi indecifrabile, da medico, vi aveva annotato quello che gli pareva fosse da ricordare: e specialmente cose che riguardavano la bambina. Poi, a un certo punto nei primi di aprile, comincia a scrivere di una persona che non nomina...»”42 Laurana, attirato dalla sua bellezza e dalla curiosità di sapere di più, accetta l’incontro proposto da Luisa il giorno successivo. Dovevano incontrarsi in caffetteria. Lui la aspetta fino al tardo pomeriggio ma lei purtroppo non viene. Arriva l’ora della partenza del treno e Laurana decide di tornare a casa. Dopo aver abbandonato la caffetteria, incontra un uomo proveniente dal suo paese che gli chiede se vuole andare con lui in macchina. Durante il viaggio di ritorno il professore sparisce. Nel testo:

41SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, pp.56-57. 42Ivi, p.60. “Svoltando in piazza della stazione, una macchina lo sorpassò, si fermò stridendo a una diecina di metri, tornò verso di lui a marcia indietro. Lo sportello si aprì, il guidatore, inclinato sul sedile, lo chiamò: «Professore, professore Laurana». Laurana si avvicinò, riconobbe uno del paese, benchè non ne ricordasse al momento il nome. «Va alla stazione? Deve prendere il treno per il paese?» «Sì» disse Laurana. «Se vuole approfittare» offrì l’altro. 'Buona occasione' pensò Laurana 'arriverò presto e magari potrò telefonare a casa di Luisa, informarmi'. «Grazie» disse. Entrò nella macchina, accanto all’autista. La macchina partì di furia.”43 Le ricerche dei poliziotti non portano ad un risultato. Il professore è già morto. Come si scrive nel testo: “Ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci, in una zolfara abbandonata, a metà strada, in linea d’aria, tra il suo paese e il capoluogo.”44 L’ultimo capitolo si svolge l’8 settembre, quando si celebrano le nozze della vedova di Roscio con il suo cugino Rosello.

Il personaggio principale è il professor Paolo Laurana. Lavora come insegnante di storia e italiano nel liceo classico di Palermo. Dai suoi studenti è considerato bravo, curioso, gentile e a volte timido. Citando dal testo: “Paolo Laurana, professore di italiano e storia nel liceo classico del capoluogo, era considerato dagli studenti un tipo curioso ma bravo e dai padri degli studenti un tipo bravo ma curioso. [….] Era gentile fino alla timidezza, fino alla balbuzie; quando gli facevano una raccomandazione pareva dovesse farne gran conto. Ma ormai si sapeva che la sua gentilezza nascondeva dura decisione, irremovibile giudizio, e che le raccomandazioni gli entravano da un orecchio per subito uscire dall’altro.“45 Il suo stato d’animo viene descritto in modo dettagliato: “Un uomo onesto, meticoloso, triste; non molto intelligente, e anzi con momenti di positiva ottusità; con scompensi e risentimenti che si conosceva e condannava; non privo di quella coscienza di sè, segreta presunzione e vanità, che gli veniva dall’ambiente della scuola in cui, per preparazione ed umanità, si sentiva ed era tanto diverso dai colleghi, e dall’isolamento in cui, come uomo, per così dire, di cultura, veniva a trovarsi. In politica, era da tutti considerato un comunista: ma non lo era. Per la sua vita privata era considerato una vittima dell’affetto esclusivo e geloso della madre: ed era vero.”46 Ama leggere i libri ed è molto legato a sua madre con la quale vive. La sua vita è molto monotona come si può capire dal testo: “Per tutto l’anno scolastico la sua vita si svolgeva tra il capoluogo e il paese: partiva con la corriera delle sette rientrava con quella delle due. Nel pomeriggio si dedicava alla lettura, allo studio; passava la sera al circolo o in farmacia; rincasava verso le otto. Non faceva lezioni private, nemmeno nell’estate, stagione in cui preferiva impegnarsi nei suoi lavori di critica letteraria che poi pubblicava in riviste che nessuno in paese leggeva.” 47 Ha sui 40 anni ed è celibe. Ha i problemi di trovare una donna che andrebbe bene a sua madre.

43SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.66. 44Ivi, p.69. 45Ivi, p.21. 46Ibidem. 47Ibidem. Per di più è timido e se una donna gli piaceva non glielo diceva mai. Sua madre lo considerava: “ancora così ingenuo, così sprovveduto, così scoperto alla malizia del mondo e dei tempi, non era in età di fare un passo tanto pericoloso.”48 Il rapporto con la madre si evolve. Laurana prende una decisione, contro la sua volontà, di iscriversi ad un corso per ottenere la patente. È un segno di ribellione tipica dell’età adolescente. Un altro tipo di rapporto Laurana ha con l’amico Roscio. Come si scrive nel testo: “Ma tra loro non c’era affetto, c’era soltanto una comunanza di ricordi e la possibilità di parlare di un fatto letterario o politico con una certa proprietà e senza sgradevoli discordanze; cosa che era impossibile con altri, in paese:..”49 Però la morte di Roscio l’ha colpito. Durante tutta la trama cerca di risolvere il suo omicidio.

Considero Laurana un idealista che s’interessa soprattutto della lettura e della storia e il quale non vuole vedere la realtà quotidiana ed il mondo crudele. Citando dal libro: “Non ha tempo per occuparsi di certe cose, per vedere certe cose: ma noi» si rivolse per intesa alla vecchia signora Laurana «noi sappiamo...»”50 Secondo me, nel brano citato, Sciascia intende i fatti mafiosi che Laurana ignora e di conseguenza sembra un ingenuo come se non capisse che la mafia è presente nella sua città.

Altri due personaggi importanti sono il farmacista Manno e il dottor Roscio. Il dottor Roscio è un uomo intelligente ed è sposato con Luisa. Dopo che scopre il tradimento di sua moglie, cerca comunque di tenere la famiglia unita anche perchè ama molto sua figlia. Ha solo una debolezza, la caccia. Citando dal testo: “Amava il suo mestiere; amava il paese, le serate al circolo o in farmacia, la caccia, i cani, ritengo amasse moltissimo la moglie, e adorava la bambina...”51 Viene raffigurato come un dottore buono che vuole aiutare i suoi pazienti. “Una specie di medico di paese d’altri tempi, insomma: quello che viveva del suo, non si pagava le visite e anzi lasciava agli ammalati poveri i soldi per le medicine...” 52 Il suo stato d’animo viene descritto nel libro: “Roscio manteneva con tutti anche col farmacista Manno che gli era assiduo compagno nella caccia, un distacco che poteva apparire di freddezza, di indifferenza. [...] e più la compagnia era numerosa e più si chiudeva in assorto e lontano silenzio. Soltanto con un vecchio compagno come Laurana, loro due soli o in disparte, un po’ si abbandonava alla conversazione.”53 Alla fine le indagini scoprono che il bersaglio dell’omicidio era stato lui. Sfortunatamente aveva parenti molto cattivi.

48SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.21. 49 Ivi, p.22. . 50Ivi, p.2. 51Ivi, p.29. 52Ibidem. 53Ivi, p.41. Il farmacista Manno è un uomo per bene, lavora quotidianamente ed anche lui ha la passione per la caccia. Non s’interessa della politica. Citando dal testo: “Mai una discussione: e quelli di destra l’avevano per uomo di destra, quelli di sinistra per uomo di sinistra.”54 È sposato con Teresa Spano. Proviene da una famiglia povera e con il matrimonio ha raggiunto uno stile di vita più alto. Dopo che si è scoperto che è stato stato ucciso ingiustamente, viene tralasciato dalle indagini di Laurana.

Luisa è la moglie di Roscio. È una donna molto bella, giovane, alta, con i capelli scuri. Una descrizione citata dal testo: “Bella donna, e il nero le stava a meraviglia. Bel corpo: pieno, slanciato, con un che di indolente, di abbandonato, di disteso anche quando più si irrigidiva. E il volto pieno, ma di una pienezza non di donna che ha già superato il sesto lustro, d’adolescente piuttosto, splendeva degli occhi castani, quasi dorati, e del lampo dei denti perfetti tra le labbra grosse.”55 Purtroppo è falsa perchè tradisce suo marito. Da anni ha un rapporto con il cugino Rosello.

Rosello è nipote dell’arciprete. Lavora come avvocato. All’inizio sembra che voglia aiutare il professore, ma poi si scopre che è stato lui la causa di tutta la violenza nella città. Viene considerato un mafioso. È un personaggio negativo.

Teresa Spano è la moglie del farmacista Manno. Non è tanto bella ma in compenso è buona e gentile. È un personaggio positivo. Teresa ama molto suo marito e dopo la sua morte porta lutto per tanto tempo. Lei lo difende sempre, anche se è accusato di tante cose. Citando dal testo: “La signora disse di no: sempre, decisamente. Ma il commissario non si diede per vinto, fece portare in caserma la cameriera e paternamente interrogandola dopo sei ore riuscì a farle ammettere che sì, una volta un piccolo incidente in famiglia c’era stato, a proposito di una ragazza che, a parere della signora, troppo spesso si faceva vedere in farmacia ...”56

La trama si svolge in Sicilia in un piccolo paese vicino a Palermo che conta sui 7500 abitanti. Nella narrazione ci sono ambienti chiusi tra cui la farmacia, il pullman, ed anche ambienti aperti. Ad esempio i campi dove si pratica la caccia, il cimitero, ecc.

La storia è molto lunga. Comincia nel 1964 con l’omicidio che avviene il 23 agosto. La trama si svolge fino a novembre, mese all’inizio del quale si celebra la festa dei defunti. Qualche giorno dopo viene ucciso il professore. Tutto finisce l’8 settembre dell’anno successivo con la festa di nozze tra Luisa e Rosello.

54SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.5. 55Ivi, p.26. 56Ivi, p.11. Il Contesto

Il libro Il contesto viene pubblicato nell’anno 1971. Dopo i libri che trattano la realtà, nasce un giallo immaginario. Sciascia crea un paese immaginario, molto simile alla Sicilia, in cui può raffigurare delitti fatti da persone di spicco. Questo libro non rappresenta più i mafiosi crudeli e gli assassini presenti in Sicilia, ma il nuovo gruppo della cosiddetta mafia infiltrata nella sfera politica. Questa storia immaginaria dovrebbe prevedere una futura realtà in Italia.

La storia del giallo comincia a maggio con l’uccisione del procuratore Varga. Secondo le testimonianze “il procuratore, uomo di rigide abitudini, usava intrattenersi ogni sera, e coi quali si era anche quella sera intrattenuto, affermavano che alle dieci, minuto più minuto meno, li aveva lasciati.”57 La sua morte è collegata al processo Reis, di cui si Varga occupa, il quale di conseguenza è sospeso. “E poichè con implacabile acume il procuratore Varga aveva sostenuto la pubblica accusa, la polizia credete fosse da cercare nel processo il movente che aveva armato la mano all’ignoto assassino.”58 Ma l’ipotesi non è stata accertata e così l’indagine arriva ad un punto morto. “Per restituire all’opinione pubblica quella fiducia nella efficienza della polizia, che peraltro l’opinione pubblica mai aveva nutrito, o per farla rassegnare alla insolvibilità del mistero, il ministero della Sicurezza Nazionale decise di mandare sul posto l’ispettore Rogas: il più acuto investigatore di cui disponesse la polizia.”59 Il ministero della sicurezza nazionale sceglie Rogas affinché svolga indagini sul caso, raccomandandogli di procedere con molta cautela, e se trovasse prove che potessero danneggiare il procuratore o l’istituzione statale dovrebbe impedire che insorgessero. “Ma Rogas aveva dei principi, in un paese in cui quasi nessuno ne aveva. Subito dunque, ma da solo e con discrezione, si cacciò nella zone interdetta.” 60 Non appena comincia ad indagare, viene a sapere la notizia di un altro morto. Il cadavere è il giudice Sanza, trovato sulla spiaggia di Ales, in un piccolo paese, distante circa cento chilometri dalla città in cui Rogas investiga sul primo omicidio. Rogas “arrivò ad Ales tre giorni dopo, quando già la polizia locale aveva arrestato una decina di persone che non c’entravano per niente e si agitava a sorteggiare tra queste il colpevole.”61 Rogas non esita un attimo e si mette subito a lavorare. Cerca un collegamento tra il procuratore e

57SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.11. 58Ivi, p.13. 59Ivi, p.14. 60Ibidem. 61Ivi, p.15. il giudice, qualche processo o caso sul quale avrebbero lavorato insieme e forse avrebbero condannato ingiustamente un sospetto. Pensava: “due magistrati ammazzati nel giro di una settimana, in due città non molto distanti tra loro, allo steso modo, con proiettili dello stesso calibro sparati forse dalla stessa arma.”62 Rogas ha analizzato tutti i processi dei magistrati, però senza una soluzione perchè un caso che li collegasse non l’ha trovato. “Per una superstiziosa affezione al numero tre, che riteneva peculiare alla nervosi degli altri come alla propria, Rogas aveva l’invincibile presentimento che ci sarebbe stata la terza vittima e che sarebbe stata quella buona, cioè quella che avrebbe fatto scattare il dato necessario per avviare a soluzione il problema.”63 Quattro giorni dopo la visita di Rogas nella città Ales viene uccisa una terza vittima. Il giudice Azar è stato ammazzato a Chiro. Della sua morte viene accusato il figlio della sorella di Azar. È l’unico sospetto perchè non ha gli alibi per l’ora dell’omicidio. Rogas, convinto di sua incolpevolezza, l’aiuta ad uscire dalla prigione ed a fare l’inventario dell’eredità. I conti erano chiari, il patrimonio del giudice era molto più alto rispetto a quello che avrebbe potuto ottenere dallo stipendio statale. “Perciò Rogas si diede a indagare su quella fortuna, convinto che se anche non sarebbe servita, quell’indagine, a scoprire la ragione per cui era stato ammazzato, certo avrebbe dato qualche elemento per capire che tipo di giudice Azar fosse stato.”64 L’ipotesi sul pazzo furioso per il momento va bene ai superiori e così Rogas può continuare con l’indagine sui processi collegati con le tre vittime. “Per circa due anni Azar e Varga avevano fatto parte del Tribunale Penale di Algo.”65 In base alle informazioni ottenute, Rogas si sposta ad Algo. Arrivato lì succede un altro omicidio. Viene ucciso il giudice Rasta e tutto il caso viene medializzato. I giornali speculano sulla coincidenza tra la morte e l’arrivo di Rogas in città. Il ministro vuole calmare le masse dichiarando lotta a questo assassino furioso. “Ma, come Rogas temeva, subito venne la risposta dell’assassino al ministro: cadeva, in una città molto lontana da Algo, il giudice Calamo; uno che, a quanto si seppe subito, non aveva mai avuto rapporti con nessuna delle altre quattro vittime.”66 Rogas continua a investigare sui processi che collegano le vittime. Li ha divisi in tre grandi gruppi. “Un primo gruppo, di diciannove processi che si erano conclusi con sentenza di assoluzione, lo eliminò subito. Il secondo, di trentacinque processi in cui gli imputati erano stati condannati o perchè si erano confessati colpevoli o perchè colti dalla polizia nel momento in cui commettevano i reati o attraverso prove e testimonianze inoppugnabili, lo eliminò dopo avere attentamente vagliato quattro casi che gli pareva dessero, nei verbali della polizia o nelle

62SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.15. 63Ivi, p.16. 64Ivi, p.18. 65Ivi, p.19. 66Ivi, pp. 20-21. dichiarazioni dei testimoni, qualche nota falsa.”67 Il terzo gruppo considerava gli innocenti. Di questi otto erano liberi, tra cui soltanto uno non si riusciva a trovare. Si chiamava Cres ed è stato condannato a cinque anni di carcere perchè voleva uccidere sua moglie. La storia di Cres comincia il 25 ottobre del 1958, quando alla polizia arriva la signora Cres. Accusa suo marito di aver tentato di avvelenarla. Come prova porta con sè una cucchiaiata di riso nero avvelenato e un gatto morto. Pur avendo le prove, manca comunque il motivo del tentato omicidio. “Gli effetti della freddezza che la signora Cres manifestava nei riguardi del consorte divennero la base sulla quale il procuratore Varga, il giudice Azar e compagni edificarono una condanna a cinque anni, per tentato omicidio, che fu poi confermata in appello, presidente il giudice Riches salito poi a presiedere la Corte Suprema.”68 A sentire l’ispettore Contrera che indagava il caso, è colpevole la moglie. “La donna aveva ordito quel crimine in bianco, lasciandone cioè l’esecuzione alla polizia e ai giudici, per liberarsi dal marito quel tanto che le ci voleva per scomparire.”69 Finito il processo di Cres, sua moglie vende tutto ciò che ha e sparisce. Dopo cinque anni Cres esce dalla prigione, arrabbiato con tutti quelli che l’hanno condannato. Torna alla casa vuota, dove incomincia a vivere una vita tranquilla e silenziosa. Rogas manda alcuni poliziotti per cercarlo ma era già tardi, è sparito. Pur avendo perqiusito la sua casa, Rogas non ha trovato nulla che potesse indicare una traccia per poter trovarlo. “Dopo aver sistemato ogni cosa nella previsione dell’irruzione poliziesca in sua assenza. Un uomo preciso, meticoloso: e non aveva lasciato niente che potesse servire a identificarlo o indiziarlo; non una fotografia, non un conto d’albergo, un biglietto ferroviario, una qualsiasi ricevuta. L’identità dell’uomo che fino a poche ore prima aveva abitato la casa stingeva nella poche cose che stavano accanto al letto: il bicarbonato, le pasticche per la tosse, i Karamazov ...“70 Rogas non trova alcuna fotografia di Cres e capisce subito che le foto mancanti potrebbero essere il punto cruciale dell’indagine. Ed ha ragione. Tutte le fotografie di Cres sono sparite, anche quelle ufficiali. La sua ricerca si basava solo sulla descrizione fisica che è molto generica. Rogas arriva a un’ipotesi su come Cres sarebbe sparito. In prigione avrebbe conosciuto un famoso falsario che gli avrebbe fatto nuovi documenti. Mentre Rogas sta verificando questa nuova ipotesi sui documenti falsi, nel frattempo muore un altro procuratore. “Ma mentre l’ispettore, tornato alla capitale, si preparava a fare una completa relazione del suo lavoro, proprio nella capitale cadeva il procuratore Perro.”71 Stavolta c’erano anche i testimoni che hanno visto i due giovani scappare dal luogo del delitto.

67SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.21. 68Ivi, p.36. 69Ivi, pp.37-38. 70Ivi, p.52. 71Ivi, pp.55-56. La notizia riguardo ai giovani provoca un’ipotesi su una setta radicale politica. Rogas, convinto che il colpevole sia Cres, decide di collaborare con la sezione politica. “Il capo anzi se ne adontò: e ingiunse a Rogas di togliersi dalla testa quel Cres che, poveretto, forse era scappato per l’ingiusta persecuzione; e si mettesse invece a lavorare col suo collega della sezione politica, se voleva redimersi a redimere il corpo di polizia dall’errore.”72 La sezione politica si concentra su una rivista chiamata Rivoluzione permanente. Il compito di Rogas è trovare l’autore degli articoli scritti ed interrogarlo. “Lei, dunque, deve: primo, localizzare dove il direttore della rivista si nasconde e avvertirmi immediatamente, in modo che io possa organizzare una stretta sorveglianza; secondo, una volta che la sorveglianza è in atto, lei deve fargli una visita parlargli, scippargli ogni possibile informazione sulla rivista e il gruppuscolo, mettere in allarme in modo che lui si muova a mettere in allarme gli amici.”73 Per fortuna lo trova in poco tempo. Scopre che il direttore Galano si trova, come ospite, alla casa dello scrittore Nocio. Precisando, è ospite della signora Nocio perchè lui lo considera una persona molto ansiosa. “Detto tra di noi, io non posso soffrirlo: è un piccolo, isterico intellettuale di provincia. Che dico, intellettuale? È uno di quei cretini che danno l’illusione del discorso intelligente. Ci vuol poco, oggi, ad acquistare questa abilità illusionistica.”74 La conversazione con Galano era piuttosto calma e, ovviamente, Rogas non ha scoperto i nomi dei rivoluzionari. Dopo la visita di Rogas, Galano telefona a tutti i direttori, ai presidenti delle banche, agli attori che conosce per comunicargli le notizie. Più che per paura, gli telefona per lodarsi di essere considerato un sospetto. “«Appena lei se n’è andato » raccontava a Rogas « Galano si è attaccato al telefono. Ha telefonato, nell’ordine, al direttore generale della Banca dell’Ovest, al presidente della Farmaceutica Schiele, al direttore del giornale governativo “Ordine e libertà“ e a quello del settimanale d’opposizione “Rosso di sera“, al famoso sarto Gradivo, all’attrice Marion Delavigne, al conte di Santo Spirito, all’ex regina di Moldavia ...”75 Durante la telefonata con l’attrice ottiene l’informazione che il gruppo dei neoanarchici Zeta si incontra a cena in casa del proprietario di OC (onesto consumo), Narco. Il direttore della sezione politica manda Rogas alla cena. “Questa trovata, di cercare un tale che non esiste, mi pare senz’altro buona: e giustifica un controllo dell’identità dei presenti … Insomma: mi affido al suo acume, alla sua discrezione.”76 Arrivato alla cena, capisce che si trova nei guai perche è stato invitato anche il ministro della sicurezza il quale si arrabbia per essere stato interrotto durante la cena con gli amici. Il ministro lo lascia uscire e gli ordina di presentarsi nel suo ufficio il giorno seguente. Tutto questo gioco di Galano ha confermato l’idea di uno stato onnipotente in cui la polizia

72SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.57. 73Ivi, p.60. 74Ivi, p.61. 75Ivi, pp.72-73. 76Ivi, p.75. controlla i telefoni. Il giorno dopo Rogas incontra il capo della sezione politica davanti all’ufficio del ministro. Il ministro è sorprendentemente gentile con Rogas, discutono di politica, del suo opponente signor Amar, presidente del partito di opposizione. Dopo il lungo discorso con il ministro, Rogas decide di andare dal presidente della Corte Suprema. Ha intuito che la seguente vittima potrebbe essere il presidente e voleva avvertirlo. Arrivato alla casa del presidente, vede cinque macchine parcheggiate davanti. “Nello spazio stavano cinque grandi automobili che Rogas subito riconobbe (mole, colore, targa con sigla SS: chè di marche e tipi non si intendeva) del Servizio di Stato. I cinque autisti stavano a far capannello. Uno era in divisa: sergente dell’aviazione. Avvicinandosi, distinse e riconobbe tra i cinque l’autista del capo della polizia: in borghese, ma salutò Rogas militarmente.”77 Il presidente non lo accetta perchè ha un incontro. Rogas non può resistere e aspetta alla fermata dell’autobus per vedere chi è invitato all’incontro. Il giorno dopo Rogas è stato convocato dal capo della polizia il quale gli chiede il motivo per cui voleva parlare con il presidente. “Sto dietro al fatto, che da un momento all’altro può realizzarsi, di un attentato alla vita del presidente Riches: da parte del mio Cres o dei suoi gruppuscoli.”78 Rogas ha già preso un appuntamento con il presidente della Corte Suprema e dopo aver finito di discutere con il capo della polizia, si è diretto verso il suo appartamento. Parlano a lungo sui casi e processi dei giudici e soprattutto sul trattato che Riches ha scritto su Voltair. Hanno discusso anche sulle differenze tra le leggi in diversi stati. “Perchè lei sta commettendo l’errore di considerare delitti locali quelli che sono invece universali ed eterni, cioè dovunque e sempre puniti. Quei delitti contro la legittimità della forza che soltanto la forza, rovesciandosi dalla loro parte, può cancellare come delitti e assumere nella forma, inalterabilmente pronta a riceverla, di ingresso di dio nel mondo.”79 Rogas vuole convincere il presidente Riches che Cres era stato condannato ingiustamente, ma lui lo rifiuta argomentando che la decisione del giudice è infallibile. Uscendo dall’appartamento, Rogas incontra un uomo. È convinto che quell’uomo sia Cres, ma non può fare nulla. Durante il viaggio di ritorno a casa si accorge che viene seguito dalla polizia CIS (Centro Informazioni Speciali). “A differenza degli americani di uguale professione, modelli cui tentavano di conformarsi, gli agenti del CIS indulgevano più del dovuto alla buona tavola (il fondo spese) e meno agli esercizi ginnici e sportivi prescritti dalla loro regola con la stessa frequenza che le preghiere in quella dei benedettini.”80 Un agente apre un giornale in cui, sulla prima pagina, c’è la notizia sulla morte dell’altro giudice. Rogas non smette di pensare a Cres, e soltanto ora ha capito cosa vuol dire quando uno è

77SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.85. 78Ivi, p.88. 79Ivi, pp. 100 -101. 80Ivi, pp. 104-105. considerato come un animale cacciato, e prova la compassione per lui. Pensa che cosa farebbe se fosse al posto suo. Il giorno successivo decide di pranzare con il suo vecchio amico Cusan. Sapendo di essere seguito dagli agenti del CIS, cerca di scrollarseli di dosso. Quando si rassicura che ce l’ha fatta, va a pranzo. “Cusan era uno scrittore impegnato: e perciò cadde in profonda costernazione a trovarsi coinvolto nell’impegno di quei segreti, di quei pericoli.”81 Insieme decidono che la soluzione migliore sarebbe di raccontare i propri sospetti e le informazioni acquisite ad Amar, il presidente del partito opponente. Rogas decide di incontrarlo di persona nella Galleria Nazionale. Intanto Cusan aspetta notizie da lui. Quando passa il fine settimana, viene a sapere che Rogas e Amar sono stati fucilati nella Galleria Nazionale. La notizia era: “Stamane alle undici, in una sala della Galleria Nazionale, un gruppo di un uomo dall’apparente età di quarant’anni. La polizia subito accorsa ha identificato nel morto l’ispettore Americo Rogas, uno dei più noti e abili investigatori del corpo, e ha sommariamente accertato le cause della morte: tre colpi di arma da fuoco. L’ispettore stringeva nella destra la pistola d’ordinanza … Ma altra e più grave scoperta facevano immediatamente dopo gli agenti di polizia: nella sala vicina giaceva, anche lui ucciso da colpi di arma da fuoco, probabilmente la stessa, il segretario generale del Partito Rivoluzionario Internazionale Amar.”82 La polizia capisce la loro morte come una sfortunata coincidenza dei fatti. L’ipotesi dei poliziotti è che Rogas abbia voluto impedire all’assassino di uccidere Amar. Questa notizia si confonde con un’altra che annuncia l’uccisione del presidente Riches. Ma Cusan sa la verità. “Cusan sapeva da chi e come il presidente Riches era stato ucciso. Sapeva che non per caso Amar e Rogas si erano trovati alla Galleria Nazionale. E sapeva, credeva di sapere, da quel che sapeva facilmente immaginava, che appunto il loro incontro (quello che Rogas aveva detto ad Amar, quello che Amar avrebbe mosso dalle rivelazioni di Rogas) si era voluto sigillare nella morte. [...] Ma per Cusan era più facile, e incontrovertibile, immaginare che il pedinato fosse Rogas: e da un agente del CIS opportunamente barbato e travestito.”83 Cusan, impaurito dal pedinamento da parte del CIS, scrive una lettera in cui dichiara tutto ciò che sa, e la nasconde in casa. Il giorno dopo chiama un amico chiedendogli di organizzare un incontro tra lui e il vice segretario generale del Partito Rivoluzionario. “Mercoledì pomeriggio, alle quattro, chiamò un taxi e si fece portare alla sede centrale del Partito Rivoluzionario.”84 Il vice segretario lo vuole convincere che Rogas ha ammazzato l’Amar ma Cusan non ci crede. “Mi ascolti: sabato mattina Rogas andò alla Camera dei Rappresentati, riuscì ad avvicinare Amar, gli parlò di un complotto che aveva scoperto.”85 Cusan non riesce a vendicare la morte dell’amico nè dei giudici e di conseguenza la verità non

81SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.111. 82Ivi, p.114. 83Ivi, p.118. 84Ivi, p.123. 85Ivi, p.125. viene allo scoperto.

Il tempo del racconto non è preciso. Occorrere a metà degli anni 60. Il 25 ottobre 1958 la signora Cres accusa suo marito del tentato omicidio. Cinque anni dopo Cres comincia ad ammazzare i giudici. L’indagine di Rogas dura circa due settimane.

Il posto è immaginario. Durante l’indagine Rogas viaggia molto in varie piccole città vicine. Alla fine torna nella capitale. “Ad un certo punto la storia cominciò a muoversi in un paese del tutto immaginario; un paese dove non avevano più corso le idee.”86

I personaggi principali sono l’ispettore Americo Rogas e Cres. I personaggi secondari sono Galano, Cusan e molti altri. L’ispettore Americo Rogas è molto intelligente e famoso: “il più acuto investigatore di cui disponesse la polizia.”87 Ha dei principi morali che spesso lo portano in pericolo. Cerca di risolvere gli omicidi dei giudici ma senza un risultato positivo. Il suo sesto senso lo porta, sin dall’inizio, sulla traccia dell’assassino. Rogas è conosciuto come una persona molto educata. “«Lei è quasi un letterato». Con tono che voleva essere cattivante ma lasciava trasparire scherzo e disprezzo: che Rogas aveva quella malafama, tra superiori e colleghi, e per la chiarezza, l’ordine e l’essenzialità delle sue relazioni scritte.”88

Durante il racconto Rogas cambia da un poliziotto che obbedisce agli ordini a uno che li viola. La conversazione con il ministro e la persecuzione dai CIS gli fanno cambiare idea. “Che quell’ispettore di polizia, che i giornali dicevano tenacemente ma vanamente impegnato a dargli caccia, era in effetti passato dalla sua parte.”89 Decide di lottare contro i politici corrotti, il governo che fa i patti con la mafia, i giudici che mandano gli innocenti in prigione. Questa lotta non gli porta niente di buono. Seguito per giorni dai CIS, scopre una cospirazione e quando decide di pubblicarla viene ucciso.

Cres è condannato per tentato omicidio di sua moglie e ottiene 5 anni di prigione. Aveva lavorato come farmacista ma dopo esser uscito dalla prigione non riesce a riprendere il lavoro. Cres si chiude in casa, esce poco e ha solo un vecchio amico, il dotor Maxia. Lui lo descrive come una persona

86SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.132. 87Ivi, p.14. 88Ivi, p.59. 89Ivi, p.106. molto timida con un comportamento riservato. In più nota che Cres parla della cronaca nera e soprattutto dei casi d’omicidio. La descrizione fisica: “Fu diramata la descrizione di un uomo alto un metro e settantacinque, magro, dentatura perfetta, naso leggermente aquilino; preferiva vestirsi di grigio; disponeva di molto denaro.”90 La motivazione delle sue azioni è la voglia di vendicarsi a tutti quelli che l’hanno condannato. Ha un piano metodico come ammazzare tutti i responsabili. Cambia identità ed anche il fisico. “Com’è? Fisicamente, dico … Ah, un bell’uomo... Una faccia da portoghese: vuol dire scura, no? … E capelli bianchi: benissimo... ”91 Cambia il nome da Cres al signor Ribiero, un commerciante portoghese. Riesce a realizzare il suo piano diabolico di ammazzare tutti i giudici e i responsabili.

Galano è il direttore della rivista Rivoluzione permanente. Si ritiene di essere un rivoluzionario ma l’opinione di Nocio, l’anfitrione, è differente. “Detto tra di noi, io non posso soffrirlo: è un piccolo, isterico intellettuale di provincia. Che dico, intellettuale? È uno di quei cretini che danno l’illusione del discorso intelligente.”92 Nocio lo accusa di essere uno scrittore borghese ma in realtà lo è anche lui perchè vive nello stesso lusso. Nonostate tutto questo riesce a organizzare un tranello ai danni del capo della sezione politica.

Cusan “era uno scrittore impegnato: e perciò cadde in profonda costernazione a trovarsi coinvolto nell’impegno di quei segreti, di quei pericoli. Ma era un uomo onesto, un amico leale.”93 È un vecchio amico di Rogas. Essendo uno scrittore, ha la possibilità di mettersi in contatto con Amar, il presidente del partito oppositivo. Dopo aver sentito la notizia della morte di Rogas e Amar, capisce che anche la sua vita è in pericolo. Decide di scrivere una lettera con tutte le informazioni ottenute da lui e di nasconderla in casa tra i suoi libri. Sapendo la verità rifiuta le notizie false su Rogas il quale è stato accusato di aver ammazzato Amar. In fin dei conti Cusan è un personaggio passivo perchè pur avendo tutte le informazioni, decide di tacere per salvarsi la vita.

90SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia, Milano : Feltrinelli, 2000, p.54. 91Ivi, p.107. 92Ivi, p.61. 93Ivi, p.111. La rappresentazione della mafia nei libri di Sciascia

Sciascia ha scritto tutti e tre libri nell’arco di undici anni. L’autore colloca le trame delle sue opere all’inizio degli anni sessanta. Le storie, Il giorno della civetta e A ciascuno il suo, si svolgono in Sicilia nei pressi della capitale Palermo. Invece il libro Il contesto si riferisce a un paese immaginario che con i piccoli villaggi assomiglia alla Sicilia. Il narratore si presenta in forma simile in tutti e tre i libri. È esterno, neutrale e non partecipa alla trama principale. Entra nei pensieri di più personaggi. Per le descrizioni e la narrazione l’autore usa la terza persona del singolare. Il personaggio principale è sempre un investigatore giovane e intelligente che riesce a scoprire la verità, la quale in due casi gli viene fatale. Nel libro Il giorno della civetta il capitano Bellodi sopravvive ma la sua lotta contro la mafia fallisce quando è costretto a tornare al paese natale, in Emilia Romagna. All’opposto, il personaggio principale del libro A ciascuno il suo, il professor Paolo Laurana, scopre gli assassini del suo amico, il dottor Roscio. Mentre indaga, scopre un complotto della mafia e alla fine della storia muore. In una situazione simile si trova anche Rogas, il quale nell’opera Il contenuto scopre un complotto nei posti più alti della società. Le regole della mafia, quelle più conosciute, sono descritte in tutti i libri presi in considerazione. Le opere Il giorno della civetta e A ciascuno il suo sono state scritte all’inizio degli anni sessanta quando le regole della mafia non erano ancora conosciute dai processi giudiziari degli anni ottanta. In questi libri Sciascia ritrae la mafia in un modo che conosceva dalle osservazioni e dai miti della Sicilia e la rappresenta nascosta, capace di impaurire tutti i cittadini. La gente ne sa, ma nessuno ne parla. La regola dell’omertà, cioè del silenzio, viene riconosciuta sia tra i mafiosi, sia tra la gente comune. Questa legge del silenzio è ricordata in entrambi i libri.

Il giorno della civetta

L’opera letteraria Il giorno della civetta descrive non solo i crimini della mafia ma anche il modo di vivere in Sicilia negli anni cinquanta. Il romanzo viene pubblicato nell’anno 1961. Nell’opera sono ricordati anche gli eventi importanti dagli anni cinquanta come ad esempio Cassa del Mezzogiorno che doveva sostenere il sud dell’Italia, oppure il boom economico che aveva portato allo sviluppo dell’economia italiana. Lo sviluppo economico tocca anche il settore edilizio. Nell’edilizia le ditte si arricchiscono soprattutto con l’aiuto della mafia. Nè il governo, nè gli altri organi statali prendono in considerazione questi fatti. Pur essendoci le prove che confermano un’attività illecita, non bastano per accettare realmente l’esistenza della mafia che si sta impadronendo del potere e si allarga. Sciascia inizia il romanzo con l’immagine di una delle forme elementari di estorsione praticate dalla mafia, il cosiddetto pizzo. In pratica si tratta di un’esazione dei soldi incassati dalle imprese che garantisce la protezione dell’attività da parte dei criminali. È un ciclo chiuso, dove la vittima paga ai criminali per evitare i problemi. A sentire Giovani Falcone “Agli inizi il racket veniva attuato con un certo pudore, sotto mentite spoglie, quasi cercando possibili giustificazioni: si chiedeva un «contributo» a un negoziante invocando, per esempio, la necessità per l’organizzazione di provvedere ai bisogni di chi stava in prigione. In cambio dei versamenti, un tempo molto meno diffusi di quanto si ritiene, la vittima dell’estorsione riceveva la garanzia effettiva da parte di Cosa Nostra che la sua bottega o la sua attività di artigiano sarebbero state protette.“94 Un caso simile è descritto da Falcone nel suo libro Cose di cosa nostra “Non c’è dubbio, per esempio, che quando un mafioso vuole intimidire una impresa edile comincia facendogli saltare in aria la scavatrice. Se ha a che fare con un’impresa di nettezza urbana, darà fuoco a una benna.“95 Un’altra legge della mafia che viene descritta in questo libro è quella dell’omertà, cioè del silenzio. A sentire Falcone “È chiara l’importanza di una scoperta del genere per le nostre indagini, per il processo, per la comprensione di quel che succedeva in quel momento all’interno della mafia dove l’omertà – la legge del silenzio – continua a essere la regola. Era la conferma dell’unità di Cosa Nostra.“96 Questa legge non vale solo per i mafiosi ma anche per la gente comune che per paura preferisce tacere invece di accusare un mafioso del crimine. Nel libro Il giorno della civetta durante la caccia ai colpevoli, l’investigatore dovrà capire e oltrepassare il problema dell’omertà per ottenere i nomi dei presunti assassini, però la paura dalla

94FALCONE, Giovanni. Cose di cosa Nostra. In Cose di cosa Nostra. [s.l.] : Fabri editori, 1995, p.126. 95Ivi, pp. 33-34. 96Ivi, p.24. mafia si trasforma in una barriera del silenzio che non permette a nessuno di trovare la verità e di condannare i colpevoli. Nemmeno i parenti delle persone uccise, hanno il coraggio di accusare gli assassini per la paura di morire. Preferiscono scrivere una lettera anonima invece di puntare il dito contro il colpevole. L’idea della lettera anonima si ripete anche nell’altro libro di Sciascia, A ciascuno il suo. Nel libro Il giorno della civetta l’investigatore considera la lettera come un indizio fondamentale per scoprire la verità e quindi cerca di trovare la persona che l’ha scritta. Invece nel libro A ciascuno il suo, la lettera non viene presa così seriamente e questo causerà la morte dell’investigatore. In tutti i libri, gli assassini restano impuniti. In più gli investigatori sono stati ammazzati tranne che nel libro Il giorno della civetta. Il capitano Bellodi si trasferisce al nord d’Italia e durante la sua mancanza gli imputati mafiosi sono liberati grazie alle connessioni che hanno con le persone potenti. Questo dimostra l’influenza della mafia sui personaggi più alti della società.

A ciascuno il suo

L’opera è scritta come un romanzo giallo. Tratta il modo di vivere in Sicilia e raffigura i problemi quotidiani collegati alla vita e alla sopravvivenza, ma anche il problema più grave, quello della mafia. All’inizio non si trovano tracce che avvertano la loro presenza. Passo dopo passo si scopre che i mafiosi hanno le mani dappertutto. L’unico che non lo capisce è il professor Laurana. Durante la sua indagine riscopre i fatti mafiosi e alla fine perde il suo punto di vista idealista sulla vita. Sembra che tutti sappiano sulla mafia più di lui. Citando dal testo la replica dell’arciprete: “Vede, quello là» cioè il povero farmacista «aveva le sue tresche. Non se ne sapeva niente, d’accordo. Fatto sta che è stato prima avvisato e poi ammazzato: che è il procedimento tipico della vendetta. E il mio povero nipote c’è andato di mezzo.“97 La vendetta è considerata un’altra legge della mafia. Sciascia illustra i fatti mafiosi già radicati profondamente nella società siciliana. Oltre ai personaggi negativi da cui si prevede la pratica delle attività mafiose, ci sono anche i personaggi positivi che usano queste attività illegali. Per esempio il dottor Roscio il quale è considerato un personaggio buono, intriga contro sua moglie. Citando dal testo: “Sì, personale... E mi avrebbe detto o tutto, con i documenti in mano, o niente...E ti confesso che quando gli ho sentito dire che ancora aveva da decidere se dirmi tutto o niente mi sono sentito un po’ a disagio... Ho avuto l’impressione che quei documenti, e quel suo venire da me, fossero in funzione di una specie di ricatto: se la cosa fosse andata bene, niente; e se fosse andata male, di nuovo da me, col dossier...“98 Oltre alla società siciliana, Sciascia fa notare anche le differenze tra nord e sud, in modo da far comprendere la cattiveria nel mondo. Dal libro: ”Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c’è un morto e c’è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l’assassino: e il vivo da aiutare è appunto l’assassino.”99 Nel sud, quasi in ogni famiglia è presente la mafia. Dal testo sembra che conoscere o avere un mafioso come parente sia una cosa normale. Dal libro: “.... ed anche una durezza di giudizio che mi ha fatto pensare a sua madre... Mia moglie veniva da una famiglia di gabellotti, gente che tra il ventisei e il trenta ebbe il suo da fare, a districarsi dalla rete che Mori le aveva gettato sopra... E no, non amava il prossimo suo, mia moglie... Ma forse è più giusto dire che non capiva: e nessuno l’aveva mai portata al grado di capire, e io meno di ogni altro...”100 Solo il protagonista non interpreta bene le tracce che portano alla mafia. Non vede i fatti che

97SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p. 18. 98Ivi, p.28. 99Ivi, p.32. 100Ivi, p.31. sono evidenti agli altri. Per esempio il parroco della chiesa parla di Rosello come il più grande mafioso della città. “«Un notabile che corrompe, che intrallazza, che ruba... Lei a chi penserebbe?» […..] «Limitiamoci al paese» disse Laurana. «Rosello, l’avvocato Rosello.»”101 Il parroco capisce gli intrallazzi di Rosello. “Ma, ripeto, Rosello è il più grosso [....] un cretino non privo di astuzia, uno che per raggiungere una carica o per mantenerla (una carica ben pagata, s’intende) passerebbe sul cadavere di chiunque... Tranne che sul cadavere di suo zio l’arciprete, naturalmente.» [….] Rosello fa parte del consiglio d'amministrazione della Furaris, cinquecentomila lire al mese, e consulente tecnico della stessa Furaris, un paio di milioni all’anno, della banca Trinacria, un altro paio di milioni, membro del comitato esecutivo della Vesceris, cinquecentomila al mese; presidente di una società per l’estrazione di marmi pregiati, finanziata dalla Furaris e dalla Trinacria, che opera, come tutti sanno, in una zona dove un pezzo di marmo pregiato non si troverebbe nemmeno se ce lo portassero apposta [...] E veniamo ora ai suoi affari privati, che io conosco solo in parte: aree edificabili, nel capoluogo e, si dice, anche a Palermo; un paio di società edilizie in mano; una tipografia che costantemente lavora per uffici ed enti pubblici; una società di trasporti... Poi ci sono più oscuri affari: e qui è pericoloso, anche per pura e disinteressata curiosità, tentare di annusare... Le dico soltanto questo: se mi confidassero che passa dalle sue mani anche la tratta delle bianche, ci crederei senza che me lo giurassero.»”102 Sembra che quasi ogni siciliano riesca a riconoscere le persone pericolose, cioè quelle che fanno parte della mafia. Anche Laurana, pur essendo un idealista, riconosce un mafioso che incontra nel palazzo di giustizia. Come viene scritto nel testo: “E intanto guardava con vaga curiosità la persona che era in compagnia di Rosello e dell’onorevole e che si era tirata in disparte. Un galoppino dell’onorevole o un cliente di Rosello. Un uomo di campagna, evidentemente: ma quel che nel suo aspetto incuriosiva era il contrasto che le lenti, dalla leggera montatura metallica, di quelle che portano gli americani di una certa età, alla Truman insomma, facevano sulla sua faccia larga, dura, cotta dal sole. E forse nell’impaccio di sentirsi oggetto di curiosità, sia pure vaga e distratta, l’uomo tirò fuori dalla tasca un pacchetto, dal pacchetto un sigaro.”103 Purtroppo non conosce il suo status sociale. Mi sembra che lo prenda più come un guardaspalle, ma lui è di più, è uno degli assassini mafiosi. È proprio detto nel libro: “Soltanto l’istinto, in lui come in ogni siciliano affinato da un lungo ordine di esperienze, di paure, lo avvertiva del pericolo: così come il cane sente nella traccia del porcospino, prima ancora di avvistarlo, lo strazio degli aculei; e lamentosamente guaisce.”104 La paura che proviene dai mafiosi viene raffigurata nelle piccole trace nel libro. Sciascia non attribuisce un nome al mafioso ma lo chiama “uomo di Montalmo“ per aumentare la tensione e la paura nel lettore. Nel capitolo seguente però si riscopre il suo vero nome “Ragala”. Apparteneva ad una classe di mafia molto alta che viene chiamata gli intoccabili. Com’è scritto nel testo: “«Si chiama Raganà ed è un delinquente.»

101SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.38. 102Ivi, pp.38-39. 103Ivi, pp. 42-43. 104Ivi, p.44. «Esatto: uno di quei delinquenti incensurati, rispettati, intoccabili.» «Lei crede che sia ancora oggi intoccabile?» «Non lo so, probabilmente arriveranno a toccare anche lui... Ma il fatto è, mio caro amico, che l’Italia è un così felice paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacoli vuol dire che già se ne è stabilita una in lingua... Ho visto qualcosa di simile quarant’anni fa: ed è vero che un fatto, nella grande e nella piccola storia, se si ripete ha carattere di farsa, mentre nel primo verificarsi è tragedia; ma io sono ugualmente inquieto.»”105 Nell’opera Sciascia spiega i metodi non legali, tangenti. Nel testo: “Quarant'anni fa, le posso anche dare ragione, una mafia grande ha tentato di schiacciare la piccola... Ma oggi, via... Le pare che oggi sia la stessa cosa?» «Non la stessa cosa... Però, senta, le voglio raccontare a modo di apologo un fatto che lei certamente conosce... Una grande industria decide di costruire una diga, a monte di una zona popolata. Una diecina di deputati, avvalendosi del parere dei tecnici, chiedono che la diga non si faccia: per il pericolo che verrebbe ad incombere sulla zona sottostante. Il governo lascia costruire la diga. Più tardi, quando è già costruita e in funzione, si leva qualche avvertimento di pericolo. Niente. Niente finchè non succede quel disastro che alcuni avevano previsto. Risultato duemila persone morte... Duemila persone: quante i Raganà che prosperano qui ne liquidano in dieci anni... E potrei raccontarle una quantità di altri apologhi, che peraltro lei conosce benissimo.»”106 Un caso simile crea il tema principale dell’altro libro Il giorno della civetta. La mafia è rappresentata senza il nome e la faccia ed è scoperta tramite la narrazione.

105SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo, Milano: Adelphi, 2004, p.48. 106Ibidem. Il contesto

Sciascia ha collocato la trama del libro in un paese immaginario degli anni 60 del ventesimo secolo, che assomiglia all’Italia. Negli anni settanta del secolo passato l’insoddisfazione della situazione politica in Italia sfocia nella nascita di gruppi rivoluzionari e di attacchi terroristici. Si creano molti gruppi estremistici tra cui eccellono le brigate rosse. In questo libro Sciascia raffigura gli eventi di quegli anni trasmessi in un mondo immaginario. I gruppi rivoluzionari che non vanno d’accordo con il governo sono rappresentati come i corrispondenti della rivista rivoluzionaria La rivoluzione permanente e in gruppo neo-anarchico Zero. Ugualmente come in Italia, anche qui i gruppi rivoluzionari appartengono all’alta società. Inoltre, sia in realtà sia nel libro troviamo un legame tra i partiti politici ed i criminali. Negli anni settanta l’Italia si ferma, quando il sistema della democrazia si blocca e non ammette alcuna scelta della politica nel paese. Si crea un monopolio politico del partito DC che resta al governo nonostante gli scandali di corruzione. Cresce la connessione tra i membri dei partiti politici e la mafia. Un simile collegamento con i criminali si può notare nel libro. Gli eventi ai quali Rogas è stato presente, capisce la collaborazione dei politici con la mafia. Succede ad esempio l’incontro tra gli importanti funzionari politici.

Molti critici e pubblicisti descrivono Sciascia come un autore che è riuscito a prevedere gli eventi accaduti in Italia negli anni successivi, come ad esempio quando la mafia si è infiltrata tra i posti più alti della società. Quest’opera letteraria è diversa dalle altre due. Soprattutto per il modo di agire di nascosto della mafia. Invece, nelle altre opere si parla apertamente dell’esistenza dei membri e delle loro azioni. In questo libro gli atti criminali sono assegnati a singole persone che rifiutano un collegamento con la mafia. Sciascia riscopre un complotto politico in cui alla mafia non serve più ricattare i piccoli proprietari o collaborare con gli criminali insufficienti della campagna. Crea un mondo in cui la mafia è radicata profondamente nella società, la quale per i lavori sporchi usa la polizia segreta dello stato. Qui troviamo un’analogia con la polizia segreta CIS. Sciascia scrive che assomigliava alla polizia segreta americana FBI. All’opposto del CIS, in realtà esiste la polizia segreta detta SID, cioè il servizio informativo della difesa.

Conclusione

Nel mio lavoro ho cercato non soltanto di analizzare come la mafia viene raffigurata nei libri di Leonardo Sciascia, ma ho anche cercato un collegamento tra il mondo reale ed il libro. Gli appunti che ho usato nel mio lavoro sono stati presi da libri, da film e da varie fonti reperibili in internet, e spero che la mia tesi, almeno in parte, chiarisca come funziona la mafia, un fenomeno che finora molesta l’Italia. Si può osservare la premura di Sciascia di far vedere anche la faccia crudele della mafia, ma nella narrazione di Sciascia resta sempre un’organizzazione idealizzata. Le vittime delle opere di Sciascia rompono le leggi della mafia, spesso inconsapevolmente, e quello gli viene fatale.

La mia l’aspirazione è stata quella di di presentare l’opera di Sciascia che è un avvertimento del pericoloso fenomeno dell’organizzazione criminale. Come uno dei pochi autori è riuscito ad avvicinare ai lettori tale fenomeno in un grande numero di romanzi gialli.

Bibliogafia

1. DICKIE, John. Cosa Nostra : dějiny sicilské mafie. 1. ed. Praha : Fortuna Libri, 2009. 503 p. ISBN: 9788073214975 2. LUPO, Salvatore. Dejiny mafie od jej vzniku po súčasnosť. 1. ed. Bratislava : Kalligram, 2002. 309 p. ISBN: 8071494437 3. SCIASCIA, Leonardo. Il contesto : una parodia. 2. ed. Milano : Feltrinelli, 2000. 118 p. ISBN: 8807815230. 4. SCIASCIA, Leonardo. Il giorno della civetta. 6. ed. Torino : Einaudi, 1975. 120 p. 5. SCIASCIA, Leonardo. A ciascuno il suo. 6. ed. Milano: Adelphi, 2004. 73p. ISBN: 884591514 6. ČARDŽIĆ, Jasmin. La mafia oppure una cosa inesistente, in Masarykova Univerzita, a cura di N. BRUZLOVÁ, Brno. 2005. 7. LO VERME, Angelo. La mafia, la sicilia e Leonardo Sciascia, Canicattí, 2006. 70 p. [reperibile su internet], [consultato il 1 giugno 2011].

8. FALCONE, Giovanni. Cose di cosa Nostra. In Cose di cosa Nostra. [s.l.] : Fabri editori, 1995. 144p.

9. CRISANTI, Gabriele. Dokumentarni cyklus -Mafie [CD-ROM]. Praha: Česká televize, 2002 [consultato il 1 giugno 2011].