I Guardiani Degli Elefanti (Meglio Fare Il Cantante Che Lavorare!)
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
[ Eraldo Di Vita ] I Guardiani degli Elefanti (Meglio fare il cantante che lavorare!) Intro Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Introduzione Il mondo della canzone italiana viene sconvolto da uno spietato serial killer che uccide i cantanti in modo misterioso e violento. L'autore, che ha diretto per trentasei anni gli uffici stampa delle case discografiche più importanti in Italia (Voce Del Padrone, Dischi Ricordi, Fonit Cetra), con questo "giallo" trova il pretesto per raccontare al tenente Bianchi della Omicidi di Milano, durante le indagini sui delitti, i suoi rapporti con tutti gli artisti che hanno fatto parte del suo lavoro: Beatles, Sinatra, Ray Charles, Edith Piaf, Renis, Donaggio, Albano e Romina, Adamo, Bècaud, Distel, Grace Jones, Shirley Bassey,Patty Pravo, Milva, Cliff Richard, Beach Boys, Dean Martin, De Andrè, Minghi, Mango, Jannacci, Mietta, Franco Califano, Mia Martini, Rettore, Casadei, Eugenio Finardi, Nat King Cole, Bob Marley, Timi Yuro, Edoardo Bennato, Franco Battiato, Fred Bongusto, Richard Anthony, Magalì Noel, e tutti gli altri. Vengono così rivelati aspetti inediti e divertenti del circo che si muove attorno agli ELEFANTI (i cantanti), ai loro GUARDIANI (i discografici), ai giornalisti del settore, alla radio e alla televisione. Meglio fare il cantante che lavorare... Spinti da questa radicata convinzione centinaia di giovani, di mogli e di amanti, convinti che con le raccomandazioni e anche il denaro si possa ottenere tutto, compreso il talento, tentano ogni anno e con qualsiasi mezzo a disposizione la via dell' idolo nero, il disco, anche se oggi il supporto musicale non è più di nero vinile e il compact disc che ha preso il suo posto appare più luccicante di uno specchietto per le allodole. I maggiori responsabili di questa "deviazione mentale" sono i genitori di questi giovani, i mariti di quelle mogli e gli amanti di quelle signore, che invece di indirizzarli verso una regolare attività lavorativa, li aiutano ad inseguire il sogno del successo nello show business. Se il figlio fa parte del coro delle voci bianche della Parrocchia o ha ricevuto due applausi intonando una canzoncina al compleanno della nonna, nella mente bacata dei genitori balena immeditamente l'affare. La mamma si vede già ai bordi della piscina, col telefonino portatile incorporato alla mano, a prenotare biglietti aerei e il padre in giro con la Ferrari Testarossa a procurare serate milionarie per il figlio. Meglio fare il cantante che lavorare! Questo è il motto di una schiera di falliti che spesso hanno successo solo per la demenza di chi li ascolta. Le manifestazioni canore e i festivals di tutta Italia sono pieni di "canzonette" di questi pseudo artisti, convinti che la nostra Nazione non sia una Repubblica fondata sul Lavoro, ma sulla canzone e che gli avvenimemti di Unità Nazionale non riguardino la Resistenza e la Costituzione, ma il Festivalbar e il Festival di Sanremo. Quindi... Meglio fare il cantante che lavorare! Capitolo 1 Stavo guardando fuori dalla finestra, ma non riuscivo a distinguere niente. Al di là del mio naso c'era una fitta nebbia. "Tanto valeva che si suicidasse a martellate negli stinchi", disse Pierluigi Galimberti entrando nel mio ufficio senza preavviso, come faceva d'abitudine. "Con i soliti barbiturici non ci riuscirà mai." Aveva in mano un quotidiano dove appariva una foto su tre colonne di Loredana Bertè che, evidentemente , aveva tentato di uccidersi per l'ennesima volta. "I cantanti andrebbero ammazzati tutti da piccini", ribattei con convinzione. "Quando manifestano il desiderio di voler cantare ci vorrebbe il coraggio di tirar loro il collo come alle galline." "Oppure quando sbagliano un disco", aggiunse Pierluigi, che si occupava di vendite ed era più pratico di me. "Subito alla sedia elettrica, da collocarsi direttamente in sala d'incisione insieme al pianoforte e la batteria." "Non possiamo fare affidamento sul suicidio", replicai. "Sono favorevole alla pena di morte per i cantanti, quanto per i pedofili." Il dialogo fra Pierluigi e me si svolgeva il giorno antecedente al debutto del Medici al Teatro Smeraldo di Milano. Le smanie omicide mi venivano ogni qual volta dovevo organizzare una conferenza stampa o invitare i giornalisti ad un concerto. Doversi attaccare al telefono per chiamarli ad uno ad uno e pregarli, come si fanno pregare le figlie di troia di buona famiglia, mi faceva venire il voltastomaco. Avrei voluto mandare a fare in culo ognuno di loro e invece, come si addice ad un buon public relation man, dovevo essere gentile, convincente ed accondiscendente ad ogni loro richiesta. "Forse farò un salto", disse il preziosissimo Mario Luzzato Fegiz del Corriere della Sera. "Se ce la faccio passerò. Ma non ti prometto niente", rispose Marco Mangiarotti del Giorno. "Farò una capatina dopo la cena con Claudio Baglioni", tagliò corto Enzo Gentile della Repubblica. "Sai che quel cantante non lo sopporto", replicò semplicemente Cesare Romana del Giornale. Ero ogni volta in concorrenza con gli uffici stampa delle altre case discografiche, che presentavano dischi o festeggiavano il compleanno di qualcuno proprio in occasione dei concerti dei miei cantanti a Milano e sembrava che lo facessero appositamente per rompermi i coglioni. "Mi raccomando che ci siano tutti", mi telefonò il direttore artistico Felice Carretta."Il Presidente ci tiene molto. Che non accada come l'altra volta al concerto di Mango, che c'erano quattro gatti di giornalisti, quelli che non contano una minchia". In quei casi avrei voluto dar fuoco alla scrivania o, quanto meno, mi auguravo un inconveniente al cantante, come il morbillo o una colica renale. "La pena di morte, ecco cosa ci vorrebbe per i cantanti che falliscono. Fanno fiasco ad un concerto?Trac! Ghigliottinati" concluse Pierluigi mentre si apprestava ad uscire. In fondo, mi dicevo, se avevo ancora quelle reazioni era perché tenevo al mio lavoro di ufficio stampa. Lo facevo da trentasei anni. Mi ero costruite una reputazione e una vita a fatica, senza poterle vivere completamente a causa di quegli stronzetti di cantanti. Pensare che a montare la testa a quei presuntuosi avevo contribuito anch'io e non poco. Gli avvenimenti degli ultimi dieci mesi di ufficio stampa in quella casa discografica furono i più snervanti. Fino allora, dopo più di sette lustri passati in mezzo ai divi della canzone, il mio rapporto con i cantanti e i dirigenti discografici era stato molto distaccato e professionale. Raramente mi ero lasciato coinvolgere dai fatti insoliti e morbosi che accadevano nel mondo delle settenote. Tutto iniziò quella sera al teatro Smeraldo di Milano, che in quell'occasione era esaurito. Entrava gente di tutte le età. Si trattava di intere famiglie, come al cinema parrocchiale o al circo. Come sempre avevo invitato i giornalisti dei quotidiani e periodici, quelli che si occupavano di musica. Il concerto di Giulio Medici era un grande avvenimento per quel pubblico che lo vedeva per la prima volta dal vivo.La critica era, evidentemente, meno interessata. " E' così importante la critica?", mi domandò il tenente Bianchi della omicidi di Milano, che si dimostrò fin dall'inizio del caso appassionato di musica e molto interessato agli artisti. "E' determinante che i giornali parlino dell'artista e della sua attività", gli spiegai. "Se possibile che ne parlino bene. Per questo esistono gli uffici stampa, per avvicinare il pubblico che acquista i dischi all'artista. L'ufficio Stampa è spesso disposto a mentire pur di convincere la gente che quello che accade attorno all'artista è buono e interessante. "Ma se il pubblico sapesse cosa accade nella vita privata dei cantanti !", commentò il tenente nella speranza che accettassi la provocazione e incominciassi a parlar male di loro. Era un omone sulla cinquantina, la faccia rotonda e gli occhi anche troppo piccoli, in sovrappeso di almeno quindici chili, un poco sciatto. Per lui quello era un mondo del tutto nuovo e quasi incomprensibile. Era avido di sapere come si muovevano tutti quei personaggi che sembravano finti, cosa facevano e cosa pensavano. La curiosità del tenente Bianchi mi avrebbe indotto a raccontare fatti che non avevo mai rivelato a nessuno. Il suo interesse sarebbe diventato così morboso da voler penetrare anche nei particolari più scabrosi. "Gli uffici stampa servono anche a tener lontani i mass media dagli affari privati, a volte molto discutibili, dei cantanti, per esaltarne quelli pubblici", continuai per andare un po' incontro alla sua curiosità. " In generale ,tuttavia, sono tutti d'accordo che sia bene parlarne. E' meglio che si parli male di un artista che lo si ignori. Il pubblico non presta mai attenzione alla critica negativa. Pensa sempre che quel coglione di giornalista ce l'abbia col suo artista preferito. Quando Giulio Medici aveva iniziato la sua prima canzone stavo parlando, nella hall del teatro, con Mario Fegiz del Corsera. "E' un gran presuntuoso", mi stava dicendo mordicchiando il suo puzzolente sigaro toscano."Se non fosse così egocentrico potrebbe essere anche accettabile. Il divino Medici si presenta con una coreografia molto discutibile, dei testi parlati che fanno rabbrividire e senza l'orchestra. Usa spudoratamente il playback." "Con la grande orchestra non potrebbe allestire una coreografia così ricca di personaggi", lo stavo giustificando, "Il palco non è molto grande e il playback è più congeniale a questo tipo di spettacolo." Il Medici aveva terminato la sua terza canzone e il pubblico si stava spellando le mani con gli applausi. "Incredibile!", commentò il Mario."Non li capisco. Questo Medici ci ha provato in tutte le maniere. Sono più di dieci anni che insiste inutilmente e adesso, a trentacinque anni, gli arriva il successo tra capo e collo." "Ma è sempre così? Ci vuole così tanto per fare successo?." mi chiese il tenente Bianchi.