Claudio Di Marco

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Claudio Di Marco Compendio gratuito in occasione dell’emergenza Coronavirus. Versione originale modificata Claudio Di Marco Claudio Di Marco Caro Sport, ti scrivo… Viaggio attraverso il tempo e la passione: la Tuscia e la sua gente ci sono sempre Accademia Barbanera 2 Caro Sport, ti scrivo... Prefazione Ho avuto l'occasione di dirigere la Gazzetta dello Sport, all'inizio degli Ottanta ma ho preferito continuare a far ricco il Mio Guerino eppoi accettare il passaggio al Corriere dello Sport. Ero nell'ufficio dell'Editore Amodei, io da poco approdato a Piazza Indipendenza, quando mi passò una telefonata... milanese. Era Gino Palumbo, direttore della Rosea: "Perché a me hai detto no è a loro sì?" "Direttore, perdonami, loro hanno più campanili...". Non ebbi bisogno di ulteriori spiegazioni. Nato e cresciuto in provincia, maturato a Bologna ch'è un po' provincia un po' città, li ho capito che la mia passione per il calcio si sarebbe mossa intorno ai campanili, la tradizione italiana più bella. La provincia calcistica è tutta un derby come quelli di Genova, Torino, Milano, Roma; il derby provinciale di punta è ovviamente Chievo Verona-Hellas Verona ma potrei raccontare cose da matti di Rimini-Cesena, le mie amate Romagnole, o di Ascoli-Sambenedettese, di Terni-Perugia, di Livorno-Pisa, di Palermo-Catania, di Bari-Foggia, Salerno-Avellino, per non dire le piccole infuocate scaramucce dell'alto Lazio, della Ciociaria: in tutti quei luoghi sono stato o come redattore di Stadio, caporedattore del Carlino, direttore del Corriere dello Sport. Le chiamavo visite apostoliche. Mi divertivo con la partita della domenica, ma facevo certe cene il sabato sera! Era un modo di far calcio, quindi scoprire talenti fra giocatori e tecnici, ma anche politica sportiva: e infatti sono diventato 3 Claudio Di Marco l'Avvocato delle Provinciali, sempre pronto a battermi contro i ricchi prevaricatori e i distributori di Sudditanza Psicologica. Mi sono divertito e mi diverto ancora, felice di quel "no" alla Gazzetta che non ho mai rimpianto. Perché sono un eterno provinciale. Come te, caro Claudio. Italo Cucci Giornalista in SPE (Servizio Permanente Effettivo) Italo Cucci, grande direttore di tante testate giornalistiche, tra tutte, Guerin Sportivo e Corriere dello Sport 4 Caro Sport, ti scrivo... Caro Basket, ti scrivo … E’ stato sempre un grande amore, per me. Fin da ragazzo. Al pari del calcio e forse anche di più. Se non altro perché a giocarlo mi riusciva molto meglio. Con le mani – si potrebbe dire – andava molto meglio che coi piedi. Le prime partitelle alla scuola media e la prima “uscita ufficiale” sul vecchio campo in cemento di Porta Fiorentina. Erano i Giochi della Gioventù e la mia partita ebbe un risultato del tutto inadeguato per quel che riguarda la pallacanestro: zero a zero alla fine del primo tempo tra la “Cesare Pinzi” e la “Pietro Egidi”. Non ricordo come terminò, ma ricordo che la mia passione per quello sport proseguì, anche se – per vari motivi – non entrai mai a far parte di una squadra federale. Si giocavano tante partite, alcuni anni più tardi. Rigorosamente su campi in cemento, preferibilmente presso il Villaggio del Fanciullo a Viterbo, uno spazio ameno dove sono cresciute, dopo la nostra, almeno due generazioni di giovani. Uno spazio poi fagocitato dal cemento, un po’ come accadde nel “Ragazzo della Via Gluck”: ora ci sono i palazzi al posto di quell’oasi felice scoperta negli anni settanta. Partitelle contro chiunque, tornei inventati in cinque minuti, sfide epiche contro i Seminaristi spagnoli, che correvano tanto a pallone e si sapevano difendere anche giocando a pallacanestro. Gente eccezionale, che non si lamentava mai – chissà se per carità cristiana o altro – neanche quando un fallaccio da vecchio stopper, anziché da cestista provato, prendeva gli occhiali del tiratore e li spezzava in due. Si giocava al campo di Capodimonte, sul lungolago, durante le domeniche trascorse lì con gli amici del bar, quando in quel 5 Claudio Di Marco polo attrattivo balneare – l’unico abbordabile - ci si andava con il motorino. Si giocava tra insegnanti dell’Ipsia, si giocava tra amici e colleghi di Radio Etruria: qualsiasi occasione era buona per mettersi in calzoncini e ritrovare l’emozione di tirare ad un canestro. Si giocava in caserma, a Rieti, all’aeroporto Ciuffelli, dove un maresciallo appassionato di basket e dirigente della Minervini, ti portava qualche volta anche ad allenarti con la sua squadra – giocatori veri, non come noi – ed anche a giocare uno spezzone di amichevole con la Brina Rieti. Già, quell’esperienza indubbiamente ti fa innamorare ancor più di questo sport. Veder sbocciare in modo così esplosivo Zampolini e Brunamonti, veder sorgere la stella del compianto Willy Soujurner, piangere per la morte di Luciano Vendemini, non possono che farti sentire ancor più vicino a questa meravigliosa disciplina sportiva. Una passione talmente grande – unita al tempo libero che non mancava, durate i lunghissimi quattordici mesi di naja – da dedicarci diverse ore al giorno, archiviando tutte le partite di serie A e aggiornando meticolosamente la classifica dei cannonieri, snocciolando i vari Mc Daniels, Mc Millen, Morse, Mc Gregor, Brosterous, Tillman, Raga, Jura e tanti altri così. Tornati dal servizio militare ci si ritrovava in pochi intimi, rari appassionati, a vedere Tele Capodistria, l’unica tv che trasmetteva partite di basket dei campionanti esteri, il sabato pomeriggio. Magari ricordando una delle prime partite viste in tv: riprese in cui si vedeva maluccio, ma bastava e avanzava. Quello storico canestro di “Barabba” Bariviera, quello della vittoria contro gli Stati Uniti, quel gancio ai Mondiali di Lubiana. I maestri inarrivabili, quella volta, vennero superati da Bisson, Zanatta, Meneghin, Masini, Recalcati – oltre che dallo 6 Caro Sport, ti scrivo... stesso match winner – ed esplose l’orgoglio nazionale di quella Nazionale allenata da Giancarlo Primo, scomparso tanti anni dopo proprio nella Tuscia, in quel di Civita castellana, ormai da tempo fuori dai clamori del parquet. I GIOVANI DEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA. GLI ARBITRI Da lì a trarre grande soddisfazione scrivendo di basket il passo non fu lunghissimo. Erano gli anni d’oro, quelli di un ragazzo che sognava scrivendo articoli con la Olivetti “lettera 32”, che vedeva i suoi pezzi pubblicati su IL TEMPO come qualcosa di prodigioso. Traeva linfe incredibili da questo e faceva chilometri e chilometri sul motorino, un CF Minarelli, per poter arrivare a seguire più partite possibili, di qualsiasi disciplina sportiva. Basket compreso, s’intende. Come, ad esempio, un concentramento di basket femminile giovanile – per la precisione, la fase interregionale juniores - che si svolte nel ’74 alla palestra della Verità. Tantissime giocatrici in campo da guardare con attenzione: per le gesta atletiche, ma anche per via di qualche bella ragazza che non lasciava indifferente il giovane cronista. Una in particolare, la più brava di quel Sant’Orsola di Sassari che strappò applausi a raffica, Rosella Motzo, protagonista di più di un articolo, a cui ripensò qualche volta, anche successivamente. Così come una bella esperienza fu quella dei Campionati Internazionali Studenteschi. Stavolta, però, erano le amiche a informarsi in modo particolare sulle qualità dei baldi giovanotti che spaziavano da un canestro all’altro. Qualcuno di loro non disdegnava un sorriso al genere femminile seduto in tribuna e nasceva - anche in questo caso - qualche amicizia. 7 Claudio Di Marco Vinse quella manifestazione di Viterbo, a metà degli anni settanta, la Jugoslavia, che si impose in finale contro Israele, vincitrice dell’altro girone. Gli Jugoslavi si imposero in tutti gli incontri a disposizione, davanti ad un pubblico talmente numeroso che non entrava più nella palestra viterbese. Era chiaro: Viterbo aveva bisogno di un Palasport, che poi arriverà, insieme a qualche polemica - sulla gestione e sulle criticità strutturali - durata nel tempo. Ma dalla palestra della Verità aveva ancora tante cose da dire, come il torneo CSI del marzo ‘75, con finale tra IPB Stella Azzurra - che poi diventerà Perugina e quindi BancoRoma, che vincerà lo scudetto, trascinata da Larry Wright – e Pintinox Lazio. Quella finale vide la vittoria della Stella Azzurra, con tutti gli occhi puntati sui due Americani, che allora erano quasi una rarità, non certo la normalità di oggi. Johnson da una parte e Sorenson dall’altra mantennero le promesse, con 32 punti per il primo – in casacca biancoazzurra – e 30 per il portacolori di Valerio Bianchini, allora giovane rampante, che dalla parte opposta assisteva alle gesta di un collega già collaudato come Paratore. Gli arbitri? Ma chiaramente i Viterbesi Coccia e Fioretti, che hanno diretto migliaia di gare per anni: tutto ciò che c’era da arbitrare in zona, un po’ come l’altrettanto celebre coppia reatina, Cassar e Colarieti Nutrito il carnet europeo, con una serie corposa di arbitraggi, che del Basket Premio sbarazzina Libertas Cappuccini “inventata” da Guido De Alexandris, giocando insieme ai vari Angelucci (il più piccolo, Fabrizio, mentre il fratello maggiore, Stefano, ebbe anche l’occasione delle categorie superiori), Zaccani, Natale, Beccaria ed altri, tutti con canotta biancoverde, 8 Caro Sport, ti scrivo... che riuscirono anche a disputare le finali zonali a Canetra e Amelia. Ma ritorniamo indietro di una trentina di anni, al duo Coccia- Fioretti, con quest’ultimo che la sorte ha voluto strappare ancora in giovane età e addirittura su un campo di basket. Loro c’erano anche alla finale del Torneo “Fausto Di Marco”, quando un’altra Stella Azzurra, ma stavolta di Viterbo, superò i “cugini” della Di Marco – allenata dal compianto Franco Castellani - in finale, davanti anche alla Garbini e alla Libertas. I componenti di quella squadra erano: Catteruccia, Papale, Urbani, 9 Claudio Di Marco Lega, Matteucci, Gatti, Meloni, Malè, Bracaglia e Costa. Molti di loro riuscirono a farsi largo nel basket viterbese, anche a buoni livelli. Miglior giocatore del torneo, però, venne giudicato Mauro Ricci, uno che si alternava tra basket e calcio con estrema naturalezza.
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