Villaggio Crespi D'adda
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Giorgio Ravasio Crespi d’Adda La città del lavoro proficuo, dell’utopia sociale e della metafora architettonica www.crespidadda.it Crespi d’Adda La città del lavoro proficuo, dell’utopia sociale e della metafora architettonica. 2012, PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA. A mia madre e mio padre che hanno ostacolato tutte le mie scelte senza mai impedirmi completamente di seguire la mia strada. Un amico mi racconta che, durante la propaganda per la collettivizzazione, in un villaggio vicino al Danubio cercò di convincere un contadino riguar- do la superiorità dei nuovi metodi, al vantaggio di lavorare a orario fisso e in comune, come un fun- zionario, per raggiungere il maggior rendimento. Ma il contadino, che prudentemente non voleva dire né si né no, si limitò ad additare, come rispo- sta, un uccello che stava volando sopra di loro. Non osò parlare di libertà, ma ebbe il coraggio di indicarne il simbolo. Emile Marie Cioran 10 11 1 Introdursi Le ricostruzioni dello storico non sono mai com- plete perché manca sempre qualcosa, un residuo o alcuni frammenti che consentirebbero una rico- struzione diversa se riuscissimo a scoprire come metterli insieme o dove trovare i pezzi mancanti. La ricerca dell’autentica verità finisce così per ap- prodare a una serie di innumerevoli enigmi, pro- blemi e misteri contro i quali ci si scontra peren- nemente. Walter Prescott Webb 10 11 1 “Tra le infinite maniere di dar principio ad un libro, che og- gigiorno sono in uso in tutto il mondo conosciuto, ho fiducia che la mia sia la migliore; e sono certo che sia anche la più pia, perché comincio con lo scrivere il primo periodo e mi affido a Dio Onnipotente per il successivo”. Così Laurence Sterne1 avvia “La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo” e così dovrebbe essere per il viaggiatore che fa il primo passo, intraprende il tragitto, percorre il primo chilometro e, da quel momento in poi, segue quello che gli indica il cielo. Così farò io, e vi invito a seguirmi nel cammino che le prossime righe andranno ad intraprendere. Questo è un viaggio dentro una aspirazione industriale e alle origini di una utopia, in fondo ad una storia di macchine e di formiche, di ostinazione e di illusioni, di presunzione e di fatiche disumane. È il resoconto della testarda volontà di un uomo ricco, autoritario, ostinato a concretizzare i propri sogni, e di suo figlio che cercherà di realizzarli compiutamente. È la vicenda del luogo che doveva diventare, all’inizio di questa sto- ria, nel 1876, un modello ideale di vita ma che si è trasformato in una miraggio irraggiungibile, nel segno evidente di una de- cadenza prematura e ineluttabile. È l’appassionante cronaca dell’ascesa di una speranza e del declino di una ambizione. Ma non si faccia conto su di me, ventriloquo di questo cimelio che il tempo ha arbitrariamente conservato, semplice e fedele trascrittore delle azioni e dei pensieri di altri, per l’arduo com- pito di ricostruire nel dettaglio le vicende e la filosofia che si è fatta manifesta a Crespi d’Adda. In altri resoconti si ricerchino la minuzia e la precisione enciclopedica, superflui a rivelare la cadenzata andatura di una processione che ancora segna il passo sul sagrato. 12 13 Lì si farà palese come la storia possa essere riportata in tan- te differenti versioni quante sono le penne che hanno provato a raccontarla e come la memoria può assumere forme molto diverse: rassicurante come una tela che avvolge il passato e lo protegge o affilata come un pugnale che seziona gli avveni- menti e ne mostra i lati più sconosciuti. Qui, al di là del racconto cronologico e documentario di que- sta avventura, si è, invece, puntato a raggiungere il cuore del mistero della creazione di questa opera per rilevarne l’intima personalità, l’eccezione, lo spirito. Nelle pagine che seguono si è cercato di trasformare in filigrana, per fissarle su una materia meno labile di quanto lo sia la coscienza umana, e la mia in particolare, le riflessioni che mi hanno accompagnato nel ripe- tuto percorrere il geometrico reticolo stradale di questo luogo incantato, uno dei pochi dove è ancora possibile immergersi e annegare negli echi delle pitture di Mario Sironi2 e nelle parole di Simone Weil3. Ciò che si offre non è una analisi neutrale ma una ricerca impegnata ed estremamente parziale, dal mo- mento che limitata è anche la verità, accessibile solo quando prende posizione, senza, per questo, aspirare all’universalità. Jean de La Bruyére4 scrisse che “la gloria o il merito di certi uomini consiste nello scrivere bene, quello di altri consiste nel non scrivere”. Per questi motivi e per la mia ferrea educazione cattolica, mi preme, tenute in conto la brevità della vita e la prolissità del mondo, sconsigliare la lettura di questo testo a coloro che della tassonomia e della sottigliezza fanno oggetto di rigorosa e minuziosa ricerca5, invitandoli ad investire il poco tempo concessoci dal Signore su questa terra per meglio im- piegarlo su testi di maggiore illuminazione o in faccende più appaganti. Qualora invece il lettore faccia parte di quella nutrita schie- ra di convinti indecisi che già hanno intuito che l’architettura può essere qualcosa che si spinge oltre il semplice costruito e che desiderano, più di tutto, edificare il loro pensiero su fon- damenta di dubbio, lo pregherei di non rallentare il passo e proseguire la lettura del testo. Seguendo le parole stese sulle linee immaginarie di questi fogli si cercherà non di compren- 12 13 dere cosa è stato, cos’è e cosa sarà lo spiazzo di utopia scara- ventato dalle circostanze su questo fazzoletto di terra, ma di approfittare dell’occasione che la storia ci ha consegnato per comprendere l’uomo6, il suo spirito, i suoi orizzonti e quel suo eterno ed irrefrenabile desiderio di superarli. Forse anche per tale ragione, questo libro non è un romanzo e non è nemmeno un saggio, ma è solo un contenitore di pen- sieri, forse vaghi e confusi, e se leggendolo vi sembrerà poco, è perché proprio poco è. Ciononostante, sono sinceramente felice che questa opera si aggiunga, con cinica leggiadria, alle inutili pubblicazioni7 che negli ultimi anni sono state dedicate a questo villaggio operaio grazie a coloro che, con compiaciuto dilettantismo, si sono affannati a scrivere di questo sito come studenti che appuntano le materie di insegnamento a mano a mano che credono di apprenderle. Qui, caro lettore, si tratta di impressioni, di occhi che vagano e accettano il rischio di non captare l’essenziale perché magneticamente attratti dal superfluo. Una wunderkammer di idee e di congiunzioni, una macchina ottica le cui rifrazioni potrebbero incitarci a vedere il presente con uno sguardo differente. Chi scrive avrebbe potuto tranquillamente scegliere di riassu- mere al lettore, con la sottigliezza di un ricercatore e la minu- ziosa dovizia di un abate certosino, la storia di questo villaggio operaio e le vicende dei suoi abitanti, ma gli sarebbe apparso di descrivere una cattedrale dicendo che è un ammasso di pie- tre che culminano in una guglia8. Ma come il vocabolario della nostra lingua è un’abbondante miniera di concetti racchiusi ordinatamente in scarabocchi di inchiostro o in colonne d’aria fatte vibrare dalle corde voca- li9, così l’architettura è uno degli argomenti che dall’eccesso di chiarezza potrebbero essere danneggiati e, pertanto, bisogna sfidarne le contraddizioni rispettandone il profondo mistero. Scrisse William Least Heat-Moon10 che “un libro dovrebbe aprire mondi sconosciuti tramite le sue parole quanto i chilo- metri percorsi da un viaggiatore”. Se, alla fine di questo per- corso letterario e contemplativo, sarai la stessa persona che eri prima del tuo arrivo, il viaggio sarà stato perfettamente inutile. 14 15 Sarebbe stato meglio, almeno per l’economia del nostro paese, che fossi andato al supermercato. Penso a Ernst Bloch11 che ripeteva che ogni utopia ha il suo orario, sottolineando nei suoi testi l’esistenza di un treno della storia diretto da qualche parte e che arriva in qualche luogo ma che, inesorabilmente, passa. Pensando a Crespi d’Adda, condivido il pensiero per il quale, già nel momento della sua nascita, il sogno è superato e può servire alle generazioni fu- ture solo come reperto utopico, pensiero fossilizzato, monu- mento commemorativo. In fondo, non è possibile immaginare un qualsiasi cambiamento fondamentale nella nostra società che non sia dapprima annunciato liberando visioni irrealizza- bili come tante scintille sprizzate dalla coda di una cometa. La forma chimerica è di per sé una significativa riflessione sulla differenza, sull’alterità radicale e sulla natura sistemica della totalità sociale. In sé, anche questo libro è, a suo modo, una piccola utopia e, come tale, ha il suo orario. Finché saranno in tempo, vorrei che lo leggessero coloro che sono serenamente consapevoli che la confusione è il solo luogo dove ha un senso cercare la verità, senza correre, ovviamente, il pericolo di trovarla. Per loro ho lavorato a questo scritto ed è a loro che lo vorrei riservare. 14 15 Note 1 Scrittore irlandese vissuto tra il 1713 ed il 1768. 2 Nato a Sassari nel 1885, è il pittore che seppe meglio scorgere nelle tetre periferie urbane lo squallore metallico della città moderna, rappresentando, nelle sue opere, l’implacabile monotonia dei muri, la rigorosità delle palizzate e delle finestre, gli alti falansteri che fiancheggiano le strade rettilinee e la geometria, non meno brutale, dei tram e degli autoveicoli. Morì a Milano nel 1961. 3 Scrittrice e pensatrice parigina. Nata nel 1909, dopo aver insegnato filosofia, fece una esperienza di lavoro come operaia nelle officine Renault per vivere, sulla pro- pria pelle, le condizioni di vita nelle fabbriche.