Allma Mater Studiiorum – Uniiversiità dii Bollogna

DOTTORATO DI RICERCA

BIOTECNOLOGIE DEGLI ALIMENTI

Ciclo XXI

Settore scientifico disciplinare di afferenza: AGR/16

STUDIO DELLA MATURAZIONE DI FORMAGGI STAGIONATI IN STABILIMENTO E IN GROTTA

Presentata dalla dott.ssa: Elena Caffarri

Coordinatore Dottorato Relatore

Chiar.mo Prof. Chiar.ma Prof.ssa Giuseppe Losi Elisabetta Guerzoni

Esame finale anno 2009

Alla mia famiglia

Indice

Parte introduttiva ...... 1 Capitolo 1 Il formaggio ...... 3 1.1 Le origini del formaggio ...... 3 1.2 Definizione e classificazione ...... 5 1.3 Il formaggio Pecorino ...... 7 1.4 Tecnologia di produzione del Pecorino ...... 10 1.4.1 Preparazione del latte ...... 11 1.4.2 Coagulazione del latte ...... 12 1.4.3 Spurgo e rottura della cagliata ...... 14 1.4.4 Cottura e Salatura ...... 15 1.4.5 Maturazione e Stagionatura...... 15

Capitolo 2 Le G rotte di Santarcangelo ...... 19 2.1 Cenni storici...... 19 2.2 La Geologia delle Grotte ...... 20 2.3 Le Grotte pubbliche ...... 21 2.4 La Grotta Teodorani ...... 22

Capitolo 3 Eventi legati alla maturazione ...... 25 3.1 Maturazione nei formaggi ...... 25 3.1.1 Enzimi coagulanti ...... 27 3.1.2 Proteinasi del latte ...... 30 3.1.3 Batteri acido lattici – starter ...... 33 3.1.4 Batteri non-starter ...... 37 3.1.5 Catabolismo degli aminoacidi ...... 38 3.1.6 Catabolismo degli aminoacidi solforati ...... 41 3.2 Lipolisi ...... 43 3.2.1 Catabolismo degli acidi grassi liberi (FFA) ...... 47 Capitolo 4 Eventi responsabili della formazione di aromi ...... 51 4.1 Degradazione del lattosio ...... 51 4.2 Metabolismo del citrato ...... 53 4.3 Contributo della proteolisi allo sviluppo di aromi nel formaggio ...... 55 4.4 Contributo della lipolisi alla formazione di aromi ...... 58

Capitolo 5 Ammine biogene ...... 61

I

5.1 Amine biogene negli alimenti ...... 62 5.2 Tossicità delle ammine biogene ...... 64 5.3 Microrganismi produttori di ammine biogene ...... 66 5.4 Limiti di legge ...... 67 Capitolo 6 Microrganismi coinvolti nella maturazione del formaggio e fattori che ne influenzano la crescita .. 69 6.1 I batteri lattici ...... 72 6.1.1 Lactobacillus ...... 73 6.1.2 Lactococcus ...... 73 6.1.3 Streptococcus ...... 73 6.1.4 Leuconostoc ...... 74 6.1.5 Pediococcus ...... 74 6.2 I clostridi ...... 74 6.3 Pseudomonacee ...... 76 6.4 Bifidobatteri ...... 76 6.5 Batteri propionici ...... 76 6.6 Lieviti ...... 78 6.7 Muffe ...... 79 6.8 Starter ...... 80 6.9 Batteri lattici non-starter (NSLAB)...... 82 6.10 Interazioni microbiche nel formaggio ...... 83 6.11 Biodiversità microbica nei sistemi caseari ...... 84

Capitolo 7 Analisi sensoriale ...... 85 7.1 L’analisi sensoriale dei formaggi e il modello Etana ...... 86 Capitolo 8 Metodi per l’identificazione di microrganismi ...... 91 8.1 Polymerase Chain Reaction (PCR) ...... 91 8.2 ITS-PCR e RAPD-PCR ...... 93

Capitolo 9 Obiettivi ...... 97 Capitolo 10 Materiali e metodi ...... 101 10.1 Determinazione dei parametri ambientali delle grotte ...... 101 10.2 Realizzazione della sperimentazione...... 101 10.3 Analisi microbiologiche ...... 101 10.3.1 Substrati utilizzati ...... 102 10.3.2 Ricerca di specie patogene...... 105 10.3.3 Isolamento e pre-identificazione dei microrganismi ...... 106

II

10.4 Determinazione del pH e dell’attività dell’acqua ...... 107 10.5 Analisi del contenuto di ammine biogene ...... 107 10.5.1 Estrazione dei campioni (Pinho et al, 2001) ...... 107 10.5.2 Derivatizzazione (Maijala e Eerola, 1993) ...... 108 10.5.3 Condizioni cromatografiche ...... 108 10.5.4 Preparazione degli standard ...... 109 10.6 Caratterizzazione del profilo aromatico mediante analisi gascromatografica ...... 110 10.7 Analisi di acidi grassi liberi ...... 111 10.7.1 Estrazione ...... 111 10.7.2 Analisi gas-cromatografica degli acidi grassi estratti ...... 112 10.8 Valutazione organolettica dei prodotti ...... 112 10.9 Valutazione del processo di degradazione proteica ...... 115 10.9.1 Trattamento dei campioni per l’ottenimento delle frazioni solubili (surnatante) e insolubili (pellet) ...... 115 10.9.2 Elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di sodio-dodecil solfato (SDS-PAGE) ...... 116 10.9.3 Elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di Urea (Urea- PAGE) 119 10.10 Metodo di estrazione del DNA con CHELEX 5% per batteri Gram positivi (Walsh et al., 1991) ...... 121 10.11 Caratterizzazione genotipica mediante ITS-PCR ...... 122 10.12 Sequenziamento del gene 16S-r-RNA ...... 123 10.13 PCR specie-specifica per Lactobacillus brevis (Guarnieri, Rossetti e Giraffa, 2001) ...... 124 10.14 Multiplex PCR per Lactobacillus plantarum, Lactobacillus pentosus e Lactobacillus paraplantarum (Torriani, Felis e Dellaglio, 2001) ...... 124

Capitolo 11 Risultati e discussioni ...... 129 11.1 Caratteristiche chimico-fisiche dei formaggi ...... 129 11.2 Composizione microbica in rapporto all’ambiente di maturazione 131 11.3 Contenuto di ammine biogene nei formaggi in rapporto all’ambiente di maturazione ...... 135 11.4 Evoluzione del profilo lipolitico e dei componenti aromatici ...... 137 11.5 Valutazione sensoriale dei formaggi ...... 144 11.6 Profili proteolitici dei formaggi in rapporto all’ambiente di maturazione ...... 149 11.7 Microflora presente nei formaggi ...... 151

Capitolo 12 Conclusioni ...... 165

III

IV

Parte introduttiva

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Il formaggio

1.1 Le origini del formaggio

I processi di trasformazione dell’industria alimentare consistono generalmente in una serie di procedimenti sviluppati in epoche anche molto lontane e successivamente perfezionati con l’introduzione di metodiche e strumenti sempre più evoluti. Man mano che il progredire delle conoscenze consentiva di passare dal livello di pratica empirica a quello di processo controllato, si ottenevano prodotti più sani, gustosi, sicuri e conservabili. Anche il formaggio è un alimento dalle origini remote e rappresenta una delle prime trasformazioni biotecnologiche messe in atto dall’uomo. Ha sempre rappresentato nella cultura di ogni popolo un fattore di elevata importanza economico–alimentare. La “preistoria” del formaggio è rappresentata dai latti acidificati che venivano prodotti con il latte eccedente il fabbisogno famigliare ed il cui scopo era quello di poter conservare il più a lungo possibile un prodotto facilmente deteriorabile. Successivamente, è iniziata la produzione dei primi formaggi a pasta fresca e molle. Il latte caprino od ovino, lasciato in canestri, coagulava spontaneamente ed i tempi di tale fenomeno si riducevano notevolmente se veniva aggiunto lattice di fico o fiori di cardo. La parte più densa, che si rapprendeva ed acquistava una certa consistenza, veniva separata da quella più leggera o siero. I prodotti così ottenuti costituivano i primi formaggi, chiamati anche “giuncate”, perché prodotti in contenitori di giunco. Con l’avvento della civiltà Greca e Romana si è affermata l’arte di produrre il formaggio, alimento base dei contadini e dei pastori ellenici. La principale risorsa economica di queste

3 popolazioni era infatti costituita dall’allevamento ovi-caprino che consentiva lo sfruttamento dei pascoli più poveri e degradati, a differenza di quello bovino che richiedeva maggiori esigenze alimentari non compensate dalla produzione di latte, appena sufficiente per il mantenimento della prole. Si è sviluppata così la tecnologia di trasformazione del latte che ha determinato la nascita di differenti tipi di formaggi, tra i quali non solo quelli freschi e a pasta molle, ma anche a pasta dura, più idonei ad una prolungata conservazione. I Romani perfezionarono le tecniche casearie dei Greci, introducendo l’uso del caglio d’agnello come agente coagulante e considerando fattori fondamentali la temperatura di riscaldamento del latte, il modo di salatura e le condizioni ambientali, per ottenere una più idonea conservazione del prodotto (Vizzardi e Maffeis, 1990a). Dopo il 1100, l’aumento delle disponibilità foraggiere legato ad un miglioramento dei pascoli e dei prati ha stimolato l’ampliamento degli allevamenti da latte: ovino, caprino e bovino. Con lo sviluppo della zootecnia, il caseificio a carattere artigianale legato alla trasformazione del prodotto nel podere, ha cominciato ad uscire dai confini delle fattorie per diventare una vera e propria industria indipendente. È soltanto nel 1700 che la tecnologia di trasformazione casearia acquista i caratteri di scientificità rigorosa connessi ai progressi microbiologici. Verso i primi del 1900, sono stati individuati e studiati i microrganismi che caratterizzano la microflora del latte e della cagliata, tra i quali sia quelli idonei alla caseificazione e alla maturazione dei formaggi (Streptococchi, Lactobacilli), sia quelli dannosi per il prodotto o patogeni per l’uomo (Stafilococchi, Listeria) (Vizzardi e Maffeis, 1990b).Dopo il 1100, l’aumento delle disponibilità foraggiere legato ad un miglioramento dei pascoli e dei prati ha stimolato l’ampliamento degli allevamenti da latte: ovino, caprino e bovino.

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1.2 Definizione e classificazione

Secondo la normativa italiana (R.D. 15-10-1925, n.2033, art. 32 così modificato dall’art. 1 del R.D.L. 6-4-1933, n. 381): “il nome di formaggio o cacio è riservato al prodotto ottenuto dal latte intero, parzialmente scremato o scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e cloruro di sodio.” Tale definizione appare sotto diversi punti troppo sintetica ed incompleta, ma a livello internazionale non si è ancora trovata una definizione migliore. Attualmente, in sede di Codex Alimentarius, una commissione sta elaborando una definizione di formaggio, riportata di seguito: “Il formaggio è il prodotto stagionato o non stagionato di consistenza molle o semidura o extra-dura che può essere incartato e nel quale il rapporto proteine del siero/caseina non supera quello del latte, che è ottenuto:

 Per coagulazione completa o parziale delle seguenti materie prime: latte e/o prodotti provenienti dal latte, grazie all’azione del caglio o di altri agenti coagulanti appropriati e per dissierazione parziale del lattosiero risultante da questa coagulazione;  Per l’impiego di tecniche di fabbricazione comportanti la coagulazione del latte e/o da prodotti provenienti dal latte in modo da ottenere un prodotto finito avente le caratteristiche simili alla definizione riportata di formaggio.

Il formaggio stagionato è un prodotto che non è pronto ad essere consumato poco dopo la sua fabbricazione, ma che deve essere mantenuto per un certo tempo alle temperature e nelle condizioni necessarie perché avvengano i cambiamenti biochimici e fisici caratteristici del formaggio. Il formaggio affinato alle muffe è un formaggio stagionato dove la maturazione è provocata essenzialmente dalla proliferazione delle muffe caratteristiche, nella massa e/o

5 sulla superficie del formaggio. Il formaggio non stagionato è quello che è pronto al consumo poco tempo dopo la sua fabbricazione” (Ottogalli G., 2001).” La classificazione dei formaggi può essere fatta tenendo conto di diverse caratteristiche, riconducibili alla tipologia di latte utilizzato, al tempo di maturazione, alla consistenza della pasta, ai parametri tecnologici, ecc. Per quanto riguarda la tipologia di latte si riconoscono i formaggi vaccino, pecorino, caprino, bufalino e misto (quando composto da una miscela di questi latti). Prendendo in considerazione la consistenza della pasta del prodotto finale, la classificazione FAO/WTO del 1972 prevede:

 formaggi extra duri: con un contenuto di umidità < 51%;  formaggi duri: con un contenuto di umidità 49÷55%;  formaggi semi-duri: con un contenuto di umidità 53÷63%;  formaggi semi-molli: con un contenuto di umidità 61÷68%;  formaggi molli: con un contenuto di umidità > 66%.

Un altro parametro di classificazione di grande importanza commerciale, essendo l’unico che abbia un valore legale (R.D.L. 12.8.1927 n°25), è quello che si basa sul diverso contenuto di sostanza grassa. Secondo questa classificazione i formaggi vengono distinti in:

 formaggi grassi: con un contenuto di grasso > 42% sulla sostanza secca;  formaggi semigrassi: con un contenuto di grasso tra il 20 e il 42% sulla sostanza secca;  formaggi magri: con un contenuto di grasso < 20% sulla sostanza secca.

A seconda della durata della maturazione, vengono divisi in:

 extra rapida: entro 3 giorni;  rapida: entro 1 mese;

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 media: tra 1 e 6 mesi;  lenta: oltre 6 mesi.

Per quanto riguarda i parametri tecnologici, la classificazione prende in considerazione tre fasi del processo di caseificazione:

 sosta del latte, che permette la distinzione tra formaggi ad acidità di fermentazione (che subiscono la sosta) e formaggi ad acidità naturale;  cottura della cagliata, che consente di distinguere i formaggi a pasta cruda, semicotta (cagliata riscaldata fino a 48°C), cotta (cagliata riscaldata a temperatura tra i 48 e 58°C), filata (cagliata sottoposta a filatura in acqua calda a 80-90°C);  tempo di maturazione, che determina la classificazione formaggi a maturazione rapida (tempo < di 30 giorni), maturazione media (periodo compreso tra 1 e 6 mesi), maturazione lenta (tempo superiore a 6 mesi)

La recente legislazione consente inoltre di suddividere i formaggi in base alla loro appartenenza al territorio di origine, suddividendoli in denominazione di origine: Parmigiano Reggiano, , e altri; a denominazione tipica: Toma, Ragusano, e altri; generici, cioè con denominazione di fantasia: Fontal, Camoscio, e altri (Sicheri G., 1994).

1.3 Il formaggio Pecorino

Non può essere data una definizione generica di pecorino in quanto ne esistono diverse tipologie. Tra di esse possiamo ricordare il , il , il , il pecorino Pugliese, il pecorino tipico dell’Emilia Romagna, il Canestraio pugliese e tantissimi altri ancora. Per ognuno di questi formaggi esiste uno specifico Disciplinare di Produzione che indica le caratteristiche che il formaggio deve avere per ottenere quella specifica denominazione.

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Il formaggio Pecorino era già noto ai Greci ed ai Romani nel I secolo dopo Cristo ed è sicuramente uno dei più antichi formaggi del mondo; un prodotto che, leggendariamente, era l’alimento dei primi pastori allevatori di pecore e che, con la fondazione di Roma, si affermò nel Lazio ed estese la sua produzione nella maremma toscana, in Puglia ed in tutta l’Europa nel periodo medievale durante le conquiste territoriali romane. Anche la Sardegna divenne zona di produzione di prima qualità. Oggi il pecorino è per legge un formaggio a denominazione d’origine tutelata (D.P.R. 30.10.1955, n. 1269), iscritto nell’allegato A, assieme al Roquefort, dalla Convenzione Internazionale di Stresa, sull’uso delle denominazioni d’origine e tipiche dei formaggi (1951). Da diversi anni la maggior parte della produzione di Pecorino è destinata ai mercati esteri, fra i quali spiccano gli USA, che da soli ne assorbono oltre il 60%. Tra i formaggi a pasta dura il Pecorino è uno dei prodotti che più si differenzia a seconda della zona di produzione. Il Pecorino Romano, che attualmente supera i 300 mila quintali di prodotto l’anno, è fabbricato per la maggior parte in Sardegna, rispettando tutte le prescrizioni relative al processo di ottenimento e, nonostante i progressi qualitativi e tecnologici, viene prodotto ancor oggi secondo la ricetta tradizionale che prevede che venga preparato a partire da latte fresco di pecore allevate nei pascoli naturali del Lazio, della Sardegna e provincia di Grosseto e utilizzando caglio d’agnello. Il Pecorino Sardo ha ottenuto la Denominazione d’Origine nel 1991 e la D.O.P. nel luglio 1996. E’ un formaggio semicotto a pasta dura nella tipologia “maturo” e morbida nella tipologia “dolce”, prodotto a partire sempre da latte di pecora intero e con caglio di vitello; la stagionatura si protrae per 2 mesi in locali a temperatura ed umidità controllate. Il Pecorino Siciliano è il più antico formaggio della Sicilia a pasta dura, prodotto a partire da latte intero di pecora fresco coagulato con caglio d’agnello. La

8 stagionatura dura almeno quattro mesi ed ha un contenuto in sostanza secca almeno del 40% minimo. Il , a pasta tenera o semidura, è prodotto esclusivamente da latte di pecora intero coagulato con caglio di vitello; la pasta si presenta al taglio di color bianco-paglierino, per il tipo di pasta tenera e di colore paglierino, per la tipologia a pasta semidura; il sapore è fragrante, accentuato e la percentuale di grasso sulla sostanza secca è compresa tra il 45% per il prodotto fresco e il 40% per il prodotto stagionato. Il Pecorino è un alimento tipico anche perché prodotto in un certo periodo dell’anno, da ottobre a giugno, secondo gli usi tradizionali legati alle condizioni ambientali. La struttura della pasta è compatta o leggermente occhiata, color bianco paglierino ed il sapore si presenta aromatico e lievemente piccante; tale carattere aumenta con la stagionatura. La varietà prodotta artigianalmente non presenta aggiunta di colture starter e la microflora caratteristica è determinata dalle cellule microbiche già presenti nel latte ovino. Al Pecorino prodotto industrialmente, invece, viene aggiunto al latte trattato una coltura starter naturale, lo scotta-innesto. Comunque, la composizione della microflora dello scotta-innesto è poco nota, così come la sua capacità di colonizzare la microflora dominante del formaggio (Mannu et al.,2002). Per quanto riguarda la composizione chimica del Pecorino, questa è caratterizzata da valori di azoto totale, riferito alla sostanza secca, che non scendono mai al di sotto del 6%, mentre l’azoto solubile varia sensibilmente durante la maturazione, raggiungendo un valore massimo di 1,79% (tabella 1); tale variabilità influenza il coefficiente di maturazione, che comunque si mantiene al di sotto del 30%, valore accettato per formaggi classificati di prima qualità.

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Tabella 1. Composizione chimica del Pecorino.

Componente % sul secco % sul tal quale Umidità - 32,10 Grasso 43,95 29,84 Sostanze proteiche 39,18 26,60 Azoto totale 6,15 - Azoto solubile 1,45 - Ceneri (senza cloruro di 3,84 2,61 sodio) Cloruro di sodio 9,89 6,62 CaO 1,77 -

P2O5 2,27 -

1.4 Tecnologia di produzione del Pecorino

Pur con l’introduzione delle innovazioni che la tecnologia casearia ha reso disponibili, il processo produttivo del formaggio Pecorino è rimasto per lo più inalterato. Il processo di trasformazione casearia prevede però diverse operazioni di base, comuni ai diversi tipi di formaggio, che possono essere realizzate applicando parametri e variabili tecnologiche differenti, dando così origine ad una grande varietà di prodotti. Le operazioni di base per la caseificazione sono:

 Preparazione del latte  Coagulazione del latte  Spurgo e rottura della cagliata  Cottura  Salatura  Eventuale maturazione e stagionatura

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Preparazione del latte

Dopo essere stato sottoposto a filtrazione ed alcune analisi chimiche (acidità titolabile, grasso, sostanze azotate totali) e microbiologiche (carica microbica totale, coliformi, microrganismi anaerobi sporigeni gasogeni, assenza di patogeni) previste per legge, il latte subisce una serie di fasi e/o trattamenti, che dipendono anche dalla tipologia di formaggio che si vuole produrre, come:

 La sosta del latte, della durata di alcune ore, prevista nella produzione di formaggi a media e a lunga maturazione. Tale fase ha la funzione di favorire sia lo sviluppo della microflora acidificante (batteri lattici), sia l’affioramento della crema al fine di eliminare, insieme al grasso, una parte dei batteri e le eventuali spore di clostridi.  La termizzazione, che consiste nel riscaldamento del latte crudo per almeno 15 secondi ad una temperatura compresa tra 57 e 68°C.  La pastorizzazione, che è ottenuta con una trattamento termico che comporta un’elevata temperatura per un breve periodo (71,7°C per 15 secondi o qualsiasi altra combinazione di tempo e temperatura con effetto equivalente).

Nel processo produttivo di formaggi ovini il latte non viene preventivamente scremato come avviene per molti formaggi vaccini; tuttavia, nelle lavorazioni industriali, subisce un trattamento di pastorizzazione. Successivamente, si ha un riscaldamento in caldaia a 36-41°C con eventuale inoculo nel latte di microrganismi ritenuti favorevoli allo sviluppo di fermentazioni e trasformazioni, detti fermenti o starter, che caratterizzano ciascun tipo di formaggio. Al latte possono essere aggiunti batteri lattici (Lactobacillus helveticus e Streptococcus thermophilus) con azione acidificante ed aromatizzante, oppure batteri proponici con azione aromatizzante. L’inoculo del latte può avvenire con colture naturali, ottenute facendo sviluppare in latte od in siero la flora microbica già presente (latto-innesto e siero-innesto), oppure

11 utilizzando colture selezionate in laboratorio e successivamente liofilizzate (latto-fermento e siero-fermento).

Coagulazione del latte

La coagulazione avviene grazie a numerosi fattori come acidità, temperatura, sali minerali presenti nel latte ed aggiunta del caglio, che determinano profonde modificazioni a carico delle proteine del latte ed in particolare della caseina. La coagulazione del latte è la fase in cui si ha:

 la precipitazione delle caseine,  la formazione della cagliata,  la separazione del siero.

La caseina è una proteina coniugata che contiene zuccheri, fosforo organico legato alla serina, fosforo inorganico, calcio, magnesio ed acido citrico. Essa è presente nel latte in dispersione colloidale (fosfo-caseinato di calcio) allo stato micellare. La caseina intera si separa per elettroforesi in tre frazioni: ,  e . E’ quindi possibile distinguere: il monomero, cioè la singola frazione caseinica (,  e ), la submicella, cioè il complesso formato dall’unione delle frazioni ,  e  con legami covalenti e la micella, cioè l’aggregato di submicelle unite da ioni calcio, fosfato e citrato. Il calcio ed il fosforo inorganici, che contribuiscono alla stabilizzazione della caseina, sono detti “colloidali”, perché intimamente connessi ad essa e in equilibrio con le altre forme solubili nel siero, come ioni e sali. Questo equilibrio può essere modificato da variazioni di pH e temperatura. La coagulazione può essere distinta in:

 acida o lattica, quando la precipitazione delle caseine è dovuta all’azione dell’acidità, vale a dire all’abbattimento del pH. Essa provoca lo spostamento dell’equilibrio delle forme inorganiche di calcio e fosforo da colloidali a solubili, con completa demineralizzazione della micella

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che si scinde in submicelle. Le submicelle, non avendo più carica netta, perdono lo stato di idratazione e quindi, se la temperatura è superiore a 4°C, si ha la formazione di grossi aggregati che precipitano. Tale fenomeno si verifica quando si raggiunge il punto isoelettrico della caseina (pH 4,6). La cagliata è poco consistente, non elastica e poco coesa.  presamica o enzimatica, che avviene, invece, quando il caglio è aggiunto al latte. In una prima fase, gli enzimi del caglio idrolizzano la frazione K-caseina (parte dell’-caseina che si separa in s e K) in paracaseina K (1-105) e caseina-glicomacropeptide (106-169); la paracaseina è insolubile e basica e rimane integrata nelle micelle, mentre la caseina- macropeptide è solubile a reazione acida e viene solubilizzata nel siero. Nella seconda parte si ha la coagulazione vera e propria, in cui la perdita della parte idrofila destabilizza le micelle che, così modificate, formano legami fra loro e danno vita ad un gel che mantiene gli ioni colloidali ed è mineralizzato, elastico e contrattile. Si creano infine reazioni intramicellari con legami idrofobici e ponti SH fra le paracaseine e legami (Ca e fosfato di Ca) fra le caseine s e . Il gel presamico mineralizzato, quindi, presenta un aumento della caseina e della fermezza all’avanzare della sineresi.

Il caglio è un estratto di origine animale che contiene gli enzimi proteolitici (chimosina e pepsina), coagulanti la caseina, ottenuti dall’abomaso di vitelli o agnelli, lavorato e stabilizzato su un supporto liquido o in pasta. Certi cagli contengono lipasi, enzimi in grado di idrolizzare il grasso e contribuire a definire le caratteristiche organolettiche dei formaggi. Si ottiene, quindi, la cagliata grazie al passaggio dallo stato colloidale delle caseine in fase sol allo stato gel; ciò fa sì che venga ceduto il siero e vengano trattenute, oltre a varie

13 proteine, anche percentuali di grasso. Nel siero, invece, si trovano lattosio, siero- proteine, sali solubili e grasso fino ad una percentuale dell’1%.

Spurgo e rottura della cagliata

Lo spurgo è l’insieme dei fenomeni che provocano l’espulsione del siero dalla cagliata. Al termine della coagulazione si è avuta la formazione di una sorta di reticolo all’interno del quale è incluso il siero che si presenta però in una stato fisico instabile. Più o meno rapidamente il gel elimina una parte di lattosiero e, contemporaneamente, si contrae e guadagna consistenza. Lo spurgo può avvenire con:

 meccanismi passivi di porosità e permeabilità del gel dovuti alla conformazione discontinua del reticolo; questa è una caratteristica dei gel lattici, carenti in fatto di sineresi;  meccanismi attivi di contrazione del reticolo dovuti al riarrangiamento molecolare che fa seguito alla progressione della proteolisi. I nuovi legami che si formano portano alla contrazione del gel con l’espulsione del siero (sineresi).

La perdita di liquido sarà tanto maggiore quanto maggiore è l’azione meccanica durante la rottura della cagliata. Nei formaggi a pasta dura, durante la rottura, si giunge alle dimensioni di un chicco di mais o di riso, consentendo una maggiore perdita d’acqua rispetto ai formaggi molli a più elevato contenuto di umidità, dove la cagliata viene ridotta, al massimo, alle dimensioni di una noce o nocciola. In generale, la sineresi è più facile nel coagulo presamico e più limitata nei coaguli acidi, in quanto la cagliata è meno contrattile.

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Cottura e Salatura

La cottura è una fase che non sempre viene attuata, ma che consente un’ ulteriore perdita d’acqua ed il compattamento dei grumi caseosi; essa consiste nel mantenere la cagliata in agitazione all’interno della caldaia, a temperature comprese tra 44 e 56°C. La salatura è l’ultimo trattamento cui sono sottoposti i formaggi prima della stagionatura: l’azione del sale è conservante, antisettica (limita lo sviluppo microbico e la formazione di muffe) e osmotica poiché il formaggio cede siero (si accelera ulteriormente lo spurgo dell’acqua) e, contemporaneamente, si arricchisce di sale (accentuando il sapore). (www.agraria.it, www.ganassa.com)

Maturazione e Stagionatura

E’ la fase finale del processo produttivo del formaggio che determina le caratteristiche finali dello stesso conferendogli la consistenza e le caratteristiche organolettiche tipiche. Infatti, attraverso la maturazione, una cagliata, caratterizzata da un gusto ed aroma ancora prevalentemente simili a quelli del latte, si trasforma in formaggio assumendo caratteristiche reologiche, di sapore ed aroma peculiari. La stagionatura avviene in appositi locali (cantine, grotte, ecc…) o in celle termoregolate, comunque caratterizzate da basse temperature (3-10°C) ed elevata umidità (85-95%); può durare pochi giorni, come nel caso di formaggi freschi, oppure prolungarsi addirittura per alcuni anni per i formaggi a pasta dura. La maturazione dei formaggi è un processo fondamentale che ha lo scopo di fare assumere al prodotto la consistenza e l’aspetto esteriore che si desidera e, nel contempo, di evidenziare sapori ed aromi particolari attraverso un complesso e laborioso processo chimico-fisico.

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Essa è quindi il risultato di vari fenomeni chimici e fisici che avvengono a carico della cagliata e che determinano la tessitura della pasta, l’aspetto esteriore della forma e soprattutto l’aroma ed il sapore del formaggio, attraverso un complesso e laborioso processo chimico-fisico ed enzimatico. I principali processi che avvengono in questa fase sono:

 ulteriore espulsione del siero;  formazione della crosta superficiale;  fermentazione totale del lattosio;  lipolisi con produzione di glicerolo e acidi grassi liberi, che vengono ulteriormente degradati ad aldeidi, chetoni, alcoli;  degradazione dell’acido lattico;  proteolisi lenta della caseina con produzione di polipeptidi, peptidi, peptoni e aminoacidi liberi, che vengono decarbossilati e deaminati, con formazione ulteriore di composti desiderati e indesiderati.

In seguito agli ultimi due processi, il pH del formaggio tende ad aumentare. Le rese sono molto variabili in funzione della qualità del latte, della tecnologia impiegata e del diverso contenuto idrico del formaggio. La riconoscibilità di un formaggio è data dalla diversa combinazione dei risultati delle molteplici attività enzimatiche presenti nella cagliata, che agiscono promuovendo la degradazione di zuccheri, grasso e proteine. Sotto l’aspetto formale, la maturazione del formaggio è un processo essenzialmente enzimatico. Gli enzimi degradano i substrati specifici producendo sostanze più semplici, i cosiddetti prodotti primari, che si possono ritrovare integri nel prodotto finito o possono essere ulteriormente rielaborati e biotrasformati in altri prodotti definiti secondari. I cambiamenti che avvengono durante la maturazione possono essere divisi in due eventi fondamentali:

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1. il primo coinvolge la formazione di peptidi e amminoacidi dalla caseina, la formazione di acidi grassi dai lipidi del latte, la conversione del lattosio in acido lattico, mentre altre fermentazioni producono anidride carbonica, etanolo e acido acetico. Inoltre, i cambiamenti primari possono coinvolgere anche la degradazione del citrato; 2. il secondo coinvolge invece la conversione dei prodotti finali che risultano dai cambiamenti primari, con formazione di amine, acidi organici, composti solforosi e anidride carbonica da parte degli aminoacidi, mentre gli acidi grassi vengono trasformati in chetoni, lattoni, aldeidi e alcoli secondari.

Tra i principali responsabili delle lente modificazioni del formaggio, un ruolo centrale è svolto dai microorganismi. La microflora del latte crudo, quella degli starter e quella che si trasferisce dagli ambienti di produzione e stagionatura sono perciò da considerarsi i motori del processo di caseificazione e dello sviluppo delle caratteristiche organolettiche del formaggio. I microorganismi presenti naturalmente nel latte, o aggiunti come innesto, prima come entità cellulari definite e poi come estratti enzimatici rilasciati in seguito a lisi cellulare, agiscono in modo concertato nei confronti di zuccheri, protidi e lipidi . In questo senso è corretto ritenere che le specie ed il tipo di microorganismi presenti siano uno dei fattori chiave nell'acquisizione di quei caratteri organolettici che definiscono un formaggio. Anche la tempistica dei singoli eventi biochimici durante la stagionatura può condizionare la qualità del formaggio: il momento della lisi cellulare ed il conseguente rilascio nel mezzo di enzimi intracellulari è pertanto un fattore cruciale nella stagionatura di un prodotto. Le diverse tecnologie di produzione, selezionando le specie e i biotipi microbici, condizionano il loro sviluppo e la loro lisi, differenziando la qualità delle diverse tipologie di formaggio. Risultano di notevole importanza ai fini della maturazione anche la quantità di acqua e sale

17 presente, il pH del formaggio, l’umidità dell’ambiente, la forma e la dimensione del formaggio.

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Le G rotte di Santarcangelo

Nella determinazione di marchi per prodotti alimentari si sta attribuendo via via una sempre maggiore importanza al concetto di terroir che si va sempre meglio definendo non solo come un’area geografica meramente produttrice di beni, ma come centro di relazioni simboliche ed ecosistema caratterizzato da specifiche condizioni pedoclimatiche, biodiversità sito-specifica e risorse materiali, culturali e peculiari In questo contesto, si è implementato un progetto al fine di effettuare delle prove di maturazione di formaggi all’interno di una grotta tufacea ipogea, facente parte del complesso reticolo di grotte scavate dall'uomo in epoca antichissima nel sottosuolo del territorio di Santarcangelo di Romagna.

1.5 Cenni storici

I primi documenti inerenti al complesso ipogeo di Santarcangelo risalgono al 1496; prima di questa data non sono mai stati trovati riferimenti né nel Codice Bavaro, né nelle pergamene di Fantuzzi, Tarlazzi, Curradi e Rabotti. È ad oggi che ci rivolgiamo agli ipogei con il termine di grotta; in passato esse venivano denominate volte, caverne, spelonche e addirittura tane. E’ solo nel 1701 che vediamo per la prima volta utilizzato il termine grotta in Atti di archivio notarile del Comune inerenti compravendite, permute, donazioni e testamenti. Sempre a questa data risale un documento che parla di una “domum muratum solariatum et cuppis coopertum cum cava sine grotta” nella contrada dei Nobili. Da quel momento, fino alla fine del 1800, sono state reperite numerose testimonianze.

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Dal punto di vista tipologico, possono essere caratterizzate tre categorie principali:

 cantina o deposito in genere; si tratta per lo più di vere e proprie sale parallelepipede o a forma di cubo, create sin dalle origini con funzioni di immagazzinamento delle derrate;  galleria o corridoio di lunghezza variabile su cui si aprono, "a pettine", nicchie di identiche dimensioni intervallate da tratti pieni di modesto o modestissimo spessore, spesso rinforzati da foderature in laterizio. Il numero delle nicchie, variabile a seconda della lunghezza, va da 1 a 28, almeno a partire da una certa epoca (sec. XIX); tali incassi laterali vennero utilizzati per contenere le botti da vino;  galleria di forma più complessa e non categorizzabile all'interno di un'unica tipologia, in cui sembra di cogliere una ricerca formale elaborata, che poco si adatta ad un'origine di tipo puramente utilitaristico.

Durante il periodo della seconda guerra mondiale sono state rifugi di “corpi e di anime”.

1.6 La Geologia delle G rotte

Le “Grotte tufacee” di Santarcangelo di Romagna sono localizzate al di sotto del Colle Jovis nel centro della cittadina. Spesso si commette un’inesattezza chiamando “tufo” le arenarie nelle quali sono scavati gli ipogei, gallerie scavate artificialmente, in quanto tale termine dovrebbe indicare esclusivamente materiali di origine vulcanica. Il successo di questa espressione è dovuta al fatto che, così come i tufi vulcanici, queste arenarie relativamente giovani, essendo debolmente cementate, sono tenere e si prestano facilmente alla lavorazione. Se da un lato la friabilità della roccia ha

20 favorito la fabbricazione delle grotte, dall’altro è una delle cause fondamentali della cattiva conservazione degli elementi costruttivi che avrebbero potuto consentire una più accurata ricostruzione storica della loro origine. Il colle Giove è costituito da sedimenti marini, ossia da depositi limo-argillosi, sabbiosi e ghiaiosi, che si sono via via accumulati sul fondo del mare durante il Pliocene – 1.8 a 4.9 milioni di anni fa – prima che il sollevamento dell’Appennino provocasse l’emersione dell’area. La base più antica del colle è composta da limi e argille. I sedimenti, depositatisi sul fondale del mare sono stati in seguito ricoperti da sabbie povere di ghiaie e limi, provenienti dal litorale. La sedimentazione ha avuto luogo in corrispondenza della zona antistante la battigia. Una visita all’interno degli ipogei permette di osservare la stratificazione dei sedimenti. In alcune delle volte e delle pareti delle grotte sono presenti laminazioni che le onde hanno lasciato sulla sabbia; la presenza della sabbia, invece, è da attribuire all’azione violenta delle tempeste, che avrebbero trascinato questi grossi ciotoli provenienti dalla foce dei fiumi. Infine, i limi si sarebbero depositati poco lontani dalla riva nei periodi di mare calmo. La situazione paleogeografica, quindi, non era poi così tanto diversa da quella odierna. Nonostante la completa urbanizzazione del colle è ancora possibile notare la morfologia a terrazzi, che piuttosto evidente dal suo profilo altimetrico, è indicata indirettamente dagli stessi ipogei. Se si conteggiano le cavità presenti alla stessa quota, si nota che queste ultime sono distribuite con maggior abbondanza proprio in corrispondenza dei pianali degli antichi terrazzamenti.

1.7 Le G rotte pubbliche

Il paese di Santarcangelo ospita nelle proprie viscere un vastissimo reticolo di grotte (oltre 150 cunicoli) al cui interno sono ricavati spazi di notevole interesse

21 architettonico. E’ ancora incerta la natura del loro primo utilizzo, rispetto a quella odierna di semplici cantine o depositi. Le grotte riscontrabili nel comune di Santarcangelo sono prevalentemente annesse ad abitazioni private; tuttavia, alcune sono attualmente di proprietà del comune e sono aperte ai visitatori che rimangono immancabilmente affascinanti. In particolare, la porzione di grotte visitabili si trova al secondo livello del centro abitato e presenta una struttura complessa e monumentale; un lungo asse ed uno più piccolo si fondono componendo una croce. Il grande asse termina, in una delle sue estremità, in un tempio circolare a due absidi adorno di cinque nicchie a pianta rettangolare molto suggestivo, sormontato da piccole volte a crociera. La struttura è a croce latina

1.8 La G rotta Teodorani

E’ all’interno di questa grotta, messa gentilmente a disposizione dalla famiglia Nadiani-Teodorani, che abbiamo svolto la sperimentazione. Come visibile nella piantina riportata in Figura 1, la grotta è costituita da un lungo corridoio sul quale si affacciano 28 nicchie disposte a pettine, altresì visibile in Figura 2a. La forma planimetrica è quella di abside semicircolare e le absidi caratterizzano tutti gli ambienti della grotta. Il corridoio si conclude in un’ampia sala biabsidiata da cui si diparte un piccolo atrio, all’interno del quale abbiamo depositato i nostri formaggi, che ripete in scala minore le caratteristiche della sala e costituisce il pozzo di aerazione. Il piccolo atrio conduce a sua volta in un vano di forma ellittica con piccola nicchia a fondo piatto posta in asse con il cannocchiale del corridoio di accesso. Proprio in quest’ultima parte a forma ellittica sono stati posti a maturare i formaggi oggetto della sperimentazione, come visibile in Figura 3.

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Figura 1. Piantina della Grotta Teodorani

a) b) Figura 2. a) Corridoio della Grotta Teodorani; b) Ingresso della Grotta Teodorani.

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Figura 3. Formaggi in affinamento in grotta.

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Eventi legati alla maturazione

1.9 Maturazione nei formaggi

La maturazione è il risultato di complessi fenomeni chimici, biochimici e microbiologici influenzati significativamente dalle condizioni (temperatura, pH, umidità relativa, microflora) in cui il processo ha luogo. Essa ha lo scopo di far assumere al prodotto l’aspetto e la consistenza che si desidera, evidenziando sapori ed aromi particolari. La proteolisi è il più complesso e, in molte varietà di formaggi, il più importante degli eventi primari che concorrono alla stagionatura dei formaggi e che influenzano l’aroma del prodotto (Fox, 1996). Essa, pertanto, gioca un ruolo fondamentale per quanto riguarda:

 La formazione di aromi e quindi del gusto del formaggio, attraverso la produzione di peptidi e aminoacidi liberi;  La formazione della texture del formaggio, in conseguenza alla rottura delle

proteine, alla diminuzione dell’aw attraverso il legame dell’acqua con i gruppi carbossilici ed amminici liberi e all’aumento del pH;  La liberazione di substrati come gli aminoacidi per reazioni cataboliche secondarie come la decarbossilazione, la deaminazione, la transaminazione, la desolforazione, il catabolismo di componenti aromatici come la fenilalanina, tirosina, triptofano e reazioni degli aminoacidi con altri composti;  Cambiamenti della matrice formaggio che facilitano il rilascio di componenti aromatici durante la masticazione.

Gli enzimi responsabili dei processi che avvengono durante la stagionatura del formaggio possono essere classificati in diversi gruppi:

1. Enzimi proteolitici suddivisi in: a. Endopeptidasi, che idrolizzano le proteine producendo peptidi; b. Esopeptidasi, in questo gruppo possiamo ritrovare di- e tri-peptidasi, carbossipeptidasi, amino peptidasi; essi idrolizzano ulteriormente i peptidi; 2. Enzimi che decompongono gli aminoacidi come le decarbossilasi, deaminasi, transaminasi e demetiolasi;

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3. Lipasi, che producono acidi grassi liberi e di- e monogliceridi a partire dai trigliceridi; 4. Enzimi che agiscono sugli acidi grassi e sui loro derivati, come le deidrogenasi, le decarbossilasi e le esterasi. 5. Fosfatasi acida, che provoca la fosforilazione della caseina. 6. Enzimi endogeni del latte (plasmina) e lipasi lipoproteiche (esse vengono inattivate dalla pastorizzazione);

Le principali fonti di enzimi nel formaggio sono:

1. Enzimi del caglio, che si ottengono durante il processo produttivo del formaggio e restano attivi successivamente; 2. Batteri acido- lattici (starter); 3. Batteri non-starter, presenti nel latte crudo e sopravvissuti alla pastorizzazione; 4. Flora addizionale in superficie (muffe bianche, batteri sale-tolleranti..) o all’interno (muffe blu..); 5. Proteinasi extracellulari e lipasi che hanno origine dai batteri psicrotrofici che crescono nel latte crudo; essi generalmente non resistono alla pastorizzazione, ma i loro enzimi sono tolleranti alle alte temperature; 6. Organismi ricontaminanti del latte pastorizzato e organismi indesiderabili che crescono nella crosta del formaggio; 7. In alcuni casi, vengono aggiunte specifiche preparazioni di enzimi.

La proteolisi avviene, quindi, grazie all’azione e all’interazione di tutti gli enzimi coinvolti nel processo; l’attività enzimatica nel formaggio dipende ovviamente dalla concentrazione dell’enzima stesso e dalle condizioni presenti nella matrice, che possono variare durante la stagionatura. Diversi fattori hanno un ruolo fondamentale, come:

 Acidità: ogni enzima mostra la sua massima attività al suo pH ottimale;  Temperatura di maturazione: normalmente l’attività enzimatica cresce con la temperatura; essa influisce maggiormente sulla lipolisi rispetto alla proteolisi;  Contenuto di NaCl: alte concentrazioni di NaCl possono attivare alcuni enzimi, ma inibirne altri;  Umidità: il contenuto di acqua influisce sull’attività enzimatica, in quanto da esso può dipendere la conformazione delle proteine.

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Il sistema enzimatico dei microrganismi è molto complesso e comprende diversi enzimi, che possono essere classificati in base alla loro posizione nella cellula: sono presenti enzimi extracellulari, che vengono secreti nel substrato dalla cellula intera, altri sono ancorati alla membrana cellulare e protendono attraverso la parete cellulare; infine, gli enzimi intracellulari, che entrano a contatto con il substrato in seguito al suo assorbimento o dopo lisi cellulare.

Enzimi coagulanti

Inizialmente, l’idrolisi delle caseine viene effettuata da un agente coagulante, il caglio animale tradizionale, composto essenzialmente da due enzimi:

 Chimosina: essa è responsabile del 90-94% dell’attività coagulante;  Pepsina: responsabile del 6-12% di attività coagulante.

L’enzima maggiormente presente nel caglio è la chimosina, il primo enzima usato nella produzione del formaggio. Nello stomaco di vitello viene prodotta un’ inattiva pro- chimosina, la quale viene convertita nella forma attiva attraverso un auto-proteolisi. La chimosina è una endopeptidasi, aspartato-proteinasi, in grado di rompere le proteine in grossi frammenti; essa è in grado di rompere il legame proteico Phe105 –Met106 della k- caseina attraverso una reazione veloce, in quanto, probabilmente, la carica positiva di questa regione della catena peptidica e la sua facile accessibilità mostrano una forte affinità con il sito attivo dell’enzima caricato negativamente. A bassi valori di pH la chimosina può rompere anche altri legami caseinici. L’azione del caglio dipende essenzialmente dalla quantità ritenuta nel formaggio, considerato il fatto che la chimosina presente nel formaggio proviene quasi interamente dall’adsorbimento sulla paracaseina; solo uno 0-15% dell’attività del caglio rimane nella cagliata dopo la sua formazione.(Guinee & Wilkinson, 1992). Sono diversi i fattori dai quali dipende la quantità ritenuta:

 Quantità di caglio aggiunta al latte;  La temperatura della cagliata: ad elevate temperature (intorno ai 55°C) la chimosina viene inattivata, mentre risulta essere più resistente alla temperatura se il pH è basso; in formaggi prodotti con elevate temperature di cottura, come l’Emmental, la chimosina viene denaturata e, quindi, contribuisce relativamente

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poco alla proteolisi. In formaggi come il Gouda, che presenta una temperatura di cottura intorno ai 37°C, l’attività coagulante del caglio è molto significativa.  pH durante la produzione della cagliata: più basso è il pH, maggiore è la quantità di caglio adsorbita sulla paracaseina. Il pH ottimale degli enzimi coagulanti è  5. La pepsina è maggiormente sensibile al pH rispetto alla chimosina.

Le proteine del latte sulle quali agiscono gli enzimi coagulanti sono le caseine; esse vengono suddivise in 4 differenti frazioni: s1, s2,  e k-caseine, presenti nella proporzione 3/1/3/1 (Schmidt, 1980). Queste si differenziano, oltre che per le varianti genetiche, anche per il grado di fosforilazione o contenuto di zucchero. Il gruppo s1 contiene 199 residui aminoacidici ed è una miscela di s0 e s1 con 9 e 8 gruppi PO4 rispettivamente. Il gruppo

s2 contiene 207 residui aminoacidici ed è composto da 5 proteine (s2, s3, s4, s5, s6) con un contenuto di gruppi PO4 che varia da 10 a 13 per molecola. Dall’idrolisi della - caseina si ottengono le -caseine: 1-caseina (frammento 108-209), 2-caseina (frammento 106-206) e 3-caseina (frammento 108-209) (Farkye e Fox, 1992). Le k-caseine contengono

169 residui aminoacidici con un solo gruppo PO4 e si possono ritrovare 7 differenti forme in base al loro contenuto glicosidico (k1, k2, k3, k4, k5, k6, k7). Dopo una prima azione della chimosina, che attacca il legame Phe105-Met106, solo il frammento idrofobico 1-105 della k- caseina, che prende il nome di para-k-caseina, rimane nella cagliata. Una caratteristica comune tra la k-caseina e l’ s2-caseina è la presenza di due residui di cisteina, che mancano nell’ s1- e -caseine (Grappin et al., 1985).

Il primo legame scisso dell’ s1-caseina è Phe23- Phe24, che viene completamente idrolizzato entro 4 mesi nei formaggi semiduri, e prende il nome di s1-I; il genotipo s1-A, caratterizzato dalla stessa composizione aminoacidica delle altre varianti s1, tranne per i residui 14-26, è resistente all’azione del caglio. Il secondo legame attaccato dal caglio è

Leu101- Lys102. Alcuni studi hanno dimostrato la formazione di sei diversi peptidi per azione del caglio sull’s1-caseina pura in soluzione; essi sono stati poi identificati con tecnica

PAGE e corrispondono ai seguenti frammenti: s1-I, s1-II (24/25-169), III e IV (24/25- 149/150), V (29/33-199) e VI (56-179) (Mulvihill e Fox, 1978; Mulvihill e Fox, 1979).

Sicuramente il peptide s1-I è il primo prodotto di degradazione formato più facilmente ad opera del caglio ed è presente nei primi stadi di maturazione in tutti i tipi di formaggio (Marcos et al., 1979).

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Sulla diversa velocità di degradazione dell’ -caseina e della -caseina influisce il contenuto di sale; infatti, alti contenuti di sale rallentano la degradazione dell’ s1-caseina, mentre la -caseina degrada lentamente anche a moderati livelli di sale ( 4%). Alcuni studi eseguiti in soluzione a un pH intorno a 6.5 hanno mostrato che la -caseina è idrolizzata dal caglio in tre principali prodotti di degradazione che corrispondono alle sue differenti frazioni N-terminali. Queste frazioni sono state identificate come i residui -I (1- 189/192, -II (1-165/167), -IIIa (1-139), -IIIb (163-164/127-128) (Creamer, 1976; Visser e Slangen, 1977). L’ s2-caseina sembra essere resistente all’azione della chimosina (Snoren e Van Riel, 1979). Il caglio generalmente usato deriva dallo stomaco dei vitelli (abomaso) e, successivamente, subisce vari trattamenti in maniera tale da favorire la conversione della pro-chimosina in chimosina. Esso può anche essere prodotto sinteticamente inserendo il gene bovino nel DNA di alcuni microrganismi (batteri, muffe o lieviti), per poi avere il rilascio dell’enzima. Inoltre, molti altri enzimi vengono usati per sostituire il caglio tradizionale, in quanto molto costoso e carente, come la pepsina porcina, che agisce a pH leggermente più bassi rispetto alla chimosina bovina; inoltre, esiste anche la pepsina di pollo e altri agenti coagulanti microbici (Rhizomucor miehei, Cryphonectria parasitica, R. pusillus), che vengono utilizzati soprattutto per la produzione di formaggi locali. La proteinasi derivante da C. parasitica agisce sulla k-caseina nel sito di legame Ser104-Phe105, mentre la chimosina derivante da R. miehei agisce sul legame Phe105-Met106. Negli ultimi decenni è aumentata la produzione di agenti coagulanti commerciali; il gene per la chimosina è stato clonato e inserito in alcuni microrganismi come Kluyveromyces marxianus var. lactis, Aspergillus niger var. awamori e Escherichia coli portando alla formazione di chimosine ricombinanti conosciute come Maxiren e Chymax (Sousa et al., 2001). Esistono, inoltre, proteinasi ricavate da piante come, ad esempio, quelle ricavate da fiori essiccati di Cynara cardunculus. I suoi estratti contengono due proteinasi, cardosina A e cardosina B; la prima presenta siti di attacco simili a quelli della chimosina, mentre la seconda mostra un’attività simile alla pepsina. Tutte queste alternative hanno in comune il fatto di agire principalmente sul legame Phe-Met della k-caseina, ma sotto vari aspetti differiscono significativamente:

 resistenza al calore: una troppo elevata resistenza può causare problemi nel siero;

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 temperatura, Ca2+, pH durante la coagulazione: ogni caglio può presentare caratteristiche diverse; ad esempio, la pepsina porcina viene inattivata rapidamente intorno a pH di 6.5;  attività proteolitica: questo è un fattore molto importante, in quanto un’elevata attività proteolitica durante la coagulazione del latte può causare una bassa resa e un’eccessiva degradazione della caseina durante la maturazione. Questo provoca difetti nella consistenza del prodotto finito e nell’aroma, come ad esempio un gusto amaro. Possiamo affermare che generalmente i cagli microbici presentano una maggiore attività proteolitica rispetto al tradizionale caglio di vitello.

Proteinasi del latte

Il latte contiene diverse proteasi endogene il cui scopo è quello di decomporre l’s1-caseina, l’s2-caseina e la -caseina, tra cui:

 le plasmine, che comprendono l’enzima plasmina, i plasmogeni (proenzimi), attivatori plasmogeni e inibitori della plasmina; essi sono tutti presenti nel latte e, in particolare, la plasmina, i plasmogeni e gli attivatori plasmogeni si trovano associati alle micelle di caseina, mentre gli inibitori sono presenti nel siero (Bastian e Brown, 1996; Grufferty e Fox, 1988). Le plasmine nel latte si trovano principalmente sotto forma di plasminogeno inattivo, con una piccola percentuale di plasmina attiva. Esse vengono attivate grazie alla presenza degli attivatori plasminogeni e inibite dagli inibitori. Esse hanno un pH ottimale di 7.5, una temperatura di 37°C e sono

attive soprattutto per l’ s1-caseina e la -caseina; quest’ultima viene decomposta

più velocemente rispetto alla prima. In soluzione, essa agisce sulla s2-caseina in otto siti (7 Lys-x e 1 Arg-x), mentre non agisce sulla k-caseina, sebbene questa presenti diversi residui di Lys e Arg. Nella -caseina le plasmine presentano un’elevata specificità per il legame peptidico nel sito C-terminale della lisina come:

Lys28- Lys 29, Lys105-Ist106, Lys107-Glu108 (Weinstein e Doolittle, 1972). Le parti N- terminali della -caseina e -caseine scisse dalla plasmina sono proteosi-peptoni (Farkye e Fox, 1992). La plasmina mostra una maggior attività enzimatica nel formaggio piuttosto che nel latte, in quanto gli inibitori e gli attivatori della plasmina vengono rimossi dal formaggio durante lo spurgo del siero (Bastian e Brown, 1996). Sicuramente, la sua

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attività varia in base al tipo di formaggio; infatti, essa risulta essenziale nella maturazione del formaggio Svizzero, in quanto le elevate temperature di cottura inattivano la chimosina e gli altri enzimi coagulanti. Inoltre, l’attività plasminica in diversi formaggi differisce anche in base ai processi di salatura; infatti, in formaggi salati e pressati come il Cheddar, il sale provoca la dissociazione della plasmina dalle micelle di caseina ed essa viene persa nel siero; siccome i formaggi salati in salamoia perdono poco siero durante la salatura, la plasmina rimane nel formaggio (Fox, 1989).  La D-catepsina, sicuramente meno importante della plasmina. Si tratta di una proteinasi aspartica termosensibile con temperatura ottimale di 37°C e un pH ottimale intorno a 4 (Kaminogawa et al., 1980). Essa agisce principalmente sull’

s1-caseina sia in siti di attacco simili alla chimosina, come per esempio Phe23-

Phe24, Phe24-Val25, Leu98-Leu99, Leu149-Leu150, sia in siti diversi (McSweeney et al., 1995). Per quanto riguarda la -caseina, la proteolisi avviene in 13 siti d’attacco

simili a quelli della chimosina: Phe52-Ala53, Leu58-Val59, Pro81-Val82, Ser96-Lys97,

Leu125-Thr126, Leu127-Thr128, Trp143-Met144, Phe157-Pro158, Ser161-Val162, Leu165-

Ser166, Leu191-Leu192, Leu192-Tyr193, Phe205-Pro206 (Sousa et al., 2001). La D- catepsina produce un glicomacropeptide K-CN, prodotto anche dalla chimosina,

attaccando il legame Phe105-Met106 (McSweeney et al., 1995); inoltre, essa ha altri

due siti di attacco sulla k-caseina: Leu32-Ser33 e Leu79-ser80 (Larsen et al., 1996). Per

quanto riguarda l’ s2-caseina, l’enzima presenta principalmente quattro siti di

attacco: Leu99-Tyr100, Leu123-Asn124, Leu180-Lys181 e Thr182-Val183 (Larsen et al., 1996). La D-catepsina è considerata un enzima relativamente poco stabile al calore e viene completamente inattivata con un trattamento di 72°C per 10 minuti (Kaminogawa e Yamauchi, 1972). Recenti studi hanno riportato che circa l’8% dell’attività della D-catepsina resiste al trattamento di pastorizzazione (Larsen et al., 2000); infatti, essa ha una scarsa importanza nel processo proteolitico che avviene in prodotti preparati con latte pastorizzato.  Esistono altri enzimi proteolitici che derivano da cellule somatiche, come ad

esempio le elastasi; esse degradano principalmente l’ s1-caseina e la -caseina agendo su 25 e 19 siti rispettivamente, producendo un elevato numero di peptidi dopo circa 6 ore di incubazione. L’idrolisi della -caseina avviene negli stessi siti di attacco o in quelli vicini della plasmina, della chimosina e di alcune proteinasi

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associate all’involucro cellulare di alcune specie di Lactococcus, come Ile26-Asn27,

Gln40-Thr41, Ile49-His50, Phe52-Ala53, Gln56-Ser57, Leu58-Val59, Asn68-Ser69, Val82-

Val83, Val95-Ser96, Ser96-Lys97, Lys97-Val98, Ala101-Met102, Glu108-Met109, Phe119-

Thr120, Glu131-Asn132, Leu163-Ser164, Ala189-Phe190, Phe190-Leu191 e Pro204-Phe205 (Sousa et al., 2001). Recentemente è stata identificata una procatepsina B immunoreattiva nel latte (Magboul, Larsen, McSweenwey & Kelly, 2001); essa è in grado di degradare, in

vitro, l’ s1-caseina e la -caseina.

Le proteinasi del latte non vengono inattivate dalla pastorizzazione e, oltre al pH, sono da considerare altri importanti fattori che influiscono sull’attività enzimatica nel formaggio, come ad esempio:

1. Temperatura del latte utilizzato: nel latte pastorizzato c’è una parziale inattivazione dei composti che inibiscono gli attivatori plasminogeni, provocando un aumento dell’attività della plasmina; 2. Il contenuto di proteinasi del latte, la concentrazione di attivatori plasminogeni, concentrazione degli inibitori dell’attività plasminogena: tutti questi fattori possono variare durante la mungitura. 3. Temperatura utilizzata durante la produzione della cagliata: alte temperature possono accrescere l’attività enzimatica della plasmina nel formaggio; 4. Temperatura di maturazione: l’attività plasminica non dipende molto dalla temperatura; 5. Contenuto di sale: a basse concentrazioni di sale l’attività della plasmina può essere stimolata, mentre si abbassa ad alte concentrazioni.

In generale, nel formaggio si ritrovano condizioni che non favoriscono un’attività proteinasica elevata; tuttavia, ci sono alcuni tipi di formaggio in cui si evidenzia una spiccata attività enzimatica a causa dell’elevato pH (Camembert) e del prolungato periodo di maturazione (Emmentaler). La proteolisi effettuata dalle proteinasi del latte aumenta sicuramente il numero di composti azotati come i peptidi, mentre la produzione di aminoacidi non è così rilevante.

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Batteri acido lattici – starter I batteri lattici starter, sebbene la loro funzione fondamentale sia quella di produrre acido lattico, abbassando notevolmente il pH ( Sousa et al., 2001), rivestono anche un ruolo significativo nella maturazione dei formaggi, attaccando con i loro enzimi proteolitici grossi peptidi per formare peptidi più piccoli e aminoacidi liberi (Fox e Wallace, 1997); questi ultimi contribuiscono fortemente alla formazione di aromi nel formaggio, essendo essi direttamente composti aromatici o precursori di aromi. I batteri lattici utilizzati come starter, appartenenti alle specie Lactococcus, Streptococcus, Lactobacillus necessitano, per il loro sviluppo, di alcuni aminoacidi liberi scarsamente presenti nel latte; per questo motivo essi devono essere in grado di liberarli attraverso idrolisi delle proteine. Infatti, essi possiedono un complesso sistema enzimatico che comprende proteinasi e peptidasi in grado di liberare piccoli peptidi e aminoacidi a partire da peptidi più lunghi, a loro volta liberati dalle proteine del latte per azione degli enzimi coagulanti e delle stesse proteinasi microbiche (Kunji et al., 1996; Farkie, 1999). Le proteinasi dei batteri lattici sono enzimi extracellulari associati alla parete cellulare; queste proteinasi di membrana (PrtP) attaccano le caseine liberando aminoacidi, di- e tri- peptidi e polipeptidi. Alcuni ceppi di Lactococcus sono proteinasi positivi (Prt+), cioè contengono delle proteinasi cellulari necessarie per la loro crescita nel latte; altri ceppi, invece, sono proteinasi negativi (Prt-), e questi dipendono dai ceppi Prt+ che formano peptidi a partire dalle proteine del latte, specialmente dalle caseine.

Queste proteinasi agiscono sia sull’s1-caseina che sulla -caseina, ma la velocità di formazione di peptidi è più lenta rispetto alla formazione di peptidi da parte degli enzimi coagulanti. Una parte di peptidi liberati dal caglio non è prontamente metabolizzabile dagli starter, a meno che non vengano scissi in peptidi più piccoli da parte delle proteinasi batteriche. Successivamente, questi peptidi vengono trasportati all’interno della cellula batterica attraverso un meccanismo energia-dipendente; questo sistema di trasporto specifico può veicolare nella cellula gli aminoacidi e gli oligopeptidi contenenti da 6 a 20 residui aminoacidici che derivano dalla scissione delle caseine (Poolman, 1990; Kunji et al., 1996). All’interno della cellula ritroviamo le peptidasi, che possono essere classificate in base alla loro specificità per i legami peptidici in: oligoendopeptidasi (PepO e PepF), aminopeptidasi generiche (PepN, PepC, PepG), glutamilaminopeptidasi (PepA), pirolidone carbossilil peptidasi (PCP), leucilaminopeptidasi (PepL), peptidasi specifiche della prolina come X-

33 prolidildipeptidil aminopeptidasi (PepX), prolin iminopeptidasi (PepI), aminopeptidasi-P (PepP), prolinasi (PepR), prolidasi (PepQ), dipeptidasi generiche (PepV, PepD, PepDA) ed, infine, tripeptidasi generiche (PepT); questo sistema proteolitico permette ai LAB di crescere ad elevate concentrazioni (109-1010 cfu/mL) anche in latte contenente basse concentrazioni di piccoli peptidi e aminoacidi liberi (Sousa et al., 2001). In letteratura sono note alcune attività specifiche delle peptidasi batteriche: per esempio, la PepA ha una spiccata specificità verso l’N-terminale degli acidi aspartico e glutammico contenuti nei peptidi; questi ultimi svolgono un ruolo importante anche nello sviluppo degli aromi nel formaggio, in quanto il glutammato è una sostanza che esalta gli aromi, ma non è ancora molto chiaro il meccanismo con cui agisce; l’idrolisi dei dipeptidi Glu-Xaa e Asp- Xaa viene osservata quando l’estremità C-terminale è basica (-Lys), non carica (-Gly), idrofobica non carica (-Ala, -Leu), polare non carica (-Ser) o aromatica (-Phe, -Tyr). La PepA è stata purificata e caratterizzata in alcuni ceppi di Lc lactis e S.thermophilus (Christensen et al., 1999). La PepT, purificata e caratterizzata in alcuni ceppi di Lc. lactis, attacca i tripeptidi idrolizzando l’aminoacido N-terminale e, talvolta, idrolizzando la prolina N-terminale in catene Pro-Gly-Gly. L’idrolisi è stata osservata in tripeptidi Leu-Xaa-Pro, ma non in Xaa- Pro-Yaa e non viene riportata alcuna attività per quanto riguarda di-, tetra- e maggiori oligopeptidi. In alcuni ceppi di Lb. delbrueckii, Lb. sake, Lc.lactis e Pediococcus pentosaceus sono state purificate altre tripeptidasi che, come la PepT, sono metallo peptidasi e mostrano un’elevata attività per i tripeptidi che comprendono residui aromatici o idrofobici non carichi. La PepN è stata purificata in ceppi di Lb. casei, Lb. delbrueckii, Lb. helveticus, Lc. lactis e S. thermophilus; essa mostra un’elevata specificità per gli amminoacidi basici Lys e Arg, seguiti da residui idrofobici non carichi Leu e Ala, svolgendo inoltre un’azione significativa nell’accelerazione e nel miglioramento di aromi nel formaggio (Christensen et al., 1999). La PepX, purificata in ceppi di Lb. delbrueckii, Lb. acidophilus, Lb. casei, Lb. helveticus, Lc. lactis e S. thermophilus, libera dipeptidi Xaa-Pro dall’estremità N-terminale di peptidi contenenti da tre a sette residui amminoacidici. Essa, inoltre, ha dimostrato di essere in grado di effettuare reazioni amidasiche ed esterasiche (Houbart et al., 1995). La PepV è stata purificata da ceppi di Lb. casei, Lb. delbrueckii, Lb. helveticus, Lb. sanfrancisco, Lb. sake e Lc. lactis; essa è una dipeptidasi che, generalmente, non idrolizza dipeptidi contenenti Gly nell’estremità N-terminale (Christensen et al., 1999).

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La prolina iminopeptidasi (PepI), purificata in ceppi di Lb. delbrueckii e Lb. helveticus, mostra una specificità per la prolina nell’estremità N-terminale di peptidi, quando il residuo nell’estremità C-terminale è idrofobico non carico (-Ala, -Gly, -Leu, -Ile, -Val), aromatico (-Phe, -Tyr) o acido (-Glu) (Christensen et al., 1999). La PepQ, detta prolidasi, isolata in alcuni lattobacilli come il Lb. casei, Lb. helveticus, Lb. delbrueckii e nel Lc. lactis, mostra una specificità per dipeptidi Xaa-Pro, quando i residui nell’estremità N-terminale sono idrofobici non carichi, basici, aromatici o contenenti zolfo (Met) (Christensen et al., 1999). La PepG, purificata in ceppi di Lb. delbrueckii, mostra una specificità per di-/ tripeptidi e tetrapeptidi che contengono leucina, mentre la PepO idrolizza principalmente oligopeptidi contenenti da cinque a trentacinque residui amminoacidici; inoltre, la PepF, purificata in ceppi di Lc. lactis, idrolizza oligopeptidi contenenti da sette a diciassette residui (Christensen et al., 1999). L’equilibrio che si viene a creare tra la formazione di peptidi e la loro conseguente degradazione in aminoacidi è molto importante, in quanto l’accumulo di alcuni peptidi potrebbe essere causa di un gusto amaro nel formaggio. Alcuni di questi peptidi di gusto amaro sono stati identificati e possono essere degradati rapidamente da alcune colture specifiche, che quindi vengono utilizzate frequentemente nella produzione di alcuni tipi di formaggi. Sicuramente lo sviluppo di sapori amari nei formaggi è considerato uno dei maggiori difetti (Lemieux et al., 1989); generalmente, i peptidi amari derivano dall’idrolisi delle caseine da parte del coagulante e delle proteasi degli starter, con conseguente rilascio di catene particolarmente idrofobiche. In particolare, nell‘ s1-caseina le zone responsabili del rilascio di questi peptidi sono la 14-34, 91-100 e 143-151, mentre la -caseina in 46-90 nel residuo C-terminale idrofobico; quest’ultimo si è rivelato essere la causa più importante di sapore amaro (Smith et al., 2000). Oltre ai peptidi, anche altre sostanze possono causare questo difetto, come ad esempio, aminoacidi, ammine, ammidi, chetoni a lunga catena e monogliceridi (Adda et al., 1982); gli aminoacidi considerati “amari” sono la lisina, la tirosina e l’arginina (Sousa et al., 2001). Inoltre, anche gli starter stessi possono essere causa di difetti nell’aroma del formaggio, sopravvivendo troppo a lungo o raggiungendo concentrazioni troppo elevate, in quanto mascherano o diminuiscono gli aromi desiderati (Sousa et al., 2001). Possiamo affermare che gli starter sono un fattore importantissimo per la proteolisi del formaggio; quindi, è necessario dare la giusta importanza alla scelta di essi e porre particolare attenzione al mantenimento di tutte quelle condizioni necessarie affinchè

35 possano svilupparsi nella maniera ottimale, evitando quindi il rischio di sviluppo di sapori indesiderati. Affinchè le peptidasi intracellulari vengano rilasciate nel formaggio, è necessaria la lisi della cellula batterica, che generalmente può essere indotta dalle autolisine batteriche. Si tratta di enzimi endogeni che idrolizzano specifici legami dei peptidoglicani della parete cellulare. In base ai loro siti di attacco le autolisine vengono classificate in: -1,4-N- acetilmuramidasi (lisozima), -1,4-N-acetilglucosidasi, N-acetilmuramil-L-alanina-amidasi e peptidasi. Diverse autolisine possono mostrare specificità simili o differenti e possono comunque coesistere nella cellula costituendo il suo sistema autolitico (Valence e Lortal, 1995). Possiamo riconoscere tre gruppi principali di batteri lattici la cui autolisi riveste un’importanza particolare nella maturazione del formaggio: il primo gruppo comprende ceppi mesofili (Lactococcus lactis subsp. lactis e Lactococcus lactis subsp.cremoris) e termofili (Streptococcus thermophilus e Lactobacillus helveticus) di starter; il secondo gruppo comprende i batteri lattici non starter presenti nel formaggio (NSLAB non-starter lactic acid bacteria), vale a dire principalmente varie specie di lattobacilli mesofili e pediococchi ; infine il gruppo degli starter aggiunti, cioè quelle specie “non-starter” deliberatamente aggiunti con gli starter (Crow et al, 1995). Il processo di autolisi è stato ampiamente studiato e possiamo affermare che essa è influenzata dal ceppo, dalla fonte di carbonio, dalla temperatura, dallo stadio di crescita e dall’aggiunta di sale e altri cationi (Bie e Sjostrom, 1975; Ohmiya e Sato, 1969; Vegarud et al., 1983; Langsrud et al., 1987). Esistono comunque delle differenze tra le varie specie e sottospecie; infatti, alcuni studi hanno rilevato una maggior resistenza nel formaggio dei ceppi di Lc. lactis subsp. lactis, e quindi una minore attività autolitica, rispetto a ceppi di Lc lactis subsp. cremoris (Dawson e Feagan, 1957; Martley e Lawrence, 1972). È stato inoltre mostrato in alcuni studi che la principale attività autolitica nel lattococchi avviene ad opera di muraminidasi (Crow et al, 1995). I diversi ceppi coinvolti nella proteolisi si differenziano sia per l’entità sia per la specificità proteolitica e, in merito a questo, è necessario considerare diverse variabili:

 Le condizioni di crescita dei batteri influenzano la loro produzione enzimatica;  Il tipo e la quantità di enzimi che può produrre la cellula batterica: la produzione di enzimi proteolitici è generalmente correlata alla loro velocità di crescita;  La densità di cellule batteriche nel formaggio, la competizione tra i vari ceppi e la proto cooperazione influiscono sulla proteolisi;

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 L’entità della lisi cellulare nel formaggio, in quanto rende accessibili le peptidasi; questo è uno dei più importanti fattori dal quale dipende l’azione dei batteri nel formaggio. In alcuni ceppi la lisi può essere indotta con un temporaneo aumento della temperatura;  La stabilità degli enzimi nel formaggio: alcuni enzimi possono essere molto stabili, come la plasmina e la chimosina, mentre altri possono perdere la loro attività molto rapidamente;  Condizioni come il pH, la temperatura e la concentrazione di sale possono influire notevolmente sull’attività specifica degli enzimi.

Esistono diverse varietà di formaggi che vengono prodotti con l’aggiunta di ceppi termofili, come Streptococcus thermophilus e vari Lattobacilli tra cui L. helveticus, L. delbrueckii ssp. bulgaricus, e L. lactis; infatti, l’attività proteolitica di questi batteri starter è significativamente più forte rispetto a quella di starter mesofilici. Questo è sicuramente vero per i lattobacilli, mentre gli streptococchi difficilmente producono aminoacidi liberi.

Batteri non-starter

I batteri lattici non-starter (NSLAB) comprendono per lo più ceppi appartenenti alla specie Lactobacillus; si tratta di lattobacilli mesofili e pediococchi e possono essere omofermentanti obbligati, eterofermentanti facoltativi ed eterofermentanti obbligati. Per la maggior parte si tratta di lattobacilli eterofermentanti facoltativi, come Lb. casei e paracasei, Lb. rhamnosus, Lb. plantarum e Lb. curvatus. Per quanto riguarda i pediococchi, nei formaggi, sono stati identificati pediococchi acidolattici e Pe. pentosaceus. Alcuni di questi non necessitano di zuccheri come fonte di carbonio, ma sono in grado di utilizzare aminoacidi o alcune glicoproteine della membrana di globuli di grasso. Essi inizialmente si ritrovano nel formaggio a basse concentrazioni e possono raggiungere 107-108 ufc/g di formaggio, rimanendo costanti nel tempo. Questo avviene in seguito alla morte degli starter, che permette loro di prendere il sopravvento. Essi hanno una spiccata attività proteolitica e portano alla formazione di una gran varietà di composti aromatici. I NSLAB sono particolarmente importanti nei formaggi prodotti da latte crudo e la loro attività completa quella degli starter producendo peptidi con dimensioni simili e FAA. Proprio per questo motivo la loro capacità proteolitica viene considerata come un’aggiunta

37 all’attività degli starter per modulare il profilo aromatico dei formaggi e per accelerare la formazione di aromi (Fox et al., 1998).

Catabolismo degli aminoacidi

Gli aminoacidi liberi (FAA) nel formaggio sono il risultato della degradazione delle caseine da parte degli enzimi coinvolti nel processo di proteolisi e vengono quindi usati come indice di maturazione. Essi, così come i peptidi di piccole e medie dimensioni, contribuiscono allo sviluppo di aromi nel formaggio, in quanto alcuni di essi possono avere un gusto amaro, dolce, di noce, come riportato nella tabella 2.

Tabella 2. Contenuto di alcuni aminoacidi nel formaggio maturo e loro ruolo nel conferimento del sapore al prodotto (McSweeney & Sousa, 2000). Aminoacidi liberi nel Peso in gr/Kg Sapore formaggio Glicina 0.08 – 5,2 Sapore dolce Alanina 0,62 Sapore dolce Prolina 0,11 – 3,40 Sapore dolce Serina 0,03 – 0,27 Sapore dolce Treonina 0,19 – 0,54 Sapore dolce Valina 3,32 – 5,50 Sapore dolce-amarognolo Fenilalanina 2,22 – 3,22 Sapore amarognolo Acido aspartico 0,17 – 0,56 Sapore “di pane” Acido glutammico 4,93 – 1,03 Sapore “di brodo”

In alcuni studi è stato dimostrato che la concentrazione di FAA e lo sviluppo di particolari aromi nel formaggio non sono tra loro correlati; infatti, diversi tipi di formaggio, pur presentando concentrazioni e relative proporzioni di FAA molto simili, mostrano sapori completamente diversi (Fox e Wallace, 1997). Questo indica come la modificazione chimica o enzimatica degli aminoacidi sia un fattore critico e il loro sviluppo non sia un fattore limitante per la velocità di maturazione (Fox e McSweeney, 1996). La degradazione degli aminoacidi porta alla formazione di diversi composti che contribuiscono all’aroma del formaggio; si tratta principalmente di ammine, aldeidi, ammonio, fenoli, indoli e alcoli. Il catabolismo degli FAA può essere suddiviso in 3 stadi; il primo comprende diverse reazioni, come:

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 Decarbossilazione, che riguarda la conversione dell’aminoacido nella sua ammina

corrispondente con la perdita di CO2. La concentrazione di ogni ammina dipende dal tipo di formaggio e dalla microflora non-starter. Le ammine presenti maggiormente nei formaggi sono la tiramina e l’istamina, che derivano rispettivamente dagli aminoacidi Tyr e His (Fox et al., 1995). L’istidina decarbossilasi si può ritrovare in diversi microrganismi come Escherichia, Salmonella, Clostridi, Bacillus e Lattobacillus (Voight and Eitenmiller, 1978). Questo enzima, così come molte altre decarbossilasi, necessita di pirossidal-5’- fosfato come cofattore (Chang and Snell, 1968); diventa molto importante la concentrazione di istamina nei cibi fermentati, in quanto essa può essere causa di intossicazione; infatti, è nota l’insorgenza di intossicazione da istamina conseguente al consumo di formaggio contenente alte concentrazioni di questa ammina (Doeglas et al., 1967; Kahana e Todd, 1981; Taylor et al., 1982). Gli enzimi per la decarbossilazione della Tyr e Trp sono stati ritrovati in alcuni organismi come: Lb. curvatus, Lb. brevis, Lb delbrueckii, Lb. paracasei e Leuconostoc lactis (Straub et al., 1995; Masson et al., 1996; Roig-Sagues et al., 1997), mentre in alcuni ceppi di Lb. casei è stata dimostrata la produzione di tiramina. Inoltre la Glu-decarbossilasi è stata identificata in alcuni ceppi di Lb. brevis (Ueno et al., 1997), mentre i geni codificatori (gadB) e l’attivatore trascrizionale (gadC) sono stati caratterizzati in alcuni ceppi di Lc. lactis (Sanders et al., 1998). Infine, in alcuni ceppi non specificati di lattobacilli è stata ritrovata una Asp-decarbossilasi ( Abe et al., 1996). Non sono state ritrovate relazioni tra la produzione di ammine nel formaggio e la concentrazione di FAA (Smith, 1981), a causa, molto probabilmente, della diversità nella velocità di decarbossilazione degli aminoacidi e della deaminazione della ammine (Polo et al., 1985).  Deaminazione, che porta alla formazione di ammonio e -chetoacidi. L’ammonio è un importante costituente di alcuni formaggi come il Camembert, mentre alcuni - chetoacidi sono stati ritrovati nel formaggio Cheddar, Emmental, Parmigiano e . Alcuni -chetoacidi, come gli acidi-cheto-3-metilpentanoico e l’ - cheto-3-metilbutanoico, sono caratterizzati da un intenso odore di formaggio, ma la loro concentrazione è molto differente nei diversi tipi di formaggi. Alcuni studi hanno rivelato, in alcuni lattobacilli eterofermentativi, la presenza di una via metabolica, riguardante l’aminoacido Arginina, che coinvolge una Arg-deaminasi

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(ADI) (Manca de Nadra et al., 1982; Cunin et al., 1986; Konings et al., 1995). Questo processo vede la conversione di una mole di Arg in due moli di ammonio,

una mole di ornitina, una mole di CO2 e una mole di ATP (Fig.4).

Figura 4. Via metabolica attraverso Arg-deaminasi dell’aminoacido arginina; M, membrana citoplasmatica; ADI, arginina deaminasi; OTC, ornitina trans carbossilasi; CK, carboamato chinasi (Christensen et al., 1999).

 T ransaminazione, reazione catalizzata da enzimi che formano immine intermedie, successivamente degradate ad aldeidi per decarbossilazione o reazione di Strecker (Molimard e Spinnler, 1996; Urbach, 1995). Le aldeidi non si accumulano ad elevate concentrazioni nel formaggio, in quanto vengono rapidamente trasformate in alcoli o nei loro acidi corrispondenti e contribuiscono anch’esse allo sviluppo di aromi in diversi formaggi, come il Cheddar o il Parmigiano. Non è stata riscontrata alcuna correlazione tra la concentrazione dei FAA e i composti derivanti dalla reazione di Strecker. Si assiste alla formazione di acetaldeide a partire da treonina con l’enzima treonina-aldolasi, mentre la benzaldeide viene prodotta attraverso l’- ossidazione della fenilacetaldeide o dalla -ossidazione dell’acido cinnamico. Il secondo stadio vede la degradazione di ammine e -chetoacidi ad aldeidi grazie all’azione di deaminasi sulle ammine; infine, avviene la riduzione delle aldeidi ad alcoli o la loro ossidazione ad acidi (McSweeney e Sousa, 2000).

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Catabolismo degli aminoacidi solforati

I composti solforati presenti nel formaggio derivano principalmente dall’aminoacido metionina, in quanto risulta essere presente a concentrazioni più elevate rispetto alla cisteina nelle caseine; infatti, la cisteina è presente a basse concentrazioni solo nell’s2- e nella k-caseina (McSweeney e Sousa, 2000). Nei formaggi sono presenti composti solforati a basso peso molecolare, come: metanetiolo (CH3SH), solfito di idrogeno (H2S), dimetilsolfito (CH3SCH3), dimetildisolfito (CH3SSCH3), dimetiltrisolfito (CH3SSSCH3) e carbonil solfito. Essi interagiscono tra di loro e con altre sostanze presenti nel formaggio, dando origine ad ulteriori composti volatili che influenzeranno lo sviluppo di aromi (Kim e

Olson, 1989). Il metanetiolo, prodotto dalla reazione dell’H2S con la metionina, è presente insieme ad altri composti solforati e viene considerato responsabile dell’aroma di aglio di alcuni formaggi come il Camembert. Il dimetilsolfito è un prodotto del metabolismo dei batteri propionici formato dalla metionina ed è un componente fondamentale per l’aroma del formaggio Svizzero; il dimetildisolfito è un prodotto finale della reazione di Strecker, mentre il dimetiltrisolfito, associato all’aroma di broccoli o cavolfiori, è stato identificato nel Parmigiano e nel Cheddar. Altri composti volatili solforati sono presenti nei vari tipi di formaggio influendo sul sapore, come metionolo, prodotto dalla reazione di Strecker, S- metiltioacetato, 3-metiltiopropanale e benzotiazolo. Nella figura.5 (McSweeney e Sousa, 2000) sono rappresentati i catabolismi di alcuni aminoacidi come il triptofano, la fenilalanina e la tirosina, nei LAB.

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Figura 5. Catabolismo di triptofano, fenilalanina e tirosina (McSweeney & Sousa, 2000). Il Triptofano viene catabolizzato a piruvato indolo, attraverso un’amminotransferasi, che, successivamente, grazie ad un’ulteriore azione enzimatica, viene degradato a acido lattico indolico, acido acetico indolico, aldeide indolica e benzaldeide. La fenilalanina porta alla formazione di fenilpiruvato attraverso un’amminotransferasi e, successivamente, al fenil lattato e fenil acetato; inoltre, il fenilpiruvato, viene degradato a benzaldeide e feniletanolo. Il fenilpiruvato, il fenil lattato e il fenil acetato sono metaboliti del catabolismo della fenilalanina nei lattococchi (Yvon et al., 1997). La tirosina viene degradata da un’aminotransferasi a p-OH-fenil-piruvato, il quale, per decarbossilazione, porta alla formazione di p-cresolo, p-OH-fenil aldeide e p-OH-fenil acetato e, per deidrogenazione, a p-OH- fenil lattato. Inoltre, dalla tirosina si ottiene per decarbossilazione, la tiramina. Essa si ritrova spesso nei formaggi e si tratta di un’ammina biogena che può essere causa di intossicazione, provocando aumento della pressione, nausea e vomito, mal di testa.

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La glutammina viene degradata ad -cheto-glutarato grazie all’azione di un’amminotransferasi o deidrogenasi, e a -amminobutirato (GABA) dall’azione di una decarbossilasi. L’ilenina, la leucina e la valina vengono convertite in -cheto--metil-valerato, in - chetoisocaproato e -chetoisovalerato, rispettivamente grazie all’azione di un’amminotransferasi presente nel Lactococcus lactis.

1.10 Lipolisi

La lipolisi è un importante processo biochimico che avviene nel formaggio, durante la maturazione, riguardante la degradazione dei grassi. Molti formaggi sono caratterizzati da processi di lipolisi molto intensi responsabili dell’insorgere dell’aroma caratteristico. Gli acidi grassi liberi (FFA), liberati dalla lipolisi, sono precursori di reazioni cataboliche coinvolte nella produzione di composti volatili implicati nella formazione degli aromi desiderati. La principale fonte di grasso è data dai trigliceridi; si tratta di esteri di glicerolo con tre molecole di acidi grassi legate in tre posizioni specifiche dette sn-1, sn-2 e sn-3. L’attacco degli acidi grassi non è casuale; infatti, il C4:0 e il C6:0 si ritrovano principalmente nelle posizioni sn-3 e sn-1, mentre il C16:0 nella posizione sn-2 e il C18:0 nella posizione sn-1 (Balcao e Malcata, 1998). Oltre ai trigliceridi sono presenti i fosfolipidi, composti fondamentali della parete cellulari dei batteri Gram+. I principali fosfolipidi ritrovati nel latte sono fosfatidil colina, fosfatidil etanolamina e sfingomielina (Christie, 1983; Grummer, 1991; Gunstone et al., 1994). La lipolisi avviene ad opera di enzimi lipolitici che idrolizzano i legami esterici dei trigliceridi tra acidi grassi e il glicerolo portando alla formazione di acidi grassi liberi, mono- e digliceridi. Questi enzimi possono essere classificati in esterasi e lipasi e si differenziano per alcune caratteristiche principali:

 Natura fisico-chimica del substrato: le lipasi idrolizzano principalmente substrati emulsificanti, mentre le esterasi idrolizzano substrati solubili in soluzioni acquose;  Lunghezza delle catene idrolizzate acil estere: le lipasi idrolizzano catene con 10 o più atomi di carbonio, mentre le esterasi idrolizzano catene da 2 a 8 atomi di carbonio;

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 Cinetiche enzimatiche: le esterasi mostrano la classica cinetica di Michaelis- Menten, mentre le lipasi, essendo attivate solo dalla presenza di un’interfaccia idrofobica/idrofilica, mostrano una cinetica interfacciale del tipo Michaelis-Menten (Chich, Marchesseau e Gripon, 1997).

Le lipasi presenti nel formaggio derivano principalmente da sei fonti:

 Lipasi del latte: esso contiene una lipoprotein lipasi (LPL), che normalmente non raggiunge la sua massima attività nel latte crudo (Fox e Stepaniak, 1993; Fox, Law, McSweeney e Wallace, 1993). Il pH ottimale è 8, ma nel formaggio, la lipolisi è maggiore se il pH è più basso. L’enzima tende a idrolizzare trigliceridi a media catena e non mostra una specificità per il tipo di acidi grassi, ma piuttosto per la loro posizione; infatti, attacca gli acidi grassi in posizione sn-1 e sn-3. La LPL rilascia principalmente acidi grassi a media e corta catena. Essa viene largamente inattivata con alte temperature per un breve tempo di trattamento (72°C per 15 sec); infatti essa contribuisce maggiormente alla lipolisi nei formaggi prodotti a partire da latte crudo, in quanto è inattivata dal trattamento di pastorizzazione.  Il caglio: esso viene aggiunto durante la produzione del formaggio per coagulare il latte. Esso contribuisce largamente ai fenomeni di proteolisi e lipolisi per gli enzimi che contiene; infatti, esso può contenere un’esterasi, detta esterasi pregastrica (PGE). L’esterasi pregastrica può provenire da diversi animali e viene secreta da una ghiandola alla base della lingua, arrivando all’abomaso con il latte. Essa contribuisce fortemente allo sviluppo di aromi caratteristici di diversi tipi di formaggi italiani. La PGE ha un’alta specificità per gli acidi grassi a corta catena esterificati in posizione sn-3 (Nelson et al., 1977; Fox e Stepaniak, 1993). Alcuni tipi di PGE sono responsabili del gusto “piccante” tipico di alcuni formaggi, ma possono portare alla formazione di aromi diversi in base alla specie da cui derivano: PGE derivante da vitello produce un gusto relativamente piccante con una traccia di dolcezza, mentre PGE di agnello produce un aroma piccante accompagnato da un persistente e pungente gusto di carne di montone; infine, la PGE di capra è caratterizzata dal gusto più piccante e più intenso delle tre specie (Nelson et al., 1977).  Enzimi microbici: poiché le lipasi endogene del latte sono inattivate dal trattamento termico di pastorizzazione, la presenza di acidi grassi nel formaggio è

44 dovuta per larga parte all’azione delle lipasi intracellulari dei microrganismi presenti come starter, non-starter e starter aggiunti. I LAB possiedono enzimi esterolitici e lipolitici in grado di liberare FFA da mono-, di- e trigliceridi; essi, in particolare i lattococchi e i lattobacilli, sono considerati poco lipolitici, ma l’elevata concentrazione di cellule nel formaggio e il lungo periodo di maturazione, permettono la liberazione di concentrazioni significative di FFA. In diversi studi sono stati caratterizzati diversi enzimi intracellulari di alcuni ceppi di microrganismi: sono state trovate attività esterolitiche in quattro diversi ceppi di lattobacilli, come Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus, Lb. helveticus, Lb. delbrueckii subsp. lactis e Lb. acidophilus (El-Soda et al., 1986). Inoltre, anche in Lc. lactis subsp. lactis, in lattococchi citrato positivi e in Lc. lactis subsp. cremoris è stata rilevata la presenza di esterasi e lipasi (Piatkiewicz, 1987). In tutti questi ceppi è sicuramente maggiore un’attività esterolitica rispetto all’azione lipolitica. Queste lipasi mostrano un’attività massima intorno ai 37°C con un pH che va da 7 a 8.5; inoltre, sono stimolate dalla presenza di glutatione ridotto e da basse concentrazioni di NaCl (ca. 2g /100 mL), mentre sono inattivate da alte concentrazioni di NaCl (ca. 20g /100 mL) (Yvonne, McSweeney e Wilkinson, 2003). Anche nel Lb. fermentum

è stata trovata un’esterasi specifica per C4:0, che può idrolizzare gli esteri -naftil degli acidi grassi dal C2:0 al C10:0 (Gobbetti, Smacchi e Corsetti, 1997). In un recente studio è stata purificata un enzima lipasi da ceppi di Lb. plantarum isolati dal formaggio Cheddar (Gobbetti, Fox, Smacchi, Stepaniak e Damiani, 1996). Questa lipasi ha una massima attività a 35°C con un pH intorno a 7.5; è abbastanza termo- stabile, ma viene completamente inattivata con un trattamento a 75°C per 2 minuti. Inoltre, essa mostra la massima attività nei confronti dell’acido tributanoico e una minore attività verso gli acidi tridodecanoico e triesadecanoico, mentre non agisce sull’acido tri-cis-9-octadecanoico. Un microrganismo importante in diversi tipi di formaggio è sicuramente lo Streptococcus thermophilus, nel quale sono state identificate tre esterasi intracellulari (Liu et al., 2001). In particolare due sono state identificate come esterasi I e esterasi II dal peso molecolare di 34 e 60 kDa rispettivamente; la prima idrolizza i p-nitrofenil esteri degli acidi grassi a corta catena dal C2 al C8, mentre la seconda idrolizza i p-nitrofenil esteri degli acidi grassi dal C2 al C6. L’attività enzimatica viene ridotta da una diminuzione di temperatura in un intervallo

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compreso tra 25 e 37°C, da una diminuzione di pH tra 5.5 e 8 e da una diminuzione dell’ attività dell’acqua tra 0.99 e 0.80, mentre viene aumentata da un’elevata concentrazione di NaCl compresa tra 3.7 e 7.5g in 100 mL. Gli enzimi lipolitici dei LAB si trovano all’interno della cellula, quindi vengono liberati in seguito ad autolisi cellulare. Tuttavia, non è ancora chiaro se esiste una correlazione tra l’entità dell’autolisi e la liberazione di FFA nel formaggio. Sicuramente, il tipo di ceppi utilizzati come starter influenza il livello di alcuni prodotti finali di lipolisi. In un recente studio è stato dimostrato che alcuni ceppi possono essere considerati maggiormente autolitici rispetto ad altri (Wilkinson et al., 1994); per valutare l’influenza dell’autolisi degli starter sulla lipolisi è stata misurata la concentrazione di FFA in formaggi con l’aggiunta di starter più o meno autolitici. Ne è derivato che il formaggio con gli starter maggiormente autolitici

presenta più alti livelli di FFA, tra cui il C8:0 (acido ottanoico), il C14:0 (ac.

Tetradecanoico), C16:0 (ac. esadecanoico) e C18:0 (acido ottadecanoico). Questo risultato suggerisce una relazione tra l’autolisi degli starter e la lipolisi nel formaggio (Yvonne, McSweeney e Wilkinson, 2003). Alcuni formaggi vengono prodotti con l’aggiunta di starter, come muffe e batteri non appartenenti al gruppo dei lattici. Nel formaggio Camembert è fondamentale l’azione delle muffe Penicillium spp. che svolgono un’importante azione lipolitica. Il P. roqueforti possiede due lipasi che si differenziano, oltre che per la specificità di substrati, anche per il valore ottimale di pH; infatti, una lipasi viene detta neutrale, in quanto svolge la sua massima attività a pH intorno a 7.5-8, mentre quella alcalina intorno a 9-9.5. Anche il P. camemberti produce una lipasi extracellulare attiva a pH 9 e a una temperatura di 35°C sull’acido tributanoico (Lamberet e Lenoir, 1976). È sicuramente noto che i batteri proprionici sono molto più lipolitici rispetto ai LAB (Knaut e Mazurek, 1974; Dupuis, 1994). Oltre alle lipasi derivanti dai microrganismi, ci sono altri fattori che agiscono sulla lipolisi:  La composizione degli acidi grassi; la composizione dei lipidi è molto importante per lo sviluppo delle caratteristiche e della qualità del prodotto finale; infatti, a seconda del latte utilizzato, si possono raggiungere risultati molto diversi. Per esempio, il latte ovino contiene una quantità di acidi grassi a media e corta catena molto superiore rispetto al latte di vacca, e questo porta alla formazione di profili lipolitici diversi e quindi aromi molto diversi nel formaggio.

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 L’attivitàdell’acqua; questo è un fattore molto importante, in quanto nei prodotti ottenuti da latte disidratato il processo di lipolisi avviene molto velocemente anche

se il contenuto di umidità è molto basso (aw< 0.1).  La temperatura e il periodo di immagazzinamento; questi fattori influenzano l’ossidazione dei lipidi, in quanto essa aumenta con l’aumentare di entrambe. In particolar modo, un aumento della temperatura determina un’accelerazione della maturazione del formaggio, quindi anche della lipolisi (Jin e Park, 1995). Il contenuto di FFA nel formaggio aumenta durante la maturazione e riguarda, particolarmente, gli acidi grassi liberi a corta catena.  Ossigeno; la presenza di una grande quantità di acidi grassi liberi può stimolare l’ossidazione dei lipidi.  L’area superficiale.

Catabolismo degli acidi grassi liberi (F F A)

Gli FFA, oltre che contribuire direttamente alla formazione di aromi nel formaggio, sono anche precursori di varie reazioni metaboliche che portano alla formazione di composti aromatici, come i metil chetoni, i lattoni, gli esteri, gli alcani e alcoli secondari. I metil chetoni sono particolarmente importanti, soprattutto nei formaggi con muffa blu; essi vengono prodotti per azione delle lipasi delle muffe, come il Penicillium camemberti, attraverso quattro stadi principali: ossidazione degli FFA rilasciati dalle lipasi ad - chetoacidi, decarbossilazione di -chetoacidi ad alcan-2-oni, con perdita di un atomo di carbonio e riduzione degli alcan-2-oni ad alcan-2-oli (Yvonne et al., 2003). Gli acidi grassi liberi non sono gli unici precursori dei metilchetoni, ma sicuramente sono i più importanti; infatti, essi possono derivare anche dall’azione di muffe sui chetoacidi naturalmente presenti nel grasso del latte in basse concentrazioni o dall’ossidazione di acidi grassi monoinsaturi (Kinsella e Hwang, 1976b). La velocità di produzione di metilchetoni nei formaggi dipende dal pH, dalla temperatura, dallo stadio fisiologico delle muffe e dalla concentrazione degli acidi grassi. Quando questi ultimi sono presenti a basse concentrazioni, essi sono completamente ossidati a CO2 e si formano basse quantità di metilchetoni (Margalith, 1981). Generalmente, i metil chetoni si ritrovano nelle ultime fasi di maturazione e sempre in piccole quantità, tranne nei formaggi a lunga maturazione, come ad esempio il Parmigiano Reggiano. Nei formaggi di muffa blu la concentrazione dei metil chetoni aumenta nelle prime fasi di maturazione fino circa a 60

47 giorni, dopo di che il livello comincia a diminuire. Essi, in questi formaggi, sono molto importanti per la formazione di aromi e si ritrovano anche a concentrazioni piuttosto elevate. Altri importanti prodotti del catabolismo degli FFA sono gli esteri e i tioesteri; essi sono componenti volatili che si ritrovano spesso nei formaggi. Gli esteri derivano dalla reazione degli FFA a media e corta catena con gli alcoli prodotti a seguito della fermentazione del lattosio o del catabolismo degli amminoacidi. Gli esteri sono componenti molto importanti per lo sviluppo di aromi nei formaggi, così come i tioesteri. Questi ultimi derivano dalla reazione degli FFA con gruppi solfidrici liberi (Molimard e Spinnler, 1996). Diversi microrganismi sono in grado di produrre tioesteri, come alcuni ceppi di Lc. lactis e batteri corineiformi che producono tioesteri fino a S-metil-tiobutirato. In uno studio è stato dimostrato che anche Rhizomucor miehei è in grado, attraverso una lipasi, di catalizzare la sintesi di alcuni esteri a corta catena (Cavaille-Lefebvre e Combe, 1997). Un altro prodotto di significativa importanza del catabolismo degli FFA riguarda il gruppo dei lattoni; si tratta di composti ciclici formati per esterificazione intramolecolare di idrossi- acidi grassi, con perdita di una molecola d’acqua. I lattoni vengono prodotti con il calore e in presenza di acqua, a partire dai loro precursori, gli idrossi-acidi, i quali si formano nella ghiandola mammaria per ossidazione di acidi grassi. Nel formaggio, gli - e i -lattoni sono risultati essere relativamente instabili e reattivi, mentre i - e i -lattoni sono molto più stabili; la loro formazione avviene spontaneamente una volta che i corrispondenti acidi grassi sono rilasciati nel formaggio a seguito della lipolisi e, infatti, la concentrazione di questi lattoni è correlata con il processo lipolitico. Inoltre, i lattoni possono essere formati da acidi grassi insaturi attraverso l’azione di liposigenasi o idratasi. Nel Parmigiano- Reggiano sono stati identificati diversi lattoni, ma quello maggiormente presente è - ottalattone (Meinhart e Schreier, 1986), mentre nel Camembert sono stati identificati - e - decalattone, - e -dodecalattone (Gallois & Langlois, 1990). Altri composti prodotti del catabolismo degli FFA sono gli alcoli secondari, formati nel formaggio dalla riduzione enzimatica dei metil-chetoni. Essi si ritrovano in formaggi come quelli a muffa blu, ad opera delle muffe Penicillium spp.; sono stati identificati metil chetoni come il 2-eptanolo e il 2-nonanolo. Nel formaggio Cheddar, invece, si sono ritrovati il 2-propanolo e il 2 butanolo, a partire da acetone e butanone rispettivamente (Urbach, 1993).

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Infine, anche le aldeidi possono derivare dalla degradazione degli acidi grassi liberi e hanno origine dalla -ossidazione di acidi grassi insaturi. Esse possono formarsi anche in seguito a decarbossilazione di immine, prodotte dalla transaminazione di amminoacidi o dalla reazione di Strecker. Inoltre, possono anche avere un’origine microbica; infatti, alcuni ceppi come il Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus, possiedono un’enzima, la treonina aldolasi, in grado di catalizzare la conversione della treonina e della glicina ad acetaldeide (Marshall e Cole, 1983; Wilkins, Schmidt, Shireman, Smith e Jezeski, 1986). Alcuni formaggi, caratterizzati da processi lipolitici elevati, possiedono alte concentrazioni di aldeidi importanti per lo sviluppo di aromi.

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Eventi responsabili della formazione di aromi

Lo sviluppo di aromi nel formaggio è il risultato di una serie di cambiamenti biochimici, che avvengono ad opera dei batteri starter, delle interazioni tra loro, degli enzimi del latte, del caglio, e microbici. La qualità dei prodotti fermentati dipende fortemente dalla percezione sensoriale; essa comprende diversi sensi, come, ad esempio, l’olfatto, il gusto e la vista; per quanto riguarda gli aromi, possono essere riconosciute cinque sensazioni di gusto, nella bocca, come il dolce, l’amaro, il salato, l’acido e l’umami, grazie a particolari cellule recettori di gusto. Anche nel naso sono presenti differenti recettori per riconoscere una larga varietà di composti volatili aromatici. L’equilibrio tra questi componenti determina il fatto che un prodotto piaccia o meno. I composti aromatici nel formaggio derivano principalmente da tre vie metaboliche: la degradazione del lattosio (glucolisi), delle proteine (proteolisi) e dei grassi (lipolisi).

1.11 Degradazione del lattosio

La degradazione del lattosio avviene ad opera dei batteri lattici presenti nel latte e degli starter aggiunti durante il processo di produzione dei formaggi. Il primo step della degradazione del lattosio riguarda il suo trasporto dentro la cellula; i sistemi di trasporto del lattosio sono essenzialmente due: il primo vede la fosforilazione del lattosio durante il suo passaggio attraverso la membrana citoplasmatica; il gruppo fosfato viene ceduto dal fosfoenolpiruvato, molecola che si forma durante la glicolisi e, per questo motivo, questo meccanismo prende il nome di sistema fosfoenolpiruvato fosfotransferasi (PEP-PTS). Sono coinvolte inoltre quattro proteine: una di queste (EII), che si trova nella membrana citoplasmatica, ha il compito di trasportare il lattosio dall’esterno della cellula all’interno, mentre la seconda (EIII), situata nel citoplasma, fosforila la molecola producendo il lattosio-P; le altre due (EI e HPr) sono proteine citolpasmatiche non- specifiche, che trasferiscono il gruppo fosfato dal fosfoenolpiruvato (PEP) all’EIII. Il secondo sistema di trasporto coinvolge alcune proteine citoplasmatiche, dette permeasi, che trasportano il lattosio all’interno della cellula senza alcuna modificazione chimica; esse sono situate nella membrana citoplasmatica e, insieme al lattosio, trasportano anche protoni

51 derivanti dall’idrolisi di ATP. Alcuni ceppi termofili non sono in grado, a questo punto, di idrolizzare il galattosio e, quindi, una trans membrana permeasi trasporta contemporaneamente una molecola di lattosio all’interno della cellula e una di galattosio all’esterno; in questo modo, l’energia generata attraverso l’uscita di galattosio supporta l’entrata di lattosio. Il lattosio-P che ora si trova all’interno della cellula, viene degradato da una fosfo-- galattosidasi in glucosio e galattosio-6-fosfato; il glucosio viene convertito in glucosio-6- fosfato. Nei lattococchi, il glucosio-6-fosfato viene metabolizzato attraverso via glicolitica o grazie alla via metabolica di Embden-Meyerhof (EM), mentre il galattosio-6-fosfato entra nella via metabolica del tagatosio. Attraverso queste vie metaboliche si arriva alla produzione di gliceraldeide-3-P grazie all’azione di enzimi aldolasi e l’unico prodotto finale è l’acido lattico; quindi, questo processo prende il nome di fermentazione acido lattica omofermentante, in cui una mole di lattosio si trasforma in quattro moli di acido lattico. Nei batteri termofili, in cui avviene l’espulsione di galattosio, si producono solo due moli di acido lattico. Per quanto riguarda ceppi appartenenti alle specie Leuconostoc e lattobacilli, il galattosio viene trasformato in glucosio-1-P attraverso la via di Leloir, mentre il glucosio viene degradato nella via fosfochetolasica. Attraverso l’azione dei due enzimi fosfochetolasi e glucosio-6-P deidrogenasi, si arriva alla conversione di 6-P-gluconato a CO2 e pentoso-5-P, che a loro volta portano alla formazione di gliceraldeide-3-P e acetil-P; quest’ultimo viene convertito in etanolo, mentre la gliceraldeide-3-P in acido lattico attraverso la via glucolitica. In questo caso si parla di fermentazione acido lattica eterofermentante.

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Figura 6. Metabolismo del lattato (McSweeney & Sousa, 2000).

1.12 Metabolismo del citrato

I batteri lattici del genere Leuconostoc sono in grado di fermentare anche il citrato con produzione di diacetile, CO2 e acetato. Esso è una sostanza presente nel latte, ma durante la produzione del formaggio viene persa; tuttavia, il livello di citrato che rimane è importante, in quanto la sua metabolizzazione ad opera di starter mesofili appartenenti alle specie Leuconostoc e lattococchi, porta alla formazione di composti volatili importanti per lo sviluppo di aromi nel prodotto finito. I microrganismi in grado di metabolizzare il citrato

53 non lo usano come fonte di energia, ma esso viene co-metabolizzato insieme al lattosio o ad altri zuccheri. I principali composti aromatici nel formaggio derivanti dalla degradazione del citrato sono il diacetile, l’acetoino e il 2,3-butandiolo. Il citrato viene trasportato nella cellula da una citrato permeasi; inizialmente, grazie all’azione di una citrato liasi, esso è idrolizzato ad acetato, CO2 e piruvato; successivamente, il diacetile può essere formato a partire da piruvato via -acetolattato, attraverso la condensazione di acetaldeide attiva e un’altra molecola di piruvato. L’- acetolattato, inoltre, può essere decarbossilato portando alla formazione di acetoino; l’ - acetolattato è una molecola instabile che, a bassi valori di pH, può essere decarbossilata non enzimaticamente ad acetoino, mentre in presenza di ossigeno, può essere trasformata in diacetile.

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Figura 7. Metabolismo del citrato (McSweeney & Sousa, 2000).

1.13 Contributo della proteolisi allo sviluppo di aromi nel formaggio

La degradazione delle caseine è il processo più importante per la formazione di aromi in diversi tipi di formaggio; essa avviene ad opera di proteasi extracellulari e peptidasi intracellulari che liberano rispettivamente piccoli peptidi e amminoacidi liberi. I peptidi hanno delle caratteristiche specifiche aromatiche; infatti, essi possono riportare particolari

55 gusti come il dolce, l’amaro o il maltato. Tuttavia, i peptidi non alterano il gusto del formaggio, a meno che non avvenga un forte squilibrio nel processo di proteolisi, che potrebbe portare alla formazione di un eccesso di peptidi amari, i quali andrebbero ad alterare la percezione dell’aroma finale del formaggio. La parte C-terminale della - caseina, chiamata C-peptide, è responsabile del gusto amaro che si può ritrovare nel formaggio Gouda. Proprio per questo motivo, sono state selezionate diverse culture di ceppi starter con una grande abilità di degradazione dei peptidi dal gusto amaro. I peptidi entrano all’interno della cellula grazie a un sistema di trasporto e vengono attaccati dalle numerose peptidasi intracellulari dei LAB, con il conseguente rilascio di amminoacidi liberi. Il successivo metabolismo di questi ultimi porta alla formazione di diversi composti, importanti per quanto riguarda gli aromi del prodotto finito, come aldeidi, alcoli, acidi, esteri e vari composti solforici. Inzialmente, molti amminoacidi vengono convertiti in -cheto-acidi grazie all’azione di amminotransferasi. Essi rappresentano un prodotto intermedio molto importante; infatti, successivamente essi possono essere idrogenati nei loro corrispondenti -idrossi-acidi, decarbossilati ad aldeidi o trasformati in CoA-esteri. I CoA-esteri possono portare alla formazione di altri composti, oppure essere convertiti in acido isovalerico, importante composto aromatico. Gli idrossi-acidi non sono considerati tra i maggiori composti aromatici e nemmeno precursori di altri composti; l’idrogenazione degli -cheto-acidi a idrossi acidi porta a una diminuzione della concentrazione degli -cheto-acidi e, quindi, influisce negativamente sulla formazione di aroma, in quanto penalizza la conversione di - cheto-acidi in composti aromatici, come ad esempio le aldeidi. La decarbossilazione dei cheto-acidi a catena laterale forma delle aldeidi con un aroma al malto e al cioccolato; la produzione di questi composti maltati è caratteristica di alcuni ceppi appartenenti alle specie: Carnobacterium piscicola, Lactobacillus casei, Lactococcus lactis maltigenes e Lactococcus lactis; I lattococchi producono solo piccole quantità di queste aldeidi. Le aldeidi possono essere idrogenate nei loro rispettivi alcoli, ma l’intensità aromatica nelle aldeidi è molto più forte rispetto a quella degli alcoli, quindi, quando si vogliono ottenere aromi molto intensi, la loro idrogenazione ad alcoli non è ottimale. Gli esteri derivano dalla reazione tra gli alcoli e acidi organici; alcuni esteri, come l’etil- butirato, sono responsabili di aromi di alcuni formaggi come il Cheddar o il Gouda, ma un eccesso di questi potrebbe portare ad alcuni difetti, come ad esempio l’aroma fruttato nel Cheddar (Bills et al., 1965). Altri composti che derivano dalla degradazione della

56 fenilalanina, come la fenil-acetaldeide, il 2-feniletanolo e l’estere fenil-etil-acetato, sono considerati i responsabili della nota floreale del formaggio Camembert (Kubickova e Grosch, 1997). Altri enzimi sono coinvolti nella formazione di aromi nei formaggi, come ad esempio le liasi, coinvolte nel metabolismo della metionina, amminoacido solforato dal quale hanno origine diversi composti solforati. Diversi composti volatili solforati sono stati identificati in diversi tipi di formaggi, come ad esempio il Parmigiano, il Cheddar e il Gouda. La metionina è un amminoacido che riveste un ruolo molto importante nella formazione di aromi; nei batteri starter sono state identificate due principali vie metaboliche per la degradazione della metionina. La prima riguarda l’enzima cistationina--liasi, che catalizza una simultanea deaminazione e demetiolazione, portando alla formazione di metanetiolo, il quale influisce direttamente sull’aroma o come precursore di altri composti solforici, come il dimetilsulfide e dimetildisulfide. Enzimi simili sono stati ritrovati in Pseudomonasovalis, la metionina--liasi, enzima PLP-dipendente (piridossal-5’-fosfato), e cistationina--liasi, identificata in Lactococcus lactis subsp. cremoris. La seconda via metabolica riguardante l’amminoacido metionina comprende, in primo luogo, una transaminazione che porta alla formazione di acido 4-metiltio-2-ossobutirrico (KMBA), seguita da una decarbossilazione con il rilascio di metionale. Infine, il metionale viene convertito in metanetiolo (Smith et al., 2000). Anche la conversione di altri amminoacidi è importante per lo sviluppo di aromi; infatti, dalla leucina e dalla isoleucina si ottengono rispettivamente il 3-metil-butanale e il 2-metil- butanale rispettivamente; questi composti rivestono un ruolo significativo negli aromi di alcuni formaggi (Neeter et al., 1996), mostrando un aroma di malto. Inoltre, gli alcoli derivanti dagli amminoacidi a catena laterale hanno un aroma alcolico e fruttato, mentre gli acidi possono mostrare aroma dolce, acido, rancido, fruttato a seconda dell’amminoacido da cui derivano. Gli amminoacidi aromatici, cioè fenilalanina, tirosina e triptofano, portano alla formazione di composti che possono donare un aroma rosato e di mandorle amare, così come anche un aroma putrido, chimico e fecale. Questi ultimi aromi vengono definiti come “off-flavours” e sono causa di difetti nei prodotti finiti. Nella seguente tabella sono riportati alcuni composti aromatici con i gusti che possono conferire.

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Tabella 3. Descrizione di alcuni importanti composti aromatici (McSweenwy & Sousa, 2000).

Composto aromatico Descrizione

2-metil-propanale banana, malto, cioccolato

3-metil-butanale malto, formaggio

3-metil-butanolo formaggio fresco, alcolico

Acido 3-metil-butirrico rancido, dolce, formaggio, putrido

Acido butirrico Dolce, burroso, formaggio, forte, acido

Acido propionico Pungente, latte acido, formaggio

Etil-butirato Fruttato, burroso, frutto maturo

Diacetile Forte, burroso

Acetaldeide Yougurt, pungente, balsamico, verdura

Metionale Carne, zolfo, patate bollite

Metanetiolo Cavolo in decomposizione, formaggio, vegetali, zolfo Benzaldeide Olio di mandorle amare, ciliegia dolce

Fenil-acetato Gelsomino con una nota metallica

1.14 Contributo della lipolisi alla formazione di aromi

I prodotti principali del processo di lipolisi sono gli acidi grassi liberi, che contribuiscono direttamente alla formazione di aromi, e indirettamente, fungendo da substrati in reazioni per la produzione di altri composti aromatici. Generalmente, gli FFA a lunga catena, cioè con un numero di atomi di carbonio superiore a dodici, a causa della loro alta soglia di percezione, non danno un significante contributo alla formazione di aromi; mentre gli acidi grassi a media e corta catena (C4:0 – C12:0) hanno una soglia di percezione più bassa e conferiscono alcune caratteristiche note aromatiche. Per esempio, l’acido esanoico ha una nota aromatica pungente, tipica dei formaggi con muffa

58 blu, mentre l’acido butanoico può contribuire con aroma rancido e di formaggio. L’acido ottanoico conferisce una nota aromatica di sapone, cera, di stantio e rancido e fruttata. Gli aromi conferiti dagli FFA dipendono molto dalla loro concentrazione e dalla solgia di percezione e, quindi, possono contribuire positivamente oppure conferire al formaggio dei difetti apportando un gusto rancido(Yvonne et al., 2003). Essi sono molto importanti per lo sviluppo di aromi in diversi tipi di formaggi, come il Parmigiano, il Provolone e il Romano (Aston & Dulley, 1982); quest’ultimo contiene la più alta concentrazione di FFA e quindi mostra gli aromi più forti da essi conferiti, mentre formaggi con un basso contenuto di FFA, come ad esempio la , sono caratterizzati da aromi delicati. Acidi grassi liberi come il butanoico, il propanoico e l’etanoico sono importanti nel formaggio Svizzero, mentre l’acido 4-etilottanoico conferisce una nota aromatica caratteristica di capra e montone nei formaggi prodotti con latte di capra e di pecora; inoltre, gli FFA sono importanti precursori di composti aromatici in formaggi della Nuova Zelanda (Lawrence, 1967). La lipolisi porta alla formazione, oltre agli acidi grassi liberi, di altri composti: i metil- chetoni, i lattoni, gli esteri e gli alcoli secondari. I metil-chetoni sono importanti soprattutto nei formaggi a muffa blu, in particolare l’eptan- 2-one e il nonan-2-one, presenti anche nel formaggio Camembert (Molimard & Spinnler, 1996). I metil-chetoni ottan-2-one, nonan-2-one, decan-2-one, undecan-2-one e tridecan-2- one conferiscono un aroma fruttato, floreale e di stantio, mentre l’eptan-2-one ha l’aroma tipico del formaggio a muffa blu. Inoltre, i metil-chetoni con aroma di funghi e di stantio contribuiscono in maniera significativa all’aroma del formaggio Camembert (Molimard & Spinnler, 1996). Non solo i metil-chetoni, ma anche i lattoni possiedono note aromatiche molto forti; infatti, essi possono contribuire con una nota burrosa caratteristica di alcuni formaggi (Dirinck &

De Winne, 1999). Alcuni lattoni sono stati identificati nel formaggio Cheddar, come -C10,

-C12, -C14, -C15, -C16, -C18, -C12, -C14 e -C16 e la loro concentrazione è correlata con l’età del formaggio e con l’intensità aromatica (O’Keefe et al., 1969; Wong et al., 1975). I -lattoni sono caratterizzati da una forte nota aromatica fruttata di pesca, albicocca e noce di cocco e una bassa soglia di percezione (Dufossé et al., 1994). Essi sono stati analizzati in diversi formaggi, come l’Emmental e il Gouda (Dirinck & De Winne, 1999); quest’ultimo è risultato più ricco di -decalattoni e -dodecalattoni e il suo aroma burroso è stato attribuito alle alte concentrazioni di questi composti.

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Anche gli esteri possono contribuire all’aroma di diversi formaggi, come il Parmigiano e il Groviera, nei quali sono stati identificate alte concentrazioni di etil-butanoato responsabile di una nota aromatica fruttata. Questo aroma fruttato, tipico degli esteri, risulta indesiderabile in altri formaggi. I tioesteri possono conferire un aroma “di formaggio”, burroso o fruttato; nel Cheddar, i tioesteri, formati dalla reazione di esteri di acidi grassi a corta catena con metionale, contribuiscono al tipico aroma cosiddetto “di formaggio”. Infine, gli alcoli secondari partecipano alla formazione di aromi nel formaggio. Infatti, il propan-2-olo, il butan-2-olo, l’octan-2-olo e il nonan-2-olo sono presenti in alte quantità in formaggi morbidi come i formaggi a muffa blu, mentre l’eptan-2-olo e il nonan-2-olo sono stati ritrovati nel Camembert insieme al oct-1-an-3-olo, al quale è da attribuire un tipico odore di funghi ed è sicuramente uno dei composti principali dell’aroma di questo formaggio. Nella seguente figura sono riportati i principali meccanismi biochimici che avvengono durante la maturazione del formaggio (McSweeney & Sousa, 2000).

Figura 8. Principali meccanismi biochimici durante l'affinamento (McSweeney & Sousa, 2000).

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Ammine biogene

Le ammine biogene sono basi organiche a basso peso molecolare formate principalmente per decarbossilazione di ammino acidi o attraverso aminazione a transaminazione di aldeidi e chetoni. Si possono distinguere ammine naturali, presenti principalmente in frutta e ortaggi, e ammine biogene, presenti negli alimenti attraverso decarbossilazione di amminoacidi da parte di enzimi di origine microbica. Le ammine naturali che si ritrovano in alcuni alimenti non hanno alcun effetto tossico sulla salute del consumatore, in quanto sono presenti in moderate concentrazioni. Esistono però anche alcune eccezioni: l’ananas immaturo contiene circa 60 mg/Kg di serotonina, ma la concentrazione poi diminuisce fino a pochi milligrammi quando il frutto raggiunge la maturazione; nel lampone, invece, si possono ritrovare fino a 90 mg/kg. Per quanto riguarda la struttura chimica delle ammine biogene si possono classificare in:

 Alifatiche: putrescina, cadaverina, spermina e spermidina;  Aromatiche: feniletilamina e tiramina;  Eterocicliche: triptamina e istamina.

Le poliammine come la putrescina, la spermina, la spermidina e la cadaverina sono componenti indispensabili delle cellule vive e sono importanti nella regolarizzazione della funzione dell’acido nucleico, nella sintesi delle proteine e anche nella stabilizzazione delle membrane (Bardòcz, 1993); esse sono indispensabili per il metabolismo cellulare, nella crescita e nel rinnovo delle cellule e sono particolarmente richieste soprattutto nei tessuti caratterizzati da un elevato ricambio cellulare (Novella-Rodriguez et al., 2003). Gli amminoacidi precursori delle principali ammine biogene che si ritrovano negli alimenti e coinvolte in fenomeni di avvelenamento sono l’istidina, che porta alla formazione di istamina, la tirosina dalla quale si forma tiramina, idrossitriptofano dal quale si ottiene la serotonina, il triptofano per la triptamina, la lisina per la cadaverina, l’ornitina per la putrescina e, infine, l’arginina per la spermina e la spermidina (Silla Santos, 1996). Le poliammide, come la spermina e la spermidina, non derivano direttamente da reazioni microbiche di decarbossilazione; cellule vegetali e animali sono in grado di sintetizzare le poliammine attraverso un processo che vede una decarbossilazione, seguita da altre

61 specifiche reazioni enzimatiche. La putrescina, la cadaverina e l’agmatina possono avere origine sia da attività enzimatiche microbiche, sia grazie ad una sintesi endogena nelle cellule vive (Novella-Rodriguez et al., 2003).

1.15 Amine biogene negli alimenti

Le condizioni necessarie affinchè si sviluppino ammine biogene negli alimenti sono:

 La disponibilità di amminoacidi liberi, precursori delle ammine;  Presenza di microrganismi decarbossilasi-positivi;  Condizioni ottimali di crescita di questi microrganismi, condizioni ottimali per la sintesi di enzimi decarbossilasi e per espletare la loro attività.

In tutti gli alimenti che possiedono amminoacidi liberi e proteine si possono creare le condizioni necessarie per la formazione di ammine biogene. Esse possono ritrovarsi anche in cibi non fermentati e, una concentrazione al di sopra di certi valori, potrebbe essere indice di una indesiderata attività microbica; tuttavia, la loro presenza non necessariamente deve essere correlata a una presenza di microrganismi, in quanto non tutti mostrano un’attività decarbossilasica. Le ammine biogene si ritrovano in diversi alimenti, fermentati e non fermentati, come, ad esempio, il pesce, frutta e verdure, carne, latte, formaggi e prodotti lattiero-caseari, vegetali fermentati, vino e birra, prodotti fermentati a base di pesce. Il pesce è uno degli alimenti maggiormente conosciuti per quanto riguarda le intossicazioni da istamina; nel pesce ricco di istidina endogena la sua formazione può essere attribuita all’attività decarbossilasica di alcuni microrganismi o enzimi endogeni (Halász et al., 1994). L’istidina può essere soggetta a due diversi meccanismi catabolici, che possono portare alla formazione di istamina grazie a un’attività decarbossilasica a partire dall’amminoacido istidina, oppure di acido urocanico in seguito a una deaminazione dell’amminoacido. Tuttavia, la formazione dell’ammina biogena non è il principale catabolismo, ma avviene solo in alcune circostanze come la decontaminazione microbica. Ammine come la putrescina, la cadaverina, la tiramina, la spermina, l’istamina e la spermidina sono state ritrovate in diversi prodotti ittici, come nello sgombro, nelle sardine, nel tonno e nelle aringhe (Shalaby, 1996). Altri prodotti alimentari che possono contenere ammine sono la frutta e la verdura, come diversi succhi di frutta e nettari e, in particolare, è stata registrata la presenza di putrescina (Maxa and Brandes, 1993). Le noci di cocco contengono la feniletilammina e, quindi, essa

62 si può ritrovare nel cioccolato e nei prodotti contenenti cioccolato (Pfundestein et al., 1991). Nella carne di maiale, invece, sono state rilevate alte concentrazioni di spermidina, spermina e adrenalina, ma basse quantità di putrescina, cadaverina, istamina, tiramina e noradrenalina (Halász, 1994). Durante la conservazione, il contenuto di ammine biogene aumenta, fatta eccezione per la spermina e la spermidina che invece diminuiscono. La concentrazione di ammine biogene dipende dalla temperatura; infatti, carne di maiale conservata a 4°C risulta avere un livello di ammine inferiore rispetto a carne conservata a 30°C. Sicuramente, anche il deterioramento della carne porta a un aumento significativo di ammine biogene. Per quanto riguarda le salsiccie, la fermentazione è un fattore importante per lo sviluppo di ammine biogene; infatti, la concentrazione di istamina aumenta di circa dieci volte durante il processo di maturazione. Sicuramente, la quantità di ammine biogene nelle salsiccie varia significativamente in base alla durata della maturazione, alla microflora fermentativa che può riportare diverse attività decarbossilasiche, al processo di maturazione, al tipo di carne utilizzata e alla qualità, alla biosintesi e al metabolismo di alcune ammine (Shallaby, 1996). Nel latte umano è stata rilevata la presenza di spermina, spermidina e putrescina in misura molto variabile. Il formaggio è un alimento implicato, come il pesce, nei fenomeni di intossicazione da istamina. Diversi tipi di ammine biogene sono state rilevate in vari tipi di formaggi: tiramina, istamina, cadaverina, putrescina, triptamina e -feniletilammina. Durante la maturazione avviene la degradazione delle caseine, che portano al rilascio di amminoacidi; essi possono fungere da substrati per l’attività decarbossilasica di alcuni microrganismi, portando alla formazione delle rispettive ammine biogene. Esse, quindi, aumentano durante il fenomeno della maturazione, soprattutto l’istamina, la putrescina e la cadaverina. Formaggi che sono soggetti a trattamenti ad alte temperature durante il processo di produzione possono contenere livelli apprezzabili di ammine biogene (El-Sayed, 1997). Generalmente, formaggi soggetti a maturazione hanno una maggior concentrazione di ammine biogene rispetto a formaggi non fermentati. Inoltre, significative differenze sono state riportate anche tra i diversi formaggi fermentati, dovute probabilmente all’intensità della maturazione, in quanto una maturazione prolungata porta a un maggiore accumulo di ammine biogene. Le ammine prevalenti sembrano essere la tiramina, la cadaverina, la putrescina e l’istamina; esse sono contenute in concentrazioni maggiori in formaggi

63 prodotti a partire da latte crudo, rispetto a quelli provenienti da latte pastorizzato. Questa differenza è dovuta alla microflora naturalmente presente nel latte, alla proteolisi e alla disponibilità del cofattore pirossidal fosfato dell’enzima decarbossilasi; infatti, il cofattore dell’attività enzimatica è sensibile al calore, quindi la pastorizzazione può portare a un più basso contenuto di ammine nei formaggi. Nei formaggi a latte crudo è importante tenere in grande considerazione la qualità del latte e la microflora presente. Nei formaggi prodotti da latte di capra le ammine maggiormente presenti sono sempre la tiramina, la putrescina, la cadaverina e l’istamina, ma il livello di putrescina, istidina e feniletilammina è più basso rispetto ai formaggi duri (Novella-Rodrìguez, 2003). Generalmente, i formaggi di capra vengono prodotti secondo metodi tradizionali e con norme igieniche molto rigorose partendo da latti di alta qualità; inoltre, questi formaggi spesso sono caratterizzati da piccole dimensioni e questo implica brevi tempi di maturazione. Alcune differenze riguardano anche la collocazione delle ammine biogene nel formaggio; alcune di esse possono essere uniformemente distribuite nelle parti esterne e interne del formaggio, come la spermina e la spermidina. Altre invece, possono avere un contenuto maggiore nella parte centrale rispetto alle parti più esterne del formaggio, fatta eccezione per la tiramina che ha mostrato il comportamento contrario (Novella-Rodrìguez, 2003). Nei formaggi non fermentati ritroviamo un contenuto molto basso di ammine biogene; l’uso di latte pastorizzato nella produzione di questi formaggi e l’assenza di maturazione contribuiscono in larga parte al basso livello di ammine.

1.16 Tossicità delle ammine biogene

Le ammine biogene rivestono ruoli molto significativi nello svolgimento di alcune funzioni fisiologiche nell’uomo e negli animali, ma il consumo di alimenti contenenti alte concentrazioni di esse può causare effetti tossici più o meno gravi sull’organismo del consumatore. L’ammina maggiormente coinvolta in intossicazioni è l’istamina, che riguarda principalmente il consumo di pesce e formaggio. Essa esercita i suoi effetti legandosi ai recettori delle membrane cellulari del sistema cardiovascolare e in diverse ghiandole secretorie (Joosten, 1988a); inoltre, essa è in grado di sollecitare la muscolatura liscia dell’utero, dell’intestino e del tratto respiratorio, di stimolare la produzione di adrenalina e noradrenalina dalla ghiandola surrenale, di influenzare la secrezione acido- gastrica. I suoi effetti, quindi, sono molteplici e possono includere eruzioni cutanee, orticaria, infiammazioni locali e edema; sintomi gastrointestinali riguardano nausea,

64 vomito, diarrea e dolori addominali; possono presentarsi anche palpitazioni, mal di testa, ipotensione, formicolio, arrossamenti, broncospasmi, difficoltà respiratorie. Esiste, nel tratto intestinale, un sistema di detossificazione per l’istamina ingerita con gli alimenti e formata dalla flora intestinale. Questo sistema comprende tre enzimi che trasformano l’istamina in prodotti non tossici: la monoamina ossidasi (MAO), la diamina ossidasi (DAO) e l’istamina-N-metil transferasi (HMT) (Silla Santos, 1996). L’azione detossificante di questi enzimi può essere inibita in diversi casi: in soggetti allergici, quando la concentrazione di istamina è troppo elevata e in presenza di inibitori enzimatici. Anche la presenza di altre ammine biogene può influenzare la tossicità dell’istamina: ad esempio, la putrescina e la cadaverina sono definite “potenziatori” di tossicità. La tiramina inibisce l’attività della monoammina ossidasi, la triptamina inibisce la diammina ossidasi e - feniletilammina l’istamina-N-metiltransferasi. Inoltre, la spermina e la spermidina aumentano il trasporto di istamina attraverso la parete gastrointestinale e certi farmaci possono influenzare l’attività del sistema detossificante, come alcuni antistaminici e farmaci antimalarici. Anche la tiramina può avere effetti tossici sull’organismo, in quanto può reagire con alcuni farmaci inibitori della monoammina ossidasi (MAOI) portando a crisi ipertensive (Marine- Font, 1978). Essa agisce principalmente indirettamente favorendo il rilascio di noradrenalina dal sistema nervoso simpatico portando a un aumento della pressione sanguigna. Inoltre, essa causa lacrimazione, dilatazione delle pupille, salivazione e aumento della frequenza respiratoria. L’utilizzo di alcuni farmaci inibitori della monoammina ossidasi, che vengono prescritti in casi di depressioni mentali, possono provocare l’accumulo nel sangue di ammine come la tiramina e portare, quindi, a crisi ipertensive. Queste, in casi gravi, possono sfociare in emorragie cerebrali e infarti (Smith, 1980). La tiramina è in grado di reagire con il nitrito formando la 3-diazotiramina, che provoca l’insorgenza di cancro nella cavità orale delle cavie. Questo composto potrebbe formarsi nello stomaco dopo incubazione di tiramina e nitrito a 37°C e pH 1-2 per circa un’ora (Joosten, 1988b). Le ammine biogene possono portare alla formazione di nitrosammine ed essere nitrosilate esse stesse; le nitrosammine sono composti cancerogeni molto pericolosi per gli animali e per l’uomo. Tracce di di metilammina, dietilammina, pirrolidina e piperidina sono state rilevate in diversi cibi congelati. La putrescina e la cadaverina possono essere convertite in pirrolidina e piperidina rispettivamente ad alte temperature; da queste ultime si ottengono, nelle stesse condizioni di temperatura, la N-nitrosopirrolidina e

65 la N-nitrosopiperidina. Processi tecnologici effettuati sugli alimenti, come la salatura e l’affumicamento, inducono la produzione di nitrosammine, mentre la cottura aumenta la loro formazione.

1.17 Microrganismi produttori di ammine biogene

Generalmente, le ammine derivano dall’attività decarbossilasica di alcuni microrganismi; le decarbossilasi sono state ritrovate in diversi generi di batteri: Bacillus, Clostridium, Citrobacter, Klesbiella, Proteus, Escherichia, Pseudomonas, Salmonella, Shigella, Photobacterium, Lactobacillus, Streptococcus, Pediococcus. Attività decarbossilasiche per la tirosina e l’istidina sono state rilevate in ceppi di Escherichia coli e Pseudomonas (Díaz et al., 1992), mentre ceppi di Enterococcus faecalis sono stati correlati alla presenza di tiramina nel formaggio Cheddar (Celano et al., 1992). Nel Lactobacillus bulgaricus e Lactobacillus sanfrancisco sono state identificate attività istamina-decarbossilasiche. Alcuni batteri lattici sono responsabili della produzione di istamina nella carne, come Lactobacillus brevis, Lactobacillus buchnerii, Lactobacillus carnis, Lactobacillus curvatus, Lactobacillus divergens e Lactobacillus hilgardii (Maijala et al., 1993). Nel formaggio diversi ceppi sono responsabili della formazione di ammine biogene. Alcuni batteri usati come colture starter nella produzione di formaggio sono in grado di formare istamina, come Streptococcus lactis e Lactobacillus helveticus. Altri organismi che presentano attività istamina-decarbossilasiche sono Streptococcus faecium, Streptococcus mitis, Lactobacillus plantarum, Lactobacillus casei, Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus arabinose e batteri propionici. Enterobacteriacee, Enterococcus faecalis e lattobacilli etero fermentativi sono in grado di produrre fino a 600 ppm di ammine biogene, inclusa la -feniletilammina (Nout, 1994). Inoltre, in un recente studio è stata valutata la produzione di istamina del Bacillus macerans (Rodriguez-Jerez et al., 1994). Data la loro tossicità, diventa molto importante, per controllare il contenuto di ammine biogene negli alimenti, inibire l’attività decarbossilasica e prevenire la crescita batterica. La produzione di istamina nel formaggio dipende dal pH, dalla temperatura, dalla concentrazione salina, dalla disponibilità di amminoacidi liberi, ma anche dalla modalità di conservazione del prodotto. Infatti, le concentrazioni di tiramina e istamina aumentano con il tempo e la temperatura di conservazione (Díaz et al., 1992). Inoltre, la produzione di istamina viene rallentata a temperature intorno ai 10°C e termina a 5°C, a causa delle

66 difficoltà di crescita dei batteri decarbossilasi positivi a basse temperature (Silla Santos, 1996). Tuttavia, basse temperature di conservazione non sono sufficienti per inibire la produzione di ammine biogene tossiche come l’istamina (Ababouch et al., 1991). Il pH è sicuramente un fattore importante per quanto riguarda l’attività decarbossilasica; la produzione di tiramina nel formaggio avviene a un pH ottimale intorno a 5, che corrisponde al valore ottimale per l’ attività istidina-decarbossilasi.

1.18 Limiti di legge

Il Decreto Legislativo n.531 del 30-12-1992, attuativo della Direttiva CEE 91/493 prevede che il valore medio di istamina di nove campioni prelevati da un unico lotto non deve superare 100 mg/Kg, che due unità campionarie possono avere un tenore compreso tra 100- 200 mg/Kg, e che nessun campione deve avere tenore superiore a 200 mg/Kg. Questi limiti si applicano solo alle famiglie degli Sgombridi e Clupeidi non trattati con maturazione enzimatica in salamoia; in quest’ultimo caso i valori di istamina non devono superare il doppio di quelli precedentemente riportati. L’esistenza di potenziatori influenza significativamente la soglia dei valori accettati di istamina negli alimenti (Taylor et al., 1984). Nella determinazione dei valori limite incidono anche altri fattori, come l’assunzione di farmaci ammina-ossidasi inibitori, alcool e malattie gastrointestinali. In generale, si può affermare che 8-40 mg di istamina possono causare una leggera intossicazione, mentre quantitativi maggiori di 40 mg una moderata intossicazione e livelli superiori a 100 mg una grave intossicazione; valori superiori a 100 mg di tiramina possono provocare emicrania, mentre 1080 mg potrebbero causare effetti tossici di gonfiore (Askar e Terptow, 1986). Per quanto riguarda il contenuto di istamina nel pesce, concentrazioni inferiori ai 5 mg/100 g sono accettabili per un consumo sicuro, 5-20 mg/100 g potrebbero causare un’intossicazione, così come concentrazioni di 20-100 mg/100 g di prodotto, mentre consumi di concentrazioni superiori ai 100 mg/100g sono considerati pericolosi per la salute del consumatore. Per quanto riguarda la farina, il consumo di ammine biogene in quantità superiori a 40 mg è considerato potenzialmente tossico (Ayres et al., 1980).Comunque non tutte le ammine sono ugualmente tossiche e livelli di 50-100 ppm, 100-800 ppm e 30 ppm per istamina, tiramina e -feniletilammina rispettivamente, o un totale di 100-200 ppm, sono considerati accettabili. Per il pesce e alimenti a base di pesce, la somma di putrescina, cadaverina e

67 istamina viene limitata a 300 mg/ Kg, mentre per i crauti fermentati sono stati proposti i seguenti limiti: tiramina, 20 mg /Kg; istamina, 10 mg/Kg; -feniletilammina, 5 mg/Kg; cadaverina, 25 mg/Kg; putrescina, 50 mg/Kg (Kuensh et al., 1989).

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Microrganismi coinvolti nella maturazione del formaggio e fattori che ne influenzano la crescita

Molti alimenti sono caratterizzati da un’elevata molteplicità microbica; il formaggio, tra questi, rappresenta sicuramente un complesso ecosistema di molti biotipi diversi. I microrganismi presenti in esso giocano un ruolo fondamentale nei processi di proteolisi e lipolisi che avvengono durante la maturazione del formaggio, e quindi sono responsabili dello sviluppo di aromi nel prodotto e di tutte le caratteristiche finali. Proprio per questa loro rilevanza è importante valutare tutti quei parametri che ne possono influenzare la crescita, come:

 L’umidità: essa è sicuramente un fattore molto importante perché i microrganismi per crescere hanno bisogno di acqua. Per questo motivo, per controllare lo sviluppo microbico, si può ridurre il contenuto di acqua libera attraverso disidratazione del sistema o aggiunta di componenti solubili in acqua come lo zucchero e il sale. L’attività dell’acqua è un concetto termodinamico definito come il rapporto tra la pressione del vapore dell’acqua presente nel sistema e la pressione dell’acqua pura alla stessa temperatura:

� �� = , � ≤ �� ≤ � ��

L’attività dell’acqua è direttamente proporzionale al contenuto di umidità del formaggio e inversamente proporzionale alla concentrazione di NaCl e di altri composti a basso peso molecolare (Esteban & Marcos, 1989). Durante le prime fasi del processo produttivo del formaggio l’attività dell’acqua è ~0.99, valore ottimale per la crescita dei microrganismi. Successivamente, dopo le fasi di salatura e

drenaggio del siero, il valore di aw diminuisce, rendendo difficoltoso lo sviluppo microbico. L’attività dell’acqua minima per Streptococcus thermophilus, Lactococcus lactis, Lactobacillus helveticus e Propionibacterium freudenreichii è >0.98, 0.93, >0.96 e 0.96, rispettivamente (Weber & Ramet, 1987), mentre generalmente i batteri lattici hanno un valore minimo di attività dell’acqua più alto

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rispetto agli altri microrganismi presenti nel formaggio. La diminuzione del valore

di aw durante la maturazione avviene a causa della perdita di acqua per evaporazione, per idrolisi delle proteine a peptidi e amminoacidi e dei trigliceridi a glicerolo e acidi grassi e per l’aggiunta di sale. Le diverse zone del formaggio possono essere caratterizzate da valori di attività dell’acqua differenti: generalmente i formaggi duri salati in salamoia e semiduri riportano valori più alti nel centro del formaggio.  Sale:il contenuto di sale è fortemente correlato con il concetto di attività dell’acqua,

in quanto aggiungere sale porta a una diminuzione del valore di aw. La concentrazione di sale richiesta per inibire l’attività microbica dipende dal tipo di alimento, dal pH e dall’umidità, ma generalmente una quantità di 10-100 g /Kg può essere considerata sufficiente (Beresford et al., 2001). La relazione che intercorre tra

sale e aw è caratterizzata dalla seguente formula (Cogan, 2000): g/Kg di formaggio Generalmente, nel formaggio sono ritrovate concentrazioni di sale in un intervallo

che va da 0.7 a 7 g/100g che corrispondono a valori di aw rispettivamente di 0.99 e 0.95.  pH: il valore ottimale per la crescita dei batteri, generalmente, è intorno a 7, ma durante la maturazione il pH scende a valori compresi tra 4.5 e 5.3, ai quali lo sviluppo batterico è sicuramente difficoltoso e questo abbassamento è dovuto alla produzione di acidi organici; gli acidi organici maggiormente presenti nei formaggi sono l’acido lattico, l’acido acetico e l’acido propionico, i quali presentano valori di

pKa rispettivamente di 3.08, 4.75, 4.87. Generalmente, l’acido lattico si ritrova in maggiori quantità rispetto agli altri, tranne in alcuni formaggi come il formaggio Svizzero, in cui invece l’acido propionico è presente in concentrazioni superiori (Steffen, Eberhard, Bosset & Rüegg, 1993).  Temperatura di maturazione:i microrganismi coinvolti nei processi di maturazione sono principalmente mesofili e termofili con una temperatura ottimale di 30°C e 42°C rispettivamente. La temperatura è sicuramente un parametro fondamentale e deve rappresentare un compromesso ottimale per favorire i processi proteolitici e lipolitici, garantire lo sviluppo della flora desiderabile e inibire la crescita di microrganismi indesiderati e patogeni.

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 Potenziale redox (E h): attraverso di esso si misura la capacità di un sistema di cedere o attirare elettroni. Il potenziale di ossido-riduzione del latte è +150 mV, mentre quello del formaggio -250 mV; il meccanismo di ossido-riduzione nel formaggio non è molto chiaro, ma, probabilmente, esso è correlato con la fermentazione dell’acido lattico da parte dei microrganismi starter e con la

riduzione, nel latte, di piccole quantità di O2 ad acqua (Crow et al., 1995).

Diverse colture microbiche possono presentare differenti valori di Eh, che possono ricoprire un intervallo da -400mV per gli anaerobi a +300mV per gli aerobi (Brown

& Emberger, 1980). Per questo motivo il valore di Eh del formaggio concorre nella determinazione dei gruppi microbici che potranno crescere. Generalmente, i batteri che si sviluppano sulla superficie del formaggio sono principalmente aerobi obbligati, come Pseudomonas, Brevibacterium, Bacillus e Micrococcus, mentre il loro sviluppo nell’interno del formaggio viene escluso.

 Nitrato: in alcuni formaggi il nitrato viene aggiunto sotto forma di KNO3 o NaNO3 per prevenire lo sviluppo del Clostridium tyrobutyricum; esso fermenta il lattato

portando alla formazione di butirato, H2 e CO2. Il butirato è responsabile della

produzione di aromi sgradevoli, mentre l’H2 e CO2 portano alla formazione di buchi presenti nel formaggio. Durante la maturazione il nitrato viene ridotto a nitrito grazie all’azione dell’enzima xantina ossidasi presente nel latte e nella cagliata. Il nitrito può reagire con amminoacidi aromatici portando alla formazione di nitrosammine; questa reazione avviene preferibilmente a pH bassi, tra 2 e 4.5, mentre, generalmente, nei formaggi si raggiungono valori di pH più alti, che rallentano il rilascio di questi composti cancerogeni. Inoltre, il nitrito inibisce la crescita dei batteri propionici, che sono indispensabili per la formazione della particolare occhiatura di alcuni formaggi, come l’Emmental; per questo motivo non si può utilizzare il nitrito per l’inibizione del Clostridium tyrobutyricum in formaggi dove è richiesto lo sviluppo di batteri propionici. Il livello di nitrito consentito è 50 mg/Kg, ma generalmente la concentrazione presente nel formaggio è molto più bassa.

Gli organismi che si ritrovano nei prodotti lattiero-caseari possono essere suddivisi in: - microflora casearia: caratterizzata da quei microrganismi che esercitano un’attività utile alla formazione e liberazione di sostanze in grado di rendere tipico il prodotto e

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favorirne la conservabilità come l’acido lattico, i composti che derivano dalla fermentazione dei carboidrati e le sostanze derivanti dal metabolismo delle proteine e dei grassi. La maggior parte di questi microrganismi è propria delle colture starter e della microflora autoctona del latte ed è formata dai batteri lattici e da microrganismi appartenenti ai generi Propionibacterium, Micrococcus e muffe del genere Penicillium e Geotrichum. - microflora anticasearia: in grado di determinare modificazioni fondamentali nell’andamento di lavorazione nonchè della stagionatura di un formaggio; sono considerati appartenenti a questo gruppo alcune muffe del genere Mucor, Aspergillus, Penicilllum, batteri quali Clostridum e Propionibacterium, alcune specie psicrotofe della famiglia delle Pseudomonadaceae ed alcuni lieviti produttori di gas. - microflora patogena: caratterizzata da microrganismi patogeni per il consumatore che agiscono con meccanismo infettivo o tossico (Brucella, Escherichia coli e Shigella) o con un meccanismo tossinfettivo (Staphylococcus, muffe produttrici di micotossine e microrganismi che liberano ammine tossiche). - microflora probiotica: i microrganismi probiotici maggiormente presenti nel latte sono i bifidobatteri, batteri Gram-positvi, immobili, anaerobi, che si ritrovano nel tratto gastrointestinale alimentare di neonati ed adulti (Bottazzi, 1993). Le specie maggiormente presenti nei formaggi sono Bifidodacterium bifidum, B. adolescentis, B. infantis, B. breve e B. longum.

1.19 I batteri lattici

I batteri lattici sono i maggiori rappresentanti dei cosiddetti microrganismi “caseari”. Sono microrganismi procarioti, eterotrofi e chemiorganotrofi. Sono inoltre Gram-positivi, immobili, asporigeni ed anaerobi microaerofili, ossia tolleranti solo piccole quantità di ossigeno. Sono privi di catalasi, di riduttasi attiva sui nitrati, di citocromo ossidasi; infine, sono in grado di metabolizzare i carboidrati e di produrre grandi quantità di acido lattico (Bottazzi, 1993). Tra i batteri lattici possiamo distinguere diversi generi: Lactobacillus, Lactococcus, Streptococcus, Leuconostoc e Pediococcus.

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Lactobacillus

I microrganismi appartenenti a questo genere sono molto diffusi in natura, proprio grazie al fatto che sono in grado di crescere nelle più svariate condizioni ambientali. Essi svolgono ruoli importanti nella preparazioni di diversi alimenti, sono considerati probiotici nella vita dell’uomo e degli animali e vengono spesso utilizzati nei processi di fermentazione industriale. Le specie mesofile sono diffuse principalmente nei formaggi, nelle carni fermentate, nei vegetali fermentati nell’intestino dell’uomo e degli animali, grazie al loro quadro fermentativo molto ampio, alla loro lisogenia elevata, al loro sistema enzimatico, alla loro sensibilità fagica e alla loro dotazione di plasmidi. Al contrario, le specie termofile hanno un habitat di insediamento abbastanza ristretto, in quanto fermentano pochi zuccheri (alcuni ceppi di Lactobacillus helveticus fermentano solo due zuccheri), sono raramente lisogene, spesso sono prive di plasmidi e presentano un’elevata resistenza fagica. Durante la mingitura la contaminazione ad opera di lattobacilli è generalmente bassa (1-1000 ufc/ml) ed è formata in larga parte da specie mesofile, come Lactobacillus casei, Lactobacillus plantarum,, Lactobacillus curvatus, Lactobacillus brevis, Lactobacillus coryneformis, Lactobacillus fermentum. I lattobacilli si ritrovano in tutti i tipi di formaggio, anche se, per esempio, nel ritroviamo principalmente una flora termofila, mentre nel Cheddar prevalgono batteri mesofili.

Lactococcus

Il genere Lactococcus comprende batteri di forma coccica, anaerobi facoltativi, asporigeni, Gram-positivi, immobili, catalasi negativi. Le specie maggiormente coinvolte nel settore lattiero-caseario sono: Lactococcus lactis subsp. lactis, Lactococcus lactis subsp. cremoris e Lactococcus lactis subsp. diacetilactis, conosciuto soprattutto per la sua capacità di convertire il citrato in diacetile. (Bottazzi, 1993).

Streptococcus

Solamente la specie di Streptococcus thermophilus appartiene al gruppo dei batteri lattici e degli “streptococchi orali”. Esso si differenzia dai lattococchi per il tempo di generazione e per il numero dei carboidrati fermentati; infatti, il tempo di generazione per il Lactococcus nel latte è di 60- 70 minuti, mentre per lo Streptococcus è di 22-28 minuti. Inoltre, i carboidrati fermentati

73 dagli Streptococcus sono pochi ed essi mostrano una preferenza per i disaccaridi lattosio e saccarosio. Lo Streptococcus thermophilus è specializzato nella crescita nel latte o in nicchie ecologiche a base di latte, grazie a un adattamento iniziato in tempi lontani, mentre si ritiene che il Lactococcus lactis si sia adattato al latte solo recentemente, dato che è saprofotico e il carattere di fermentazione del lattosio è instabile; al contrario la stabilità di fermentazione del lattosio (Lac+) è un tratto distintivo per Streptococcus thermophilus.

Leuconostoc

Il genere Leuconostoc comprende microrganismi che rivestono la funzione tecnologica di produrre acetoino e diacetile, importanti per la formazione dell’aroma. Le specie di maggior interesse lattiero-caseario sono principalmente due: Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris e Leuconostoc lactis. L’habitat di Leuconostoc è lo stesso degli streptococchi lattici, ma questi ultimi si differenziano per la produzione di gas da glucosio. Il Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris e Leuconostoc lactis sono utilizzati come starter nella produzione di burro e formaggi.

Pediococcus

Questo genere che si differenzia dai micrococchi per il fatto che è catalasi negativo, non è pigmentato e produce una maggior quantità di acido lattico. Le specie di maggior interesse sono Pediococcus acidilactici e P. pentosaceus, entrambe in grado di fermentare i monosaccaridi ed i pentosi.

1.20 I clostridi

Le specie che appartengono al genere Clostridium sono numerose e alcune di esse possono anche essere patogene per l’uomo e per gli animali. I clostridi sono microrganismi di forma bacillare con capacità di formare endospore; a questo genere appartengono specie psicrofile, mesofile e termofile, mobili per la presenza di ciglia peritriche e Gram-positivi, anaerobie obbligate. Essi sono batteri che si possono ritrovare nel terreno e in materiale organico in fermentazione che viene degradato ad acidi,

74 alcoli, anidride carbonica e idrogeno; tuttavia, la loro sensibilità all’ossigeno ne restringe l’habitat di crescita ad aree anaerobiche a bassa tensione di ossigeno. I substrati a lunga stagionatura sono sicuramente substrati idonei per lo sviluppo vegetativo dei clostridi e per la germinazione delle spore. Alcune specie non patogene rientrano nell’interesse lattiero- caseario grazie a fermentazioni con produzione di gas nei formaggi; per questo motivo rientrano tra la microflora detta “anticasearia”. I clostridi che sono di interesse lattiero- caseario possono essere suddivisi in tre gruppi:

1. clostridi saccarolitici: sono caratterizzati da una scarsa attività proteolitica e utilizzano per lo sviluppo carboidrati ed acidi organici; sono causa di fermentazioni butirriche nei formaggi e sono rappresentati da due specie principali: il Clostridium tyrobutiricum e Clostridium butiricum. Il primo fermenta il lattato rilasciando acido

butirrico, H2, CO2 e piccole quantità di butanolo, mentre il secondo è in grado di fermentare un gran numero di carboidrati producendo acido acetico, acido butirrico,

CO2, H2, tracce di acetone e piccole quantità di isopropanolo e butanolo; inoltre, in presenza di acido acetico fermenta anche l’ L-lattato ed il mannitolo. Il Clostridium butirricum necessita di biotina come fattore di crescita. 2. Clostridi proteolitici: espletano una vasta attività enzimatica con enzimi che idrolizzano le proteine fino alla liberazione di amminoacidi, sui quali sono in grado di esercitare azioni di deaminazione, decarbossilazione, ossidazione e riduzione, ma mostrano una scarsa attività sui carboidrati. La specie più importante appartenente a questo genere è rappresentata dal Clostridium sporogenes; esso mostra un basso potere fermentativo sul glucosio e fruttosio portando alla liberazione di acido

acetico, acido butirrico, etanolo, CO2 e H2. Inoltre, questo microrganismo è molto attivo sugli amminoacidi attraverso la reazione di Stickland. Alcune specie utilizzano questa reazione per produrre energia in assenza di ossigeno; questa via metabolica prevede l’uso combinato di due amminoacidi come substrato di fermentazione. Di questi amminoacidi uno è utilizzato come donatore di elettroni e viene ossidato, mentre l’altro agisce da accettore riducendosi. 3. Clostridi proteolitici-saccarolitici: la specie più rappresentativa di questo gruppo è il Clostridium bifermentans.

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1.21 Pseudomonacee

Si tratta di batteri Gram-negativi, aerobi, catalasi positivi, mobili per la presenza di flagelli polari, con cellule corte od esili curvate. Il loro habitat è molto vasto, ma principalmente si possono ritrovare nel terreno, nelle acque e nei reflui delle industrie alimentari. Sono batteri psicrotrofi, in quanto sono in grado di sviluppare a temperature di refrigerazione (3-7°C). Si distinguono specie saprofite, di interesse lattiero-caseario, e specie patogene. Essi sono caratterizzati da un’elevata attività proteolitica e, per questo motivo, sono spesso associati allo sviluppo di difetti di aroma nel latte e nel formaggio, causando principalmente un aroma di putrido e un gusto amaro; inoltre, le Pseudomonacee mostrano un’attività lipolitica che porta alla formazione di aromi di rancido e fruttato. Proprio per questo motivo anch’esse appartengono al gruppo di “microflora anticasearia”. Le specie di maggior interesse sono Pseudomonas aeruginosa, Pseudomonas fluorescens, Pseudomonas putida e Pseudomonas alcaligenes.

1.22 Bifidobatteri

Il formaggio può anche contenere microrganismi probiotici e, quindi, apportare al consumatore sostanze utili per la sua salute. I microrganismi probiotici maggiormente presenti nel latte sono i bifido batteri, batteri Gram-positivi, anaerobi, immobili, asporigeni. Essi fermentano il glucosio portando al rilascio di acido acetico ed acido lattico in un rapporto molare di 3:2, con piccole quantità di acido formico, alcol etilico ed acido succinico; i bifido batteri sono in grado di utilizzare sali di ammonio come sorgente di azoto. I bifido batteri si sviluppano nel latte umano e le specie che si sviluppano in assenza di azoto organico secernano, nel substrato, elevate quantità di amminoacidi. Essi hanno come habitat preferenziale il tratto intestinale dei neonati e degli adulti; le specie che si ritrovano più facilmente sono il Bifidobacterium bifidi, Bifidobacterium adolescentis, Bifidobacterium infantis, Bifidobacterium breve, Bifidobacterium longum e Bifidobacterium catenulatum (Bottazzi, 1993).

1.23 Batteri propionici

I batteri propionici sono Gram+, asporigeni, anaerobi e immobili; essi sono pleomorfi, cioè la loro morfologia può modificarsi in base alle condizioni ambientali di sviluppo. Molte

76 specie sono catalasi-negative e possono formare colonie cromogene (rosa, rosse, gialle) o bianco-grigio. Questo genere di batteri può essere suddiviso in due gruppi: i batteri propionici “cutanei” e batteri propionici “classici” di interesse lattiero-caseario. I batteri propionici si possono ritrovare in diversi tipi di formaggi durante la maturazione, come ad esempio nell’Emmental, nel Groviera e nel Comté. Essi metabolizzano 3 moli di lattosio rilasciando 2 moli di propinato, 1 mole di acetato, 1 mole di CO2 e 1 mole di H2O. Nel formaggio le specie maggiormente presenti sono: P. freudenreichii, P. jensenii, P. thoenii, P. acidipropionici, P. cyclohexanicum e P. coccoides. I batteri propionici sono in grado di produrre grandi quantità di acido propionico; il glucosio viene trasformato ad acido piruvico secondo la via metabolica di Embden- Meyerhof con conseguente produzione di acido propionico ed acido acetico. i batteri propionici lattiero-caseari producono vitamina B12 e, con il loro sviluppo, si ha la formazione della caratteristica occhiatura e, contemporaneamente, di un sapore tipico che sembra dato dalla combinazione di acido propionico con prolina. Il caratteristico sapore del formaggio Emmenthal si completa con la presenza di aldeide acetica, aldeide propionica, alcol etilico e propionico, dimetilsolfato ed acido isovalerico, quali composti del metabolismo dei batteri propionici. Nei formaggi prodotti da latte crudo sono sufficienti i batteri propionici naturalmente presenti nel latte, mentre nei formaggi prodotti con latte pastorizzato, è necessaria l’aggiunta di batteri all’inizio del processo di produzione, affinchè venga raggiunta una concentrazione di 103 cfu/g nel formaggio dopo la produzione. I batteri propionici sono soggetti ad autolisi; infatti, è stata dimostrata in terreni sintetici l’autolisi di P. freudenreichii (Lemée, Lortal e van Heijenoort, 1995); tuttavia, nel formaggio Svizzero, non è stata osservata autolisi durante la maturazione, mentre nel Grana è stato possibile osservare cellule danneggiate di P. freudenreichii attraverso microscopio elettronico in scansione. Le interazioni tra i batteri propionici e gli altri microrganismi presenti giocano un ruolo fondamentale durante la maturazione; alcuni ceppi di batteri lattici sono considerati “antagonisti” dei batteri propionici, come L. lactis subsp. lactis, mentre il L. lactis subsp. cremoris, S. thermophilus e Lb. helveticus sono definiti “compatibili” con Prop. freudenreichii e Prop. shermanii. Nel formaggio Svizzero il Lb. rhamnosus e il Lb. casei inibiscono la crescita di Prop. freudenreichii. (Jimeno et al., 1995). Queste interazioni sono molto importanti nel definire la qualità finale del formaggio.

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1.24 Lieviti

I lieviti si ritrovano nel latte e nei formaggi, non solo come microrganismi contaminanti, ma contribuiscono positivamente anch’essi alle caratteristiche del prodotto; infatti, partecipano alla preparazione dei latti fermentati e alla maturazione dei formaggi. Sono microrganismi unicellulari, Gram +, immobili, di forma ovoidale o ellittica; si riproducono per gemmazione ed alcuni producono asco spore. Inoltre, sono in grado di tollerare alti valori di acidità ed hanno una buona resistenza a condizioni ambientali difficili. Essi si ritrovano in diversi formaggi e il basso pH, il basso contenuto di umidità, la bassa temperatura e l’alta concentrazione di sale sono tutti fattori che favoriscono lo sviluppo dei lieviti durante la maturazione. Nei formaggi pecorino, lo sviluppo dei lieviti ha un effetto positivo perché contrasta lo sviluppo di microrganismi indesiderati come i clostridi. Essi sono presenti in numero molto elevato (ca. 109 ufc/cm2) sulla superficie dei formaggi a crosta lavata, già dopo pochi giorni di maturazione e vi contribuiscono sia direttamente che indirettamente. I lieviti sono in grado di ossidare l’acido lattico, esercitando in questo modo un’azione deacidificante, favorendo lo sviluppo di batteri poco acido tolleranti come B. linens. Alcune preparazioni commerciali cosiddette “spalmabili” di batteri comprendono anche lieviti, come G. candidum, Candida utilis, Debaryomyces hansenii, Kluyveromyces lactis. Il D. hansenii è la specie dominante nel formaggio danese Blu e nel formaggio francese Reblochon, insieme a G. candidum. Il D. hansenii, Zygosaccharomyces spp., Y. Lipolytica e Cn. rugosa sono le specie dominanti nel formaggio Danese Blu per i primi 14 giorni di maturazione, mentre, dopo 28 giorni, vengono trovati solo il D. hansenii e Cn.rugosa. Questi lieviti presentano un’importante attività lipolitica su tri-butirino agar, ma sembrano non avere attività proteolitica nella caseina agar; questo indica la loro importante funzione per quanto riguarda la lipolisi e l’acidificazione durante la maturazione. I lieviti contribuiscono positivamente anche allo sviluppo di aromi e alla formazione della consistenza del formaggio. Sulla superficie del formaggio Roquefort avviene un’attività proteolitica dovuta a uno strato superficiale di batteri, che comprende anche lieviti, che successivamente viene strofinato prima del confezionamento. Inoltre, i lieviti stimolano la produzione di gas ad opera dei batteri lattici, in particolare il genere Leuconostoc, che porta alla formazione di una particolare occhiatura nella cagliata, molto importante per il successivo sviluppo del Penicillium.

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Nel formaggio Camembert vengono usati i lattococchi come starter e, dopo la produzione della cagliata, avviene la crescita di lieviti sulla superficie; infatti i lattococchi sono dominanti all’interno del formaggio, mentre i lieviti sono circa l’1% rispetto a quelli presenti in superficie. Nel formaggio Cheddar il coinvolgimento dei lieviti nel processo di maturazione non è molto chiaro. Un recente studio ha dimostrato che su 42 formaggi analizzati tutti contengono lieviti; i livelli ritrovati variano da <102 a > 107 ufc/g e l’88% dei formaggi contiene un livello necessario di lieviti per agire sulla produzione di aromi (< 105 ufc/g) (Welthagen e Vijoen, 1999). Il G.candidum possiede caratteristiche comuni sia ai lieviti che alle muffe; tuttavia esso è considerato uno dei lieviti più importanti nel formaggio Reblochon e aumenta molto rapidamente da 103 ufc/g nel primo giorno a 107 ufc/g dopo 8 giorni, dopo i quali rimane pressocchè costante fino a 36 giorni di maturazione (Bärtschi et al., 1994)

1.25 Muffe

Le muffe di maggior interesse lattiero-caseario sono principalmente due: Penicillium roqueforti (muffa verde) e Penicillium camembert (muffa bianca). Il primo è coinvolto nella produzione di formaggi come il Roquefort, il Gorgonzola e forma delle venature blu all’interno del formaggio, mentre il secondo si ritrova soprattutto nel Camembert e nel Brie, dove cresce principalmente sulla superficie. Alcuni formaggi francesi come il St. Nectaire e il Tome de Savoie sono caratterizzati da una complessa microflora fungina contenente Penicillium, Mucor, Cladosporium, Epicoccum, Geotrichum e Sporotrichum; anche formaggi italiani come il Taleggio e la contengono sulla superficie il Penicillium, Mucor e Geotrichum (Gripon, 1993). Durante la produzione del formaggio Roquefort, il Penicillium roqueforti viene aggiunto tramite una sospensione acquosa di spore nel latte o attraverso una “spolverata” di spore nella cagliata. In seguito al drenaggio del siero e alla salatura il formaggio viene forato e lasciato maturare; a questo punto, la produzione di gas da parte dei batteri lattici e dei lieviti non fa altro che creare quelle “aperture” particolari nella cagliata, importanti per il successivo sviluppo del P. roqueforti e conseguente produzione di aromi caratteristici. Inoltre, la produzione di metil-chetoni da parte del Penicillium roqueforti svolge un’azione inibitrice dello sviluppo di muffe, pertanto viene considerata un fattore molto importante

79 per prevenire una loro eventuale eccessiva crescita nei formaggi caratterizzati da venature di muffe blu (Girolami & Knight, 1955). Nel formaggio del Camembert viene utilizzato il Penicillium camemberti, che sviluppa sulla superficie 6-7 giorni dopo la produzione; esso metabolizza il lattato a CO2 e H2O, portando a una de acidificazione sulla superficie del formaggio in circa tre settimane.

1.26 Starter

Fino a un centinaio di anni fa, l'acidificazione del latte era avvenuta esclusivamente ad opera della microflora naturalmente presente nel latte, selezionata in maniera piuttosto empirica e rudimentale, attraverso fattori ambientali e tecnologici. Erano, infatti, le condizioni di lavorazione e le conseguenti caratteristiche della cagliata che determinavano la riproduzione e la selezione della microflora contaminante del latte, di quella lattica in particolare. Ciò però comportava una percentuale di scarto di produzione molto elevata: per questo si è passati all’utilizzo di starter quando, circa un centinaio di anni fa, si concretizzò la possibilità di ottenere colture selezionate per la produzione di starter. La funzione principale degli starter è quella di produrre acidi durante la fermentazione; inoltre, essi contribuiscono al processo di maturazione del formaggio attraverso l’attività enzimatica coinvolta nel fenomeno di proteolisi e conseguente sviluppo di composti aromatici. Gli starter vengono aggiunti deliberatamente all’inizio del processo di produzione del formaggio o possono essere contaminanti naturali del latte; essi crescono durante il processo di produzione e raggiungono densità di 108 ufc/g. Possiamo distinguere starter mesofilici e starter termofili; entrambe le colture possono essere suddivise in colture indefinite, nelle quali un gran numero di ceppi è ancora sconosciuto, e in colture definite, composte da un numero conosciuto di ceppi. Gli starter mesofilici vengono utilizzati principalmente nella produzione di formaggi come il Cheddar, il Gouda, il Camembert e le principali colture comprendono ceppi di Lactococcus lactis subsp. cremoris e Lactococcus lactis subsp. lactis, alcuni dei quali in grado di metabolizzare il citrato per lo sviluppo di aromi. Gli starter termofili vengono utilizzati nella produzione di formaggi come l’Emmental, il Parmigiano, il Groviera e il Grana e comprendono principalmente ceppi di Streptococcus thermophilus, lattobacilli termofili come Lb. delbrueckii subsp. delbrueckii, Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus, Lb. delbrueckii subsp. lactis e Lb. helveticus. Nella produzione del Parmigiano gli starter sono composti per un 75% da ceppi di Streptococcus thermophilus e

80 per un 25% da ceppi di Lb. helveticus. Durante la produzione di alcuni tipi di formaggio,come il Pecorino Sardo e il formaggio spagnolo Majorero, non vengono aggiunte culture starter e l’abbassamento del pH durante la formazione della cagliata dipende essenzialmente dai batteri lattici naturalmente presenti nel latte. I batteri lattici utilizzati nelle colture starter si differenziano per diverse caratteristiche; per esempio, le specie appartenenti al genere Leuconostoc sono caratterizzate dall’abilità di metabolizzare gli zuccheri attraverso la via metabolica fosfochetolasi e dalla loro scarsa capacità di crescita nel latte. Questo, probabilmente, è dovuto alla mancanza di un sistema di proteinasi per degradare le caseine rilasciando substrati di crescita. Le principali caratteristiche che differenziano le diverse specie utilizzate come starter sono riportate nella seguente tabella:

Tabella 4. Caratteristiche principali delle specie maggiormente utilizzate come starter (Beresford et al., 2001)

O rganism Lactic acid Isomer(s) Metabolism produced in of lactate of citrate milk (%) produced Streptococcus thermophilus 0.6 L - Lsctobacillus helveticus 2.0 DL - Lactobacillus delbrueckii ssp. Bulgaricus 1.8 D - Lactobacillus delbrueckii ssp. Lactis 1.8 D - Lactocossuc lactis ssp. Cremoris 0.8 L - Lactococcus lactis ssp. Lactis 0.8 L + / - Leuconostoc lactis 0.5 D + Leuconostoc mesenteroides ssp. cremoris 0.2 D +

Sicuramente, uno dei ruoli fondamentali delle culture starter è quello di fornire un ambiente favorevole, nel rispetto del potenziale redox, del pH e del contenuto di umidità, affinchè avvenga una normale attività enzimatica da parte del caglio e degli starter stessi e uno sviluppo regolare della flora secondaria (Beresford et al., 2001). Gli starter rappresentano il contributo maggiore alla biomassa di batteri lattici nella cagliata. Essi sono caratterizzati da processi autolitici, che portano alla liberazione degli enzimi proteolitici e lipolitici che contribuiscono alla maturazione del formaggio. Nei lattococchi, la maggior attività autolitica è dovuta a muraminidasi (Niskasaari, 1989). L’attività autolitica delle cellule starter può essere influenzata dalle diverse condizioni nel processo produttivo, come le elevate temperature, dalla concentrazione di NaCl e dal contenuto di umidità.

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Gli starter possono anche essere responsabili di difetti nel formaggio quando raggiungono densità troppo elevate o quando sopravvivono troppo a lungo, causando gusto amaro o mascherando il gusto tradizionale del formaggio.

1.27 Batteri lattici non-starter (NSL A B)

I batteri lattici non-starter sono principalmente costituiti da lattobacilli mesofili e pediococci e rappresentano una larga parte della flora microbica di molti formaggi durante la maturazione (Beresford et al., 2001).Essi generalmente non crescono bene nel latte e non contribuiscono alla produzione di acidi nel formaggio. I batteri lattici non-starter sono eterofermentativi facoltativi e le specie che si rincontrano maggiormente sono: Lb. casei, Lb. paracasei, Lb. plantarum, Lb. rhamnosus e Lb. curvatus. i pediococci che si ritrovano più facilmente sono i Pediococci acidilactici e Pe. pentosaceus. La flora non-starter di formaggi semi-duri maturati prodotti da latte pastorizzato è principalmente composta da lattobacilli mesofili, come Lb. paracasei, Lb. casei e Lb. rhamnosus. Il Lb. plantarum è predominante nella microflora non-starter del formaggio Calabrese maturato in grotta, mentre il Lb. paracasei è presente in formaggi italiani come il ; esso non è rilevato nelle prime fasi di maturazione, ma cresce fino a 107 ufc/g nel primo mese, per poi rimanere a questo livello fino circa al quarto mese (Lombardi, Cattelan, Martina e Basso, 1995). In formaggi caratterizzati da una lunga maturazione come il Parmigiano Reggiano la flora non-starter è costituita principalmente da Lb. paracasei, Lb. rhamnosus e Pediococci acidilactici; durante la maturazione la loro densità diminuisce a partire da 108 ufc/g al quinto mese fino ad arrivare a 104 ufc/g dopo 24 mesi. Nel formaggio Toma sono stati identificati ceppi di Lb. fermentum e Lb. plantarum (Cocconcelli, 1996). I formaggi svizzeri come l’Emmenthal e il Groviera possono essere prodotti a partire da latte crudo, termizzato o pastorizzato; la microflora non-starter è maggiore nei formaggi a latte crudo (108 ufc/g) rispetto a quelli a latte pastorizzato (106 ufc/g). I batteri NSLAB dei formaggi freschi sono principalmente Lb. paracasei, Lb. plantarum e Lb. brevis, mentre il Lb. paracasei è il componente principale della flora non-starter dei formaggi maturi. Nel formaggio Cheddar la microflora non-starter è rappresentata principalmente da Lb. paracasei e Lb. casei e Lb. plantarum, seguiti da Lb. brevis, Lb. curvatus, Lb. helveticus, Lb. fermentum, Lb. buchneri, Lb. bifermentans, Lb. parabuchneri, Lb. farciminis e Lb. kefir.

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La fonte di energia utilizzata dalla flora non-starter per la loro crescita non è molto chiara, in quanto nel momento in cui avviene il loro sviluppo il lattosio è esaurito. È stato ipotizzato il citrato come fonte di energia, ma questo è poco probabile, così come l’utilizzo del ribosio. È stato dimostrato che molti ceppi non starter sono in grado di crescere servendosi dei prodotti rilasciati in seguito ad autolisi dalle cellule starter. I lattobacilli mesofili hanno dimostrato di possedere un’attività glicosidico idrolasi e sono in grado di utilizzare gli zuccheri delle membrane dei globuli di grasso del latte come fonte di energia (Fox, McSweeney e Lynch, 1998). Le interazioni tra i NSLAB e gli altri organismi sono molto importanti nel formaggio e il loro studio è molto complesso; è stato osservato che il Lb. casei, il Lb. rhamnosus e il Lb. plantarum possono inibire gli enterococchi e i batteri propionici nel formaggio, ma il meccanismo di inibizione è ancora sconosciuto.

1.28 Interazioni microbiche nel formaggio

La fermentazione è uno dei primi momenti, nella produzione di un formaggio, dove si instaurano delle interazioni tra diversi microrganismi dotati di specifiche attività fisiologiche (in particolare lieviti, batteri e muffe), in grado di apportare cambiamenti desiderabili che rendono il prodotto caratteristico e stabilizzano la popolazione. I microrganismi presenti nel sistema formaggio sono responsabili, in virtù delle loro attività fisiologiche, enzimatiche ed interazioni combinate, dei cambiamenti biochimici e nutrizionali del prodotto. Nei prodotti fermentati però sono presenti anche effetti antimicrobici che sono da attribuire agli acidi organici, ai fattori antibiotici, agli acidi volatili, al perossido d’idrogeno e ad alcuni composti secreti nel prodotto. Questi effetti antimicrobici sono il risultato della presenza di un certo tipo di microorganismi sviluppatisi durante la fase di fermentazione del formaggio, in grado di dare inevitabili interazioni positive o dannose fra la popolazione. Le interazioni metaboliche sono governate dai lieviti, che agiscono sulle caratteristiche tecnologiche e le attività biochimiche favorendo lo sviluppo di metaboliti, come gli amminoacidi e vitamine, rimuovendo prodotti finali tossici del metabolismo, inibendo la crescita di microrganismi indesiderabili attraverso la secrezione di alcool, la produzione di

CO2, o incoraggiando lo sviluppo di colture starter in conseguenza dell’aumento del pH a seguito dell’utilizzo di acidi organici (Viljonen, 2001).

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1.29 Biodiversità microbica nei sistemi caseari

La microflora del latte crudo, quella dell'innesto e quella che si trasferisce dagli ambienti di produzione e stagionatura sono tra i principali motori del processo di caseificazione e dello sviluppo delle caratteristiche organolettiche del formaggio. La tecnologia e l’ambiente di produzione modulano eventi biologici di natura microbica che sono già intrinseci nell'ecosistema produttivo e che ivi si sono affermati costituendo una nicchia biologica di grande complessità. Lo studio della capacità dei batteri lattici di adattarsi alle nicchie ecologiche caratteristiche dell'ecosistema ambientale, di selezionarsi in relazione a fattori di stress imposti dai parametri di caseificazione e la loro attitudine alla colonizzazione del prodotto in tutte le fasi della sua produzione rappresenta l'origine biologica della diversità dei formaggi. Per questi motivi, una caratterizzazione dei principali biotipi batterici di un formaggio è indispensabile per conoscere i microrganismi che intervengono durante il processo e, quindi, per caratterizzare un formaggio nella sua tipicità. Questa specificità è rafforzata dalla stretta interdipendenza tra la qualità della materia prima agricola e la qualità del prodotto finale. Nel mondo esistono circa 800 tipi di formaggio che differiscono in parte per tecnologia, stagionatura e pezzatura, ma soprattutto per la natura dei microorganismi che si sviluppano durante la maturazione. Sono essi, infatti, che possono trasformare una cagliata nei vari prodotti caseari desiderati. È quindi indispensabile, per il mantenimento della tipicità dei formaggi, conoscere i vari microorganismi che intervengono durante il processo, saperli identificare e valutarne le numerose attività enzimatiche. Infatti, la presentazione sul mercato di prodotti che vantino peculiarità tipicizzanti fortemente legate al territorio richiede di comprovare tali peculiarità e in particolare occorre dimostrare l’irripetibilità della produzione di quel prodotto e l’impossibilità di produrlo in una zona diversa da quella attuale di riferimento. In questo senso, poiché la distribuzione delle popolazioni microbiche è legata alle caratteristiche ambientali e alle tecnologie produttive, essa potrebbe essere utilizzata come parametro che caratterizza le materie prime provenienti da zone ben definite o che caratterizza il prodotto ottenuto con particolari pratiche.

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Analisi sensoriale

L'analisi sensoriale è uno degli strumenti più utili per l'espletamento del controllo qualità. La composizione di un prodotto ricopre un ruolo importante nella sua valutazione qualitativa; tuttavia, quando si tratta di valutare l'impatto nei confronti del consumatore, non si può prescindere dal considerarne la qualità sensoriale. Le caratteristiche sensoriali, come misura e valutazione delle caratteristiche percepibili di un prodotto alimentare, costituiscono un importante legame tra l'industria e il mercato. Sebbene poche aziende utilizzino l’analisi sensoriale come un potenziale strumento sia conoscitivo, sia di sviluppo per nuovi prodotti, essa ha un grosso potenziale nel prestarsi a essere uno strumento aziendale efficace per: - ricerca e sviluppo: per evitare di lavorare su un prodotto che poi non è commercializzabile da un punto di vista organolettico, poichè ogni processo di innovazione deve essere legato alla realtà del mercato di riferimento e tenuto sotto controllo; - il marketing: per monitorare il prodotto e differenziarlo da quello della concorrenza; - i venditori e i commerciali: per offrire uno strumento che dimostra all’interlocutore la scientificità delle proprie affermazioni (“è buono, piccante, dolce” ecc.) e che permette di descrivere il prodotto basandosi su una conoscenza precisa degli aspetti sensoriali. Questo permette un rapporto di maggiore trasparenza tra impresa e consumatore, più costruttivo e affidabile da un punto di vista economico. Inoltre, l’analisi sensoriale può essere applicata anche per il controllo di qualità delle materie prime, la valutazione di modificazioni delle caratteristiche sensoriali dei prodotti nel tempo, ovvero la loro stabilità durante la conservazione, l'analisi di prodotti competitivi, la modificazione del processo tecnologico e le ricerche di mercato. Dal momento che l'industria deve fornire un prodotto che soddisfi il consumatore e la qualità sensoriale debba essere uno dei più importanti fattori influenzanti l'accettabilità di alimenti e bevande, è importante avvalersi dell'analisi sensoriale, in quanto essa utilizza proprio l'individuo quale strumento di misura delle qualità organolettiche. I risultati di quest'analisi forniscono informazioni sulla realtà del prodotto al momento del consumo. Per definire le caratteristiche sensoriali e capire come queste influenzino la qualità, sono

85 indispensabili tutte le informazioni che possono derivare dai test sia di tipo analitico che affettivo (edonistici). Ogni esperimento o valutazione sensoriale che sia, deve sempre essere verificata affinché i risultati siano attendibili e validabili. I due termini non sono sinonimi ma considerano due livelli di controllo ben precisi. L'attendibilità della prova è fornita, a seconda dei test eseguiti, dalla capacità globale dei giudici di esprimere giudizi ripetibili, ovvero comparabili fra prove replicate nel tempo. La validità delle prove è la verifica che i risultati emersi siano verosimili, ovvero, ad esempio, allineati al giudizio di un determinato target di consumatori (analisi e lettura del mercato). Il soggetto del controllo è comunque sempre il giudice e, quindi, la valutazione della sua performance si tramuta nella verifica della prova o dell'esperimento. Il giudice può essere valutato in diversi momenti del suo lavoro: prima delle prove mediante test psico-attitudinali, durante la prova mediante test sequenziali e, infine, dopo la prova, mediante la metodologia statistica.

1.30 L’analisi sensoriale dei formaggi e il modello Etana

L'analisi chimica dei formaggi, per cromatografia ad esempio, è insufficiente a valutare le caratteristiche aromatiche del prodotto poichè alcuni composti presenti sotto forma di semplici tracce sono a volta aromaticamente preponderanti. In più, le misure delle proprietà meccaniche attraverso test analitici caratterizzano male i prodotti pastosi, friabili e eterogenei come i formaggi. La degustazione, invece, integra delle informazioni sensoriali varie e fornisce uno sguardo d’insieme sul prodotto. Sebbene l’analisi sensoriale sia un’operazione essenzialmente soggettiva, sono stati messi a punto dei modelli di assaggio che affrontano il problema con un approccio scientifico. In particolare, si riporta un metodo scientifico messo a punto da un gruppo di tecnici europei di Analisi Sensoriale specifico per i formaggi a pasta dura e semidura, ma che si può didatticamente anche trasferire sulle altre tipologie di formaggi (modello Etana). Questo modello esamina il formaggio, considerando 14 descrittori:

 Due descrittori olfattivi: l'intensità dell'odore e l'intensità dell'aroma.  Sei descrittori gustativi: i quattro sapori fondamentali, dolce, acido, salato ed amaro, più l'astringente ed il piccante.

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 Sei descrittori per la struttura: l'elasticità, la durezza, la friabilità, l'adesività, la solubilità e l'umidità.

Ogni descrittore viene valutato usando una scala a 5 valori; unendo i punti si crea una figura geometrica che indica immediatamente il "profilo di assaggio" del formaggio in esame. Sarà quindi possibile individuare la caratteristica più evidente, e al contrario quella meno evidente o anche non percepita, e quindi non caratteristica di quel formaggio. Si può obiettare che l'esperienza e la diversa sensibilità olfattiva del giudice assaggiatore può indurre ad assegnare un diverso punteggio sulla scala. Questo viene minimizzato attraverso sedute di “taratura” in cui si eseguono test di assaggio seguiti da dibattiti per assegnare alla stessa intensità di percezione lo stesso valore. In questo modo tutti i giudici associeranno a un’intensità percepita valori simili e la soggettività viene limitata. Si prende quindi in considerazione:

 Odore: definito come la proprietà organolettica percepibile per mezzo dell'organo olfattivo annusando delle sostanze. L’intensità dell'odore è, invece, la forza di stimolazione percepita annusando il campione di formaggio, sia direttamente quando ci si avvicina, sia quando lo si rompe in due tenendolo molto vicino al naso. Per qualificare l'odore, è necessario annusare il campione più volte con grande attenzione. Poi rompere il campione in due ed annusare al di sopra del punto di rottura, sempre con molta attenzione.  Aroma: definito come la proprietà organolettica percepibile attraverso l'organo olfattivo per via retronasale al momento della degustazione. Per qualificare l'aroma è necessario prendere coscienza della via retronasale incominciando a masticare il campione per qualche secondo senza inspirare aria; poi, continuando a masticare liberare aria a sbuffi attraverso il naso a bocca chiusa affinché gli aromi stimolino i ricettori olfattivi. L’intensità dell'aroma è la forza di stimolazione globale percepita dal bulbo olfattivo provocata dalla nuvola gassosa di prodotti odorosi liberati durante la masticazione ed indirizzati all'interno del naso dalla respirazione.  Sapore: definito come la sensazione percepita dall’organo gustativo, la lingua, quando viene stimolata da certe sostanze solubili. Viene indicata l’esistenza di quattro sapori elementari che sono:  il dolce: provocato da soluzioni acquose di diverse sostanze come lo zucchero.  il salato: provocato da soluzione acquose di diverse sostanze come il sale da cucina.

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 L'acido: provocato da soluzioni acquose di diverse sostanze come il succo di limone.  L'amaro: provocato da soluzioni acquose di diverse sostanze come la caffeina. La tecnica di valutazione è la stessa per i quattro sapori: masticare il campione e valutare con la lingua quale sapore è presente e la sua intensità.  Struttura: definita come l’insieme delle proprietà reologiche e strutturali (geometriche e di superficie) di un prodotto alimentare, percepibili tramite i recettori meccanici, tattili ed, eventualmente, tramite la vista e l'udito. Per meglio valutare la struttura del formaggio a pasta dura o semidura, è bene preparare campioni a forma di parallelepipedo di cm 1,5 x 1,5 di lato e di 5 o 8 cm di lunghezza. I descrittori della struttura che sono stati scelti per il Modello ETANA fanno riferimento alle caratteristiche "meccaniche" percepibili durante la masticazione e sono:  Elasticità: attitudine di un campione di formaggio a recuperare il suo spessore iniziale dopo essere stato compresso.  Durezza: resistenza che un campione di formaggio presenta ad un piccolo spostamento delle mascelle.  Friabilità: attitudine che presenta un campione di formaggio all'inizio della masticazione a generare numerosi frammenti.  Adesività: lavoro necessario per staccare con la lingua parti di un formaggio incollato al palato e/o ai denti.  Solubilità: percezione che si sviluppa quando il formaggio fonde molto rapidamente nella saliva.  Umidità: percezione del grado di umidità del campione: secco richiama saliva, mentre acquoso libera liquido durante la masticazione. La struttura, ossia l'insieme delle caratteristiche fisiche dei formaggi, nelle valutazioni sensoriali è stata spesso relegata in secondo piano rispetto ad odori ed aromi, più in grado di colpire la fantasia del pubblico dei consumatori. In realtà, per tutti gli alimenti la struttura gioca un ruolo importantissimo nell'apprezzamento sensoriale, anzi, certi prodotti sono accettati o respinti per lo più in funzione della struttura. Essa inoltre, può avere anche un gioco importante nell'estrinsecare gli aromi o i sapori dei prodotti: pensiamo ad un prodotto solido che si scioglie in bocca mettendo a contatto i nostri recettori con le sostanze

88 responsabili dei diversi sapori. Nell'ambito caseario la gamma delle tipologie strutturali dei formaggi è molto vasta e una delle classificazioni più comuni dei formaggi si basa proprio su di essa. Infatti, si catalogano i formaggi a seconda della loro pasta che può essere molle, semidura o dura. Gli aspetti strutturali sono influenzati principalmente dallo stato delle proteine, del grasso, dell'umidità e del contenuto in sale. In particolare, le proteine sono responsabili di certe caratteristiche relative alla durezza, coesione, granulosità ed elasticità della pasta. Il grasso ha un effetto sulla durezza, deformabilità e fusibilità. L'umidità e il sale influenzano soprattutto la durezza dei formaggi.

Figura 9. Modello Etana per l’analisi sensoriale di formaggi a pasta dura o semidura.

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Metodi per l’identificazione di microrganismi

1.31 Polymerase Chain Reaction (PC R)

Il principio alla base della reazione a catena della polimerasi (PCR), già in qualche modo delineato nella sua forma nel 1971, diventa reale nel 1985 con la pubblicazione del primo esperimento di amplificazione del DNA. Da allora la PCR ha avuto un impatto via via crescente, inizialmente nell'ambito "ristretto" della biologia molecolare, approdando infine ad altre discipline scientifiche. All'inizio, la PCR rappresentava un'alternativa valida al clonaggio; tuttavia, in seguito, con il progredire e l'affinarsi della tecnologia stessa, essa diventa il punto di forza per esplorare numerosi campi scientifici ed innumerevoli sono le sue applicazioni attuali e, anche se questa metodologia era fino a qualche anno fa prerogativa dei laboratori di ricerca più avanzati, essa si sta sempre di più affermando come tecnica di "routine". Una delle applicazioni più interessanti della PCR è la possibilità di ottenere dei "molecular fingerprinting", un’impronta digitale molecolare di un (micro)organismo, che permette di distinguerlo da "individui" strettamente correlati dal punto di vista genetico (tipizzazione). Grazie all’introduzione di questa tecnica, per la sua semplicità, velocità, sensibilità e specificità, sono stati fatti eccezionali progressi in questo campo. Il "molecular fingerprinting" può essere richiesto per almeno tre diversi motivi:

1. per identificare (dare un nome) e/o tipizzare un microrganismo ignoto; 2. per evidenziare la presenza e l'eventuale quantità di un batterio in un determinato ambiente naturale (monitoraggio), dove "naturale" debba intendersi nella sua accezione più generale (ambienti acquatici, il suolo, l'aria, ma anche un tratto di intestino, un bioreattore, il latte e così via); 3. per studiare una popolazione microbica naturale, allo scopo di verificarne il grado di polimorfismo genetico, oppure per isolare e/o identificare batteri con delle particolari capacità metaboliche, o ancora per verificarne le eventuali fluttuazioni di struttura e composizione nel tempo (dinamica), in conseguenza delle variazioni delle condizioni ambientali, in modo da poter correlare la maggior o minor quantità di uno o più microrgansimi ad un determinato parametro ambientale.

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Date queste premesse, un aspetto applicativo che non può essere trascurato e che nel futuro assumerà un’importanza crescente è relativo all'idea secondo la quale molti dei processi che avvengono in un ambiente naturale sono legati, non alla presenza ed attività di singoli ceppi batterici, ma a quella di consorzi microbici, un insieme cioè di microrganismi appartenenti a specie diverse che, singolarmente, non sarebbero capaci di portare a termine un determinato processo (biodegradativo, etc.), cosa che invece riesce a fare la comunità microbica nella sua globalità. In una prospettiva futura l'analisi delle comunità microbiche naturali assumerà perciò un’importanza sempre maggiore. In questo senso microbiologia ed ecologia saranno sempre più interconnesse in quella disciplina, detta ecologia microbica, che cerca di comprendere quali siano le relazioni esistenti tra microorganismi e l'ambiente in cui essi risiedono. La PCR, quindi, è un metodo attraverso cui una sequenza di acido nucleico può essere amplificata in vitro. È necessario che le estremità della sequenza da amplificare siano conosciute con sufficiente precisione per poter sintetizzare degli oligonucleotidi (primers) che saranno ibridizzati ad esse. Un tipico ciclo di PCR prevede:

 Fase di denaturazione al calore di un DNA stampo che deve essere copiato (94- 99°C).  Fase di appaiamento (annealing) delle coppie di oligonucleotidi ai 2 filamenti aperti del DNA stampo (30-65°C).  Fase di estensione dei primers per opera una DNA-polimerasi termoresistente (65- 72°C). L’enzima copia il filamento stampo partendo dal primer e si ottengono 2 nuovi filamenti di DNA complementari ai 2 filamenti stampo.

La scelta delle condizioni operative del ciclo (tempo e temperatura) è compito dell’operatore, è una scelta empirica e non prefissata. Un passaggio graduale tra la temperatura di annealing e la temperatura di estensione permette alla DNA-polimerasi di iniziare l’elongazione senza che i primers si stacchino (T>Tm). Mentre l’enzima polimerizza, la temperatura supera i 72°C e ricomincia il ciclo con la denaturazione del DNA. Durante il primo ed ogni successivo ciclo di reazione, l’estensione di ogni primer sullo stampo originale produce una nuova molecola di DNA a singolo filamento di lunghezza indefinita. Questi prodotti di lunghezza indefinita si accumulano in maniera lineare, vale a

92 dire che la loro quantità, dopo un certo numero di cicli, è linearmente proporzionale allo stesso numero di cicli. I prodotti lunghi originati in questo modo fungono da stampi per l’uno o l’altro degli oligonucleotidi durante i cicli successivi e l’estensione di questi primer dalla DNA- polimerasi produce filamenti di lunghezza definita, corrispondente a quella di interesse. Queste molecole fungono a loro volta da stampo per l’uno o per l’altro oligonucleotide producendo altre molecole di grandezza definita. In questo modo si sviluppa una reazione a catena che porta all’accumulo di uno specifico DNA a doppio filamento in maniera esponenziale rispetto al numero di cicli di reazione. Il grado di amplificazione finale è dato da 2 (n-2) dato che i primi due cicli sono nulli.

1.32 I TS-PC R e R APD-PC R

Esistono molti metodi molecolari basati sulla PCR per l'identificazione, la tipizzazione ed il monitoraggio dei batteri e ogni buon protocollo per la identificazione e/o la tipizzazione di un isolato batterico dovrebbe essere specifico, sensibile, riproducibile, rapido, semplice e a basso costo. In particolare le tecniche basate sulla PCR (AFLP, AP-PCR, DAF, RAPD, rep-PCR, eric-PCR, tDNA-PCR, ARDRA, ITS, sequenziamento del 16S rDNA) si sono rivelate un mezzo estremamente veloce ed efficace per l'identificazione, la tipizzazione ed il monitoraggio dei batteri. Le varie tecniche, che differiscono oltre che per l'approccio operativo, anche per la loro specificità, generano un fingerprinting molecolare che assume le sembianze di un codice a

93 barre, il numero delle quali dipende dal tipo di tecnica utilizzata. L'identificazione di un isolato batterico ignoto avviene mediante confronto con il codice a barre ottenuto con uno o più ceppi tipo. In generale questi metodi possono essere suddivisi in due classi, la prima delle quali comprende quei metodi che prevedono la conoscenza almeno della sequenza di appaiamento dei due primer, cioè la conoscenza di una sequenza di DNA specifica del microrganismo in esame; la seconda include quelle metodologie che permettono di amplificare uno o più frammenti di DNA anonimi, senza che sia necessaria una previa conoscenza delle sequenze bersaglio. Tra il primo gruppo di tecniche vi è l’ITS (Internal Transcribed Spacer, regione estremamente variabile) che prevede l'amplificazione della regione intergenica compresa tra il 16S rDNA ed il 23S rDNA, utilizzando dei primer "universali" per ogni specie batterica. Si ottiene così un profilo caratteristico del ceppo analizzato, con lo scopo di ottenere un dendrogramma dal quale, in base alla similarità dei ceppi, si ottiene una clusterizzazione. Un altro esempio di tecnica utilizzata è la RAPD-PCR; in questa tecnica viene utilizzato un solo primer che si appaia casualmente al DNA ogni qual volta incontra una regione complementare. Il primer utilizzato è l’M13 (5’-GAGGGTGGCGGTTCT-3’). Anche questa tecnica permette di ottenere un dendrogramma attraverso i profili dei vari ceppi analizzati. In base alla similarità vengono elaborati dei cluster e, successivamente, con il sequenziamento del gene 16S-r-RNA, si può risalire alla specie di appartenenza.

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Parte Sperimentale

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Obiettivi

Da un’analisi critica della letteratura si osserva che l’espansione del mercato favorisce sicuramente il settore lattiero-caseario, attraverso proposte innovative che portano alla nascita di varianti di prodotti tipici e tradizionali, purchè sempre di qualità. Il settore lattiero-caseario europeo può senza dubbio considerarsi “maturo” per la sua dimensione e storia articolata e per le radicate connessioni con diverse culture territoriali. Esso dimostra una singolare dinamicità sia per quanto riguarda le innovazioni, sia per i sistemi di autocontrollo accompagnati da una forte consapevolezza e attenzione nei confronti dei problemi riguardanti la sicurezza alimentare e la salute del consumatore. L’innovazione del prodotto può riguardare diverse iniziative che possono essere differenziate anche in rapporto alla sezione produttiva considerata (yogurt, formaggi stagionati, formaggi freschi). L’esame valutativo della letteratura indica che le novità più promettenti per aumentare la competitività dei formaggi, soprattutto da esportazione, sono sicuramente il miglioramento degli standard qualitativi, il differenziamento dei prodotti e la valorizzazione delle produzioni casearie tipiche. Oggi la precisa definizione di formaggio data dalla legislazione italiana e le ormai consolidate caratteristiche produttive limitano in maniera automatica le possibilità di innovazione e diversificazione del prodotto attraverso l’utilizzo di condizioni di maturazione peculiari, l’impiego di tecnologie alternative per la sanificazione della materia prima o l’inoculo di colture microbiche dotate di specifici attributi. Certamente, le caratteristiche generali dei formaggi e la qualità igienico sanitaria dipendono, in primo luogo, dagli attributi delle materie prime e dai trattamenti tecnologici applicati durante il processo produttivo. Tuttavia, è altrettanto vero che i prodotti acquisiscono le caratteristiche strutturali e organolettiche che li contraddistinguono durante la fase di maturazione. Infatti, la maturazione è il risultato di complessi fenomeni biochimici e microbiologici fortemente influenzati dall’ambiente in cui essi hanno luogo. Si possono avere, come conseguenza di modificazioni sulle condizioni in cui avviene la maturazione, degli effetti più o meno marcati sulle caratteristiche organolettiche, microstrutturali e nutrizionali del prodotto e sull’ecologia microbica del sistema. L’ambiente di stagionatura è sicuramente un fattore molto importante che influisce significativamente sulla maturazione

97 del prodotto e, oltre ad apportare microrganismi che possono avere un ruolo diretto sulla salubrità del prodotto, gioca un ruolo diretto sugli equilibri quali-quantitativi della microflora già presente; questo si ripercuote sul metabolismo microbico e, più in generale, sulla velocità delle reazioni biochimiche (quindi sulla durata della maturazione), determinando le caratteristiche complessive finali del prodotto finito. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare gli effetti della maturazione di formaggi Pecorino avvenuta presso le grotte di Santarcangelo di Romagna determinando diverse caratteristiche, quali la microflora, il profilo aromatico, proteolitico e lipolitico, nonché gli effetti sulla salubrità del consumatore. Infatti, tenendo in considerazione numerose ricerche mirate alla determinazione dei caratteri organolettici e chimici, in termini di quantità e qualità, è necessario valutare l’attività di batteri lattici non starter, microstafilococchi, lieviti e muffe che rendono il prodotto finito distinguibile da altri. Per questo motivo, uno degli obiettivi di questa tesi è stato quello di descrivere la popolazione microbica presente nelle due tipologie di formaggio (stabilimento e grotta) per sottolineare eventuali differenze. Questa caratterizzazione può fornire un quadro della composizione delle popolazioni e della loro distribuzione nei prodotti, chiarendo le complesse interazioni tra l’ambiente, l’area di produzione e il prodotto stesso. Sono stati quindi isolati diversi gruppi microbici sui quali è stata effettuata una caratterizzazione genotipica attraverso la tecnica ITS-PCR. Al fine di considerare eventuali ripercussioni sulla salubrità del consumatore, sono state ricercate anche diverse specie patogene (Salmonella spp, Listeria monocytogenes. e Staph. aureus) attraverso l’utilizzo di terreni selettivi. Inoltre, è stata valutata la presenza di eventuali ammine biogene. Queste possono ritrovarsi in diversi alimenti e vengono prodotte, ad eccezione delle poliamine fisiologiche, principalmente dalla decarbossilazione degli aminoacidi precursori operata dai microrganismi (Silla Santos, 1996). Tiramina, 2- fenil-etilamina ed istamina possono causare diversi disturbi legati, soprattutto, al sistema vascolare e nervoso più o meno gravi in rapporto alla sensibilità individuale e all’attività degli enzimi deputati alla loro detossificazione; per questo motivo è necessario che il loro contenuto negli alimenti sia, per quanto possibile, limitato. Per avere una visione generale della maturazione nelle due diverse tipologie di formaggi, è stato valutato il profilo aromatico e quello degli acidi grassi nei formaggi considerati. È importante sottolineare che questo lavoro di tesi è inserito in un contesto più ampio di collaborazione con il comune di Santarcangelo di Romagna, con cui è stato avviato un progetto per valutare l’idoneità delle grotte come ambiente di maturazione. L’utilizzo di

98 questa peculiarità territoriale per la produzione di formaggi tipici è stata vista dalla comunità locale come un’importante opportunità per valorizzare la Santarcangelo sotterranea delle grotte, offrendo un valore aggiunto al patrimonio socio-culturale della zona. Comunque, lo scopo di questa tesi di dottorato non è stato quello di ottimizzare le condizioni di produzione di un ulteriore prodotto tipico, ma quello di valutare le potenzialità di un patrimonio culturale già consolidato, come le grotte di Santarcangelo, per l’ottenimento di un prodotto alimentare caratteristico e riconoscibile.

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Materiali e metodi

1.33 Determinazione dei parametri ambientali delle grotte

Le rilevazioni sono state effettuate con l’ausilio di uno strumento data logger (Delta Ohm, HD2101.2) dotato di una sonda combinata umidità relativa-temperatura (HP472 AC). Il software di gestione dati è Deltalog 9 v. 1.1 2005.

1.34 Realizzazione della sperimentazione

La sperimentazione è avvenuta in due diversi periodi dell’anno 2006: nei mesi di maggio- giugno e nei mesi di settembre-ottobre. Per entrambe le sperimentazioni, i formaggi oggetto di studio, facevano parte di uno stesso lotto di produzione che è stato sdoppiato: una parte è rimasta in stabilimento per andare incontro alla normale maturazione prevista dal produttore, mentre la restante parte è stata posta in grotta per la stagionatura. Le analisi sono state eseguite con cadenza settimanale e compatibilmente con le esigenze sperimentali. I formaggi, di circa un chilogrammo, hanno già subito una periodo di pre- maturazione di 60 giorni; è stato considerato come tempo iniziale il formaggio acquistato dal produttore dopo la pre-maturazione. In seguito, per ogni tipologia di formaggio (grotta o stabilimento) sono state analizzate due forme distinte. Le forme provenienti dallo stabilimento sono state indicate con F, mentre quelle di grotta con la sigla G; nelle diciture vengono inoltre riportati i tempi di campionamento espressi in giorni dall’inizio della prova: per la prima sperimentazione sono stati considerati i tempi t0, t7, t21, t28 e t35, mentre per i formaggi prodotti in settembre-ottobre sono stati considerati i tempi t0, t14, t28 e t35. I dati riportati, dove non diversamente indicati, si riferiscono alla media dei risultati.

1.35 Analisi microbiologiche

Sono stati prelevati 10 g di ciascun campione, posti in un sacchetto sterile e addizionati con 90 ml di soluzione fisiologica sterile (9% di cloruro di sodio), omogeneizzati per 2 minuti

101 utilizzando il trattamento con Stomacher (modello Lab Blender Seward, pbi) e diluiti secondo la tecnica delle diluizioni decimali. Le sospensioni cellulari ottenute sono state utilizzate per effettuare conteggi in piastra di differenti gruppi microbici mediante conta diretta. I gruppi microbici presi in considerazione sono: enterococchi, stafilococchi, micrococchi e lieviti; l’isolamento di questi microrganismi è stato effettuato con tecnica di spatolamento distribuendo 0.1 ml della sospensione cellulare avente l’opportuna concentrazione su terreni selettivi di coltura. Le temperature e i tempi di incubazione sono i seguenti: Enterococchi: 44°C per 24 ore in condizione di anaerobiosi Stafilococchi: 37°C per 32-48 ore Lieviti: 30°C per 24 ore Per l’isolamento e il conteggio di enterobatteriacee, lattobacilli mesofili, lattococchi e lieviti è stata utilizzata la tecnica di semina per inclusione, distribuendo 1 ml di sospensione cellulare avente l’opportuna concentrazione in piastre vuote dove, successivamente, viene posto il terreno selettivo ad una temperatura inferiore ai 50°C. Le temperature e i tempi di incubazione sono i seguenti: Lattobacilli: 37°C per 24-48 ore Lattococchi: 37°C per 24-48 ore Enterobatteriacee: 37°C per 24 ore Lieviti: 30°C per 24 ore

Substrati utilizzati

Su tutti i campioni analizzati, per entrambe le produzioni, sono stati ricercati i diversi gruppi microbici mediante conta diretta su piastra utilizzando substrati idonei al loro sviluppo. I terreni utilizzati sono i seguenti: Slanetz and Bartley medium (S&B, Oxoid) Terreno utilizzato per il conteggio e l’isolamento degli enterococchi. Composizione (g/l): Triptone 20 Estratto di lievito 5

Sodio fosfato monoacido 2H20 4 Glucosio 2

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Sodio azide 0.4 Tetrazolio cloruro 0.1 Agar 10 pH 7.2 ± 0.2

Sabouraud Dextrose Base (SAB, Merck) Utilizzato per il conteggio e l’isolamento dei lieviti. Composizione (g/l): Peptone 10 Glucosio 20 Agar 20 A seguito della sterilizzazione in autoclave a 121°C, viene aggiunto al terreno cloramfenicolo in quantità di 0.2 g/l.

MRS (Man de Rogosa, Sharpe, Oxoid) Utilizzato per il conteggio e l’isolamento di lattobacilli mesofili. Composizione (g/l): Peptone 10 Estratto di carne 8 Destrosio 20 Estratto di lievito 4 Potassio fosfato monoacido 2 Tri-ammonio citrato 2 Tween 80 1

Sodio acetato 3H20 5

Magnesio solfato H2O 0.2

Manganese solfato 4H2O 0.05 Agar 18 pH 5.7 ± 0.2

Baird Parker medium (BPM, Oxoid) Utilizzato per il conteggio e l’isolamento di stafilococchi e micrococchi. Composizione (g/l): Triptone 10

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Estratto di carne 5 Estratto di lievito 1 Sodio piruvato 10 Cloruro di litio 5 Glicina 12 Agar 20 pH 6.8 L’aggiunta di EYTE rende il terreno selettivo per la ricerca di S. aureus. Si devono aggiungere 50 ml dopo che il terreno ha raggiunto una temperatura di circa 50°C.

M17 Utilizzato per il conteggio e l’isolamento di lattococchi e streptococchi. Composizione (g/l): Triptone 5 Digesto di carne 5 Acido ascorbico 0.5 Di-sodio-glicerofosfato 19 Peptone di soia 5 Estratto di lievito 2.5 Magnesio solfato 0.25 Agar 18 pH 6.9 Questo terreno è stato addizionato di una soluzione di lattosio al 10% dopo la sterilizzazione in autoclave.

Violet Red Bile Glucose Agar (VRBGA) Utilizzato per il conteggio e l’isolamento delle Enterobatteriacee totali. Composizione (g/l): Glucosio 10 Peptone 7 Cloruro di sodio 5 Estratto di lievito 3 Sali biliari n.3 1.5 Rosso neutro 0.03

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Cristal violetto 0.002 Agar 12

PCA Utilizzato per il conteggio e l’isolamento della carica mesofila totale. Composizione (g/l): Universal peptone 5 Estratto di lievito 2.5 Glucosio 1 Agar 18

Ricerca di specie patogene

La ricerca di Salmonella spp. è stata eseguita secondo quanto previsto dalla procedura ISO 6579, “Microbiology: General guidance on methods for the detection of Salmonella” 2002. I terreni agarizzati utilizzati sono BISMUT SULPHITE AGAR e BRILLIANT GREEN AGAR; la procedura prevede un primo arricchimento in acqua peptonata ed un secondo passaggio in SELENITE CYSTEINE BROTH. Sia i terreni di arricchimento che i terreni agarizzati sono della ditta Oxoid. La ricerca di Listeria monocytogenes è stata eseguita secondo quanto previsto dalla procedura ISO 11290 “Microbiology of foods and animal feeding stuffs. Horizontal methods for enumeration of L. monocytogenes. Part 1 Detection. Part 2 Enumeration” 1996. I terreni utilizzati hanno la seguente composizione (g/l): Bismute Sulphite Agar Peptone 5 Estratto di carne 5 Destrosio 5 Sodio fosfato monoacido 4 Ferroso solfato 0.3 Bismuto solfito (indicatore) 8 Verde brillante 0.016 Agar 12.7 pH 7.6

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Brilliant Green Agar Peptone proteosi 10 Estratto di lievito 3 Sodio cloruro 5 Lattosio 10 Saccarosio 10 Rosso fenolo 0.08 Verde brillante 0.0125 Agar 12 pH 6.9 Selenite Cysteine Broth Triptone 5 Lattosio 4 Sodio fosfato monoacido 10 L-cistina 0.01 pH 7

Isolamento e pre-identificazione dei microrganismi

Sono stati effettuati diversi isolamenti per i gruppi microbici dei lieviti, lattobacilli, enterococchi, stafilococchi e lattococchi. Dalle piastre petri, utilizzate per il conteggio dei vari gruppi microbici, sono state selezionate e isolate diverse colonie caratterizzate da differente morfologia; questo è stato fatto per ciascun campione esaminato. Ogni colonia prescelta è trapiantata più volte in un terreno colturale, in modo da purificare colonie appartenenti a uno stesso ceppo, per poter infine effettuare le prove necessarie per l’identificazione dei microrganismi. Le varie colonie isolate e purificate sono state congelate a -80°C in brodo con l’aggiunta di glicerolo, in modo da ottenere degli stock che potessero essere rivitalizzati per poter effettuare le successive analisi biochimiche, enzimatiche e di identificazione. Gli isolati sono stati raggruppati in base a due diverse caratteristiche distintive:

 osservazione microscopica, effettuata per immersione e utilizzando un obiettivo 100x;

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 produzione dell’enzima catalasi, mediante reazione delle cellule con perossido di idrogeno al 30% (v/v) (Carlo Erba) e verifica dello sviluppo di gas (liberazione di

O2).

1.36 Determinazione del pH e dell’attività dell’acqua

Il pH è stato valutato con l’ausilio del pHmetro Amel Instruments (334-B) con elettrodo Hamilton Slimtrode, previa taratura dello strumento con soluzioni tampone a pH 7.00  0.02 e 4.00  0.02. La misurazione dell’attività dell’acqua è stata eseguita mediante strumento AquaLab Series 3 e 3TE Water Activity Meter Operator’s Manual version 1.5 (Decagon Devices, Inc), basato sulla determinazione del punto di rugiada a temperatura di saturazione. Lo strumento è stato preventivamente tarato con acqua distillata e soluzioni saline sature ad opportuno valore di attività dell’acqua.

1.37 Analisi del contenuto di ammine biogene

È stata effettuata un’analisi quali-quantitativa delle ammine biogene nei diversi campioni di formaggio mediante tecnica HPLC. La preparazione dei campioni prevede tre fasi: estrazione, derivatizzazione ed iniezione.

Estrazione dei campioni (Pinho et al, 2001)

La tecnica di estrazione dei campioni di formaggio prevede diversi passaggi:

 pesare 5 grammi di campioni;  aggiungere 20 ml di acido cloridrico 0.1 M (Carlo Erba) addizionato di standard interno (1,7-diaminoeptano; 125 mg/l) (Sigma);  centrifugare per 20 minuti a 10000 giri ad una temperatura di 4°C (Beckman Coulter);  filtrare con filtri per analisi quantitativa Allbet;  aggiungere 20 ml di acido cloridrico 0.1 M;  depositare il campione in bagno ad ultrasuoni per 20 minuti;  centrifugare per 20 minuti a 10000 giri ad una temperatura di 4°C;  filtrare;  portare a volume di 50 ml con acido cloridrico 0.1 M.

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In questo modo otteniamo l’estratto acido conservabile pe 3 giorni a -20°C.

Derivatizzazione (Maijala e Eerola, 1993)

La fase di derivatizzazione è necessaria per poter successivamente effettuare l’iniezione dei campioni nel gascromatografo e consiste nel:

 prelevare 1 ml dell’estratto acido precedentemente ottenuto e trasferirlo in matracci da 10 ml;

 aggiungere 300 l di NaHCO3 saturo (Carlo Erba); questa fase è stata eseguita solo per la derivatizzazione della soluzione standard di ammine biogene. Alla soluzione madre si aggiungono 100 l di soluzione standard interno (50 mg di 1,7-

diaminoeptano/50 ml di H2O distillata) (Sigma);  portare il pH a un valore di 11.5  0.01 utilizzando una soluzione di KOH a una concentrazione di 1N (Merck);  aggiungere ad ogni campione 4 ml di soluzione di dansil-cloruro (Sigma) (20 mg/4 ml di acetone per HPLC); questa soluzione deve essere preparata ogni volta che si effettua un’analisi e protetta dalla luce fino al momento dell’utilizzo;  trasferire i campioni in bagno termostatato a 40°C per 45 minuti, sotto agitazione (195 strokes) al buio;

 aggiungere 400 l di ammoniaca (NH3 30%) (Carlo Erba);  mantenere i campioni al buio per 30 minuti a temperatura ambiente;  portare a volume con aceto nitrile per HPLC (Carlo Erba);  filtrare il surnatante con filtri 0.2 m in nylon (Allbet);  trasferire i campioni in vial e mantenerli a una temperatura di -20°C, alla quale saranno conservati per un massimo di 7 giorni fino al momento dell’iniezione.

Condizioni cromatografiche

È stata utilizzata una strumentazione costituita da un sistema Jasco PU-2089 Plus e iniettore manuale Rheodyne model con loop di 20 l; l’assorbanza a 254 nm è stata determinata con rivelatore UV-VIS Jasco UV 2070 Plus. La colonna utilizzata per la separazione degli analiti è una colonna C18 a fase inversa (Waters Spherisorb ODS-2, 150 x 4.6 mm, 3 m) con precolonna (Waters Spherisorb S5 ODS-2, 4.6 x 10 mm).

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Nella seguente tabella viene riportato il gradiente di concentrazione degli eluenti utilizzato per l’analisi HPLC delle ammine biogene.

Tabella 5. Gradiente di concentrazione degli eluenti utilizzati pr l'analisi HPLC delle ammine biogene.

T E MPO A C E T O NI T RI L E K 2 HPO 4 50 mM pH7 A C Q U A (minuti) (%) (%) (%) 0.0 65 35 0 1.0 65 35 0 5.0 80 20 0 5.1 80 0 20 6.0 90 0 10 15.0 90 0 10 20.0 65 35 0 25.0 65 35 0

Il tempo di analisi è di 25 minuti con un tempo di equilibratura di 10 minuti tra una iniezione e l’altra. Gli eluenti utilizzati sono stati precedentemente filtrati con filtro a porosità 0.22 m in nylon o acetato di cellulosa.

Preparazione degli standard

Per l’analisi delle ammine biogene è stata preparata una soluzione madre pesando 50 mg/l delle seguenti ammine: 2-feniletilammina, putrescina, cadaverina, tiramina, istamina, spermidina e spermina. Tutte le ammine biogene utilizzate come standard sono state fornite dalla ditta Sigma. La soluzione madre è stata opportunamente diluita per ottenere le diverse concentrazioni per la determinazione delle ammine biogene in funzione dei tempi di ritenzione e per la quantificazione delle stesse attraverso le rette di taratura. La procedura di derivatizzazione degli standard è stata effettuata secondo il metodo precedentemente descritto, utilizzato per gli estratti acidi.

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1.38 Caratterizzazione del profilo aromatico mediante analisi gascromatografica

Per identificare il diverso profilo aromatico dei due tipi di formaggio, maturato in stabilimento e in grotta, è stata effettuata un’analisi gascromatografica abbinata ad estrazione SPME. Porzioni dei campioni dal peso di 5 grammi ciascuna sono stati posti in vials da 10 ml, sigillati con setti di politetrafluoroetilene/silicone, parafilmati e chiusi con ghiere metalliche. Prima di effettuare l’analisi le vials contenenti i campioni sono state riscaldate a 45 °C per 10 minuti, al fine di accelerare il raggiungimento dell’equilibrio liquido-vapore. Successivamente, nello spazio di testa è stata inserita una fibra di silice fusa ricoperta da una fase fissa mista di Carboxen-polidimetilsilossano (CAR/PDMS, 75 m, SUPELCO, Bellafonte, PA, Stati Uniti d’America), idonea per la preconcentrazione sia delle molecole polari che di quelle apolari. La fibra è stata lasciata inserita per 40 minuti a una temperatura di 45°C; in questo modo, su di essa vengono assorbiti i composti volatili. Successivamente la fibra è stata inserita nel blocco di iniezione per dare avvio alla corsa cromatografica. La fase di desorbimento è durata 5 minuti. Per la separazione dei composti volatili è stato utilizzato un gascromatografo Agilent Technology 6890N, Network GC System, abbinato a uno spettrometro di massa Network Mass Selective detector HP 5973. L’iniettore è stato mantenuto isotermicamente a 250°C e in condizione di splittless. Per la separazione dei picchi è stata utilizzata una colonna capillare Chrompack CP-Wax 52 CB con lunghezza di 50 m, diametro interno di 0.32 mm e fase interna di 1.2 m. Il gradiente di temperatura utilizzato per l’analisi è il seguente: 50°C per 2 minuti, seguiti da un aumento fino a 65°C con una velocità di incremento della temperatura di 1.5°C/minuto; la temperatura, successivamente, passa da 65 °C a 220°C con un incremento di 5°C/minuto; infine, una permanenza di 22 minuti a 220°C. Il gas di trasporto usato è l’elio con un flusso di 1.0 ml/minuto. La frammentazione a livello dello spettrometro di massa è avvenuta tramite impatto elettronico a 70 eV. I composti sono stati identificati confrontandone gli spettri di massa con quelli di composti puri contenuti nelle librerie NIST (NIST/EPA/NIH Mass Spectral Library versione 1.6, Stati Uniti d’America) del 1998 e WILEY (sesta edizione, Stati Uniti d’America) del 1995.

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1.39 Analisi di acidi grassi liberi

Estrazione

La metodica eseguita per l’estrazione degli acidi grassi liberi è quella indicata da de Jong e Bandings, 1990. Per ciascuna tipologia di formaggio sono stati prelevati 2 grammi di campione e posti in un falcon. Il campione è stato frantumato precedentemente per assicurare una maggior superficie di estrazione e miscelato con 6 grammi di solfato di sodio anidro (Na2SO4), 0.6 ml di idrogeno solfato (H2SO4) a concentrazione 2.5 M e 6 ml di etere dietilico/eptano in rapporto 1:1. Successivamente, sono stati aggiunti anche 2 ml di una soluzione di standard interno (C13) a concentrazione di 0.5 mg/ml. La miscela è stata quindi messa in agitazione per 15 minuti ed in seguito centrifugata a 2500 giri a temperatura ambiente per 2 minuti. A questo punto, nel falcon è stata ottenuta una separazione di fase; con una pipetta Pasteur è stato prelevato il surnatante, contenente etere ed acidi grassi estratti, e deposto in una tronco conica dove è stato precedentemente pesato 1 grammo di solfato di sodio anidro. Il campione, depositatosi sul fondo, subisce un’ulteriore centrifugazione, dopo l’aggiunta di etere/eptano, e viene prelevata nuovamente la fase superiore (etere-acidi grassi). Il processo si è ripetuto per 3 volte. La fase prelevata è stata raccolta completamente nella tronco conica e gli estratti così ottenuti sono stati congelati a -18°C. Successivamente, nella camera di estrazione è stata posta una colonnina per ogni campione ed è stata attivata la fase amino-propilica della siringa, attraverso la quale sono stati estratti i componenti lipidici, lasciando percolare per gravità 10 ml di eptano al suo interno e facendo particolare attenzione a non mandare a secco la fase amino-propilica. Nella siringa così attivata è stato fatto passare un volume noto di della fase etere-acidi grassi precedentemente estratta dal campione. Successivamente, si è proceduto all’estrazione dei differenti acidi grassi attraverso l’azione di diversi solventi; più precisamente sono stati utilizzati 10 ml di una soluzione di cloroformio/2-propanolo (2:1) per l’estrazione di acidi grassi neutri come i trigliceridi e 10 ml di soluzione etere dietilico al 2% di acido formico (2:1) per ottenere l’eluizione di acidi grassi liberi. Previa portata a secco dei solventi sotto flusso di azoto, sono stati pesati i sovirel ottenuti e, per differenza tra il peso del sovirel iniziale e del sovirel contenente l’estratto, è stato ottenuto un valore della quantità degli acidi grassi estratti.

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Previa aggiunta di un secondo standard (C21) in quantità di 2 l di una soluzione a concentrazione di 1000 ppm, è stata eseguita la metilazione: sono state aggiunte 2-3 gocce di diazometano (avendo cura di mantenerlo sotto ghiaccio in quanto è altamente esplosivo e volatile), è stato fatto evaporare il solvente sotto flusso di azoto e si è ripetuta la metilazione per tre volte, per poi far evaporare nuovamente il solvente rimasto sotto flusso di azoto per 30 secondi. Infine, gli acidi grassi liberi sono stati recuperati con 0.5 ml di esano e stoccati in eppendorf.

Analisi gas-cromatografica degli acidi grassi estratti

Le analisi cromatografiche per la determinazione del profilo degli acidi grassi sono state condotte utilizzando un gascromatografo Clarus 500 con auto campionatore (Perkin-Elmer, Shelton, USA) abbinato a rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) e con colonna capillare RTX-2330 in cianopropilfenile (90%) e biscianopropil-polisilossano 30 m x 0.25 mm x 0.2 m (Restek Corporation, Bellefonte, PA, USA). L’iniettore e il detector sono stati mantenuti a una temperatura di 250°C. La programmata di temperatura utilizzata per l’analisi è la seguente: 140°C per 5 minuti, da 140°C a 240°C con un incremento di 4°C/minuto per poi mantenere la temperatura a 240°C per 5 minuti. Il gas di trasporto utilizzato è stato l’elio, con una velocità di flusso di 0.8 cm/min e lo splittaggio è stato di 1/10. L’identificazione dei picchi è avvenuta usando come standard interno il C21 e confrontando i risultati con i cromatogrammi ottenuti dall’iniezione di 2 mix di standard, FAME 37 (Fatty Acids Methyl Esthers-SupelcoTM).

1.40 Valutazione organolettica dei prodotti

Sono stati effettuati due test di assaggio:

 Consumer test: si tratta di un assaggio effettuato da assaggiatori non addestrati, simulando la conoscenza media del consumatore. Sono stati presi in considerazione nove diversi attributi organolettici ed una valutazione generale finale. Ad ogni descrittore considerato è stato assegnato un punteggio da 0 a 5; tanto più alto è stato il punteggio assegnato ad un determinato attributo, tanto maggiore è stata considerata l’incidenza di tale attributo come caratteristica del formaggio valutato. Nella figura x è riportata la scheda di valutazione organolettica proposta per l’analisi sensoriale delle due tipologie di pecorino considerate. I dati ricavati da

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queste schede valutative sono stati analizzati statisticamente; è stato calcolato il valore medio dei punteggi attribuiti ad ogni descrittore e la deviazione standard degli stessi attributi.  Panel test: si tratta di un assaggio effettuato da un gruppo di assaggiatori addestrati per riconoscere le caratteristiche distintive dei formaggi stagionati; la scheda di valutazione è stata elaborata secondo il modello Etana (Fig. 9).

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APPA R E N Z A E C O L O R E (1 negativo; 5 positivo) 1 2 3 4 5

O D O R E PE R C EPI T O (1 bassa intensità; 5 alta intensità) 1 2 3 4 5

C O NSIST E N Z A Morbidezza (0 bassa; 5 alta) 1 2 3 4 5

Compattezza (0 bassa; 5 bassa) 1 2 3 4 5

G UST O Amaro (0 attributo negativo; 5 attributo positivo) 1 2 3 4 5

Piccante (0 basso; 5 alto) 1 2 3 4 5

Dolce (0 basso; 5 alto) 1 2 3 4 5

Salato (0 basso; 5 alto) 1 2 3 4 5

G R A D E V O L E Z Z A D E L R E T R O G UST O (0 sgradevole; 5 gradevole) 1 2 3 4 5

V A L U T A Z I O N E G E N E R A L E (0 negativo; 5 buono) 1 2 3 4 5

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1.41 Valutazione del processo di degradazione proteica

Al fine di valutare l’entità delle trasformazioni delle proteine del formaggio durante il periodo di stagionatura, e quindi di maturazione proteica, sono state effettuate analisi elettroforetiche a vari stadi di maturazione. L’elettroforesi è un metodo di analisi che permette la separazione di sostanze elettricamente cariche sulla base della diversa velocità di migrazione, quando esse vengono sottoposte all’azione di un campo elettrico generato da due elettrodi. L’analisi prevede diverse fasi, come la preparazione dei campioni, preparazione del gel, iniezione dei campioni su gel, applicazione del campo elettrico e corsa elettroforetica. Per tutti i campioni analizzati si sono ottenute due frazioni proteiche:  frazione delle proteine solubili, sulla quale è stata effettuata un’elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE);  frazione delle proteine insolubili, sulla quale è stata effettuata sia un’elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE), sia un’elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di urea (urea-PAGE). L’elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS) (Sigma) è stata realizzata secondo il metodo di Laemmli (1970). Questo metodo consente di separare le proteine solamente in base al loro peso molecolare, in quanto l’SDS conferisce loro cariche negative identiche.

Trattamento dei campioni per l’ottenimento delle frazioni solubili (surnatante) e insolubili (pellet)

In un sacchetto da stomacher sono stati pesati 10 g di campione e addizionati con 20 ml di acqua bidistillata; il campione è stato poi sottoposto a trattamento con Stomacher (Bag Mixer, interscience) per 2 minuti a temperatura ambiente. Dopo aver misurato il pH della miscela ottenuta con pHmetro (AMEL), il valore è stato corretto a pH 4.6 (corrispondente al punto isoelettrico delle caseine) con acido cloridrico 1N (Carlo Erba). La miscela viene fatta riposare per circa 30 minuti a temperatura ambiente, dopo di chè si ricontrolla il valore del pH ed, eventualmente, se necessario, bisogna correggerlo nuovamente con il medesimo acido cloridrico. Il contenuto del sacchetto è stato trasferito in un contenitore per centrifuga da 50 ml ed è stato trattato a 40°C per 1 ora. Successivamente, la miscela è stata centrifugata a 3000 giri per 30 minuti a 4°C e, al termine del trattamento con centrifuga, si sono ottenuti 3 strati: la parte più leggera, situata quindi in superficie, è costituita da grasso,

115 mentre la parte liquida, situata al centro, contiene le proteine solubili (surnatante) e, infine, la parte solida, depositata sul fondo, contiene le proteine insolubili (pellet). I contenitori per centrifuga sono stati conservati in bagno di ghiaccio per il tempo necessario per la filtrazione degli altri campioni, per evitare che la parte grassa, raccolta in superficie, si sciolgliesse nuovamente nel surnatante. La filtrazione è avvenuta con filtro di carta (Whatman) e, successivamente, il surnatante è stato trasferito in un falcon da 45 ml. Il falcon contenente la frazione delle proteine solubili, è stato congelato a -80°C fino al momento dell’utilizzo per la corsa elettroforetica. Il pellet ottenuto con la centrifugazione, contenente le proteine insolubili, è stato conservato a -20°C.

Elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di sodio-dodecil solfato (SDS-PA G E)

Preparazione dei gel Il primo gel di concentrazione, dove sono concentrate le proteine, viene detto Stacking gel e viene preparato al 5%T (p/v) di poliacrilamide. La separazione delle proteine avviene in un successivo gel di separazione, detto Running gel, al 15%T 8p/v) di poliacrilamide. Al fine di ottenere una buona polimerizzazione, è necessario preparare i gel il giorno precedente la corsa. Composizione del gel di concentrazione o Stacking gel (10 ml): Acqua 6.8 ml Acrilamide mix (30%) 1.7 ml tris-HCl 0.5 M (pH 6.8) 1.25 ml 10% Sodio-dodecil-solfato (SDS) 0.1 ml 10% Ammonio persolfato (APS) 0.1 ml N, N, N’, N’-Tetrametiletilenediamine (TEMED) 0.012 ml Composizione del gel di separazione o Running gel (30 ml): Acqua 6.9 ml Acrilamide mix (30%) 15 ml tris-HCl 1.5 M (pH 8.8) 7.5 ml 10% Sodio-dodecil-solfato (SDS) 0.3 ml 10% Ammonio persolfato (APS) 0.3 N, N, N’, N’-Tetrametiletilenediamine (TEMED) 0.012 ml

Preparazione dei campioni

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Frazione solubile (surnatante): 0.2 ml di Laemmli Buffer, ottenuto aggiungendo a 950 l di Laemmli Sample Buffer (Biorad) 50 l di 2-mercaptoetanolo (Sigma), sono stati addizionati a 0.4 ml di surnatante contenuto in eppendorf da 1.5 ml. I campioni sono stati trattati per 5 minuti a 95°C, raffreddati in ghiaccio e, infine, sono stati iniettati 40 l in ogni pozzetto. Frazione insolubile (pellet): Sono stati pesati 10 mg di pellet in eppendorf da 1.5 ml e, successivamente, sono stati aggiunti 0.5 ml di Laemmli Buffer (Biorad) (2.5 ml di tris-HCl 0.5 M, 2 ml di glicerolo, 4 ml di 10% sodio-dodecil-solfato (Sigma), 1 ml di 2-mercaptoetanolo (Sigma) e 0.15 g di bromo fenolo blue). I campioni sono stati trattati per 5 minuti a 95°C, raffreddati in ghiaccio e sono stati iniettati 40 l in ogni pozzetto.

Preparazione degli standard Per determinare la massa molecolare delle proteine e dei peptidi è stato effettuato un confronto con uno standard, avente la seguente composizione: SDS-PAGE Molecular Weight Standards, Broad range (Biorad) Myosin 200.000 Daltons -galactosidase 116.250 Phosphorilase b 97.400 Serum albumina 66.200 Ovoalbumina 45.000 Carbonic anhydrase 31.000 Trypsin inibitor 21.500 Lysozime 14.400 Aprotinin 6.500 A 5 l di Broad Range sono stati aggiunti 95 l di SDS Reducing Sample Buffer, ottenuto da una soluzione contenente 475 l di Stock Sample Buffer (4.8 ml di acqua distillata, 1.2 ml di tris-HCl 0.5 M, 1 ml di glicerolo, 2 ml di 10% SDS, 0.5 ml di 0.1% bromo fenolo blue) e 25 l di 2-mercaptoetanolo. Anche lo standard ha subito lo stesso trattamento termico dei campioni e ne sono stati iniettati 20 l.

Corsa elettroforetica

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È stata utilizzata una cella elettroforetica per elettroforesi verticale SE 600 (Hoefer Scientific Instrument); i due gel corrono contemporaneamente e i parametri sono stati impostati come segue: I step: 50 mA, 90 Volt, 400 Watt per 1 ora (fino alla linea di confine con il running gel); II step: 50 mA, 250 Volt, 400 Watt per circa 5 ore (fino alla fine del running gel). La temperatura di corsa è stata mantenuta a 10 °C con un sistema refrigerante Lauda ecoline RE 104. La migrazione delle proteine nel gel è stata effettuata in sistema discontinuo costituito da due differenti tamponi di concentrazione superiore di 10 volte a quella necessaria per la corsa; i tamponi utilizzati hanno la seguente composizione: Tampone per il catodo, 10x (vasca superiore, 250 ml): Tris 7.6 g Glicina 36 g SDS 2.5 g Acqua distillata portare a volume di 250 ml Per una corsa è necessario preparare 600 ml di tampone 1x. Tampone per l’anodo, 10x (vasca inferiore, 500 ml): Tris 15 g SDS 5 g Acqua distillata portare a volume di 500 ml HCl 4N per la correzione del pH a 8.4 Per una corsa è necessario preparare 5 l di tampone 1x.

Colorazione e decolorazione dei gel

A fine migrazione, per entrambe le tecniche elettroforetiche, il gel è stato fissato e colorato overnight utilizzando una soluzione di Blue di Comassie e decolorato successivamente con una soluzione di metanolo ed acido acetico. Composizione del colorante Blue di Comassie (1l): Metanolo (Fluka) 500 ml Acido acetico glaciale (Carlo Erba) 100 ml Blue di Comassie R250 (Merck) 500 mg Acqua 400 ml Composizione del decolorante (1l):

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Metanolo 400 ml Acido acetico glaciale 100 ml Acqua distillata 500 ml Sia la colorazione che la decolorazione sono state effettuate in agitazione.

Elettroforesi su gel di poliacrilamide in presenza di Urea (Urea-PA G E)

Preparazione del gel In un primo gel di concentrazione, detto Stacking gel al 4%T (p/v) di poliacrilamide, sono state concentrate le proteine contenute nella frazione insolubile dei campioni di formaggio. La separazione delle proteine è stata effettuata in un gel successivo di separazione o Running gel al 12.5%T (p/v) di poliacrilamide. Composizione del gel di concentrazione o Stacking gel (50 ml): Acrylamide solution (41%) 5 ml Stacking gel Buffer 45 ml (4.15 g di Tris (hydroxymethyl) methylamine, 150 g di urea e 2.2 ml di HCl concentrato, disciolti in 500 ml di acqua distillata e portati a pH 7.6 con HCl 1M) 10% Ammonio persolfato (APS) 0.3 ml N, N, N’, N’-tetrametiletilenediamine (TEMED) 0.025 ml Per un gel sono stati necessari 10 ml. Composizione del gel di separazione o Running gel (75 ml): Acrylamide solution (41%) 22.5 ml Separating gel Buffer 52.5 ml (31.15 g di Tris (hydroxymethyl) methylamine, 192.85 g di urea e 2.86 ml di HCl concentrato, disciolti in 500 ml di acqua distillata e portati a pH 8.9 con HCl 1M) 10% Ammonio persolfato (APS) 0.28 ml N, N, N’, N’-Tetrametiletilenediamine (TEMED) 0.038 ml Per un gel sono stati necessari 30 ml. Tutti gli ingredienti sono stati aggiunti in un becker da 100 ml nell’esatto ordine dell’elenco; APS (Carlo Erba) e TEMED (Sigma) sono stati aggiunti immediatamente prima della deposizione nelle lastre della cella elettroforetica. Al fine di impedire l’ossidazione ad opera dell’aria, sulla superficie del Running gel deposto nelle lastre sono stati posti alcuni ml di acqua. Quando il Running gel si è solidificato, è stata tolta l’acqua e lo Stacking gel è stato deposto all’interno delle lastre; per

119 la formazione dei pozzetti, all’interno dei quali vengono depositati i campioni, è stato immerso un pettine subito dopo aver deposto il gel nelle lastre.

Preparazione dei campioni Frazione insolubile (pellet): Sono stati pesati 10 mg di pellet in eppendorf da 1.5 ml, a cui sono stati aggiunti 1 ml di Sample Buffer (0.75 g di tris, 49 g di urea (Carlo Erba), 0.4 ml di acido cloridrico concentrato 37% (Carlo Erba), 0.7 ml di 2-mercaptoetanolo (Sigma), 0.15 g di bromo fenolo blue. Tutto disciolto in 100 ml di H2O). I campioni sono stati trattati per 5 minuti a 40°C, raffreddati in ghiaccio e sono stati iniettati 20 l in ogni pozzetto.

Preparazione degli standard Lo standard è rappresentato da una miscela composta da:

- 20 l di -caseina (3.5 mg/ml) - 20 l di -caseina (3.5 mg/ml)

- 20 l di lisozima (5 mg/ml di H20) - 60 l di Double Strenght Sample Buffer:  tris (BDH) 0.75 g  urea (Carlo Erba) 24.5 g  HCl concentrato 37% 0.4 ml  Bromofenolo blue 0.15 g  2-mercaptoetanolo 0.7 ml

 H2O 50 ml

Anche lo standard ha subito lo stesso trattamento termico dei campioni e ne sono stati iniettati 20 l.

Corsa elettroforetica

È stata utilizzata la stessa cella elettroforetica della tecnica SDS-PAGE; i parametri, per i due gel che corrono contemporaneamente, sono stati impostati come segue: I step: 280 Volt per 30 minuti (fino alla linea di confine con il Running gel); II step: 300 Volt per circa 5 ore (fino alla fine del Running gel).

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La temperatura di corsa è stata mantenuta a 10°C con il sistema refrigerante Lauda ecoline RE 104. La migrazione delle proteine nel gel è stata effettuata in sistema continuo costituito da un unico tampone, la cui composizione è la seguente: Electrode Buffer (6l): Tris (hydroxymethyl) metilamina 18 g Glicina 87.6 g Acqua distillata portare a volume a 6 litri.

1.42 Metodo di estrazione del DN A con C H E L E X 5% per batteri G ram positivi (Walsh et al., 1991)

Il DNA dei microorganismi in esame è stato estratto prelevando 500 µl di coltura cellulare e ponendoli in eppendorf da 1.5 ml. I campioni sono stati centrifugati a 7500 rpm per 5 minuti; si è prelevato il surnatante (terreno) e sono stati aggiunti 500 µl di TE 0.1 M pH 8 (soluzione contenente 1 ml di tris HCl 1 M a pH 8 e 20 µl di EDTA 0.5 M a pH 8 portata a volume di 100 ml con H2O bidi) e,dopo aver vortexato i campioni, questi sono stati sottoposti a una seconda centrifugazione a 7500 rpm per 5 minuti. Dopo aver nuovamente eliminato il surnatante sono stati aggiunti 245 µl di TE 0.1 M a pH 8. A questo punto sono stati aggiunti, ad ogni campione, 5 µl di lisozima (soluzione 50 mg/ml) affinchè avvenga la rottura cellulare; i campioni, dopo essere stati vortexati nuovamente, hanno subito incubazione per 45 minuti in un bagno a temperatura costante di 56°C. Successivamente, sono stati aggiunti, ad ogni campione, 250 µl di una soluzione così composta: TE 0.1 pH 8 218.7 µl DTT 1 M (aggiungere sotto cappa con cautela) 5.0 µl EDTA 0.5 M pH 8 10 µl SDS 20% 12.5 µl Proteinasi K (20 mg/ml) 3.8 µl Il tutto è stato poi incubato a 37°C per 1 ora. Poi sono stati aggiunti 500 µl di chelex 5% (Sigma), mantenendolo in agitazione, e le soluzioni ottenute sono state incubate per 20 minuti a 56°C. Dopo aver vortexato per almeno 10 secondi ogni campione, questi sono stati posti su piastra riscaldante a 100°C per 8 minuti e, infine, centrifugati per 2 minuti a 10500 rpm.

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Quindi, per ogni campione, facendo attenzione a non prelevare anche la resina depositata sul fondo, sono state preparate due eppendorf: una con la soluzione madre di DNA estratto e l’ altra con DNA diluito 1:10 con acqua bidistillata.

1.43 Caratterizzazione genotipica mediante I TS-PC R

Per studiare il polimorfismo genomico è stata applicata la tecnica di ITS-PCR, la quale prevede l’amplificazione di una regione della sequenza nucleotidica estremamente variabile, compresa tra il gene 16S e il gene 23S, con lo scopo di ottenere un profilo di amplificazione, che può essere paragonato ad un’impronta digitale che caratterizza in modo specifico il ceppo. L’amplificazione è stata eseguita su un volume finale di 25 µl, di cui 1 µl di DNA diluito e 24 µl di soluzione Master Mix, costituita da:

 Acqua  Buffer 1x  Primer ITSF 0.3 µM  Primer ITSReub 0.3 µM  TAQ 2.5 U/100 µl

 MgCl2 1.5 mM

I primer utilizzati sono: ITSF: 5’-GTCGTAACAAGGTAGCCGTA-3’ ITSReub: 5’-GCCAAGGCATCCACC-3’. Tutti i reagenti si trovano a concentrazioni stock e devono essere portati alle concentrazioni finali con opportuni calcoli. Tutte le componenti della mix sono conservate a -20°C e devono essere aggiunte nell’ordine riportato precedentemente. È stato utilizzato un termociclatore (2720 Thermal Cycler Applied Biosystems) e il ciclo di amplificazione effettuato prevede una fase a 94°C per 3 minuti, che precede 30 cicli di amplificazione con una fase di denaturazione a 94°C per 1 minuto, una fase di appaiamento dei primers al DNA a 55°C per 1 minuto e una fase di polimerizzazione a 72°C per 2 minuti, seguiti da una fase a 72°C per 7 minuti. Il DNA amplificato viene sottoposto a corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% con un voltaggio di 80 V per circa 4 ore. Successivamente, i profili ottenuti sono stati elaborati da software Bionumerics (Applied Maths) ottenendo un dendrogramma che ci permette di

122 suddividere i ceppi in cluster in base alla loro percentuale di similarità. Per ogni cluster sono stati scelti alcuni ceppi dei quali è stata fatta sequenziare la regione 16S-r-RNA e, tramite un database disponibile on-line, nel quale sono presenti sequenze di riferimento (NCBI-BLAST), è stato possibile risalire alla specie di appartenenza.

1.44 Sequenziamento del gene 16S-r-RN A

L’amplificazione del gene 16S è stata effettuata su un volume finale di 50 µl, di cui 2 l di DNA e 48 l di soluzione Master Mix, costituita da: Acqua Buffer 1x DNTPs 0.2 M Primer 46 For 0.5 M Primer 536 Rev 0.5 M TAQ 2.5 U/100 l

MgCl2 1.5 mM I primer utilizzati sono: Primer 46 For: 5’- GCTTAACACATGCAAGTCGA-3’ Primer 536 Rev: 5’- GTATTACCGCGGCTGCTGG-3’ Il ciclo utilizzato prevede una fase a 95°C per 10 minuti, che precede 30 cicli con una fase di denaturazione a 95°C per 30 secondi, una fase di appaiamento a 59°C per 30 secondi e una fase di polimerizzazione a 72°C per 45 secondi, seguiti da una fase a 72°C per 10 minuti. Successivamente, dopo aver verificato la riuscita dell’amplificazione, il prodotto ottenuto è stato purificato con Kit Wizard SV Gel and PCR Clean-Up System (Promega). A questo punto, per determinare la concentrazione dell’amplificato purificato, il prodotto è stato caricato su gel di agarosio 1.5% con un marker di riferimento (Low DNA Mass Ladder, Invitrogen), del quale all’intensità di ogni banda corrisponde una determinata concentrazione. Infine, i prodotti così trattati, sono stati inviati a un laboratorio esterno che ci ha fornito la sequenza del gene 16S che, confrontata con un database disponibile on-line, ci permette di conoscere la specie di appartenenza.

123

1.45 PC R specie-specifica per Lactobacillus brevis (Guarnieri, Rossetti e Giraffa, 2001)

Per identificare lattobacilli appartenenti alla specie Lactobacillus brevis, è stato adottato il seguente protocollo; l’amplificazione è stata effettuata su 25 µl di volume finale, di cui 1 µl di DNA e 24 µl di soluzione Master Mix, costituita da: Acqua Buffer 1x DNTPs 0.2 mM Primer L. brev-for 0.2 µM Primer L. brev-rev 0.2 µM TAQ 2.5U/100 µl

MgCl2 1.5 mM I primers utilizzati sono: primer L-brev for: 5’-CTT GCA CTG ATT TTA ACA-3’ primer L-brev rev: 5’-GGG CGG TGT GTA CAA GGC-3’. Il ciclo di amplificazione prevede una fase a 94°C per 2 minuti, che precede 25 cicli con una fase di denaturazione a 94°C per 1 minuto, una fase di appaiamento dei primers a 40°C per 1 minuto e una fase di polimerizzazione a 72°C per 1 minuto, seguiti da una fase a 72°C per 7-10 minuti. Il prodotto atteso nei ceppi appartenenti alla specie Lb. Brevis si trova a un’altezza riferita a 1340 bp.

1.46 Multiplex PC R per Lactobacillus plantarum, Lactobacillus pentosus e Lactobacillus paraplantarum (Torriani, Felis e Dellaglio, 2001)

Per determinare le specie Lb. plantarum, Lb. pentosus e Lb. paraplantarum è stato utilizzato il seguente protocollo; l’amplificazione è stata effettuata su un volume finale di 25 µl, di cui 1 µl di DNA e 24 µl di soluzione Master Mix composta da: Acqua Buffer 1x DNTPs 0.2 mM Primer ParaF 0.25 µM Primer PentF 0.25 µM Primer pRev 0.25 µM

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Primer PlanF 0.12 µM TAQ 0.025U/µl

MgCl2 1.5 mM Sono stati uilizzati i seguenti primers: ParaF: 5’-GTCACAGGCATTACGAAAAC-3’ PentF: 5’-CAGTGGCGCGGTTGATAT-3’ PlanF: 5’-CCGTTTATGCGGAACACCTA-3’ pRev: 5’-TCGGGATTACCAAACATCAC-3’ Il ciclo di amplificazione prevede una fase a 94°C per 3 minuti, seguita da 30 cicli con una fase di denaturazione a 94°C per 30 secondi, una fase di appaiamento dei primers a 56°C per 10 secondi e una fase di polimerizzazione a 72°C per 30 secondi, seguiti da una fase a 72°C per 5 minuti. Gli amplificati appartenenti alla specie Lb. paraplantarum mostrano una banda a 107 bp, mentre quelli appartenenti a Lb. pentosus mostrano una banda a 218 bp; infine, i prodotti appartenenti a Lb. plantarum rivelano una banda a 318 bp.

125

126

Risultati e discussioni

127

128

Risultati e discussioni

Il formaggio pecorino, oggetto di studio, è stato prodotto a Roccastrada (GR) utilizzando latte ovino pastorizzato a cui è stato addizionato caglio di camoscio CLB 525/95 liquido, estratto dal quarto stomaco di vitello, con un rapporto di chimosina/pepsina 95/5. Sono stati utilizzati fermenti mesofili/termofili ad inoculo diretto appartenenti alle specie Lactococcus lactis subs. lactis e subsp. cremoris e Streptococcus termophilus. Il formaggio è stato acquistato dopo aver già subito una prima maturazione di circa 60 giorni in stabilimento. Successivamente, i formaggi sono stati suddivisi in due lotti: il primo è stato trasferito nella cella di maturazione dello stabilimento PT di Rimini, mentre il secondo è stato posto presso la Grotta della famiglia Teodorani, situata nel centro storico di Santarcangelo di Romagna. Questa grotta era stata individuata a seguito di un accurato monitoraggio di parametri importanti nella maturazione del formaggio, come l’umidità relativa e la temperatura, in grotte pubbliche e private del comune nel periodo novembre 2005-aprile 2006. La grotta Teodorani è risultata essere la più idonea ed è risultata caratterizzata da valori di temperatura (T) e di umidità relativa (U.R.%) rispettivamente di 14.8°C e 98%. Per i campioni di controllo la maturazione è avvenuta in stabilimento con valori di umidità relativa di circa 75% e di temperatura intorno ai 10-12°C. L’ultima fase di maturazione si è protratta per 35 giorni sia in grotta che in stabilimento e sono state considerate due diverse produzioni: precisamente la prima in maggio-giugno 2006 e la seconda in settembre-ottobre 2006. Per ogni lotto sono stati considerati 30 formaggi.

1.47 Caratteristiche chimico-fisiche dei formaggi

Le differenze termo-igrometriche, che caratterizzano i due diversi ambienti di maturazione, si riflettono innanzitutto sulla perdita di acqua durante la maturazione; infatti, la minor temperatura e la maggior umidità relativa, che caratterizzano la grotta, hanno comportato un ridottissimo calo in peso del formaggio maturato in questo ambiente. In Tabella 6 sono riportati i risultati ottenuti:

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Tabella 6. Calo in peso percentuale dei formaggi durante la maturazione. T empo in gior ni t14 t28 t35 F O R M A G G I O I N G R O T T A C alo peso % 0.2% 1.1% 1.7% D eviazione standa r d ±0.01 ±0.01 ±0.01 F O R M A G G I O I N S T A B I L I M E N T O C alo peso % -* - 12.8% D eviazione standa r d ±0.01 *-: non determinato

Nella tabella 6 viene riportato il calo in peso sia dei formaggi maturati in grotta sia dei formaggi maturati in stabilimento. È stato riportato un calo in peso del 1.7% nei formaggi maturati in grotta, mentre si osserva un ben più marcato calo in peso riguardante i formaggi maturati in stabilimento, che raggiunge una percentuale di 12.8%. Naturalmente, il minor calo in umidità relativa si riflette anche sui valori di attività dell’acqua (aw). Infatti, i campioni stagionati in stabilimento presentano una marcata riduzione di questo parametro, che raggiunge il valore di 0.92 al termine della maturazione in entrambe le prove effettuate. Al contrario, nei campioni stagionati in grotta i valori finali di aw si discostano poco da quelli iniziali, passando da 0.95 a 0.94. In tabella 7 sono riportati i valori ottenuti di aw durante la maturazione:

Tabella 7. Valori dell'attività dell'acqua durante la maturazione.

T empo (gior ni) 0 7 21 28 35 M A G - G I U Caseificio 0.948 0.922 0.924 0.922 0.922 Grotta - 0.931 0.934 0.938 0.935 0 14 28 35 S E T T - O T T Caseificio 0.947 0.935 0.926 0.920 Grotta - 0.949 0.944 0.940

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In tabella 8 sono riportati i valori di pH rilevati nel corso della maturazione su quattro lotti di campioni, di cui due maturati in stabilimento e due maturati in grotta.

Tabella 8. Valori di pH rilevati durante la maturazione.

T empo (gior ni) 0 7 21 28 35 M A G - G I U Caseificio 5.03 5.08 5.05 5.12 5.35 Grotta - 5.05 5.05 4.92 4.95 T empo (gior ni) 0 14 28 35 S E T T - O T T Caseificio 4.81 4.94 5.06 5.15 Grotta - 4.88 5.00 5.03

È possibile notare come il formaggio maturato in grotta presenti a fine stagionatura valori di pH significativamente minori in entrambe le sperimentazioni.

1.48 Composizione microbica in rapporto all’ambiente di maturazione

Inizialmente, sia nei campioni stagionati in grotta sia in quelli stagionati in stabilimento, è stata effettuata la ricerca di microrganismi patogeni, quali Listeria monocytogenes, Salmonella spp. e Staphylococcus aureus. Listeria monocytogenes e Salmonella spp. sono risultati assenti in 25 g di prodotto, sia all’inizio che al termine della maturazione, indipendentemente dalla modalità di stagionatura. Analogamente, lo Staphylococcus aureus è risultato al di sotto del limite di determinazione (< 2 log ufc/g) in tutti i campioni analizzati. In tabella 9 sono riportati i valori ottenuti:

131

Tabella 9. Conteggi microorganismi patogeni relativi alla prima sperimentazione in grotta.

Tempo (giorni) 0 7 21 28 35 Microrganismi patogeni S. aureus Caseificio <2 <2 <2 <2 <2 Grotta <2 <2 <2 <2 <2 L. monocytogenes Caseificio non presente in 25 g Grotta non presente in 25 g Salmonella spp. Caseificio non presente in 25 g Grotta non presente in 25 g

Nella seguente tabella (Tab. 10) sono riportati i dati relativi ai conteggi di microrganismi patogeni nella sperimentazione effettuata in settembre-ottobre:

Tabella 10. Conteggi di microrganismi patogeni relativi alla seconda sperimentazione.

T empo (gior ni) 0 14 28 35 M ic rorganismi patogeni S. aureus Caseificio <102 <2 <2 <2 ufc/g Grotta <2 <2 <2 <2 L. monocytogenes Caseificio non presente in 25 g Grotta non presente in 25 g Salmonella spp. Caseificio non presente in 25 g Grotta non presente in 25 g

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Possiamo quindi affermare che le diverse modalità di maturazione non hanno influito sulla presenza di microrganismi patogeni. Le diverse modalità di stagionatura hanno sicuramente influenzato marcatamente l’andamento qualitativo della microflora di maturazione. Nella seguente tabella (Tab.11 ) sono riportati i livelli di carica dei vari gruppi microbici rilevati nel corso della maturazione durante il periodo di maggio-giugno, in rapporto alle modalità di stagionatura:

Tabella 11. Conteggi microbici relativi alla sperimentazione di maggio-giugno.

T em po (gio r ni) 0 7 21 28 35 L ieviti Caseificio 6.30 6.88 5.72 4.23 3.67 Grotta 6.30 7.39 7.17 5.67 3.94 C ont a mesof ila tot ale Caseificio 7.30 7.59 6.62 6.35 6.85 Grotta 7.30 7.79 7.44 7.69 7.52 B a tte r i l attici Caseificio 6.78 6.57 5.83 5.19 5.68 Grotta 6.78 6.94 5.66 5.77 7.32 L a ttococchi Caseificio 6.40 6.95 5.95 6.03 4.07 Grotta 6.40 6.92 6.35 6.74 4.53 Staf ilococchi Caseificio 6.43 7.03 6.32 6.29 7.03 Grotta 6.43 7.13 7.33 7.47 7.34 E nte r obatte r i Caseificio 3.12 2.17 1.72 1.79 1.86 Grotta 3.12 0.11 2.10 1.76 1.76 E nte r ococchi Caseificio 3.67 3.59 2.64 2.39 2.54 Grotta 3.67 4.00 2.18 2.50 2.98

Per i formaggi prodotti nella prima sperimentazione sono state osservate differenze significative soprattutto per quanto riguarda il carico di batteri lattici, lieviti e stafilococchi.

133

Questi tre gruppi microbici si mantengono significativamente più alti nei campioni maturati in grotta per tutto il periodo considerato. In particolare, i batteri lattici mostrano un lieve calo iniziale, seguito da un incremento significativo a fine stagionatura nei campioni maturati in grotta. L’elevato carico registrato dopo 35 giorni di maturazione, nei campioni di grotta, è attribuibile probabilmente allo sviluppo di batteri lattici non starter (NSLAB), che si adattano con maggior facilità alle condizioni stringenti della maturazione rispetto ai batteri starter. I lieviti, invece, sono presenti ad elevati livelli già al primo campionamento e, successivamente, si riducono drasticamente a fine maturazione nei formaggi stagionati in grotta; i formaggi stagionati in stabilimento mostrano una cinetica di riduzione del carico di lieviti molto più accelerata rispetto a quelli di stabilimento. Anche gli stafilococchi, gruppo molto importante nella maturazione dei formaggi, hanno evidenziato valori di carico superiori nei prodotti stagionati in grotta rispetto a quelli di stabilimento. I maggiori valori di carico di questi tre gruppi microbici supportano i dati riguardanti i mesofili aerobi totali. Al contrario, non sono state osservate differenze significative nei conteggi dei lattococchi ed enterococchi. In particolare, questi ultimi sono risultati essere presenti in concentrazioni abbastanza limitate a fine maturazione (<103 ufc/g). Per quanto riguarda gli enterobatteri, il loro numero è relativamente basso anche all’inizio della maturazione (<103 ufc/g) e, comunque, essi tendono a decrescere, tanto che, a fine maturazione, i conteggi sono risultati inferiori a 102 ufc/g. Nella seguente tabella (Tab. 12) sono riportati i livelli di carica degli stessi gruppi microbici nella produzione di settembre-ottobre:

134

Tabella 12. Conteggi microbici relativi alla sperimentazione di settembre-ottobre.

T em po (gio r ni) 0 14 28 35 L ieviti Caseificio 5.98 6.52 6.22 6.80 Grotta 5.98 6.86 6.62 6.77 C ont a mesof ila tot ale Caseificio 8.04 6.30 6.83 7.55 Grotta 8.04 7.86 6.29 8.11 B a tte r i l attici Caseificio 7.16 7.27 7.24 6.32 Grotta 7.16 6.90 8.72 7.58 L a ttococchi Caseificio 7.89 7.34 7.38 7.19 Grotta 7.89 6.81 7.52 6.69 Staf ilococchi Caseificio 7.68 6.92 6.54 7.46 Grotta 7.68 7.54 7.13 7.58 E nte r obatte r i Caseificio 4.00 3.15 2.36 1.20 Grotta 4.00 1.84 1.35 2.07 E nte r ococchi Caseificio 3.15 2.24 2.46 3.66 Grotta 3.15 2.24 2.32 2.46

Considerazioni analoghe sull’evoluzione dei diversi gruppi microbici nel corso della maturazione possono essere fatte sui formaggi prodotti in settembre-ottobre, ad eccezione dei lieviti. I dati iniziali sono marcatamente differenti a causa dei diversi periodi di produzione che influiscono significativamente sulle caratteristiche della materia prima e del prodotto nelle diverse fasi di processo. Infatti, nei formaggi prodotti in settembre-ottobre sono stati rilevati carichi molto più elevati di lattococchi e microstafilococchi. Per quanto riguarda i lieviti, possiamo osservare che essi si mantengono a livelli pressoché costanti durante tutto il periodo di stagionatura.

1.49 Contenuto di ammine biogene nei formaggi in rapporto all’ambiente di maturazione

In tutti i campioni, in entrambe le sperimentazioni, sono state monitorate diverse ammine biogene, quali la 2-feniletilamina, la cadaverina, la putrescina, l’istamina, la tiramina, la spermidina e la spermina. Nella seguente tabella (Tab. 13) sono riportati i valori delle ammine biogene relative alla sperimentazione di maggio-giugno:

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Tabella 13. Contenuto in ammine biogene (mg/kg riferito al peso secco) relativo alla sperimentazione di maggio-giugno.

2-phe p u ca h i t y sd sm T O T t0 nd 181.85 nd 31.82 95.59 8.08 nd 317.34 t7 sta bilimento nd 107.44 nd 34.80 59.01 7.97 nd 209.23 t7 gr ott a nd 158.08 nd nd nd 4.19 nd 162.26 t21 sta bilimento nd 13.57 18.51 54.06 179.00 17.49 nd 282.63 t21 g rot ta nd 13.87 42.07 15.01 24.65 13.18 nd 108.78 t28 sta bilimento nd 15.13 16.03 14.73 157.85 21.63 nd 225.36 t28 g rot ta nd nd 21.68 47.04 246.61 25.56 nd 340.90 t35 sta bilimento nd nd nd nd 120.58 4.41 nd 124.99 t35 g rot ta nd 26.43 19.44 56.64 156.51 30.33 nd 289.36 ( 2-phe: 2-feniletilamina, pu: putrescina, ca: cadaverina, hi: istamina, ty: tiramina, sd: spermidina, sm: spermina, nd: not detected)

Si osserva che la 2-feniletilamina e la spermina non sono mai state rilevate. Inoltre, le ammine caratterizzate da maggior concentrazione in entrambe le sperimentazioni sono risultate essere la putrescina, la cadaverina e la tiramina. In particolare, la putrescina è presente inizialmente a concentrazioni piuttosto elevate (181.85 mg/kg) e si riduce rapidamente nel corso della maturazione fino a raggiungere un contenuto finale inferiore a 30 ppm, sia nei formaggi di grotta che in quelli di stabilimento. La cadaverina, inizialmente non presente, è stata rilevata nei formaggi di stabilimento dopo 21 giorni di maturazione a una concentrazione di 18.51 mg/kg e mostra una diminuzione fino a valori non rilevabili a fine stagionatura; lo stesso comportamento si può osservare anche nei formaggi di grotta, ma con valori di concentrazione più alti. L’istamina, presente inizialmente a concentrazioni di circa 30 ppm, cresce fino ad un massimo di circa 50 ppm dopo 21 giorni di conservazione in stabilimento per poi decrescere, mentre tende ad accumularsi in concentrazione analoghe solo dopo 35 giorni di maturazione nei formaggi stagionati in grotta. L’andamento della tiramina è simile a quello dell’istamina: essa tende ad accumularsi con maggior rapidità nei campioni stagionati in stabilimento, dove raggiunge concentrazioni di circa 179 ppm dopo 21 giorni; successivamente, la sua concentrazione diminuisce raggiungendo 120 ppm nei campioni stagionati per 35 giorni. Nei campioni maturati in grotta, la tiramina raggiunge una concentrazione di circa 246 ppm dopo 28 giorni di stagionatura per poi decrescere fino a 156 ppm circa a fine maturazione.

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Nella seguente tabella (Tab. 14) sono riportati i valori delle concentrazioni (mg/kg sul peso secco) delle ammine biogene ritrovate nei formaggi prodotti nella sperimentazione di settembre-ottobre: Tabella 14. Contenuto in ammine biogene (mg/kg sul peso secco) relativo alla sperimentazione di settembre-ottobre.

2-phe p u ca h i t y sd sm T O T t0 nd 3.23 134.27 nd 24.33 4.50 nd 166.33 T 14 sta bilimento nd nd 163.72 nd nd 10.45 nd 174.18 T 14 gr ott a nd nd 149.32 nd nd 5.95 nd 155.26 t28 sta bilimento nd 114.94 nd nd 20.28 10.25 nd 145.47 t28 g rot ta nd 196.08 16.80 7.96 150.77 22.74 nd 394.36 T 35 sta bilimento nd 222.21 11.91 8.63 99.49 15.78 nd 358.02 T 35 gr ott a nd 237.76 18.13 9.18 95.37 16.25 nd 376.69 (2-phe: 2-feniletilamina, pu: putrescina, ca: cadaverina, hi: istamina, ty: tiramina, sd: spermidina, sm: spermina, nd: not detected).

Un andamento analogo alla prima sperimentazione è stato ritrovato nei formaggi prodotti in settembre-ottobre, anche se il contenuto di tiramina e istamina risulta inferiore a quello dei lotti precedenti. Al contrario, il contenuto di putrescina si mantiene alto in entrambe i lotti (circa 200 ppm) fino a fine maturazione. Per entrambe le sperimentazioni si tratta di concentrazioni di ammine biogene usuali nei formaggi e prive di rischi per i consumatori.

1.50 Evoluzione del profilo lipolitico e dei componenti aromatici

Sono state effettuate analisi per seguire l’evoluzione del profilo lipolitico, riportando le concentrazioni degli acidi grassi liberi dei formaggi oggetti di studio in rapporto al tempo di affinamento, all’ambiente e al periodo di produzione. Nella figura 10 sono riportate in grafico le concentrazioni degli acidi grassi liberi nei formaggi della prima sperimentazione (maggio-giugno):

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PRODUZIONE MAGGIO 200 t0 180 t21 F 160 t35 F t21 G 140 t35 G 120

100

80

60 mg FFA/1Kgmg FORMAGGIO 40

20

0 C6 C8 C10 C12 C14 C16:0 C18:0 C18:1 t C18:1 c C18:2 t C18:2 c C20:0 C18:3 Acidi grassi rilevati Figura 10. Concentrazione degli acidi grassi liberi nel formaggio prodotto a maggio.

Sono state osservate sostanziali differenze sia tra una produzione e l’altra (maggio- settembre), sia per quanto riguarda l’ambiente di maturazione (formaggi stagionati in stabilimento e formaggi stagionati in grotta). Per quanto concerne la produzione di maggio-giugno, durante l’affinamento è stato rilevato un incremento dei principali acidi grassi (C14:0, C16:0, C18:1), soprattutto nei formaggi di stabilimento. Inoltre, durante la maturazione si osserva la comparsa di acidi grassi a corta catena, assenti nel formaggio prima dell’affinamento. Il C10 e il C12 sono presenti in misura più o meno uguale in entrambe le tipologie di maturazione, mentre il C8 è presente in maniera molto più marcata nei formaggi di stabilimento. Si nota un leggero incremento del

C18:3 nei prodotti affinati in stabilimento, mentre esistono differenze meno rilevabili per il

C18:0, il C18:2 trans e il C18:2 cis. In generale, durante la maturazione, nei formaggi prodotti in maggio-giugno, è stato osservato un incremento degli acidi grassi liberi, sia che la stagionatura avvenga in grotta sia che avvenga in stabilimento. Nella figura 11 sono riportati i valori delle concentrazioni degli acidi grassi liberi nei formaggi prodotti nella seconda sperimentazione (settembre-ottobre):

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PRODUZIONE SETTEMBRE 240 t0 220 t14 F 200 180 t35 F 160 t14 G 140 t35 G 120 100 80

mg FFA/1mg kg FORMAGGIO 60 40 20 0 C6 C8 C10 C12 C14 C16:0 C18:0 C18:1 t C18:1 c C18:2 t C18:2 c C20:0 C18:3 Acidi grassi rilevati

Figura 11. Concentrazione degli acidi grassi liberi nel formaggio prodotto a settembre.

È stato possibile osservare un andamento diametralmente opposto nei formaggi maturati a settembre. Infatti, in questo caso, è stata rilevata una marcata diminuzione degli acidi grassi liberi presenti all’inizio dell’affinamento. In particolare, questo comportamento interessa il

C14:0, il C16:0, il C18:0, il C18:1 cis, il C18:2 cis e il C18:3.Tuttavia, al termine del processo di stagionatura, non si rilevano differenze significative tra gli acidi grassi liberi presenti nei formaggi di grotta e in quelli di stabilimento. Anche i risultati ottenuti tramite la tecnica SPME-GC-MS, relativi ai composti di aroma presenti nello spazio di testa, confermano gli andamenti rilevati degli acidi grassi a più corta catena, cioè quelli maggiormente coinvolti nel conferire al formaggio un gusto piccante. Nelle seguenti figure (Fig.12 e 13) sono riportati i valori relativi agli acidi rilevati nei formaggi della produzione di maggio-giugno:

139

Acidi (produzione di maggio)

180000000 160000000 140000000 120000000 F t0 100000000 F t35

Aree 80000000 G t35 60000000 40000000 20000000 0

acido butirrico acido valericoacido caproico acido caprilicoacido caprico acido eptanoico acido propanoicoacido isobutirrico acido isovalerico

Figura 12. Acidi rilevati nei formaggi prodotti a maggio.

Acidi (produzione di settembre)

350000000

300000000

250000000

200000000 F t0 F t35 Aree 150000000 G t35 100000000

50000000

0

acido butirrico acido valerico acido caprilico acido caprico acido caproicoacido eptanoico acido propanoicoacido isobutirrico acido isovalerico

Figura 13. Acidi rilevati nei formaggi prodotti a settembre.

140

Per quanto riguarda la produzione di maggio, gli acidi rilevati nei formaggi sono l’acido propanoico, l’isobutirrico, il butirrico, l’isovalerico, il valerico, il caproico, l’eptanoico, il caprilico e il caprico, mentre i formaggi prodotti in settembre-ottobre mostrano una minor complessità di questa classe di composti, ma una maggior incidenza quantitativa. Infatti, nei campioni analizzati a settembre, sono risultati assenti l’acido eptanoico e l’acido caprico, ma, d’altra parte, la produzione di settembre è caratterizzata da una concentrazione di acidi grassi liberi circa doppia rispetto a quella di maggio. Inoltre, i dati ottenuti tramite SPME-GC-MS, consentono di fornire una spiegazione sulle diverse cinetiche di accumulo e/o decremento degli acidi grassi liberi registrate nelle diverse produzioni. Nelle seguenti figure (Fig. 14 e 15) sono mostrati i metilchetoni rilevati nei formaggi prodotti a maggio-giugno e settembre-ottobre:

Metilchetoni (produzione di maggio)

180000000 160000000 140000000 120000000 100000000 F t0 F t35

Aree 80000000 G t35 60000000 40000000 20000000 0

diacetile acetoino 2-butanone 2-esanone2-eptanone2-ottanone 2-propanone 2-pentanone 2-nonanone 2-undecanone

Figura 14. Metilchetoni rilevati nei formaggi prodotti a maggio.

141

Metilchetoni (produzione di settembre)

180000000 F t0 160000000 F t35 140000000 G t35

120000000

100000000

Aree 80000000

60000000

40000000

20000000

0

diacetile acetoino 2-butanone 2-esanone 2-eptanone 2-ottanone 2-propanone 2-pentanone 2-nonanone 2-undecanone

Figura 15. Metilchetoni rilevati nei formaggi prodotti a settembre.

Come si può osservare dai dati ottenuti, i metilchetoni, alcuni dei quali possono derivare dall’ulteriore trasformazione degli acidi grassi liberi, soprattutto ad opera delle muffe, aumentano significativamente, sia nei prodotti di grotta che in quelli di stabilimento, al termine della maturazione di settembre; questo potrebbe giustificare la contemporanea diminuzione degli acidi grassi liberi osservata nello stesso periodo. Al contrario, nella sperimentazione di maggio, si osserva per il 2-pentanone, il 2-eptanone e il 2-nonanone, una considerevole diminuzione della loro concentrazione, quasi ad indicare che il processo di lipolisi, e la conseguente demolizione dei suoi prodotti, sia già avvenuta nel periodo di pre-affinamento. Questo viene confermato anche dal diverso andamento della concentrazione di alcoli, mostrato nelle seguenti figure (Fig. 16 e 17):

142

Alcoli (produzione di maggio)

45000000 40000000 35000000 F t0 30000000 F t35 25000000 G t35

Aree 20000000 15000000 10000000 5000000 0 etanolo 2-butanolo 1-pentanolo alcol 2-nonanolo isoamilico

Figura 16. Alcoli rilevati nei formaggi prodotti a maggio.

Alcoli (produzione di settembre)

260000000 240000000 220000000 200000000 180000000 160000000 F t0 140000000 F t35

Aree 120000000 G t35 100000000 80000000 60000000 40000000 20000000 0 etanolo 2-butanolo 1-propanolo 1-butanolo alcol 1-pentanolo 1-esanolo isoamilico

Figura 17. Alcoli rilevati nei formaggi prodotti a settembre.

143

Molti alcoli derivano dalla riduzione dei chetoni e sono presenti a basse concentrazioni nel formaggio di settembre, mentre aumentano parallelamente alla diminuzione dei chetoni nei formaggi prodotti a maggio. Inoltre, è necessario considerare che i formaggi di settembre risultano essere caratterizzati dallo sviluppo di una marcata colonizzazione fungina superficiale. Infatti, lo sviluppo di muffe, che contribuiscono significativamente al processo di maturazione dei formaggi, era particolarmente favorita dall’elevato tasso di umidità relativa (prossimo alla saturazione) riscontrato in questo periodo. Nella figura 18 è rappresentato un formaggio che ha subito la maturazione in grotta:

Figura 18. Formaggio maturato in grotta.

1.51 Valutazione sensoriale dei formaggi

I risultati riportati si riferiscono a due differenti test di assaggio. Il primo è stato eseguito alla fine della prima sperimentazione (giugno 2006) con l’allestimento di un consumer test, ovvero un test di assaggio effettuato attraverso assaggiatori non addestrati, cioè comuni consumatori. Questo test è molto utile per simulare la conoscenza e il giudizio del consumatore medio sul prodotto. Sono stati presi in considerazione nove attributi organolettici ed una valutazione generale finale. Ad ogni descrittore è stato assegnato un punteggio compreso tra 0 e 7; tanto più alto

144

è il punteggio riportato per un determinato attributo, tanto maggiore viene considerata l’incidenza di questo attributo come caratteristica del prodotto valutato. Per quanto concerne la valutazione generale, un maggior punteggio indica un maggior apprezzamento del prodotto. I dati raccolti con la compilazione delle schede di valutazione sono stati successivamente analizzati statisticamente: i valori delle medie e delle mediane sono stati riportati su un grafico a stella e, unendo questi punti, si ottiene una figura geometrica che rappresenta il “profilo di assaggio” del formaggio in esame. Nelle seguenti figure (Fig. 19 e 20) sono riportati i risultati della prova di assaggio eseguita attraverso consumer test, dopo 35 giorni di maturazione, riferiti, rispettivamente, alle medie e alle mediane dei punteggi:

Consumer test M A G G I O t35 – media aspetto 7,0

6,0 friabilità flavour 5,0

4,0

3,0

durezza 2,0 dolce

1,0

retrogusto salato

formaggio stabilimento t 35 piccante amaro formaggio grotta t 35

Figura 19. Modello Etana ottenuto con le medie dei valori ottenuti.

145

Consumer test M A G G I O t35 - mediana aspetto 7,0

6,0 friabilità flavour 5,0

4,0

3,0

durezza 2,0 dolce

1,0

retrogusto salato

formaggio stabilimento t 35 piccante amaro formaggio grotta t 35

Figura 20. Grafico a stella ottenuto con le mediane dei risultati.

I risultati ottenuti mostrano una lieve differenza tra i formaggi maturati in grotta e quelli maturati in stabilimento. Infatti, i profili ottenuti si discostano tra loro e questa differenza risulta essere più marcata nei profili che si riferiscono alla mediana dei risultati. Questo valore è più attendibile per quanto riguarda il posizionamento del giudizio del panel, in quanto capace di minimizzare il peso degli outlayers. In particolare, viene attribuito un valore maggiore al flavour dei formaggi di stabilimento rispetto a quelli di grotta, mentre, per quanto riguarda l’aspetto, risulta essere più gradevole quello dei formaggi di grotta. La degustazione effettuata da assaggiatori non addestrati integra sicuramente le informazioni sensoriali sul prodotto e aiuta a completare uno sguardo d’insieme; tuttavia, questo tipo di analisi resta un’operazione essenzialmente soggettiva. Infatti, non sono state effettuate precedentemente delle prove di taratura e di confronto tra i giudizi degli assaggiatori. Inoltre, il numero di assaggiatori considerato non permette di trarre conclusioni esaustive sulle differenze organolettiche indotte dal diverso ambiente di maturazione, in quanto troppo esiguo. Per questo motivo, nella produzione di settembre-ottobre è stato effettuato un panel test, ovvero una prova di assaggio eseguita da assaggiatori addestrati a riconoscere le caratteristiche distintive dei formaggi stagionati. In questo caso sono state effettuate delle sedute di “taratura” in cui si eseguono test di assaggio seguiti da dibattiti per assegnare alla

146 stessa intensità di percezione lo stesso valore; in questo modo è stato minimizzato il problema della diversa esperienza e sensibilità olfattiva del giudice assaggiatore e tutti i giudici associeranno a un’intensità percepita valori simili limitando la soggettività. In questo panel test sono stati valutati 14 diversi attributi e le schede di valutazione vengono analizzate secondo il modello Etana. Nelle seguenti figure sono riportati i risultati ottenuti con il panel test; la prima figura (Fig. 21) rappresenta le medie dei punteggi dati dal gruppo di assaggiatori addestrati ad ogni descrittore riguardante il prodotto dopo 35 giorni di maturazione, mentre la seconda figura rappresenta le mediane dei punteggi (Fig. 22):

Panel test t35 - media

odore 5,0 umidità aroma

4,0 solubilità dolce

3,0

adesività 2,0 acido

1,0

friabilità salato

durezza amaro

elasticità astringente formaggio stabilimento t 35 formaggio grotta t 35 piccante

Figura 21. Modello Etana ottenuto con le medie dei risultati.

147

Panel test t35 - mediana odore 5.0 umidità aroma

4.0 solubilità dolce

3.0

2.0 adesività acido

1.0

friabilità salato

durezza amaro

elasticità astringente

piccante formaggio stabilimento t 35 formaggio grotta t 35

Fig. 22. Risultati delle prove di assaggio da parte degli assaggiatori addestrati (mediana).

Dai risultati ottenuti dai profili di assaggio è stato possibile osservare che i due tipi di formaggio sono stati percepiti come due prodotti diversi e, per alcuni parametri, il formaggio di grotta è risultato essere più apprezzato dagli assaggiatori. In particolare l’aroma, inteso come la proprietà organolettica percepibile attraverso l’organo olfattivo per via retro nasale al momento della degustazione, ha un punteggio significativamente più alto nei formaggi di grotta, mentre l’odore viene percepito nella stessa intensità sia nei formaggi di stabilimento che in quelli di grotta. Inoltre, il formaggio di grotta viene percepito più dolce e leggermente più salato. Per quanto concerne la struttura, è possibile osservare che il formaggio di grotta sembra essere caratterizzato da un minor grado di durezza e friabilità, probabilmente a causa di un maggior contenuto di acqua, mentre l’elasticità rimane la stessa in entrambe le tipologie di prodotto. Inoltre, il formaggio affinato in grotta è caratterizzato da un elevato grado di adesività al palato e questo, probabilmente, spiega la maggiore percezione di aroma. Infine, la solubilità, cioè la percezione che si sviluppa quando il formaggio fonde rapidamente nella saliva, e l’umidità dei due prodotti vengono colti dagli assaggiatori in maniera simile.

148

1.52 Profili proteolitici dei formaggi in rapporto all’ambiente di maturazione

Nella figura 23 sono riportati i profili elettroforetici ottenuti mediante urea-PAGE dei diversi campioni, in rapporto al tempo di maturazione e al periodo di produzione. I dati elettroforetici mostrano pattern di degradazione sia dell’- che della -caseina molto complessi, che consistono in peptidi di diversa grandezza, derivanti dalla demolizione delle proteine durante il periodo di maturazione in tutti i campioni analizzati. La maturazione in grotta sembra favorire la degradazione sia dell’- che della -caseina, come indicato dall’attenuazione dell’intensità delle loro bande. Inoltre, sebbene la mancata lettura densiometrica dei gel non consenta di trarre delle conclusioni esaustive, i profili elettroforetici mettono in evidenza il forte effetto del periodo di produzione sulla proteolisi dei prodotti. Infatti, i formaggi di settembre presentano bande più marcate attribuibili soprattutto alla degradazione della -caseina fin dall’inizio della maturazione in grotta. Questo comporta, per lo meno nella fase iniziale, una maggior ricchezza di prodotti solubili a più basso peso molecolare. Tuttavia, l’avanzare del periodo di affinamento determina, soprattutto nel formaggio di grotta prodotto in maggio, una loro diminuzione, come testimoniato dall’attenuazione delle relative bande attribuibili ad una loro ulteriore trasformazione in prodotti a più basso peso molecolare.

t3 t35 t14 t14 t0 Std t35 t35 t21 t21 t0 GS FS GS FS Sett. G M F M G M F M Mag.

Fig. 23. Profilo elettroforetico della frazione insolubile dei formaggi, ottenuta con tecnica Urea-Page. (Legenda: t35 GS: pecorino prodotto in settembre, con 35 giorni di stagionatura in grotta; t35 FS: pecorino prodotto in settembre con 35 giorni di stagionatura in stabilimento; t14 GS: pecorino prodotto in settembre con 14 giorni di

149 stagionatura in grotta; t14 FS: pecorino prodotto in settembre con 14 giorni di stagionatura in stabilimento; t0 Sett: pecorino prodotto in settembre all’ingresso in stabilimento o in grotta; Std: Mix di -caseina, -caseina e lisozima; t35 G M : pecorino prodotto in maggio con 35 giorni di stagionatura in grotta; t35 F M : pecorino prodotto in maggio con 35 giorni di stagionatura in stabilimento; t21 G M : pecorino prodotto in maggio con 21 giorni di stagionatura in grotta; t21 F M : pecorino prodotto in maggio con 21 giorni di stagionatura in stabilimento; t0 Mag: pecorino prodotto in maggio all’ingresso in stabilimento o in grotta.)

Anche i profili elettroforetici ottenuti mediante SDS-PAGE confermano le diverse cinetiche di maturazione dei formaggi prodotti in maggio e in settembre. Questi ultimi, infatti, presentano, fin dall’inizio del periodo di affinamento, delle bande molto più marcate aventi peso molecolare compreso tra 14000 e 21000 Da. Queste differenze permangono anche nel corso della maturazione; infatti, i formaggi di maggio, indipendentemente dall’ambiente di maturazione, sembrano mostrare una maggior proteolisi testimoniata dalla minore intensità delle bande riconducibili alle caseine. Il fenomeno è più evidente nei formaggi maturati in grotta. Quest’ultimo dato non fa altro che confermare l’effetto stimolante della grotta sulla proteolisi.

t0 t0 Std t21 t14 t35 t35 t21 t14 t35 t35 Mag. Sett. F M FS F M FS G M GS G M GS

Fig. 24. Profilo elettroforetico della frazione insolubile dei formaggi ottenuta con la tecnica SDS-PAGE.

150

Anche i pattern proteolitici della frazione solubile (Fig. 25) confermano la maggior proteolisi dei formaggi stagionati in grotta e le differenze in rapporto al periodo di produzione. Infatti, bande riferibili a peptidi aventi peso molecolare inferiore a 10000 Da aumentano all’aumentare del periodo di affinamento.

t0 t0 t21 t14 t35 t35 Std t21 t14 t35 t35 Mag. Sett. F M FS F M FS G M GS G M GS

Figura. 25. Profilo elettroforetico della frazione solubile dei formaggi ottenuta con tecnica SDS-PAGE.

1.53 Microflora presente nei formaggi

Per quanto riguarda la microflora presente nei prodotti lattiero-caseari, possiamo osservare come i lattobacilli siano estremamente diffusi sia nei latti fermentati che nei formaggi; la loro presenza può essere intenzionale, attraverso l’utilizzo di colture starter, oppure dovuta a contaminazioni ambientali, attraverso la materia prima e/o l’ambiente di lavorazione. Lactobacillus casei, Lactobacillus paracasei, Lactobacillus rhamnosus, Lactobacillus plantarum, Lactobacillus fermentum, Lactobacillus brevis, Lactobacillus buchneri, Lactobacillus curvatus, Lactobacillus acidophilus e Lactobacillus pentosus sono specie

151 comunemente isolate tra i batteri lattici non starter (NSLAB) nei prodotti lattiero-caseari. In particolare, nei formaggi, le specie più comunemente isolate sono Lb. casei, Lb. paracasei, Lb. brevis, Lb. plantarum e Lb. curvatus. Microorganismi appartenenti a queste specie sono presenti a basse concentrazioni nella cagliata (da 102 a 103 ufc/g), ma la loro concentrazione può aumentare sino a 108 ufc/g nel corso della maturazione; questi lattobacilli possono, quindi, essere responsabili di molte caratteristiche aromatiche e olfattive dei formaggi, ma anche, in altri casi, essere apportatori di difetti o di irregolarità nel prodotto finito. Conoscere i microorganismi coinvolti nelle complesse interazioni che caratterizzano la comunità microbica durante la caseificazione e la maturazione dei formaggi, fornisce informazioni indispensabili per la comprensione del loro ruolo nel processo complessivo e, di conseguenza, per indirizzarsi verso criteri più oggettivi nella selezione di ceppi che non siano solo starter, ma che si possano comunque utilizzare nei processi di maturazione. La molteplicità dei formaggi prodotti, e conseguentemente la diversità delle condizioni produttive ed ambientali, rende estremamente difficile individuare sistemi precisi per la scelta delle specie più idonee e, quindi, induce a cercare, almeno per ogni tipologia di prodotto, le specie più comunemente coinvolte nei processi di maturazione. Inoltre, è necessario tenere conto del fatto che, anche nell’ambito delle singole specie presenti nelle comunità microbiche, esistono generalmente diversi biotipi che possono avere caratteristiche anche molto diverse rispetto alle attitudini che ad essi si richiedono. Oltre a ciò, soprattutto nei formaggi a lunga stagionatura, si osservano delle vere e proprie successioni microbiche a seconda dello stadio di stagionatura; infatti, durante la maturazione, possono cambiare, anche in maniera molto significativa, le condizioni ambientali e compositive dei formaggi, favorendo lo sviluppo di alcune specie a discapito di altre. Ad esempio, Martin-Platero et al. (2008) hanno studiato il formaggio spagnolo Cueva de la Magaha dimostrando che Lb. brevis, Lb. plantarum e Lb. paracasei erano, nell’ordine, le specie maggiormente presenti nelle prime fasi di maturazione, mentre negli stadi più avanzati, Lb. paracasei era la specie dominante in assoluto. Inoltre, gli stessi autori sottolineano, nell’ambito di quest’ultima specie, un’ampia biodiversità intraspecifica fra gli isolati della prima e della seconda fase. Analogamente, Sánchez et al (2006), studiando il formaggio Manchego (a base di latte di pecora), hanno indicato come lattobacilli dominanti durante la maturazione i Lb. paracasei subsp. paracasei, Lb. plantarum e Lb. brevis, anche se viene comunque sottolineata la differenza dei biotipi interspecifici a seconda dello stadio

152 di stagionatura. Nel formaggio Danbo (Antonsson et al, 2003) la specie dominante è risultata essere Lactobacillus paracasei (76%), ma sono stati isolati anche biotipi di Lactobacillus curvatus, Lactobacillus plantarum e Lactobacillus rhamnosus. I Lactobacillus plantarum, Lactobacillus paraplantarum e Lactobacillus pentosus caratterizzano la maturazione del formaggio greco Feta (Manolopoulou et al, 2003), mentre Lactobacillus plantarum e Lactobacillus paracasei sono le specie dominanti nella maturazione del Fiore Sardo (Mannu et al., 2000). Anche nel formaggio erborinato spagnolo Cabrales sono stati individuati diversi lattobacilli e le specie più importanti numericamente erano Lactobacillus plantarum e Lactobacillus paraplantarum, seguite da Lactobacillus casei e Lactobacillus paracasei. Nel Pecorino Siciliano, invece, le specie maggiormente isolate erano Lactobacillus rhamnosus e Lactobacillus casei (Randazzo et al., 2008); queste specie sono state isolate anche in formaggi a lunga maturazione come il Gruyere (Casey et al., 2006), il Parmigiano Reggiano e il . Nel caso del Pecorino studiato in questo lavoro, i campionamenti hanno interessato il formaggio che aveva già subito una fase di maturazione di circa 60 giorni nello stabilimento di produzione in Toscana, prima dell’ultima fase di affinamento in grotta o in stabilimento, nonché diversi campioni prelevati durante l’ultima fase di affinamento. Dalle piastre utilizzate per il conteggio dei gruppi microbici sono stati isolati e purificati diversi lattobacilli. Su 74 isolati sono state effettuate PCR specie-specifiche e sequenziamento del gene 16S-r- RNA per determinarne la specie di appartenenza. Dei 74 ceppi analizzati 14 sono risultati appartenenti alla specie Lactobacillus curvatus (18.9%), 15 alla specie Lactobacillus brevis (20.3%), mentre i restanti 45 sono Lactobacillus paraplantarum (60.8%). La presenza di Lactobacillus curvatus, già isolato nel formaggio iniziale (7.1% degli isolati di questa specie) è particolarmente significativa nella prima fase di affinamento in stabilimento (71.4% degli isolati di questa specie e 30.3% dei lattobacilli isolati in totale in questa fase dal Pecorino di stabilimento), mentre tende a scomparire nel prodotto finito. Lactobacillus paraplantarum è il lattobacillo dominante in tutte le fasi indipendentemente dalle condizioni di maturazione e, anche se raggiunge le massime percentuali di isolamento rispetto ai lattici totali nel formaggio non affinato e nella prima fase di affinamento in grotta, non sembrano essere presenti differenze significative nella presenza di questa specie nei vari campioni considerati, anche se non possiamo escludere l’esistenza di diversi biotipi della stessa specie. Per quanto concerne il Lactobacillus brevis, la sua presenza è stata verificata solo nei campioni in affinamento, sia

153 in grotta che in stabilimento, ed è concentrata prevalentemente nei formaggi a fine maturazione.

Tabella 15. Risultati ottenuti- lattobacilli.

n PRE GROTTA1 GROTTA F STAB1 STAB F

Lb curvatus 14 1 2 0 10 1 7.14% 14.29% 0.00% 71.43% 7.14% Lb brevis 15 0 3 5 0 7 0.00% 20.00% 33.33% 0.00% 46.67% Lb paraplantarum 45 9 21 10 23 11 20.00% 46.67% 22.22% 51.11% 24.44% TOT lactobacilli 74 10 26 15 33 19 100.00% 13.51% 35.14% 20.27% 44.59% 25.68%

Nella seguente figura è mostrato un gel ottenuto eseguendo su alcuni ceppi la tecnica di PCR Multiplex per l’identificazione delle specie Lb. plantarum, Lb. paraplantarum e Lb. pentosus.

Figura 26. Gel elettroforetico per la determinazione di Lb. plantarum, Lb. paraplantarum e Lb. pentosus. Nella seguente figura è mostrato il gel ottenuto effettuando la PCR specie-specifica per la ricerca di Lb. brevis, nella quale il prodotto atteso fornisce una banda di 1340 bp:

154

Figura 27. Gel elettroforetico per la determinazione di Lb. brevis.

I cocchi lattici, invece, sono una popolazione estremamente eterogenea, la cui presenza, nei prodotti lattiero-caseari e nei formaggi in particolare, può avere una diversa origine. Una parte di essi può infatti derivare dall’aggiunta di colture starter. La presenza di Streptococcus thermophilus come componente di innesti è ben documentato in diversi tipi di formaggio (senza considerare i latti fermentati), come formaggi a pasta cotta (Grana Padano, Emmenthal, ecc.), alcuni pecorini e gorgonzola (Giraffa et al., 2001) e mozzarelle. Il ruolo principale di questa specie, in caseificazione, è legato alla sua capacità di abbassare il pH producendo acido lattico; tuttavia, esistono anche altre funzioni che assumono una rilevanza tecnologica, come ad esempio la produzione di esopolisaccaridi (Mora et al., 2002). Inoltre, come molte specie termofile, questa specie tende a scomparire durante la maturazione; tuttavia, la lisi cellulare comporta la liberazione nel mezzo di numerosi enzimi che possono contribuire, in maniera più o meno marcata, ai processi di maturazione. Streptococcus macedonicus è stato isolato per la prima volta da Kasseri, un formaggio greco soggetto ad una fermentazione spontanea (Tsakalidou et al., 1998) e recentemente ritrovato in numerosi formaggi europei, in particolari italiani (Callon, Millet & Montel, 2004; Lombardi et al., 2004; Poznanski, Cavazza, Cappa & Cocconcelli, 2004; Pacini, Cariolato, Andrighetto & Lombardi, 2006). Anche se non esistono studi sistematici sull’attività di questa specie nei formaggi, si può ritenere che svolga un ruolo di qualche importanza sulle caratteristiche sensoriali e reologiche del prodotto, in quanto sono note le

155 sue attitudini lipolitiche e proteolitiche (Lombardi et al., 2004; Pacini et al., 2006) e la capacità di produrre esopolisaccaridi (Vincent, Faber, Neeser, Stingele & Kamerling, 2001). Lactococcus lactis, invece, è una specie tipica di innesti o colture selezionate con caratteristiche decisamente più mesofile. È presente nei prodotti lattiero caseari nelle due sottospecie lactis e cremoris, la prima delle quali è particolarmente importante, attraverso la sua biovar. diacetylactis, per la sua capacità di convertire il citrato in composti di aroma a quattro atomi di carbonio (diacetile). Lactococcus lactis è largamente utilizzato nella produzione dei formaggi, soprattutto in quelli caseificati in condizione mesofile, ma anche in abbinamento con ceppi termofili (come Streptococcus thermophilus) in formaggi come il pecorino. Le sue caratteristiche di mesofilo lo rendono, in genere, in grado di persistere più a lungo dei LAB termofili nel formaggio durante la stagionatura, durante la quale può quindi contribuire ai processi di maturazione. A differenza di lattococchi e streptococchi, gli enterococchi non sono comuni costituenti né di innesti né di colture starter. Tuttavia, la loro presenza in quantità considerevoli è accertata in una grande quantità di formaggi, ottenuti sia da latte non trattato che da latte pastorizzato di diverse specie lattifere (Cogan et al., 1997). Giraffa et al. (1997) ne hanno determinato la presenza in 46 campioni di formaggi italiani di diverse tipologie su 48 analizzati. La loro presenza è altresì ampiamente documentata in numerosi formaggi europei, come il Manchego, la Feta, il Comtè e il Cheddar. Il loro numero varia comunemente fra 104 e 106 ufc/g. Anche se la loro presenza è molto dibattuta per ragioni igienico-sanitarie, dipendenti principalmente dalla facilità con cui acquisiscono e scambiano plasmidi recanti geni che gli conferiscono resistenza agli antibiotici che fa di loro dei pericolosi patogeni opportunisti, è tuttavia altrettanto noto il contributo che essi possono dare alla maturazione, soprattutto in quanto produttori di composti aromatici. Infatti, il loro contributo dipende, in primo luogo, dalle loro attitudini lipolitiche ed esterolitiche, come pure dalla capacità di produrre diacetile ed altri importanti composti volatili (Franz et al., 1999a, 2003; Sarantinopoulos et al., 2002, 2003). Le principali specie isolate dai formaggi sono Ec. faecalis, Ec. faecium e Ec. durans. I cocchi lattici sono stati isolati dalle piastre utilizzate per il conteggio e, dopo aver estratto e purificato il DNA, è stata applicata la tecnica ITS-PCR. I profili ottenuti sono stati elaborati mediante software Bionumerics ed è stato ottenuto un dendrogramma in cui i profili sono suddivisi in cluster, in base alla similarità dei ceppi considerati. Nella figura seguente (Fig. 28) è mostrato il dendrogramma ottenuto dall’analisi dei cocchi lattici:

156

Pearson correlation [0.0%-100.0%] its Elena its Elena 20 30 40 50 60 70 80 90 100 .76* .Lc lactis 5 settimana grotta .75* .Lc. lactis 5 settimana stabilimento .79* .Lc. lactis T0 .80* .Lc. lactis T0 .91* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .92* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .100* .Lc. lactis 2 settimana grotta .101* .Lc. lactis 2 settimana grotta .103* .Lc. lactis 2 settimana grotta .93* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .99* .Lc. lactis 2 settimana grotta .112* .Lc. lactis T0 .123* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .125* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .126* .Lc. lactis 2 settimana grotta .127* .Lc. lactis 2 settimana grotta .122* .Lc. lactis 5 settimana grotta .128* .Lc. lactis 2 settimana grotta .121* .Lc. lactis 5 settimana grotta .129* .Lc. lactis T0 .124* .Lc. lactis 2 settimana grotta .131* .Lc. lactis T0 .109* .Lc. lactis T0 .110* .Lc. lactis T0 .111* .Lc. lactis T0 .114* .Lc. lactis 1 settimana stabilimento .96* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .97* .Lc. lactis 2 settimana grotta .104* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .105* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .98* .Lc. lactis 2 settimana grotta .94* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .95* .Lc. lactis 2 settimana stabilimento .130* .Lc. lactis T0 .106* .Lc. lactis 2 settimana grotta .107* .Lc. lactis T0 .108* .Lc. lactis T0 .81* .Str. thermophylus 3 settimana stabilimento .89* .Str. thermophylus 4 settimana grotta .120* .Str. thermophylus 3 settimana stabilimento .83* .Str. thermophylus 3 settimana stabilimento .115* .Str. thermophylus 3 settimana stabilimento .82* .Ent. faecalis T0 .90* .Ent. faecalis 5 settimana stabilimento .85* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .102* .Ent. faecalis 2 settimana grotta .86* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .87* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .77* .Ent. faecalis 5 settimana grotta .78* .Ent. faecalis T0 .84* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .116* .Ent. faecalis 3 settimana stabilimento .117* .Ent. faecalis 3 settimana stabilimento .118* .Ent. faecium 4 settimana stabilimento .119* .Ent. faecium 1 settimana stabilimento .113* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento .88* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento

Figura 28. Dendrogramma dei cocchi lattici.

Analizzando i cocchi lattici, sono stati ritrovati alcuni ceppi di Streptococcus thermophilus e alcuni enterococchi, che sono stati inseriti successivamente nell’analisi degli altri enterococchi analizzati. Nella figura seguente (Fig. 29) è mostrato il dendrogramma

157 ottenuto con l’amplificazione della regione ITS degli enterococchi, anch’essi isolati dalle piastre utilizzate per il conteggio:

Pearson correlation [0.0%-100.0%] its Elena its Elena 20 30 40 50 60 70 80 90 100 .309* .Ent. faecium 4 settimana grotta .319* .Ent. faecium 5 settimana grotta .118* .Ent. faecium 4 settimana stabilimento .119* .Ent. faecium 1 settimana stabilimento .113* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento .316* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento .317* .Ent. faecium 5 settimana grotta .88* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento .302* .Ent. faecium 4 settimana grotta .315* .Ent faecalis 5 settimana stabilimento .328* .Ent. faecalis 4 settimana grotta .339* .Ent. faecalis 4 settimana grotta .341* .Ent. faecalis T0 .313* .Ent. faecalis 5 settimana grotta .332* .Ent. faecalis T0 .306* .Ent. faecalis T0 .307* .Ent. faecalis 4 settimana stabilimento .308* .Ent. faecalis T0 .303* .Ent. faecalis 4 settimana grotta .323* .Ent. faecalis 4 settimana stabilimento .310* .Ent. faecalis 2 settimana stabilimento .312* .Ent. faecium 5 settimana stabilimento .304* .Ent. faecalis 4 settimana grotta .333* .Ent. faecalis 5 settimana stabilimento .85* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .102* .Ent. faecalis 2 settimana grotta .86* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .87* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .90* .Ent. faecalis 5 settimana stabilimento .314* .Ent. faecium 5 settimana grotta .82* .Ent. faecalis T0 .77* .Ent. faecalis 5 settimana grotta .78* .Ent. faecalis T0 .321* .Ent. faecium 3 settimana stabilimento .116* .Ent. faecalis 3 settimana stabilimento .117* .Ent. faecalis 3 settimana stabilimento .325* .Ent. faecalis 5 settimana stabilimento .327* .Ent. faecalis 5 settimana grotta .84* .Ent. faecalis 3 settimana grotta .336* .Str. macedonicus 2 settimana stabilimento .337* .Str. macedonicus 3 settimana stabilimento .322* .Str. macedonicus 5 settimana grotta .335* .Str. macedonicus 5 settimana grotta .318* .Str. macedonicus 5 settimana grotta .329* .Str. macedonicus 5 settimana stabilimento .330* .Str. macedonicus 2 settimana grotta .331* .Str. macedonicus 2 settimana stabilimento .324* .Str. macedonicus 2 settimana stabilimento .305* .Str. macedonicus T0 .338* .Str. macedonicus 2 settimana stabilimento .320* .Str. macedonicus 2 settimana grotta .340* .Str. macedonicus 2 settimana stabilimento .334* .Str. macedonicus T0 .326* .Str. macedonicus 2 settimana grotta

Figura 29. Dendrogramma ottenuto dall’analisi degli enterococchi.

Dai cocchi lattici considerati, oltre un terzo (39.2%) sono risultati appartenere alla specie Lc. lactis. Anche se al momento non è ancora stata determinata la sottospecie, la loro

158 presenza è comunque ascrivibile agli starter utilizzata. I lattococchi risultano i cocchi lattici più frequentemente isolati sia nei formaggi prima dell’affinamento (60%) che nella prima fase di affinamento (con percentuali sempre superiori al 50%), sia in grotta che in stabilimento. Tuttavia, la loro presenza si riduce di molto nei formaggi al termine della fase di affinamento. Pochi isolati sono risultati appartenere alla specie St. thermophilus (5.2%) e tutti sono stati stranamente isolati solo dai prodotti finiti. Costante invece appare la presenza di St. macedonicus (15.5%) in tutte le fasi considerate, indipendentemente dalla durata dell’affinamento e dall’ambiente in cui esso avveniva. Infine, gli enterococchi costituiscono il 40.2% degli isolati e sono suddivisi fra le specie Ec. faecalis (27.8%) e Ec. faecium (12.4%). La presenza di Ec. faecalis sembra essere costante sia nel prodotto iniziale che nei prodotti affinati nei due diversi ambienti, mentre Ec. faecium risulta assente dai formaggi prima dell’affinamento ed è stato isolato prevalentemente al termine della maturazione in entrambe i casi considerati. Nella tabella seguente sono mostrati i risultati ottenuti:

Tabella 16. Risultati ottenuti- lattococchi.

n PRE GROTTA1 GROTTA F STAB1 STAB F

Lc lactis 38 12 10 4 11 1 31.58% 26.31% 10.53% 28.95% 2.63% Ec faecalis 27 6 5 7 3 6 22.22% 18.52% 25.92% 11.11% 22.22% Ec faecium 12 0 0 5 2 5 0.00% 0.00% 41.67% 16.67% 41.67% St. thermophilus 5 0 0 1 0 4 0.00% 0.00% 20.00% 0.00% 80.00% St. macedonicus 15 2 4 3 2 2 13.33% 26.67% 20.00% 13.33% 13.33% TOT cocchi 97 20 19 20 18 18 100.00% 20.62% 19.59% 20.62% 18.56% 18.56%

La presenza di microstafilococchi è stata evidenziata in molti tipi di formaggi, nei quali gli appartenenti a questo gruppo microbico, possono costituire un’importante frazione della microflora di maturazione. La loro presenza dipende da vari fattori, primo fra i quali la loro resistenza alle basse aw, determinate dalla presenza di concentrazioni di NaCl. La loro importante influenza sulla maturazione dipende essenzialmente dalle attività enzimatiche di cui sono dotati, in primo luogo attività proteolitica e lipolitica. La loro presenza è

159 particolarmente importante e studiata nei cosiddetti formaggi a maturazione superficiale (o a crosta lavata), in cui sono parte fondamentale del complesso microbiota insieme a Arthrobacter spp., Corynebacterium spp., Brevibacterium spp. e a lieviti, come Debaryomyces hansenii e Geotrichum candidum. Naturalmente, l’assenza delle specie potenzialmente patogene appartenenti agli stafilococchi coagulasi positivi (in particolare Staph. aureus) deve essere garantita. Fra le micrococcaceae facoltativamente anaerobie le specie dominanti sono solitamente costituite da Staph. epidermidis, Staph. sciuri e Staph. saprophyticus (Kongo et al., 2008; Garcia et al., 2002). Comunque, anche Staph. equorum è stato isolato sulla superficie di formaggi a crosta lavata (Mounier et al., 2005). In ogni caso, le specie di Staphylococcus di interesse caseario sono sostanzialmente studiate per la loro attività svolta nella parte superficiale (crosta), mentre scarse sono le notizie riguardanti il loro eventuale metabolismo nella parte interna del prodotto. Uno dei pochi lavori sull’argomento (Garcia et al., 2002) riporta che la frequenza di isolamento di stafilococchi si dimezza passando dalla crosta alla parte interna del formaggio. Nel caso in questione, dalle piastre contenenti il terreno selettivo utilizzato per il conteggio dei microstafilococchi sono stati ottenuti 99 isolati. Tutti gli isolati ottenuti sono stati analizzati con tecnica ITS-PCR e, con i profili ottenuti, è stato elaborato un dendrogramma (Fig. 30):

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Pearson correlation [0.0%-100.0%] its Elena its Elena 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 .169* .St. haemolyticus 2 settimana stabilimento .230* .St. xylosus 5 settimana grotta .174* . .212* . .150* .St. equorum 4 settimana stabilimento .178* . .238* .St. saprophyticus 2 settimana grotta .213* . .215* . .227* . .241* . .226* . .205* . .220* . .222* .St. equorum 5 settimana grotta .218* .St. equorum 1 settimana grotta .219* . .191* .St. equorum 3 settimana stabilimento .192* . .155* . .156* .St. equorum 4 settimana grotta .157* . .158* . .159* . .185* . .186* .St. equorum 5 settimana stabilimento .184* . .187* . .214* .St. equorum 1 settimana stabilimento .217* . .197* . .244* .St. xylosus T0 .172* . .173* . .168* . .170* . .166* . .177* . .165* .St. saprophyticus 3 settimana stabilimento .194* .St. equorum 3 settimana stabilimento .195* . .196* . .251* .St. equorum 4 settimana grotta .188* . .154* . .160* . .246* . .249* . .248* . .175* .St. equorum 5 settimana grotta .176* .St. equorum 5 settimana grotta .245* .St. equorum 1 settimana grotta .250* .St. equorum 4 settimana grotta .179* . .180* .St. equorum 5 settimana stabilimento .181* . .182* . .189* .St. saprophyticus 1 settimana grotta .204* .St. saprophyticus 1 settimana stabilimento .207* . .151* . .152* . .153* .St. equorum 4 settimana stabilimento .239* .St. saprophyticus 2 settimana stabilimento .240* . .193* .St. equorum 3 settimana stabilimento .211* .St. saprophyticus 3 settimana stabilimento .164* . .224* . .225* . .208* .St. equorum T0 .209* . .210* . .232* .St. equorum 5 settimana grotta .235* . .229* . .236* . .242* .St. equorum 5 settimana stabilimento .243* . .223* .St. xylosus T0 .216* .St. xylosus T0 .171* .St. saprophyticus 2 settimana stabilimento .247* .St. saprophyticus 2 settimana stabilimento .167* .St. equorum 3 settimana stabilimento .233* . .234* .St. saprophyticus 2 settimana grotta .231* .St. saprophyticus 5 settimana grotta .162* .St. equorum 4 settimana grotta .163* . .161* . .201* .St. xylosus T0 .202* .St. xylosus T0 .203* .St. xylosus 1 settimana stabilimento .200* .St. equorum T0 .198* .st. equorum 3 settimana grotta .199* .St. saprophyticus 3 settimana grotta .183* .St. equorum 5 settimana stabilimento .237* .st. equorum 2 settimana grotta .228* .Corynebacterium flavescens 5 settimana grotta

Figura 30.Dendrogramma relativo agli stafilococchi.

È stato osservato che la clusterizzazione ottenuta con il dendrogramma basato sui profili ITS dei cappi analizzati non separa in maniera significativa le diverse specie di stafilococchi presenti. Probabilmente, la tecnica ITS-PCR applicata agli stafilococchi non è sufficientemente discriminante per la determinazione della specie di appartenenza. Sono state identificate, tramite sequenziamento del gene 16S-r-RNA, le specie di appartenenza di

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47 isolati. Le specie maggiormente rilevate sono Staph. equorum, Staph. saprophyticus e Staph. xylosus. Il maggior numero di isolati (58.1%) è riconducibile alla specie Staph. equorum, la cui presenza quantitativa sembra aumentare all’avanzare del tempo di maturazione, indipendentemente dalle condizioni adottate. Infatti, nel prodotto di stabilimento, al termine della maturazione, sono stati individuati solo Staph. equorum, mentre alla stessa specie appartengono l’80% degli stafilococchi isolati in grotta al termine dell’affinamento. Per contro, Staph. saprophyticus sembra caratterizzare la fase centrale dell’affinamento sia in grotta che in stabilimento (50% degli isolati in entrambe i casi), mentre 5 dei 7 isolati riconducibili a Staph. xylosus provengono dal formaggio prima dell’affinamento.

Tabella 17. Risultati ottenuti- Stafilococchi.

n PRE GROTTA1 GROTTA F STAB1 STAB F

S. equorum 25 2 4 8 5 6 8.00% 16.00% 32.00% 20.00% 24.00% S. saprophyticus 11 0 4 1 6 0 0.00% 36.36% 9.09% 54.55% 0.00% S. xylosus 7 5 0 1 1 0 71.43% 0.00% 14.29% 14.29% 0.00% TOT stafilococchi 43 7 8 10 12 6 100.00% 16.28% 18.60% 23.26% 27.91% 13.95%

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Conclusioni

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Conclusioni

La messa a punto di processi che comportino una maggiore differenziazione oltre che elevati standard produttivi e di sicurezza nei formaggi, è senza dubbio uno dei principali motori che guidano l’evoluzione della tecnologia lattiero-casearia (Law 2001). Di conseguenza, un ampio segmento della ricerca in questo settore è stato indirizzata all’innovazione e alla differenziazione di prodotti con l’evidente obiettivo di espandere il mercato dei formaggi, rispondendo alle richieste dei consumatori (specialmente occidentali) orientati in primo luogo agli aspetti di tipicità e di funzionalità degli alimenti. Per quanto concerne il primo aspetto, la politica della comunità europea nella definizione di marchi come l’IGP e il DOP ha causato una rivalutazione ed un nuovo interesse verso prodotti locali che, oltre a caratteristiche prettamente nutrizionali ed organolettiche, vengono apprezzati e valutati dai consumatori anche per le peculiarità ambientali e culturali che sono alla base della tradizione che li ha generati e che attraverso loro si esprime. In questo contesto, molti alimenti fermentati tradizionali hanno assunto una posizione di rilievo e sono stati oggetto di accurate caratterizzazioni biochimiche e microbiologiche volte, in primo luogo, ad evidenziarne i legami con le regioni geografiche ed i territori di produzione. Per quanto riguarda i formaggi, sicuramente una fase determinante per l’acquisizione delle caratteristiche di tipicità è costituita dalla maturazione; conseguentemente, un numero crescente di studi è indirizzato alla valutazione dei processi che avvengono in questo stadio con lo scopo non solo di comprenderli sempre più approfonditamente, ma anche guidarli o di accelerali con l’obiettivo di potere mettere a disposizione del mercato prodotti con diverse connotazioni sensoriali e reologiche. È durante la maturazione, infatti, che le attività biochimiche dipendenti dalla flora microbica starter e non starter, dagli enzimi del caglio e da quelli eventualmente residuati dal latte usato come materia prima conferiscono al formaggio le sue peculiari caratteristiche organolettiche e strutturali. In ultima analisi, quindi, i processi di maturazione dei formaggi sono anzitutto il risultato dell’azione di lipasi, di proteasi e di peptidasi che demoliscono lipidi e proteine presenti nel formaggio nei loro costituenti (aminoacidi e acidi grassi) che, a loro volta, fungono da

165 substrati per successive trasformazioni fondamentali per la definizione del profilo aromatico e sensoriale del prodotto finito. In questo complesso intreccio di vie metaboliche e trasformazioni biochimiche, la flora microbica (considerando sia l’attività residua degli starter che quella della flora non starter di maturazione) gioca un ruolo decisivo e caratterizzante. Le condizioni in cui avviene la maturazione (temperatura, umidità, composizione, aerazione, ecc.) definiscono un habitat in cui si sviluppa una microflora specifica e indirizzano anche i metabolismi di questa popolazione con una evidente ricaduta sulle caratteristiche organolettiche, ma anche igienico sanitarie, del prodotto finito. Nel caso specifico di questo lavoro di dottorato, in una prospettiva di differenziazione dell’offerta di prodotti specifici, sono state analizzate le diversità indotte su un prodotto iniziale (formaggio pecorino) che aveva già subito un periodo di maturazione di 60 giorni, da un ulteriore periodo di affinamento protratto per circa 40 giorni in condizioni estremamente diverse; da un lato un tipico stabilimento per la maturazione dei formaggi, e dall’altro le grotte di Santarcangelo di Romagna. I prodotti finali sono risultati fra di loro estremamente diversificati. Anzitutto l’ambiente e le condizioni di affinamento hanno inciso sulla composizione in termini quantitativi della popolazione microbica presente. Infatti i prodotti stagionati in grotta sono risultati caratterizzati da cariche più elevate in lieviti, batteri lattici e stafilococchi rispetto ai prodotti ottenuti attraverso la maturazione in stabilimento. Si tratta di gruppi microbici fondamentali per l’acquisizione, da parte del prodotto maturo, delle caratteristiche organolettiche strutturali e nutrizionali. Infatti l’analisi critica della letteratura indica che i microrganismi maggiormente coinvolti nei cambiamenti che avvengono durante la maturazione sono indubbiamente i batteri lattici. I batteri lattici contribuiscono alla maturazione del prodotto non solo perché sono i principali responsabili della trasformazione del lattosio e del citrato (produzione di diacetile), ma perché contribuiscono in maniera decisiva alla proteolisi e, in minor misura, alla lipolisi del prodotto. Nell’ambito dei batteri lattici, molto importanti sono i cosiddetti NSLAB (Lactobacillus casei, Lactobacillus plantarum, LB. paraplantarum Lactobacillus paracasei subsp. paraceasei, Lactobacillus brevis, Lactobacillus curvatus e alcune specie di Pediococcus). Questi, insieme alle Micrococcaceae e agli enterococchi, possono essere considerati la microflora avventizia del latte. Essi possono sopravvivere alla pastorizzazione, ritrovarsi nel latte o nella cagliata a causa di post-contaminazioni e possono essere definiti come la popolazione in grado di svilupparsi nelle condizioni sub-

166 ottimali del formaggio in fase di maturazione (scarsa disponibilità di zuccheri fermentescibili, valori di pH compresi tra 4.9 e 5.3, elevate concentrazioni saline 4.5-5.5% di NaCl e basse temperature 5-13°C, presenza di batteriocine prodotte dagli starter). Essi sono destinati a sostituire gli starter quando le condizioni diventano più stringenti. Pertanto gli elevati carichi dei batteri lattici osservati nei prodotti stagionati in grotta per 35 giorni, ambiente sicuramente più stringente per quanto riguarda la temperatura, sono sicuramente attribuibili allo sviluppo di NSLAB. Durante tutto il periodo di affinamento si mantengono elevate le concentrazioni di lattobacilli mesofili , con valori più elevati nei prodotti di grotta, favoriti sicuramente dalla minore disidratazione subita e, conseguentemente, da valori di aw più elevati. Fra i lattobacilli isolati dalle due tipologie di formaggio prevaleva la specie Lb. paraplantarum, la cui presenza era dominante nel prodotto prima dell’affinamento e rimaneva elevata anche durante gli ultimi 40 giorni di maturazione. Le specie Lb. curvatus e Lb. brevis aumentavano la loro presenza durante l’affinamento, sia in grotta che in stabilimento, ed in particolare la presenza di Lb. brevis risultava più consistente al termine dell’affinamento. Non sono state individuate incidenze particolari delle specie di lattobacilli in ragione delle condizioni di affinamento, eccezion fatta per una prevalenza di Lb. curvatus nella fase intermedia di affinamento in stabilimento. Per quanto concerne i cocchi lattici invece, la loro presenza decresce durante l’affinamento, soprattutto in stabilimento, e da un punto di vista qualitativo, sono risultati nella maggior parte dei casi riconducibili alla specie Lc. lactis, che era una delle due specie utilizzate come starter, e che sopravvivono nel prodotto anche a lungo dopo la caseificazione, a differenza dell’altra specie usata come starter (Str. thermophilus) che è stato riscontrato solo episodicamente fra i cocchi isolati. Altri cocchi lattici individuati sono stati Str. macedonicus e gli enterococchi (in particolare Ec. faecalis e Ec. faecium) anche se la presenza quantitativa di questi ultimi era piuttosto ridotta. Anche in questo caso, mentre si osserva una generalizzata diminuzione degli isolamenti di Lc. lactis al procedere dell’affinamento, non sono evidenziabili significativi cambiamenti dei rapporti fra i cocchi lattici in ragione della differente tipologia di maturazione. Anche micrococchi e lieviti possono essere fondamentali per la maturazione di alcune tipologie di prodotti. Infatti diverse tipologie di formaggi devono le loro particolari caratteristiche allo sviluppo superficiale di microflore che sono generalmente costituite da muffe, lieviti, Microcococcaceae e corinebatteri.

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In generale, la presenza di microstafilococchi nei formaggi è associata al loro sviluppo superfiale piuttosto che all’interno del prodotto. Nel caso qui considerato la presenza quantitativa di questo gruppo microbico è risultata piuttosto elevata, con una prevalenza nei campioni provenienti dall’affinamento in grotta (fatto giustificabile dalla maggiore umidità relativa che caratterizzava questi prodotti). Fra i numerosi isolati appartenenti a questo gruppo, alcuni sono stati sottoposti a identificazione ed è stato riscontrato che Staph xylosus prevaleva nei formaggi prima dell’affinamento, mentre durante l’affinamento le specie più rappresentative risultavano Staph saprophyticus e Staph. equorum, con la prima specie presente nelle fasi intermedie e la seconda dominante al termine della maturazione. Anche in questo caso non sono presenti differenze particolari fra i prodotti affinati in grotta e quelli affinati in stabilimento. Alte cariche di lieviti sono frequenti in molte tipologie di formaggio, soprattutto in quelli a crosta lavata. Le loro elevate concentrazioni nei formaggi possono essere attribuite alla loro capacità di crescere a basse temperature (generalmente la maturazione avviene a basse temperature), di fermentare o assimilare il lattosio e il galattosio, di assimilare acidi organici quali acido succinico, lattico e citrico nonché alla loro attività proteolitica e lipolitica, alla loro resistenza ad alte concentrazioni di NaCl e alle basse aw, alla resistenza agli agenti sanitizzanti e alla loro resistenza ai bassi valori di pH. Inoltre, i lieviti sono ampiamente distribuiti negli ambienti di lavorazione e sono normali contaminanti di materia prima, utensili, salamoia. Le ricerche sulla composizione della popolazione dei lieviti nei formaggi mettono in evidenza una grande diversità con più di 10 specie tra le quali le più frequenti sono Debaryomyces hansenii, Geotrichum candidum, Kluyveromyces lactis, Kluyveromyces marxianus, Rhodotorula mucillaginosa, Saccharomyces cerevisiae, Torulaspora delbrueckii, Trichosporon cutaneum e Yarrowia lipolytica. Si tratta di specie o in grado di fermentare o assimilare lattosio e/o galattosio o di utilizzare l’acido lattico e/o il citrato. La presenza maggiore di lieviti nei formaggi maturati in grotta rispetto a quelli maturati in stabilimento è sicuramente da considerarsi un risultato delle diverse condizioni soprattutto legate alle più elevate umidità relative riscontrate in grotta. In generale, la maturazione in grotta, oltre ad apportare un vantaggio economico al produttore (minor calo in peso), può essere uno strumento per la differenziazione di un prodotto che non incrementa i rischi per la salute del consumatore. Infatti, microrganismi potenzialmente patogeni sono risultati assenti e le Enterobacteriaceae hanno mostrato cinetiche di riduzione nel corso della maturazione comparabili con quelle del prodotto tradizionale. Inoltre, i livelli di carico delle Enterobacteriaceae riscontrati dopo 40 giorni di

168 stagionatura sono pienamente in accordo con i dati della letteratura. Questi indicano che enterococchi, lattobacilli ed Enterobacteriaceae sono i gruppi microbici maggiormente coinvolti nell’accumulo di amine biogene nei prodotti fermentati (Suzzi e Gardini, 2003). Tuttavia, un’attività decarbossilasica è documentata sia per i micrococchi che per gli stafilococchi. Inoltre alcune evidenze sperimentali attribuiscono ai lieviti, ed in particolare ad alcuni ceppi di Y. lipolytica, Pichia jadinii e D. hansenii (Wyder, Bachmann, & Puhan,1999), un ruolo non secondario nella produzione di amine biogene nei formaggi. Tuttavia, il diverso quadro microbiologico e, soprattutto, le maggiori cariche in stafilococchi, lattobacilli e lieviti riscontrate nei formaggi di grotta non hanno dato origine ad un incremento sostanziale del contenuto in amine biogene. Al contrario, la presenza massiccia di stafilococchi potrebbe giustificare il decremento durante la maturazione di amine biogene quali la tiramina. Infatti, è noto che in condizioni stringenti questi possono utilizzare amine biogene deaminandole ed utilizzando l’azoto per il metabolismo azotato e lo scheletro carbonioso residuo come fonte di energia. In ogni caso, l’analisi sul contenuto di amine biogene nei prodotti durante le diverse fasi di affinamento ha evidenziato che la loro presenza è in linea con quanto riportato in letteratura per i formaggi maturi; il risultato ottenuto ha portato a concludere che, per entrambi i periodi di produzione e per entrambe le condizioni di maturazione, i livelli di amine biogene totali non sono da considerare un rischio per la salute del consumatore, dato avvalorato, soprattutto, dalla contenuta presenza di istamina e tiramina. Per quanto concerne i profili elettroforetici relativi alla degradazione delle proteine nei formaggi oggetto di studio sono una conferma dell’influenza che l’ambiente ha sulle caratteristiche finali del prodotto. In particolare, i formaggi stagionati in grotta sono stati caratterizzati da una maggiore degradazione; ciò è confermato dai risultati ottenuti sia sulla frazione proteica insolubile che su quella solubile. Questo aspetto può essere considerato interessante dal momento che il periodo in grotta costituisce semplicemente un affinamento di 35 giorni per un formaggio che ha già subito 60 giorni di maturazione, periodo nel quale la fase primaria della maturazione e, di conseguenza della proteolisi, è già avvenuta. Dal punto di vista organolettico, sono riscontrabili marcate differenze tra i prodotti di grotta e quelli di stabilimento, negli indici riguardanti i prodotti di lipolisi, proteolisi e negli aromi e, conseguentemente, nelle caratteristiche finali delle due tipologie. I diversi profili ottenuti in funzione delle condizioni di maturazione con l’analisi SPME-GC sottolineano la presenza di tali differenze che si ripercuotono sulle caratteristiche dei prodotti finali ottenuti nelle due condizioni di affinamento. Infatti, i risultati del panel test confermano che i

169 prodotti sono percepiti come diversi da panelisti addestrati e che le differenze sono estremamente marcate. Il fatto che i risultati ottenuti non abbiano indicato una diversa distribuzione delle specie presenti in rapporto alle modalità di affinamento non va in contraddizione con quanto precedentemente affermato, cioè che i prodotti ottenuti nelle due produzioni sono significativamente diversi. Infatti le diverse condizioni di maturazione possono influenzare maggiormente, oltre che i rapporti quantitativi (come osservato) tra i gruppi microbici, anche la composizione in termini di specie di altri gruppi più sensibili alle stringenti condizioni di maturazione. Inoltre esse possono direzionare i metabolismi degli stessi lattobacilli per quanto riguarda la trasformazione dei prodotti della lipolisi e della proteolisi. Infine non è da escludere con i dati in nostro possesso che, nell’ambito della stessa specie, vengano selezionati dalle peculiari condizioni presenti, biotipi con caratteristiche fenotipiche diverse. Tuttavia, il marcato effetto sulle cinetiche di maturazione del periodo di affinamento indica che, dal momento che non è possibile standardizzare la materia prima né influenzare le condizioni di maturazione, che risentono dell’andamento stagionale, è necessario ottimizzare il tempo di maturazione prima dell’affinamento in grotta e/o di modulare il tempo di permanenza nella stessa, anche in rapporto alle caratteristiche desiderate per il prodotto da commercializzare. In conclusione, l’effettuazione della fase finale della maturazione nelle grotte di Santarcangelo, pur determinando significative modificazioni quantitative della popolazione microbica, non incrementa i rischi per la salute del consumatore. Pertanto i dati sino ad oggi acquisiti fanno ben sperare per una utilizzazione alternativa delle grotte di Santarcangelo in grado differenziare e valorizzare le produzioni locali, aumentandone il valore aggiunto e conferendo loro una “tipicità”. Tutto questo ovviamente può avere delle ricadute sull’economia locale, apportando nuova linfa alla ben nota vocazione turistica del comune anche nell’ambito gastronomico e, più in generale, culturale, con il recupero di una parte così importante della storia locale.

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare la Prof.ssa Maria Elisabetta Guerzoni, il Prof. Erasmo Neviani, la Prof.ssa Monica Gatti, ma un ringraziamento speciale va al Prof. Fausto Gardini, per il suo costante appoggio ed aiuto durante tutto il lavoro di tesi. Ringrazio la Dott.ssa Nicoletta Belletti e la Dott.ssa Giulia Tabanelli per la loro infinita disponibilità. Un ringraziamento speciale a tutti i miei colleghi, ma soprattutto amici, che mi hanno sostenuto ed aiutato durante questi anni: Dott.ssa Benedetta Bottari, Dott.ssa Angela De Lorentiis, Dott. Claudio Bove, Dott.ssa Francesca Turroni, Dott.ssa Elisa Sgarbi, Dott.ssa Marcela Santarelli, Dott.ssa Valentina Bernini e Dott.ssa Camilla Lazzi. Ci tengo a far sapere a tutti loro che lavorare insieme, seppur tra mille difficoltà, è stato davvero bello. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito alla stesura di questa tesi, soprattutto Alessandro per il suo appoggio informatico. Ringrazio i miei genitori che mi hanno permesso, ancora una volta, di realizzare anche questo. Ringrazio Brian e Patrik, che con il loro sorriso e per il solo fatto di esserci hanno contribuito a far passare ogni momento di sconforto, come fanno sempre senza rendersene conto. Ringrazio mia cugina Stefania, la mia sorella maggiore, per il sostegno e i consigli che sempre mi offre da una vita. Ringrazio mia cugina Cinzia, per aver sempre condiviso con me tutti i nostri problemi. Ringrazio mio fratello Valerio, augurandogli mille soddisfazioni nella sua carriera futura. Ringrazio mia zia Ivanna per esserci sempre, ma soprattutto, ringrazio mia nonna Arduina, il mio faro nella notte.

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