IL GAY PRIDE E LA SCOMPARSA DI RIFONDAZIONE Di Eros Cococcetta
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IL GAY PRIDE E LA SCOMPARSA DI RIFONDAZIONE di Eros Cococcetta [ mercoledì 12 giugno 2019 ] Il recente articolo Micaela Bartolucci sul “gay pride” di Roma dell’8 giugno mi ha fatto ricordare qual è stato, a mio parere, il principale motivo della scomparsa dal Parlamento nazionale di Rifondazione Comunista, di cui Fausto Bertinotti era leader indiscusso. Un po’ di cronistoria: Alle politiche del 2001 R.C. ottenne il 5%, ma alle politiche del 2006 (vittoria dell’Ulivo di Prodi su Berlusconi) aumentò i voti sia alla Camera (5,84%) che al Senato (7,37%), appoggiando l’Ulivo dall’esterno con i famosi “patti di desistenza”. Tra i 41 deputati eletti da R.C. c’era anche VLADIMIR LUXURIA (eletto nella circoscrizione Lazio 1). Dal momento della sua elezione e per i due anni successivi (la XV legislatura durò esattamente 2 anni dal 28.4.2006 al 28.4.2008), Luxuria era di fatto onnipresente nei mezzi d’informazione. Non era raro sentire di giorno una sua intervista al TG e la sera dello stesso giorno vederla come ospite in qualche programma serale, politico o di intrattenimento. In poche parole VLADIMIR LUXURIA era diventata L’IMMAGINE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA e della sinistra in generale. Come poteva l’operaio di Marghera o dell’ILVA di Taranto, l’elettricista di Terni o il disoccupato della periferia di Roma accettare come suo riferimento politico un transgender? IMPOSSIBILE. Non credo che Bertinotti all’epoca si sia reso conto di questo grave danno d’immagine, altrimenti lo avrebbe corretto. Così Rifondazione Comunista, già oggetto di pesanti critiche per i Rolex al polso e le giacche di cashmere, alle successive elezioni politiche del 14 aprile 2008 ricevette il colpo di grazia non superando neppure la soglia di sbarramento del 3%, mentre Berlusconi e i suoi alleati fecero il pieno di voti. Morale della favola, se la sinistra si occupa soltanto dei diritti civili e delega l’economia e la tutela dei diritti dei lavoratori ai neoliberisti e alle élite finanziarie che controllano l’Unione Europea — le quali ovviamente perseguono i loro interessi cioè gli interessi dei ricchi, che da quando esiste il mondo sono contrari a quelli del popolo — è destinata non solo a perdere sempre di più ma proprio ad estinguersi. E mi sembra giusto che vada così. Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101 BERTINOTTI: “TORNEREMO AL VOTO MOLTO PRESTO” [ 15 marzo 2018 ] Secondo Fausto Bertinotti si tornerà al voto molto presto, poiché la rivolta anti-élite, pur legittima, è ancipite, ha due teste che puntano in opposta direzione. Bertinotti afferma infine, di M5S e Lega, che la pars destruens è condivisibile, la pars construens è inadeguata, dato che nessuno dei due movimenti propone un “diverso modello di sviluppo”. E dunque? Dunque occorre, aggiungiamo noi, prepararsi ad una fase di alta instabilità ed a costruire un partito populista di sinistra e di massa. * * * « D. Partiamo dal voto. R. La vittoria di M5s e Lega è la manifestazione di una rivolta lungamente covata, inespressa, impossibilitata a emergere per la mancanza di soggetti politici capaci di darle forma. Fino al 4 marzo. E gli altri? Il voto ha affossato gli ultimi residui di tradizione politica del paese, Forza Italia e Pd, per quanto essi stessi frutto di una lunga metamorfosi rispetto a quello che c’era prima. Partito democratico e Forza Italia sono al capolinea? Secondo me sì. Poi le burocrazie possono sopravvivere a tutto. Ma come costruzioni inerti. Restano dunque Lega e M5s. Come le definirebbe? Due realtà politiche concorrenti, formatesi sull’onda di una pressione politica antielitaria. Tutte e due affondano le radici del loro successo nell’attraversamento del guado che ha segnato il passaggio dal precedente sistema politico a quello in cui ci troviamo, ancora non bene delineato. Come vede il loro antielitarismo? E’ ambiguo. Contiene un elemento importante: la critica a un potere ormai privo di legittimazione democratica. La mozione antielitaria di Lega ed M5s è fondata e positiva, il dubbio è che questa rivolta oscuri, invece che portare alla luce, la contesa sul vero problema di fondo: il modello di sviluppo. In altri termini, che cosa rischia di sfuggire? La diseguaglianza, che è il cuore del problema. Non solo la diseguaglianza è stata il grande assente della campagna elettorale; ci dicono continuamente che il 5 per cento della popolazione italiana possiede il 30 per cento della ricchezza del paese e mille altri dati di questo tipo, solo che tutti questi dati vengono resi inerti; restano confinati alla sfera della comunicazione, non toccano quella della politica. Non era mai accaduto. Una volta le classi politiche cercavano di far vedere in ogni modo che avevano ridotto le diseguaglianze, oggi non più. La politica è finita in una bolla? Sto dicendo proprio questo. Quindi lo scontro con le élites è del tutto fondato, poiché le élites sono le principali responsabili della bolla, ma l’offensiva, giustificata, contro di esse finisce per essere l’alfa e l’omega del conflitto politico. M5s e Lega, le due forze concorrenti, possono trovare una sintesi sotto il comandamento della governabilità? No. Il blocco sociale del Sud è necessariamente portatore di una richiesta basata sull’avere, perché è povero e sconfitto. Quello del Nord chiede di essere protetto contro una minaccia: il rischio che la ricchezza prodotta sia redistribuita ad altri, il rischio che gli immigrati rappresentano per la sicurezza e il lavoro e così via. Gli elettori del Nord hanno votato anche contro i poteri ordoliberali europei. Vero. Da un lato questi ceti vedono bene che le grandi forze del capitalismo finanziario globale, le stesse che legittimano le oligarchie europee, hanno prodotto un processo di spoliazione e diffuso la povertà. Dunque la critica a quest’oligarchia è condivisibile e ha un fondamento sociale riscontrabile, ma al tempo stesso mette in luce la natura ambigua dei due movimenti, perché invece di sfidare quell’oligarchia sulla base di una visione alternativa di società, di classe dirigente e di modello di sviluppo, fanno della dimensione local-nazionale una struttura protettiva. La pars destruens è condivisibile, la pars construens è inadeguata. Dunque se un patto M5s-Lega non è possibile? Penso che andremo al voto rapidamente, perché la rivolta non è compiuta e se si arrestasse potrebbe rovesciarsi contro coloro che la rappresentano. A questa condizione se ne aggiunge una seconda. Essendo concorrenti, ognuna delle due forze può pensare allo showdown definitivo: oggi abbiamo vinto entrambi, ma uno solo deve uscire vincitore. Come si evolverà la situazione nei prossimi giorni? Io credo che nessuno dei due voglia fare il governo. La contraddizione tra gli interessi di cui sono portatori e la necessità di istituzionalizzarsi è troppo profonda. Ma quale sarà la risposta dell’establishment a questa situazione? Dal nostro presidente della Repubblica fino alle classi dirigenti reali, cioè quelle non politiche, l’Europa dispiegherà come mai prima d’ora tutte le ragioni della “stabilità”. Vedo aumentare lo scontro tra la logica della resa dei conti e quella della cosiddetta responsabilità. Vuol dire che la partita non è decisa. Non lo è perché il partito della stabilità è molto debole. Per forza, è stato lui a produrre le forze dell’instabilità! L’aver inseguito la stabilità anche con il forcipe, il rifiuto di andare alle elezioni quando sembravano necessarie, l’invenzione di un governo Monti, aver difeso a oltranza le dottrine del debito e del fiscal compact ha prodotto quello che vediamo. Come si concilia con il fiscal compact la piattaforma del candidato ministro del Lavoro di M5s, Pasquale Tridico? Non si concilia proprio. Bertinotti, manca la sinistra. E’ così purtroppo. E’ la prima volta che accade nella storia della Repubblica e le conseguenze sono enormi: la mancanza di un vero soggetto politico di sinistra colloca i bisogni sociali, le pulsioni, le speranze di una vasta parte di popolo fuori da una qualsiasi proiezione politica. Una sinistra politica vera attraverserebbe M5s e Lega svelando le loro contraddizioni. Da dove può venire una nuova sinistra? Non da un’ennesima riedizione dei suoi vecchi confini politici, perché quel popolo si è decomposto. Può venire solo dall’esterno. Ma non parliamone ora, per favore. E’ un altro capitolo». * Fonte: Politica Intervista di Federico Ferraù BERTINOTTI E LE ELEZIONI: “LA SINISTRA SALTI IL GIRO” [ 20 novembre 2017 ] Ci segnalano e volentieri pubblichiamo un articolo su quanto detto da Bertinotti intervenendo a Radio Cusano Campus. QUI l’audio dell’intervista intera. «L’ipotesi di astenersi dal partecipare alle prossime elezioni politiche da parte delle sinistre è una tendenza necessariamente minoritaria perché l’attrazione elettorale su quel che resta della democrazia è un principio di autoconservazione. Vogliono sopravvivere nel residuo che ancora vota. Saltare un giro sarebbe una manifestazione di grande coraggio politico intellettuale, vale a dire: siamo stati sconfitti in questa vicenda storica, ci ricostruiamo nel rapporto con il popolo e la società». Quello di Bertinotti è un sasso che fa male e che fotografa impietosamente lo stato della sinistra esterna al Pd. Aggiunge l’ex segretario di Rifondazione comunista: «Riconosco tuttavia che questa suggestione è di difficilissima attuazione per le forze attualmente in campo». Del resto, in previsione di riunioni-fiume sulla formazione della possibile lista unitaria della sinistra egemonizzata da gruppi e lobby, hanno gettato la spugna – per ora – finanche Anna Falcone e Tomaso Montanari, garanti dall’assemblea del Brancaccio in avanti di un “processo realmente democratico e partecipato dal basso”. Le previsioni realistiche prevedono intanto un sei-sette per cento di voti, se si riuniranno insieme Sinistra italiana, Mdp e Possibile. Il che equivale a una trentina di seggi, se va bene, alla camera e una ventina al senato. Non ci vuol tanto a immaginare come non sia facile decidere le candidature e distribuire quelle eleggibili equamente tra le varie componenti in base a rapporti di forza per altro immaginari.