14.12.2017 Puerto Escondido (G. Salvatores - Italia 1992) - Opinione - Peyote all'amatriciana

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Peyote all'amatriciana brest 18.04.2016

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Una nuova fuga salvatoregna, ma… Azione per questa opinione Svantaggi: Modifica la tua opinione … è arduo trasporre il romanzo con l'andamento Scrivi un commento lento del bandolero stanco . Su di me: Recensioni di TUTTI i film che ho visto al cinema nella mia vita, Aggiungi brest agli Autori preferiti dal passato al presente (ad oggi: ... Richiedi le Opinioni di brest Continua... Iscritto da: 07.02.2001 Opinioni: 981 Fiducie ricevute: 533 Leggi di più su questo prodotto

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Odissea italo­messicana del bauscia Mario Tozzi (), vicedirettore di banca costretto traslocare in fretta e furia la sua vita oltre Atlantico a causa del commissario Viola (Renato Carpentieri) poliziotto pluri­omicida della/nella questura di Milano. Le valutazioni dell'Opinione Giunto sulla sponda di un altro oceano, l’emigrante di lusso («… eh, in Italia abbiamo la cucina più buona e il campionato più bello del mondo…»)(*) prova a costruire una minima rete di relazioni per la sua sussistenza, e s’imbatte in una coppia di connazionali già da tempo adottati da quel luogo primitivo e solatio, Anita (Valeria Golino) e Alex (Claudio Bisio), nei cui espedienti si trova ad essere immancabilmente invischiato: passi per l’incauto Questa Opinione su Puerto Escondido (G. acquisto di un gallo da combattimento (in Messico la roba politicamente scorretta va forte), ma quando si cominciano a progettare rapine e assalti a Salvatores ­ Italia 1992) è stata letta 403 vo stata così valutata dagli iscritti: celle di sicurezza, ecco che non si sa più dove finisce la scimmiottatura zapatista e dove inizia la sbornia allucinatoria di chi mangia funghi magici in un deserto obliquo da cui si può iniziare a levitare, senza fine. "Eccellente" per (91%): Nel Messico gli italiani restano brava gente anche se fanno i delinquenti, trovano la gastronomica armonia coniugale se lo erano davvero, si incontrano e si riconoscono come parenti serpenti in gita premio: una faccia una razza, sempre uguale e sempre indulgente con se stessa, anche quando 1. koyanisqatsi costruisce case su ponti che dovrebbe solo attraversare. 2. mrforni

Tranquilli, se non si ottiene il perdono ci sarà sempre un condono. 3. micetta222 Di base sono stato (e fondamentalmente sono tuttora) un grande fan di Gabriele Abatantuono e Diego Salvatores. Cioè no, scusate il lapsus: Diego e ancora altri 18 iscritti Abatantores e Gabriele Salvatuono... insomma, avete capito. C’è stato un tempo, tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 del secolo scorso, in cui la simbiosi "molto utile" per (9%): artistica tra regista­autore da un lato e mattattore dall’altro produsse una serie di piccoli grandi capolavori che ancora e per sempre albergano nel mio cuoricino di ex­ragazzo innamorato dei film, del viaggio, dell’amicizia: “” (1989), “Turné” (1990) e “ (1991) costituiscono 1. catina56 una successione di evasioni geo­morali che è semplicemente impossibile non amare, se si è italiani e si era ventenni all’epoca del primo film. 2. Herwins , regista proveniente La valutazione generale di questa Opinione dal palcoscenico (co­fondatore del Teatro dell’Elfo e autore di basa solo sulla media delle singole valutazio numerose produzioni negli anni ’80 e ’90) ha trovato poi Fotografie per Puerto Escondido (G. Salvatores ­ Italia 1992) nell’espressione cinematografica il suo più solido e continuo strumento di popolarità, anche grazie al connubio con l’ex­ Risultati simili a Puerto Escondido (G. Sa cabarettista apulo­milanese Diego Abatantuono, divenuto ­ Italia 1992) curiosamente un divo in una dimensione di anti­alter ego del regista e sceneggiatore di cui è ormai amico fraterno. lg g2 lg g3 motorola moto g lg g2 min Dopo il boom di quella che la pubblicistica ha etichettato come la ‘Trilogia della Fuga’ il cineasta parte milanese e partenopeo (è nato dizionario inglese­italiano infatti a Napoli 66 anni fa) continuò la sua ormai lanciata carriera di filmaker con titoli di alterno valore, tra cui ad ogni modo spiccarono piccoli grandi gioielli come “Nirvana” (1997), “” (2000), “Io non ho paura” (2003), “” (2014, ve lo raccomando caldamente). Nel periodo di mezzo tra T rittico Memorabile e proseguimento della filmografia, GS piazzò un altro paio di titoli ancora auspicati come appartenenti alle atmosfere dei tre precedenti, ma che per motivi diversi non riuscirono ad avvicinarsene per bellezza, empatia e capacità di coinvolgimento: uno di questi fu “Sud” (1993), che vidi solo in tv e che mi sembrò abbastanza fiacco; l’altro fu la mia prima vera delusione savatoregna in una sala buia, che dovetti subire mercoledì 25 novembre 1992 davanti al grande (ma non grandissimo) schermo del cinema Marconi di Verona (buonanima pure lui…).

Spiegarvi, a distanza di appena ventiquattro anni, le ragioni del mio così scarso entusiasmo per un film il cui regista adoro, mi obbliga a ricostruire la genesi dell’opera a partire dal soggetto, un romanzone (nel senso di ‘molto lungo’) a firma Pino Cacucci, scrittore che all’epoca godeva anche di un’ottima stampa. Il ‘Puerto Locandina originale Escondido’ cartaceo (pubblicato nel 1990) faceva confluire, nel voluminoso spessore delle sue quasi quattrocento pagine, una piccola grande avventura di paura, esilio, straniamento, apparente salvezza. Per rendere il racconto letterario minimamente formattabile sulle dimensioni (estetiche, temporali, percettive) del pubblico di cinema il fido Enzo Monteleone amputa semplicemente un ampio troncone iniziale per fiondare il protagonista direttamente in Messico: scelta forse inevitabile, ma che toglie a molti comportamenti e molte scelte dell’antieroe le comprensibili radici motivazionali, affidando al solo carisma del mattatore Abatantuono l’ingrato compito di rendere le azioni di Mario Tozzi spiegabili ed emotivamente logiche. Esse vengono interpretate dall’atteggiamento abatantuoniano classico (l’italiota superficialotto, il macho fragile, il poliglotta improvvisato, il ruvido­ pavido etc.) piuttosto che recitate in funzione dello script, così che il flusso complessivo dei comportamenti del protagonista impronta e ‘deforma’ http://www.ciao.it/Puerto_Escondido_G_Salvatores_Italia_1992__Opinione_1967462 1/3 14.12.2017 Puerto Escondido (G. Salvatores - Italia 1992) - Opinione - Peyote all'amatriciana pressoché ogni snodo della narrazione vera e propria nel senso di una personale avventura di non­formazione , perché Tozzi in realtà non appare mai davvero trasformato dalla serie di vicende picaresche che accadono a lui e ai sui disordinati compari. Messico e nuvole, sì, ma queste sono coltri di superfluità (talvolta spassose, più spesso no) che filtrano grigiamente la solarità disperata e quasi camusiana della figura letteraria d’origine, normalizzandola al linguaggio e al ritmo quasi televisivo della spezzettata successione sequenziale, mentre la fotografia e lo sguardo della cinepresa tentano, da parte loro, di restituire la lirica vastità di una Terra Incognita: anche questa distonia tra disilluso cabotaggio della sceneggiatura e titanica ambizione dell’occhio narrante contribuisce all’assemblaggio di un film troppo diseguale e squilibrato, pieno di elementi interessanti e mal dispiegati, e di attori italiani (cammeo dell’altro fedelissimo ) sempre nel disagevole bilico tra caratterizzazione e caricatura. L’allora già veterano Renato Carpentieri, in particolare, ha in dote un personaggio di sbalorditiva sbrigatività, uno che ammazza a sangue freddo con la naturalezza con cui si schiaccia un moscerino, e che poi ritroviamo casereccio masterchef sotto padrona (la moglie) di una locanda centroamericana: per un importante personaggio che pare refrattario ad ogni metamorfosi (quello di Abatantuono) ne troviamo invece un altro, altrettanto importante (se non altro perché innesca romanzo e film), che subisce un cambiamento che sarebbe stato meno radicale se lo avessero rapito gli Ufo e sostituito con un sosia (per capirci, un po’ quello che è accaduto a inizio anni ’90 ad Antonello Venditti – non c’entra nulla, eh, è solo un esempio).

Tanto tempo è passato da questa visione cinematografica, ma a così grande distanza il ricordo della mia delusione tuttora mi colpisce: “Puerto Escondido” viaggia su latitudini divergenti e lontane in un modo così acrobatico che riesce nell’impresa di non piacere quasi a nessuno, di tradire sia romanzo sia spettatore, di sprecare un potenziale avvincente a beneficio di una sbiaditura macchiettistica dell’italiano terrorizzato e perciò fuggitivo ma fondamentalmente sempre cazzaro. Non so se consigliarlo nemmeno agli storici fans del regista, ed è quasi un miracolo che le mie due ciao­stellette (inappellabili) siano riscontrate da un volto decimale sorprendentemente tenue nella sua insufficienza, per indulgenza verso Abatantuono, per grata amicizia verso Salvatores, perché alla fine, sinceramente, sono un gran bonaccione pure io.

In una delle sequenze più visionarie del film, il Tozzi s’intozzica, pardon, s’intossica con del peyote, quel famoso fungo messicano dalle accentuate proprietà allucinogene. In un gioco di carrello e zoom, un’inquadratura da mal di testa ci vorrebbe descrivere la goffa, enorme distanza tra percezione e realtà, tra volo d’uccello e delirio da pirla (sì, alla milanese), e il trucco riesce, tanto da farci compatire ad un tempo la sfasatura esistenziale del povero avventuriero meneghino e il destino ibridamente opaco del film stesso, che pare azzardare un esperimento analogo a quello, ben più riuscito, dei film western diretti con budget risibili da registi italiani su set andalusi trent’anni prima. Lo spaghetti­mexico , ovvero la personalizzazione regionalista del tema del viaggio a sud, sceglie una via ‘prepotente’ per arrivare al cuore del pubblico, ovvero un attore popolare e di immediata simpatia, ma poi lo obera con un sovraccarico di eventi e sensi che da solo non può riuscire a trascinare, così la sensazione è quella di un faticoso, pentito arenarsi su una spiaggia senza mare, di una sete senz’acqua e di una fame atavica, che per saziarsi trova solo un beffardo piatto di peyote all’amatriciana.

(*) Nella serie A di quegli anni giocavano ancora Gullit e Van Basten, e il infilava cinque finali di Champions’ in sette stagioni, e le squadre della serie A ventidue finali europee in dieci anni: un’Età dell’Oro che per noi tifosi italiani mai più tornerà.

SCHEDA PUERTO ESCONDIDO (Ita 1992, 1 15’). Regia: Gabriele Salvatores. Soggetto: Pino Cacucci (dal romanzo omonimo, edito da Feltrinelli). Sceneggiatura: Enzo Monteleone. Fotografia: . Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Alejandro Olmas, Marco Belluzzi. Costumi: Francesco Panni. Musiche originali: Federico de' Robertis, Mauro Pagani. Con Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Valeria Golino, Renato Carpentieri, Fabrizio Bentivoglio. (Voto: 5,5)

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Commenti su questa Opinione

catina56 Pubblica commento 01.10.2016 15:36 max. 2000 caratteri grazie Prego aggiungi il tuo commento qui

koyanisqatsi 15.05.2016 11:26 (mhhh, chissà se si è accorto che non ricordo niente neanche di questa pellicola)

koyanisqatsi 15.05.2016 11:25 Non so perché, ma il mondo visto dalle pellicole italiane sembra sempre lo stesso. Cambiano i colori, le culture, la storia, ma (personalmente) ho sempre l'impressione di trovarmi appena fuori il raccordo anulare. "Marrakech Express" è sicuramente più godibile di questo, ma facci caso, sei in Marocco o sei in Messico è come fosse la stessa cosa. Il protagonista è sempre "l'italiota", tutto quello che tocca si trasforma in "belpaese". Guarda i commenti Pubblica il tuo commento

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