Antonella Clementoni 956141

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Antonella Clementoni 956141 Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School Dottorato di ricerca in Storia delle Arti Ciclo XXIX Anno di discussione 2017 Gli architetti e l’ archeologia: Roma 1922 - 1938 SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE DI AFFERENZA : ICAR/18 Tesi di Dottorato di Clementoni Antonella, matricola 956141 Coordinatore del Dottorato Supervisore del Dottorando Prof. Martina Frank Prof. Guido Zucconi Supervisore esterno Arch. Michele Campisi a mio Padre 2 INDICE Ringraziamenti 4 Introduzione 5 Capitolo 1 Archeologi e architetti: quali discipline per il restauro? 12 Capitolo 2 I protagonisti del Ventennio 60 2 .1 Corrado Ricci Lo studio della storia e dell’archeologia: i Fori 60 2.2 Alfonso Bartoli Lo studioso del Palatino e Foro Romano: il caso del tempio di Vesta 83 2.3 Antonio Munoz La ricomposizione dell’immagine: il tempio di Venere e Roma 103 2.4 Gustavo Giovannoni Il restauro dei “monumenti morti” 124 Capitolo 3 La Mostra Augustea della Romanità e i disegni inediti di Pasquale Carbonara e Luigi Piccinato 145 3.1 L’Ara Pacis Augustae e la sua ricomposizione 175 3.2 L’isolamento del Mausoleo di Augusto 196 Capitolo 4 La Mostra del Restauro dei Monumenti nell’Era Fascista 216 Conclusioni 244 Bibliografia 253 Fonti archivistiche 274 3 Ringraziamenti Colgo, con vivo piacere, l’occasione per dichiarare il mio debito di gratitudine verso Guido Zucconi, supervisore di questa ricerca, che pur non conoscendomi ha creduto fin dall’inizio in questo lavoro dedicato ad un periodo storico ancora controverso e oscuro sulla storia del nostro paese. Stessa gratitudine è rivolta a Michele Campisi e al suo incitamento dimostratomi in periodi di crisi. Sono inoltre debitrice nei confronti dei funzionari degli archivi e delle biblioteche dove ho svolto prevalentemente le mie ricerche: a Massimo Pomponi dell’Istituto Nazionale i Archeologia e storia dell’arte; Daniela Ronzetti dell’ufficio di coordinamento della sala di consultazione dell’Archivio Storico Capitolino; Attilia Luigia dell’archivio di documentazione archeologica della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici del Comune di Roma; Paola Chini e le sue fidati assistenti dell’Archivio Storico e Disegni della Sovrintendenza Capitolina; Giuseppe Morganti della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale di Romano e l’area Archeologica di Roma; Maria Letiza Accorsi, Marina Docci e Maria Grazia Turco del Centro di Studi per la Storia delll’Architettura; Angela Maria D’Amelio del Centro di documentazione di Palazzo Braschi; Mario Colucci della Biblioteca del Dipartimento di Storia, disegno e restauro dell’Architettura; Laura Armenio Direttrice della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura di Roma; i responsabili e il personale della sala studio dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma. In ultimo ringrazio la mia famiglia, in modo particolare mia madre, che mi hanno sostenuto anche in momenti difficoltosi. 4 Introduzione Il compito preminente che si è assegnato il Regime nel corso del suo pesante Ventennio è, con assoluta priorità ed in fondo evidente ragione, quello di fornire all’Italia le strutture di una moderna civiltà novecentesca ed un’immagine della sua raggiunta evoluzione. Obiettivi faticosi per chi come l’Italia uscita dal primo dopoguerra possiede ancora una evidente difficoltà di condividere i nessi di una geografia tradizionalmente discorde. Non mai messa in discussione, il centro di questa costruzione iconologica: l’emblematica immagine dell’intera nazione, non può che essere Roma. È dunque ovvio che maturi nell’intenzione del Duce, col passare del tempo, matura la vanità di lasciare nella città eterna un’impronta del suo epocale passaggio, come nei secoli passati avevano già fatto i Cesari e i Papi, con quella della Città Eterna. L’idea darà luogo ad un “progetto” sistematico i cui singoli punti dispersi nei vari ambiti urbani procureranno la più disastrosa ferita alla storia di questa città. Demolizione di interi quartieri medievali, rinascimentali, o soltanto la distruzione di numerose chiese barocche, saranno il risultato di queste intenzioni mitigate, con qualche poca consolazione, dalle attività di restauro avvenute a volte non senza qualche perplessa conclusione. Anche i monumenti antichi dunque saranno liberati e raschiati da tutto ciò che le vicende edilizie avevano costruito intorno a loro. Coadiuvante indispensabile di queste idee, si fa ovvia strada la consuetudine dell’isolamento : i secoli della decadenza dovevano scomparire lasciando ai soli monumenti millenari, il compito di giganteggiare indisturbati nella loro icastica solitudine. Quest’epoca, fortemente voluta dal Duce, si compirà con la complicità di architetti, archeologi e storici illustri. Sono questi gli intellettuali del regime . Personaggi che in modo diverso appaiono legati al movimento fascista e che pubblicano le loro ricerche e i loro progetti sulle riviste ufficiali e propagandistiche come Capitolium e L’Urbe , fondate proprio in quegli anni, oppure su riviste di divulgazione scientifica, quali Notizie degli scavi , Bollettino d’Arte o il Bullettino Comunale . Tutti questi monumenti, liberati da tutte le costruzioni che ne avevano favorito la conservazione per secoli ora, nella maggior parte dei casi, si sarebbero presentati in uno stato di rovina, privi di alcune parti essenziali per la loro stabilità verso cui dovevano rivolgersi provvidenziali misure di restauro. La città non può che apparire, ai visitatori stranieri, meravigliosa e potente, come in passato era stata la Roma di Augusto. 5 Roma fin dal secolo XIX è stata un modello da seguire e se vogliamo anche un esempio da imitare nella tradizione del cantiere di restauro. In modo particolare, interessantissimi sono stati nel campo delle reintegrazioni dei vecchi monumenti una serie di episodi non completamente noti. Singolari sono state le esperienze dell’epoca napoleonica e poi di quella della Restaurazione. Non dobbiamo dimenticare i famosi i restauri eseguiti da Stern e dal Valadier al Colosseo e all’Arco di Tito. Un restauro quest’ultimo che lo storico francese Quatremere de Quincy, riporta nella voce “Restaurare” del suo “Dictionnaire historique d’Architecture” . Una novità, dunque, per l’epoca, dato che la parte nuova era già perfettamente distinguibile dal vecchio, sia per il materiale, diverso dall’originale, andato a colmare le lacune, sia per la semplicità della decorazione di colonne, capitelli e bassorilievi, d’età Flavia. Ma sappiamo benissimo che l’intento dell’epoca non è proprio quello di distinguere la parte nuova, andata a colmare la lacuna da quella originale. Dai documenti sembrerebbero piuttosto condizionati da ben più prosaiche condizioni di economicità. Tant’è che lo stesso Valadier ne riporta nella notissima “Narrazione artistica dell’operato finora nel ristauro dell’Arco di Tito” . Restauro è imitazione dell’antico; traduzione dell’intento più immediato della restituzione e integrità delle strutture. Cuciture, restituzioni, integrazioni avvengono senza la pur minima distinzione tra vecchio e nuovo tanto che, molto spesso, per nascondere la parte aggiunta, si ricorre all’utilizzo di patine o false tinte, a base di vernice o ad olio. Qualche primo tenue segnale di un cambiamento nei riguardi delle reintegrazioni, si avverte alla metà del XIX secolo e precisamente con il restauro del Portico dei Dodici Dei Consenti. Anche se le fonti documentarie ci riferiscono che l’intervento fu realizzato in economia, esiste testimonianza della volontà da parte dell’esecutore del progetto, il Grifi, di utilizzare un materiale diverso, come il travertino, anziché il marmo dell’esistente colonnato. A dimostrazione di quanto detto, ci sono le parole, lasciate nei carteggi, dello stesso restauratore, dove come esempio da seguire si indica l’Arco di Tito. Ma i tempi non sono ancora maturi per tali soluzioni. Sono invece anni buoni per la ricerca di una perfettibilità nel “Restauro”, che consenta non solo la riuscita del lavoro, ma anche la possibilità di trarre in inganno l’osservatore meno esperto. Anni ancora passati sugli esperimenti dei materiali e sulle loro diverse applicazioni tecnologiche. Test da cui non sono estranee le componenti relative ai vecchi materiali e la loro capacità di riproporle. Criterio, questo, adottato per il Pantheon, un monumento 6 sopravvissuto intatto nei secoli. La ricerca verso questa perfezione nei materiali ci porterà, nei primi anni ottanta dell’Ottocento, a confrontare le varie componenti delle vecchie malte con quelle correnti, cercando in alcuni casi, di ricorrere all’utilizzo di sali di ferro o di rame, da unire all’impasto cementizio. Per tutti questi anni, dunque, l’intento dell’architetto-restauratore sarà quello di dare una degna ricomposizione all’opera, restituendogli tutta la sua intangibile bellezza normativa. Con il passare degli anni si trasformerà anche in uno storico, pronto ad interrogarsi sul proprio operato solitario al cospetto delle testimonianze più sicure, acquisite attraverso i documenti e lo studio di ogni singolo componente monumentale; un attento esame storico ed artistico ed una progettazione di metodo ben definita. Il carattere innovativo di questo esercizio farà sempre più ricorso ad un’attenta riflessione filologica e scientifica, con un forte interesse verso il monumento inteso quale documento d’arte. Ciò voleva dire anche il saldo mantenimento di quelle pratiche adottate negli anni trascorsi; quella consuetudine raccolta nella manualistica del Valadier. L’utilizzo di un materiale diverso rispetto all’originale appare ormai indispensabile per reintegrare
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