LE INDAGINI E GLI STUDI SULL’EMIGRAZIONE LUCANA

Ausonio Franzoni

L’emigrazione in Basilicata*

* Ministero degli Affari Esteri. Commissariato dell’emigrazione. L’emigra- zione in Basilicata, relazione del Cav. Ausonio Franzoni, Roma, Tip. Nazio- nale Bertero, 1904.

89 Avvertenza

Ausonio Franzoni (BG 1859-Roma 1934) in seguito al suo viaggio compiuto in Basilicata dal 12 Novembre al 14 dicembre 1902 diede alle stampe due edizioni del rapporto finale di ricerca: la prima nel gennaio del 1903, la seconda nel gen- naio del 1904 (cfr. Introduzione, pp. 14-16).

Quella qui pubblicata è l’edizione del 1904 la quale differisce dalla precedente (di cui si è occupato con un esaustivo intervento Salvatore Lardino, cfr. Introduzione, p.83, nota n. 5) in relazione a due importanti aspetti: aveva in meno alcuni passi e il capito- lo La deputazione Parlamentare Lucana mentre aveva in più alcuni paragrafi, la biblio- grafia e il corredo statistico inserito in questo volume da pagina 248 a pagina 273.

Per consentire una comparazione tra i due testi i paragrafi presenti nell’edizio- ne del 1904 ed assenti in quella del 1903 (cfr. pp. 101, 102, 233, 236, 242-243) sono stati riportati tra parentesi quadra, mentre tra parentesi graffa i passi presenti nel 1903 ed assenti nel 1904 (cfr. pp. 104-105, 228-229).

Il capitolo La deputazione parlamentare lucana posto nell’edizione del 1903 prima delle conclusioni è stato integralmente riportato alla fine del testo del 1904 (cfr. pp 276-284). Non sono state invece prese in considerazione le differenze tra le due edizioni quando queste non presentavano discostamenti sostanziali ed erano relative a poche parole. Inoltre non si è tenuto conto delle differenze riscontrate tal- volta in relazione alla titolazione dei paragrafi.

Ringraziamenti

Il capitolo La deputazione Parlamentare Lucana presente nell’edizione del 1903 è stato riprodotto per gentile concessione della direttrice della Biblioteca Provinciale di Potenza, dott.ssa Angela Costabile. Ad essa ed ai funzionari della Biblioteca Provinciale, in particolare alla dott.ssa Carmelina D’Andrea, i nostri ringraziamenti.

90 Bozze di stampa riservate

R. COMMISSARIATO DELL’EMIGRAZIONE

A S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri Cav. GIUSEPPE ZANARDELLI

Brescia, 10 gennaio 1903

Non saprei incominciare in modo migliore questo rapporto che coll’e- sprimere all’E.V. la più viva e sincera riconoscenza per l’onore fattomi e per avermi porto l’occasione d’approfondire i miei studi preferiti intorno all’im- portantissimo fenomeno dell’emigrazione italiana. La lunga residenza nei paesi dell’emigrazione, ed il contatto continuo colle classi laboriose costrette a cercare in America un miglioramento alle loro condizioni economiche, m’aveva indotto a credere che l’emigrazione fosse per l’Italia, e soprattutto per l’Italia Meridionale, ancor più assai che un bene, una vera necessità; e convenisse, quindi, se non fomentarla, facilitarla in ogni modo. Lo studio delle cifre statistiche, fatto in condizioni che rendevano assai malagevole il trarne altro giudizio, che non fosse quello dei maestri o che non provenisse da concetti puramente soggettivi, m’indusse sovente a considera- re il fenomeno in modo affatto teorico, ed a credere che il solo danno da esso prodotto al nostro paese provenisse dalla deficienza di istruzione e di dignità individuale, constatata nell’immensa maggioranza dei nostri emigranti. Perciò nell’istruzione pratica delle masse emigratrici pensavo dovesse consi- stere il compito principale, se non l’unico, delle nostre autorità. Colla scorta quindi di insegnamenti teorici e di un’esperienza non scevra di pregiudizi (perché le osservazioni e gli studi si erano limitati alle sole fasi del viaggio, dell’arrivo e dello spargimento della fiumana emigratrice nel Nuovo Continente) era riuscito a compilare un libro che m’accingevo a pub- blicare, allorché l’E.V. mi fece l’onore d’affidarmi l’incarico di studiare le

N.B. - A richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, on Zanardelli, e per ordine del Ministero degli affari esteri, il cav. A. Franzoni ebbe incarico dal Commissario di recarsi in Basilicata a studiare le condizioni e le cause dell’emigrazione da quella provincia. La presente relazione rende conto della missione da lui compiuta e si pubblica nel Bollettino dell’emigrazione, lasciandosi all’autore l’intiera responsabilità delle notizie date e degli apprezzamenti.

91 cause e gli effetti dell’emigrazione in Basilicata, procurandomi così il mezzo di completare e correggere l’opera mia.

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Quale primo risultato di questo rapido viaggio, riportai la convinzione profonda che lo studio sulle origini del fenomeno emigratorio in Italia richie- de un’attenzione assai maggiore di quella che finora non gli si sia attribuito; e che la serie immensa, minuta e sapiente di provvedimenti presi per rego- larne lo svolgimento materiale, non è affatto in proporzione colle misure che dovrebbero adottarsi, e che si impongono, per attenuare, ove è necessario, il carattere morboso. Prevalsa generalmente l’idea che l’emigrazione sia uno sfogo benefico, avvenne che ogni regione in cui il fenomeno si manifesta con vivacità si consi- derò relativamente fortunata. La legge recente sottopone perciò ad un identico trattamento regioni le quali nel ventennio, non ostante un esodo fortissimo, ebbero il 20, 30 e persino il 40 per cento di aumento di popolazione (Calabria Ulteriore I e II, Puglie, parte della Campania e della Sicilia), ed altre che nello stesso periodo si videro private del 20, del 30 e persino del 40 per cento dei loro abitanti atti al lavoro (Basilicata e circondari di Cosenza e Crotone). Non tutta la Basilicata si trova in questa deplorevole condizione; ma v’hanno circondari interi che terribilmente ne soffrono (Potenza e Lagonegro) ed in essi alcuni comuni, la cui popolazione è ridotta alla parte più debole ed improduttiva e quindi in miserabile stato. (Teana, San Severino, Brienza, Calvello, Laurenzana, Marsicovetere, Pignola, Trivigno, Corleto Perticara, Stigliano, Chiaromonte, Latronico, Rotonda, mandamen- to del Pollino, Valsinni, Ferrandina, ecc., ecc.). Molti comuni, che perdettero nel ventennio 1881-1901 persino il 60 per cento dei loro abitanti adulti, hanno contribuito ancora all’emigrazione dal febbraio 1901 al 15 novembre di quest’anno1 con oltre il 10 per cento della loro popolazione (Forenza, Fardella, Laurenzana, San Fele, Grassano, Tricarico); altri, che fino al 1901 erano rimasti quasi immuni dalla tendenza emigratrice, videro allontanarsi definitivamente in questo biennio il 15 per cento dei loro lavoratori (Irsina, Maschito, Venosa), altri infine, con mia

1 1902

92 grande sorpresa, ma effimero contento, appariscono quasi guariti da questa mania, e da una percentuale altissima scesero ad una minima proporzione (Montescaglioso, Senise, Terranova, Pietragalla). L’esame attento delle cifre statistiche che raccolsi nei capoluoghi di cir- condario, prima d’accingermi ai viaggi d’ispezione, dovea naturalmente sor- prendermi per la grande diversità di manifestazioni fra comuni relativamen- te vicini e soggetti alle stesse cause di disagio; ma la sorpresa dovea di molto aumentare, quando, verificando nelle singole località l’esattezza di tali cifre, fui costretto sovente a modificare in modo radiale i concetti che m’ero for- mato, ed a rilevare, come quella stessa miseria che aveva prodotto anteriormen- te l’emigrazione, ACUITARSI ANCOR PIÙ IN SEGUITO, s’era mutata in ostacolo insormontabile ad effettuare il nuovo esodo (Irsina, Montescaglioso, San Giorgio Lucano, Valsinni, Miglionico, Grassano); mentre in alcuni comuni l’aumento del numero degli emigranti era considerato come fonte di vera prosperità (Rivello, Nemoli, Castelluccio Superiore, Maratea e Craco).

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Ho accennato alla miseria come causa impellente e principale dell’emi- grazione, onde uniformarmi alla voce generale, la quale riassume in una paro- la le cause svariatissime che in ogni paese si manifestano; ma crederei di com- mettere una leggerezza se, accettando a priori quest’affermazione, non tentas- si di analizzare le cause di tale miseria, distinguendo quelle irreparabili da quelle che (a costo di lievi, oppur di gravi sacrifici) si potrebbero attenuare. Una lunga serie di annate agricole disastrose, le mutate condizioni cli- matiche della regione in seguito ad irrazionali disboscamenti, la facilitata concorrenza dei prodotti industriali esteriori per mezzo delle ferrovie e l’ac- cresciuta coscienza dei propri diritti nelle classi (già troppo duramente sfrut- tate) dei lavoratori del suolo, appartengono alle prime; ma non sarebbero tali, a mio avviso, cui si possa imputare la morbosità dell’esodo, ove non fos- sero aggravate in tutta la Provincia dalle deplorevoli condizioni d’un’agricol- tura preadamitica, dalla distruzione completa dell’industria armentizia e dalla gravezza delle imposte, specialmente comunali, le quali ricadono nell’anti- ca integrità d’ammontare sulle popolazioni dimezzate1. Aggiungasi a queste

1 Vedansi le tabelle n. 14 e seguenti dell’appendice.

93 cause altre di natura assolutamente locale, dipendenti dal modo d’ammini- strare il Comune, dal modo di applicare ed esigere le imposte, dalla man- canza (per alcuni Comuni completa) di vie di comunicazione anco mulattie- re, da minacciati ed anco iniziati scoscendimenti dei terreni su cui si eleva l’a- bitato, dall’aumentata malaria, dall’esistenza deleteria di grandi latifondi incolti, ed infine dalla suggestione possente, prodotta dal sapere che a molti emigrati riuscì propizia la sorte. Non parrà strano allora se io limiterò questo rapporto all’esposizione di quanto ho potuto constatare personalmente, non attentandomi, neppure colla scorta di opinioni autorevoli altrui, ad esprime- re un giudizio sulle località che non ho potuto visitare.

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Prima però che io scenda ai particolari della mia inchiesta, voglia conce- dere, signor senatore, che, quale studioso del fenomeno emigratorio italiano, io faccia doverosa ammenda dell’opinione favorevole anteriormente manife- stata sopra alcuni punti della legge recente sull’emigrazione, e, principal- mente, su quelli che accordano la facoltà di emigrare agli inscritti nelle liste di leva ed ai congedati di 1ª categoria del regio Esercito e della regia Marina. Questa facoltà giunse talmente inattesa e sorprendente alle incolte popo- lazioni, che lo stesso timore s’avesse a sopprimere indusse un’infinità di indi- vidui nel fiore dell’età e delle forze ad abbandonare il loro paese (mentre nep- pure lontana intenzione ne avevano), pur di sfuggire all’onere del servizio militare, od al pericolo di successivi richiami1. La strana facilità poi, d’ottenere il passaporto per l’estero, senza spese né formalità e come risultato d’un diritto nuovo, convinse pure molti a non lasciarsene sfuggire l’opportunità, pur non essendo disposti ad abbandonare immediatamente il paese: ed agevolò poi la fuga di altri, che avrebbero dovu- to rispondere alla giustizia inquisitrice di azioni delittuose. Su questo argomento non avrei potuto immaginare maggior concordia di opinioni nelle autorità d’ogni classe, sia politiche che amministrative e giudiziarie, come nei cittadini colti ed imparziali ch’ebbero agio di constata- re in Basilicata i perniciosi effetti della legge a tale riguardo. L’apprensione vivace e generale negli studiosi teorici del fenomeno emi-

1 Vedasi la tabella n. 6 dell’appendice.

94 gratorio circa l’influenza interessata dei vettori di emigranti e dei loro agenti e della specie di suggestione da essi esercitata sulle popolazioni lucane non mi fu dato guari di giustificarla, dovendo, purtroppo, riconoscere che altre cause di ben maggiore si può attribuire la morbosità del fenomeno. Solamente nel circondario di Melfi, il quale apparisce relativamente meno afflitto che gli altri dall’emigrazione, mi vennero fatti appunti che cercai dilucidare, utiliz- zando all’uopo anche l’autorità di Pubblica Sicurezza, senza che potessi accer- tare alcun fatto concreto. Presso la regia Prefettura di Potenza, presi visione di alcuni procedimen- ti iniziati contro rappresentanti di vettori sulla base di anonime denunzie (fra i quali uno riferentesi al mandamento di Lauria); ma in nessuno riscontrai gli elementi delittuosi che si sogliono immaginare. Però dai sindaci dei comuni di Castelgrande e di San Chirico Raparo, che non potei includere nella mia visita, ebbi (troppo tardi per recarmivi espressamente, appunti precisi) ed indicazioni degne di considerazione a questo proposito. Ciò non ostante, persisto nel credere che l’influenza esercitata dai vetto- ri e dai loro rappresentanti nei paesi da me visitati non sia, in generale, tanto grave, quanto si suole temere. Dappertutto invece dovetti constatare (eccetto unicamente nel comune di Maratea ed in parte ad Avigliano, Montescaglioso e Pisticci) tale una deplorevo- le ignoranza nelle autorità amministrative circa la residenza dei loro ammini- strati in America, da spiegare la somma enorme di reclami per la sparizione di persone e la lunga mancanza di notizie e di altre e soprattutto da giustificare il mediocre beneficio che le popolazioni ritraggono dall’elemento emigratorio. Forse di questo inconveniente devesi ricercare la causa nella legge stessa, la quale non provvede affatto a diffondere istruzioni pratiche fra le persone che sono in più diretto contatto colle classi emigratrici, obbligando, quasi, il regio Commissario a prediligere, per le notizie pubblicate nel suo bollettino, quelle relative ai punti cui si sconsiglia d’emigrare, informandosi, forse, in proposito, a concetti troppo generali.

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Tra le sorprese più strane che dovevo trovare in questa rapida inchiesta, stranissima fu quella di constatare come in alcuni comuni si tragga un gran-

95 de beneficio dalla gente che si reca appunto nelle peggiori e più sconsigliate pla- ghe americane; e come invece dalle decantate regioni orientali negli Stati Uniti non arrivino da qualche tempo, in alcuni villaggi, che desolanti notizie. Sarebbe quindi desiderabile che alle cifre statistiche che si vanno racco- gliendo con minuta e commendevole cura, si facessero aggiungere notizie molto particolareggiate, non solamente sulle Province o gli Stati appartenen- ti ad una stessa nazione cui gli emigrati si dirigono, ma anche sulle singole località in cui fissano definitivamente la loro residenza; non arrestandosi davanti alla supposta difficoltà ch’esse possano venir chiaramente designate dagli interessati, mentre è notorio che nelle liste a consegnarsi da ogni piro- scafo alle autorità Nord-Americane si esige e si ottiene che tali indicazioni sieno tassativamente enunciate. Altre impressioni dovrei riferire circa il modo con cui si effettua a Napoli l’imbarco dei nostri emigranti pel Nord-America, impressioni che non tro- verei difficoltà a connettere all’oggetto della mia missione; se non temessi di allontanarmi di troppo dall’argomento che più specialmente devo trattare. Concludere quindi coll’affermare che, non solamente nel regolamento, ma anche nella legge sull’emigrazione è necessario introdurre alcune serie modificazioni, allo scopo generale di trarre maggiori benefici dall’emigrazio- ne italiana ed attenuare molti effetti perniciosi, ed allo scopo più speciale di rendere, alla Provincia che ho testé visitata, un segnalato servigio. Ciò premesso, procurerò ora di esporre alla S.V. nel modo più succinto possibile, pur non tralasciando i più interessanti particolari, le impressioni, le osservazioni e le notizie che con metodo assolutamente oggettivo mi feci un dovere di raccogliere nel mio rapido viaggio in Basilicata. Sarò tratto sovente a ripetere gli stessi concetti, obbligato a ciò dalla natu- ra stessa del rapporto, che aveva ad essere speciale per ogni località visitata. Ne chiedo ad ogni modo venia all’E.V., come la chiedo per la forma disa- dorna ed affrettata, dovuta, meno assai che alla ristrettezza del tempo con- cessiomi, alla mia insufficienza.

FRANZONI AUSONIO

96 Da Roma a Potenza

Nel Porto di Napoli

Lasciai Roma il 10 novembre u.s. e mi arrestai tre giorni a Napoli onde assistere alla partenza di vari transatlantici italiani e stranieri carichi di emi- granti diretti a Santos, New-York e Boston. Con speciale rapporto ebbi l’onore di esporre all’E.V. le osservazioni sug- geritemi da quello studio, circa il modo con cui si effettua la visita e l’im- barco degli emigranti ed il numero di persone che speculano sulla loro mise- ria per ricovero ed alimento. Accennai pure all’eccessiva autorità che venne arrogandosi il medico nord americano (addetto ufficiosamente a quel porto) a detrimento del deco- ro delle nostre autorità sanitarie e di porto, ed all’insufficienza numerica del personale cui è affidato l’importantissimo servizio dell’emigrazione. Autorevolissime attestazioni corroborano il mio asserto. Riserbandomi di riferire più estesamente in proposito, aggiungerò che, durante la visita di quattro piroscafi, ebbi principalmente di mira informar- mi sugli emigranti della Basilicata, sulle loro rispettive provenienze e desti- nazioni, e sulle cause che li avevano indotti a partire. Già dalle prime inter- rogazioni venne delineandosi chiaramente una delle cause principali della smania emigratrice, nella suggestione prodotta dal gran numero di lavoratori già stabiliti in Nord America e dalla propaganda interessata, fatta più colà che in Italia, dalle Compagnie di Navigazione straniere. È grandissimo infatti il numero degli emigranti muniti di biglietto di chiamata (prepaid) rilasciato dalle compagnie in New York ed in Boston; ed è veramente spiacevole il dover rilevare, che è precisamente a bordo dei piro- scafi più scadenti e meno veloci, che si trova il numero maggiore di questi emigranti. Così ebbi occasione di notare che a bordo del piroscafo «Victoria» della Anchor Line (piroscafo il quale diede già luogo a gravi reclami e che si trova evidentemente in condizioni deplorevoli) il numero dei prepaids era di 211 su 394 emigranti. Vari emigranti dei comuni di San Fele (Melfi), Montemurro e Brienza (Potenza), Moliterno (Lagonegro), Craco e Miglionico (Matera), concorda- no nell’affermare che emigrano perché sono stati assicurati dai loro parenti ed amici che in Nord America troveranno immediato lavoro, non ostante la

97 cattiva stagione in cui arriveranno; mente le notizie ufficiali sarebbero asso- lutamente contrarie. Il medico aiutante dell’ispettore sanitario nord-americano mi afferma che l’emigrazione della Basilicata è fra le più sane, per quanto, forse, la più igno- rante. Non è grave fatica constatare de visu la verità di questa affermazione.

Salerno

Il 13 novembre partii da Napoli per Potenza, facendo una breve sosta a Salerno onde formarmi un’idea, alle soglie della Basilicata, dell’ambiente che andavo a studiare. Non essendo munito di commendatizie per questa città, non credetti del caso di presentarmi alle autorità locali e solo cercai col mezzo di private con- versazioni di raccogliere notizie circa l’argomento che mi conduceva. Ebbi occasione di recarmi all’Ufficio della Camera del Lavoro e dal Segretario signor Luciano Ferro venni informato come nella Provincia di Salerno l’emigrazione, già importantissima pel Brasile (causa principale la facilitazione del viaggio gratuito), sia venuta ora attenuandosi e dirigendosi invece al Nord America. La città di Salerno offre massima parte operai meccanici, sarti, orafi e lavoranti in tartaruga, i quali prendono la direzione di Atlantic City, Boston, e delle stazioni termali degli Stati dell’Est; mentre i contadini della Campania, mutando il mestiere d’agricoltori in quello di braccianti e sterratori, si dedi- cano ai lavori ferroviari e di canalizzazione. L’emigrazione da Salerno viene equilibrata dall’immigrazione delle zone circonvicine, che porta disagio alla classe lavoratrice locale. Il beneficio recato dall’emigrazione è abbastanza notevole, né si nota disagio per l’assenza di braccia. Il basso Cilento ed il circondario di Sala Consilina danno il maggior contingente di contadini, così come quello di Vallo di Lucania, nel quale solamente s’è verificata nel ventennio una legge- ra diminuzione nella popolazione la cui densità è tuttavia di 72 individui per chilometro quadrato in confronto dei 39 del circondario di Matera. In generale le condizioni economiche dei lavoratori non sono misere, in paragone, soprattutto, di quelle delle regioni finitime; gli opifici dell’indu- striosissima borgata di Fratte, che offre l’aspetto dei più laboriosi comuni del

98 Polcevera e gli orti superbi e gli agrumeti e le vigne e gli uliveti e campi uber- tosi di Nocera dei Pagani, di Eboli, di Battipaglia e Buccino, lasciano spera- re che non tutto il male che si dice della prossima Basilicata risponda all’e- satta verità.

In Basilicata

Mentre il treno s’inoltra per l’erta che conduce all’altipiano Lucano, pur notandosi alcuna differenza nel modo di coltura dei campi, non si ha un’im- pressione di grande diversità, ed alle soglie della Basilicata, oltrepassati gli uli- veti di Buccino e le gole di Sicignano, la vista delle colline digradanti verso il Sele dei comuni basilischi di Balvano e Baragiano e la vasta planizie di Bella- Muro non giustifica l’apprensione di desolazione, che, sulla fede di previ avvertimenti, m’ero andato formando. Ma la vista è sfuggevole; al panorama pittoresco di Picerno succede il verde altipiano di Tito a 750 m. sul livello del mare. Di qui il treno discen- de e si arresta poco dopo Potenza. È una conca melanconica fra mezzo a montagne spoglie di vegetazione in ogni altra che non sia nella zona immediata al Basento; una strada lunga e sinuosa porta alla sommità del colle, ove a 828 metri si eleva la piccola città, che compendia in sé la vita pubblica di una regione vasta più che le provin- cie di Milano, Como, Bergamo e Cremona riunite, pur non avendo che la stata parte della loro popolazione.

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Crederei offendere l’ammirevole buon senso degli abitanti della Basilicata se, collo scopo di riuscir grato al loro sentimento affettuoso pel luogo natio, dicessi che questa città, offra, all’infuori del pittoresco panora- ma che presenta dall’alto, alcun altro motivo di ammirazione per chi vi arri- va verso la metà di novembre; ed oltre ad una discreta locanda procuri sod- disfazioni a chi deve arrestarvisi. Vie anguste e punto pulite, negozi meschini, mancanza o carenza ecces- siva di generi di prima necessità, impossibilità di provvedersi di cose che non appartengono all’uso più elementare della vita, difficoltà d’alloggi decenti per

99 impiegati e funzionari, ed inclemenza di un clima caratterizzano questo capoluogo della più vasta provincia dell’Italia continentale, dopo quella di Roma. Questi particolari possono a prima vista sembrare alieni all’argomento principale di questo rapporto; ma vi si collegano quale elemento descrittivo dell’ambiente in cui si svolge con maggiore asprezza il fenomeno emigrato- rio italiano. Dal cav. Filippo Pino, regio delegato reggente la R. Prefettura ebbi cortesi accoglienze e la più decisa cooperazione nell’adempimento del mio mandato, ed è mio grato dovere attestargliene la più viva riconoscenza. Per fortunata combinazione trovai radunate in Potenza la Deputazione provinciale e la Giunta provinciale amministrativa, in modo che mi fu dato in brevi giorni d’abboccarmi colle più distinte personalità della regione ed avere da esse utilissime e preziose indicazioni. Non ostante la più viva deferenza dimostrata verso l’elemento intellet- tuale (e sotto un certo aspetto conservatore) sia della capitale della Provincia che dei capoluoghi di circondario e di mandamento successivamente visita- ti, non sfuggii all’appunto (da alcuno cortesemente fattomi) ch’io preferissi attingere informazioni e notizie anche all’infuori dell’elemento ufficiale e rappresentativo, preferendo consultare i malcontenti politici notori e soprat- tutto le persone appartenenti alla classe più disagiata e meno colta. Il metodo obiettivo che m’ero fermamente proposto di seguire, e che era del resto nei voti del regio Commissariato, mi esime dal giustificarmi di que- sto appunto, solo in parte inesatto, poiché, se feci tesoro delle indicazioni di persone coltissime, trovai anche nelle risposte degli umili e dei malcontenti utilissimi insegnamenti.

La città di Potenza

Benché sia la capitale della Provincia e racchiuda nella sua cerchia im- portantissimi uffici, quali la R. Prefettura, la R. Corte d’appello, l’Intendenza di Finanza, le sedi del Banco di Napoli e della Banca d’Italia, una caserma di fanteria, la Direzione provinciale delle poste e dei telegrafi, gli uffici del Genio civile, ecc., ecc., ed ospiti, oltre a tutti i funzionari inerenti a questi istituti, uno stuolo di numerosi impiegati addetti alle operazioni del catasto,

100 la sua popolazione che nel 1881 ammontava a 20,353 abitanti soffrì una diminuzione del 20 per cento riducendosi nel 1901 a soli 16,163; e, non per- tanto, diede ancora all’emigrazione definitiva dal 1° marzo 1901 al 15 novembre 1902 la cifra di 730 individui. Non ostante questa fortissima diminuzione, gli affitti delle case sono altissimi ed uguagliano quelli delle maggiori città del Regno con grave pre- giudizio del nucleo numerosissimo dei pubblici funzionari. I generi alimen- tari, quali la carne, il latte1, i legumi la frutta sono carissimi; le abitazioni più meschine e più immonde, poste, in gran parte, sotto il livello stradale e nelle quali si accalca la gente povera, non importano affitto minore di 60 lire annuali per ambiente. La poca elevazione delle case pel timore dei terremoti concede fortunatamente una facile aerazione senza di che le condizioni della salute pubblica sarebbero veramente orribili.

[Infatti nella scala della mortalità la città di Potenza si trova alla sommità in confronto di tutti i capoluoghi di provincia del Regno; né apparisce che debba essere molto facile portarvi riparo].

Nella valle del Basento, ove trovansi gli edifici della stazione ferroviaria principale ed alcune case di abitazione privata e dove anticamente si vuole sorgesse la capitale Lucana, si verificano, lungo l’estate, molti casi di febbre malarica. Nessuna industria, pur di minima importanza, che offra occupazione alle classi proletarie, la cui maggioranza è composta di contadini i quali si recano al lavoro nei campi circostanti, ove rare e meschine casupole appari- scono fra i vigneti posti in ripidissimo pendio e nei quali non si scorge trac- cia alcuna di opere di sostegno per evitare frane ed erosioni di terreno. Una scuola d’arti e mestieri ben diretta ed amministrata è frequentata da un centinaio di alunni appartenenti alle classi meno agiate, i quali, quando hanno appreso un’arte, trovano difficilmente mezzo di trarne profitto, ed emigrano ov’è più facile e più proficuo il lavoro. Nessuna scuola agraria; ma solamente una cattedra ambulante di agricoltura, cui s’è aggiunta recente- mente quella di zootecnica e caseificio che era stabilita prima a Montalbano Jonico (l’una e l’altra assai parcamente fornite di materiale scientifico e spe-

1 Il latte costa lire 0.80 al litro, il burro fresco 4 lire, la carne cattiva lire 2.25 al kg.

101 rimentale) le quali non sembra abbiano prodotto finora che assai mediocre utilità, malgrado la più grande abnegazione dei loro titolari. Persiste nelle classi medie l’avversione ad indirizzare i propri figli agli studi agricoli in modo che, salvo rare eccezioni, le scuole apposite diventano rifugio di quan- ti non poterono farsi strada in altri istituti.

[I piccoli proprietari della provincia che avrebbero maggior interesse a far istruire in questo senso la loro prole si trovano poi dinanzi l’ostacolo insormontabile della spesa. Per cui l’istituzione di una scuola agraria completa in Potenza non è guari appoggiata dai provinciali, i quali preferirebbero scuole pratiche in vari punti della regione].

Le condizioni del bilancio comunale sono assai tristi, gravando su di esse gli interessi di oltre 7 milioni di debiti assunti dal Comune per opere di viabilità e costruzione d’edifici pubblici, i quali, si trovano quasi tutti in deplorevole stato.

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Ciò premesso, è ovvio che il desiderio di cercare altrove un benessere impossibile a trovarsi in patria, induca i contadini e soprattutto gli operai della città ad emigrare, tanto più esistendo la convinzione che chi si trova in America viva d’una vita più facile e lucrosa. L’emigrazione dalla città di Potenza data da molti anni; si diresse nei primi tempi alla Repubblica Argentina, quindi, allettata dal viaggio gratuito, al Brasile; ma attualmente è quasi del tutto indirizzata a New York. Giunta in America è raro assai che abbandoni i centri popolosi e si river- si nelle campagne; il contadino si dedica al mestiere di spazzino e fognatore, gli operai sembra trovino agevolmente mezzo di lavorare nel loro mestiere. Mentre un tempo s’assentavano solo gli uomini adulti collo scopo di ritornare portando seco qualche risparmio, ora impiegano i risparmi stessi nel pagare il viaggio alla loro famiglia che chiamano presso di sé, avendo compreso come questo fatto li renda meno antipatici ai nord americani, inducendoli a favorirli con costante lavoro. Questa tendenza ritengo ferma- mente che debba incoraggiarsi. Tutti i vettori autorizzati d’emigranti hanno i loro rappresentanti in

102 Potenza, con evidente delegazione ad essi di sovraintendere ai rappresentan- ti residenti nei centri minori. La loro propaganda, benché attiva, non esce dai limiti della legalità essendo molto intelligentemente sorvegliata dall’Ufficio apposito esistente presso la R. Prefettura ed affidato ad un attivissimo dele- gato di P.S. il signor Michele Marchesiello. Circa le località precise cui di preferenza si dirigono gli emigranti di que- sto Comune non potei attingere notizie speciali. Presso il R. Ufficio postale potei rilevare che somme non indifferenti in vaglia postali e gran numero di lettere raccomandate provengono mensil- mente dagli Stati Uniti in modo speciale e quindi dall’Argentina (ma poco o punto dal Brasile) alle famiglie degli emigranti e la cifra approssimativa desunta (più dal numero delle rimesse che dalla loro entità) non risulterebbe inferiore a 500.000 lire annuali. Quando si rifletta che il numero dei cittadini di Potenza residenti in America non è inferiore a sei mila, questa cifra non può apparire esagerata. Data la qualità speciale degli emigranti cittadini, non mi sembra che l’e- sodo si manifesti qui con morbosità, ma piuttosto come una triste necessità, il cui correttivo non si potrebbe trovare che nell’impianto di industrie locali; impianto assai difficile, data la mancanza assoluta di materie prime, di forze naturali ed anche di consumatori. “Ma per quanto riguarda l’emigrazione dei lavoratori della terra, appare evidente che il danno da essa prodotto incomincia a farsi grave e che deve attira- re l’attenzione preferente dei poteri costituiti. A Potenza, come in qualsiasi altro luogo della Basilicata, è difficile assai che il contadino si decida ad emigrare cedendo all’altrui suggestione o per desiderio di lucro. Esso è tassato pel suo campo, pei suoi strumenti, pei suoi animali da lavoro, per la sua casa, per la vendita dei prodotti del suo terreno, pel consumo dei cibi, pei servizi pubblici di cui gode assai poco, e per moltissimi di cui non gode affatto”. La necessità ch’esso possa stabilirsi presso al terreno che coltiva, e non allontanarsi da esso che in casi eccezionali, si fa imperiosa ed è possibile, ora che la sicurezza pubblica è completa. Ma per indurlo ad allontanarsi dall’abitato e dalle spelonche in cui vive, conviene allettarlo, non solo coll’aiuto materiale a costruirsi una casetta; ma altresì col dimostrargli che la terra ch’esso coltiva può dargli assai più che essa attualmente non produca, senza che i suoi sforzi abbiano ad essere molto maggiori.

103 Riservandomi di concretare questo concetto allorché dovrò parlare di provvedimenti generali per diminuire l’emigrazione in Basilicata, accennerò per ultimo ad una speciale misura che servirebbe ad allettare il contadino di Potenza a rimanere.

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Nel vastissimo territorio municipale il Comune di Potenza possiede, nella parte che confina con Brindisi di Montagna, una grande proprietà di oltre 3000 ettari quadrati, ricca di boschi e di pascoli; ma la mancanza asso- luta di viabilità toglie essa che si possa, neppur mediocremente sfruttare. La legna, che carissima in città (ove non pertanto l’inverno è rigidissimo) vi si trasporta a schiena di mulo con un costo superiore quattro volte a quello che si esigerebbe, anche con un traino primitivo quale si usa sulle Alpi. La quotazione di parte di quei terreni, con obbligo di prestazione d’ope- ra per la costruzione delle vie da parte dei favoriti, agevolerebbe somma- mente l’impresa; ma sarebbe pur necessaria la cooperazione del capitale, che a Potenza è assolutamente introvabile. Lo Stato il quale attualmente ritrae da quel latifondo un limitatissimo provento, il Comune cui esso è quasi di peso, potrebbero intendersi forse per accordare, sotto forma di concessione speciale, una parte importante del ter- reno in proprietà all’impresa che cooperasse al suo sfruttamento, allaccian- dolo alle arterie di comunicazione. Non è che suscitando la loro cupidigia che si può sperare dai capitalisti un valido aiuto.

{A Potenza esistono un Consorzio Agrario ed un Consorzio Agricolo presieduti dalla stessa persona, uomo di idee moderne e di grande iniziativa, ma disgraziatamente sprovveduto dei mezzi materiali che nelle società (sieno incipienti o decrepite) danno autorità e forza. Ognuno lo apprezza per le sue eccellenti qualità, ma ben pochi sono disposti a coadiuvarlo. Non spetta a me, né crederei del caso, di approfondire i motivi di que- sta indifferenza; sono però convinto che il giorno in cui si delineasse qualco- sa di positivo per opera sua, molti, che ora si tengono in disparte, s’affrette- rebbero a contrastargli ed a pretendere il suo posto ed il merito suo. Le pubblicazioni e le iniziative dell’Avv. Arcangelo Pomarici sono com-

104 mendevoli assai (quantunque forse ispirate ad idee molto teoriche, guari con- sone alle condizioni attuali del credito in Basilicata) ed i propositi sono eccel- lenti; perché nel miglioramento dell’agricoltura e nell’incremento dell’indu- stria armentizia sta la suprema speranza della rigenerazione di quella Pro- vincia, e nello sviluppo dello spirito di associazione, nello estendersi degli sforzi collettivi consistono i mezzi per raggiungere quegli scopi. Allorché, mercè la cooperazione governativa morale e materiale, si sarà iniziata la reazione contro lo stato attuale d’inerzia, dovrà riconoscersi molto merito a chi prima d’ogni altro ha creduto a questa possibilità. Preziosi pareri, aventi però carattere generale, oltre che alle Autorità politiche ed amministrative e dai rappresentanti provinciali e nazionali, rac- colsi a Potenza intorno al fenomeno della emigrazione, e mi compiaccio di ricordare in proposito i nomi degli Avvocati De Pilato-D’Errico-Corbi e Montemurro, degli Ingegneri Severini e Gatti e di molti altri di cui, se mi sfugge il nome, non venne meno il grato ricordo per la loro spontanea coo- perazione.}

Picerno

A chi scende da Potenza verso la Campania, oltrepassato l’altipiano di Tito si presento dall’alto di un colle tutto cosparso d’ulivi, l’incantevole pano- rama della cittadina di Picerno, celebre per l’eroica difesa dei suoi abitanti contro le orde del Cardinale Ruffo nel 1799 e per la strage allora subita; e cele- bre anche per la bellezza, che ancor oggi si mantiene, delle sue robuste donne. Questo paese ebbe un momento di grande prosperità durante la costru- zione della Ferrovia Napoli-Metaponto, perché il tratto più laborioso e diffi- cile del tronco finiva appunto a Picerno; e qui avevano preso sede tutti gli uffici dell’impresa, ed esistevano magazzini vastissimi di macchine, d’utensi- li e d’approvvigionamento alimentare. Questa fortuna fu la causa principale dell’attuale stato di abbattimento. Tutta la popolazione agricola, tolta alle sue antiche occupazioni ed allettata dagli alti salari, appena venne a mancare il lavoro, non seppe acconciarsi a coltivare i campi colle antiche mercedi, ed i proprietari, cui l’enorme rialzo degli affitti di case aveva distolto dal curare i propri interessi agricoli, si vide- ro d’un tratto mancare quel provento e richiedere, al tempo stesso, mercedi

105 più alte ai contadini. La loro resistenza indusse questi ad espatriare e ve li indusse altresì l’insofferenza dei modi antichi dei padroni, modi dai quali, la pur relativa urbanità tradizionale dei sorveglianti dell’impresa, gli aveva disa- bituati. Verrà opportuno più tardi soffermarci sull’influenza gravissima che il modo d’agire delle classi colte od abbienti verso quelle ignoranti e lavoratri- ci esercita sulla decisione dei proletari ad emigrare, non appena arrida loro un lieve barlume di decoro individuale. Certo è, che una delle impressioni più tristi, che un italiano delle province settentrionali ritrae da una visita a queste regioni, è prodotta dall’enorme distacco ivi esistente fra proprietari e lavoratori. Picerno che nel 1887 aveva raggiunto quasi 8000 abitanti si ridusse nel 1901 a 3828, e nel biennio ultimo offrì ancora oltre 200 individui all’emi- grazione. Da questa esso ritrae proventi d’importanza e nell’Ufficio Postale ho potuto constatare un successivo aumento dei libretti di risparmio appar- tenenti a famiglie d’emigranti, avvenuto nell’ultimo quinquennio. Questi si sono sparsi un po’ dappertutto in America; ve n’hanno nell’Argentina (quasi tutti nella capitale e nei suoi dintorni a San Justo, Bella Vista e Campana addetti agli ammazzatoi e ai pubblici servizi), ve n’hanno nello Stato di San Paolo nei distretti di Campinas e di Jaboticabal che lavora- no a giornata nelle fazendas. La maggioranza attualmente si dirige a New York e colà abbandona affatto l’antico mestiere dell’agricoltore per dedicarsi a lavori di sterro o di miniere. Un gruppo abbastanza numeroso si trova nel Venezuela a San Fernando de Apure. Ho parlato con reduci da ognuno di questi paesi e notai che quelli che avevano minori lamenti a fare erano i rim- patriati dall’Argentina. Certo è però che i maggiori sussidi arrivati per mezzo postale provengo- no attualmente dagli Stati Uniti, per dove si accresce ormai anche l’esodo di intere famiglie. Il comune ebbe un grave danno dall’emigrazione, a quanto affermano alcuni proprietari, tra i quali il cav. Capace, il quale assicura che un suo latifondo di 750 ettari, che conteneva anno orsono 70 famiglie, ora non alberga che poche femmine ed i vecchi. La mancanza di braccia elevò la misura dei salari da 80 centesimi a 2 lire, per cui la condizione dei contadini non è attualmente cattiva, e neppure quella dei piccoli proprietari che lavorano il proprio fondo da soli.

106 È tristissima invece quella dei proprietari che devono far lavorare il fondo da altri, non persuadendosi essi che la proprietà non debba anzitutto rendere per la loro esistenza oziosa. È quindi una protesta generale sulla gra- vezza delle tasse e sulle pretese dei contadini, ed un’esigenza tumultuosa di provvedimenti che favoriscano la proprietà ridotta a queste condizioni. Nessuno a Picerno, dal sindaco agli assessori, ai piccoli proprietari interroga- ti, è disposto ad iniziare colture razionali, allegandosi che il contadino si rifiuta ad adoperare nuovi strumenti. La verità è che poco o nulla si è dispo- sti a fare, ma è vero altresì che, qualora esistesse pure la miglior volontà, man- cherebbero i capitali necessari a rialzare le sorti dell’agricoltura.

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Difatti una rapida visita al paese ed ai suoi dintorni persuade che la con- dizione del contadino è triste assai, che i campi sono coltivati con insipien- za; e che persiste nella classe dirigente un concetto così profondo della infe- riorità sociale della classe proletaria da giustificare la tacita ribellione di que- sta, col profittare del diritto di allontanarsi. A sostituire i lavoratori assenti vengono dalla vicina Avigliano e dal ter- ritorio di Matera, nella stagione del maggior lavoro, contadini avventizi, i quali approfittano delle aumentate mercedi ed anche del miglior trattamen- to offerto ai lavoratori forestieri. L’assenza di molte famiglie fa che graviti sulle rimanenti il peso della tassa di focatico onde raggiungere la cifra stabilita dal bilancio. Non esiste tassa sul bestiame, ma le esigenze dell’amministrazione la rendono di assai probabile imposizione. Circa i servizi pubblici, quello della condotta medica pei poveri risulta affidato ad un medico quasi decrepito, per lo stipendio annuale incredibile di 150 lire (cento cinquanta). Il Comune reclama dalle competenti autorità un sussidio per consolida- mento di terreni che minacciano franare travolgendo molte casupole; ma la spesa sarebbe di molto superiore al danno; mentre la costruzione di piccole case campestri costerebbe meno e renderebbe assai più. Picerno è legato al capoluogo della Provincia dalla ferrovia, ma si trova precluso l’adito di esso ed alla valle inferiore del Marmo, dallo stato intransi- tabile di due chilometri di strada provinciale, che dovrebbe congiungere il

107 paese alla strada nazionale che dalla Campania sale fino a Potenza. Fra i provvedimenti atti a migliorare le condizioni del paese e quindi a diminuire le cause di emigrazione, uno fra i più urgenti e doverosi sarebbe quello di rendere utilizzabile questo breve tratto di cammino, importando ciò lievi sacrifici. Nel corso di questo rapporto m’avverrà sovente di affermare come sareb- be atto di accorta politica favorire nel massimo limite possibile i desideri locali, la soddisfazione dei quali nel loro complesso importando sacrifici rela- tivamente insignificanti, non mancherebbe di colpire l’immaginazione delle popolazioni infondendo in esse fiducia e speranza nell’opera rigeneratrice governativa. Se la massa emigratrice è costituita principalmente dalle classi proletarie è ovvio che ad esse, soprattutto, si debba recare sollievo; e poiché i loro desideri non sono esagerati, né si spingono mai in elucubrazioni economiche gravide di grossi sacrifici, ben sovente improduttivi, l’azione del Governo troverebbe spedita la via a cedere e ricavarne immediato il beneficio.

Pignola

Scendendo da Potenza ed attraversando per un solido ponte il letto del Basento, una eccellente via carrozzabile si dirige sinuosamente per circa dieci chilometri verso il paese di Pignola, il quale si presenta sotto un aspetto pit- toresco in una sinuosità delle montagne ad oltre 900 metri sul livello del mare, di fronte alla capitale della Provincia. Lungo la strada (nonostante la vicinanza di Potenza e della ferrovia che facilita il mercato per legumi, ortaggi e frutta) si nota che la coltivazione è affatto primitiva, che nessuno sforzo si impiega per riparare ai gravi declivi, nessuna intelligente indicazione è fatta agli agricoltori perché, in luogo di ammucchiare qua e là nel terreno coltivabile le pietre raccolte, sottraendo grande spazio alla produzione, si utilizzino a costruire muri di sostegno e ad evitare l’erosione dei solchi per alluvione. Zappe primitive ed aratri di legno (col chiodo omerico) solchi di 10 cen- timetri di profondità, invasione di graminacee, e prodotti in relazione alla coltura. La valla del Trata affluente del Basento presenta aspetto pittoresco; ma

108 la malaria vi imperversa. Da lungi si scorgono fitti boschi di castagneti e quindi una distesa di campi che appaiono razionalmente coltivati. Appartengono questi ad una società anonima colonizzatrice che introdusse con nuovi sistemi agricoli alcune famiglie di contadini di Gubbio contratta- te a mezzadria, ottenendone risultati, i quali mi si riferiscono discreti; non ebbi agio, però (come poi l’ebbi altrove a Grassano e Monticchio), di consta- tare de visu l’utilità somma di simili imprese. Il paese di Pignola assai simpatico nell’aspetto esterno, non la cede nel- l’interno per sudiciume e spettacolo di miseria ai peggiori del basso Lagonegrese, di cui avrò occasione di discorrere più innanzi. Tane ad uso d’abitazione e fondaci oscuri, stalle di ovili e suini sottopo- ste alle camere d’abitazione e separate da esse per un tarlato graticcio, servo- no di ricovero alla maggior parte della popolazione. Tracce di un’architettura artistica del secolo XVI appaiono nelle rare case di benestanti; ma uno sgretolamento generale e nessuna cura di restauro caratterizzano l’ambiente. Trent’anni or sono il paese ospitava circa 6000 abitanti ridotti nel 1901 a 2567 ed assottigliati ancor più dall’emigrazione successiva, la quale accen- na ad aumentare. Le mercedi giornaliere, data la vicinanza della città e l’esistenza della impresa colonizzatrice suaccennata, non sono inferiori a 2 lire per gli uomi- ni e ad 1 per le donne; eppure i contadini partono per la suggestione degli assenti che mandano biglietti di viaggio di chiamata (prepaids) sì che è raro che qualcuno parta per spontanea volontà. L’azione dei rappresentanti dei vettori è nulla. La condizione dei piccoli proprietari misera tanto, che sono essi principalmente che si decidono ad emigrare, abbandonando i propri ter- reni o cedendoli a prezzi irrisori, stante il minimo prodotto che coi sistemi attuali ne traggono.

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La deficienza di braccia induce molti proprietari a cedere fittiziamente a nulla tenenti quella parte dei loro terreni che rimane incolta, onde sottrarsi all’azione del fisco su quelli che ancora sono produttivi. Causa principale del- l’esodo è la gravezza delle imposte, soprattutto comunali, che pesano sulla popolazione assottigliata.

109 Si protesta contro le facilitazioni ad emigrare accordate dalla nuova legge, anche per gli inconvenienti che si verificano (e che si verificheranno più acerbamente nel futuro) in ordine al servizio militare. Per sopperire ai bisogni nelle epoche algide dei lavoratori agricoli immigrano braccianti dal Materano e dalle Calabrie. L’avviso delle persone colte, interrogate circa il modo di ovviare a queste cause di spopolamento, è che si dovrebbe procedere a sgravio completo dei lavoratori da ogni imposta, e quale provvedimento speciale pel paese si accenna al seguente: Bonifica. - Nel territorio del Comune e precisamente nella parte setten- trionale ove prende origine il Trata esiste un laghetto di circa 40 ettari di super- ficie dal quale esalano miasmi malarici ed il cui prosciugamento importerebbe, secondo un progetto esistente e ben studiato, la somma di lire 30,000. Questo prosciugamento, oltre a migliorare le condizioni igieniche del territorio, darebbe mezzo di quotizzare parte dello spazio bonificato tra i contadini più disposti ad introdurre metodi razionali di coltura e parte per stabilirvi una stazione agraria sperimentale d’immensa utilità per la regione. Nessun altro provvedimento speciale saprei indicare in questo comune, sembrandomi che la sua miseria provenga principalmente dall’indolenza degli abitanti, i quali si troverebbero in condizioni eccezionali per raggiun- gere una relativa prosperità.

Avigliano

Fra tutti i comuni della Basilicata questo che è il più popoloso (superan- do in numero d’abitanti la capitale della provincia ed i capoluoghi di circon- dario) è anche quello che, sotto moltissimi aspetti, si presta ad uno studio più completo circa le cause dello spopolamento dannoso, e circa i provvedimenti che si potrebbero applicare onde rialzarne, senza gravi sacrifici, le sorti. Si eleva sul pendio di una montagna a 918 metri sul livello del mare e domina dall’alto uno superba vallata ed il prospettante villaggio di Ruoti. Un’eccellente via carrozzabile, che partendo da Potenza rimonta per lun- ghe sinuosità il Mont’occhio, raggiungendo l’altezza di 1100 metri, ed attra- versa una superba foresta d’abeti (una delle pochissime ancora esistenti in Basilicata), lo congiunge alla capitale della Provincia, cui è legato anche dalla

110 ferrovia Foggia Potenza, pur distando 12 chilometri di cammino erto, ma spazioso, dalla stazione. L’aspetto della vallata, in cui scorre l’Arvino affluente dell’Ofanto, e nella quale non si scorgono che rarissimi casolari, non potrebbe essere, ad un tempo, più bello e desolante. Estensioni immense di terreno rimangono incol- te, altre, coltivate con sistemi primitivi, lasciano comprendere quanto tenue debba essere il loro prodotto in confronto degli sforzi dei lavoratori. Questi, è notorio, come siano fra i più intelligenti ed infaticabili della Basilicata e come in essi l’industriosità e la capacità nell’apprendere sieno accoppiate anche alla vivacità del carattere e ad una proverbiale facilità a violenze. Da lungo tempo la tendenza ad emigrare s’è manifestata in questo comu- ne; ed, allorché si rese possibile espatriare col sussidio dei viaggio gratuiti, l’e- sodo assunse grandi proporzioni. Ciò avvenne del resto, in massima, anche per la generalità degli altri comuni, e contribuì alla meravigliosa tranquillità e sicurezza personale che regna attualmente in questa provincia, di già leggendario pericolo. Ma è dub- bio che ciò abbia contribuito a migliorare la considerazione che si ha dell’Italia nei paesi dell’emigrazione, e ad elevare il livello morale delle nostre colonie. Comunque, non è qui il caso di soffermarci su tale problema, essendo sperabile che nel grande crogiuolo americano gli elementi torbidi e pericolo- si abbiano subito un’utile trasformazione o sieno andati distrutti. Certo è che attualmente la città di Avigliano conta più di 12 999 suoi figli nelle terre americane e ne trae in rimesse di denaro un reddito, il quale, secondo i calcoli più attendibili, non sarebbe inferiore a mezzo milione di lire annuali. Questa somma però non esercita guari influenza sull’andamento econo- mico del comune, in quanto, o si accumula nelle casse postali di risparmio o si cela nei nascondigli delle capanne, ed in assai minima parte si avverte in acquisto di terreni, in miglioramento dell’agricoltura od in maggiori agi per quelli che ne sono beneficiari. - Avviene, invece, da tempo che gli emigrati chiamano presso di loro le famiglie lasciate in patria, oppure completamente le dimenticano; per cui mentre si assottigliano i proventi di questo genere, si accresce il numero dei miserabili cui il Comune non è in caso affatto di prestare soccorso. L’immenso territorio comunale appartiene per circa la metà al prin- cipe Doria il quale ne trae una rendita annuale di oltre 200,000 lire, delle quali nel pese non viene spesa la pur minima parte.

111 Tra i latifondisti della Basilicata questo, pur rimanendo perpetuamente lontano dalle sue terre, è tra i pochissimi che favoriscono con crediti (a rela- tivamente equo interesse) i suoi affittuali e coloni; ma questo fatto che, in altri comuni, riuscirebbe d’enorme beneficio, risulta qui, sotto un certo aspetto, di grave danno. Infatti, data la mancanza di concimi naturali e l’impossibilità materiale di procurarsene di artificiali, i proprietari mediocri devono rinunciare alla coltivazione di parte dei loro poderi, concentrando sul rimanente i loro sfor- zi, mentre pagano sull’intero l’imposta erariale. Il latifondista che può offrire ogni anno in affitto delle estensioni di ter- reno diboscato e quasi vergine, attira la cupidigia naturale dei contadini, i quali sanno che potranno ritrarre nei primi periodi da quelle zolle, pur leg- germente smosse, il quintuplo ed il sestuplo di quello che le altre terre pos- sono dare coi sistemi irrazionali in uso. Essi abbandonano quindi completamente i campi già esausti, o quasi; e, rifiutandosi di locar l’opera loro ai proprietari minori ed a prendere i campi in affitto, si affannano ad ottenere locazioni in zone vergini, o da lungo tempo incolte del latifondo, aumentando il disagio in cui gli altri proprieta- ri si trovano. Se questi avessero modo di dissodare con mezzi meccanici o fecondare con concimi artificiali i loro fondi, potrebbero contendere i lavoratori al latifondista; ma l’assoluta mancanza di capitali e di credito agrario è loro d’impedimento. Solo ritegno quindi ad emigrare, per quella classe lavoratrice dei campi che ancora rimane, è la speranza suaccennata di nuovi dissodamenti, quindi di disboscamenti successivi, quindi di aumento incessante delle cause d’im- poverimento. Date queste circostanze è naturale che, a chi intende riparare queste cause, si presenti per primo alla mente la necessità di coadiuvare con mezzi pratici quanti si dibattono inutilmente tra le difficoltà ch’essi non possono da soli superare. Le terre in sé stesso sono d’indubitabile feracità (se quelle appena smos- se danno enorme quantità di prodotti e se quelle coltivate con metodi razio- nali possono rivaleggiare con esse); ma i mezzi materiali fanno assolutamen- te difetto. Il contadino non vede che nelle terre vergini la propria fortuna, perché

112 esse rispondono anche agli sforzi più impropri, e perché non sa, o sapendo, non possiede i mezzi per far rendere quelle che egli crede esaurite. Conviene quindi istruirlo praticamente non solo coll’esempio; ma anche col sussidio materiale, introducendo, in certo modo a forza in una parte almeno dei fondi ch’esso coltiva l’aratro che fende e rivolge il terreno, in luogo di quello che appena lo graffia; l’erpice che monda la terra dalla gramigna ed il concime che la feconda. Questo non può sopperire che una saggia distri- buzione di credito ed a ciò risponde il progetto di cui terrò parola verso la fine di questo rapporto.

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Nel caso speciale però, si presenta un fatto, il quale sembrami meritare attenzione preferente, perché faciliterebbe assai l’attuazione dei propositi del Regio Governo onde evitare lo spopolamento di questa regione. Caso certamente raro in Basilicata (ed unico nei comuni da me visitati) esiste in Avigliano un Ospizio di orfani mantenuto dalla Provincia e sussidia- to dal Comune, nel quale sono ricoverati circa ottanta alunni appartenenti alle varie regioni della Basilicata. Per l’istruzione di questi orfani esiste una scuola di arti e mestieri dalla quale essi escono abili calzolai, sarti o falegna- mi ed anche buoni musicanti. Non è che non comprenda come in un paese in cui esiste pletora di ope- rai senza occupazione, questa scuola non debba ad altro servire che a prepa- rare della gente, la quale (appunto per esser libera da ogni legame di famiglia ed addestrata in un’arte) sarà tanto più disposta ad emigrare. In una regione, invece, così eminentemente agricola non esiste alcuna traccia di istruzione pratica o teorica di agricoltura; e all’accenno che forse presto sorgerà un istituto di questo genere in Potenza, si risponde unanime- mente che esso non riuscirebbe per Avigliano che di mediocrissima utilità. Difatti le poche famiglie che sarebbero in caso di mantenere in un col- legio od in una pensione i loro figliuoli s’affrettano, seguendo l’antico costu- me, ad avviarli alle professioni liberali od al sacerdozio; per le altre famiglie sarebbe un sacrificio insopportabile inviare i loro figli alla scuola di Potenza. D’altronde l’istruzione verrebbe limitata ad un numero ridottissimo di privilegiati, mentre il proposito veramente sano di redenzione agricola sta nella massima e più rapida diffusione possibile di cognizioni pratiche fra i diret-

113 ti lavoratori del suolo i quali, conviene riconoscerlo, sono ad Avigliano meno refrattari che altrove ad apprendere e ad uniformarsi ai nuovi sistemi. Sarebbe quindi di somma convenienza modificare radicalmente il gene- re d’istruzione di questo ospizio, ricordandosi che gli individui che ora ne escono, non solo sono tra i primi ad emigrare; ma per la loro più elevata cul- tura e, ripetiamolo, per la mancanza di legami di famiglia, divengono trop- po sovente i più abili istigatori e, non di rado, i più accaniti sfruttatori degli emigranti compaesani, quando essi si trovano all’estero. Ma se questa trasformazione radicale può esigere qualche mese sarebbe invece d’urgenza immediata che si assegnasse a quest’istituto un professore stabile in agricoltura con un assistente, e che in attesa della possibile esecu- zione dei provvedimenti di cui avrò più innanzi a discorrere si soddisfacesse a questo legittimo ed ardente desiderio della popolazione aviglianese. Delle lezioni impartite con mezzi pratici e colla scorta dell’esperimento approfitterebbero non solo i ricoverati dell’Ospizio, ma tutti gli alunni dei gradi superiori delle scuole elementari e quanti contadini volessero assistervi. Importa soprattutto, a mio avviso, che tra la classe dirigente, non solo, ma anche fra la proletaria entri la convinzione che si intende dal R. Governo iniziare un periodo di riforme veramente efficaci, e tra esse questa, senza esi- gere gravi sacrifici, potrebbe immediatamente attuarsi. Purtroppo ad una recentissima interrogazione rivolta in proposito dal- l’onorevole Cicciotti a S.E. il Ministro d’agricoltura, questi non rispose che con vaghe promesse, ostando all’adempimento del desiderio la mancanza di fondi di bilancio.

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Riformatorio pei minori corrigendi. - Nel memoriale presentato a S.E. Zanardelli dal Municipio di Avigliano all’epoca del Suo viaggio in Basilicata si accennava all’istituzione in quel comune di un riformatorio pei minori corrigendi, pel quale erano già in corso trattative coll’amministrazione carce- raria e si supplicava il Suo autorevole appoggio per condurlo a buon porto. Mercé questo alto appoggio (non sì tosto promesso ed accordato) l’isti- tuzione sarebbe ora un fatto compiuto, se da parte della Cassa depositi e pre- stiti dalla quale il Comune ottenne un prestito di lire 20,000, non si elevas- sero attualmente difficoltà di forma.

114 Nel memoriale che mi venne presentato e che annetto a questo rapporto risultano le obbiezioni del Municipio ed i suoi desideri, dal canto mio non ho che ad osservare che questo Istituto contribuirebbe assai, per il lavoro che por- terebbe al paese, ad attenuare l’esodo pernicioso della popolazione operaia. Cause speciali di disagio e quindi d’emigrazione. - Un rapido esame del bilan- cio comunale dimostra come questa città di circa 20,000 abitanti si trovi in con- dizioni finanziarie tristissime e sia costretta a far gravare sul popolo lavoratore il peso maggiore delle imposte necessarie a soddisfare le spese obbligatorie. La tassa focatico (con un limite massimo di lire 50 appena) quella sulle bestie da soma e da tiro (così necessarie in queste contrade alpestri al con- tadino che deve percorrere un enorme cammino per recarsi a lavorare la terra) quella sul bestiame da pascolo (di così grave ostacolo allo sviluppo dell’industria armentizia) ed infine il dazio consumo e la sovra imposta fon- diaria, mettono il contadino ed il piccolo proprietario in condizioni affatto insostenibili. L’istruzione obbligatoria assorbe la metà dei proventi, non avendo il Comune che 1500 lire di rendite patrimoniali, la beneficenza è quasi nulla, il servizio medico pei poveri, pure importando 4600 lire annuali, non può evidentemente esplicarsi che in limiti ristrettissimi. Ond’è che l’emigrazione aumenta; e per essa aumentano gli aggravi su quelli che rimangono, non essendo diminuito il peso delle spese obbligatorie. Un sollievo efficace pei piccoli proprietari e pei possessori di animali da lavoro risulta necessario, a costo di veder spopolarsi ancora più questa plaga, la quale potrebbe essere tra le più felici del Mezzogiorno. Lavori pubblici. - Non sono affatto partigiano dell’esecuzione di opere pubbliche che non siano assolutamente necessarie, avendo potuto rilevare quanto poco servano, o quale spesa enorme di manutenzione importino le numerosissime vie rotabili che esistono in Basilicata; non mi soffermerò quindi sul desideratum espresso nel citato memoriale circa la costituenda stra- da Avigliano Baragiano variante alla Irpino Lucana e circa alcuni lavori urgen- ti di sostegno per minacciati scoscendimenti. Questi lavori importerebbero bensì momentaneo lavoro pei disoccupati; ma produrrebbero probabilmente i deplorevoli effetti già segnalati riguardo a Picerno. Quello che mi sembra più specialmente adatto a trattenere la popolazio- ne Aviglianese dall’emigrazione è di allettarla all’agricoltura rendendola per-

115 suasa che il suolo che essa lavora è ben altrimenti ferace di quanto essa veda e supponga. Quindi le somme che si dovrebbero investire in quei lavori, forse improdut- tivi dovrebbero destinarsi a facilitare l’uso di istrumenti agricoli perfezionati, e di concimi artificiali; ed il contadino, senza esser distolto dal suo lavoro, trove- rebbe in esso quella rimunerazione che attualmente gli manca ed il piccolo pro- prietario il mezzo a ricavare dai suoi fondi la rendita cui inutilmente aspira. Verrebbero così sottratti anche al cancro abominevole dell’usura, di cui più innanzi avrò campo di citare incredibili esempi. Ebbi la soddisfazione di trovare in Avigliano completamente concordi in queste idee oltre le autorità municipali, il consigliere provinciale cav. Andrea Corbo, l’intelligentissimo e colto segretario comunale sig. Lucio Mango, il direttore dell’ospizio degli orfani e sommo fra gli altri l’on. Emanuele Gianturco il quale, come avrò a riferire in seguito, mi onorò della sua ambi- ta e più decisa approvazione. Dazio consumo. - La popolazione di Avigliano non abita unicamente nella città; ma è sparsa anche in tre o quattro frazioni tra le quali la princi- pale è Lagopesole gruppo numeroso di capanne raccolte intorno ad un ciclo- pico castello dei Doria. Altre frazioni importanti sono Filiano, Sant’Angelo, Sarnelli e Sterpito. Ma tali frazioni, pur possedendo una popolazione rispet- tivamente di 1200, 1800, 1000, 800 e 600 abitanti, che nell’Italia Superiore basterebbero a formare un ente autonomo, hanno anche la disgrazia di dista- re rispettivamente 20, 25, 24, 11 e 8 chilometri dall’Ufficio comunale, coi conseguenti disagi. Questo frazionamento, che si verifica raramente in altre, anche grosse, borgate della Basilicata, unito ad altre considerazioni, indusse il Municipio ad abbattere già dal 1898 la cinta daziaria; e questa sua premura filantropica venne ad escluderlo dai compensi, che la legge 3 gennaio 1902 accorda a quei comuni che vi si uniformano. Ne succede che il Municipio di Avigliano sopporta un canone daziario governativo superiore di molto alla sua potenzialità, rappresentando esso la quinta parte dei suoi redditi. Onde l’impossibilità di provvedere ad altri utili servizi, ed altre conseguenti cause di disagio e spinte ad emigrare nelle classi meno abbienti. Le pratiche finora fatte per ottenere un’equa diminuzione del canone si infransero contro la rigidità e le formalità burocratiche; e non pertanto il

116 principio informativo di quella provvida legge di sgravi, parrebbe suggerire interpretazioni più late circa il concorso da parte dello Stato a favore dei Municipi rurali. Ogni provvedimento speciale che significhi sollievo di tributi date le miserrime condizioni del Comune, rappresenta un rimedio efficace alla tendenza emigratrice.

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Dopo aver consultato il più estesamente possibile la parte colta della popo- lazione aviglianese e studiate a sommi capi le condizioni del Comune dalle cifre del bilancio, volli percorrere in compagnia del delegato sig. Marchesiello le vie del paese e visitare anche alcuni casolari dell’immediata vicinanza. Questa visi- ta non fece che confermarmi nella già fattami convinzione che qui l’emigra- zione va assumendo caratteri di una gravità eccezionale. Or sono cinque mesi emigrarono interi gruppi di contadini di piccoli proprietari, ed abbandonarono i loro terreni in cui il grano era presso a matu- rare non trovando essi il loro tornaconto a pagare i lavoratori necessari alla raccolta; e persuasi al tempo stesso che l’emigrare con alcuni mesi di antici- pazione sulla massa abituale avrebbe portato loro maggior profitto. Allorché visitavo quelle campagne l’epoca della zappatura del terreno e della semina del frumento era al suo termine; e nonpertanto trovai alcuni contadini (piccoli proprietari anch’essi) che preferivano allogarsi a lavoro presso altri, piuttosto che coltivare i loro terreni, essendo essi in attesa del biglietto di chiamata che loro desse modo di recarsi in America. Non valse rammentar loro che, ove questi biglietti non fossero arrivati, la loro condizione sarebbe stata di tanto peggiore; ed appena accennarono a convincersi del loro torto, quando feci loro presente che l’emigrare a Nord America in questa stagione sarebbe stato causa per essi di grave danno, obbligandoli colà a far nuovi debiti fino all’aprirsi della stagione propizia ai lavori. Ma una delle cause che più li spinge ad emigrare è la mancanza assoluta di mezzi per ottenere a credito anche il valore della semente, senza sottopor- si ad un’usura che varca i limiti dell’incredibile. L’esistenza di due monti frumentari con capitale irrisorio non serve che in minima parte ai bisogni dell’ambiente; e, d’altronde, già si disse come, all’infuori delle zone recentemente diboscate del latifondo Doria e di qual-

117 che raro podere coltivato con metodi razionali, la generalità del territorio sia considerata sterile, non esistendo i mezzi di coltivarla e fecondarla a dovere. Gli emigranti si dirigono attualmente tutti, salvo rare eccezioni, a New York e di là si spargono quali braccianti nel Massachussets e nell’Ohio e quali minatori in Pennsylvania. Lo svegliato ingegno dell’Aviglianese fa che si adatti facilmente ad ogni lavoro e ne apprenda rapidamente i segreti, sì che appare che la condizione generale degli emigranti non sia cattiva. Alcuno di essi ritorna; ma non sa adattarsi alle antiche occupazioni e rie- migra. - I terreni sono naturalmente diminuiti di valore - nessuno ormai ricorre più alla vendita con patto di riscatto, accentuandosi la tendenza ad abbandonare definitivamente la patria. Solo il contadino che vive nelle frazioni minori è legato perennemente al suolo, ed appena può radunare qualche risparmio all’estero ritorna all’antico lavoro.

Gli altri comuni del circondario di Potenza

La necessità di recarmi nei quattro capoluoghi di circondario per for- marmi un’idea generale delle cause dell’emigrazione in Basilicata fece che solamente 4 dei 14 comuni del circondario di Potenza fossero da me perso- nalmente visitati. Solamente dallo studio delle cifre statistiche (le quali ebbi a dire come, in un paese così accidentato, si prestino facilmente ad erronee interpretazio- ni), e dalle informazioni attinte presso autorevolissime persone (cui non è far torto supporre potesse far velo l’interesse locale) potei raccogliere le seguenti notizie. Fra i circondari della Basilicata, quello di Potenza è indubbiamente il più afflitto dalla violenza del fenomeno emigratorio. Non ostante l’accrescimento naturale per l’eccedenza delle nascite sui decessi, e per le relativamente buone condizioni igieniche del territorio, la popolazione subì nel ventennio 1881-1901 la diminuzione del 26% e non pertanto negli ultimi 20 mesi ancora il 5% degli individui che la compon- gono riuscì ad espatriare e v’hanno comuni come Brienza, Pietra Pertosa, Calvello, Laurenzana, Marsico Vetere, che perdettero rispettivamente nel

118 ventennio succitato il 30 - 33 - 40 - e 47% della popolazione pur trovando- si ancora in essa elemento per ridursi quasi di un decimo dal 1° marzo 1901 al 19 novembre 1902. Dei 44 comuni del circondario di Potenza, solamente 5 hanno accenna- to nell’ultimo biennio a diminuzione dell’esodo e sono Acerenza, Cancellara, Palmira, Vaglio di Basilicata e Sant’Angelo le Fratte. In tutti gli altri l’emigrazione è aumentata d’intensità ed in alcuni come Avigliano, Anzi, Castelmezzano, Corleto Perticara, Laurenzana, Montemurro, San Chirico Nuovo, Saponara, Tolve, Tramutola e Viggiano, in modo davvero allarmante. La straordinaria varietà di cause constatata nei comuni che ho potuto personalmente visitare, mi toglie l’ardire di tentar di spiegare quelle cui, nei primi comuni suaccennati, dovrebbe attribuirsi la diminuzione e nei secon- di l’aumento. Aderenza, Cancellara e Palmira sono comuni finitimi e non è improba- bile che la sosta ad emigrare dipenda da un’identica cagione, fors’anco tran- sitoria. Sant’Angelo le Fratte si trova invece tra Brienza e Savoia di Lucania ove l’emigrazione è in aumento e Vaglio di Basilicata, collocato a quasi 1000 metri sul livello del mare, trovandosi a pochi chilometri da Potenza, può darsi che abbia trovato, nello spopolamento di lavoratori di questa, il mezzo di dare occupazione ai propri, senza obbligarli ad espatriare. Lo stato generale dell’agricoltura, dalla quale il contadino e il piccolo pro- prietario traggono frutti insufficienti, più assai che la lamentata deficienza di comunicazioni è causa del malessere e quindi della tendenza di emigrare. Nel miglioramento rapido di essa e nel sollievo, almeno momentaneo dei tributi sia nazionali che comunali, può sperarsi un rimedio. In tutta la regio- ne del circondario, che dal fiume Basento scende fino all’Agri, era un tempo fiorentissima l’industria armentizia, era quasi completamente sparita fuorché forse nei dintorni di Montemurro e Moliterno.Vige qui ancora in misere pro- porzioni l’industria dei latticini, di cui già questi paesi avevano vanto. L’irrazionale diboscamento ed il dissodamento successivo della terra per dedicarla alla coltura dei cereali, senza la possibilità di provvide concimazio- ni, ha ridotto estremamente il suolo riservato a pascoli; e la legge attuale del rimboschimento riduce ancor più il mezzo a mantenere i pochi animali che rimangono. Manca assolutamente il capitale per provvedere istrumenti moderni e

119 concimi artificiali ed anco i grandi proprietari trovano ostacoli insormontabi- li ad ottenere, fosse pure a condizioni molto onerose, un meschino credito. L’onorevole Pietro Lacava il quale conosce profondamente questa regio- ne, assicura che la costruzione di una linea ferroviaria che da Ferrandina per Stigliano, Corleto Perticara, Armento e Montemurro si ricongiungesse a quella esistente fra Sicignano e Lagonegro (parte della progettata Eboli- Reggio) riuscirebbe di immensa utilità a questa zona difficile. Utilissima parve, anche per gli interessi strategici ed economici nazionali, sarebbe una linea, che partendo da Potenza taglierebbe in due parti la Basilicata inferio- re, legherebbe le valli del Basento, dell’Agri e del Sinni e si congiungerebbe, oltre il Pollino, colle linee calabresi. La vallata dell’Agri e la parte occidentale del circondario di Potenza presen- tano, sotto molti riguardi, grande possibilità di risveglio; e la costruzione delle linee ferroviarie sopra indicate dovrebbe indubbiamente giovare alla regione, favorendone la produzione agricola e lo sviluppo delle industrie inerenti. Questa costruzione arresterebbe altresì l’esodo migratorio; ma, qualora più tardi non avvenisse una provvida introduzione di capitali, potrebbe anche succedere che la gente distolta dai lavori agricoli per quelli di costru- zione, non si acconciasse poi a ritornare all’opera antica, producendosi, come a Picerno, uno spostamento maggiore. Altre autorevoli informazioni concordano nell’attribuire la morbosità del fenomeno emigratorio nella zona testé indicata (come del resto in altre) ai sistemi d’amministrazione municipale imperanti, all’aggravio speciale che pesa sui contadini, alla suggestione esercitata non solo dai compaesani, resi- denti in America o rimpatriati con qualche avere; ma anche dal rialzato sen- timento d’indipendenza individuale, che va facendosi strada nell’animo dei proletari, finora costretti a durissimo lavoro per meschino compenso. Comunque, avendo avuto di fare personalmente in altre località simili osservazioni, verrà opportuno discorrerne più innanzi.

Da Potenza a Lagonegro

Fra questi due capoluoghi di circondario corre una distanza ferroviaria di 139 chilometri, la maggior parte dei quali costruiti nella provincia di Salerno.

120 Dalla stazione di Baragiano a quella di Sicignano e da questa fino oltre Sala Consilina l’aspetto generale del paese è ridente. L’ampia distesa di terre- no che si scorge dalla stazione di Bella-Muro lascia comprendere la possibi- lità di coltura e d’impiego di macchine ed istrumenti perfezionati; ma, all’in- fuori di alcuni branchi di pecore pascolanti fra la gramigna e custoditi da meschini pastori, non v’ha traccia di attività umana. I paesi di Bella e Muro del circondario di Melfi, all’uso dei quali deve ser- vire questa stazione, ne distano rispettivamente 19 e 14 chilometri di via malagevole e montuosa e poco ne possono trarre profitto. Questa distanza dai luoghi delle stazioni ferroviarie è caratteristica in tutta la Basilicata e non è l’ultima fra le cause del traffico limitatissimo di linee. Baragiano domina dall’alto d’un colle l’ampia ridente vallata del Platano, insalubre nel fondo ma ricca sulle colline circostanti di campi ben coltivati a grano, la monotonia dei quali è interrotta da vigne ed uliveti. Molte case coloniche si scorgono sui fianchi della montagna, greggi di pecore, più numerosi del solito, brucano nei terreni incolti; ed un’aria di benessere, mag- giore che nel resto del Potentino, traspare dall’assieme. Le cifre statistiche segnano infatti la diminuzione di appena il 7% della popolazione nel ven- tennio ed un’emigrazione nell’ultimo biennio di solo un centinaio di indivi- dui per quanto si possa notare una certa tendenza all’aumento. Balvano e Vietri di Potenza non si presentano allo sguardo sotto aspetto lusinghiero. Si ergono sopra nude rocce sul confine della Campania, quasi sentinelle abbandonate poste a guardia della Provincia. I terreni circostanti sono desolati, non offrendo alla vista che pochi uliveti e campi zappati su minacciose chine. Mucchi enormi di pietre sparsi nei terreni coltivati danno prova della nessuna cura di riparare al dannoso pendio, pel quale è tolta la possibilità di approfondire i solchi troppo sovente distrutti dagli acquazzoni. Consultando la statistica risulta che Balvano ha perduto il 20% della sua popolazione e Vietri di Potenza il 10, e che nell’uno e nell’altro l’emigrazio- ne è in aumento sensibile.

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La parte della Campania che si attraversa fino a Sicignano, e da questa stazione fin presso Lagonegro, è tra quelle in cui l’emigrazione si manifesta con maggiore intensità. Tuttavia la densità della popolazione vi è ancora tale

121 da ammettere questo artificiale impedimento all’aumento, non avendovi finora prodotto l’emigrazione una diminuzione sensibile. I sistemi di coltivazione dei campi e delle vigne sono di potente supe- riorità a quelli che si avvertono nella finitima provincia, la stessa ubicazione dei villaggi e la frequenza di abitazioni rurali dinotano un modo molto diver- so di vivere. Lavori di canalizzazione o d’irrigazione di notevole importanza si scor- gono lungo la linea ferroviaria, ed alcuni stabilimenti industriali, di cui nella Basilicata non v’ha traccia, dimostrano minor diffidenza nel capitale. Ma, passata la stazione di Montesano, già l’aspetto della campagna va mutandosi, ed inoltrandosi il treno nella regione montuosa del Lagonegrese, riappariscono l’incuria e l’insipienza dell’industria agricola unitamente all’as- senza d’ogni altra pratica iniziativa. I monti brulli, spogliati da ogni vegetazione mostrano la traccia di anti- che foreste, boschi di castagni selvatici si notano di tratto in tratto; e presso Lagonegro, ricompare la vigna. Il movimento dei passeggeri e di merci su questa linea ferroviaria non potrebbe essere più esiguo, non essendo raro il caso che nell’ultimo tratto di essa le vetture rimangono completamente vuote. È però da considerarsi che essa venne interrotta nel punto che razionalmente poteva offrire minor traf- fico; mentre se si fosse prolungata fino alle valli del Noce e del Mercure, od almeno fino alla prima di queste, avrebbe potuto dar vita ad industrie delle quali, come vedremo parlando di Lauria esistono gli elementi principali, forze naturali e mano d’opera ammaestrata.

Lagonegro

Come per Potenza, l’impressione prima non è cattiva; vigneti, castagne- ti e fitte boscaglie adornano i fianchi delle montagne che racchiudono, come in una conca, questa cittadina, i cui abitanti, scorti all’aperto, hanno un aspetto di dignitosa pulizia. Purtroppo visitandola più minutamente, se ne scoprono le piaghe. Un vastissimo piazzale divide in due parti il borgo, cui sovrasta un castello sman- tellato, ridotto ad un mucchio informe di abituri. Il palazzo della Sotto Prefettura e la stazione dei Reali Carabinieri ed una mediocre caserma con

122 alcune case particolari, sono i soli edifici che abbiano un aspetto di moder- nità e che diano promessa di comodità civili. Si accede al castello per una porta medioevale posta nel mezzo di un’er- ta sassosa e dirupata. Di là si domina la parte relativamente nuova delle case recentemente imbiancate. Tracce di rovine appariscono nella china, che pro- spetta il levante, prodotte da antiche frane e terremoti. Per le viuzze immonde s’incontrano frotte di maiali vaganti alla ventura, nel sottosuolo si aprono spallucce oscure, sottoposte a cameruccie che alber- gano intere famiglie. Una impressione d’inconcepibile disagio è prodotta dalla maggior parte delle abitazioni ed un senso naturale di cortesia indur- rebbe a non parlarne, ove dalle persone colte del luogo non ne venisse ecci- tamento. «Quante più miserie ella scopra, sarà bene che dica, mi suggerisce l’avv. Ernesto Mango che cortesemente mi accompagna), noi non possiamo né dobbiamo farlo, e nondimeno non è che collo svelare il nostro vero stato, che possiamo sperare rigenerazione e rimedio allo spopolamento». In apparenza, a norma delle solite cifre statistiche, la popolazione di Lagonegro non è diminuita, ma, oltreché la prolificità della classe proletaria è straordinaria, si deve questa apparente stabilità all’aumento di impiegati e di famiglie estranee, ed al fatto, che a Lagonegro è difficile assai che l’emi- grante si allontani colla famiglia. Se ne partono solamente quelli che sono atti al lavoro e partono col progetto invariabile di far ritorno, perché sono legati da un affetto vivissimo al loro suolo. Non è che quando hanno effet- tuato il rimpatrio che sentono l’enorme differenza tra i paesi transatlantici ed il proprio, a tutto danno di questo. Partono perché manca affatto lavoro agli operai e quello dei contadini non sufficientemente rimunerativo. Molti piccoli proprietari, accasciati dalle tasse e privi d’ogni scorta per far rendere conveniente i loro poderi, non trovano, volen- do emigrare, chi li acquisti, e ne cedono l’usufrutto a parenti od amici pel solo carico delle imposte a pagarsi. La costruzione della ferrovia Sicignano-Lagonegro distolse gli agricoltori dalla terra, come avvenne a Picerno, e, quando i lavori furono sospesi, emi- grarono in massa per l’Argentina ed il Brasile. Pochissimi prendono, anche adesso, la via del Nord America; l’attrazione è per l’America Meridionale. Gli operai calzolai e sarti hanno trovato sfogo proficuo in Messico. Molte decine di essi si trovano a Merida nell’Yucatan e le famiglie ne ricevo-

123 no buoni soccorsi. Ciò ha prodotto una corrente importante verso quella località; col conseguente pericolo che vi si produca una pletora dannosa agli accorrenti ed a quelli che già vi sono stabiliti. Circa 3000 Lagonegresi si trovano tra lo Stato di San Paolo (Brasile) e l’Argentina in condizioni che sembrano buone, tanto è vero che, nonostante la soppressione dei viaggi gratuiti, continua l’esodo giornaliero verso quelle località. Pochi gli emigranti che conducono o chiamano presso di loro la famiglia. A rigore di termini, confrontando l’emigrazione da questa borgata a quella di altre del circondario, non si riscontra in essa un carattere molto vio- lento; per quanto sia a meravigliarsi che, date le condizioni speciali del Comune, molti lavoratori si acconcino a rimanere. Secondo l’avviso delle autorità municipali, e delle molte coltissime persone, ch’ebbi qui occasione d’intervistare, l’esodo dovrà aumentare quest’anno per il mancato raccolto delle castagne e per l’endemica sterilità delle terre coltivate a cereali, non mai confortate dalla necessaria concimazione. L’industria armentizia, già molto in fiore, è quasi distrutta, tanto che a Lagonegro non è possibile ottenere da novembre a marzo una stilla di latte vaccino; ma solo con infinite difficoltà qualche tazza di latte di capra. Molti proprietari che possedevano armenti furono costretti a disfarsene per la difficoltà di trovare custodi, giacché la massima parte di questi trovò di maggior profitto emigrare in Argentina. Benché il Comune possieda una rendita patrimoniale di oltre 7000 lire, le condizioni del bilancio sono tristissime, dovendosi ricorrere a tagli straor- dinari di boschi per ottenere il pareggio. Focatico, tassa bestiame, dazio con- sumo e sovrimposta gravitano sui poveri, la cui esistenza è oltremodo penosa. Le condizioni igieniche del paese sono abbastanza buone, non ostante il sudiciume imperante. L’istruzione vi è accurata e l’elemento istruito è colto in modo eccezionale. Si reclama anche qui un’istruzione pratica per l’insegnamento agricolo non essendovi altro mezzo d’apprendere che quello di un orto agrario la cui manutenzione figura in bilancio per 37 lire annuali. L’ignoranza e la caparbietà del contadino Lagonegrese sono qualcosa di stupefacente. Mancano affatto i concimi per la terra; ed i viottoli che fian- cheggiano le vigne sono vere cloache, ove l’elemento fecondatore potrebbe raccogliersi con lievissimo sacrificio.

124 Il tenente comandante della stazione dei Reali Carabinieri mi affermava che lo stalliere della stazione trova difficoltà a trovare chi acconsenta a ritira- re gratuitamente il letame della caserma. I pozzi neri di cui è provvista ogni casa civile non vengono mai vuotati, ma, una volta ricolmi, se ne aprono altri senza usare la materia fertilizzatrice degli antichi. Gli strumenti più impropri ed i sistemi più primitivi sono usati nelle vigne e nei campi; è rarissimo infi- ne che qualche proprietario si arrischi a migliorie, trovando nel lavoratore la più decisa riluttanza ad uniformarvisi, e nella mancanza di scorte l’impossi- bilità d’acquistare strumenti e concimi. Da ciò quindi la necessità di un’istruzione pratica e razionale, la quale soddisferebbe il desiderio espresso concordemente dalle più distinte persona- lità di Lagonegro tra le quali mi è graditissimo ricordare e per le cortesie rice- vute e per gli ottimi suggerimenti, i signori: avvocato Ernesto Mango, dot- tor Nicola Dagosto, commendator Fedele Zaccara, dottor L. Aldinio, cava- lier Carlo Pesce, cavalier Edoardo Leo, agronomo Roberto Fiora e cavalier Giovanni Ferrara segretario generale del comune.

Lauria

Un’ampia via carrozzabile s’inerpica sinuosamente lungo i fianchi del nevoso Serino e raggiunge all’altezza di 800 metri il laghetto che dà il nome al capoluogo del circondario. Non mi è difficile, lungo la via, non ostante l’imperversare della bufera, di constatare l’uso degli antiquati sistemi d’agricoltura e la frequenza di irra- zionali diboscamenti e di dissodamenti pericolosi di terreni in pendio; anzi per la pioggia dirotta, si vedono, pei campi non sostenuti a terrazzi, scorrere torrenti d’acqua limacciosa; e, più lungi, cessata la pioggia, appaiono livella- ti i leggeri solchi della recente aratura, e quindi sempre più impoverita la terra e distrutta l’opera faticosa di lunghe giornate. Arrivati alla sommità del monte s’apre dinanzi lo spettacolo meraviglioso della Valle del Noce, la zona più prospera e relativamente felice della Basilicata. I villaggi di Rivello, Nemoli e Trecchina e la grossa borgata di Lauria offrono uno spettacolo incantevole frammezzo ai boschi di castagni e di querce ond’è seminata la valle. Lauria divisa in due parti (superiore ed inferiore) nelle quali periodica-

125 mente si alterna l’ufficio municipale, conta 10,470 abitanti in confronto di 11,145 che ne aveva nel 1881. Ville moderne e sontuose già dimostrano, oltre al benessere della classe abbiente, una non comune abilità di costruzione. Gli abitanti di Lauria vanno famosi, del resto, a questo riguardo, e della loro specialità in fatto d’imprese di costruzioni, per cui molti, e nella stessa regione ed in America, seppero procurarsi ragguardevoli sostanze. Già nella coltura dei poderi propinqui alla città, abilmente ridotti a ter- razzi e scaglionamenti, nella disposizione delle vigne e degli orti, e quindi nella insolita pulizia delle vie, apparisce un senso di modernità cui l’occhio da qualche settimana ha dovuto disabituarsi. Contrariamente a Lagonegro, ove nessuna comodità può offrirsi al fore- stiero, si trova a Lauria un ottimo albergo. La luce elettrica prodigalmente diffusa aumenta l’impressione di benessere quando cala la notte, e la forza d’acqua che la produce, essendo di proprietà del comune, ne rende lievissi- mo il costo, sì che la trovai installata anche nelle casupole più meschine. Da queste premesse è facile prevedere come qui il fenomeno emigrato- rio non sia guari allarmante. Si lamenta è vero una certa deficienza di brac- cia per l’agricoltura; ma non ne è causa speciale l’emigrazione, bensì la ten- denza degli individui a dedicarsi ad occupazioni d’altro genere. Si emigra per desiderio di lucro, ma col proposito del ritorno; è rara la famiglia, anche di medio ceto, che non abbia un membro in America e che da quello non riceva soccorsi o risparmi. Pur tuttavia l’enorme riduzione del- l’industria armentizia che formava un tempo la fonte principale di ricchezza, è causa di disagio cui a stento sopperiscono i proventi dell’emigrazione. Non esiste affatto esodo vero l’America del Nord; il nucleo maggiore degli emigranti si trova nell’Argentina e, non ostante la crisi economica di quel paese, non si nota che si trovino in tristi condizioni. Moltissimi si tro- vano pure in Brasile, vari di essi vi possiedono delle fazendas al cui lavoro chiamano i compaesani. Certo Canciani Maurizio proprietario di una fazen- da presso Jaboticabal venne recentemente in patria e riemigrò, conducendo seco varie famiglie che colà si trovano soddisfatte. Muratori e falegnami in massima parte, trovano agevolmente lavoro; gli altri si dedicano al commercio minuto e si spargono in Centro America, nel Venezuela e nelle Antille. Ve n’hanno a Portorico in buone condizioni ed a Panama e Caracas.

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Le condizioni generali del Comune sono discrete e più lo sarebbero, ove non vi esistesse una lotta acerrima di partiti personali, la quale distoglie gli amministratori da un lavoro proficuo per le classi meno abbienti. Oltre 900 famiglie vivono sparse per la campagna e, benché contribui- scano alle entrate del comune, usufruiscono assai poco dei benefici. Qui mi avvenne di constatare per la prima volta come moltissimi abitanti del comune sieno affatto privi di servizio medico, salvo per eccezionali circostan- ze, e come le constatazioni mortuarie non vengano fatte a domicilio; ma la fami- glia sia obbligata a trasportare il cadavere alla sede municipale e quindi, a tutte sue spese, al cimitero. In queste condizioni è ovvio supporre che anche il beneficio dell’istru- zione obbligatoria elementare riesce per molti affatto irrisorio, per quanto il comune spenda quasi la metà delle sue entrate a questo scopo. Non esiste che un medico condotto con 700 lire di stipendio per i pove- ri d’un paese di 11,000 abitanti. Nessun ospedale e, solo 200 lire figurano in bilancio sotto il titolo beneficenza comunale. Non sono superflue queste indicazioni perché si riferiscono al Comune della Basilicata, il quale, tra quelli da me visitati, offre maggiore parvenza di benessere. Non è difficile comprendere come questo benessere sia riservato alle classi abbienti, mentre il contadino è mantenuto nello stato antico di abbie- zione, di ignoranza e di sconforto; e non sarebbe quindi improbabile che da un momento all’altro si manifestasse ancor qui con violenza la tendenza emigratrice.

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A Lauria notai con gradita sorpresa un accenno ad industrie locali che denotano la possibilità di trovarvi già pronta una buona maestranza, qualo- ra sorgesse una intelligente iniziativa d’approfittare dei 500 cavalli di forza di acqua, che vanno attualmente quasi del tutto perduti. Numerosi telai di rozzo panno e di tele casalinghe di lino e cotono for- niscono la regione, e non bastano, naturalmente al consumo. Varie concerie di pelli possono sostenere validamente la concorrenza dei grossi produttori

127 estranei, grazie alla grande quantità di foglie di mirto che si trovano nelle vicinanze e che servono quale sostanza tannica pregevolissima. Il vitto delle classi lavoratrici è quasi esclusivamente vegetariano, non avendo altro condimento che il lardo dei maiali che ogni famiglia alleva con grandi sacrifici; il clima non potrebbe essere migliore. La città si trova sopra un terreno minato da correnti d’acqua sotterranee, sì che non sono rari i cedimenti mantenendosi la popolazione in agitazione costante. Sarebbe assai desiderata qui la prosecuzione della ferrovia che fa capo a Lagonegro e che nel primitivo progetto avrebbe dovuto prolungarsi per la Valle del Noce fino a congiungersi con quella del litorale tirreno a Castrocucco, oppure proseguire per Rotonda e Viggianello fino a Castrovillari e Cosenza.

Trecchina, Nemoli e Rivello

Scendendo da Lauria verso il letto del Noce, che versa le sue acque nel golfo di Policastro, si scorgono sulla china di colline ricche di uliveti, i vil- laggi di Nemoli e di Rivello ch’io non potei visitare; ma sui quali assunsi a fonti molto attendibili le seguenti informazioni. Essendo essi situati in una plaga relativamente ferace, per quanto colti- vata anch’essa con sistemi antiquati, la popolazione agricola non si trova tanto a disagio come in altre località del Lagonegrese. Un’industriosità speciale induce gli abitanti ad occuparsi di preferenza nel mestiere di stagnari e di calderai, ed a portare l’arte loro all’estero con grande profitto generale. Molti di essi, infatti, si recano sulle coste mediterranee della Francia e della Spagna e di là sono spinti al Centro America, al Venezuela ed alla Colombia. Molti emigrano al Brasile ed all’Argentina, ma sempre in via tempora- nea; tanto che è raro che alcuno di essi non ritorni in patria, o definitiva- mente ed in modo provvisorio, per acquistarvi, coi fatti risparmi, qualche podere. Recentemente il movimento migratorio venne accentuandosi, in causa probabilmente delle crisi economiche dei paesi americani, le quali, col pre-

128 cludere ad essi il mezzo di pronti guadagni, li indussero a chiamar presso loro le famiglie lasciate in patria, non acconciandosi a rimanere troppo a lungo separati. Rivello perciò accenna a diminuire in modo sensibile la sua popolazione.

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In quasi identiche condizioni si trova il paese di Trecchina, posto in una ridentissima planizie circondato da boschi superbi di castagni e dotato d’un clima dolcissimo e d’un suolo assi ferace. Quivi l’emigrazione data, come nei precedenti paesi, da tempo imme- morabile; ed oltrecché composti da calderai e stagnari, lo è pure di contadi- ni vivaci i quali, senza eccezione, rifuggono all’estero dall’antico mestiere e si dedicano unicamente a quello di merciaiuoli ambulanti. Sembra che un sacro orrore si abbia anco qui per l’America del Nord, tanto che nessuno assolutamente vi si reca; e ciò è spiegabile, date le tenden- ze nomadi di questa gente, la quale aspira al risparmio e s’accontenta di una misera vita; ma non si acconcia a nessun lavoro di vera fatica. A poca distanza da Maratea, Trecchina divide con quel paese il vanto di avere suoi figli in ogni punto dell’America Spagnola, dal Messico alla Terra del Fuoco. A Merida, a Messico, all’Avana, a Panama, a Caracas, Bogotà, Lima, Guayaquil, Sucre, La Paz, Valparaiso e Buenos Ayres si trovano trecchinesi; e se ne trovano in grande quantità in quegli Stati nordici del Brasile, che sem- brano i meno adatti alla nostra emigrazione. Abbandonano il lavoro dei campi, che viene assunto da calabresi immi- grati, molti dei quali si stabiliscono in paese al soldo dei proprietari dei fondi i quali se ne stanno invece all’estero. In complesso il paese vive dell’emigrazione e non ha affatto il desiderio che le si ponga ostacolo. Se un certo aumento si è verificato nell’ultimo biennio si deve alle facilità accordate dalla nuova legge che indusse a sfuggire agli obblighi del servizio mili- tare. Nel Venezuela e nell’Ecuador i trecchinesi possiedono molte case di negozio che per antica tradizione cedono ai loro compaesani loro, quando intendono rimpatriare definitivamente per vivere di rendita.

129 Non ostante il benessere che si nota in questo paese, i campi non sono che in minima parte lavorati convenientemente, perché il nativo non ha guari amore al lavoro agricolo, ma solo al paese, e quando ritorna investe il suo peculio in rendita pubblica, essendo rarissimo che alcuno si preoccupi di migliorare i sistemici coltura, e vi si dedichi con amore. Si sollecitano naturalmente qui come dovunque, sgravi che sarebbero pur necessari per una minima parte della popolazione, quando riflettessero le imposte municipali; ma di cui in generale, fortunatamente, non si scorge, l’assoluta necessità.

Maratea

Attraverso una fitta foresta di altissimi castagni, una magnifica strada carrozzabile conduce fino al sommo del giogo, da cui si domina da un lato il panorama delle alte cime del Pollino, del Serino e della Spina e dall’altro l’ampia distesa del golfo di Policastro. A destra la storica punta di Sapri, a sinistra le montagne digradanti dell’Appennino Calabro. Lasciato il bosco, la via scende per tortuosi meandri, tra rocce calcaree e lungo aspri dirupi a Maratea È un borgo di 5600 abitanti adagiato sulla china della montagna e lega- to da una strada tortuosa, ma comoda alla spiaggia, ove esiste un piccolo porto. Per l’aspetto delle case e dei negozi, pel vestire degli abitanti e per lo stato delle vie ben lasciate pulite, si distingue da tutti gli altri paesi visitati e si pre- sta a lusinghiero giudizio. È infatti, fra gli altri, il più prospero paese; esso ha tratto dall’industrio- sità e dallo spirito d’iniziativa dei suoi abitanti quella ricchezza, che la natu- ra non gli diede, se non nella dolcezza del clima e per la vicinanza del mare. Il terreno roccioso non si presterebbe affatto alla produzione, se, con somma cura e rara abilità, non fosse convenientemente preparato. Abbondano i muri di sostegno, i terrazzi, gli scaglionamenti, anche colà, ove parrebbe non dovesse metter conto di costruirne. All’asprezza del sito ed alla ostilità degli elementi ha sopperito il lavoro, e gli ulivi e gli aranci crescono, ove, in altre zone, s’avventurerebbe appena la capra. È questa stessa intelligente attività che indusse la popolazione di Maratea

130 a rendere produttivo il suo suolo, la condusse a trovare, anche fuori del pro- prio paese, gli elementi della ricchezza. È un’emigrazione specialissima, quale la danno alcuni paesi della regio- ne dei laghi lombardi o delle prealpi venete e della riviera genovese. Sono tutti artigiani indoratori, argentari e stagnai, che si dirigono in Francia, Spagna e Belgio e si spingono invariabilmente anche in America. Anche per essi la sola America possibile è la Latina; ed è quindi assai raro che alcuno si diriga nei paesi Anglo-sassoni. Difficoltà di lingua, diversità di costumi e restrizione di leggi circa i mestieri ambulanti li distolgono da quella meta; essi, d’altronde, non hanno a lamentarsi d’aver seguita l’antica. Nel Messico prediligono la capitale e le province centrali. Nella Colombia hanno formato nucleo in Bogotà e Porto Bonaventura, nel Venezuela a San Fernando de Apure e Ciudad Bolivar; alcuni sono stabiliti in Panama ed attendono la riapertura dei lavori per realizzare grossi guadagni colle proprietà acquistate. Nell’Ecuador vari di essi si stabilirono in Guayaquil, ove un Maratese ha guadagnato una grossa fortuna. Nel Brasile sta la maggioranza dei Maratesi e vi preferisce gli Stati del Nord e le città Manahos, Parò, Pernambuco, Bahia, per quanto ve ne siano colonie anche a Victoria (Espiritu Santo) ed a Guarantinguetà (San Paolo). Nell’Argentina non escono, che provvisoriamente, dai grandi centri di Buenos Ayres e di Rosario. In nessun punto, neppure della Liguria, ove pullula l’elemento marina- resco, mi avvenne mai di trovare una così generale e pratica conoscenza delle condizioni materiali e politiche dei paesi sud-americani, ed una così mate- matica sicurezza di quanto la gente asserisce conoscere. Il segretario comunale di Maratea è un vero pozzo di informazioni circa il luogo in cui si trovano i suoi compaesani, e quello che vi fanno, ed anco quanto vi guadagnano; ma, a ciò cui esso non basta, suppliscono le preziose informazioni del dott. Biagio Tarantini e d’altre egregie persone che m’avvie- ne di consultare. È raro che un Maratese non sia emigrato, ed è altrettanto raro che, all’in- fuori di fisica impossibilità, esso non ritorni; è più difficile ancora ch’esso non ritorni con buoni risparmi. Così tutti portano notizie, ed un legame indissolubile li stringe tutti al paese natio. All’Avana diversi lavorano negli Ingenios de azucar alla fabbricazione e manutenzione degli alambicchi.

131 A New Orleans alcuni fanno gli elettricisti ed altri gli orefici. Al Messico i calderai. A La Paz (Bolivia) il cav. Cesarino, ricco banchiere, è agente consolare e dà lavoro a molti compaesani. A Lewis (Canadà) varie famiglie lavorano e commerciano in arredi sacri. A Quinto ed a Bogotà, a Caracas, a Rio Janerio ed a Pernambuco fanno i negozianti. Questa parola è spesso ripetuta con compiacenza meridionale, qui ed in molte altre parti della provincia; e sarebbe lusinghiero se si potesse prendere nel senso più lato, invece che nella più stretta eccezione. Sono negozianti perché commerciano; iniziano la loro industria con una cassetta di legno appesa al collo mediante uno spago, e finiscono sovente anche a diventare… banchieri. Certo è, che sono d’una intraprendenza straordinaria e formano il pro- totipo di quella razza noiosa, antipatica, ma tenace e sobria, per cui la vita si riduce all’unico scopo di raccogliere un gruzzolo, il quale ai nordici sembra meschino, e che ad essi concede di far ritorno alla terra natia, ove molti vivo- no prestando ai compaesani il denaro pel viaggio ad un interesse arciusura- rio, fornendo, pure a pagamento, buone indicazioni, e dondolandosi lungo la spiaggia, finché non li coglie la nostalgia dei lontani paesi, aggravata dal desiderio di nuovi guadagni.

* * *

Le tasse sono relativamente poche; la maggior parte dei rimpatriati, avendo impiegato i loro risparmi in rendita pubblica ed in prestiti ipotecari, non risentono il peso delle imposte, che ad essi non par di pagare. Non esiste tassa sul focatico nel bilancio, ma gli amministratori attuali sembrano decisi ad imporla; esiste però quella sul bestiame, non ostante la diminuzione continua di questo, sì da esser causa di disagio grave fra la clas- se agricola. Ma la gente, anche ricca, è abituata alla più stretta economia ed alle più grandi privazioni, e non si preoccupa, essendo al potere, delle condizioni della classe lavoratrice dei campi. Questa, d’altronde, appartiene in massima parte alle regioni finitime ed è molto fluttuante. Non v’ha preoccupazione circa la possibile mancanza di

132 braccia per causa dell’emigrazione, perché esiste la sicurezza, che i vuoti sarebbero colmati da Calabresi e Salernitani. La base di prosperità sta nell’e- migrazione la quale qui è semplicemente un’industria. Così fosse in tutto il resto della Provincia!

La Valle del Mercure

Da Sapri, presso Maratea, per Rivello fino al Lago Negro, parte la bellis- sima strada che lega il Tirreno all’Jonio con un percorso di 175 chilometri. Fra le arterie stradali della Basilicata, questa è soprattutto notevole per gli enormi sacrifici che ha dovuto costare e per l’infinità di opere d’arte che vi si dovettero costruire. Nelle vicinanze del Lago Negro o Serino si unisce a quella, che dal capo- luogo del circondario si dirige verso Rotonda e Viggianello e che venne ini- ziata da Gioacchino Murat e compiuta poi dai Borboni. Ad un certo punto si biforca e prosegue, da un lato vero l’Jonio, dall’al- tro per Lauria. Da qui sale al Piano del Galdo e discende nella valle del Mercure. Per questo ramo, partendo da Lauria, si raggiungono, dopo quat- tr’ore e mezza di vettura, i villaggi di Castelluccio Superiore e Inferiore. Qui si manifesta uno dei contrasti più straordinari, di cui è pur ricca la Basilicata, circa il fenomeno della emigrazione. Castelluccio Superiore è un ammasso di casupole aggrappate ai fianchi di una roccia. La pittoresca veduta esteriore non è, purtroppo, consona all’a- spetto miserabile interno, alla povertà delle case, al sudiciume delle vie, alla condizione generale degli abitanti. «Se non avessimo lo sfogo dell’emigrazione afferma il signor Sindaco del Comune non si saprebbe affatto come vivere. L’unico efficace provento ci viene da essa; ben pochi resistono al bisogno, più che al desiderio, di emi- grare; e pochissimi mancano al dovere di mandare sussidi alle loro famiglie». La pastorizia era un tempo la sola fonte di vita, ma i successivi disbosca- menti, l’epoca terribile del brigantaggio e la gravezza dei tributi (principal- mente quello della ricchezza mobile, imposta ai proprietari degli armenti) la ridussero a nulla. Le spese obbligatorie comunali, soprattutto quella per l’istruzione ele- mentare, assorbono le entrate, costituite dal focatico e dalla tassa sul bestia-

133 me: le rendite patrimoniali sono nulle, ed i lavoratori che rimangono, anti- chi pastori e boscaioli, scendono al basso, per contendersi la misera paga nel lavoro dei campi di Castelluccio Inferiore. Gli emigranti si dirigono, nella quasi totalità, all’America Meridionale, e rarissimi sono quelli che si dedicano a lavori faticosi: quasi tutti scelgono la professione del merciaiuolo ambulante o del lustrascarpe; ma la loro sorte non è guari meschina. Solo da qualche tempo incominciano a scarseggiare i sussidi. Le località preferite sono gli Stati nordici del Brasile: Purà, Manhaos, Amazonas, Bahia. Alcuni alla Repubblica Argentina ed al Venezuela. Nessuno al Messico ed agli Stati Uniti. Anche qui, negli ultimi tempi, si nota l’emigrazione definitiva delle famiglie, e quindi il conseguente maggior aggravio delle rimanenti, su cui ricade l’integrità delle tasse municipali. Il movimento della popolazione nel 1902 offre parità di cifre fra le nascite ed i decessi, il che dinota una spro- porzione grande tra i sessi. Non si chiedono provvedimenti contro l’intensità del fenomeno emigra- torio, e solo si considera di assoluta necessità qualche misura, che serva a ripristinare l’antica industria pastorale e che riduca gli obblighi del Comune, onde alla sua volta, esso possa ridurre i pesi che gravano sugli abitanti.

Castelluccio Inferiore

Dintorni pittoreschi, castagneti superbi, vigne ed orti rigogliosi, il suolo appare fertilissimo, presentando lungo la via degli strati grossissimi di humus. Il paese attraversato dalla strada nazionale è illuminato, benché parca- mente, a luce elettrica, le vie laterali non offrono il solito aspetto ripugnante. Varie case ben costruite lasciano presumere, dall’architettura esterna, ambienti spaziosi e comodi, non rari i negozi e tenuti con una discreta decenza. Trovo il Consiglio Comunale riunito e, finita la seduta, ho mezzo d’e- sporre l’oggetto della mia visita. Una discussione interessantissima, che dimostra l’elevata cultura del- l’ambiente, si stabilisce, ed eccone i risultati. L’impressione gradevole che producono i dintorni immediati del paese

134 non persisterebbe purtroppo, se l’osservazione si spingesse fino ai punti più lontani. Difettano le braccia pel lavoro dei campi, né questi, benché sieno dota- ti di buona terra, possono rendere abbastanza per compensare lo sforzo dei lavoratori, perché mancano i mezzi per coltivarli razionalmente o le nozioni necessarie all’uopo. Il clima assai variabile e la peronospora danneggiano la scarsa produzione, la quale non basta a nutrire la popolazione. Quindi si emigra, non solamente per desiderio di lucro, ma per evidente bisogno. Parte del terreno coltivabile è abbandonato, quindi è scemato di molto il valore della proprietà. Non esiste mezzo di procurarsi il credito necessario per iniziare coltura razionale e le scorte dei proprietari sono affatto esaurite. Il contadino che emigra, essendo legato con affetto intenso al suo paese, quando ne è lontano rifiuta il lavoro dei campi e procura col piccolo com- mercio e con vili occupazioni il raggranellare, al più presto, i mezzi per ritor- nare al suo paesello in condizioni di poter lavorare nel proprio. Ma, ritornato, si trova alle prese colle difficoltà fiscali, aggravate dalla nessuna considerazione che la classe abbiente media ha pel contadino; ed il confronto dell’ambiente in cui ha vissuto lo induce a riemigrare, tanto più che ha perduto l’abito al lavoro dei campi. Così avviene, che da qualche anno partono definitivamente intere fami- glie ed i proprietari sono obbligati a pagare, pel lavoro dei loro poderi, sala- ri molto elevati a gente avventizia. Qualora esistessero case coloniche o si sussidiassero convenientemente coloro che sono disposti a costruirle, si ovvierebbe assai a tale inconveniente; e se a ciò si aggiungesse un pratico insegnamento, sussidiato dalla prova mate- riale dell’utilità di nuove applicazioni agricole, l’emigrazione si arresterebbe. Questa era un tempo assai produttiva; ma ora si sono ridotti enormemente i suoi benefici, rimanendo intatte, quando non aumentate, le cause di disagio. La mancanza di credito agrario ed eque condizioni e l’imperversare dell’u- sura stremano l’agricoltore. Perciò se i terreni propinqui al paese appaiono in buono stato, perché facilmente concimabili, non lo sono affatto quelli lontani. D’altronde, anche volendo e potendo fare dei sacrifici, mancherebbe la possibilità di concimazione naturale, perché il bestiame da pascolo e da lavo- ro è ridotto ai minimi termini. Non esiste coltivazione pratile e quindi manca il foraggio che sarebbe necessario d’inverno per gli animali; né conviene, per un esiguo numero, mandarli, come un tempo si usava, a svernare alla marina.

135 Nessun’altra industria, che l’agricoltura, esiste nella regione e solo dai campi e dai castagneti può l’intera popolazione trarre la vita.

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L’emigrazione di Castelluccio Inferiore ha gli stessi caratteri e le stesse ten- denze e segue le stesse vie di quella di Castelluccio Superiore; ma i risultati che ne trae in paese, data la sua ubicazione ed i suoi peculiari bisogni, sono asso- lutamente diversi. Colà è considerato uno sfogo necessario e qui apparisce un vero disastro. Essa d’altronde si manifesta qui con maggiore intensità, perché, oltre all’esservi diminuita nel ventennio di circa il 25% la popolazione, essa ebbe a soffrire tra il 1901 e il 1902 un’altra riduzione di oltre il 10%, costituen- dosi, in massima parte, di gente adulta e produttiva. S’impone quindi la necessità di un ritegno, il quale non può risolversi che in qualche efficace allettamento al contadino, sia di rimanere, sia di ritor- nare al lavoro del suolo. Una fra le menti più preclari, uno degli uomini più venerandi per meri- ti patriottici e per serenità di giudizio ch’io abbia avuto la fortuna d’incon- trare in Basilicata, il comm. Dr. Agostino Scutari confermando l’esattezza delle precedenti notizie, raccolte da individui, appartenenti ad ogni classe della popolazione, aggiungeva: «Le condizioni di questo comune, pur non essendo molto dissimili da quelle della maggior parte dei Comuni della Basilicata, sono degne di spe- ciale attenzione da parte del R. Governo, per la facilità con cui si potrebbe, forse, ovviare alle sue disgrazie. A parte il desiderio ed il bisogno di sgravi, che è troppo generale in Basilicata, perché non finisca coll’imporsi, è particolarmente notevole qui la necessità d’introdurre insegnamenti pratici d’agronomia e facilitare, con ogni mezzo, l’adozione di sistemi razionali di coltura. Il suolo è qui eccezionalmente fecondo; e, se non rende quanto basta per soddisfare le imposte, per pagare convenienti salari e per favorire l’esistenza del proprietario, è unicamente perché s’ignora il modo di coltivarlo, e, cono- scendolo, manca il prezzo per mettere in pratica le acquistate nozioni. Da quanto Ella mi espose circa le osservazioni fatte e qui ed altrove, parmi che si trovi sulla buona via e sono felice di poterla incoraggiare a per-

136 sistervi. Se le sue proposte saranno accettate ed attuate, come dovrebbero esserlo per i sacrifici relativamente lievi che importano, e pei grandi benefici che arrecherebbero, saranno tolte di mezzo in poco tempo le cause che stan- no spopolando la Basilicata». L’approvazione decisa del venerando patriota mi fu di grandissimo conforto e credo di adempiere ad un dovere esprimendogliene, qui, la più viva riconoscenza.

Rotonda

Due ore di vettura dista Castelluccio Inferiore da Rotonda, capoluogo di mandamento e borgata di circa 4000 abitanti. La cortese accoglienza ricevuta, non può che farmi sembrar più doloroso il compito di descrivere la deplorevole impressione che la vista di questo paese, già devastato dai terremoti, ed in continuo pericolo di distruzione per frane minaccianti, può destare. Mi basti dichiarare, che fa meraviglia, che, date le condizioni desolanti del paese nei riguardi della pulizia, l’igiene pubblica esista. Ha perduto il 20% della popolazione e se l’emigrazione non avviene in massa è perché mancano i mezzi per farlo. Tutti, anco i proprietari, se ne vor- rebbero andare. È rarissimo che chi è emigrato ritorni e che chi ritorna rimanga: i lontani, appena possono, chiamano presso loro la famiglia. I pesi che gravano sui proletari sono realmente eccezionali. La tassa di focatico somma per 3800 abitanti, ad 11500 lire, e quella del bestiame a 4200; e queste due sole sopperiscono ai 3/4 delle spese obbligatorie. La condizione del contadino è pessima per il modo con cui è trattato; ma quella del proprietario non è guari migliore, per quanto dovrebbe con- vincersi, che, se il frutto della terra non basta a sfamare il lavoratore, non è equo che egli ne abbia a pretendere beneficio. È di uso generale tra proprietario e coltivatore la mezzadria, essendo tutti i pesi di seme e di lavorazione a carico del colono e solamente gravando sul proprietario le tasse. Avviene il contrario qui, di quello che si verifica in quasi tutto il resto della Basilicata, ove il contratto di mezzadria non si conosce ed i proprietari, od affittano i loro poderi o li fanno coltivare ad economia. Questo fatto, che potrebbe interpretarsi come un progresso, è invece la

137 conseguenza di una doppia miseria; quella del proprietario, che non avendo alcuna scorta per iniziare direttamente i lavori agricoli, è costretto ad accet- tare dal mezzadro, quanto a questo garba di dargli; del contadino che per sementi e concimi è costretto di ricorrere all’usura, per aver mezzo di trarre innanzi una misera vita. Qui, come a Lauria, per quanto l’estensione del territorio comunale sia molto minore, il servizio medico è limitatissimo. Due medici, per il com- penso annuo di 1000 lire ciascuno, hanno l’obbligo di sopperire alla cura di tutti gli abitanti. Le constatazioni mortuarie, per le abitazioni fuori centro, devono farsi trasportando il cadavere in comune. Date queste condizioni, è completamente spiegata la smania emigratrice. L’emigrazione, è qui pure quasi esclusivamente indirizzata all’America del Sud, con preferenza al Perù (Brasile), forse (mi fa osservare il ff. di sinda- co sig. Limonati), perché il costo del passaggio per quello Stato è minore che per ogni altro d’America. Merciaiuoli e spazzini, danno il contingente maggiore, non risulta che stiano male e quelli che hanno lasciato famiglia in paese sono, per la massi- ma parte, abituati a mandare soccorsi. Questo anzi è uno dei sollievi del comune, il quale si troverebbe nell’as- soluta impossibilità di provvedere agli indigenti. Si chiedono freni all’emigrazione, e l’egregio avvocato Cataldi, nomina- to recentemente sindaco del comune, trovandosi presente alla conversazione da me tenuta col comm. Scutari a Castelluccio Inferiore, applaudì con entu- siasmo alle idee esposte dal venerando uomo. Io non posso che riferire l’espressione del suo desiderio, augurandomi che questi provvedimenti giungano in tempo ad evitare uno spopolamento che, fa meraviglia, non siasi finora completamente effettuato! Lo stesso avvo- cato Cataldi, che con idee progressiste, cerca di adottare i moderni sistemi di coltura e di concimazione nei suoi poderi, lamentava acerbamente la refrat- tarietà dei contadini a questo proposito; citando fatti che comprovano l’im- prescindibile necessità d’un’istruzione pratica e sperimentale. Lo stabilimento di un campo sperimentale, con relativa casa colonica e dotazione di strumenti e di animali da lavoro e da latte, il quale fosse in con- dizione non solamente da servir d’esempio ai contadini e piccoli proprietari, ma anche di coadiuvarli nei primi tentativi, è il desiderio supremo della pro- gressista amministrazione di questo comune.

138 Questo desiderio è troppo conforme all’idea generale che venni forman- domi sin qui, perché io non faccia speciale menzione, riservandomi di ricor- darlo opportunamente più innanzi.

Viggianello - San Severino Lucano

Da Rotonda la via carrozzabile seguendo, lungo i fianchi della monta- gna, le molte sinuosità del Mercure, si prolunga fino a Viggianello e San Severino Lucano, donde per Francavilla e Noepoli dovrebbe raggiungere il Sinni, e congiungersi con l’arteria nazionale Tirreno Jonica. Per lungo tempo ancora questi paesi dovranno attendere la costruzione di questa strada di assoluta necessità e, frattanto, vanno ogni giorno più spo- polandosi; rimanendo fra le loro mura solamente la parte più debole della popolazione. Viggianello ha perduto il 29 per cento dei suoi abitanti e quindi oltre il 46 per cento dei suoi lavoratori. L’emigrazione vi è attualmente diminuita, unicamente perché mancano affatto i mezzi del viaggio; e dal Brasile, ove si è riversata negli anni scorsi la maggior parte di questi emigranti, giungono ormai rari e meschini i sussidi. San Severino Lucano ha perduto nel ventennio il 38 per cento della sua popolazione, equivalente a più del 60 per cento di quella lavoratrice, e, non pertanto, ancor oggi l’esodo vi è attivissimo. Molto raramente, un tempo, gli emigranti conducevano seco le loro famiglie, ora molti le chiamano ed accen- nano a non voler più ritornare. Non è guari difficile trovare la causa di quest’esodo nello stato di abban- dono in cui si trovano questi due comuni e gli altri della regione del Pollino di cui avremo in seguito a discorrere. La mancanza o la difficoltà somma di comunicazioni, non solo li segre- ga dal resto della provincia, ma vi rende carissima la vita pei prezzi dei gene- ri di prima necessità. Gli scarsissimi raccolti degli anni scorsi in cereali e castagne, li obbliga a provvedersi di tutto al di fuori; e, per frugale che sia questo popolo misera- bile, ha pure la necessità di alimentarsi. La risurrezione della pastorizia è qui elemento indispensabile di vita, e ad essa dovrebbero tendere unicamente gli sforzi di un governo riparatore, per evi-

139 tare il pericolo di veder riaccendersi un focolare pericoloso e tanto più dannoso, quanto realmente alimentato dalle necessità di vita. Lo squallore dei campi non ha paragone che nella desolazione dei caso- lari e delle tane, in cui vive questa gente sobria ed incosciente, in una abo- minevole promiscuità.

La Valle del Sinni

Già ebbi a dire come la strada nazionale Tirreno-Jonica, congiuntasi al Lago Serino con quella Lagonegro-Castrovillari, prosegua poi, presso Lauria, verso mezzogiorno. Salendo con lunghissime giravolte i fianchi della montagna, che chiude la Valle del Noce, s’impiegano circa tre ore per giungere alla sommità; ond’è che io preferii valicare a piedi il giogo, cogliendo l’opportunità, rara in que- sta stagione, d’una mattinata serena, per visitare alcune casupole di contadi- ni, situate sull’erto pendio e raggiungere la vettura nell’opposto versante. Queste casette coloniche costituiscono, pur nelle loro modestissime pro- porzioni, una specialità simpatica del comune di Lauria. Intorno ad esse il suolo coltivato con maggior cura e convenientemente concimato, accorda qualche legume alle famiglie; ma, più in alto, gli ondulati terreni presentano pendenze fortissime, e sono zappati fino nei punti più pericolosi, non lasciando una sola zolla libera, nel pascolo delle poche decine di pecore che vagano fra alcune rade boscaglie di ginestre selvatiche. Eppure il suolo è mor- bido e pastoso e superbi pascoli potrebbero agevolmente formarsi qui, ove i rari steli di grano, recentemente seminato, sembrano affacciarsi timorosi fra la gramigne invadenti. Interrogando i contadini, apprendo che ben pochi di essi si decidono ad emigrare e che, quelli che si recarono anni addietro al Brasile, fanno colà gli sforzi più disperati per procurarsi i mezzi al ritorno. La loro vita è assai misera qui; ma essi sono attaccati con ineffabile affet- to alla terra natia, né desiderano di abbandonarla, benché appaia loro matri- gna. Non ricavano, infatti, nelle loro annate migliori, più di cinque volte il seme sparso; sono lontani dal centro, e non possono approfittare delle scuo- le e del servizio medico. Ad un contadino che trovo intento a zappare la terra con una energia

140 straordinaria, chiedo, passando, come possa inviare i suoi figli alla scuola distante 3 ore di cammino; e risponde che, per qualche settimana, nel pieno inverno, un parente suo, abitante presso il paese, li ospita. Chiesto come possa, in caso di bisogno, aver soccorso di medico e di medicine: Alla mercé di Dio! Mi dice, e… Che Iddio ti protegga! Gli rispondo, contraccambian- do il suo rispettoso saluto. «È merito del caso qui rammentare, come le condizioni della pubblica sicurezza siano in Basilicata per nulla inferiori, quando non pure assai migliori di quelle d’ogni altra provincia d’Italia. Durante questo giro rapidissimo, in regioni d’una estrema povertà, in una stagione di grande penuria, m’avvenne sovente di far lunghi tratti di cammino a piedi per scorciatoie e sentieri isolati, di percorrere la notte in vet- tura, senza alcuna scorta, decine di chilometri di strada deserta, senza notare il minimo pericolo, e solo trovando gente rispettosa e cortese. Fuorché in alcune parti del circondario di Melfi, ove l’uso del vino ecci- ta alle volte le passioni, fra i lucani sono assai rari i delitti di sangue e quasi sconosciuti gli attentati alla proprietà. Le informazioni attinte nelle numero- se stazioni dei Carabinieri Reali ed alle autorità giudiziarie, confermano pie- namente questa osservazione e giustificano questa attestazione doverosa».

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Dall’altro del giogo s’apre dinanzi la valle del Sinni, dalle montagne spo- glie d’ogni vegetazione, e dall’aspetto melanconico ed agreste. Tutt’intorno è come un’aria di desolazione; i terreni ripidi sono per la maggior parte incol- ti, con una casupola si scorge nella grigia uniformità della valle; ad uno svol- to del cammino apparisce un povero gregge di ovini piccolissimi, ed una fan- ciulla, avvolta in un saio di lana giallastra, immobile sopra un macigno, sem- bra un idolo di creta eretto dagli antichi Lucani alla divinità del Silenzio. La vettura scende rapidamente fino in fondo alla valle, quindi rimonta, a fatica, lasciando agio di notare, nell’approssimarsi a Latronico, una trascu- ratezza, maggiore assai di quella fin qui veduta, nella lavorazione dei campi. Alcuni contadini stanno zappando un terreno sui margini d’una via; interrogati ove abbiano la loro casa, rispondono d’esser venuti al mattino e d’esser obbligati a ritornare la sera a Latronico, e questo dista più di tre ore di cammino!

141 Più innanzi vedo, per la prima volta, in azione quell’aratro di legno, di cui avevo spesso udito parlare; ma che non mi sarei immaginato mai così primi- tivo ed insufficiente allo scopo. Ma la via è lunga e non ho campo, né di esa- minarlo né di fotografarlo, perché il tempo è minaccioso e la sera è vicina. Da lontano, in alto, ad 884 metri, disteso come un panno sudicio sulle spalle nude della montagna, apparisce Latronico. Poco prima d’arrivarvi, la vettura sorpassa una famigliuola di contadini che ritorna dal campo. Dinnanzi, un asinello carico di due bisacce porta in groppa un bimbo di cinque o sei anni, un altro bimbo spinge innanzi a sé, con una bacchetta, tre piccoli maiali; dietro viene un uomo con due zappe sulle spalle e quindi, una donna smunta, recante sulla testa un rozza culla, da cui esce un vagito; chiude il corteo un cagnetto zoppicante, che cammina scodinzolando!

Latronico

Dei trentacique comuni della Basilicata che ebbi campo di visitare per- sonalmente in quattro settimane, Latronico è senza dubbio quello che più dolorosa impressione ha lasciato in me. Qui trovai raccolte, ed ebbi campo di analizzarle, le più svariate cause dell’emigrazione, le più tristi ragioni di disagio e gli effetti più lamentati di uno spopolamento, il quale, date le attua- li condizioni, è da meravigliarsi non sia ancora completo. A chi vuol farsi un concetto esatto delle miserie e dei bisogni d’una inte- ra popolazione, e fors’anco dei mezzi che sarebbe necessario impiegare per alleviarli, io credo, potrebbe bastare una visita a questa borgata. Dopo questo comune molti altri ne visitai, trovandone alcuni in con- dizioni fors’anco più disagiate; ma in nessun ebbi campo, malgrado il più deciso volere, di fare il complesso di osservazioni pratiche, che mi fu dato in questo. Nel 1881, Latronico albergava 4103 abitanti, nel 1901 essi erano ridot- ti a 3144 ma 200 d’altri emigrarono da quell’epoca al 15 novembre 1902. L’immensa maggioranza degli emigranti si dirige al Brasile, nello Stato di Rio de Janeiro e pochi approfittarono del viaggio gratuito negli anni scorsi. Altri vanno a Buenos Ayres e Montevideo; solo tre o quattro, in due anni, emigrarono per New York.

142 Partono soli, e pochissimi chiamano presso di sé le famiglie; ma molti le dimenticano. Si acconciano ai lavori campestri; ma non s’allogano che a gior- nata, avendo sempre di mira il rimpatrio. Sono lavoratori senza alcuna iniziativa, i più facili strumenti per gli arruolatori esistenti oltre Atlantico, che ne sfruttano la forza fisica ed inco- sciente. Ignoranti e diffidenti, hanno nell’aspetto e nei modi l’impronta del- l’abbrutimento, dal quale nessuno mai, neppure adesso (e forse meno adesso che per lo innanzi) s’è occupato di sollevarli. Parlano con aria attonita e rispondono (anche alle più semplici doman- de) col fare annoiato e triste dell’infermo, che non ha fiducia alcuna del medico che s’affanna a curarlo. Un tempo, quando l’America era ad essi ignota, emigravano d’inverno alla marina con moglie e figliuoli, per l’unico compenso del vitto; ora si reca- no nei peggiori paesi del Nuovo Continente, solo perché altri, prima di loro, v’è andato, e qualcuno ne trasse discreti benefici. Né pensano, né riflettono; agiscono inconsciamente, perché, da soli, sono abituati ad agire così. La classe abbiente li tratta da bruti, il parroco ne discorre, come di gente di cui non v’ha merito ad occuparsi, il sindaco, per indurli a parlare, li strapazza e l’esattore li spoglia. Può sembrare assai fosco ed esagerato questo quadro; ma se dal giudizio generale scendessi alle osservazioni particolari, potrebbe apparire benigno.

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Prima di recarmi in Municipio per consultare la classe colta, accompa- gnato dal sindaco e dal professore Salerno (di cui più innanzi dovrò fare este- sa menzione) percorro per ogni verso e per immonde viuzze la borgata. In una capanna, che non ha altro sfogo per l’aria che un’angusta portici- na, trovo una vedova con tre bambini accovacciata in un angolo, intenta a far ingoiare una zuppa di cicoria ai bambini. Da alcuni tizzoni mezzo spenti esala un fumo insopportabile che mi respinge all’aperto. Per quella tana la vedova paga sette lire di tassa fabbricati, cinque di focatico ed ancor qualche cosa pel fondo del culto. In un’altra spelonca due vecchi settantenni, incapaci affatto al lavoro, affermano, ed il sindaco conferma, che, a giorni, dovranno lasciare quel rico-

143 vero per esecuzione giudiziaria, non avendo pagato le tasse loro imposte. E non hanno legna per riscaldarsi! Né pane per sfamarsi! In una terza, una donna quarantenne dai lineamenti superbi, ma dalla pelle aggrinzita, ci accoglie come nemici; il sindaco la investe e l’intimidisce tanto, che sono costretto a pregarlo di ritirarsi. Con cortesi blandizie, ed assi- curandola che non intendo recarle alcun danno, riesco a farla parlare. Ha il marito da 10 anni in America, la lasciò con due figliuoli, inviò soccorsi fino a 5 anni or sono: ora, benché ella sappia ove esso si trova, non ne può rica- vare alcun sussidio. S’affanna a lavorare un campicello, dal quale quest’anno, da un mezzo ettolitro di grano turco di semente ricavò a stento un ettolitro. Mi presenta una bolletta di tassa fondiaria da cui risulta che paga 14 lire annue, parte per la casa (d’una stanza) e parte per il podere, ma giura e sper- giura che quest’anno ne pagò più di 30!! Rinuncio a descrivere l’interno dell’abitazione, il giaciglio su cui dorme coi figli, mentre di sotto grugnisce un magro maiale, le vesti che la lasciano quasi ignuda, la provvista di patate e di peperoni rossi che le servirà d’ali- mento per l’intera invernata, il sudiciume interno ed esterno che ripugna. In una capanna vicina noto un aspetto d’insolita decenza; vi abita una coppia di giovani sposi; guardo in faccia l’uomo e gli dico: Tu sei stato in America! Sissignore, mi risponde con una certa fierezza, e presto ci ritornerò! - E perché? Gli chiedo. - Perché?…. il mio sogno sarebbe rimanere; ma le angherie continue che dobbiamo sopportare, per tasse, per prestazioni, per difficoltà ad ottenere un lavoro remunerato, mi fanno preferire i paesi in cui sono stato; - E dov’eri? Al Brasile nello Stato di San Paolo, nella fazenda di Santa Teresa presso Campinas. Ne sono partito perché il proprietario non volle pagare il mio lavoro; ma colà almeno si mangiava e non si pagavano imposte!… Questo del dover pagare imposte in denaro è il sacrificio più grave che si imponga al contadino lucano. Egli si sottopone più facilmente a restituire dopo sei mesi un tomolo e mezzo di grano, per un tomolo avuto in prestito per semente, che a pagare 30 centesimi pel maiale che macella; e per evitar- lo, si priva delle une e dell’altro.

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Certo è che questa riluttanza a sborsare denaro ha la sua base giustifica- tiva nelle condizioni e nei costumi del paese, ove tutto risente ancora dell’età antica, dai sistemi d’agricoltura, alle relazioni di negozio fra gli abitanti. Corre pochissimo il denaro, e, perciò, chi ne abbisogna deve quasi sem- pre ricorrere al credito, che qui si risolve, invariabilmente, in usura. In una usura che non ha limiti e che varia dal 50 al 200 per cento, ed arriva fino alla redazione di documenti come il seguente: «Dichiaro io qui sottoscritto Raffaele Buoncristiano, di questo comune, di aver ricevuto da Vincenzo De Biase, del comune medesimo, la somma di lire trecento, a titolo di mutuo oneroso con gli interessi a suo piacimento e mi obbligo fargliene la restituzione ad ogni sua richiesta».

Latronico, 29 settembre 1897 Fir. Raffaele Buoncristiano

L’intelligente brigadiere dei carabinieri comandante quella stazione, che pregai di farmi avere questo documento (il quale più tra gli altri m’aveva col- pito), mi assicurò che tali documenti sono tutt’altro che rari in Latronico. Potrebbe, a prima vista, sembrare che questo credito abbia una base assolutamente fiduciaria; mentre invece è più che certo, che il prestamista sapendo che il documento surriferito non avrebbe valore in giudizio, prov- vide a garantirsi con dei pegni reali, superiori di molto, in valore, alla somma prestata. Quella che figura, anzi, nel documento, è, generalmente, il doppio di quella realmente ricevuta dal creditore, ed è rarissimo il caso, che l’impegno non si adempia e, questo solo avviene, come nel caso attuale, per morte del debitore. Ma anche in tale circostanza il creditore conserva il documento contando sullo spirito di solidarietà dei parenti e sul sentimento generale di fierezza, incomprensibile tra gente così abbrutita, per ricuperare il suo avere. L’usura, quindi, è una delle principali cause del depauperamento di Latronico ed anche della sua emigrazione. Questa non si effettua che mercé il concorso di questi prestamisti di mestiere, alcuni dei quali figurano o figu- reranno nell’amministrazione comunale del paese, ed altri sono fra i membri più notori della classe dirigente.

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Altra causa impellente consiste, come già ebbi brevemente ad accennare, nel sistema stesso d’amministrazione, di cui mi si offersero qui esempi deplo- revolissimi, essendovi in corso anche un processo penale. Se io dovessi desumere dal modo con cui vidi trattata dal sindaco la pove- ra gente da lui amministrata, dall’agire del segretario comunale, dalla aria di gaudente inconscio del parroco e dai reclami fattimi da ogni parte contro l’e- sattore comunale, dovrei affermare che a Latronico s’è radunato, a questo riguardo, quanto v’ha di più propizio ad uno spopolamento completo. Il bilancio comunale sopperisce unicamente alle spese colla tassa focati- co (limitata a 50 lire pei ricchi, ed estesa col minimo di 2 lire ai più misera- bili abitanti) coi diritti di pascolo e col dazio consumo. Nelle spese obbliga- torie pel medico condotto figurano 1700 lire annue pel servizio dei poveri e, ricercando la causa di questa insolita prodigalità, risulta che il titolare è stret- to parente di uno dei membri più influenti dell’amministrazione comunale. Per le scuole si hanno 3000 lire di stipendi; ma persona degna di fede mi assicura che alcuni maestri non percepiscono che parte dello stipendio loro assegnato; il resto delle entrate, fino all’ammontare di 1700 lire, è assorbito da servizi pubblici di difficile constatazione. L’arciprete ed i proprietari non credono che si debba frenare l’emigrazio- ne, mancando effettivamente il lavoro per tutti; ma riconoscono che, ove si potesse migliorare l’agricoltura per mezzo di insegnamenti pratici e di mate- riali (per quanto esigui) sussidi, e si promettessero ricompense a chi mettesse in pratica i nuovi sistemi, ed infine si sollevassero i meno abbienti dal peso enorme delle tasse governative, principalmente sui fabbricati, l’emigrazione si arresterebbe essendo il contadino molto legato al suolo che lavora. All’accenno che da essi dovrebbe venire l’esempio, sollevandoli dai pesi comunali, od attenuando almeno la fiscalità nell’applicazione di essi, ed aiu- tando il governo in quest’opera di rigenerazione, solo un paio forse, fra venti, dimostra che vi sarebbe disposto. Non ostante le condizioni igieniche deplorevolissime, sia delle strade che nelle case, la salute generale, forse pel merito della grande altezza, in cui si trova il paese, è discreta. La sicurezza pubblica nulla lascia a desiderare ed assai rari sono i casi di furto, e questi, solamente per generi di prima necessità.

146 La distanza dei boschi fa che il contadino per procurarsi la legna neces- saria, data la rigidezza del clima, debba abbandonare il lavoro che gli procu- ra quel pane, del quale ebbi ad esaminare alcuni campioni, che mettono orrore.

Episcopia

Da Latronico la via scende per interminabili andirivieni fino al letto ampio del Sinni. Qui s’interrompe, essendo tuttavia in costruzione il magni- fico ponte, che unisce all’altra sponda. Sotto una pioggia dirotta ci conviene percorrere a piedi il lungo tratto dell’alveo sassoso e, mentre si passa il fiume lungo la parte in muratura del ponte, la vettura ne tenta più volte il guado, sinché riesce (pure inondandosi a metà) a forzare la rapida corrente. Persistendo quella pioggia, avverrà, come succede spesso in primavera, un’in- terruzione forzata delle comunicazioni tra una gran parte del circondario di Lagonegro ed il capoluogo. Sotto l’imperversare della tempesta si arriva ad Episcopia, un triste vil- laggio posto al centro d’un’angusta valle sormontato da un nero e smantella- to castello medioevale. Alcuni vigneti adornano il colle, su cui sorge il paese; boschi di castagne e tratti di terra in pendio, coltivati a frumento, apparisco- no sulle falde delle montagne circostanti, le quali, in alto, mostrano i fianchi denudati pel totale diboscamento. Nella casupola destinata ad ufficio municipale, cui si accede per una viuzza sudicia fiancheggiata da miserabili abituri, m’è dato visitare la scuola, ove un maestro, dall’abito, oltre ogni dire, dimesso, impartisce l’insegna- mento ad un paio di dozzine di bimbi dall’aria abbastanza svegliata. Nella unica stanza che serve d’ufficio municipale si raccoglie una ventina di perso- ne appartenenti, in massima parte, alla classe relativamente agiata. In questo villaggio sperduto fra le montagne, e distante 19 chilometri dal capoluogo di mandamento, (col quale per una buona parte dell’anno rimase finora preclusa ogni comunicazione), esiste una lotta acerba di partiti muni- cipali, lotta dalla quale l’elemento analfabeta, che si trova in maggioranza eccezionale, è affatto escluso. Anche qui il bilancio trae dalle tassi di focatico e di bestiame la fonte unica per le spese. Al medico è assegnato pel servizio dei poveri lo stipendio

147 annuo di lire 200, ma in compenso ne riceve 1300 dalla rubrica spese facol- tative per curare la classe agiata. Non è questa però che sopporta i maggiori pesi; giacché la tassa focatico ha un massimo di trenta lire e un minimo di una lira, minimo applicato a pochissimi. L’Amministrazione anteriore avea dato alla tassa suddetta mag- giore elasticità, imponendo un massimo di 80, e quindi di 50 lire; ma l’at- tuale lo ridusse a 30; perciò il piccolo proprietario ed i contadini, che abita- no esclusivamente nel villaggio, ne sono i più caricati. Nessuna rendita patrimoniale, nessuna somma per beneficenza. Numerose le esecuzioni forzate per mancato pagamento di imposte, le spese di giudizio, le indennità dei pubblici ufficiali eccessivamente gravi. Nelle esecuzioni forza- te per vendita di terreni l’esattore rimane assai sovente aggiudicatario. La gente quindi emigra; la massima parte si dirige alla Repubblica Argentina, ove si dedica ai lavori dei campi ed anche alla pastorizia, in cui l’Episcopiota è maestro. Il paese andava celebre un tempo pei suoi latticini; ora quest’industria è affatto sparita. Esiste un distacco enorme fra il proprie- tario ed il lavoratore, e questo, una volta emigrato, se ritorna, non sa accon- ciarsi alle antiche consuetudini e riparte. Si ebbe, e si continua ad avere, un rilevante beneficio dalla gente emi- grata, calcolandosi un introito annuo in sussidi di 60 e 70 mila lire. Il contadino parte facendo un debito ad interesse usurario, ipotecando, quando lo possiede, il suo piccolo fondo; e, come si disse, non pensa a ritor- nare e chiama presso di sé, appena gli è concesso, la propria famigliola, sod- disfacendo prima i suoi debiti. Se gli emigrati fossero rimasti in paese, non avrebbero avuto mezzo di vivere, perché l’industria armentizia è completamente distrutta per le vessa- zioni eccessive. Ma la mano d’opera ormai fa difetto, e molti terreni che pur sarebbero produttivi, rimangono abbandonati. Converrebbe migliorare i sistemi agri- coli, ma difettano istruzione e mezzi. Alcuni proprietari, tra i quali l’ex sin- daco del Comune, tentarono introdurre strumenti perfezionati, ma l’impos- sibilità di mantenere i necessari animali da lavoro durante l’inverno, e l’i- gnoranza caparbia degli agricoltori, frustrarono l’iniziativa. Episcopia ha sofferto moltissimo per terremoti e frane, e la relativa vici- nanza del fiume vi è causa di malattie malariche. Si reclamano sussidi per consolidamenti di terreni, i quali minacciano,

148 franando, di travolgere parte dell’abitato, ma la spesa, parmi, sarebbe d’assai superiore al profitto. I sussidi, per costruzione di case coloniche e per l’uso di aratri moderni, potrebbero allettare i contadini a rimanere; ma sproporzio- nati alle loro condizioni economiche. Circa i sistemi d’amministrazione comunale, valgano le osservazioni fatte per Latronico.

Fardella

A 16 chilometri da Episcopia, si stende lungo i fianchi della montagna, che s’innalza alla sinistra del Sinni, il villaggio di Fardella. Ha una popolazione di appena 1064 abitanti, in confronto di 1504 che ne possedeva nel 1881. Questa diminuzione enorme è in contraddizione, apparente almeno, colle condizioni economiche del Comune, il quale (unico forse fra quelli del basso Lagonegrese) ha una rendita patrimoniale di lire 7346. Ciò non ostante impone la tassa di focatico col massimo di lire 25, ed il minimo di lire 2, e non ha in bilancio somma alcuna per beneficenza. Anche qui esiste una lotta acerrima di partiti municipali, ed accuse ben definite di parzialità interessata, si muovono all’attuale amministrazione per questioni riguardanti il patrimonio comunale. L’elemento lavoratore è escluso, in proposito, da ogni ingerenza; alcune proposte di quotizzazione di terreni vennero respinte. Colle sole rendite patri- moniali il comune dovrebbe bastare alle spese, essendovene altri, di maggior popolazione, che hanno una entrata complessiva minore. L’autorità politica, perfettamente edotta, potrebbe fornire al riguardo indicazioni precise. Non dovrebbe esistere, infatti, per Fardella un serio motivo di spopola- mento, non distando che 8 chilometri di via comodissima dal capoluogo di mandamento, avendo campi ubertosi e godendo di un clima assai mite; con- viene perciò ricercare queste cause in un ambiente diverso, che non sia quel- lo del puro disagio materiale. Ma a Fardella si verifica un fatto, che ebbi poi campo a constatare anche in altri comuni della Provincia, il quale non è causa ultima del disagio di essi e della necessità in cui si trovano, pur essendo ricchi in apparenza, di aggra- vare le imposte municipali.

149 Il Comune di Potenza e quelli di Montescaglioso, Terranova del Pollino, Noepoli e Pignola, fra gli altri si possono citare ad esempio. Fra le proprietà demaniali esistono grandi estensioni di boschi distanti decine di chilometri dal centro, a cui non si accede che per dirupati sentieri. Poco o nessun profitto se ne ritrae, e non pertanto grava su di essi la contri- buzione fondiaria. Il comune di Fardella, ove riuscisse a disfarsi di tali proprietà, che non gli rendono, per affitti (che vanno ogni anno più assottigliandosi), che un migliaio di lire, si libererebbe da un’imposta, che ammonta (compresa la custodia) ad oltre 3000, ed, investendo il ricavo in rendita pubblica, potreb- be abolire la tassa di focatico, che pesa per 10 lire annue, in media, sulle fami- glie dei contadini. Non ostante il parere favorevole della Giunta Provinciale Amministrativa, la R. Prefettura non acconsentì all’alienazione di quei beni, e poiché motivi di diritto devono pur esistere per questa proibizione, consi- derano gli amministratori di Fardella, che si dovrebbe almeno liberare il Comune dal peso d’un’imposta tre volte superiore al reddito, o, per lo meno, renderla a questo proporzionale. Non spetta a me entrare nel merito di tale questione, bastandomi d’a- verla indicata come una delle cause locali di disagio.

Teana

A 4 chilometri di ripida salita per la via carrozzabile, che dovrebbe con- durre a San Chirico Raparo e quindi a Moliterno; ma che è da molti anni allo stato di progetto (non essendosi compiuto che questo tratto) si aggrappa alla montagna, in deplorevoli condizioni, il comune di Teana. Possedeva 1272 abitanti nel 1881, e non ne albergava il 10 febbraio 1901 che 874. Da quell’epoca ad oggi ne emigrarono circa 80. Non ha che 39 lire di rendite patrimoniali, il suo territorio completa- mente diboscato, è coltivato attualmente quasi tutto a cereali, coi soliti meto- di primitivi, mediante l’opera della classe più debole della popolazione, cioè i vecchi e le donne; perché gli uomini robusti sono tutti emigrati. Come in tutti i paesi montani, l’affetto pel suolo natio è fortissimo negli abitanti, i quali spesse volte ritornano dall’estero, coll’intento di rimanere;

150 ma sopraffatti dalla gravezza e dal sistema d’applicazione delle tasse e dall’a- gire della classe dirigente, ostile ad ogni novità, si affrettano a ripigliare la via dell’esilio. La suggestione ispirata, anni or sono, da un teanese, ritornato ricco dall’Argentina, promosse un esodo, di cui furono prime e più energiche fau- trici le donne. Il ricco rimpatriato volle tentare immediatamente nuovi metodi; ma non fu affatto secondato, anzi incontrò i principali ostacoli nella autorità fiscali, e nella ignoranza caparbia dei contadini, finì coll’impoverirsi e riemigrare. Un uomo di eletto ingegno, il dott. Antonio Vitale che vive da lunghi anni in quel meschino villaggio, ebbe a farmi un quadro del paese, di cui ebbi mezzo di comprovare la grande esattezza. Non si comprende come si accordi vita autonoma municipale, ad un assembramento di case quasi disabitate, od abitate solamente da gente, quasi incapace al lavoro. Su questa, gravita, in modo quale non mi fu dato di constatare, in nes- sun altro comune, la tassa di focatico la quale, sopra una popolazione esclu- sivamente composta di miseri contadini, ammonta alla cifra di lire 4000, con una proporzione di quasi lire 25 annuali per famiglia. La giornata del contadino robusto arrivava appena ad una lire, dovendo con essa provvedere il vitto per se e per la famiglia; le giornate utili nell’an- no non passano le 200, pur facendosi larghissimi calcoli. Ora, com’è possibile che si possa sopportare tale peso, unito a quello della tassa fabbricati per la capanna miserabile, e della tassa bestiami, per l’asinello che deve trascinare l’aratro preadamitico in legno, e di dazio con- sumo pel maiale, che deve condire per un anno il nutrimento vegetariano di una famiglia? La gente emigra, e… non potrebbe fare altrimenti! Ma sui pochi che rimangono, ricade il peso che sopporterebbero gli assenti; eppure Teana, a soli 4 chilometri da Fardella, ha ufficio postale e tele- grafico, esattoria, segreteria comunale e spese per lo stato civile, leva, contri- buzione per la pretura, ecc., ecc. Farne una frazione di Fardella e riordinare seriamente l’amministrazione di questo Comune, sarebbe per sé stesso un provvedimento efficace a beneficio della classe lavoratrice di ambo i comuni, e per diminuire l’emigrazione. Uguali, in ambedue, sono le tendenze degli emigranti. Per lo innanzi si

151 recavano in Argentina, ed alcuni a San Paolo (Brasile); ora la maggior parte si dirigono agli Stati Uniti, soffermandosi quasi tutti in Brooklyn (New York), ove si dedicano alle più meschine occupazioni. In ambo i paesi il provento annuale in sussidi spediti dagli emigrati, si calcola dalle 30 alle 40.000 lire. Per l’esodo grande di lavoratori, la condizione dei rimanenti è migliora- ta, arrivando attualmente la mercede giornaliera a lire 1,40, e perciò l’esodo si è alquanto attenuato. Se ciò non fosse non si saprebbe affatto come far fronte alle più urgenti necessità comunali. Si supplica e si attende con fiducia qualche provvedimento atto a miglio- rare l’agricoltura ed a sollevare la tristissima condizione dei piccoli proprieta- ri e dei coloni.

Comuni finitimi

I comuni finitimi di Calvera, Castel Saraceno e Carbone si trovano in con- dizioni non guari dissimili da quelle di Teana e Fardella; coll’aggravante che, per tutta la stagione invernale, sono forzatamente esclusi da ogni contatto col mondo esteriore, causa l’assoluta mancanza di vie, anco mulattiere, che li congiunga alle arterie stradali più importanti. In tali condizioni è ovvio che l’emigrazione vi si manifesti in modo assai vivace.

Chiaromonte

I lunghi serpeggiamenti della strada costrutta sul ripido pendio della montagna offrono presso Fardella uno spettacolo interessante. Quando si pensa che questa via, che sale e ridiscende invariabilmente ogni colle, su cui stia abbarbicato uno di questi poveri villaggi, deve aver costato all’erario e procurato denaro agli impresari più assai del valore di que- gli informi ammassi di abituri, si spiega la condizione della valle. Eppure da Latronico e Chiaromonte corrono ben 45 chilometri e non s’è incontrato un solo carro nelle lunghe interminabili ore di cammino, e nessun carro, salvo un misero traino carico di legna da ardere, incontrammo tra Lauria e Latronico sopra un percorso di altri 30 chilometri.

152 Ciò non vuole certo significare che la strada sia inutile; ma è prova delle condizioni miserrime del traffico di quella regione. Se il prodotto dei campi fosse, come potrebbe essere, tale da eccedere i bisogni locali, o se alla strada principale fossero allacciate quelle zone limitrofe, che sono ancora completa- mente prive di viabilità, il movimento affluirebbe e si trarrebbero i dovuti profitti dai sacrifici sopportati dalla Provincia e dalla Nazione. La vista esterna di Chiaromonte è assai pittoresca, e nell’interno è certa- mente meno sudicio dei paesi del Sinni finora visitati. Tracce di antica prosperità si riscontrano nell’aspetto della via e della piazza municipale e nell’aria pulita delle case. A ciò deve aver contribuito, non poco, l’attesa, ad ultimo momento delusa, d’esser compreso nell’itinera- rio del viaggio presidenziale nel settembre scorso. Ad ogni modo è certo, che l’impressione che il visitatore ne riceve è buona. Dalla strada Nazionale all’uscir dal paese, si domina l’ampio panora- ma della valle del Sinni, che qui si allarga e, purtroppo, dilaga, assorbendo ogni anno grandi zone di terreno fertilissimo e formando laghetti e pozzan- ghere, da cui esalano miasmi malarici. Fra i comuni del Basso Lagonegrese, Chiaromonte ebbe la fortuna d’esser tra i meno afflitti, per lo addietro, dal- l’emigrazione; ma questa, da qualche anno, è in aumento ed accenna ad assu- mere proporzioni allarmanti. Allarmanti davvero! Qui, come nel finitimo paese di Senise, ove, non per- tanto, il suolo presenta qualità eccezionali di produttività, ove il clima, per la esposizione fortunata, è mitissimo, dove, infine, per la posizione speciale topografica, si designa naturalmente la possibilità, di diventare centro di cir- coscrizione, nel caso di una divisione più pratica e razionale della provincia. Chiaromonte, infatti, si trova nel centro del circondario di Lagonegro, equidistante dagli scali ferroviari del Tirreno e dell’Jonio, e, non appena siano compiute le vie in costruzione ed i due ponti già progettati ed approvati sul Sinni, si troverà in diretta e rapida comunicazione colla valle dell’Agri e coi più remoti comuni del Pollino. Ora questa costruzione è di imprescindibile necessità e di assoluta urgenza; perché da essa dipende, in gran parte, la morbosità del fenomeno emigratorio in questa regione, come dipende, pure, dalle enormi difficoltà, che la maggioranza delle popolazioni del Lagonegrese incontrano allo svolgimento della vita pubbli- ca ed al trattamento degli affari privati.

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A Chiaromonte incomincia a manifestarsi un movimento socialista, ini- ziato da alcuni giovani abbastanza colti, mossi, in parte, dal naturale deside- rio in essi, di novità, ed in parte dalle condizioni indubbiamente assai tristi, della classe proletaria. Anche l’agitazione socialista ha un carattere speciale in Basilicata. Essa è ben lungi dall’assumere le forme violente, che nelle Puglie ed in Sicilia hanno caratterizzato il movimento delle popolazioni rurali. Non si combatte, finora, e solamente da pochi, che per la conquista di un po’ d’e- quità; in altre regioni codesti agitatori potrebbero aspirare, tutto al più, al titolo di liberali. Da questi mi si disse come la classe dirigente, si preoccupi molto poco di migliorare le condizioni dei proletari e di evitare così lo spopolamento progressivo di questa zona, che dovrebbe essere fortunata. I grossi proprietari esercitano una influenza assorbente sulla popola- zione lavoratrice, e, avendo a loro disposizione mezzi materiali e morali potenti (perché accentrarono in sé l’amministrazione comunale), tolgono ai piccoli proprietari la possibilità di assoldare i lavoratori pei campi, non già, col dare a questi maggiori salari, ma minacciandoli di rappresaglie autoritarie. Non è quindi strano, che si inizi una reazione, ed è anzi a meravigliare, che essa non assuma proporzioni più gravi e più violente, tanto più che la giornata del contadino, nel territorio di Chiaromonte e nei finitimi, è di 70 centesimi per gli uomini e di 25 centesimi per le donne, oltre un vitto scar- sissimo e malsano. Le giornate di lavoro non arrivano a 150 in un anno, sì che i contadini sono costretti, durante l’inverno, ad emigrare alla marina, da cui ritornano a primavera, con 10 o 15 lire di risparmio ognuno. La mancanza di capitali e di scorte, e l’abbandono, quasi completo, della industria armentizia, non consentono ai proprietari, di introdurre nuovi sistemi nell’agricoltura, e di poter quindi, coll’aumentato prodotto, elevare le mercedi dei lavoratori. Se buona parte di questi non fosse emigrata, il territorio, con i sistemi attuali di coltura, non basterebbe a nutrirli, e quindi l’emigrazione, sotto questo riguardo può considerarsi uno sfogo. Certo è però che sarebbero fonte di sicura prosperità il miglioramento razionale dell’agricoltura ed il fomento

154 dell’industria armentizia, col mezzo di scuole pratiche ed aiuti materiali, soprattutto ai piccoli proprietari ed ai coloni.

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L’emigrazione di Chiaromonte, era un tempo, pel Brasile e l’Argentina, e profittò, benché parcamente, della facilitazione dei viaggi gratuiti, ma attual- mente è diretta; in modo quasi esclusivo, agli Stati Uniti ove gli emigranti si spargono in New York ed adiacenze, dedicandosi ai più faticosi lavori. È raro che qualcuno faccia ritorno, e non riemigri, dopo aver consuma- to i pochi risparmi portati,ed aver soddisfatto i debiti che aveva lasciato in patria. Per partire ricorrono, quasi tutti, a prestiti operosissimi, non trovando chi acquisti, anche a prezzi derisori, i loro piccoli poderi; molti ricevono dall’America biglietti di chiamata. Poche sono le famiglie che seguirono gli emigranti; e questi mandano sussidi sempre più rari ed insufficienti.

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Si spera assai nella costruzione progettata ed approvata del ponte sul Sinni, che unisca Chiaromonte a Francavilla e per essa, lungo la via in costru- zione, ai comuni di San Severino Lucano, Viggianello e Rotonda. Questi lavori, oltre che essere di momentaneo sollievo alla classe prole- taria,dovrebbero favorire lo sfogo della produzione agricola e forestale della sponda destra del fiume, aumentando il traffico locale. Si reclamano pure con urgenza lavori di arginatura, che impediscano al Sinni di allargarsi, a danno della parte più ferace del territorio comunale. Difatti, ogni anno, il fiume corrode la riva e diminuisce la proprietà di molti, i quali, per le enormi difficoltà e spese, necessarie ad ottenere lo scari- co della relativa imposta, vengono a sopportare doppio pregiudizio. Le condizioni finanziarie del comune e quelle dei privati, non concedo- no che queste opere possano essere da essi iniziate, e si reclama perciò l’ap- poggio materiale del Governo. Infine si considera come un mezzo efficacissimo a trattenere la gente del- l’emigrare, l’adozione di un servizio tranviario a forza elettrica (forza che potrebbe esser fornita dalle rapide esistenti presso Valsinni) il quale, parten-

155 do da Nova Siri, raggiunga almeno Chiaromonte, rimanendo impregiudica- ta la convenienza di prolungare il servizio fino a Lagonegro. Il ridottissimo traffico dell’ampia strada Sapri-Jonio faciliterebbe assai l’attuazione di questo servizio, non importando la necessità (a detta dei tec- nici) di ampliamenti sensibili e costosi.

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Di faccia a Chiaromonte sull’altra sponda del fiume si scorge il villaggio di Francavilla sul Sinni, il quale, per molti mesi dell’anno, è completamente segregato da ogni consorzio col mondo civile, non potendo aver comunica- zione con Chiaromonte, dalla cui Pretura dipende, per l’intransitabilità del Sinni, né cogli altri comuni della regione del Pollino, perché la strada rota- bile, già progettata, non si costruisce che con estrema lentezza. Perciò l’emigrazione vi si verifica, principalmente negli ultimi tempi, con straordinaria violenza e le condizioni della popolazione giustificano ampia- mente questo esodo. È un villaggio di tremila abitanti nella loro totalità agricoltori, ed essi pure soggetti alle cause molteplici di disagio e di eccitazione accennate nella relazione circa i comuni precedenti. La suggestione prodotta dalla massa di popolazione esistente all’estero, e dalla notizia che le condizioni di essa, pur non essendo floride, sono indub- biamente migliori di quelle della parte rimasta in patria, esercita un fascino potente, a contrastare il quale occorrono provvedimenti immediati, atti a col- pire l’immaginazione delle popolazioni ignoranti. Il movimento socialista iniziato, tendente ad unire in Lega di resistenza i contadini, non potrà facilmente, data l’ignoranza supina di questi produrre utili risultati; è a temersi invece che gli eccitamenti inerenti alla propaganda, svegli- no aspirazioni indefinite, riscaldino senza misura menti annebbiate, e che, ove in tempo non si provveda, abbiano a succedere deplorevoli casi, quali non rari avvengano nelle regioni finitime alla Basilicata.

Senise

Continuando per tortuose rivolte, scende la strada nazionale da

156 Chiaromonte a Senise, che ne dista 16 chilometri e si trova in ridentissima posizione, al centro d’una plaga ferace, attorniato da vigne e da uliveti. Aveva una popolazione di 5580 abitanti, attualmente ridotta a 4697. Negli ultimi due anni, ebbe circa 250 emigranti, molti dei quali, lasciarono definitivamente il paese colle famiglie. La maggioranza è diretta all’Argentina, quindi agli Stati Uniti. Alcune famiglie, stabilirono la loro resi- denza a San Carlos do Pinhal (Brasile). Se l’apparenza esterna del paese è bellissima, l’interno invece non la cede in povertà ed in generale sudiciume, ai paesi più disgraziati, visitati fin qui. Nessuna possibilità d’alloggio e ristoro per i viandanti che dovessero arrestarvisi; io fui costretto a ricorrere, col professor Giovanni di Salerno, che mi accompagnava, alla cordiale ospitalità della Stazione dei carabinieri reali. «È del caso accennare in proposito, all’eccellente e provvido servizio che l’arma benemerita effettua in tutta questa regione, ove, se poco richiesta, for- tunatamente, l’opera sua, per ciò che riguarda la pubblica tranquillità, è inve- ce assolutamente necessaria, quale elemento conciliatore ed imparziale tra le varie classi della popolazione. Nel lungo percorso da me fatto in Basilicata, ebbi a constatare, con gran- de compiacenza, con quale abnegazione ed intelligenza, quei pochi uomini sperduti in paesi, ove manca ogni comodità d’esistenza, adempiano il loro mandato, e credo debito mio, poiché se n’è rappresentata l’occasione, di segnalare questa impressione al sicuro compiacimento del R. Governo».

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Dalle informazioni qui attinte risulta che, ove non ci fosse stata nei tempi passati l’emigrazione, la popolazione sarebbe raddoppiata, e, difficil- mente, avrebbe trovato i mezzi necessari all’esistenza; ma è indubitabile che, attualmente, si ha difetto di braccia, dovendosi ricorrere, nell’epoca di mag- gior lavoro agricolo, all’opera di gente avventizia. Una delle principali caratteristiche dell’emigrazione di Senise, consiste nell’essere gli emigranti quasi tutti piccoli proprietari, ridotti alla miseria dalle erosioni del Sinni, per le quali perdettero orti eccellenti, da cui ricava- vano mezzi discreti di esistenza. Altri emigrano, perché, avendo i loro poderi sulla sponda destra del

157 Sinni, non possono recarvisi che con grave pericolo, durante appunto, la sta- gione, in cui più necessaria vie è l’opera loro. Pochi giorni di pioggia, bastano per rendere intransitabile il fiume, e volendo passare dall’altro lato, è necessario discendere per 25 chilometri fino a Valsinni e rimontare poi, per sentieri appena tracciati, per altrettanto. Se ciò non fosse, è tale la fertilità del suolo, che anche senza introdurre nuovi sistemi agricoli, la popolazione si troverebbe a suo agio e sarebbe poi ricca, se questi sistemi si riuscisse, con mezzi razionali e con facilitazioni di credito, a far adottare. L’allevamento dei suini, forma una delle fonti di ricchezza del paese, il quale, perciò è ridotto in condizioni deplorevolissime di pulizia. Le case però e le singole abitazioni hanno un aspetto d’assai maggiore decenza di quelle di Latronico, Episcopia e Teana; ma la gente bassa ha un aspetto triste ed oppresso, esistendo anche qui un distacco enorme fra la clas- se dirigente ed il proletariato. La malaria imperversa, causa la vicinanza del fiume, il quale occupa uno spazio di due chilometri di larghezza, pur non necessitandone, anche in tempo di piena, la ventesima parte. Nel mese di settembre scorso, sopra una popolazione di 1700 abitanti, esi- stevano 900 ammalati. Può immaginarsi quale sia il servizio medico di cui questi possono disporre, dati i sistemi imperanti, a questo proposito, in tutta la regione.

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Urgono perciò, non solo per frenare l’emigrazione, ma anche per senso di umanità, provvedimenti che riducano il fiume nel suo alveo naturale. Si eviterebbe con ciò, oltre le esalazioni malariche, anche le erosioni suac- cennate e si ridonerebbe al lavoro una superficie importantissima di terreno, la quale, razionalmente quotizzata, arresterebbe completamente l’esodo. Già da tempo venne progettata ed approvata la costruzione di un ponte, pel quale molti dei suaccennati inconvenienti verranno rimossi, e si conta, soprattutto, sull’appoggio benevolo del R. Governo, perché si proceda immediatamente all’esecuzione dell’opera. L’istituzione d’una scuola pratica d’agricoltura e la concessione di sussi- di per costruzioni di case coloniche, riuscirebbe qui, non solo d’immensa uti- lità; ma troverebbero eccezionali condizioni di applicazione.

158 Il Mandamento di Noepoli

Di fronte a Senise, alla sommità di creste argillose, ed alla distanza che intercederebbe fra due sponde del nostro lago d’Isco, si scorge la borgata di Noepoli, patria dell’insigne e compianto giureconsulto deputato Rinaldi e centro mmandamentale della regione del Pollino. Per accedervi da Senise, converrebbe discendere a Valsinni e là, per una strada segnata sulle carte, ma tuttavia a costruirsi, rimontare per San Giorgio Lucano percorrendo uno spazio di 52 chilometri. Per accedervi dal capoluogo del circondario è necessario percorrere la via nazionale fino a Rotonda, quella intercomunale fino a San Severino Lucano e, da questo paese, per sentieri mulattieri, raggiungere la sommità del monte (700 m.)con un percorso totale di 133 chilometri. Gli abitanti trovano, nell’epoca propizia dell’anno, più spedito cammi- no, valicando successivamente fiumi e montagne; appena però, quando il Sinni si presta al guado, possono arrivare a Lagonegro, passando per Senise ed impiegando non meno di due giornate. Altri comuni del mandamento come Terranova del Pollino, San Costantino, San Paolo Albanese e Cersosimo devono aggiungere a ciò una gior- nata di più di via mulattiera. La regione è fertile, ma abbandonata. Se uno spopolamento generale non è avvenuto, devesi all’accasciamento delle popolazioni, cui non è perve- nuto, sinora, che qualche barlume di civiltà ed all’impossibilità materiale in cui sono, di trovare i mezzi all’emigrazione in massa. È una regione pressoché isolata dal consorzio civile. Da Senise si percorre un lungo tratto di cammino attraverso terre allu- vionali ricche di humus, ma in gran parte incolte, poi si segue, per lungo tratto, il letto amplissimo del fiume, quindi un carro primitivo, tirato da bufali attraversa, quando è possibile, la corrente vorticosa, ed in seguito, a dorso di mulo, si rimonta il letto del Sarmento affluente del Sinni, ed infi- ne, per sentieri embrionali, si raggiunge dopo tre ore di cammino, il paese di Noepoli. Qui mi si affacciano, per la priva volta, le tane o grotte trogloditiche che si notano poi, con maggiore frequenza, nei comuni del Materano ed in alcuni del Melfese, e qui è dato constatare, quanto il progresso delle circostanti regioni, sia causa a questa di profondo disagio.

159 A tale eccezionale situazione devo attribuire la ventura di aver trovato in Noepoli i Sindaci, i Segretari comunali e varie personalità spiccate del Mandamento, preavvisati telegraficamente che, per le circostanze note non avrei potuto visitare i rispettivi comuni.

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L’emigrazione da questa regione non fu eccezionalmente intensa nei tempi passati e si diresse verso l’America Meridionale; ma, attualmente, segue il cammino della maggior parte dei Lucani, verso gli Stati Uniti. Sono lavoratori ignoranti ed abbrutiti, ma pure forniti della innata astu- zia delle popolazioni montanare, e d’una sobrietà, quale non vidi mai eguale. Si acconciano difficilmente all’estero a lavori agricoli, quasi oppressi dal- l’inconscio timore, di affezionarsi ad una terra diversa da quella che li vide nascere. Si adattano ai più vili mestieri, ed appena hanno raggranellato qualche peculio, ritornano, col proposito di comperarsi un poderuccio, o di solleva- re dalle ipoteche l’antico, e vivere in quell’ambiente, meschino per altri, e per essi tanto caro. Vanno e vengono dall’America con strana facilità; ma da qualche tempo (e principalmente dacché hanno preso la via del Nord) non si acconciano, una volta ritornati, a rimanere, e sono invece d’eccitamento agli altri per partire. Consta che colà lavorano penosissimamente e che sono assai frustrati dagli altri loro compaesani più astuti. Si citano casi di individui rimasti vittime di infortuni, di altri che ne riportarono assoluta inabilità al lavoro, senza che mai riuscissero ad ottenere per essi, o le famiglie, alcuna indennità. Alcuni artigiani, calzolai e sarti, si trovano abbastanza bene a Boston ed a Rochester, altri, quali braccianti, si affermano soddisfatti d’essere a Toronto nel Canadà, mandano però pochi sussidi alle famiglie, e da qualche tempo è invalsa l’abitudine di chiamarle in America. Questo costituisce, come altrove, un aggravio per le famiglie rimanenti, ed una deficienza di braccia pei lavori agricoli, tanto, che dalla vicina Calabria, accorre gente, nell’epoca di maggior lavoro. A questa gente si corrisponde un salario, che i proprietari si rifiutano di pagare ai loro compaesani proletari, dai quali sono divisi da una barriera di

160 orgoglio e di risentimenti, che ingrandisce quanto più segregato si trova il paese, in cui si manifesta. Si citano fatti specifici di abusi di autorità, di sperpero di beni comunali, di fiscalità odiose nell’applicazione delle tasse, di aste per il taglio di boschi dema- niali, cui si preclude, con ogni mezzo, ai modesti boscaioli di adire; di fatti insomma, contemplati nel codice penale, dei quali, non spettava certo a me di comprovare la esattezza, dovendo attenermi alle informazioni di gente, che ho tutti i motivi di credere veritiera. Questi fatti sono più facili a verificarsi, in quanto i reclami sono più dif- fusi ad inoltrarsi, e la gente è più ignorante e sottomessa. Così nell’accertamento dei redditi, per l’imposizione di ricchezza mobi- le, non è raro il caso, che, benché siano realmente errati, non convenga al col- pito di reclamare, per le spese che dovrebbe sostenere, sia pei iramiti buro- crati, sia per la difficoltà, senza perdita ingente di tempo ed il soccorso di abili patrocinatori, di riuscire allo scopo. Terranova del Pollino, dista dal capoluogo di Mandamento, otto ore di cammino alpestre, e ne è segregata vari mesi dell’anno per le nevi; e conta tuttavia 2357 abitanti, i quali, senza l’emigrazione, sarebbero il doppio. San Costantino e San Paolo Albanese, potrebbero formare, con grande sol- lievo di ambedue, un solo municipio, avendo anche comune l’origine etnica; ma, pur essendo vicinissimi, si frappongono gravi ostacoli di comunicazione. In essi l’emigrazione è allarmante.

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L’industria armentizia, già fonte di benessere, trova la sua causa princi- pale di deperimento negli accertamenti cervellotici di ricchezza mobile. L’agente delle tasse non trova altro mezzo per affrettare il suo trasloco, che nel fare dello zelo, e persino, nell’inimicarsi le popolazioni, perché destina- zione peggiore non gli può toccare; e così gli altri funzionari dello Stato. La segregazione dal resto del mondo civile, e la difficoltà enorme di comunicazione, aumentano eccessivamente i prezzi dei generi di prima necessità. Il frumento costa 9 lire di più, al quintale, che allo scalo ferro- viario di Nova Siri, il petrolio si paga lire 1.10 al litro; in proporzione il resto. L’instabilità lamentata, ma giustificata, dei funzionari, i quali, non pos-

161 sono considerare quella destinazione che come una punizione, fa che anche la tutela della giustizia riesca imperfetta. I diritti d’indennità dell’usciere mandamentale costituiscono una vera piaga locale, e, pel favorito di quell’impiego una lauta prebenda. Il servizio sanitario non può essere che imperfetto, se lo stipendio del medico condotto a Noepoli, non ammonta che a 600 lire annuali, e qualco- sa meno negli altri comuni. L’istruzione obbligatoria, pesa enormemente sui bilanci, e non pertanto l’analfabetismo predomina. L’usura domina in ogni manifestazione della vita pubblica, perché, dato il sistema primitivo cui s’informano le famiglie, vige ancora l’abitudine del baratto dei prodotti; mentre le imposte bisogna pagarle in denaro effettivo. La tassa di focatico e quella sul bestiame sono esagerate anche nei comu- ni che possiedono rendite patrimoniali, perché queste sono quasi totalmen- te assorbite dall’imposta governativa. Alcuni comuni, quali San Paolo Albanese e Cersosimo, difettano di acqua potabile, e sono nell’impossibilità di procurarsela. Se si effettuassero trivellazioni del terreno, si assicura che non sarebbe difficile trovarne di buona, ma l’Amministrazione provinciale della Basilicata, non possiede i neces- sari apparecchi, e non sembra disposta, od in caso, di provvedersene; per quanto ciò non debba importare la spesa che di 20, 30,000 lire. Nel comune di Terranova del Pollino, come in quelli di Francavilla sul Sinni, di Castel Saraceno ed altri, che non mi fu dato di visitare, avviene durante l’inverno che, per ostruzione completa delle comunicazioni, vengo- no a mancare assolutamente la farina ed il sale. Alla mancanza della prima riparano il contadino ed anche il cosiddetto benestante con succedanei di patate o di granoturco; ma ai generi di privati- va, principalmente il sale, ogni sostituzione è impossibile. Si verificarono perciò, negli anni scorsi, dei casi in cui si ebbe a deplora- re la perdita di vite umane, perché alcuni coraggiosi, avventuratisi pel bene comune, al viaggio, perirono vittime della bufera. Alle proteste, ed ai reclami delle autorità amministrative, si rispose burocra- ticamente, che i rivenditori avrebbero dovuto provvedersi maggior quantità, a tempo debito; ma è notorio, come in questi paesi, in cui tanto difetta il denaro, questa previsione debba importare non lievi sacrifici, senza contare quello della diminuzione naturale del prodotto. Questo non può esitarsi, come ogn’altro, a

162 prezzo di speculazione, donde l’inevitabilità dell’inconveniente surriferito. Altro inconveniente, non meno grave proviene dalla entità dei diritti di trasferta degli uscieri e dei messi esattoriali, diritti che superano generalmen- te, e di gran lunga, l’importo degli interessi relativi alle citazioni. Così di gra- vissimo inciampo all’esercizio della giustizia, l’esiguità delle indennità di testimoni, stabilire alla stregua generale delle località del Regno, favorite di ottime comunicazioni. Se in regioni assai più favorite si rifugge con sacro orro- re, dal cooperare la Polizia e la Giustizia per evitar noie e disturbi, s’immagini con quale riluttanza in questa provincia le persone, anche più volenterose, deb- bano prestarsi all’adempimento di queste funzioni obbligatorie.

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Ciò premesso, e, sorvolando alla narrazione di fatti più particolareggia- ti, è ovvio, come, per queste popolazioni, l’emigrazione costituisca un supre- mo desiderio, e l’effettuazione di essa, uno sfogo ed un conforto. Disgraziatamente, non può emigrare che chi si trova nella pienezza della salute e delle forze e ne possegga i mezzi; e poiché, chi si trova in questo caso non esita, così avviene, che la popolazione si assottiglia, non solo in numero; ma anche in potenzialità. Non si avverte, forse, pel momento, l’effetto perniciosissimo di questo fatto; ma non passerà una generazione, che le conseguenze s’imporranno; pur non essendo difficile, che, prima d’allora, il disagio inaudito, possa produrre danni incalcolabili.

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Ad ovviare a questi dolorosi inconvenienti, ed attenuare, in parte, la violen- za dell’esodo, si presenta come suprema necessità in questa regione, l’immediata costruzione delle strade progettate, sia per procurare momentaneo lavoro alle classi povere, sia, per attirare artificialmente in via definitiva, il traffico. Converrebbe tener presente però, per queste costruzioni, la convenienza di imporre agli appaltatori l’obbligo di impiegare, almeno nei lavori più ele- mentari, gli abitanti di queste località stabilendo una tariffa, pur poco eleva- ta, ma tassativa, onde impedire che, somme destinate quale sussidio ai mise- rabili, vadano ad alimentare le solite riprovevoli speculazioni degli impresari.

163 Converrebbe, altresì, aiutare efficacemente quei comuni che si trovano nella assoluta impossibilità di sopperire ai bisogni elementari delle popola- zioni, (quale la provvista di acqua potabile), partendo dal principio, che lo Stato ha il dovere di riparare a calamità che affliggono determinate regioni. E mi sembrerebbe ancora opportuno, che, in vista delle gravi spese che incombono ad ogni comune di questa regione, spese che sono sproporziona- te alla loro rispettiva potenzialità economica, si cercasse il mezzo di accertar- ne l’amministrazione e di ovviare, così, anche agli inconvenienti, già, nelle pagine precedenti, deplorati.

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È notevole, ed è doveroso ricordarlo, come, nonostante tanta miseria, le condizioni della sicurezza pubblica e della privata proprietà siano in questa regione molto soddisfacenti, e come l’antica tradizionale ospitalità lucana, vi sia esercitata con sentimento assai superiore a quello sulla sponda sinistra del Sinni. Avendo avuto prove assai lusinghiere mi è grato qui attestarlo, anche per- ché, qualora pigliasse desiderio a qualche filantropo d’avventurarsi a visitare quei luoghi disgraziati, ma pittoreschi, sappia a che cosa attenersene. Non ostante le più cortesi ed insistenti pressioni, mi convenne lasciare Noepoli lo stesso giorno dell’arrivo e proseguire per sentieri argillosi e sdruc- ciolevoli e quindi lungo il letto sassoso del Sarmento, verso San Giorgio Lucano, di cui già ebbi a parlare e quindi a Valsinni.

Da Noepoli a Valsinni

La distanza tra Noepoli e Valsinni per la via in costruzione sarà di 31 chi- lometri; ma per le scorciatoie della montagna e quindi pel letto del torrente il cammino si accorcia della metà. Sotto una pioggerella fine e penetrante s’intraprese il cammino, e, giun- ti presso al fiume, avvenne un incidente doloroso che mi permetto di rac- contare, non fosse che per interrompere la monotonia di questa lunga rela- zione e per rilevare in quali condizioni si trovi, chi è costretto a viaggiare per quel lembo di Italia nostra.

164 E viene in proposito quindi di dire come il prof. Giovanni Salerno, diret- tore della cattedra ambulante di zootecnia e caseificio di Potenza si trovasse ad essermi compagno. Sapendo come io mi accingo a compire da solo la mia missione affida- tami, ed esagerando, forse, nella sua mente, le difficoltà che avrei incontrato, egli si proferse spontaneamente, e con vero disinteresse, di occuparsi in una parte del viaggio; e la sua compagnia mi fu, sotto ogni rapporto, utilissima, sia per la conoscenza sua del paese, sia per le cognizioni pratiche e scientifi- che d’agricoltura e di pastorizia da lui possedute, sia per le sue relazioni per- sonali, che, in una regione, pur troppo assai inospite, mi compensarono dei disagi inevitabili del viaggio. Dopo quindi un’ora di discesa, preceduti dai muli che dovevano tra- sportarci, avvenne che una di quelle bestie, senza causa alcuna, sferrò un cal- cio violento in direzione nostra, colpendo alla gamba destra il mio compa- gno in modo da rendergli impossibile camminare. Fu un momento triste assai, tanto più che si temeva che il danno fosse maggiore e nessuna possibilità di soccorsi era vicina. Coll’aiuto del mulattie- re riuscii a metterlo a cavalo e così, mentre scendeva la sera, ci avventuram- mo verso Valsinni. La disgrazia avvenne appunto presso la località, in cui anni sono, per una avventura quasi simile, il defunto on. Rinaldi ebbe un arto spezzato; a pro- posito di che, fino d’allora, si sollevò la questione della necessità di provve- dere ad una più sicura viabilità di quei luoghi. Per oltre tre ore, attraversando e riattraversando la corrente, si scese verso la confluenza del Sarmento col Sinni, lasciando sulla destra San Giorgio Lucano e passando sotto le arcate d’un magnifico ponte, reso quasi inutile dal- l’inesistenza di vie che vi conducono. Ma la profonda oscurità in cui ci trovavamo, ci impedì di trovare il sen- tiero che doveva poi metterci sul tratto di via Valsinni-Noepoli attualmente in costruzione e, non fu che dopo, che il prof. Salerno, conoscitore dei luo- ghi, si decise, a costo di gravi sofferenze, ad inerpicarsi per un’erta boscaglia, che riuscì ad attirare l’attenzione di alcuni contadini d’una isolata cascina. Questi, risvegliati dall’abbaiare dei cani, accolsero il professore, e venne- ro poi con torce a rintracciare me, che intanto avevo dovuto, con modi piut- tosto violenti, impedire al mulattiere pauroso, di ritornare colle sue bestie sul cammino già percorso.

165 Valsinni

Poco prima di mezzanotte giungemmo a Valsinni, ove nel palazzo del dott. Giuseppe Melidoro, ricevemmo splendida ospitalità. Al mattino, non ostante l’imperversare del tempo, compresi da uno sguardo gettato dal balcone della mia camera, come l’ambiente fosse mutato. L’aspetto della campagna sottoposta, era quello d’una delle plaghe delle Toscana, vigne ed olive, campi coltivati con insolita cura. Rischiarandosi più tardi il cielo, andai scorgendo nei punti di migliore esposizione, delle piante rigogliose di agrumi; immediati al paese, erano orti e frutteti. Ma, purtroppo, il panorama che mi si apriva dinnanzi, non era che una minima parte di territorio del comune, il quale, pur favorito da eccezionali condizioni di clima e di feracità di suolo, si trova nelle identiche condizioni di arresto secolare, nei progressi agricoli, che il resto della Basilicata. La zona di territorio da me intravista, apparteneva in gran parte, al mio ospite, il quale da vent’anni va adoperandosi in ogni modo per introdurre nel suo paese nuovi sistemi di coltura e razionali miglioramenti. Il resto rimane allo stato primitivo, causa la già nota ignoranza dei lavoratori e la generale impossibilità nei proprietari, di provvedersi di istrumenti perfezionati e di prendere utili iniziative. Il dott. Melidoro, è uno dei rari proprietari lucani che pagano di borsa e di persona, pel progresso agricolo in Basilicata, e che, coll’introduzione di macchine e strumenti perfezionati, coll’uso razionale dei concimi artificiali e col miglior trattamento dei lavoratori, sono riusciti ad arrestare completa- mente l’emigrazione, fra la gente numerosa che da essi dipende.

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Valsinni conta 1710 abitanti e poco più ne contava nel 1881, ma l’ap- parente stabilità della popolazione proviene da una immigrazione di operai della vicina Calabria, per la costruzione della strada Valsinni-Noepoli-San Severino Lucano e dalla grande prolificità dei rimasti. L’emigrazione presenta quest’anno, una forte diminuzione; ma i notabili del luogo mi fanno osservare, che il grande esodo dell’anno scorso, assottigliò di molto l’elemento che può emigrare, essendo rimasti i vecchi e le donne.

166 Il territorio del comune è piuttosto ristretto; ma il suolo appare esaurito per mancanza assoluta di concimazione; l’esempio del dott. Melidoro, non può esser seguito dagli altri proprietari, per mancanza di capitali. La proprietà è molto divisa, e la gente che emigra, si provvede del dena- ro necessario, con prestiti al 25 ed al 30 per cento, dando in garanzia ipote- caria il proprio podere. I primi risparmi fatti all’estero, servono al soddisfacimento dei debiti, prima ancora che a sussidiar la famiglia, essendo, a questo proposito, tutta la popolazione agricola del Lagonegrese d’una scrupolosa onestà. Gli emigrati, appena possono, ritornano e, contrariamente a quanto avviene in altri comuni, acquistano dei terreni e cercano migliorare i propri, sì che il valore di essi è cresciuto. Ma le abitazioni nel paese sono costituite, in massima parte, da orrendi tuguri, soggetti essi pure all’imposta sui fabbricati ed a censi o canoni pel culto. Il comune ha 3500 lire di rendite patrimoniali, provenienti principal- mente da diritti di pascolo, esige tassa di focatico e, per giunta, impone anche quella sul valore locativo, corrispondente al 40 per cento della fondiaria. Ciò non ostante, l’aspetto del paese è meschinissimo ed i servizi pubbli- ci affatto embrionali. La necessità di sgombrare quella massa informe e malsana di casupole aggrappate alla montagna s’impone, mediante un congruo sussidio per la costruzione di casette rurali. La situazione topografica di Valsinni non potrebbe essere migliore, trovan- dosi alle porte della vallata del Sinni ed alla congiunzione della via nazionale Sapri-Jonica e di quella provinciale in costruzione per la regione del Pollino. Le rapide del Sinni, che qui restringe, a poche decine di metri, il suo alveo, potrebbero fornire una forza idraulica considerevolissima, per quegli stabilimen- ti industriali che si avessero a costruirvi, oppure per quella ferrovia economica tra Nova Siri e Chiaromonte, che è tanto desiderata. Il suolo si presta a tutte le colture, da quella degli agrumi alla forestale ed in nessun luogo dovrebbe essere più facile che qui, arrestare la emigrazio- ne dannosa, e richiamare con materiali e poco dannosi allettamenti la gente emigrata. Questa si dirigeva per lo innanzi all’Argentina, ora ha deviato comple- tamente pel Nord America, ove si adatta ai lavori delle ferrovie e delle minie- re a Filadelfia, Leetown, Pittsburg, Albany e Boston. Manda con frequenza

167 denaro alle famiglie e sono rarissimi quelli che di esse non si ricordano. La tendenza al ritorno è vivissima, il che prova quanto debba essere grave la somma dei motivi che producono l’emigrazione.

Colobraro

Di fronte a Valsinni, dall’altro lato del fiume (che qui si restringe e forma una corrente rapidissima che sarebbe facile utilizzare per forze idrauliche) appa- risce sopra un monte, cosparso di uliveti e di vigne, il paesello di Colobraro. Esso è tra quelli che più ebbero a soffrire e soffrono per la emigrazione. Nel ventennio perdette, non ostante un’eccezionale prolificità, il quarto della sua popolazione; e tuttavia questa va ancora assottigliandosi nella parte più produttiva. La sua situazione è fra le più e basti notare che, mentre non si può accedervi che per una straducola comunale incomodissima, esso dipende per la R. Pretura da Rotondella, per la Ricevitoria di registro da Sant’Arcangelo, per l’Agenzia delle tasse da Noepoli, e per le operazioni di leva e pel Tribunale da Lagonegro, distanti rispettivamente 32-26-43 e 116 chilometri. (La distanza da Sant’Arcangelo, per difetto di strade è realmente triplicata). A queste cause di disagio, deve anche aggiungersi una lotta acerrima di partiti per impadronirsi dell’amministrazione comunale, dalla quale sono naturalmente esclusi i proletari, che poi ne sono le prime vittime. Si nota e si lamenta deficienza di braccia; ma i proprietari che si negano a pagare più di 70 centesimi al giorno ai lavoranti paesani, si acconciano a pagarne il doppio ai forestieri. La rovina assoluta della pastorizia è la causa maggiore del disagio; si reclamerebbe perciò pronti ed efficaci provvedimenti.

Rotondella

Passata sulla sponde destra del fiume e contornando gli ultimi con- trafforti dell’Appennino, la strada si dirige verso il mare, ed a 21 chilometri da Valsinni giunge alla falde d’un colle su cui sorge, coll’aspetto abituale dei paeselli lucani, il villaggio di Rotondella.

168 La necessità di raggiungere, prima di notte, la stazione di Nova Siri, mi era di impedimento a visitare il paese; ed avendone preavvisato il Sindaco, questi credette sufficiente l’invio di un segretario comunale alla congiunzio- ne della via nazionale colla brevissima mulattiera che scende dal borgo. Poche e vaghe perciò sono le notizie che ho potuto raccogliere circa la emigrazione di questo paese, dovendomi limitare alle cifre statistiche pel numero, ed a quelle del bilancio per le cause. Per quanto lieve, anche la popolazione di Rotondella ha subito una dimi- nuzione nel ventennio; ma da due anni l’esodo ha assunto proporzioni straor- dinarie, tanto più ch’esso è dato nella sua totalità da uomini giovani e laboriosi. A 250 circa ammontano gli emigranti dal marzo 1901 ad oggi, sopra una popolazione di 4000 abitanti; si recano nella massima parte a Nord America, ove si adattano ai lavori delle miniere in Pennsylvania e Massachusset. Ne trovai alcuni alla stazione di Nova Siri in procinto di partire, ed inter- rogati sulle cause che li inducevano a lasciare famiglia e patria, dissero che la loro posizione era affatto insostenibile per l’esorbitanza delle tasse ed il nes- sun compenso al lavoro, tanto che si proponevano, appena fosse loro possi- bile, di chiamare presso di loro le famiglie. Dalle cifre che avevo dal bilancio, m’ero dovuto fare un’opinione, che queste dichiarazioni confermavano. Difatti, oltre ad un reddito patrimoniale di 2089 lire, e ad un’entrata di circa 9000 per sovrimposte, l’Amministrazione grava sulla popolazione, com- posta pei 19/20 di contadini, con 6000 lire di tassa di focatico, e 3000 di tassa bestiame; e contro 2500 lire circa di stipendi pel personale del Municipio, non apparisce che la irrisoria somma di lire 150 annuali per la condotta medica, in un paese che è infestato, otto mesi all’anno, da febbri malariche.

Nova Siri

Disteso in un’insenatura oscura della montagna, e confondendo le sue casupole, annerite dall’umidità e dai secoli, col colore dei macigni circostan- ti, si scorge dalla via nazionale il paese di Nova Siri, pel quale le cifre stati- stiche segnerebbero, caso strano, un lieve aumento di popolazione, nel ven- tennio, ed un’emigrazione per nulla violenta. Le bellissime campagne, che si stendono dalle falde del monte, fino al

169 mare per uno spazio di circa 15 chilometri, i lunghi filari di alberi da frutta, e l’apparente miglior coltivazione del suolo, danno luogo a sperare che non sia già, come in altri siti, l’eccesso di miseria che trattiene quella gente dal- l’emigrare; ma un relativo benessere. Siamo però nella zona tristissima della malaria, il dilagare dei fiumi e dei torrenti che scendono al mare, formando paludi perniciose, richiede la cura del Governo, allo scopo di ridonare a queste plaghe superbe, parte di quello splendore per cui andavano celebri Crotone, Sibari e Metaponto, e le altre ricche città della Magna Grecia.

Gli altri comuni del Lagonegrese

Tra i comuni di questo circondario che non mi fu dato di visitare e che, non pertanto, hanno una grande importanza, tre, sopra tutti, meritano spe- ciale ricordo e sono Moliterno, San Chirico Raparo e Tursi. Moliterno, ancora famoso per l’industria dei latticini, ebbe l’onore d’es- ser visitato dal Presidente del Consiglio e, circa i bisogni che si dovrebbero soddisfare per diminuire l’emigrazione, che ne allontanò più del 30% degli abitanti e che continua ancora con immutata violenza, non è necessario ch’io mi estenda. Basti affermare che nel trascorso biennio altri 400 individui pre- sero la via dell’esilio. Lo stesso avviene pel vicino villaggio di Sarconi e per quelli finitimi del circondario di Potenza. A San Chirico Raparo la popolazione è pure sensibilmente diminuita, per quanto consti, che la zona in cui si trovano quel comune ed i finitimi di San Martino d’Agri, di Roccanova e di Sant’Arcangelo sia tra le più fertili della Basilicata1. Tursi, collocato nelle vicinanze della marina e congiunto alla ferrovia per

1 Il sindaco di questo comune in una lettera, che va annessa al presente rapporto, conferma le condi- zioni, relativamente, più favorevoli, in cui si trova quella classe lavoratrice; ma ne lamenta acerbamen- te la smania di emigrare. Egli l’attribuisce nella sua totalità all’azione deleteria dei rappresentanti dei vettori, ed accenna a fatti precisi che meritano l’attenzione dell’autorità competente. Mi dispiace assai di non aver ricevuto que- sta lettera, mentre mi trovavo in Basilicata, perché non avrei certamente omesso di recarmi a verifica- re personalmente l’esattezza di tali informazioni.

170 una discreta via carrozzabile, soffre esso pure per un forte esodo; ed è notorio, che se, in tutti e tre questi capoluoghi di mandamento, fosse possibile dare un impulso moderno all’agricoltura, ciò costituirebbe un allettamento efficacissi- mo alla popolazione, perché venisse meno in essa la smania d’allontanarsi. In compenso la piaga maggiore del circondario di Lagonegro consiste nella apparente sterilità del suolo, prodotta da deficienza di strumenti e di concimi, dalla distruzione quasi completa dell’industria armentizia, che ne formava la principale ricchezza, e dal diboscamento irrazionale che ha sop- presso l’antica ricchezza dei pascoli. Quanto alle vie di comunicazione, solo necessità sembrami quella di costruire gli allacciamenti alle arterie principali per vari comuni, che sono segregati dal mondo civile. In nessun luogo eccetto che a Chiaromonte ed a Lauria si espresse con una certa insistenza l’aspirazione ad opere stradali di costosa e difficile esecuzione. Circa alle altre cause ed agli effetti dell’esodo morboso delle popolazio- ni, non posso che riferirmi agli appunti speciali esposti per ogni singolo comune.

Da Nova Siri a Matera

Percorsa buona parte del circondario di Lagonegro, considerai mio com- pito fare una visita anche a quello di Matera. La via più spedita era quella di recarsi per ferrovia a Taranto, e di là, per Gioia del Colle, ad Altamura, donde, nuovamente in vettura, dovevo poi rag- giungere, attraversando il Materano, la stazione di Ferrandina, e quindi nuo- vamente Potenza. Nelle brevi soste, che dovetti fare a Gioia del Colle e ad Altamura, citta- dine di oltre 20000 abitanti ciascuna, e nel rapido passaggio attraverso il loro territorio, ebbi campo di formarmi un concetto del modo con cui si effettua, in quella regione, l’emigrazione. Già l’aspetto delle campagne non presenta affatto i caratteri desolanti, di quelle da me nei giorni precedenti percorse, e le condizioni dell’abitato sono di gran lunga migliori. Nessuna diminuzione, intanto, nella popolazione, anzi un sensibile aumento; un’aria di benessere, ignoto nelle borgate del Lagonegrese e del

171 Potentino, traspare dalle abitazioni e dalla gente che s’incontra pel cammino. Sia nell’una che nell’altra città, e nel loro territorio, se il contingente maggiore all’emigrazione è dato dalla classe agricola, sono però numerosissi- mi gli artigiani (muratori, falegnami e sarti) che lasciano, quasi mai definiti- vamente, però, il loro paese. Vi esiste maggior conoscenza dei luoghi verso cui si dirigono, e vi si verificò una notevole diminuzione d’emigranti, dacché si sparsero allarmanti notizie circa i paesi d’immigrazione. Se una certa recrudescenza avvenne, fu tra gli individui soggetti a leva ed a possibili richiami sotto le armi, i quali, più che da vero bisogno e desiderio di emigrare, furono indotti alla partenza dalle facilitazioni accordate colla legge recente, che li esime da un servizio, cui si prestano con ripugnanza. Concordano a tale riguardo le opinioni delle Autorità e delle persone ragguardevoli, con cui ebbi, pur brevemente, a trovarmi in contatto. La necessità di miglioramenti agricoli è pur grande; ma non così impe- riosa come in Basilicata, e solamente le perturbazioni atmosferiche e le pia- ghe agricole della peronospora e della mosca olearia causa di vero disagio e spinta, per molti, ad emigrare. Da Altamura a Matera un ampio stradale di circa cinque leghe attraversa una campagna ondulata, in cui già si nota nuovamente l’incuria lucana; tut- tavia si trovano larghi spazi di terreno destinati a pascolo, parecchie case colo- niche, campi arati convenientemente, e mandre numerose di cavalli e di ovini. Nelle vicinanze di Matera appaiono quelle originali cave di tufo che da lungi assumono l’aspetto di castelli diroccati; già il suolo più arido, e ricom- paiono, per ogni dove, i miseri aratri di legno, che lasciano nella terra un impercettibile solco. Tracce di terremoto si scorgono alle soglie della città, la quale, però, sia all’esterno che all’interno, offre un piacevole aspetto.

Matera

Capitale antica della Basilicata, conta 17,000 abitanti, avendo aumenta- to di un decimo la sua popolazione nel ventennio. Il complesso della città è grazioso e pulito; edifici dall’aspetto solidissi- mo la adornano, le case sono spaziose e pulite e le vie e piazze principali con- venientemente lastricate ed illuminate.

172 Nei profondi avvallamenti, tracciati dal torrente Gravina, e che s’aprono come ad affiancare ai lati della città, sono scavate nel tufo friabile, che indu- risce rapidamente al contatto dell’aria, delle grotte profonde, in cui vive la povera gente, come ai tempi dei trogloditi. Pur avendo ormai abituato la vista ed il cuore a simili spettacoli, questo non lascia d’infondere profonda tristezza. Non sembra però che quella gente primitiva si trovi, in quelle abitazioni, enormemente a disagio. Ciò che più impressiona, è che anche su di esse graviti inesorabile l’imposta sui fabbricati e che chi abita non si sottragga all’apparentemente giustissima tassa di focatico. Avvicinando quella gente infelice, v’hanno momenti in cui l’incoscienza che essi dimostrano della loro abbiezione, fa tacere nell’animo la pietà, per sollevare l’indignazione. Non si riesce infatti a comprendere, come essi non s’accorgano dell’impressio- ne disgustosa che producono; e, non provando essi alcuno dei bisogni più elemen- tari dell’igiene personale, non sembra si facciano un’idea, che altri li possa sentire. Quest’impressione dolorosa si accresce, notando, l’indifferenza, con cui le persone, anco intelligenti e colte del luogo, assistono a questo miserevole spettacolo; e come in esse l’abitudine abbia prodotto l’insensibilità.

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L’emigrazione per l’America non è guari allarmante, giacché in un ses- sennio non ha raggiunto il 3% della popolazione; ma è attivissima invece quella per paesi finitimi della provincia, in cui fa difetto la mano d’opera, e per quelli del Barese e del Leccese, ove più elevate sono le mercedi. Risulta da questo, che i proprietari locali trovano a stento chi si presti a lavorare i loro campi ed a custodire i loro greggi; ma è chiaro altresì, che que- sti proprietari si fanno un’idea molto inesatta dei diritti dei contadini; della cui emigrazione si lamentano, mentre poi si rifiutano a rimunerarli conve- nientemente pel loro lavoro. È vero però, che le condizioni dei piccoli proprietari sono piuttosto lamentevoli, mancando essi di ogni scorta per far convenientemente fruttare i loro poderi ed essendo, in massima parte, oberati da debiti, che pei gravosi interessi assorbono totalmente la rendita. Che essi siano responsabili, in gran parte, di questa deplorevole condi- zione, non si può certo affermare, poiché moltissimi, non contenti di quan-

173 to possedevano, invertirono ogni loro avere mobiliare e si sottoposero ad impegni rilevanti, per acquistare i beni ecclesiastici: contrastandoseli acerba- mente e riconducendosi poi all’impossibilità di pagarne le quote di ammor- tamento. I contadini, angariati e scorati, e profittando dalla vicinanza di regioni più progredite, abbandonano Matera, il cui territorio vastissimo rimane così incolto per la massima parte. Aggiungasi l’esistenza di due o tre grandi latifondisti, i quali non si cura- no affatto di introdurre miglioramenti nella coltura delle loro immense pro- prietà, ed il fatto, che molti beni ecclesiastici del territorio Materano, venne- ro acquistati dai capitalisti Baresi, i quali, naturalmente, come i latifondisti, ne godono da lontano il frutto, senza alcun profitto pel Comune. Questo si trova ridotto perciò, a sopportare spese, senza possedere le congrue entrate e l’Amministrazione quindi è costretta a rivalersene sulla popolazione intera, col facile mezzo del dazio consumo e delle imposte loca- li a larghissima base. Il conseguente fermento della popolazione lavoratrice, si risolve qui in un iniziale, ma vivacissimo movimento di contadini, i quali, ammaestrati ed eccitati dall’esempio della Puglia vicina, si sono costituiti in lega, e discuto- no con energia, affatto insolita in Basilicata, dei loro diritti e delle loro pre- tese, trovando, naturalmente, chi approfitta del loro risveglio, per rinfocolar- ne le passioni.

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Attratto dalle novità del caso e seguendo il metodo obiettivo proposto- mi, volli recarmi alla sede della Lega, ove trovai raccolto un centinaio di con- tadini attornianti quel tipo originale, ma interessante, di apostolo della rige- nerazione proletaria, che è conosciuto sotto il titolo di Monaco Bianco e che risponde al nome di Luigi Lo Perfido. Trovai cortesissima accoglienza e, poiché ebbi esposto i motivi che mi conducevano, e che erano quelli di conoscere le cause che inducevano i loro parenti ad emigrare e studiare i mezzi adatti, nei limiti del possibile, ad atte- nuarle, si iniziò una discussione, in cui quella povera gente incolta, ma non ottusa, espose con ingenua semplicità la propria opinione. “Poco o nulla essi lamentarono lo stato miserabile delle abitazioni in cui

174 sono nati e cresciuti, del vitto frugalissimo, che non si preoccupano di migliorare. Dissero, invece, come anche quelle tane essi siano soggetti a tasse muni- cipali gravose e come il sistema vigente di contratto a fittanza dei terreni li costringa a lavorare senza posa tutto l’anno, per poi trovarsi alla fine carichi di debiti verso il proprietario e verso l’usuraio, cui dovettero ricorrere pel pagamento delle tasse, e più estenuati di prima”. Il loro aspetto infatti è lungi dal potersi paragonare a quello dei contadini anche delle più infelici plaghe settentrionali, ed i cibi che li vidi mangiare nelle loro grotte, sono tali da metter ribrezzo. “La terra che coltiviamo, essi aggiunsero, ci rende difficilmente tre o quattro volte la semente che vi abbiamo sparso, e per procurare pascolo alle pochissime pecore, che ancora possediamo, dobbiamo sottostare a pesi che assorbono l’utilità che ne potremmo ritrarre. Perciò appena possiamo, emigriamo; e quelli di noi che sono trattenuti dai lavori pel proprio poderuccio, attendiamo l’occasione per disfarcene e poter recare in America, dove ci dicono, che i padroni sono cattivi, ma non crediamo possano essere peggiori dei nostri; e dove almeno, è certo, che si mangia meglio di qui. Se noi ci rifiutiamo di lavorare nei campi dei signori, questi, quando si tratta di aiutarci nel disbrigo delle questioni di leva, o di sollevarci da qual- che tassa ingiusta, ci mettono mille difficoltà; emigrando poi, siamo obbli- gati a lasciar le nostre donne, ed è tanto più facile, che pesi su di esse il mal- contento di chi ci vide partire”. Questo il sunto della loro esposizione fatta senza scompostezza e violen- ze e rispondente esattamente, del resto, alla verità. Nessuna delle frasi rivoluzionarie che caratterizzano i nostri ambienti nordici, un senso in tutti, più di stanchezza che di rancore, ed una fede vivis- sima nell’opera rigeneratrice dell’attuale Governo, che personificano ed applaudono nel nome di Giuseppe Zanardelli.

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Da quell’ambiente sovversivo mi recai ad ossequiare il Monsignore che regge la curia di Matera, il quale, con cortese benevolenza, volle espormi i suoi concetti circa le cause dell’emigrazione e la necessità di frenarla.

175 Convenne che la condizione dei contadini è triste assai, ma aggiunse che non è guari peggiore a quello che era nei tempi andati. Quella che afferma essere realmente peggiorata, è la condizione dei pic- coli e mediocri proprietari, i quali non conoscendo i sistemi razionali di col- tura, od, avendone sentore, non essendo in caso di attuarli, hanno visto iste- rilire i loro terreni, né sanno a qual santo votarsi, per sbarcare la vita. Converrebbe, egli disse, che si cercasse di aiutarli alcun poco, sottraen- doli all’usura che li dissangua, insegnar loro, praticamente, come si possano coltivare i terreni e soccorrendoli nei primi tempi, con istrumenti perfezio- nati e concimi. Senza di ciò, si andrà sempre peggiorando, e verrà presto un giorno in cui il male sarà irreparabile. Non sarà possibile allora frenare i contadini, che già cominciano a solle- varsi e che allora troveranno i più ardenti sobillatori, in coloro, appunto, che essi attualmente considerano come nemici. Dopo aver udito da esso pure gentili parole all’indirizzo del R. Governo, esprimenti sincera fiducia nell’opera sua, mi congedai con rispetto dal vene- rando uomo.

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Poco dissimili, ma più energiche furono le espressioni del prof. Enrico Mele, benemerito presidente del Comizio agrario di Matera. Nei brevi istanti che ebbi la fortuna di rimanere con lui, egli mi dipinse a foschi colori la situazione agricola del municipio e del circondario di Matera, affermando la necessità di una Scuola agraria con annesso podere modello, d’una serra, per quanto limitata, distribuzione di credito agrario, anche sotto forma di prestito di sementi, concimi e strumenti da lavoro e d’un congruo sollievo tributario pei terreni isteriliti. L’emigrazione, egli aggiunse, che ora si manifesta in misura non eccessi- va in Matera, ma in modo terribile in certi comuni del circondario, aumen- terà in modo spaventoso, se le cause attuali persistono e ridurrà questa, già florida regione, ad un mezzo deserto.

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Il comm. Domenico Ridola, deputato provinciale, ed una delle persone

176 più ricche, influenti e colte di Matera, si compiacque esso pure di manife- starmi le sue idee in proposito, ed ebbe, anzi, la somma cortesia di rimetter- mi un prezioso complesso di osservazioni pratiche, che per brevità riassumo. “L’emigrazione, egli scrive, che era un fenomeno raro a Matera, cresce da qualche anno in progressione allarmante, sia per le Americhe che per le pro- vince finitime di Bari e di Lecce. Essa si verifica perché il peso dei balzelli è enorme e perché qui non vi è altra risorsa che la terra e perché questa non può rimunerare chi la coltiva. Perché, infine, dov’era il benessere oggi è il disagio, la miseria e la fame! Le necessità imprescindibili superano gl’introiti, ed è esaurita ogni riserva pecu- niaria degli anni anteriori”. La cagione di ciò deve imputarsi, anche secondo il comm. Ridola, all’ab- bagliamento della compra dei beni ecclesiastici ed alla successiva impossibi- lità di pagarli, senza contrarre nuovi debiti o senza affrettarsi a sfruttare irra- zionalmente i terreni acquistati, procedendo a diboscamenti perniciosissimi. Ne venne quindi la malaria, per la distrutta regolarità nella distribuzione delle acque, la rovina dell’industria armentizia, per la sparizione dei pascoli, e se i proprietari sono ridotti, in gran parte, ad essere gli amministratori dei loro anti- chi beni per conto dei creditori, i contadini vedono peggiorata, essi pure, la loro sorte, perché nei pochi armenti che possedevano esisteva l’unica loro risorsa.

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Non guari diverse potevano essere le notizie che raccolsi dall’autorità politica e dalle singole persone colle quali mi fu possibile intrattenermi, con- venendo tutte nella necessità di urgenti provvedimenti. Quali essi debbano essere risulta, in generale, dalle surriferite conversa- zioni, ed, in particolare, dalle condizioni finanziarie della città, dedotte dal- l’esame del bilancio comunale e già esposte, in forma alquanto retorica, ma pure in modo assai chiaro, nei memoriali presentati al regio governo dalla Giunta comunale e dal Comizio agrario di Matera. Affinché l’Amministrazione possa sollevare di qualche peso la popola- zione, o sopperire più ampiamente ai pubblici servizi, converrebbe che non pesasse su di essa la spesa sensibilissima del Liceo-Ginnasio, del quale v’ha indubitabile necessità, data la distanza che la separa da ogni altro centro di istruzione.

177 Questo sollievo, il quale appare d’una equità indiscutibile, faciliterebbe alla città il mezzo di estendere l’istruzione tecnica agli artigiani ed ai giovani della classe media e popolare; ma soprattutto le offrirebbe modi di provvedere di più igieniche e meno barbare abitazioni la parte più meschina della popolazione. Altra aspirazione, non meno giustificata, in una città di tanta importan- za e di così patriottici precedenti, sarebbe quella di essere unita, per mezzo di una ferrovia, alla provincia finitima di Bari ed a Potenza, colla costruzione di parte, almeno, della progettata ferrovia Grumo-Padula. L’istituzione, infine, di una scuola agraria con podere modello e deposi- to d’istrumenti, concimi ed animali da rimonta, non risulta meno necessaria qui, che non sia in Avigliano ed in altri punti speciali della Basilicata. Questi sono i desideri, soddisfacendo i quali si ovvierebbe al pericolo di un deplorevole spopolamento.

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A percorrere i 20 chilometri di strada carrozzabile che dividono Matera da Montescaglioso, occorrono più di 3 ore, causa le gravi pendenze e lo stato deplorevole di gran parte del cammino. Arriviamo quindi a notte inoltrata in questo paese importantissimo del circondario e vi troviamo un’accoglienza, oltre ogni dire, cortese1. Non ostante l’ora tarda, trovammo le vie del paese sufficientemente illu- minate e fu possibile di raccogliere molte notizie dalle autorità municipali che, preavvisate, erano venute ad incontrarci.

1 Montescaglioso è il paese della Basilicata (di quelli almeno da me visitati) che possiede un locale desti- nato ad ospitare quei funzionari dello Stato, che, per circostanze speciali, sono obbligati a sostarvi la notte, e che non troverebbero come alloggiarsi altrimenti, se non con grave difficoltà e disagio. Dovrebbe esser questo un obbligo generale, in una regione in cui, chi non possiede relazioni persona- li è ben difficile che possa incontrare un alloggio ed un ristoro appena decente. All’infuori del locale che dovrebbe limitarsi, come nel caso attuale, ad una sola camera, purché pulitamente arredata, nes- sun altro peso dovrebbe gravare sul comune, in quanto i beneficiari sarebbero pur lieti di sopportare le spese, che in una città settentrionale sarebbero necessarie in un albergo di primo ordine, e che nelle rare taverne lucane si esigono con imperturbabile audacia. Da Taranto s’era unito cortesemente a me il nobile avv. Annibale Grasselli di Cremona cui il largo censo è mezzo ad aumentare la già vasta coltura. Occupandosi egli di studi sociali, e conoscendo lo scopo del mio viaggio, egli si profferse, con mia grande soddisfazione, d’essermi compagno, almeno per una parte di esso, e rimase meco, infatti, per vari giorni.

178 La visita a Montescaglioso m’interessava assai, non solo per l’importanza speciale del paese che conta 7300 abitanti e dista non meno di 20 chilometri da qualunque altro centro di popolazione, ma anche pel fatto straordinario, che l’emigrazione, dopo avervi raggiunto la cifra di 242 individui nel 1901, in confronto di 16 nel 1900, è scesa in quest’anno, a meno della decima parte. Partendo dal principio ch’essa è determinata soprattutto dal malessere, e dalla mancanza di lavoro, era naturale ch’io supponessi, che le cause del primo si fossero di molto attenuate, o che per circostanze speciali, i proprie- tari avessero trovato proficua occupazione. Non potevo immaginare che queste previsioni dovessero risultare assur- de; e, qui principalmente, dovevo convincermi, che sarebbe una vera teme- rità, esprimere giudizi generali sulle condizioni dei paesi che non ho potuto visitare.

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La popolazione di Montescaglioso non è diminuita nel ventennio che di 146 individui, i quali ammontano però a 1205, tenendo calcolo dell’ecce- denza delle nascite sui decessi. Essendo rarissimo il caso che gli emigranti abbiamo condotto seco la famiglia il paese ha, quindi, perduto un contingente enorme di uomini adat- ti al lavoro, pur avendo nel suo vastissimo territorio, di oltre 200 chilometri quadrati, esuberanza di spazio, per sopperire alla loro esistenza. Dalle informazioni assunte risulta, intanto, che la cifra degli emigranti di quest’anno, la quale arriva appena alla ventina non si riferisce che a quel- li che si diressero alla lontana America, e che, ad essa, deve aggiungersi quasi il decuplo di artigiani e muratori che quest’anno scesero alle vicine città della Calabria, e quindi si recarono a lavorare in Egitto e nella Colonia Eritrea. Questa deviazione della corrente si attribuisce alla mancanza di mezzi per provvedere al costoso viaggio transatlantico, mentre lo straordinario numero di emigranti nel 1901 provenne dall’allettamento dei viaggi gratuiti pel Brasile, che quest’anno vennero aboliti. Le dolorose notizie sulle condizioni degli italiani nello Stato di San Paolo, non avrebbero fatto guari impressione sugli abitanti di Monte- scaglioso, ove non fosse avvenuta quella saggia proibizione. Sennonché si affaccia l’obiezione, se all’azione proibitiva del Ministero degli

179 Esteri non sarebbe stato necessario accompagnare l’azione protettrice e benefica dei Ministeri degli Interni, dell’Agricoltura e dei Lavori Pubblici, a sollievo di quel grande disagio. Che questo sia eccezionale, non v’ha dubbio, e le notizie fornitemi dal- l’intelligente Brigadiere, comandante la stazione dei Reali Carabinieri, e le mie osservazioni personali lo provano ad esuberanza. Avvicinandosi epoca più rigida dell’inverno, l’elemento lavoratore che rappresenta l’immensa maggioranza di quella popolazione, si trova sprovvi- sto di tutto, non avendo altra risorsa che d’andar a raccogliere, in boschi lon- tanissimi, qualche fascio di legna, ch’esso vende per sfamarsi, perché serve al riscaldamento altrui. La locale Congregazione di carità, con un’entrata di 1500 lire, costituite da canoni e censi difficilmente esigibili, non può sopperire, che in minima parte delle miserie, pur coadiuvata dallo stanziamento inusitato nei bilanci comunali, finora esaminati, di lire 1200 per beneficenza. Ma nel bilancio del Comune figura la cifra enorme di 59,207 lire di ren- dite patrimoniali, alla quale però fa riscontro quella di 19,000 per imposte pagate dal Comune allo Stato, oltre al canone pel dazio consumo. Questo reddito però è in costante diminuzione, perché l’esaurimento delle terre non concimate, e la riduzione del numero degli agricoltori affit- tuali, fece che le subaste già bandite siano andate deserte, e che si debba pre- vedere un rilevantissimo ribasso delle entrate negli anni avvenire. Una sola proprietà dalla quale si poté a stento ottenere un affitto di 1600 lire (in ragione di 95 centesimi all’ettaro), è gravata di lire 2360 d’imposta fondiaria. Nell’anno scorso si ebbe a constatare l’inesazione di lire 2500 per affitti, e di circa 9000 per canoni, ed il Consiglio Comunale fu costretto, per non aggravare con inutili spese di atti esecutivi i contribuenti, ad accordare una dilazione al pagamento fino all’agosto del 1903, nella speranza di un discre- to raccolto. Questo, però, non può sperarsi guari migliore dei passati, se le condi- zioni delle campagne circostanti sono in continuo peggioramento, e se non si provvede, mercé l’aiuto del Governo, a migliorare i sistemi d’agricoltura, ed a fornire, con una certa larghezza di credito, i concimi artificiali, con un pratico insegnamento sul modo d’adoperarli.

180 * * *

Può parer strano, infatti, che, date le condizioni economiche del muni- cipio e l’assenza d’imposte comunali, l’elemento proletario si trovi in tanto disagio; ma esso proviene dalla sfiducia, ormai generale, nella produttività della terra, ed anche dall’esistenza di molti latifondisti i quali distraggono dal movimento economico locale tute le rendite dei loro fondi, contribuendo al locale depauperamento. Ma una causa importante dell’emigrazione sta pure, nel pericolo che incombe a molta parte del paese, di rovinare per frammenti del terreno sot- toposto; senza contare che, anche nel centro del paese, le case, pur presen- tando apparentemente caratteri di grande solidità, vanno facilmente crollan- do; sì che ad ogni tratto se ne incontrano parecchie in completa rovina. Queste case, d’altronde, pur appartenendo ai loro miseri abitatori, sono soggette a gravosi canoni, sì che m’avvenne di costatare che una donna, certa Carmela Mianulli, che ha il marito in America, e vive con tre figliuoli in una stanza, appoggiata ad una cisterna (che fa trapanar l’acqua dalle pareti), paga per quella povera abitazione 10 lire di rendita fondiaria, ed altrettante per censo del fondo del culto; corrispondendo quindi, in quell’isolato paese, per imposta, una somma superiore a quella che, per un simile ambiente, dovrebbe pagare, a titolo di affitto, in una mediocre città. “Il comune ricorse, tempo addietro, nell’intento di sollevare le sorti dei proletari, alla quotazione di alcune terre comunali; ma i risultati furono affat- to contrari, perché la maggior parte dei beneficiati, sfruttato nei primi anni il terreno, o lo abbandonò, o dovette cederlo agli usurai, che avevano facili- tato i mezzi di coltivarlo”. In un memoriale minuzioso e preciso, che l’Amministrazione comunale di Montescaglioso volle rimettermi, accompagnandolo con fotografie che illustrano le condizioni speciali del paese, risultano chiaramente quali sareb- bero i provvedimenti, che converrebbe adottare per diminuire l’emigrazione, i quali si riducono a misure locali atte a sollevare le sorte della popolazione lavoratrice. Questi possono riassumersi: 1° Nella cooperazione dello Stato all’opera di consolidamento delle frane od alla costruzione di case rurali, in sostituzione di quelle crollate in paese. - 2° Nella esenzione della imposta di ricchezza mobile pei proprietari di animali da lavoro, di tiro e d’allevamen- to, ancorché non siano legati al suolo per cui debbono servire. - 3°

181 Nell’influenza governativa, per regolarizzare le relazioni fra proprietari ed affittuali, onde rendere impossibili gli arbitri antichi dei latifondisti e degli agenti loro. - 4° Nella costruzione immediata dei tronchi di strada provin- ciale nn. 211 e 154 di serie, contemplati nella legge 3 luglio 1902, n. 297. - 5° Nell’affrettamento delle operazioni di perequazione fondiaria. - 6° Nell’impianto, nell’agro estesissimo del comune, d’una stazione rurale esperi- mentale, con deposito d’attrezzi, concimi ed animali, da fornirsi, con credito pri- vilegiato, ai contadini ed ai piccoli proprietari, e coll’intendo di servire da scuo- la pratica a tutto l’elemento agricolo del comune.

Pomarico e Bernalda

A due ore da Montescaglioso sta il villaggio di Pomarico con oltre 5000 abitanti addetti, nella totalità, ai lavori agricoli. In questo paese l’emigrazione ha superato, nell’ultimo biennio, il 10 per cento della popolazione, e, mi si riferisce, che la mania emigratrice vi aumenta in proporzioni colossali. Più innanzi, sopra un colle poco elevato, sta il villaggio di Bernalda con 7000 abitanti. Sembra che, ove si potesse ovviare alla piaga della malaria, che ivi produce vere stragi, le condizioni generali della popolazione non sareb- bero tanto lamentevoli quanto negli altri paesi, essendovi feracissimo il suolo ed assai mite il clima. Colà pure, nondimeno, i sistemi agricoli sono ancora primitivi, ed a nessun’altra coltura si dedica quell’elemento agricolo fuorché a quella dei cereali.

Miglionico

Scendendo da Montescaglioso e percorrendo una plaga agricola, all’ap- parenza ferace, si arriva, dopo aver attraversato il Bradano e dopo mille giri tortuosi, in cinque ore di vettura, a Miglionico, eretto, esso pure, sulla cima d’un monte, sui fianchi del quale allignano vigne ed uliveti. L’imperversare del tempo e la lunghezza del cammino, non concedono di soffermarsi in alcune rare case coloniche, che si incontrano nel percorso di 35 chilometri; ma non è difficile constatare che i sistemi d’agricoltura non sono, in gene-

182 rale, diversi di quelli anteriormente descritti. Sulla china d’un colle, sotto la pioggia dirotta, scorgiamo un asinello che trascina, senza grave fatica, un aratro primitivo, sul quale appoggia il braccio stanco d’un vecchio. Dietro di esso, una donna, con un grembiule rigonfio, sparge con lenta mano il concime nel leggerissimo solco; un fanciullo raccoglie indolentemente i pochi steli di gramigna strappati dal preadamitico aratro.

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La larga ospitalità del dott. Pasquale Corleto, sindaco di Miglionico, ci riesce di grato ristoro, e, nelle brevi ore che posso trattenermi, mi riesce di raccogliere le seguenti informazioni. La popolazione di Miglionico non è diminuita nel ventennio, e somma- va, all’epoca dell’ultimo censimento, a 4175 abitanti. Dal 1 marzo 1901 al 15 novembre di quest’anno il 10 per cento di essa emigrò, dirigendosi l’an- no scorso, in gran parte al Brasile per la facilitazione dei viaggi gratuiti; e que- st’anno si diresse quasi tutta agli Stati Uniti, chiamata dai parenti e dai com- paesani con biglietti di passaggio. Se poco ancora dovesse continuare con questa intensità, il paese rimarrebbe privo di agricoltori robusti. La causa principale, secondo il signor sindaco, è la lunga serie di scarsi raccolti, nonché il peso insopportabile dei tributi, in un paese ove non esiste quasi circolazione di numerario. Il disboscamento delle montagne circostanti ha rovinato l’industria armentizia e colla deviazione delle acque introdusse la malaria in molta parte del territorio. Il suolo sarebbe nondimeno fertilissimo, e darebbe eccellenti risultati, ove fosse razionalmente coltivato; ma perché ciò sia possibile, con- verrebbe che esistesse qualche istituzione di credito agrario, che manca in assoluto mentre i coloni ed i piccoli proprietari si dibattono sotto le spire di un’usura dissolvente. Le condizioni del bilancio comunale, senza essere molto floride, sono abbastanza soddisfacenti, non pertanto le tasse di focatico e sul bestiame rap- presentano un terzo delle entrate. Il paese trovasi, come altri della regione, in pericolo costante di rovinare per cedimento di sottosuolo; si reclama a grandi voci l’aiuto, già in parte con- seguito, del R. Governo, per consolidamento delle frane; ma è dubbio, che la necessaria spesa sia compensata, neppur lontanamente dal profitto.

183 Converrebbe piuttosto sussidiare saviamente coloro che acconsentissero a costruire case coloniche od a togliere, dallo stato pietoso in cui si trovano, le poche già esistenti; ma, per introdurre il contadino ad abitarle ed allettarlo a vivere presso il terreno che coltiva, sarebbe necessario, innanzi tutto, provve- dere ad opere di bonifica, onde togliere le esalazioni malariche.

La Valle del Basento

Ferrandina

Da Miglionico la strada nazionale prosegue per Grottole e Tricarico e si biforca ad un certo punto, per scendere alle rive del Basento e congiungere, con un tratto di 13 chilometri, il paese alla stazione ferroviaria di Ferrandina. Non mi è dato visitare personalmente questo interessantissimo paese, che sorge alla sommità d’un colle ricchissimo di splendidi uliveti, e che mi si afferma essere uno dei più pittoreschi e progrediti della provincia. Ha una popolazione di 7351 abitanti, 270 dei quali hanno abbandonato, nell’ultimo biennio, il paese, per recarsi in America. Ferrandina dovrebbe essere il centro della progettata via ferrata Grumo- Padula, e punto d’incrocio, ad ogni modo, di quella così insistentemente reclamata dai Materani.

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La linea ferroviaria Eboli-Potenza-Metaponto, è, tra quelle d’Italia, una delle più accidentate, più ricche d’opere d’alta ingegneria, e più feconda di spettacoli nuovi e svariati per chi la percorre. Scendendo da Potenza verso l’Jonio si scorgono successivamente, ora appollaiati sulla vetta d’un monte, ora aggruppati sulle ripide chine, i villag- gi di Vaglio Basilicata - Brindisi di Montagna - Trivigno - Albano di Lucania - Pietrapertosa - Castelmezzano e Campomaggiore. Fa meraviglia, che gli indigeni siano andati a fissare lassù le loro case; ma, ripensando alle invasioni periodiche di conquistatori che vennero succeden- dosi attraverso i secoli, quella meraviglia sparisce, per dar luogo all’altra del come, anco fin lassù, gli invasori abbiano trovato mezzo di arrivare.

184 Passati i pericoli d’invasioni straniere, un’altra ben più terribile vi fece la malaria, ond’è che i Lucani, anco disposti a trasportare nel basso i loro abi- turi, ne rifuggono, mantenendosi con grave disagio a quelle altezze. Impossibile quindi visitare quei villaggi, senza dedicarvi almeno una giornata per ciascuno; e, per quanto grande fosse in me l’interesse, di esten- dere anche su di essi l’inchiesta affidatami, il difetto di tempo doveva esser- mi di ostacolo insormontabile. Eppure ognuno dei sunnominati comuni è terribilmente afflitto dall’e- migrazione. La diminuzione della popolazione nel ventennio varia dal 15 al 33 per cento senza che l’esodo accenni a rallentarsi; ché anzi in alcuni viep- più s’inacerbisce. Negli ultimi 20 mesi Campomaggiore, Brindisi di Montagna e Pietrapertosa, la cui popolazione è quasi ridotta ai vecchi ed alle donne, soffrirono ancora un dissanguamento del 9 per cento degli abitanti, equivalente al 50 per cento di quelli che ancora vi rimanevano adatti a pro- ficuo lavoro. Al di sotto di Campomaggiore (che nel 1885 fu completamente distrutto da una frana, sì che si dovette ricostruirsi, con largo concorso del Governo, in luogo meno minacciato), la linea, che segue il corso sinuoso del Basento, entra nel territorio del circondario di Matera, il quale rimane così diviso dalla ferrovia in due parti quasi eguali. La mancanza di un’altra linea che attraversi il circondario nella direzio- ne dall’Est all’Ovest, e gli impervi mezzi di comunicazione attuali, pongono i comuni della riva destra del Basento in difficoltà assai maggiore a raggiun- gere Matera, che non il capoluogo della provincia. Da ciò un aumento di spese nelle trasferte di funzionari e nel tratta- mento di affari privati, che costituiscono altrettante cause di disagio; come lo è lo stato di molte vie d’accesso alle stazioni, che inutilizza alcuna di esse, obbligando gli abitanti dei vari paesi a lunghissimi percorsi, per raggiunger- ne altre più favorite. Così i paesi di Grottole e di Tricarico comunicano colla ferrovia per mezzo della stazione di Grassano, che dista rispettivamente, da ognuno 29 e 30 chilometri. A questa dovetti scendere, per procedere all’inchiesta su queste popola- zioni.

185 Grassano (Tricarico e Grottole)

Grassano, è una grossa borgata di 6474 abitanti, contro 6145 che ne aveva nel 1881. Da qualche tempo l’emigrazione vi si è fatta violenta, e nel 1901, pro- fittando delle facilitazioni accordate dalla nuova legge e dei viaggi gratuiti pel Brasile, ben 436 individui, quasi tutti adulti, presero la via dell’esilio. Quest’anno la cifra si ridusse alla quinta parte, e l’emigrazione deviò verso il Nord America, ove si dedica ai faticosi lavori di sterro e delle miniere. Uguale fenomeno avvenne a Tricarico ed a Grottole, coll’aggravante che a Tricarico, anche in quest’anno, l’emigrazione è in fortissimo aumento, componendosi, non solo di individui isolati, aventi per iscopo un possibile non lontano rimpatrio, ma di intere famiglie e di gruppi di esse che lasciano definitivamente la patria. È voce generale, che a quest’esodo siano indotti dalla mancanza di lavo- ro; ma ciò non sembra esatto, almeno per Grassano, giacché in questo comu- ne la mercede giornaliera del bracciante supera una lira, oltre al vitto, men- tre nella maggior parte degli altri comuni questa cifra non si raggiunge; e non per tanto, qui non si trovano operai bastanti a sopperire ai bisogni. È indubitabile che negli anni scorsi gli agenti di emigrazione devono aver fatto una colpevole propaganda; ma le misure efficaci imposte dalla nuova legge e fatte eseguire con lodevolissima severità, hanno, almeno qui, posto fine a questa indegna speculazione. Qui, ed in tutti i paesi del Materano, finora visitati il ritiro della proibi- zione dei viaggi gratuiti riuscirebbe fatale; ma non meno fatale sarebbe il ritar- do di provvedimenti atti ad alleviare tanta miseria. Il paese di Grassano dista 15 chilometri dalla stazione; si trova in una pit- toresca posizione sulla cima di un colle che prospetta a mezzogiorno. Le con- dizioni igieniche del paese, pur non essendo le migliori, sono abbastanza confortanti. Una plaga agricola ammirevole lo circonda da ogni parte; molti vigneti rigogliosi e foreste d’olivi l’adornano, e, per la prima volta, in tutto lo spazio finora percorso, m’è dato di scorgere anche qualche prato verdeggiante. Ma i campi coltivati a cereali, che occupano la massima parte del terri- torio, presentano lo stesso aspetto di quelli del comune di Avigliano, e la parte che rimane incolta, allo scopo di lasciarla in riposo, è invasa straordi- nariamente dalle gramigne, le quali finiscono di isterilirla.

186 Ma sull’altura che divide Grassano da Tricarico appariscono vari edifici che mi è dato di visitare. Sono eccellenti case coloniche con stalle spaziose, ovili e porcili, secondo i migliori modelli, attorniate da magnifici campi nei quali si va iniziando, con concetti veramente moderni e progressisti, quella coltura razionale che farebbe, ove divenisse generale, la fortuna della Basilicata. È l’aura nuova della civiltà che qui si manifesta, ed in quella plaga, fino- ra preadamicamente coltivata, s’è formata una fattoria modello, dotata di quanto è necessario a renderla proficua. E la terra va rispondendo all’inizia- tiva coraggiosa ed intelligente dell’on. deputato Francesco Paolo Materi. Ma per effettuare questo miracolo, occorsero ingenti capitali e l’intro- duzione di una intera colonia di contadini che, dalla lontana Forlì, venne tra- piantata in questa terra, da cui partono i coltivatori indigeni; considerando- la troppo ingrata. Ma ingrato, invece, è il loro lavoro, e più ingrata forse la sorte che venne privandoli di capitali, di scorte vive e di strumenti. I contadini forlivesi, recentemente arrivati, sembrano lietissimi della presa decisione; hanno visitato con somma cura il terreno, ed, all’epoca della mia visita, stavano arando coi più moderni aratri, fiduciosi di trarne enormi benefici. Contrattati a mezzadria, coll’obbligo nel proprietario di fornire gli animali al lavoro, considerano la loro sorte fortunata, e non sanno compren- dere, come i contadini di Grassano preferiscano emigrare, all’adattarsi a que- sto contratto. Parlando più innanzi d’uno spettacolo uguale, benché in maggiori pro- porzioni, che studiai nella vastissima tenuta di Monticchio (Melfi), verrà opportuno esporre, con più minuti particolari, le ragioni di questa innata avversione dei contadini lucani, ed anche dei proprietari al contratto di mezzadria.

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Grassano è l’unico paese in cui abbia trovato, finora, una Banca coopera- tiva, la quale abbia resistito alla catastrofe finanziaria, in cui venne travolta, anni or sono, la Basilicata. Questa Banca, che ha 19 anni di vita, e che potrebbe essere base della rigenerazione di quella plaga agricola, trae invece, una vita piuttosto stenta- ta, per insufficienza di capitali. I risparmi degli emigrati, sono qui assai

187 minori che altrove, e rarissimamente poi entrano nella circolazione locale, ed i capitali dei proprietari sono, in massima parte, negativi. La legge recente del 7 luglio 1901, che autorizza la Cassa di risparmio del Banco di Napoli a fare operazioni di credito agrario, per intermedio delle istituzioni locali di credito del mezzogiorno, parve, agli amministratori della Banca di Grassano, dovesse riuscire ad essa di grande aiuto; ma, non ostante il credito di cui sembra che un tale istituto dovrebbe godere, esso non otten- ne, finora, che a costo di grave difficoltà, 8000 lire, di cui cinque dovettero garantirsi, con avallo, del presidente della Banca. E su questa somma la Banca di Grassano deve corrispondere il 3 e mezzo per cento non essendole concesso di possederne, alla sua volta, più del 5. In tali condizioni è naturale, che lievissimo, per non dire irrisorio, debba essere l’aiuto ai lavoratori della terra, i quali sono qui costretti, come altrove, e forse peggio, a ricorrere all’usura più feroce. Difatti a Grassano è comunis- simo l’interesse di mezzo tomolo di frumento, pagato al raccolto, per ogni tomolo di frumento, ottenuto in prestito all’epoca della seminagione. Questa, più che altre cause già, per lo innanzi, accennate, è l’origine del- l’immenso disagio dei piccoli proprietari e dei coloni, i quali, oltre all’essere dissanguati, vengono mano mano a trovarsi alla dipendenza degli usurai arricchiti divenuti, sovente, gli amministratori della cosa pubblica. Dovendo discorrere più tardi dell’organizzazione del Credito Agrario quale uno dei rimedi più indicati per diminuire l’emigrazione, verrà allora più opportuno estendersi; anche in questo argomento.

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Durante la visita fatta nelle case di famiglie che hanno parenti in America, ebbi a sentire i più dolorosi lamenti sulla sorte degli individui che si lasciaro- no allettare, negli anni scorsi, ad emigrare in Brasile. Fu una febbre, una sma- nia fomentata dalla propaganda vergognosa di vari agenti ambulanti d’emi- grazione, coadiuvati anche da alcuni rappresentanti locali di vettori. Il racconto di tante miserie e la certezza che, ove fosse possibile, moltis- simi emigrati ritornerebbero al lavoro dei loro campi, fa comprendere, come da un’anima di cittadino veramente afflitto pei bisognosi del suo paese natio, possa essere uscita, in un momento di sfogo doloroso, la proposta di rimpa- triare a spese dello Stato, quegli infelici. Senonché a troppo gravi inconve-

188 nienti, oltreché, ad ingentissime spese, si presterebbe l’adozione di questa proposta, potendosi e dovendosi forse impiegare i capitali, che a quell’im- presa si dedicherebbe, a trattare altri infelici dall’emigrare. Rimpatriarli, d’al- tronde, per ricacciarli nel misero stato anteriore, non sarebbe certamente opera d’umanità.

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A Grassano, come nei vicini paesi, ciò che tratterebbe di più l’individuo dall’emigrare, sarebbe il miglioramento, già più volte sollecitato,dell’agricol- tura per mezzo di una scuola pratica, che in questa plaga superba, trovereb- be magnifico adattamento. Frattanto urge provvedere di lavoro queste popolazioni, onde evitare possibili sconvolgimenti, ed, all’uopo; converrebbe dare sollecita esecuzione ai lavori già approvati per il completamento della strada provinciale, che allacci le due arterie nazionali Potenza - Tolve - Gravina e Potenza - Grassano - Matera, pel quale allacciamento verrebbero ad essere congiunti i paesi di Grassano e di Irsina, con grande sollievo d’ambedue le popolazioni. Questo allacciamento, facendo parte delle opere a costruirsi nel decennio sotto il numero 209, non importerebbe, per la sua effettuazione, sacrifici speciali all’erario, ove non fosse l’anticipazione alla Provincia ed ai Comuni delle quote, ch’essi non sono in caso di sopportare. Ad ogni modo, sarebbe necessario provvedere all’immediata costruzione del ponte sul Bradano, onde congiungere i territori dei due paesi fra i quali corrono relazioni strettissime d’interessi. La pronta esecuzione di tali lavori, servirebbe ad infondere nel popolo minuto la convinzione, che il Governo si appresta a favo- rirne le sorti, e con ciò l’emigrazione avrebbe un momentaneo arresto. Fui ospite a Grassano, dell’egregio avv. Pasquale Materi, da cui ebbi cor- tesie indimenticabili.

Irsina

Posto quasi ai confini della Provincia, e forse, da maggiori interessi lega- to a quella di Bari, il villaggio di Irsina, che contava al principio del 1901, 7500 abitanti, e non conosceva affatto l’emigrazione, ebbe in quell’anno stes-

189 so, l’esodo colossale del 10 per cento dei suoi abitanti, e nel primo semestre di quest’anno, una successiva emigrazione di circa 200 individui. Quasi tutti si diressero al Brasile, profittando del viaggio gratuito, e delle facilitazioni della legge; e mi si riferisce da persona, assai degna di fede, che la causa principale di quest’esodo straordinario e repentino, sia dovuta all’i- narcerbimento gravissimo delle imposte comunali, le quali, giunsero fino a gravare, sotto il titolo di esercizio di rivendita, gli agricoltori, che smerciano i magri prodotti del suolo (grano, legna e castagne), per procurarsi quei pochi generi di consumo, che il suolo non può dare, e di cui hanno assoluta impre- scindibile necessità. L’aggravamento della tassa di focatico, e di quella sul bestiame, nonché l’aumento dei diritti di pascolo, uniti ad una serie di cattivi raccolti, non potevano che dar maggior forza alla suggestione degli agenti d’emigrazione. Date queste condizioni, non sembrami necessaria molta fatica, per ricer- care i possibili rimedi.

Pisticci

Fra i comuni del circondario di Matera, posti sulla riva destra del Bradano, è importantissimo quello di Pisticci, sia per la popolazione che ammonta a 8272 individui, ed ebbe un leggero aumento nel ventennio, sia per le circostanze speciali in cui si trova, e per l’emigrazione che in quest’an- no ha preso proporzioni violente. Dista 82 chilometri di ferrovia da Potenza, e soli 47 dal capoluogo di circondario. Ma per giungere a questo, s’impiega assai maggiore tempo che non per recarsi alla capitale della provincia, e, in parte dell’anno, l’andarvi diretta- mente risulta difficilissimo. La grossa borgata, situata alla sommità d’un colle argilloso, comunica per una via carrozzabile tortuosa colla stazione ferroviaria, posta, presso la riva del fiume, in una zona malarica per eccellenza. L’aspetto delle campagne è, come sempre, desolante, i terreni argillosi coltivati a leggerissimi solchi fin sull’orlo dei burroni, fin sul culmine d’ogni elevazione di terreno, dimostrano, come, unicamente nella produzione dei cereali, si faccia consistere la ricchezza locale. Non un filo d’erba da pascolo, non un frutteto, né, come nella vicina

190 Ferrandina, i boschi ridenti di ulivi. Dal culmine della collina si scorge il villaggio sottoposto, tutto edificato a casupole bianche e pulite, allineate come le tende d’un accampamento militare; l’aspetto generale è gradevolissimo, ed il panorama che si scorge dal- l’alto, incantevole. Benché il paese abbia l’apparenza d’una certa agiatezza, non vi esiste che un meschino albergo, occupato interamente dai funzionari della pretura e delle finanze, e la vita del forestiere deve riuscirvi completamente disagiata.

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Dalle prime parole che il Sindaco del paese mi rivolge, apprendo che l’emigrazione non deve considerarsi, per Pisticci, che come una valvola di sicurezza ed una fonte di benefici, ma successivamente lo stesso signor Sindaco è tratto a modificare d’assai questa affermazione, mentre dal depu- tato provinciale cav. Cantisani, dall’avv. Roges, dalle autorità politiche, e da altri privati cittadini, mi s’informa che le condizioni dei lavoratori sono da qualche tempo assai peggiorate, che l’emigrazione avviene per difetto asso- luto di lavoro, e perché, realmente, la popolazione agricola è ridotta alla miseria. Non esiste quasi circolazione di denaro, i risparmi degli emigranti non servono che a richiamare presso di loro le famiglie, ed a soddisfare i debiti usurari anteriormente contratti. Il piccolo proprietario, privo d’ogni scorta, non potendo corrispondere adeguati salari al contadino, preferisce lasciare incolti i suoi poderi; i grandi latifondisti assorbono la parte migliore dei lavo- ratori, cedendo loro in affitto, a prezzi mitissimi, parte dei loro terreni, situa- ti nella zona peggiore della malaria, cosicché alle altre piaghe venne aggiun- gendosi quella delle infermità. Non pertanto il contadino dimostra un attaccamento straordinario al suo paese, e vari di essi, in procinto di emigrare, mi assicurano che, ove potes- sero guadagnare una lira al giorno, rinuncerebbero con entusiasmo a partire. Lo stesso avviene per gli artigiani che emigrano per mancanza di occupazio- ne, trovandosi attualmente in Pisticci circa 300 tra muratori, calzolai e sarti privi di lavoro. Il paese, benché tanto popolato, è privo affatto di acqua, dovendosi andarla a cercare a distanze enormi, pur trovandola cattiva. Ciò non ostante,

191 non si poterono finora fare tentativi di trivellazioni per pozzi artesiani, man- candone i mezzi e gli strumenti1. Il territorio, benché estesissimo, è in gran parte incolto, e quello coltiva- to non rende, al massimo, che cinque volte la quantità di grano che vi è semi- nata. Potrebbe dare un grande profitto, ove fosse ridotto a pascoli, ma difet- tano i capitali, e manca affatto il credito, per aumentare il numero degli ani- mali che vi si dovrebbero introdurre. Nel municipio non esistono, quasi, tasse comunali, soddisfacendosi alle necessità colle rendite patrimoniali e canoni e per fida di beni demaniali, sod- disfatta quasi interamente dai proprietari di armenti dei paesi del litorale Jonico. Il comune trae dal dazio consumo circa 6000 lire nette e ricorre al massimo della sovrimposta fondiaria per caricare i latifondisti, i quali, al paese, non danno alcun profitto2.

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Da quanto precede risulta, come non si debba specialmente alla gravez- za delle imposte comunali la causa dell’emigrazione e come questa avvenga unicamente per mancanza di lavoro. Essa si dirige totalmente a New York, spargendosi negli Stati finitimi pei lavori di sterro; manda soccorsi discreti alle famiglie, soprattutto quella com- posta di artigiani, fra i quali alcuni, barbieri e calzolai, sembra abbiano rag- giunto un certo benessere. Questo fatto esercita una grande suggestione fra la gente minuta ed anche fra i piccoli proprietari, che si dicono nell’impossi- bilità di soddisfare le gravose imposte governative e si decidono ad emigrare. Suggestione da parte dei rappresentanti dei vettori non mi fu dato con- statarne. L’emigrante per effettuare il suo disegno ricorre a prestiti usurari ed ebbi occasione di constatare il fatto di certo D’Alessandro il quale, a capo di numerosa famiglia, ottenne, col pignorare alcuni oggetti preziosi della moglie, un prestito di centinaia di lire al 25 per cento e se ne mostrava sod- disfatto. Nello stato di San Paolo (Brasile) si trova un certo numero di indi- vidui di Pisticci impossibilitati a rimpatriare, come ne avrebbero desiderio, per mancanza assoluta di mezzi.

1 Vedasi le osservazioni circa i comuni del Pollino. 2 È un caso piuttosto unico che raro in Basilicata: vedasi in proposito le tabelle statistiche dell’Appendice.

192 Alle cause anteriori di malessere deve aggiungersi quella che il paese si trova come Montescaglioso, Miglionico, ed altri in condizioni disastrose, per la propria ubicazione, ergendosi sulla cima d’un colle, attorniato da burroni che vanno d’anno in anno allargandosi e che richiedono sollecite opere di con- solidamento, onde evitare la frana di gran parte dell’abitato. Già in tempi decorsi, Pisticci ebbe a soffrire terribilmente per tali diru- pamenti, e parte del paese, la più pittoresca e pulita, si eleva appunto sopra una piattaforma, formatasi colle rovine di duecento case, che seppellirono, rovinando, oltre 100 persone.

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Date queste condizioni è naturale che i provvedimenti per attenuare la emigrazione debbano cercarsi, non solo nella forma dei sistemi d’agricoltura, ma anche nella sollecita esecuzione di strade già progettate e votate, fra le quali quella provinciale, di cui già si fece parola negli appunti relativi a Montescaglioso, compresa nelle opere stradali a costruirsi nel decennio sotto il numero 151. Questi lavori non troverebbero tanto la loro giustificazione nell’impre- scindibile necessità delle strade a costruirsi, quanto nel bisogno della classe lavoratrice di avere un mezzo, anche provvisorio, per procurarsi pane, nella stagione invernale incalzante. A Pisticci non esiste alcun cenno di iniziative industriali, e, forse nessuno dei paesi della Basilicata si trova in condizioni più favorevoli, per svilupparvi la bachicoltura, data la relativa ampiezza e pulizia delle abitazioni, la benignità del clima ed il numero grandissimo di donne che potrebbero dedicarvisi; ma pur- troppo, anche a questo riguardo, la mancanza assoluta di credito e l’ignoranza generale costituiscono, per ora, un ostacolo insormontabile.

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Altre osservazioni di natura completamente diversa alle precedenti mi fu dato di fare dall’esame del bilancio comunale, e da informazioni assunte circa l’esecuzione di lavori pubblici in esso stanziati; e così circa il tenuissimo con- tributo del comune pel servizio medico condotto e per la distanza enorme che separa la classe dirigente da quella lavoratrice. Queste osservazioni avva-

193 lorano la convinzione che sia specialmente a favore dei lavoratori e dei pic- coli proprietari, che debbano prendersi provvedimenti, onde, anche qui, gua- rire la morbosità del fenomeno emigratorio.

Montalbano Jonico e Craco

In vista di Pisticci, sopra una collina digradante alla marina, sorge il comune di Montalbano Jonico nel quale, non ostante la splendida ubicazione ed un parziale miglioramento nell’agricoltura, si verificò nel decennio una diminuzione di abitanti, diminuzione che non accenna a cessare, per quan- to si siano iniziati in quest’anno, vari lavori stradali, pur non assolutamente necessari. La causa sembra doversi attribuire specialmente alla malaria imperante, ond’è che quasi unicamente nella necessità di bonifiche, si fanno considerare i rimedi al progressivo spopolamento.

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Pure a poca distanza di Pisticci, situato però verso il Nord, si trova il paese di Craco, pel quale l’emigrazione, contrariamente a quanto avviene nella maggioranza dei paesi circonvicini, è considerata come fonte di grande prosperità. Gli abitanti di questo paese devono, come quelli della lontana Maratea, essere dotati d’un’industriosità, d’un’intelligenza e d’uno spirito d’iniziativa assai poco comuni fra la gente lavoratrice della Basilicata; infatti essi non si dirigono generalmente ai paesi anglo-sassoni; ma emigrano per il Centro e Sud America, esercitandovi la professione di merciaiuoli, che richiede colà ingegno vivace, sobrietà straordinaria e grande tenacità. Ritornano essi, quasi tutti, con una certa fortuna; ma da qualche tempo anche a Craco si manifesta l’esodo delle famiglie e la popolazione vi dimi- nuisce rapidamente. Deve questo provenire, oltreché dall’isterilimento della terra per i siste- mi produttivi di coltura, anche da cause locali, che potrebbero forse trovarsi nei sistemi d’amministrazione comunale e nell’inacerbimento progressivo dei tributi.

194 Il Circondario di Melfi

La linea ferroviaria che unisce Potenza a Foggia e quindi al litorale Adriatico, dopo aver passato sotto lunghe gallerie il Montocchio, percorre sul fianco destro la valle pittoresca dell’Arvino e, lasciando a sinistra la città d’Avigliano, ed i vil- laggi di Ruoti, Lagopesole ed Atella, a sinistra Pietragalla, Forenza e Ripacandida raggiunge, dopo 43 chilometri, la cittadina di Rionero in Vulture.

Rionero in Vulture

L’aspetto esterno non è dissimile a quello delle maggiori borgate delle nostre valli prealpine; l’interno, all’infuori del sontuoso palazzo dell’onore- vole Fortunato e degli edifici ad uso pubblico, si assomiglia in gran parte per la pulizia delle strade, se non per l’aspetto di tutte le abitazioni, agli altri paesi della Basilicata. La popolazione raggiungeva sui principi del 1901 la cifra di 12,000 abi- tanti; ma, da quell’epoca ad oggi, oltre 1200 sono emigrati. Anteriormente l’esodo era abbastanza importante; ma era ben lungi dal raggiungere le cifre sconfortanti di questo biennio. Anche qui ebbe gravissima influenza la possibilità dei viaggi gratuiti; ma, anche dopo la proibizione di questi, l’emigrazione continua, dirigendosi, anziché al Brasile, quasi totalmente agli Stati Uniti. Tuttavia, informano gli amministratori comunali che nel paese non si avverte ancora disagio per mancanza di braccia, ed anzi, si nota un certo pro- fitto, per un lieve aumento dei salari e per il denaro, che gli emigranti vanno rimettendo dall’estero. Coloro che si dirigono agli Stati Uniti, ricevono generalmente dai loro compaesani i biglietti di passaggio; e coloro che si trovano nella necessità di provvedervi direttamente, o vendono i piccoli poderi, o ricorrono a prestiti usurari, ipotecandoli. Non mi fu possibile ottenere informazioni d’una certa precisione circa il destino definitivo degli emigranti in Nord America; il che mi sembrava inte- ressante conoscere, data l’abilità speciale dei contadini di Rionero nella col- tura della vite, che dovrebbe indurli a dedicarvisi nelle plaghe speciali della Confederazione del Nord.

195 Uguale ignoranza ebbi a constatare negli amministratori comunali circa i risultati che colà ottengono gli emigranti; limitandosi le informazioni alla assicurazione, che dagli Stati Uniti provengono alle famiglie numerosi sussi- di; mentre sono insignificanti quelli che arrivano dal Brasile. Mi si assicura non esistere propaganda molto attiva da parte dei rappre- sentanti dei vettori, non essendo questa, del resto, necessaria, in quanto le cattive annate agricole, accrescendo la miseria dei coloni e dei piccoli pro- prietari, furono la causa principale dell’inacerbimento dell’emigrazione. Dall’esame del bilancio comunale, risulta che i proventi maggiori, anzi la quasi totalità di essi, si traggono dal dazio consumo e dalle sovrimposte, essendo quasi nulle le rendite patrimoniali, e non esistendo tassa focatico. Alla grave spesa (relativamente alla regione) di circa lire 8000 per il per- sonale dell’Amministrazione comunale, non sembra proporzionata quella di sole lire 800, per condotta medica, in una città di 12 mila abitanti. Il comune sussidia con medicamenti, fino all’ammontare di 1000 lire annue, gl’infermi indigenti; la Congregazione locale di carità dispone di un’entrata di 300 lire annue. Non esiste alcuna istituzione locale di credito agrario, all’infuori di un monte frumentario, amministrato da una congregazione religiosa, la quale, per quanto agisca con grande imparzialità, non sopperisce che in minima parte ai bisogni. Perciò si attribuisce anche alla mancanza completa di credito agrario la tendenza ad emigrare, non essendo possibile ai viticoltori di sopportare gli esorbitanti interessi dell’usura. Il fallimento della locale Banca cooperativa produsse, pel paese, una vera catastrofe; mancano affatto capitali, quindi il mezzo di coltivare razionalmente la terra, e perciò l’emigrazione, più che una disgrazia, deve considerarsi uno sfogo.

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Ho procurato di riassumere le opinioni della classe dirigente locale, intorno al fenomeno emigratorio, per far rilevare come essa non sembri avere un esatto concetto del pericolo, che sovrasta a quel paese pel suo rapido spo- polamento; e, poiché non mi venne fatto cenno del desiderio di provvedi- menti, eccetto quello di sussidi per fontane e cimiteri, dovrei convenire nel- l’opinione manifestatami.

196 Dall’inchiesta sommaria, però, che ho potuto fare, fra la classe indigen- te del paese, fui costretto a riconoscere che, oltre alle cause predette, esiste anche quella dell’insopportabilità dei pesi che, in causa del dazio consumo e della sovrimposta fondiaria, gravitano sulla gente minuta. Esiste a Rionero una cattedra di enologia, la quale sembra che finora abbia dato mediocri risultati, inquantoche, non è tanto la deficienza di cognizioni teoriche, quanto l’impossibilità di metterle in pratica, la causa del disagio.

Barile

Per una bellissima strada carrozzabile, attraverso ad un territorio, in cui le vigne si alternano agli uliveti, si discende al vicino villaggio di Barile, la cui forte popolazione, d’origine albanese, è tra le più laboriose ed intelligenti del circondario. Ma non ostante l’aspetto ridente delle campagne, la condizione economica del comune non sembra tra le più liete, risultando che, in meno di tre anni su 1000 abitanti, ne fornì circa 600 all’emigrazione. Ampia e lastricata la via principale; quelle secondarie sono di un sudi- ciume spaventoso, e, lungo i fianchi di un grande avvallamento, riapparisco- no in grande numero, ed in condizioni ugualmente deplorevoli, le grotte tro- glodite di Noepoli e di Matera.

Rapolla

A nove chilometri di distanza, in condizioni quasi uguali, si trova il vil- laggio di Rapolla, che su 3351 abitanti ne ebbe 35 che nell’ultimo triennio emigrarono. Questa cifra, per sé stessa assai grave, sarebbe, secondo l’avviso dei nota- bili che ho potuto interrogare, di molto superiore, ove non fosse intervenu- ta la proibizione dei viaggi gratuiti, in quanto di lieve ritegno sarebbero le notizie dolorose, pubblicate sulla sorte degli emigranti al Brasile. Il territorio, dedicato interamente alla coltura delle viti e degli ulivi, sof- fre da vari anni i pregiudizi delle peronospora e della mosca olearia, ed i ter- reni coltivati a cereali, che distano, in generale, oltre cinque chilometri dal

197 paese, sono isteriliti per mancanza di concimazioni, e per i sistemi primitivi di coltura. Aggiungasi a questo l’imperversare della malaria, che toglie ai contadini il desiderio di vivere presso ai propri terreni, anche se avessero il mezzo di costruivi case rurali. Non v’ha speranza che si migliorino le condizioni igieniche del paese, qualora non si proceda al più sollecito possibile al rimboschimento delle mon- tagne, dovendosi principalmente le perturbazioni atmosferiche, che d’anno in anno aumentano, alla completa e vandalica distruzione delle foreste. Qui pure il fallimento della Banca Popolare produsse, come a Rionero, a Venosa, ed in molti altri paesi del circondario, danni gravissimi pel ritrai- mento dei capitali affidati a credito ed il conseguente aumento dell’usura.

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Benché il comune possieda 1100 lire di redditi patrimoniali, impone tassa di focatico col massimo di 20 lire ed il minimo di una. Ricorre altresì a quella sul bestiame e al dazio consumo. La gente, quindi, emigra, affermando che almeno in America, per quan- to male si stia, non esistono tasse pei poveri, e poiché provengono dall’America annualmente somme assai grandi, le quali, come al solito, non entrano in circolazione, ne deriva una suggestione possente ad emigrare. Se però l’emigrazione dovesse mantenersi in questi limiti, essa non sareb- be eccessivamente dannosa; ma nell’attuale inverno la situazione si presenta assai triste, ed il comune non sa come alleviare la miseria. Si sollecita quindi il sussidio, non fosse che di poche migliaia di lire, per dar lavoro, nei mesi peggiori, alla gente più disperata; salvo adottare in seguito quei provvedi- menti che servano, col miglioramento dell’agricoltura, a liberare i lavoratori dall’obbligo, assai doloroso per essi, di abbandonare il paese natio.

Melfi

Una splendida via carrozzabile sale da Rapolla a Melfi, la capitale del cir- condario. Si distende sulla china di un monte, disposta a grandi scaglioni e dominata dalla mole colossale d’un antico castello.

198 Ricco di memorie storiche e di edifici artistici, essa è indubbiamente la più bella città della Basilicata, anche perché, in seguito alle rovine prodotte da parecchi terremoti ed alle conseguenti ricostruzioni, presenta all’occhio edifici moderni e strade spaziose e ben lastricate. La sua popolazione ammonta a 14,500 abitanti, e l’emigrazione, un tempo assai moderata, vi ha preso, nell’ultimo biennio, un grande sviluppo. Circa un migliaio di individui emigrarono infatti in questo periodo, quali suggestionati dal miraggio d’insperate fortune, negli Stati Uniti, quali allettati dai viaggi gratuiti nel Brasile, quali infine (e sono i più) spinti all’e- sodo da mancanza di lavoro e dalle tristi condizioni fatte agli agricoltori dalla anormale divisione della proprietà fondiaria del territorio. Infatti, tre o quattro latifondisti principali, fra essi la famiglia Doria, assorbono la maggior parte della rendita agricola locale, consumandone altrove il frutto; non si occupano che assai raramente d’introdurre nuovi sistemi agricoli, e lasciano senza alcuno aiuto gli affittaiuoli lavoratori, che ne dipendono. Il contratto di mezzadri vi è affatto sconosciuto, mentre dipenderebbe forse dall’adozione di esso il miglioramento della numerosa classe agricola. La vicinanza delle province Pugliesi e l’esempio che da esse ne viene, ha pro- dotto qui, come a Matera, un risveglio sensibile fra i contadini, i quali vanno stringendosi in leghe, contro i grossi proprietari e già accennano a mutare il carat- tere economico della loro azione, in un movimento politico. È indubitabile, che la situazione della classe lavoratrice, è assai meschi- na, benché i campi che compongono il vastissimo territorio, siano d’una feracità assai maggiore di quella delle altre regioni della Basilicata. Per quanto si contengano nei limiti della legalità, è fuor dubbio che i rappresentanti dei vettori d’emigranti fanno in tutto il circondario attivissi- ma propaganda, e che si deve, in gran parte, alla suggestione da essi esercita- ta, la recrudescenza dell’esodo in alcuni comuni. La soppressione dei viaggi gratuiti ebbe per effetto di annullare, quasi, in certi paesi, l’emigrazione ma è doloroso l’affermare, come questa proibizione abbia prodotto, in alcuni punti, un grave malcontento. Non è da farsene meraviglia, dato il numero non esiguo degli agenti che vennero danneggiati da questa proibizione, e l’interesse che essi hanno, di far credere alle popolazioni ignoranti, che essa sia ingiusta ed arbitraria. Bellissime pubblicazioni continuano a pervenire alle famiglie ed alle autorità

199 locali dal lontano Brasile, non ostante le disposizioni proibitive della legge intorno a questa propaganda fatale.

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In quasi tutti i comuni del circondario, l’emigrazione è in continuo aumento, e fra di essi oltre a Rionero e Barile, di cui già si ebbe a parlare, si distinguono specialmente i comuni di Forenza, Bella, Castelgrande, Maschito, Muro Lucano, Ripacandida, San Fele e Venosa. L’apparente diminuzione in quest’ultimo comune è dovuta alla proibi- zione accennata, avendo esso dato nel biennio, sopra 9500 abitanti, il con- tingente di 1200 emigrati. Forenza. - Sopra una popolazione già diminuita del 22 per cento, nel ventennio, essa ebbe ancora in questi due anni il decimo del numero dei rimanenti abitanti, che si decise a partire. Risulta intanto, che questo paese è fra quelli della Basilicata, quello che dispone di maggiori rendite patrimoniali, essendomi stato affermato ch’esse ammontano nullameno che a 83,000 lire annue. Le cause impellenti sarebbero la condizione insostenibile fatta ai conta- dini circa il pascolo dei loro piccoli armenti, ed il distacco enorme esistente fra di essi e la classe che amministra il paese. San Fele. - L’emigrazione da questo paese è molto antica, e per lungo tempo riuscì causa di grande prosperità. Già da tempo essa si dirige con pre- ferenza agli Stati Uniti e specialmente a Trenton nello Stato del New-Jersey, ove esiste una colonia numerosissima di Sanfelesi straordinariamente prospera. Sono addetti colà, parte nelle grandi fabbriche di fili metallici, ove alcu- ni di loro raggiunsero eccellenti posizioni, parte nei lavori di sterro e parte nei vigneti delle colonie agricole che circondano quella città. Dotati di uno spirito d’iniziativa eccezionale, i Sanfelesi si spargono in tutto il territorio degli Stati Uniti, e, che essi vi trovino prosperità, lo prova- no le somme rilevanti da essi finora inviate in patria, sia per soccorrere le famiglie, sia per dar lustro al proprio paese, il quale, ha potuto edificare, colle loro oblazioni, una splendida chiesa. Ma se la condizione degli emigranti e delle loro famiglie è buona, appa- re tristissima invece quella degli antichi proprietari, i quali per una serie lunga di annate cattive e per la gravezza dei tributi, nonché per la deficienza

200 di lavoratori (che li costringe a pagare ai forestieri mercedi sproporzionate ai redditi), si trovano generalmente dissestati. Emigra quindi anche buon numero di essi, ed al loro numero, venne ad aggiungersi, recentemente, quello fornito dalla classe più ignorante ed abbru- tita della popolazione, finora restia dall’emigrare perché poteva dedicarsi alla sua tradizionale industria pastorile. Nell’ultimo quinquennio si verificarono, nel comune di San Fele, tali atti a danno di questa povera gente, che indussero l’autorità tutoria a pro- muovere cause penali, dalle quali vanno risultando azioni colpose e delittuo- se che spiegano lo spopolamento progressivo di un paese, già considerato tra i più fortunati del circondario. Maschito. - Benché non abbia potuto visitare questo paese, ebbi intorno ad esso informazioni varie, particolareggiate ed attendibili. La suo popola- zione, diminuita nel ventennio da 3600 a 3200 individui, ha fornito alla emigrazione 320 abitanti dal 1° marzo 1901 al 15 novembre di quest’anno1. Costituita in massima parte d’agricoltori, risulta ch’essi partono per gli Stati Uniti attrattivi dalla notizia dei prosperi risultati ottenuti dai loro com- paesani e molti di essi, dopo aver vagato per qualche tempo negli Stati dell’Est, si spingono a Chicago ed a San Francisco di California. Mandano essi danari alle famiglie e raramente ritornano, se non per riemigrare, inducendo altri compagni a seguirli. Altri partirono in tempi più recenti pel Brasile, soggiacendo alla sugge- stione degli agenti propagandisti, contro i quali l’unico provvedimento effi- cace sarebbe quello di caricarli di imposte speciali. Infatti, dal Brasile, arriva- no a Maschito notizie dolorosissime. Non sembra che in questo paese, eminentemente vinicolo, esiste la necessità di altri provvedimenti oltre quelli di carattere generale, del sollievo d’imposte o di sussidi per la costruzione di case coloniche, che facilitassero al contadino il mezzo di vivere sul terreno che coltiva; oltre all’organizzazione di minuto credito, per sottrarlo alle spire assorbenti della usura. Sui paesi di Bella, Castelgrande, Muro Lucano, Rapone e Ripacandida non mi fu possibile raccogliere speciali notizie. Trovai invece il motivo della sensibilissima diminuzione dell’emigrazione nei comuni di Lavello e Montemilone i quali, sopra una popolazione comples-

1 1902

201 siva di circa 11,000 abitanti, non fornirono nel bienni, che 63 emigranti. Questa causa consiste nella quotizzazione amplissima di beni comunali e demaniali, per la quale ogni abitante, compresi anche gli antichi proprietari, venne ad essere beneficiata. Ugual fatto avvenne in quest’anno nel comune di Palazzo San Gervasio e l’emigrazione, che nel 1901 era ammontata a 626 individui sopra 7000 abi- tanti, si ridusse, nell’anno corrente, a soli 70. Discorrendo di questo fatto con personalità locali, si accennò all’oppor- tunità di un simile trattamento anche per gli abitanti di Forenza e di altri comuni che si trovano in quasi uguali condizioni. Potrebbe però avvenire ciò che occorse a Montescaglioso, a Pisticci ed in altri comuni del Materano e del Lagonegrese, ove la quotizzazione fatta rispet- to a terreni, o privi di comunicazioni stradali, o gravemente infetti dalla mala- ria, o notoriamente sterili, riuscì inutile; tanto più poi, se ai nuovi proprieta- ri non si facilitasse il mezzo di coltivare convenientemente i loro poderi.

La colonia agricola di Monticchio

Partendo da Melfi per la linea ferroviaria Potenza Foggia, si percorre una zona fertilissima, ricca di vigne e di uliveti, fino all’alveo del fiume Ofanto, attraversato da un magnifico ponte, più volte ricostruito, che si eleva su fon- damenta dell’epoca romana. Arrivati alla stazione di Rocchetta Sant’Antonio, presso la quale s’incrociano le linee ferroviarie che scendono, da un lato verso l’Jonio, dall’altro verso l’Adriatico, e da un terzo, per la provincia di Avellino, verso il Tirreno, si segue quest’ultima via e dopo 15 chilometri si arriva alla stazione di Monteverde, che alla provincia di Avellino appartiene. Il fiume Ofanto scorre poco lungi, e la zona che attraversa è tra le più desolate dalla malaria. Il paese di Monteverde apparisce appollaiato, intorno ad uno smantella- to castello, sulla vetta d’un monte. Una carrozza ci attende, essendomi compagni nella visita il R. Sotto Prefetto, conte Gioppi, ed il coltissimo dott. Laviano di Melfi. Dopo due ore di via tortuosa, ma comoda, si arriva alla sede dell’Amministrazione dell’Impresa colonizzatrice in accomandita A. Lanari e C. la quale sfrutta da qualche anno la magnifica tenuta di Monticchio, già

202 appartenente all’ordine dei monaci Costantiniani e quindi al R. Demanio. Situata sulle falde del Vulture, la tenuta misura oltre 5000 ettari di superficie, e nella sua vasta estensione, comprende boschi vastissimi, eccel- lenti plaghe agricole, due laghi pittoreschi e parecchie fonti copiose di acque minerali rinomate. Costituitasi l’anzidetta società, si procedette ad aumentare la viabilità della tenuta, quindi a diboscarne razionalmente, ed a bonificarne una gran parte, introducendovi all’uopo un grosso nucleo di contadini marchigiani. Si adattarono in quanto fu possibile, a case coloniche gli edifici appartenenti all’antico convento; se ne costrussero altri, secondo i più recenti modelli, ed adoperando strumenti perfezionati, e procedendo all’allevamento di una forte razza da lavoro, si riuscì, in tempo relativamente breve, a dare alla tenu- ta un aspetto, oltre ogni dire, lusinghiero.

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Attualmente una popolazione di contadini marchigiani(costituita di varie centinaia di individui, ospitati in ottime case coloniche), tra da questo suolo, ove si è acclimatata, una vita assai migliore che non potesse sperare nel suo paese d’o- rigine; e, nella visita prolissa ch’io volli fare in ogni angolo di questa superba pro- prietà, ebbi campo a convincermi che i coloni immigrati sono realmente soddi- sfatti della loro decisione. Provengono essi a preferenza dal marchigiano; vengono reclutati a famiglie molto numerose, e, prima del loro arrivo, è preparata un’ampia casa colonica nel centro del terreno (di 20 a 40 ettari), che sarà loro affidato per coltivare. Vengono contrattati a mezzadria, col relativo bestiame ed attrezzi, che essi apportano, in quantoché il bestiame locale si trovò incapace allo scopo. Dalle informazioni assunte, ognuna di queste famiglie riesce, non sola- mente a trarre dal proprio lavoro una comoda esistenza, ma altresì a rispar- miare ogni anno, una somma non indifferente. Tutto il bestiame è calcolato a soccida, compresi i suini e gli ovini, che completano l’arredamento della colonia; i polli sono allevati da ogni mezza- dro per propria comodità. L’Amministrazione aiuta i mezzadri, nei primi tempi del loro stabili- mento, con sussidi di generi e di danaro, sui quali non percepisce alcun inte- resse; né esige pagamento d’affitto per la casa occupata.

203 Una stretta disciplina regola le relazioni dei mezzadri coll’Amministra- zione; né appare ch’essa riesca per quei lavoratori, di nota tradizionale indi- pendenza di carattere, guari gravosa.

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«L’aspetto generale delle abitazioni e delle campagne affidate a questi coloni, non potrebbe essere più soddisfacente; i prodotti che si traggono dal suolo sono di gran lunga superiori in quantità e qualità di quelli ottenuti, non solamente nelle campagne circostanti, ma nelle zone stesse della tenuta, affidate in locazione od in lavoro giornaliero ai contadini che da Avigliano, da Rionero, da Melfi ed anco dalla finitima provincia di Avellino, accorrono in cerca d’occupazione». Sia perché questi mancano di ogni scorta per poter assumere terreni a mezzadria, sia perché in essi è profondamente radicata l’avversione per que- sto sistema di coltura, sia perché regna (non senza grave giustificazione) una grande diffidenza, a loro riguardo, da parte dei proprietari, sia, infine, perché i coltivatori locali, difficilmente si acconciano all’uso di strumenti moderni, è un fatto indiscutibile che il loro lavoro, non meno aspro e costante di quel- lo dei marchigiani, risulta qui infinitamente meno produttivo.

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Ebbi agio ci constatare, in punti, in cui non era possibile alcuna diffe- renza di feracità nel territorio, una diversità enorme, nella qualità del pro- dotto; ma accanto al solco profondo dell’aratro moderno, si scorgeva la leg- gera incisione dell’aratro a chiodo; come faceva strano contrasto, coll’am- piezza e la pulizia delle case dei marchigiani, l’angustia ed il sudiciume, che caratterizzano, in questa stessa tenuta, le abitazioni preferite dai contadini lucani. Data la grande estensione del podere, il quale conta attualmente una popolazione, fra stabile ed avventizia, di oltre 1600 individui, la Società, che non può provvedere, se non lentamente, alla costruzione delle case coloni- che, ed alla conseguente ammissione di altri lavoratori locali, in cui si va facendo, purtroppo, assai difficilmente la persuasione, che i contadini fore- stieri si trovano nel retto cammino.

204 All’accenno da me fatto al cortese amministratore della tenuta, sulla con- venienza, da parte dell’Impresa, di coadiuvare questa gente, coll’arare e con- cimare razionalmente e senza farne loro carico, parte dei terreni, loro concessi in affitto, rispose sorridendo che questa sarebbe pure ottima cosa, ove ciò, non importasse un aggravamento di spese e di lavoro per la Società. È naturale, infatti, che non si possa attendere dall’iniziativa privata altra specie di miglioramento, che quella da cui possa trarsi la conseguente utilità. Il rialzamento della coscienza, del carattere e della cultura delle popolazioni, non può provenire che dallo Stato, l’unico ente veramente interessato che ogni classe di cittadini, in qualsiasi punto del territorio nazionale, concorra con ugual misu- ra, non solo ai pesi, ma anche ai benefici che da esso emanano. Pochi anni or sono, la mania emigratrice s’era infiltrata per opera di alcuni agenti anche in questa colonia modello; e due famiglie soggiacquero alla suggestione emi- grando l’una al Brasile, l’altra agli Stati Uniti del Nord. Mal ne incolse all’una ed all’altra, e le tristi notizie sulla loro sorte gua- rirono gli altri dalla tendenza, mentre nuove famiglie marchigiane s’affretta- rono ad occupare il posto delle partite, ed altre attendono nuovi dissoda- menti per immigrarvi. Lasciai la tenuta di Monticchio, colla convinzione profonda, che basti il suo esempio, unito a quelli già constatati di Grassano, Pignola, Valsinni e Montalbano Jonico, per provare, come il territorio della Basilicata, se non può competere coi migliori dell’Italia media e settentrionale in feracità, non è però a considerarsi fra i peggiori.

Al Consorzio Agrario di Potenza

Ero di ritorno verso mezzanotte, alla Stazione di Potenza Superiore aven- do compiuto il viaggio da Melfi, in compagnia dell’egregio avvocato poten- tino, signor De Pilato. Questi, che è profondo conoscitore dell’ambiente, e, per dovere professionale, si trova a contatto coi proprietari delle terre, coi prestatori ed anco, spesse volte, coi contadini affittuali, mi raccontava vari episodi interessantissimi e dolorosi, circa i tristi effetti dell’usura. Nello stesso tempo però, egli conveniva che, là, ove ogni principio di credito manca in assoluto, l’usura diventa un’imprescindibile necessità; perché cresce come la gramigna nei campi fertili, ma abbandonati.

205 L’usura fatta, in generi di consumo dai bottegai, ed in grano per semen- ti dai fattori, è un portato della mancanza di cooperazione e della diffidenza generale che regna nella Basilicata, nonché, della ridottissima quantità di denaro, che vi si trova in circolazione. Il contadino non intende, né alcuno mai si occupò di spiegarglielo, l’im- portanza delle associazioni cooperative, e solo incominciò ora, ad averne qualche barlume a Chiaromonte, a Matera, ed in alcuni punti del circonda- rio di Melfi ed a Potenza. Ma lo spirito d’associazione, vi è ancora talmente embrionale, che è raro assai trovare in qualsiasi ramo dell’attività umana, un congiungimento di forze, per un identico scopo. L’avvocato predetto ed altri, non meno intelligenti, suoi colleghi, ebbe- ro varie volte ad affermarmi, che per essi, la notizia della costituzione d’una Società, sia pure anonima, collettiva o cooperativa, è sempre fonte di dubbi, raramente infondati, di poca correttezza d’ideali. Lo stesso, purtroppo, avvie- ne in America, ove sarebbe piuttosto unico che raro, l’esempio di una Società commerciale od industriale tra gli italiani del Mezzogiorno. Le sole Associazioni che pullulano tra di essi sono quelle di mutuo soc- corso; e rare sono quelle che riescono a raggiungere una certa importanza. A questo proposito, non è inopportuno, citare un fatto, nella sua cru- dezza eloquentissimo. Il professor Salerno, direttore della cattedra ambulante di zootecnia, ed il regio enotecnico, prof. Bianchi, residente in Rionero, si accordarono, mesi or sono, nella necessità di istituire una cantina ed una latteria sociale a Melfi. Occorrendo, però loro, l’uomo adatto, per formare l’Associazione e diri- gerla, si rivolsero a persona di grande onestà ed acuto ingegno, già ricca di patriottiche benemerenze. Espostogli lo scopo della loro visita, l’egregio uomo, dopo averli attentamente ascoltati, si dimostrò disposto a secondarli a patto però, che gli concedessero, pieno libertà d’azione. S’affrettarono, gli altri, ad aderire, e già credevano, d’aver raggiunto il loro civile e patriottico intento; quando il loro interlocutore, con fine sorriso, li tolse dall’illusione; dicendo: “Fra otto giorni, potremmo aver costituito l’Associazione; ma essa, non dubitate, sarebbe un’Associazione di malfattori”. Senza convenire in questo feroce pessimismo, è pur d’uopo ammettere che la diffidenza reciproca, è una caratteristica speciale, di queste popolazioni.

206 * * *

Per ciò che riguarda la resistenza somma dei contadini lucani a sborsare denaro, in modo che loro sembrano ancor più gravose le tasse, sia governati- ve che municipali, si cita come fatto comunissimo, la preferenza, che persone, anche relativamente agiate, dimostrano, quando se ne presenta il caso, per le pene corporali restrittive della libertà, anziché per le multe od ammende. Una donna condannata per falsa testimonianza in un processo civile, non si disperava tanto, dell’anno di carcere che le era stato inflitto, quanto per quelle centinaia di lire che, per ammenda o spese di giudizio, era costret- ta a pagare; eppure questo pagamento non poteva costituire per essa un disa- stro in quanto era dotata d’un discreto patrimonio. Il disastro però inco- minciava dalla necessità in cui la condannata si sarebbe trovata, di ricorrere ad un prestatore usuraio, mancando qualsiasi istituzione di credito che, ad equa misura, (fosse pure il 7 o l’8 per cento all’anno) le affidasse, anche sopra ipoteca, la somma di cui aveva bisogno.

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Colla mente ripiena delle impressioni molteplici ricevute in questo rapi- do viaggio, e preoccupato della difficoltà di riassumerle in una relazione organica, dovea quindi riuscirmi, per quanto lusinghiero, assai poco piace- vole, l’invito che la Presidenza del Comizio Agrario di Potenza volle farmi, di esporre, in una sala dell’Associazione, i concetti che m’ero andato formando. Dato il sistema obiettivo impostomi, e da me puntualmente seguito, nel- l’adempimento della mia missione, non poteva considerare fuor di proposi- to il trovarmi ad una riunione di questo genere; essa doveva, del resto,avere il carattere di una famigliare discussione, intorno all’argomento che m’avea condotto in Basilicata, né mi parve potermi rifiutare. Così fu, che in una rapida e succinta relazione, esposi le varie fasi del viaggio, le impressioni che ne avevo ritratto, ed i peculiari provvedimenti che mi sembra- vano adatti ad arrestare o ad attenuare la smania dannosa dell’emigrazione. Principalissimi fra tali provvedimenti, dovevano riuscire quelli, che riflettono il miglioramento dell’agricoltura, l’impianto di scuole e stazioni sperimentali, e l’organizzazione del credito agrario. Non potevo dubitare, in proposito, del generale consentimento, e ne fu

207 prova la dotta ed interessantissima discussione che si promosse su tale argo- mento. La successiva deliberazione dell’11 dicembre, unanimemente appro- vata dal Consiglio comunale di Potenza e da quelli di Montescaglioso, Spinoso, Sarconi, San Chirico ed altri, riassume chiaramente i desideri generali della provincia, nel soddisfacimento dei quali sta il rimedio più efficace contro l’a- normale svolgimento dell’emigrazione.

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Per quanto le persone riunite nella sala del Consorzio agrario di Potenza appartenessero, in massima parte, alla classe dei proletari, non mi ritenni dal- l’esporre francamente, come io fossi tratto a considerare, quale una delle cause principali dell’emigrazione, anche il poco o nessun riguardo, che, in generale, il proprietario lucano ha per il lavoratore, ed il nessun conto in cui esso tiene i bisogni dei mezzadri, coloni o giornalieri da lui dipendenti. È ben vero che le condizioni economiche dei proprietari sono, in gene- rale, assai deplorevoli; ma, se una delle cause di ciò consiste nella mancanza di braccia, non è chi non veda, come persistendo l’attuale modo d’agire, que- sta mancanza andrà facendosi sempre maggiore. Si riconobbe lealmente la verità di questo fatto, spiegabile nei sistemi tra- dizionali o introdotti dagli antichi governi, che consistevano nell’allontana- mento assoluto della classe agricola da qualunque partecipazione nelle pub- bliche amministrazioni. Il rimedio a ciò consisterà appunto nella diffusione di pratici insegnamenti e nel miglioramento della produzione. Rientrando negli animi dei coltivatori la fiducia che i loro sforzi non abbiano ad essere improduttivi, e che il Governo ha per essi un reale interessamento, verrà ele- vandosi anche il sentimento di dignità individuale, pel quale si ridurranno le distanze che intercedono fra le varie classi sociali, attenuandosi così il lamen- to inconveniente.

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Assai interessante fu poi la discussione circa la riduzione delle imposte governative e circa l’organizzazione del piccolo credito, da concedersi in natura, col mezzo di anticipazioni di sementi e concimi e colla facilitazione d’acquisto di strumenti ed animali da lavoro, ai coloni ed ai piccoli proprie-

208 tari; e poiché, due giorni dopo, doveva radunarsi in Napoli il Congresso dei direttori delle Cattedre ambulanti di agricoltura del Mezzogiorno, credetti opportuno di assistere ad esso, per trarne notizie ed insegnamenti.

La conferenza agraria di Napoli

Per iniziativa di Sua Eccellenza il Ministro di agricoltura, industria e commercio, il direttore generale del Banco di Napoli, comm. Miraglia, con- vocò in Napoli, il 12 dicembre ultimo scorso, i direttori delle regie Cattedre ambulanti di agricoltura, ed i rappresentanti dei Consorzi agrari del Mezzogiorno, onde discutere con essi il modo di dare maggiore applicazione alla legge del 7 luglio 1901, che autorizza la Cassa di risparmio del Banco di Napoli ad impiegare 2/10 dei suoi depositi, in operazioni di credito agrario nelle province dell’Italia Meridionale ed in Sardegna. Occupato in studi di genere affatto diverso, non conoscevo questa legge, intorno alla quale, però, ero andato raccogliendo opinioni molteplici nel viaggio recentemente compiuto. Considerando quale uno dei provvedimenti più necessari per ridurre l’e- migrazione della Basilicata a limiti normali, quello di provvedere ad una razionale distribuzione del credito agrario, onde combattervi i tristissimi effetti dell’usura: questa conferenza dovea riuscire, per me, di altissimo inte- resse. Interessantissima, infatti, fu l’esposizione del comm. Miraglia, circa il modo con cui la legge era stata applicata dall’agosto del 1901 al dicembre del 1902. Se mai provvida legge venne sancita, e con migliori intendimenti: mai, nep- pure, io credo, una legge, pur tanto necessaria, ebbe meno seria applicazione. Non è certo a me che spetta discuterne le basi, dovendomi io limitare ad esprimere il convincimento, che, qualora esse non dovessero subire profonde modificazioni, non è sperabile che se ne possano trarre, almeno per la Basilicata, pratici risultati. Il regolamento non appare meno severo e compli- cato della legge, in quanto esso restringe ancor più le facoltà, che da quella erano attribuite al direttore del Banco di Napoli. Basti di dire che sopra un capitale di 6 milioni di lire, disponibile per provvedere al Credito agrario del Mezzogiorno, pel tramite di 14 istituzioni locali di credito, non vennero distribuite, fino al 1° dicembre 1902, che novantatremila lire.

209 Gli Istituti intermedi, quali le Banche cooperative, gli ex Monti fru- mentari ed i Consorzi agrari, poterono avere, solo a costo d’infinite forma- lità, che appena leggerissimi sussidi, perché gli articoli 18, 22, 29 e 32 del regolamento, rendono questo servizio di credito agricolo pressoché impossi- bile a realizzarsi. Difatti, oltre alla garanzia dell’Istituto ed a quella inerente ai documen- ti cambiari, si pretende dagli Istituti intermedi un ulteriore affidamento materiale della firma di persone di indubbia responsabilità, le quali sono, ad esempio: a Grassano il presidente di quella Banca popolare, on. Materi; a Venosa il Vescovo della Diocesi, ed, inoltre, si vuole esercitare un controllo previo delle domande di credito, le quali non possono superare le mille lire. Si rifiuta, poi, di massima la rinnovazione, anche nel caso di mancati raccol- ti. È la riproduzione larvata e ristretta del credito bancario usuale, senza il beneficio delle ammortizzazioni trimestrali o semestrali. La legge stabilisce che il Banco di Napoli non possa pretendere più del 4 per cento (ora ridotto al 3.50) sui capitali affidati alle istituzioni interme- die; ma obbliga, altresì, queste a non percepire, alla loro volta, che il 5 per cento dai rispettivi debitori; dal che apparisce quale lievissimo beneficio, in confronto della grave responsabilità, e delle molte spese occorrenti, queste istituzioni, e coloro che ne dipendono, possano trar dalla legge. Ne consegue che sono assai rare le istituzioni serie che vi concorrono, mentre poi quelle che ispirano minor fiducia sanno già che non potranno, che in modo irrisorio, approfittarne. La non breve esperienza fatta nell’am- biente finanziario americano, così intimamente legato allo sviluppo delle imprese agricole, m’induce a credere che colà non sarebbe stata possibile l’ap- provazione d’una simile legge. Mi è difficile ammettere altresì che nell’Italia settentrionale, essa potesse essere accolta senza resistenza; i risultati, del resto, ch’essa produsse, dimostrano come, anche nel Mezzogiorno, non potesse avere possibilità d’applicazione.

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Per quanto dotta ed interessante la discussione, apertasi, sulla base della relazione del comm. Miraglia, essa non fu che un succedersi continuo di discorsi cerimoniosi, di espressioni velate, di accenni nebulosi ad ostacoli che non si vogliono chiaramente nominare; lasciando la convinzione (in chi è

210 affatto alieno da ogni interesse diretto o indiretto nella cosa), che in fondo a tutto ciò esiste una diffidenza assoluta contro tutto e tutti. Chi chiede denaro, protesta per le limitazioni, ma lascia comprendere di conoscerne i motivi, perché forse, nell’ambiente in cui egli svolge la sua atti- vità, s’è abusato fuor di misura, anteriormente, del credito, e non v’ha possi- bilità di ulteriori garanzie. Chi offre il denaro, si dimostra sorpreso che a lui non si ricorra; ma all’atto pratico, stringe i cordoni, e l’elemento vivificatore rimane nelle casse del Banco. Ma poiché questa distribuzione di credito minuto, va rendendo- si ogni giorno più indispensabile, e, nella Basilicata, diviene questione di esi- stenza, o si accordi maggior larghezza di azione all’Istituto, o si escogitino, in proposito, altri sistemi. Qualora non esista la fiducia necessaria nelle istituzioni intermedie, dovreb- bero crearsi dei direttori ambulanti di Banca per la distribuzione del credito agrario, ed essi, autorizzati dal Governo, dovrebbero porre i debitori sotto la diretta sorveglianza dei professori delle Cattedre ambulanti, sui quali, come impiegati dello Stato, peserebbe la responsabilità morale (e, relativamente, anche materiale) delle informazioni fornite. Non sarebbe nuovo, in certo modo, questo sistema, perché, sotto altri riguardi, ebbe già attuazione in varie località, per la fornitura a credito di macchine e strumenti agricoli fatte da Case industriali, sopra informazioni attinte appunto da tali funzionari. Circa la diffidenza peculiare del Banco di Napoli ad applicare la legge surriferita, si citano fati specifici, come quello della Banca d’Italia, la quale, senza discutere, accordò al Consorzio agrario di Bari 20,000 lire a credito, mentre esso non poté ottenerne dal Banco di Napoli, a costo di mille diffi- coltà, che 5000. Il Consorzio agricolo di Candela, distribuì da solo, a credi- to, nell’anno corrente, in sementi, concimi artificiali ed anticipazioni per salari, assai più di quanto la Cassa di risparmio del Banco di Napoli abbia distribuito in tutto il Mezzogiorno. Perché gli Istituti intermedi e, soprattutto, i Consorzi agricoli, possano fare i previ acquisti, all’ingrosso, di sementi e concimi, onde distribuirli opportu- namente ai loro associati, è necessario fare ad essi una congrua dotazione; essendo notorio come in tutto il Mezzogiorno, e soprattutto nella Basilicata, anche i grossi proprietari sieno affatto privi di scorte, ed usino soddisfare coi proventi del raccolto,gli impegni assunti all’epoca della seminagione.

211 In complesso, riportai da quella conferenza interessantissima, la convinzio- ne che la severità della legge finisce collo strozzare il credito, anziché facilitarlo; e poiché è indiscutibile, che se non si provvede ora con qualche sacrificio, più tardi i sacrifici riusciranno inefficaci, così converrà, ripeto, studiare, a questo riguar- do, qualche misura di più facile applicazione. Non ultime tra queste dovrebbero essere quella di estendere ad altri Istituti i privilegi accordati al Banco di Napoli; e l’altra di favorire le Case industriali fornitrici di macchine e strumenti agricoli, per le somme dovute per questi, col privilegio stabilito nel n. 5 dell’art. 1958 del Codice civile. Le precedenti considerazioni avrebbero avuto, forse, più opportuna col- locazione nel capitolo conclusionale, come provvedimenti adatti a mitigare il fenomeno emigratorio; ma l’importanza dell’argomento m’indusse ad espor- le nel racconto di questa fase incidentale, dell’inchiesta testé compiuta.

CONCLUSIONI

Eccellenza!

Compiuta l’esposizione minuta delle notizie e delle opinioni raccolte intorno all’emigrazione, nelle località che ho potuto visitare; mi spetta ora di riassumere le cause e gli effetti, e d’indicare, in quanto mi è possibile, quei provvedimenti che mi parrebbero più adatti ad attenuarne l’eccessiva gravità. La natura dell’argomento ed il modo con cui ho dovuto compiere l’in- chiesta, non potevano concedermi, nella relazione del presente rapporto, maggior concisione; per quanto, abbia ragione di temere di essere riuscito prolisso. È tale la somma di contrasti, che si presentano in Basilicata, nella strut- tura geologica, nell’ubicazione delle borgate, nel carattere delle varie popola- zioni, nelle aspirazioni dei loro rappresentanti, nei desideri, nei bisogni, e nelle speranze delle diverse classi sociali; che, ove non mi fossi soffermato ad esporre (anche a costo di inutili ripetizioni), le condizioni particolari di ogni comune, sembrami, che non avrei potuto offrire un’idea, relativamente, completa, sulle svariatissime cause, che, in quella regione, attribuiscono, al fenomeno emigratorio, una vera morbosità.

212 Le cause

Una semplice scorsa al riassunto delle opinioni manifestate dagli illustri rappresentanti della Basilicata, dimostra a quale grande complesso di cause risponda quest’esodo anormale di popolazione. Ve n’hanno di irreparabili e di quelle che, mediante assidua cura e non lievi sacrifici, si potrebbero attenuare. Appartengono alle prime quelle citate dall’on. Fortunato, circa la for- mazione geologica del suolo e la sua poca produttività e quelle provenienti da fenomeni atmosferici e da piaghe agricole, che da vari anni distruggono i pur scarsi raccolti. Intorno ad esse non credo compito mio discorrere. Fra le cause suscettibili di rimedio ve n’hanno di generali per tutta la Basilicata, e di quelle di carattere affatto locale, che io procurai indicare negli appunti relativi ad ogni comune da me visitato. Sono fermamente convinto, che da quest’ultime, proviene la spinta mag- giore ad emigrare, e che, ove si potessero, almeno in parte, eliminare, si avrebbe poi agio a provvedere, contro quelle generali; senza che, intanto, aumentassero gli inconvenienti in causa di un esodo maggiore. Ad ogni modo le cause dell’una e dell’altra specie possono riassumersi nelle seguenti categorie: I. Cause d’ordine fisico, le quali, pur avendo la principale radice nell’an- tica, ed anco recente, distruzione delle selve, si risolvono, per alcune località, in esalazioni malariche, per altre, in erosioni ed impoverimenti di terreni col- tivati, per altre, in disturbi atmosferici anteriormente ignoti; e, quasi dap- pertutto, nella rovina dell’industria armentizia, che costituiva, la principale ricchezza della Basilicata. II. Cause d’ordine finanziario, che consistono: a) nella sproporzione rimarchevole delle imposte coi red

213 d) nell’imperversare dell’usura, che assorbe, a profitto di pochissimi, il frutto delle fatiche d’un’intera popolazione; e) nel costo esagerato, per alcuni comuni, dei generi di prima necessità, congiunto ai maggiori gravami, che, la periodica segregazione dal mondo civile, porta a quegli abitanti, nella trattazione dei loro affari coi pubblici uffici. III. Cause d’ordine morale, che provengono dalla deficienza d’istruzione elementare ed agricola, dall’abisso che intercede, fra proprietari e lavoratori, dall’incoscienza di questi, e dalla mancanza, sempre crescente, di braccia, per il lavoro dei campi; e, più che tutto, dai sistemi d’amministrazione comunale, vigenti nei municipi più distanti dai luoghi ove risiedono le autorità tutorie.

* * *

A tutte queste, devonsi aggiungere altre, che hanno origine nel difetto di comunicazioni, nella mancanza di ponti (fossero pure in legno, e per soli pedoni e cavalcature) su fiumi, che separano una regione dall’altra e nei siste- mi preadamitici di agricoltura, ed anco nell’insufficienza di linee ferroviarie. Coadiuvatrice possente di questo complesso enorme di cause, è la sugge- stione, esercitata sulle popolazioni ignoranti, sia dalle vaghe notizie di fortu- nata riuscita, riflettenti compaesani emigrati, sia dalla propaganda interessa- ta e biasimevole, di agenti d’emigrazione, sia, infine, dalla pressione che i parenti lontani esercitano, anticipando anche, sovente, il prezzo del viaggio. Colla istituzione dei Comitati mandamentali, non sembrami siasi otte- nuto, il nobile scopo che si proponevano i legislatori; permanendo, sotto il nuovo titolo di rappresentanti di vettori, quegli agenti, provocatori d’emi- grazione, sui quali è appena possibile, nei capoluoghi di Provincia e di Circondario, di esercitare, un’efficace controllo.

* * *

Ma all’osservatore, che balzato repentinamente dalle feconde plaghe della valle del Po e dalle ricche città che vi fioriscono, deve studiare un ambiente, di cui non aveva che vaghe notizie, riesce di somma sorpresa e di grave dolore; constatare, come in una regione, in cui furono già potentissime le corporazioni religiose, non esista quasi traccia, di pubblica beneficenza.

214 Non ospedali, non orfanotrofi (che in numero e potere irrisori), non istitu- zioni pel miglioramento della pubblica igiene, nulla, od assai poco, che tenda a sollevare tanta povera gente travagliata da mille malanni che l’affliggono. I Monti frumentari, cui ricorreva anticamente il contadino, per provvi- di aiuti, negli anni di maggiore penuria, o sono falliti, o ridotti all’impoten- za. Le Congregazioni di carità, già floride e numerose, sono ridotte allo stre- mo, ed esplicano l’opera loro di un ambito ristrettissimo. I miserabili, anzi- ché trovare nella classe dirigente un sollievo alle loro pene, devono sottosta- re ad imposte, da cui, nei paesi settentrionali d’Italia, sono esentati anche coloro, che laggiù si considererebbero agiati. Il nessun aiuto dalla pubblica beneficenza; il meschinissimo conforto che il nullatenente può sperare dall’esistenza medica comunale; la difficoltà materiale, non solo per la spesa, ma anche per le distanze, a procurarsi i rime- di; tutto concorre a rendere insopportabile la vita dei proletari ed a far loro apparire, quale un mezzo di risurrezione, l’abbandono del suolo che li vide nascere, ed al quale, essi sono, pure, legati da immenso affetto.

Gli effetti

Primo effetto: l’emigrazione; la quale è, alla sua volta, causa d’enorme disagio, sì che in essa stanno le origini e le conseguenze del progressivo spo- polamento, della Basilicata. Un tempo non emigravano che i malcontenti, gli avventurieri, e coloro che riuscivano effettivamente di peso alla società. Poi s’inziò l’esodo di gente avveduta, la quale, da speciali attitudini, sapeva di poter trarre precedenti, si decisero ad imitare l’esempio, con speranza d’uguale fortuna. Ma il progressivo peggioramento della produzione agricola, l’immutata prepotenza delle classi dirigenti, e lo spargersi di notizie suggestive, iniziaro- no il movimento delle masse. Questo andò mano mano crescendo, vennero a mancare i lavoratori, le condizioni dei piccoli proprietari peggiorarono, le annate disastrose si succedettero, il giornaliero fu seguito dal colono, e que- sti dal piccolo proprietario. Al desiderio di lucro successe il vero bisogno di pane, l’interessata pro- paganda dei paesi d’immigrazione divenne formidabile, coll’allettamento dei viaggi gratuiti; ed una fiumana d’individui incoscienti prese la via dell’esilio,

215 lasciando, in molti Comuni, a coltivare la terra, gli inabili al lavoro, ai quali, le terre americane rifiutano, non senza ragione, l’ospitalità. Così avvenne che il numero degli emigranti, che nel 1899 non somma- va che a 9000, si raddoppiò, quasi, nel 1901, raggiungendo la cifra di 16,700; e, non ostante la soppressione dei viaggi gratuiti in Brasile, e la natu- rale diminuzione dell’elemento atto ad emigrare, fino al 15 novembre di que- st’anno era già arrivato alla cifra di 14,000 individui. Risulta quindi che, in meno di un biennio, il 6 per cento della popolazio- ne lucana s’è trasferito in America, non potendosi calcolare che a poche cen- tinaia gli individui, che, in questo frattempo, rimpatriarono. Ora, se si riflette, che la maggior parte degli uomini atti al lavoro, erano già espatriati prima del 1901, e che, per le facilitazioni della nuova legge, s’af- frettarono ad uscire dal Regno moltissimi, che si sottrassero, così, agli impe- gni del servizio militare, apparisce chiaramente come non debba rimanere in Basilicata che un contingente assai ridotto di gente adatta a proficuo lavoro. V’hanno Comuni, infatti, in cui la proporzione dei maschi adulti, rispetto alla intera popolazione, è ridotta ai minimi termini. Ciò non pertanto l’emigrazione non accenna a rallentare, e (per quanto, adesso incomincino ad assentarsi anche le famiglie), la sproporzione lamen- tata produrrà, in brevi anni, effetti dolorosi, che finora nessuno s’è preoccu- pato di prevedere scientificamente; e le cause di disagio, che già, fin d’ora, sembrano enormi, si presenteranno allora con caratteri veramente disastrosi. Anche se le condizioni dell’agricoltura non fossero tali da ammettere (come sembra ritenere l’onorevole Fortunato) possibili miglioramenti, que- sta modificazione fatale nelle naturali proporzioni tra gli elementi che costi- tuiscono la popolazione, sarebbe pur sempre a lamentarsi, in quanto non risiederebbe nello Stato la possibilità di ripararvi. La deficienza di braccia importa, necessariamente, l’abbandono della coltura dei campi meno produttivi; e questi appartengono appunto alla clas- se meno abbiente, la quale fu tratta a sfruttarli, più di quanto non abbiano fatto i latifondisti pei loro. Così avverrà che, l’emigrazione dei piccoli pro- prietari, succederà quella dei proprietari mediocri, o, per lo meno, risulterà inevitabile la completa rovina di questi. E poiché i latifondisti consumano, lungi dalle loro proprietà, i frutti che da esse ritraggono, così la miseria gene- rale non sarà che aumentata.

216 * * *

Se all’esodo dei lavoratori corrispondesse, come in altre province del Regno, la densità della popolazione, o, delle province finitime o lontane, accorressero a colmare i vuoti, lavoratori d’altre plaghe, queste fosche previ- sioni non avrebbero, fortunatamente, un serio fondamento; ma, attualmen- te, la densità della popolazione in alcune zone della Basilicata, non è guari superiore a quella di alcune province agricole degli Stati americani, ed è infi- nitamente inferiore a quella della maggioranza delle altre province italiane. Solo alcuni circondari del Bellunese e del Friuli, quello di Civitavecchia nel Lazio, di Crotone nelle Calabrie, di Città Ducale negli Abruzzi, di Spoleto nell’Umbria, di Breno e di Sondrio in Lombardia, e di Varallo, Domodossola e d’Aosta in Piemonte, s’avvicinano alle proporzioni di den- sità, rispetto al territorio, di quelli delle Basilicata. Ma nessuno quasi di essi subì la diminuzione sensibilissima che quelli hanno sofferto, dipendendo, più che da ogni altra causa, dalla conformazio- ne del territorio, la lieve densità della popolazione. Osservisi inoltre, che nei circondari dell’alta Italia precitati, è fiorente più che mai l’industria armentizia, la quale richiede poche braccia e molta estensione di terreni per essere remunerativa. Forse nessuna regione d’Italia, più della Basilicata, si presterebbe a questa industria; e la distruzione di essa deve pur ritenersi causa, ad un tempo, ed effet- to, della grande emigrazione.

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Nelle lontane terre americane gli emigranti della Lucania non si dedica- no che raramente all’agricoltura; apparirebbe, anzi, che coloro che preferi- scono le più spregiate occupazioni, ne traggano maggior profitto di quelli che si sobbarcano a dure fatiche. L’emigrazione, che si sparse nelle Repubbliche neolatine dell’America centrale, in quelle del Pacifico e negli Stati Nordici del Brasile, riuscì per molto tempo, e riesce ancora, in parte, di grande beneficio ad alcune zone speciali del Lagonegrese. L’emigrazione alla Repubblica Argentina fu, per lungo tempo, la preferi- ta dai contadini della Basilicata, e principalmente dai merciaiuoli e dai pasto-

217 ri, ed oggi ancora attira un numero discreto di emigranti, per quanto risulti che i sussidi che ne provengono, si siano ultimamente assottigliati. L’esodo, quasi forzato, allo Stato di San Paolo (riuscito nel 1900-1901 numerosissimo) fu causa d’infiniti lamenti; in quasi tutti i paesi da me visi- tati, raccolsi deplorevoli notizie, e nonpertanto, già dissi, come spesso mi sia avvenuto di trovare chi si lamentasse della tanto provvida proibizione dei viaggi gratuiti. Più numerosa, persistente, selezionata ed apparentemente fortunata, è la massa emigratrice diretta agli Stati Uniti, alla quale, non partecipa però il contingente fornito da quei paesi Lucani, che dall’emigrazione traggono evi- denti e costanti profitti. I sussidi che provengono attualmente dall’America, sono inviati, in mas- sima parte, dalla gente emigrata negli Stati dell’Unione; e di là vengono altre- sì più numerosi i biglietti di chiamata (Prepaids), prova dell’attiva propagan- da, che, soprattutto in America, fanno le Compagnie straniere di navigazione deludendo, in parte, le disposizioni della nostra legge recente.

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Ma non tutti gli effetti dell’emigrazione lucana, consistono nell’aumen- to ella miseria; conviene anzi riconoscere come vi siano comuni della Basilicata i quali traggono dall’America rilevantissimi benefici e come (se l’America stessa non avesse aperto uno sfogo ai lavoratori) esistano paesi ai quali mancherebbero gli elementi più indispensabili delle esistenza. Però dei sussidi che provengono dal nuovo continente e dai risparmi accumulati a costo di stenti indescrivibili dagli emigrati, solo una minima parte entra nella pubblica circolazione; perché la maggior parte o si cela con paurosa cura nella capanne o ritorna nelle casse degli usurai, per riprodursi in elemento dissanguatore o si trasforma in biglietti di chiamata per nuovi emigranti od, infine, si riversa nelle Casse postali di risparmio, senza alcuno profitto, per lo sviluppo economico della regione. Per raccogliere dati positivi circa l’ammontare di questi proventi, non bastano la buona volontà né l’intensità più forzata d’osservazione; occorrono studi e ricerche che a me non è stato affatto possibile compiere. Sarebbe necessario consultare i registri degli uffici postali, comprovare il numero delle lettere raccomandate contenenti valori che arrivano da

218 parecchi anni in Basilicata dal nuovo continente, rilevare preso la Regia Tesoreria provinciale la somma, di molto aumentata, dei pagamenti di tagliandi del Debito pubblico, fare una statistica delle proprietà acquistate con denaro guadagnato in America, raccogliere insomma, dati positivi impiegando un tempo dieci volte maggiore di quello di cui io potevo disporre. Con tutto ciò non si avrebbe ottenuto che una idea assai vaga della somma di tali proventi, essendo notorio come gran parte di essi vengano depositati nelle Banche di Napoli ed altri vengano, come si disse, con cura e gelosia nascosti. Dalle notizie che ho potuto raccogliere e che di tempo in tempo ho ricordato nel corso di questo rapporto, venni alla convinzione che possa som- mare ad una decina di milioni di lire l’ammontare delle somme annualmen- te inviate in Italia sotto mille diversi aspetti (eccettuato quello d’acquisto di generi di commercio) dagli emigranti della Basilicata. Riflettendosi, che, secondo le cifre statistiche accennate, dal 1882 al 15 novembre 1902 sarebbero emigrati dalla Basilicata oltre 200,000 individui, la cifra indicata non è punto esagerata né può recar meraviglia, forse, che la sua esiguità. I sociologi Nord americani calcolano in 1000 dollari (5340 lire) il valo- re produttivo apportato da ogni emigrante a beneficio del loro paese, colla forza delle sue braccia; secondo questo calcolo, la Basilicata avrebbe versato in America il valore di oltre un miliardo di lire. Le seguenti cifre danno l’idea della morbosità dell’esodo dalla Basilicata in confronto alle altre regioni del Mezzogiorno nel 1901. Risulta da esse che, solamente la regione degli Abruzzi e Molise, rag- giunge, e supera anzi di poco, l’intensità dell’emigrazione lucana; dovendo però ricordare che la densità chilometrica, fatta eccezione del circondario di Cittaducale, vi è pressoché doppia. Il territorio della Basilicata equivale al 3.13 per cento della superficie del Regno, la popolazione all’1.57 per cento e la cifra degli emigranti lucani nel ventennio 1882-1901 raggiunse circa il 9 per cento dell’emigrazione totale. Di non minore interesse risulterebbero le cifre che riguardano la pro- porzione degli emigranti per sesso ed età e quelle che si riferiscono ai rimpa- triati; se già non risultasse abbastanza dimostrata l’anormalità del fenomeno. Giovi però osservare che nell’emigrazione mascolina di adulti le Calabrie

219 superano anche la Basilicata, lasciando temere non lontane conseguenze deplorevoli anche per quella regione1.

L’emigrazione del Mezzogiorno

DENSITÀ PROPORZIONE chilometrica per cento abitanti REGIONI POPOLAZIONI EMIGRANTI 1881 1891 1899 1901

Sicilia 3,560,000 113 137 24,000 0.56 0.68 Puglie 1,960,000 83 103 14,000 0.16 0.71 Campania 3,160,000 177 194 54,000 0.84 1.70 Calabrie 1,370,000 83 91 32,000 1.30 2.34 Basilicata 490,000 54 49 17,000 1.61 (a)3.48 Abruzzi e Molise 1,442,000 79 87 51,000 1.61 (a)3.54 Resto del Regno 21,000,000 99 113 61,000 0.19 0.35 Totale 32,982,000 253,000 0.41 0.80

(a) Il rapporto dell’emigrazione alla popolazione in Irlanda fu appena del 7.1 per mille nel 1898, del 9.2 per mille nel 1899, del 10.1 nel 1900 e dell’9.9 nel 1901, mentre qui avressimo nulla meno che il 35.4 per mille (Avv. G. Prato - Rassegna Nazionale, 1 maggio 1903).

I provvedimenti

Già ebbi l’onore di manifestare, come gli studi, da me, fatti sinora, circa il fenomeno dell’emigrazione, m’avessero portato al convincimento che essa è per l’Italia una provvida necessità. Questa convinzione non era guari, scossa dai lamenti che sentivo fatti, a proposito della Basilicata, supponendo ch’essi provenissero principalmente da quella classe di proprietari, la quale, abituata a sfruttare il lavoro dei con- tadini, lesinando ad essi i mezzi più necessari alla sussistenza, si considerava privata pel loro esodo, d’un diritto, che non le apparteneva. L’emigrazione non mi appariva, che quale una legittima e mite forma di sciopero, e credevo, in coscienza, che l’unica preoccupazione dei poteri costi- tuiti, dovesse esser quella di rendere meno duro e pericoloso il sacrificio, così imposto, alle classi diseredate.

1 Vedansi le tabelle dell’appendice

220 Accingendomi, quindi, a compiere l’onorifica missione, ero mosso, più assai dal desiderio di poter forse contribuire a dare una direzione più conve- niente alla corrente emigratrice, che non dalla speranza o dal proposito di poter trovare un mezzo per arrestarla. La rapida, ma coscienziosa inchiesta compiuta, modificò, invece, d’assai le mie convinzioni anteriori e m’indusse a persuadermi che il modo con cui si svolge l’emigrazione è per la Basilicata un danno; e che, molti inconve- nienti colà constatati, non tarderanno a risentirsi anche in altre regioni meno sfortunate di quella. Gli ostacoli sempre maggiori, posti all’emigrazione dei nostri lavoratori negli Stati Nord-americani, costituiscono nel loro assieme come una specie di crogiuolo nel quale si scerne il metallo puro dalla scoria; questa ci viene rimandata, quello viene lentamente, ma inevitabilmente, assorbito da quella poderosa compagine. I nostri emigranti si accalcano sotto l’amplissima tettoia dell’Immacolata a Napoli e sono passati previamente in esame da un funzionario straniero, che esercita di fatto, in casa nostra, un’autorità che non gli compete e scarta quelli che non hanno le qualità volute. S’imbarcano, e, giunti ad Ellis Island, subiscono un secondo esame, dall’assistere al quale è escluso qualsiasi rap- presentante ufficiale italiano; si ammette il meglio, si respingono i vecchi, gli infermi, i difettati, gli antichi condannati; e gli indigenti e questi ritornano in Patria. È così che, pur ostentando una cordiale condiscendenza, il Nord- America priva l’Italia dell’elemento migliore della sua popolazione rurale, ed è così che avviene di trovare villaggi come Caraguso, Pietrapertosa, Teana, Picerno ed altri quasi senza popolazione maschile atta al lavoro. Se si facesse uno studio altrettanto pratico in tutto il Mezzogiorno, ed anco in alcune province del Settentrione, apparirebbero casi consimili, non se ne sente per ora il danno, ma non è necessario esser profeta, per prevedere, più tardi, si risentirà.

* * *

L’emigrazione è quindi a considerarsi, per la Basilicata, un danno, il quale non ha che una minima attenuazione nei proventi, che dalla massa emigrata si traggono.

221 Conviene anzi riconoscere che in alcune località la popolazione è insuffi- ciente, giustificandosi, sotto un certo aspetto, il postulato degli onorevoli Lacava e Lovito, per rimpatriare, a spese dello Stato, gli emigranti disillusi, e l’aspirazione dell’on. Materi, per favorire l’immigrazione di gente più pro- gredita dalle Province Settentrionale del Regno. Il continuare dell’esodo nelle circostanze e nei modi attuali, può paragonar- si all’aumento di febbre in un ammalato che abbia già raggiunto i 40 gradi, o al lasciar aperte le vene a quello che sia già, quasi totalmente, dissanguato. È necessario quindi ricorrere sollecitamente ai rimedi, ed applicare immedia- tamente le compresse, senza di che, più tardi, ogni cura riuscirebbe inefficace.

* * *

Accingendomi a proporre questi rimedi, mi assale il timore d’esser tac- ciato di troppa audacia; ma nello stesso tempo, m’incoraggia il pensiero, che, le convinzioni ch’io venni fermandomi, non sono che il risultato di uno stu- dio spassionato, e che, se un appunto mi si potrà seriamente fare, sarà quel- lo, abbastanza lusinghiero, d’aver ceduto ad un senso di pietà.

Provvedimenti locali

L’urgenza

A Pisticci, una ventina di individui, che si accingevano ad emigrare, per arrivare ai primi di gennaio a New York, affermavano, che se avessero avuto la possibilità di guadagnarsi una lira al giorno, avrebbero, con entusiasmo, abban- donato il disegno; e, quando sentirono che il Governo stava interessandosi ad essi, vennero lietamente ad avvisarmi, che attendevano a partire più tardi. A Matera, la notizia della prossima istituzione d’una scuola agraria, e di possibili facilitazioni di piccoli crediti in natura, e, come sempre, l’ingenua soddisfazione di vedere un funzionario governativo interessarsi cortesemente di loro, produsse tra i contadini riuniti, uno scoppio di applausi. Nei comuni del Pollino, l’assicurazione data di solleciti, materiali provve- dimenti, trattenne, come mi si scrive, molti lavoratori dal partire, mentre erano già in possesso dei loro passaporti, ed avevano iniziate le pratiche pei biglietti d’imbarco.

222 E ciò che avvenne in questi siti, avviene ovunque; il che dimostra che attualmente, non si emigra per desiderio di lucro; ma per la sfiducia generale in ogni promessa, in ogni possibile e sperato aiuto governativo. Ad Acerenza, a Montalbano Jonico ed a Campomaggiore l’emigrazione è quasi sparita. Se ne cerchiamo le cause troviamo che ad ognuno di questi paesi il Governo ha dato recentemente prova materiale d’interessamento. Ciò non vuol dire che per ogni comune si debbano profondere somme, sia pure in utili applicazioni; ma non bisogna obliare che le relazioni tra i comuni finitimi di territorio, sono più difficili in Basilicata di quello che nell’Alta Italia non siano, fra i paesi posti alle contrarie estremità di alcune province; e che quindi, perché rientri la fiducia, non sono, purtroppo, suf- ficienti provvedimenti isolati. Il bisogno, d’altronde, è generale, ed è genera- le altresì il malanno! La gente dei campi, ove non è abbrutita, è scorata; emi- gra per incoscienza; parte pel Brasile, pur sapendo che la mala sorte l’attende; non chiede che di rimanere, e per trattenerla, parmi occorrerebbe assai poco.

* * *

Provvedimenti locali quindi, sussidi e lavori che siano pure di poca entità; ma, applicati in quanti più comuni è possibile, soddisfacendo deside- ri di cui partecipa tutta la popolazione; ma, dal cui compimento la classe pro- letaria debba principalmente approfittare. Questi provvedimenti, però, devono essere presi immediatamente, giac- ché, alla stregua del movimento attuale dell’emigrazione, per ogni giorno che passa, sono più di quaranta lavoratori che abbandonano un campo in cui già difettano le braccia1. In America si fanno sforzi immensi per attirare gli abitatori; non vedo perché qui, non se ne dovrebbe fare per trattenerli, ove ne esiste il bisogno. I provvedimenti di carattere sociale hanno già avuto un accenno nel rap- porto su ogni comune visitato. Sono essi di varie specie; e, per qualcuno non occorre, neppure sacrificio pecuniario. L’effettuazione di lavori già progettati ed approvati non esige che una prelazione, giustificata dalla necessità e dalla convenienza.

1 Nel 1901 gli emigranti furono 16000 - nel 1902 furono 17000 - e nel 1903 altri 14000 lucani abban- donarono quel suolo disgraziato.

223 Colà, ove deve costruirsi un ponte colossale, si può eseguire, intanto, il siste- ma Nordamericano di gettarne provvisoriamente uno in legname; l’anticipazio- ne dei benefici compenserebbe la spesa. L’ingegnere Sanjust di Teulada il quale compiva, contemporaneamente a me, una missione tecnica con identici scopi, trovandosi a dover passare, per arrivare a Terranova del Pollino, una corrente in cui i mulattieri non osa- vano avventurarsi, visto un tronco d’albero gettato fra le due sponde per servir d’appoggio ai guadanti, si pose a cavalcioni di esso, ed andò ad atten- dere sull’altra sponda, colle persone che l’accompagnavano, i mulattieri, i quali rimontarono invece per mezz’ora il torrente, in cerca di un guado meno pericolo. Era un modo assai pratico per dimostrare l’utilità anche dei mezzi prov- visori; ed attualmente in quel punto, si sono gettati altri tre o quattro pali consimili e la gente, intanto, passa a piedi asciutti. Nella sua relazione quell’egregio funzionario, dirà con assai maggior competenza di me, quali siano i lavori più urgenti; ed è a sperarsi, che le sue proposte non urtino contro ostacoli di forma. Dal canto mio, non posso che attenermi alle generalità, ed in presenza di una malattia acuta, indicare, come può un medico, i mezzi adatti, per impedirne il progresso, salvo ad applicare, più tardi, i rimedi per ottenerne la guarigione. Nei paesi di maggior popolazione, hanno ad essere più pronte queste applicazioni, perché faranno impressione su maggior numero d’individui; per conseguenza Matera - Avigliano - Pisticci - Montescaglioso - Irsina - Grassano, l’urgenza parmi maggiore; pur non dimenticando, che, anche in minori centri, come Rotonda, Latronico, Noepoli, Castelsaraceno e San Paolo Albanese, non sono meno opprimenti le necessità.

* * *

I provvedimenti suaccennati dovrebbero servire ad arrestare momenta- neamente la corrente perniciosa; ma perché essa non abbia poi a riprendere con maggior forza, e perché la gente che risiede all’estero, nell’ansiosa attesa di poter ritornare con sicurezza di proficua occupazione al paese natio, sia allettata a rimpatriare, occorre tutta una serie di riforme di cui permetto accennare le principali.

224 Rimpatrio gratuito degli emigrati

Fra le proposte riflettenti l’emigrazione, che vennero presentate a S.E. Zanardelli durante il suo viaggio in Basilicata, attrasse principalmente l’at- tenzione pubblica quella, che lo Stato avesse a provvedere al rimpatrio gra- tuito degli emigrati, che si trovano a disagio nel suolo americano. A stregua di fatto, dal momento che il Brasile spende somme enormi per attrarre i lavoratori stranieri, si dovrebbe far lo stesso, da parte nostra, ed a maggior ragione, per richiamare in patria i nostri. Nel caso speciale, però, conviene riflettere (e quanti conoscono a fondo i paesi sud americani, mi daranno ragione), che il vero lavoratore dei campi, non è in condizioni tanto disperate in quei paesi, quanto, da qualche tempo, si crede; è raro che gli manchi l’occupazione, e, se non ottiene il bene che s’era figurato, trova mezzo pur sempre di vivere discretamente. Il male si è, che la maggior parte degli agricoltori emigrati, arrivati in America, si dedi- cano ad occupazioni assai diverse di quelle cui erano abituati, e sono quindi travolti più facilmente nelle crisi, frequenti e repentine che si verificano colà. Questi formano l’immensa maggioranza dei malcontenti, dei disillusi e degli spostati; rimpatriandoli faremmo un ottimo servigio a quei paesi, ma ne faremmo uno assai mediocre al nostro. Ad ogni modo, le somme enormi che occorrerebbero, sarebbero ben più utilmente impiegate a trattenere i partenti; tanto più che, non sarebbe opportuna questa misura, mentre persistono le cause, che indussero quei disgraziati ad emigrare. Il fatto, già citato, che in alcuni comuni, è venuto ormai a mancare l’e- lemento più adatto al lavoro, spiega, se non giustifica pienamente, la propo- sta presentata; la quale risponde non solo a sentimenti di alta filantropia, ma anche a concetti di pratica utilità. Quando si ottenga di eliminare molte cause di disagio, il rimpatrio si effettuerà spontaneamente; e sarà appunto l’elemento migliore quello, che prenderà la via del ritorno. Quanto ai disgraziati, che non trovano modo di guadagnarsi in America i mezzi per il rimpatrio, io, a rischio di passar per crudele, non posso a meno d’affermare, che è meglio rimangano, dove si sono imprudentemente recati. Una misura assai opportuna sarebbe, a mio avviso, quella di facilitare con ogni mezzo possibile, l’esodo di quelle famiglie e di quelle donne che hanno il loro

225 capo od il loro marito in America; ma in condizioni tali da poterle bensì man- tenere se fossero riuniti; ma non di inviar loro soccorsi bastevoli e tanto meno i mezzi necessari del viaggio1. Con un sacrificio relativamente lieve si diminuirebbe così il numero di quei disgraziati ai quali in epoca non lontana lo Stato dovrà pur provvedere. Quest’idea apparirà forse ad alcuno assai ardita; ma ritengo meriti seria riflessione. Così il rimpatrio gratuito a capi di famiglia disoccupati sarebbe tutt’altro che un provvedimento da rigettarsi.

Le modificazioni alla legge sull’emigrazione

M’accadde più volte nel corso del rapporto, di riferire le opinioni di Autorità politiche ed amministrative, ed anco di cittadini privati coltissimi, circa gli inconvenienti prodotti dalla recente legge sull’emigrazione. Accennai nel proemio, alle conseguenze attribuite, alle facilitazioni di emigrare, fatte agli individui soggetti a vincoli militari. Il principio informativo della disposizione è, senza dubbio, assai liberale; non pertanto, i risultati non mi sembrano tali, quali forse il legislatore s’attendeva. Così la rapidità con cui si vogliono consegnati i passaporti richiesti, è stata consigliata dal timore di possibili arbitri; ma nel fatto si riduce a favo- rire l’azione degli agenti provocatori dell’emigrazione, ed a rendere impossi- bile la riflessione a chi si decide ad emigrare. Pur essendo tuttavia partigiano della più ampia libertà a questo proposi- to, persisto a credere che dovrebbe organizzarsi un sistema pratico di istru- zione generale, per i paesi che danno maggior contingente all’emigrazione, ed anziché favorire l’esodo di individui isolati, sarebbe a preferirsi, come dissi poc’anzi quelle delle famiglie, onde evitare il pericolo ed il danno, di cui non si tarderà dovunque a risentire della sproporzione fra i vari elementi che com- pongono la popolazione. Ad ogni modo il problema delle modificazioni alla legge sull’emigrazio- ne, è troppo complesso, perché io mi permetta di estendermi maggiormente in proposito.

1 Vedasi l’interessantissima tabella n. 10 dell’appendice.

226 * * *

Una questione però merita speciale riguardo. S’è discusso a lungo, recentemente, nella stampa periodica, sulla proba- bilità che il Congresso degli Stati Uniti approvi la proposta di legge, di non ammettere emigranti analfabeti. Da molti venne considerato questo fatto, come una minaccia, o meglio, un pericolo, per le nostre classi emigratrici, ed una disgrazia pel nostro paese. Prescindendo dall’utilità che quest’interdizione produrrebbe nel caso speciale della Basilicata, io non posso celare, che non partecipo al fatto delle apprensioni di molte egregie persone, a questo riguardo. Innanzi tutto è dubbio assai, che la proposta venga sancita; perché, il senso pratico dei legislatori nord americani è superiore alle pressioni, che irlandesi e tedeschi naturalizzati esercitano, per liberarsi da una concorrenza assai dannosa per essi. Secondariamente, parmi, che una tale misura coopererebbe a rialzare il livello intellettuale delle nostre colonie in Nord America, ed a renderle più utili a sé ed al paese d’origine, sottraendole, in pari tempo, allo sfruttamen- to vergognoso, di cui la maggior parte dei nostri lavoratori è vittima negli Stati dell’Unione. Ad ogni modo, parmi, che questa restrizione sarebbe piuttosto a deside- rarsi, perché non produrrebbe che una sosta nell’emigrazione necessaria, a tutto beneficio di essa. Se poi, come si teme, quella decisione fosse imminente, credo che sarebbe decoroso per l’Italia prevenirla, col proibire, in anticipazione, l’emigrazione degli analfabeti per quello Stato; non attendendo che di là, ci venga, in certo modo, l’intimazione, di curare, con maggior energia, questa nostra piaga sociale. Basta assistere alla contemporanea partenza di piroscafi da emigranti pel Brasile e per gli Stati Uniti per notare come l’imposizione di presentarsi puli- ti, a rischio di essere puniti, abbia prodotto una trasformazione meravigliosa in quelli che si dirigono al Nord. Gli altri persistono nel medesimo stato desolante anteriore d’immondizia personale e d’indumenti. Se domani fossero costretti a saper leggere, in pochi mesi li vedremmo trasformati anche a questo riguardo. La limitazione d’età che, del resto, impongono gli Stati Uniti rendereb- be anche più facile questo miglioramento.

227 Gli sgravi

Non v’ha persona in Basilicata, la quale s’attendi ad esprimere anche la più vaga opinione sui mali che affliggono quella provincia, e sui possibili rimedi, che non cada immediatamente sulla gravezza dei tributi e sulla necessità di sollievo. Dal contadino, al proprietario, all’uomo di Stato, è una sola opinione, espressa con quasi identica energia; ma la base di quest’opinione non è, né potrebbe essere, la stessa. Il contadino soffre certamente, più che ogni altro della sua classe, in Italia; e la sofferenza gli proviene non solo dalla molteplicità strana delle imposte, ma anche, e soprattutto forse, dai mille inconvenienti, che i meto- di di esazione gli arrecano. M’è d’avviso, che, ove si potesse consolidar tutte le imposte in una sola, gli riuscirebbe assai meno grave il sacrificio, per quanto l’estrema difficoltà di procurarsi il numerario costituisca, da sola, l’aggravio maggiore per esso. Il nullatenente è soggetto, esso pure, a certe imposte municipali le quali, per quanto esigue, costituiscono un insopportabile peso. Il piccolo proprietario (v’hanno paesi in cui il nullatenente quasi non esi- ste) si trova in quasi identiche condizioni. Il proprietario mediocre ed il latifondista si lamentano delle imposte governative, perché le ritengono sproporzionate (e sotto certi riguardi lo sono) alla produttività dei loro poderi; ma le tasse municipali li affliggono proporzionalmente assai meno; tanto più, che la loro ripartizione dipende quasi esclusivamente da essi. L’uomo politico considera l’argomento sotto un aspetto generale, ed attribuisce l’impoverimento della provincia, principalmente, a questa causa, ed afferma che lo Stato, esigendo in ugual proporzione in tutta l’Italia i tri- buti, distribuisce in modo affatto disuguale i benefici. Tutti quindi reclamano una riduzione: molti arrivano a domandare (alme- no per qualche tempo) un’esenzione completa.

{La proposta della riduzione dell’imposta fondiaria, fatta recentemente dall’On. Sonnino, fu accolta perciò a prima vista, con immenso favore, ma la riflessione, diede luogo alla rescipiscenza: ed ovunque, mi toccò discorrere di questo possibile provvedimento onde attenuare la violenza dell’emigrazio-

228 ne, trovai unanimità di giudizio, nel considerare quel progetto, come assoluta- mente inefficace. Taccio delle opinioni degli onorevoli deputati della Basilicata, che ebbi l’onore di consultare, perché essi hanno mezzo di far ascoltare la loro voce autorevole in Parlamento; ma mi credo in debito di ricordare i nomi dei deputati e consiglieri provinciali Avv. Mango, D.r Dagosto, Avv. Corbo, Avv. Cantisani, Comm. Ridola, D.r Laviano ed altri, e del Comm. Scutari di Castelluccio Inferiore, dei D.r Melidoro di Valsinni, dei D.r Corleto di Miglionico, del D.r Miraglia di Lauria, del D.r Vitale di Teana, del D.r Vitelli di Noepoli e di molti altri sindaci e cittadini privati intelligenti e col- tissimi della Provincia, tutti in mirabile accordo su questa opinione. Il Consigliere provinciale Avv. Domenico Venezia, uno dei più grossi pro- prietari di Montescaglioso, noto per le sue opinioni politiche conservatrici, volle, anzi, favorirmi, in proposito, alcuni appunti: afferma, che i grossi pro- prietari potrebbero sopportare agevolmente le imposte esistenti sull’agricol- tura, quando non mancassero le braccia pel lavoro ed il credito ad equo inte- resse per i necessari capitali. Propugna, quindi, esso pure, come tutti gli altri, l’adozione di provvedi- menti speciali di sgravio per la gente minuta, e li farebbe consistere, princi- palmente; nell’immediata soppressione delle quote minime fino a lire 10 com- plessive, riversandone il peso sui maggiori censiti; e nella, non meno imme- diata, quotizzazione dei beni demaniali, sfruttati male dalle amministrazioni, peggio ed a torto dalle camarille locali. Aggiunge che è necessario, altresì, abolire i dazi sulle carni e sul vinello immediatamente; salvo addivenire nel 1904, all’abolizione totale del dazio consumo sugli altri generi. E poiché in fatto di sgravi, gli appunti del Cav. Venezia, compendiano gli unanimi desideri e le opinioni che ho raccolto, al proposito, in Basilicata, io non posso che riferirmi ad essi, convinto, che l’adozione di questi provve- dimenti, riuscirebbe efficacissima, per diminuire l’emigrazione.}

229 Riforme amministrative

Tra le cause di disagio che spingono i lavoratori ad emigrare, non è tra le minori, in alcune località, quella dei sistemi di amministrazione imperan- ti; è ovvio, perciò, che, anche su questo argomento, debba rivolgersi l’atten- zione del Regio Governo. In alcuni comuni il numero degli analfabeti arriva all’80 per cento; per cui non si trova quasi il numero necessario a costituire il Consiglio comunale; l’e- lezione del Sindaco riesce quindi una farsa, e l’amministrazione si concentra, per lunghissimi anni, nelle mani di pochi, che ne usano e…, non di rado, ne abusano. È ben lungi da me l’idea di toccar l’arca santa dei conquistati diritti politici ed amministrativi; ma, assicurando, che una visita, anche rapida, a certi determinati paesi produce la convinzione, che per essi il sistema amministrati- vo attuale è dannoso, non faccio che esprimere sinceramente, non solo la mia, ma anche l’opinione di persone coltissime ed imparziali di quelle regioni. Il dire che l’ambiente non è maturo per l’applicazione di istituzioni moderne è un argomento già sfruttato, e che può dar pretesto ad atti arbitrari; ma è indubitabile che, ove si provasse a raggruppare tre o quattro di quei comuni sotto una sola direzione personale (e per un quinquennio almeno), i nove decimi di quelle popolazioni avrebbe motivo di eterna riconoscenza al Governo riparatore. Non rare volte m’avvenne di rimanere stupefatto pei modi brutali con cui certe autorità trattano i loro amministrati; né poi fu rarissimo il dubbio che mi colse, circa la correttezza d’agire riguardo agli interessi del comune ed all’applicazione ed esazione di tasse ai più ignoranti contribuenti. In un comune m’avvenne anche di accertare, sulla fede di informazioni attendibili, che l’esattore procede generalmente all’esecuzione o vendita forzata di immobili nell’epoca in cui manca di più il denaro, e si aggiudica i terreni miglio- ri a prezzi irrisori, rimanendo in debito gli esecutati, i quali si trovano sovente all’estero, e, ritornando sono soggetti a noie, che li fanno riemigrare1.

1 In una delle più importanti borgate, che visitai, mi avvenne d’udire un contadino, piccolo proprie- tario, accusare di fatti specificati e deplorevoli d’abuso le autorità municipali presenti, le quali non sep- pero affatto scolparsene. Più tardi una persona d’ineccepibile imparzialità che aveva assistito al conve- gno, mi assicurò che i fatti denunciati erano assolutamente veri; e che essi non sono che una parte degli infiniti inconvenienti che provengono dalla preponderanza di pochi nella gestione comunale, la quale ha aggravato, anziché migliorare, la situazione di quelle plebi, in confronto di quando il paese era sog- getto ad un solo signorotto.

230 * * *

La distanza grande e malagevole che separa molti comuni dai capoluoghi di mandamento e dagli uffici di ricevitoria produce un aumento sensibilissi- mo del peso delle tasse per la difficoltà di pagamento; ma quest’aumento diventa enorme per quei disgraziati che cadono in mora e ricevono citazioni aggravate da esagerati diritti di trasferta, superiori di molto all’ammontare del debito. Gli uffici postali dovrebbero per questi casi servire da intermediari, né l’accrescimento della consegna avrebbe minor valore, trattandosi di pubblici ufficiali. Alle formalità di legge non parmi difficile trovar rimedio. Ogni motivo di malcontento cui, senza sacrifici od illegalità, si possa ovviare, merita attenzione, perché costituisce una delle mille cause impellen- ti ad emigrare. La circoscrizione dei circondari in Basilicata è causa altresì di disagi, non difficilmente riparabile, e potrebbe essere oggetto di studi specia- li, principalmente riguardo ai circondari di Lagonegro e di Matera. Si sollecita, eziandio, da molti comuni l’esenzione del pagamento dei diritti di trasferta dei pretori per le vidimazioni dei registri di Stato civile, e dei sindaci e segretari comunali per le operazioni di leva ai capoluoghi di cir- condario, potendo sopperire per quelle la Posta, per queste una delegazione. Infine risulta generale il lamento per la gravezza delle spese obbligatorie per l’istruzione elementare, commisurate alla popolazione e non alla poten- zialità economica dei comuni stessi, tanto che affermasi che alcuni si trova- no, perciò, in istato di insolvenza. Valgano per i sistemi di accertamento della ricchezza mobile e per la dif- ficoltà dei reclami di accenni fatti in vari punti del presente rapporto. Per ultima, non meno importante delle altre, s’affaccia la questione dei pubblici funzionari costretti a risiedere in paesi inospiti, in cui la vita mate- riale di una persona decente costa più che in una grande città, ed ove, pur prescindendo dalla mancanza d’un ambiente intellettuale, non esiste modo di procurarsi alcuna comodità. È naturale ch’essi aspirino ai traslochi, e che, dovendosi convincere, che il mostrarsi veramente attivi non servirebbe loro che a renderli maggiormen- te necessari, trovino più conveniente disinteressarsi dai loro doveri, o peggio ancora, rendersi odiosi, per zelo eccessivo, col fine di farne domandare da altri il trasloco.

231 Lo stabilire speciali indennità per questi funzionari ed accordar loro trat- tamenti di favore per l’anzianità e per le promozioni, e per la scelta di suc- cessive residenze (dopo un determinato periodo) non sarebbe affatto una parzialità ingiusta: e concorrerebbe al miglioramento civile ed economico della regione. L’effettuazione di queste riforme contribuirebbe a rendere meno dura l’esi- stenza delle classi meno agiate in quella provincia, per la quale non parrebbe affatto eccessiva; secondo molti, l’adozione, per un quinquennio, d’uno speciale sistema amministrativo, che, lasciando intatto l’esercizio dei diritti politici desse mezzo al governo di procedere ad una rigenerazione completa dell’ambiente.

I lavori pubblici

Oltre alle opere d’urgenza, per la cui esecuzione si sollecita dai Comuni l’aiuto dello Stato, nell’intento di procurare ai proletari, con occupazioni suf- ficientemente rimunerate, un sollievo momentaneo, si richiedono con insi- stenza (non sempre ingiustificata) opere di assai maggior rilievo e d’interesse più generale, allegandosi che, nel ritardo di questo, risiede una delle maggiori cause di disagio e d’emigrazione. Fra queste opere, eccellono i rimboschimenti, le bonifiche, le arginature di fiumi, la costruzione di nuove linee ferroviarie e di canali d’irrigazione. Il problema è di troppo grave importanza tecnica e finanziaria perché io mi attenti ad affrontarlo. Esso è, d’altronde, già da lungo tempo in discus- sione, e sembra avviato ad un favorevole scioglimento. È indubitabile che i grandi lavori ferroviari attirano nella regione, che ne è favorita, molto dena- ro e molti consumatori; ma il movimento da essi promosso è transitorio. Appena i lavori sono compiuti, l’ambiente ritorna all’antica tranquillità, né il passaggio fuggevole della locomotiva modifica l’antico squallore. Non mi sembra, quindi, che, sotto questo rapporto, la costruzione delle fer- rovie progettate debba riuscire di freno, più che momentaneo, all’emigrazione, quando però non risulti, che il traffico, prodotto dalle ferrovie stesse, debba poi essere elemento di prosperità per la Provincia. Non ho dati sufficienti per dare un giudizio su questo, né, ad ogni modo, il mio giudizio varrebbe gran cosa.

232 Tra le ferrovie considerate di maggiore necessità, di cui mi si sia parlato, quella Grumo-Ferrandina-Padula sembrami raccolga i maggiori suffragi, ed attraverserebbe, appunto, una regione, di cui io non ebbi a visitare che una limitatissima parte; meno ancora, quindi m’è dato d’esprimere il mio parere. La ferrovia elettrica a tipo economico Nova Siri-Chiaromonte è, altresì, nei desideri più ardenti di quelle popolazioni, e non sembra debba costare gravi sacrifici.

[Ma la ferrovia che porterebbe indubbiamente enorme sollievo alla Basilicata sarebbe quella che staccandosi da Potenza attraverserebbe la plaga più desolata ora, tra le più ricche un tempo, della regione e toccando Laurenzana, Corleto, Perticara, Armento e Senise, s’inoltrerebbe nella valle del Sarmento popolata da 7 comuni e priva di via di comunicazione anco mulattiere; attraverserebbe quindi la catena del Pollino toccando grossi comuni calabresi e congiungendosi a Castrovillari colla rete ferroviaria cala- brese].

Il rimboschimento delle aspre pendici montane, e di quelle valli, che attualmente presentano un aspetto così nudo e desolato, è condizione di vita per quelle regioni; giacché proviene dall’irrazionale distruzione dei boschi, l’imperversare, nel basso, delle esalazioni malariche e l’insterilimento pro- gressivo dei terreni coltivati in pendio. Occorre favorire questo rimboschimento, già imposto dalla legge, ed ordinare il mantenimento dei boschi esistenti; ma, perciò, non bastano il vin- colo forestale e le severe ispezioni, e le proibizioni di pascolo delle capre ed anco le periodiche forniture di alberelli; ma occorre esimere i proprietari dal- l’obbligo dell’imposta fondiaria, almeno fino a quando il rimboschimento sarà avvenuto e dar loro congrui sussidi in denaro. Molti comuni, specialmente quelli della regione del Pollino, perdono parecchie migliaia di lire all’anno, pel vanto di possedere i boschi; mentre sarebbero lieti di cederli gratuitamente allo Stato: molti privati si trovano nello stesso caso. La costituzione di un Demanio boscoso in Basilicata, va rendendosi, ogni giorno più necessaria.

233 * * *

Il rimboschimento favorirebbe le bonifiche, giacché le acque non preci- piterebbero più in modo cotanto disordinato alle valli; ed i fiumi avrebbero un più dirigibile corso. Quindi potrebbero i contadini scendere dalle vette scoscese, uscire dagli abituri immondi, e spargersi per le risanate campagne, ove, con opportuni sussidi, si moltiplicherebbero le case coloniche, che il con- tadino si decide, poi, ben difficilmente ad abbandonare. Prima ancora, quindi, d’investire somme enormi, e legare il bilancio dello Stato con obblighi quasi secolari per sovvenzionare ferrovie di non sicura uti- lità, sembrami si dovrebbe procedere a queste bonifiche, dalle quali, oltre che la prosperità materiale della regione, dipende anche la salute degli abitanti. Allorché a questi si osserva, che nelle lontane plaghe del Brasile, regna- no epidemie e miasmi, rispondono, che, anche intorno ad essi, le febbri mala- riche seminano la strage. Se si vuol trattenerli dall’emigrare, occorre far appa- rir loro meno desolante la vita, nel paese natio. E poiché m’avvenne di ricordare in questo punto le case coloniche, viene opportuno rammentare quanto sia necessario togliere i contadini dalle loro pestifere tane e condurli ad abitare nei campi, se si desidera realmente la rige- nerazione della provincia. Per la costruzione di case coloniche occorre, è indispensabile anzi, il con- corso del Governo, e, se questo dovesse anche profondervi in una decina d’anni, quattro o cinque milioni, verrebbe più tardi a ricavarne enorme beneficio.

* * *

Per tutte queste opere, è vano affatto sperare od attendere, neppur mediocre cooperazione materiale dalla Provincia o da Comuni, i cui bilanci non bastano a coprire le spese strettamente obbligatorie. Non è, neppure, a sperarsi, che si possa caricarli di nuovi debiti, accordando loro delle antici- pazioni; perché non si farebbe che aumentare il loro dissesto. Già dissi, come raramente si siano espressi desideri di grandi cose, ma come universalmente, poi, si sia riposto da autorità e da privati ogni fiducia, nell’aiuto governativo.

234 “All’ammalato, degente in un ospedale, si apprestano le cure ed i rimedi, senza chiedergli sforzi, che non può e non deve fare. La provincia di Potenza parmi si possa paragonare oggi, senza offenderla, a questo ammalato; di cui lo Stato dev’essere medico, infermiere e farmacista ad un tempo. Allorché sia guari- to, potrà riprendere le sue funzioni normali d’esistenza”.

Pel Credito agrario

La leva più possente, però, a rialzare dalla prostrazione in cui giace que- sta provincia, consiste nella saggia organizzazione e distribuzione del Credito agrario; essendo affatto insufficiente l’azione della Cassa di risparmio del Banco di Napoli in proposito. Lo spirito d’associazione è troppo timido ancora, perché possa aspettar- sene un efficace soccorso; e la cooperazione è più nel desiderio che nel fatto. Non mancano però i capitali investiti in Rendita pubblica o depositati nelle Casse di risparmio, e questi converrebbe attirare nell’orbita del Credito agrario. Sarebbe necessaria una nuova Istituzione bancaria, la quale, non è guari, a sperare, possa sorgere, a somiglianza di quella, pendente dall’approvazione della Camera, pel Credito agrario nel Lazio. Se anche si potesse ottenere per la Basilicata i generosi concorsi delle Casse di risparmio delle province lombarde e di Roma, è dubbio, se conver- rebbe più devolvere quelle somme a fomento della produzione, o non piut- tosto a fondare qualche istituto di beneficenza, di cui esiste imprescindibile bisogno. Coi capitali stessi della Basilicata, questa dovrebbe risorgere a nuova vita e questi capitali si potrebbero attirare, mediante la garanzia da parte dello Stato di un equo interesse. Un Istituto che sorgesse, con un capitale di dieci milioni di lire, aumen- tabile a venti, diviso in azioni da 100 lire ognuna, con un interesse del 2 al 3% all’anno, garantito dallo Stato, senza pregiudizio di maggior dividendo, avrebbe, a mio avviso, grandi probabilità di riuscita. Le sue Operazioni dovrebbero però limitarsi assolutamente alla distribu- zione del Credito agrario in natura, secondo i sistemi e le norme mantenute nel grandioso progetto sulla Riforma Agraria dell’onorevole Maggiorino

235 Ferrarsi, coadiuvato, con ispezioni gelose, la costruzione di case coloniche. La sua azione dovrebbe limitarsi unicamente al territorio della Basilicata; e la amministrazione dovrebbe rimanere sotto il controllo diretto del Regio Governo. Questo non correrebbe altro rischio, che di dover rimborsare la dif- ferenza tra i guadagni liquidi dell’azienda e l’interesse garantito agli azionisti. Questi avrebbero la possibilità di maggior dividendo ed una sicurezza altret- tanto grande e forse maggiore di quella che avrebbero investendo i loro capi- tali in Rendita soggetta a possibili variazioni di corso.

[Al Banco dovrebbe accordarsi facoltà di esigere interessi anche del 7 e dell’8% i quali in confronto di quelli attualmente in uso in quella regione rappresenterebbero un sollievo e non alletterebbero invece i capitalisti usurai. Credere che si possa istituire un Banco di credito fondiario con limitazione d’interesse e d’ammortizzazione che apparirebbero esagerate anche in pro- vince prospere e fiorenti e un’utopia! I capitali privati rifuggirebbero ed è invece su di essi che si deve principalmente contare. Mi sembra un’utopia, ripeto, pretendere di stabilire, sia nella Basilicata, sia nelle regioni finitime, un Istituto di credito agrario che anticipi somme al 3% annuale con ammortizzazione a 50 anni. Per quanto lo Stato sia dispo- sto a dedicare molti milioni a questo scopo, non riuscirebbe affatto ad estir- pare l’usura, e tanto meno ad arrestare l’emigrazione. Dei milioni approfitte- rebbero immediatamente i maggiori proprietari, quasi tutti oberati; pel pic- colo agricoltore rimarrebbero le briciole, pel lavoratore nulla! Si lasci libero il tasso dell’interesse o si limiti al 7 od all’8% almeno. Questo non allettereb- be gli usurai; mentre solleverebbe di molto chi è abituato a pagare il 25%. Gli stessi usurai si vedrebbero costretti mano mano a ridurre le loro pretese causa l’invasione di capitali meno esosi; e la Istituzione di credito si farebbe centro dei capitali stessi. Il tempo migliorerebbe poi paulatinamente le con- dizioni. Occorre essere pratici soprattutto!]

L’Istituto dovrebbe essere esonerato d’ogni imposta di ricchezza mobile, di registro e di bollo, per un periodo, almeno, di cinque anni, e, sempre, ove il dividendo delle azioni non avesse a superare il 5% annuale. Ogni provento superiore al 1% del capitale verrebbe diviso in parti uguali, di cui l’una sarebbe a beneficio degli azionisti, l’altra a fondo di riser- va, o previsione, la terza a fondo di beneficenza provinciale.

236 Allo spirare del ventennio si procederebbe all’inventario esatto del patri- monio della Banca, lo Stato rimborserebbe la metà del disavanzo o percepi- rebbe in titoli la metà dell’eccedenza del capitale originario.

Per l’agricoltura e la pastorizia

Tutti i provvedimenti che antecedono e tutto il complesso delle riforme desiderate e sollecitate, non avrebbero però che un valore transitorio, se non si dovesse procedere a migliorare seriamente le fonti d’esistenza. Senza di ciò risorgerebbero, invece, ben presto, le regioni di malcontento; ed il numero della popolazione produttrice si assottiglierebbe ancor più. La relazione dell’onorevole Ascanio Branca sulle condizione della pro- vincia di Potenza, pubblicata nei volumi dell’inchiesta agraria del 1883, potrebbe prendersi a modello ancor oggi, per descrivere quella plaga già fertile ed ora tanto desolata. Ma occorrerebbe caricarne le melanconiche tinte. Anche in questa relazione si reclamavano urgenti provvedimenti; ma sono passati vent’anni, e, tolta l’epoca fuggevole in cui s’è usato ed abusa- to del credito fondiario, nulla di positivo s’è fatto per migliorarne l’agri- coltura. Le condizioni vennero quindi peggiorando, i diboscamenti continuaro- no, anche colla stessa complicità dell’Amministrazione del pubblico dema- nio, e venne ad aggiungersi a tanti mali la piaga dell’emigrazione; per la quale 200,000 individui da quell’epoca si allontanarono dai campi più isteriliti della Basilicata. Se non esistesse la convinzione che, ora, si vuole seriamente riparare agli errori ed alle dimenticanze, parrebbe inutile fatica accennare nuovamente a quanto sarebbe necessario di fare. Si approfondisca d’un palmo il solco tracciato nei campi della Basilicata, e si sarà aperta una miniera bastante a migliorare le sorti di quella Provincia. In questa frase che ho sentito, non so più dove, né da chi, nelle ore fug- gevoli del mio viaggio, parmi si compendii il segreto della rigenerazione luca- na e l’allettamento più possente, non solo a trattenere, ma anche a richiama- re gli emigranti nel suolo natio. Ma per approfondire quel solco, converrebbe sparissero i preadamitici

237 aratri che graffiano il terreno, e si sostituissero con quelli moderni; e perché questi si possano adoperare, occorre che ritornino all’antica soma i meschini asinelli, e che da essi, ed a pochi scarni bovini, si sostituisca una razza robu- sta d’animali da lavoro; e perché questi si possano nutrire, è necessario che rifiorisca la coltura dei pascoli e delle erbe da foraggio; e poiché tutto ciò sia possibile, occorrono scuole e capitali. Per questi s’è parlato nel capitolo precedente; per le scuole valgano gli appunti che seguono.

L’istruzione agricola

Non credo vi sia plaga in Europa, neppure nella regione Balcanica, in cui l’agricoltura sia rimasta così stazionaria come in Basilicata, e dove la classe lavoratrice abbia minor conoscimento degli strumenti perfezionati, attual- mente in uso. L’ingegnere Sanjust, che è sardo, ed ha trascorso la maggior parte della sua vita laboriosa nella sua isola nativa, affermava che in Sardegna il conta- dino è molto, ma molto più progredito. Prima ancora di preoccuparmi di fargli imparare a leggere ed a scrivere, io vorrei insegnare al contadino Lucano come debba coltivare il suo campo; giacché, pel momento, sembrami abbia maggior bisogno del pane dello stomaco che di quello dell’intelligenza. «Perciò vorrei stabilito per cura dello Stato (e sotto la sua diretta sorve- glianza), in ogni zona speciale della Basilicata (e sono tante e diverse quasi quanti sono i mandamenti), una di quelle fattorie modello, di cui tante volte venne fatto cenno nel presente rapporto. Da queste fattorie dovrebbe irradiare l’istruzione pratica alle masse, col- l’istruzione, il materiale soccorso, perché possano applicarsi gl’insegnamenti acquistati. Ma è lo Stato che dovrebbe provvedervi, non la Provincia ed i Comuni né i Consorzi di qualsiasi specie, e tanto meno i privati cittadini. Dalle somme investitevi lo Stato non dovrebbe attendersi un interesse materiale, come non l’attende da quelle che profonde nelle nostre istitu- zioni scolastiche». La Basilicata non possiede Università, né Istituti superiori di alcun genere,

238 né arsenali, né Accademie; abbia esse questa nuova forma di studi universali, nella pluralità di istituti; ove s’insegnerà il modo di lavorare con profitto a gente infelice, abituata, pur troppo, a non trarre dalle sue improbe fatiche, e da una terra ch’essa chiama ingrata, che un meschinissimo frutto. Distrutta l’industria armentizia, non v’hanno più concimi naturali, ed il dissodamento progressivo delle terre diboscate, ha modificato i corsi d’ac- qua vivificatrice; e le immense distese di campi coltivate a cereali, danno un prodotto che non passa mai di sei volte la semente, e non di rado non arri- va a tre. Ma le zone dissodate di fresco, danno, per qualche anno, un pro- dotto, che nei distretti di Matera e di Avigliano, è arrivato a trenta volte il seme, che vi si era sparso1. L’uomo intelligente, non migliora i suoi sistemi, perché gli mancano i capitali all’uopo, ed anche perché trova nei contadini, un’opposizione tena- ce, a novità, ch’essi non possono capire. Occorre, quindi, diffondere l’istruzione e, con questa, l’esempio: e non sarebbe forse, neppure inopportuno di condurre i contadini ad arrendersi all’evidenza, introducendo nei loro campi, quasi a forza, colà dov’è possibile, l’aratro, e dove l’ubicazione del terreno non lo concede, il concime chimico, che rende alla terra esausta, l’antica fecondità.

Le regie Fattorie-modello

Non credo del caso riassumere in un progetto organico i principi cui dovrebbero uniformarsi, l’istituzione di queste scuole teorico-pratiche (ma assai più pratiche che teoriche); sarebbe necessario all’uopo, il concorso di specialisti nella materia. Basta accennare i principali concetti.

I. Nelle zone che dovrebbero determinarsi (e con preferenza in località ove esistono terreni demaniali), il Ministero d’agricoltura, industria e com- mercio, dovrebbe procedere alla formazione di fattorie-modello, il cui nume- ro potrebbe limitarsi, al principio, ad una decina, ed aumentare, in seguito,

1 Queste notizie, raccolte nelle sedi dei Comizi agrari e dalla bocca stessa dei coltivatori, sono correda- te dalla visita dei prodotti e dal confronto, tra le meschinissime pannocchie di Latronico e quelle stu- pende di Grassano e di Monticchio. Il confronto, del resto, è facile a farsi, anche tra i prodotti limitrofi, coltivati con diversi sistemi.

239 fino ad istituirne una, almeno, per ogni mandamento. II. Queste fattorie, sarebbero impiantate, sotto la sorveglianza e per conto delle Cattedre ambulanti di agricoltura, stabilite od a stabilirsi in ognuno dei capoluoghi di circondario della provincia, ed, anco, in quelle località, in cui se ne manifesta maggiore bisogno. Ai direttori delle Cattedre si aggregherebbero dei capi tecnici o capi coltivatori, agronomi patentati, che funzionerebbero da ispettori nella formazione dei poderi, e quindi da fattori ed istruttori tecnici, allorquando i medesimi, fossero in pieno esercizio. I direttori delle Cattedre ambulanti, farebbero di queste fattorie, la sede delle loro lezioni pratiche dimostrative.

III. Alla fattoria sarebbe assegnato un certo numero di coltivatori spe- cialisti, da pagarsi sui prodotti del suolo, e ad essi, verrebbero affidati quei contadini locali, che pel vitto e l’alloggio, si acconciassero a lavorare per impratichirsi nei moderni sistemi, e che si alternerebbero, per settimane o quindicine consecutive.

IV. Ogni fattoria sarebbe costituita: 1° di un’ampia casa colonica con alloggio pel capo tecnico e fattore, una camera di foresteria per gli ospiti, oltre alle abitazioni per coloni e giornalieri; 2° di edifici appositi per stalle bovini da lavoro e da latte, e suini e per deposito d’istrumenti agricoli, di concimi e di prodotti; 3° di adattamenti speciali per piccole industrie rura- li (bachicoltura, pollicoltura, apicoltura ed allevamento di animali da corti- le in genere); 4° di un’ampia tettoia per raccogliervi gli strumenti, che ver- rebbero affidati all’amministrazione dalle case industriali favorite con opportuni accorgimenti; 5° del bestiame necessario pel lavoro del podere e di quello da latte e da rimonta, per servire di base al rinnovamento delle razze locali.

V. I prodotti del podere dovrebbero bastare a coprire le spese di produ- zione e di mantenimento dei capi tecnici, nonché per sopperire alla nutri- zione di un certo numero di animali da lavoro, i quali dovrebbero essere con- cessi gratuitamente in uso, con aratri ed erpici (per una sol volta, e per esten- sioni di non oltre un ettaro di terra per ogni proprietario o colono) a quelli, che si disponessero a modificare il genere di coltura dei loro poderi colla semina di leguminacee foraggere, atte allo sviluppo dell’industria d’allevamen-

240 to del bestiame ed al miglioramento del suolo. I direttori delle Cattedre ambulanti sarebbero autorizzati a distribuire premi in animali da cortile, concime, o sementi speciali, ai contadini che dimostrassero maggior applica- zione nello studio o maggior tendenza a progredire.

VI. La somma invertita nella formazione di tali fattorie, trarrebbe il suo frutto dall’aumento di valore della proprietà, e della successiva convenienza a venderle per costruire altre della stessa specie.

VII. Le amministrazioni delle regie Fattorie-modello dovrebbero avere quel carattere di enti intermediari richiesto dalla legge 7 luglio 1901 sulla distribuzione del Credito agrario pel Banco di Napoli; e (sotto la sorveglian- za e dietro l’autorizzazione dei direttori delle Cattedre ambulanti) concede- rebbero crediti in natura, fino ad un ammontare a determinarsi, curando che del credito accordato venisse strettamente l’uso per cui si richiese. Essi sareb- bero, altresì, i rappresentanti più indicati dell’istituzione Bancaria, di cui al precedente capitolo.

VIII. Ogni atto o contratto compiuto per intermezzo delle amministra- zioni delle Fattorie-modello della Basilicata, dovrebbe essere esente d’impo- ste di qualsiasi specie, comprese quelle di bollo, registrazione, ecc.

IX. Con apposite disposizioni si dovrebbe favorire la fornitura alla fatto- ria di istrumenti, concimi chimici, animali da rimonta, e prodotti di qual- siasi genere, relativi all’industria agricola, da parte di case industriali, com- merciali o produttrici italiane o straniere, esentandole da dazi od imposte per un determinato periodo di tempo ed accordando loro il privilegio di cui al n. 5 dell’art. 1958 del Codice civile per gli strumenti agricoli affidati a cre- dito ai lavoratori sull’indicazione delle amministrazioni delle regie Fattorie- modello.

X. Provvisoriamente ed in via d’esperimento, dovrebbero stabilirsi que- ste fattorie nelle seguenti località: Avigliano, Acerenza, Matera, Montescaglioso, Grassano, Corleto Perticara, Brienza, San Chirico Nuovo, Moliterno, Lagonegro, Chiaromonte, Castelluccio Inferiore, Muro Lucano e Rionero, e la spesa complessiva per ognuna di esse non dovrebbe essere infe-

241 riore a ottantamila lire. Sarebbe quindi poco più di un milione di lire che lo Stato dovrebbe disporre pel primo anno, non per destinarlo ad una spesa, a fondo perduto, ma per invertirlo in un’impresa di somma utilità e conve- nienza.

Le idee dell’on. Materi relativamente alla colonizzazione per mezzo di con- tadini settentrionali, e quelle circa l’istituzione di Borgate autonome, trovereb- bero così base d’iniziativa. L’esenzione d’ogni imposta, per un tempo determina- to, ai capitali destinati in Basilicata all’istituzione di fattorie consimili ed all’e- sercizio del credito agrario sotto il controllo delle R. Cattedre ambulanti, contri- buirebbe, più che ogni altra cosa, a far sparire le cause di disagio, che vanno spo- polando, quella Provincia.

L’applicazione dei provvedimenti

[Se lo studio delle cause d’un anormale disagio e la revoca dei provve- dimenti necessari a porvi riparo, è per se stesso difficile; sembrami lo sia molto di più quello del modo con cui i provvedimenti devono essere appli- cati. In un paese in cui la caratteristica principale è riassunta in un ritornello popolare d’eccezionale profondità filosofica, che attribuisce l’origine delle maggiori sventure alla mancanza di accordo fra i cittadini1, questa difficoltà diventa quasi insormontabile. Aggiungasi ad essa il sistema immutato (e forse immutabile per ora) del nostro paese, di attribuire solamente a chi è funzionario antico dello Stato la capacità e l’incarico di attuare anco le più moderne riforme, e si scorgerà di leggeri come l’applicazione, pur dei più saggi provvedimenti, possa nella pra- tica, trovarsi di contro ostacoli insormontabili.

1 Tutti figli d’Adamu e tanti Adami, Tutti simu d’un focu e tanti lumi, Tutti simu d’un ferru e tanti lami, Tutti simu d’un fonte e tanti flumi; Adamu fu lu troncu e nui li rami, La megghiu nubirtà sso li costumi. Ritornello Calabro-Lucano

242 Occorre quindi che gli uomini prescelti al grave e filantropico mandato, siano assolutamente liberi da ogni vincolo di simpatia personale o d’interes- se per uomini e località dell’ambiente a rigenerarsi. Occorre al tempo stesso che essi sappiano spogliarsi dall’abito deprimente di formalità e dei pregiu- dizi antiquati di burocrazia; ed abbiamo in loro medesimi la capacità, la forza e l’adire di combattere camarille potenti, di prescindere da influenze perso- nali, per quanto autorevoli, di favorire lo spirito d’associazione fra le plebi oppresse finora, e di affrontare responsabilità anco incresciose, pur di otte- nere il pubblico bene].

* * *

Questo non è certamente che il principio della necessaria opera rigeneratrice dello Stato a favore della Basilicata; ma da questo principio apparirebbe, intan- to, la serietà dei propositi del R. Governo e la decisa volontà di mantenere le pro- messe. Dal canto mio non intendo affatto d’arrogarmi il merito di proposte che sono il risultato delle osservazioni coscienziose e di mille conversazioni, che ebbi a tenere, con ogni classe di persone, dalle più umili a quelle più in alto, in tutti i paesi della Basilicata in cui mi fu dato sostare. Il concetto di questo, e d’ogni altro provvedimento, traspare dai memo- riali dei Comizi agrari, da quelli delle Province, dei Comuni, di deputati e consiglieri, e di moltissimi cittadini privati, che s’interessano al doloroso pro- blema dell’emigrazione. È già un alto onore per me poter essere presso l’E.V. l’interprete di tanti diseredati, ed il porta voce, al tempo stesso, di tante elette intelligenze; e non sarebbe per me piccolo vanto, né tenue soddisfazione, se fossi riuscito a manifestare con sufficiente chiarezza, per quanto con meschina autorità, il complesso di desideri, di voti e di speranze per la cui soddisfazione è riposta così profonda fiducia, nell’altissimo intelletto e nel nobile cuore di chi regge i destini della Patria. Nell’adempimento dell’onorifica missione affidatami, mi fu di guida costante il desiderio vivissimo di poter contribuire pur nella mia pochezza, all’opera grandiosa di rigenerazione che essi si propongono. Le difficoltà materiali e morali, che ho trovato nella delicata impresa, non fecero che rafforzare il buon volere; e, per quanto dovessi sentirmi infe-

243 riore al compito, mi resse in ogni momento la speranza, che non s’avrebbe sdegnato di giudicare, ad ogni modo, l’opera mia col classico adagio che: ut desint vires tamen est laudanda voluntas.

Brescia, gennaio 1903.

244 Movimento sessennale della popolazione (1897-1902) nei rapporti dell’emigrazione, nella provincia di Potenza

POPOLAZIO- POPOLAZIO- AL TOTALE TOTALE NE giusta il NE giusta il 15 no- COMUNI 1897 1898 1899 1900 1901 del ses- ultimo censimento censimento vembre sennio biennio del 1881 del 1901 1902 Num. d’ordine Num. 1 Potenza 20,353 16,163 157 191 221 284 366 364 1,583 730 2 Abriola 3,337 2,740 33 19 59 26 25 27 189 52 3 Acerenza 4,019 4,591 24 22 17 49 74 9 195 83 4 Albano di Lucania 2,856 2,414 21 33 50 31 57 91 283 148 5 Anzi 3,649 2,863 66 52 55 54 84 108 419 192 6 Armento 3,035 2,097 95 82 67 83 70 96 493 166 7 Avigliano 19,525 18,481 175 139 202 219 382 542 1.659 924 8 Balvano 3,732 2,951 42 33 53 27 43 63 261 106 9 Baragiano 2,037 1,859 44 26 46 34 48 69 267 117 10 Brienza 5,287 3,731 135 89 108 124 124 102 682 226 11 Brindisi di Montagna 2,229 1,754 27 47 38 41 71 82 306 153 12 Calvello 5,248 3,445 64 73 59 136 103 119 554 222 13 Campomaggiore 1,485 1,185 32 8 25 23 65 40 193 105 14 Cancellara 3,428 3,015 19 38 67 45 20 32 221 52 15 Castelmezzano 1,919 1,724 30 38 23 33 36 75 235 111 16 Corleto Perticara 5,565 4,546 126 121 103 156 157 171 834 328 17 Gallicchio 1,318 1,145 41 25 33 27 26 48 200 74 18 Genzano e Banzi 7,670 8,445 29 12 3 82 310 75 511 385 19 Guardia Perticara 1,786 1,437 26 35 10 5 19 64 159 83 20 Laurenzana 7,013 4,304 185 95 167 100 188 194 929 382 21 Marsiconuovo 8,084 6,415 210 197 202 210 268 201 1,288 469 22 Marsicovetere 3,002 1,631 83 86 71 73 75 73 461 148 23 Missanello 1,030 881 35 35 9 17 19 39 154 58 24 Montemurro 4,277 3,015 86 100 135 125 135 172 753 307 25 Palmira 4,004 3,781 35 28 63 204 138 40 508 178 26 Picerno 4,401 3,828 81 81 55 86 100 101 504 201 27 Pietragalla 6,766 6,247 44 44 67 143 188 99 585 287 28 Pietrapertosa 3,018 2,273 84 76 70 101 87 83 501 170 29 Pignola 4,023 2,567 46 35 36 39 83 63 302 146 30 Ruoti 3,711 2,963 114 69 70 107 82 94 536 176 31 San Chirico Nuovo 2,529 2,428 15 22 32 20 33 92 214 125 32 Sant’Angelo le Fratte 1,653 1,455 16 26 19 16 24 24 125 48 33 Saponara 3,062 2,058 36 36 17 55 50 102 296 152 34 Sasso di Castalda 2,281 1,434 66 59 78 89 79 33 404 112 35 Satriano di Lucania 2,990 2,435 60 35 54 56 35 61 301 96 36 Savoia di Lucania 1,908 1,476 42 36 74 64 61 47 334 108 37 Spinoso 2,656 2,098 77 93 80 89 46 96 401 142 38 Tito 4,673 3,621 119 38 27 15 33 59 291 92 39 Tolve 4,605 4,960 42 45 40 41 56 131 355 187 40 Tramutola 3,528 2,815 106 60 65 73 60 85 509 145 41 Trivigno 2,570 1,780 10 37 48 56 30 46 227 76 42 Vaglio di Basilicata 4,213 3,643 44 49 56 66 53 39 307 92 43 Vietri di Potenza 3,791 3,467 81 76 69 77 94 90 467 184 44 Viggiano 6,030 4,351 133 91 86 78 93 128 609 221

Totale 194,296 160,512 3,126 2,632 2,929 3,479 4,190 4,369 20,305 8,559

245 POPOLAZIO- POPOLAZIO- AL TOTALE TOTALE NE giusta il NE giusta il 15 no- COMUNI 1897 1898 1899 1900 1901 del ses- ultimo censimento censimento vembre sennio biennio del 1881 del 1901 1902 Num. d’ordine Num. 45 Lagonegro 4,114 4,304 54 48 77 112 102 96 489 198 46 Calvera 1,213 1,002 27 52 44 29 18 8 178 26 47 Carbone 1,903 1,682 35 21 50 49 45 46 246 91 48 Castelluccio Inferiore 2,807 2,290 112 92 160 117 101 125 707 226 49 Castelluccio Superiore 2,840 2,479 90 60 59 74 60 144 487 204 50 Castelsaraceno 2,380 2,470 37 27 65 36 46 27 238 73 51 Castronuovo 3,024 2,780 46 62 96 97 70 71 442 141 52 Cersosimo 1,120 916 32 64 34 29 49 38 246 87 53 Chiaromonte 3,048 2,593 57 34 84 73 74 80 402 154 54 Colobraro 2,705 2,161 40 39 88 92 116 85 460 201 55 Episcopia 1,940 1,610 63 68 58 56 29 35 309 64 56 Fardella 1,504 1,060 26 14 27 25 40 22 154 62 57 Francavilla sul Sinni 3,030 2,929 69 68 88 46 124 85 480 209 58 Latronico 4,103 3,144 154 79 76 77 120 77 583 197 59 Lauria 11,135 10,470 235 209 182 152 204 154 1,136 358 60 Maratea 5,689 5,603 276 317 267 276 358 268 1,762 626 61 Moliterno 6,983 5,408 154 97 117 114 195 171 848 366 62 Nemoli 1,128 1,098 32 26 62 28 36 45 229 81 63 Noepoli 1,758 1,665 25 40 27 39 96 107 334 203 64 Nova Siri 1,955 2,185 23 22 44 39 34 15 177 49 65 Rivello 4,938 4,110 200 158 166 145 147 184 1,000 331 66 Roccanova 2,187 2,185 29 33 42 75 54 26 259 80 67 Rotonda 4,633 3,891 95 96 123 108 81 58 561 139 68 Rotondella 4,356 4,193 63 45 165 88 110 131 602 241 69 San Chirico Raparo 1,074 2,585 53 79 74 108 55 35 404 90 70 San Costantino 1,549 1,446 54 56 53 76 48 85 372 133 71 San Giorgio Lucano 1,946 1,997 52 85 71 58 81 54 401 135 72 San Martino d’Agri 1,531 1,275 34 40 57 33 76 47 287 123 73 San Paolo Albanese 1,088 836 45 16 22 38 29 28 178 57 74 San Severino Lucano 4,433 2,741 37 33 21 37 44 98 270 142 75 Sant’Arcangelo 4,487 4,703 109 95 151 88 88 148 679 236 76 Sarconi 1,232 1,064 32 34 16 15 64 27 188 91 77 Senise 5,580 4,697 118 149 208 97 151 70 793 22 78 Teana 1,272 874 29 41 41 29 34 34 208 68 79 Terranova di Pollino 2,357 2,451 48 37 51 51 48 71 306 119 80 Trecchina 2,971 2,844 193 143 112 144 145 134 871 279 81 Tursi 4,186 3,784 75 48 91 76 158 126 574 284 82 Valsinni 1,787 1,720 33 21 41 67 116 45 323 161 83 Viggianello 5,322 4,440 87 75 119 160 88 49 578 137

Totale 123,658 109,685 2,973 2,723 3,329 3,053 3,534 3,149 18,761 6,683

84 Matera 15,593 17,081 26 62 18 35 264 108 513 372 85 Accettura 5,027 4,178 81 126 95 229 165 214 910 379 86 Aliano 1,818 1,537 23 21 43 39 59 51 236 110 87 Bernalda 6,976 7,121 100 23 19 56 69 103 370 172 88 Cirigliano 1,543 1,510 15 18 10 146 42 30 261 72 89 Craco 2,015 1,696 78 110 96 36 115 154 589 269 90 Ferrandina 7,117 7,351 114 149 86 128 131 134 742 265

246 POPOLAZIO- POPOLAZIO- AL TOTALE TOTALE NE giusta il NE giusta il 15 no- COMUNI 1897 1898 1899 1900 1901 del ses- ultimo censimento censimento vembre sennio biennio del 1881 del 1901 1902 Num. d’ordine Num. 91 Garaguso 1,758 1,839 48 78 20 64 38 60 308 98 92 Gorgoglione 1,675 1,643 22 16 51 34 51 59 233 110 93 Grassano 6,145 6,474 57 73 66 39 436 75 746 511 94 Grottole 2,991 3,246 26 23 25 25 123 47 269 170 95 Irsina 7,042 7,508 3 4 744 174 925 918 96 Miglionico 4,146 4,175 20 33 48 56 207 154 518 361 97 Montalbano Jonico 5,548 5,267 17 35 66 31 114 54 317 168 98 Montescaglioso 7,136 7,300 20 12 34 46 242 20 374 260 99 Oliveto Lucano 1,116 886 18 10 21 39 10 13 111 23 100 Pisticci 7,989 8,272 37 41 76 180 334 256 101 Pomarico 5,060 5,143 58 52 79 96 233 259 777 492 102 Salandra 3,013 3,200 72 109 61 75 122 138 577 260 103 San Mauro Forte 3,217 3,172 22 110 86 106 95 227 646 322 104 Stigliano 6,476 6,934 101 231 186 252 199 124 1,093 323 105 Tricarico 7,688 8,005 68 59 70 112 152 323 784 475

Totale 111,389 113,538 1,026 1,350 1,180 1,689 3,687 2,701 11,633 6,386

106 Melfi 12,166 14,547 64 89 80 118 352 408 1,111 760 107 Atella 2,211 2,350 19 11 19 61 72 103 285 175 108 Barile 3,873 4,107 71 45 43 260 120 159 698 279 109 Bella 5,437 4,819 171 115 199 156 248 175 1,064 423 110 Castelgrande 3,422 2,951 50 42 48 108 152 158 558 310 111 Forenza 7,678 6,184 107 114 87 174 363 291 1,136 654 112 Lavello 6,275 7,422 25 4 2 8 35 14 88 49 113 Maschito 3,602 3,245 52 59 61 235 165 155 727 320 114 Montemilone 2,679 2,933 5 40 2 10 1 13 71 14 115 Muro Lucano 9,170 8,323 152 171 277 361 398 343 1,702 741 116 Palazzo San Gervasio 7,169 7,014 64 13 27 19 626 74 823 700 117 Pescopagano 3,930 3,964 64 67 51 119 66 76 443 142 118 Rapolla 3,299 3,351 18 34 31 122 118 53 376 171 119 Rapone 2,034 1,801 94 21 25 75 57 82 354 139 120 Rionero in Vulture 11,689 11,834 126 122 158 271 718 443 1,838 1,161 121 Ripacandida 5,042 5,417 30 41 94 191 486 187 1,029 673 122 Ruvo del Monte 2,541 2,680 72 66 35 54 127 93 447 220 123 San Fele 9,704 6,348 250 257 209 258 264 395 1,633 659 124 Venosa 7,933 8,503 50 30 10 73 780 250 1,193 1,030

Totale 109,854 107,823 1,484 1,341 1,458 2,673 5,148 3,472 15,566 8,620

1 Circondario di Potenza 194,296 160,512 3,126 2,632 2,929 3,479 4,190 4,369 20,305 8,549 2 Circondario di Lagonegro 123,658 109,685 2,973 2,723 3,329 3,053 3,534 3,149 18,761 6,683 3 Circondario di Matera 111,389 113,538 1,026 1,350 1,180 1,689 3,687 2,701 11,633 6,386 4 Circondario di Melfi 109,854 107,823 1,484 1,341 1,458 2,673 5,148 3,472 15,566 8,620

Totale generale 539,197 491,558 8,609 8,046 8,896 10,794 16,559 13,691 66,265 30,238

247 Roma, 15 gennaio 1904

Pubblicandosi questo rapporto alla vigilia della discussione degli specia- li provvedimenti legislativi per la Basilicata, non mi sembra inopportuno cor- redarlo con dati statistici successivamente raccolti e desunti nella loro tota- lità dalle pubblicazioni ufficiali della Direzione generale della statistica. Molti di questi dati, pur avendo una relazione diretta colle condizioni della Basilicata, hanno un carattere d’interesse generale riflettendo anche le condizioni di altre regioni, in cui l’esodo emigratorio presentasi sotto aspet- ti morbosi. Ritengo che ciò non significhi un dannoso sconfinamento del compito assegnatomi, in quanto è unicamente nell’interesse delle classi emigratrici ita- liane che venne fatto questo lavoro.

* * *

Il grido d’allarme più vivace ch’io abbia dato nella mia relazione, si rife- risce al pericolo evidente che la sproporzione nei riguardi del sesso e dell’età presenta per l’avvenire di quella provincia. Aggiungevo che, i caratteri analoghi dell’emigrazione calabrese ed abruz- zese, non poteva a meno di esistere nelle rispettive regioni uguale pericolo. Ritenevo infine che in altre regioni, non guari meno infelici, l’emigra- zione dovesse considerarsi ancora un utile sfogo, data la proposizione in senso contrario in esse esistente. Non avrei immaginato che le cifre dovessero più tardi darmi così com- pletamente ragione. La media generale del Regno fra maschi e femmine era il 9 febbraio 1901 di 1000 maschi contro 1012 femmine; ma negli individui inferiori ai 16 anni scendeva da 1000 maschi a 966 femmine, per rimontare a 1000 maschi per 1022 femmine dai 16 ai 21 anni, 1000 maschi a 1039 femmine dai 21 ai 50, scendendo poi nuovamente da 1000 maschi a 1030 femmine oltre i 50 anni d’età. In relazione a questa media, ecco lo specchietto che si riferisce alle regio- ni suaccennate ed a tre altre dell’Italia media e settentrionale.

248 Tab. 1 Proporzione per gruppi d’età in relazione al sesso REGIONI Al di sotto Dai Dai 16 anni 21 anni Oltre PROPORZIONE o dei i 50 anni generale compartimenti 16 anni ai 21 ai 50 MFM FM FM FM F Basilicata 1,000 964 1,000 1,115 1,000 1,218 1,000 1,253 1,000 1,117 Calabrie 1,000 955 1,000 1,101 1,000 1,297 1,000 1,173 1,000 1,118 Abruzzi 1,000 961 1,000 1,132 1,000 1,245 1,000 1,079 1,000 1,090 Lombardia 1,000 981 1,000 1,010 1,000 1,020 1,000 1,014 1,000 1,000 Toscana 1,000 973 1,000 1,029 1,000 1,004 1,000 935 1,000 983 Emilia 1,000 976 1,000 1,006 1,000 991 1,000 940 1,000 977 Regno 1,000 966 1,000 1,022 1,000 1,039 1,000 1,030 1,000 1,012

Prima di analizzare queste cifre non è inopportuno notare, come nella popolazione generale del Regno i maschi adulti fossero il 9 febbraio 1901 in questa proporzione: Dai 16 ai 21 anni…………………………….5.45% Dai 21 ai 50 anni…………………………...17.70% Dai 50 anni in su…………………………….9.12% Adulti in generale dai 16 anni in su………...32.28% Ecco invece come varia la proporzione nelle suaccennate regioni. Tab. 2 Proporzione dei maschi adulti, divisi per gruppi d’età rispetto alla popolazione del Compartimento, per 100 abitanti

MEDIA Dai Dai Dai REGIONI 16 ai 21anni 21 ai 50 anni generale adulti 50 anni in su dai 16 anni in su Calabrie 5.04 14.80 8.54 28.38 Basilicata 5.09 15.47 8.81 29.37 Abruzzi 4.98 15.20 10.05 30.23 Toscana 5.37 18 10.08 33.45 Emilia 5.34 18.17 9.90 33.41 Lombardia 5.66 18.05 8.91 32.62 Regno 5.45 17.71 9.12 32.28

249 Queste cifre però, per sé stesse eloquentissime, sono cambiate notevol- mente dal 9 febbraio 1901 ad oggi; e, disgraziatamente, mutarono in peggio, appunto in quelle regioni, nelle quali si presentavano più anormali. È noto infatti come l’emigrazione siasi aumentata spaventevolmente in questi tre anni, e come le province del Mezzogiorno le abbiano portato il contingente quasi totale. Dal 1° gennaio 1901 al 30 giugno 1903 gli emi- granti definitivi del Regno furono 640,000, per cui è a supporsi che la fine di quest’anno la cifra ammonterà per il triennio a circa 800,0001. Mancano, purtroppo, ancora i dati per rilevare la provenienza di questi emigranti e la proporzione loro per sesso ed età. Nel 1901, però, le Calabrie, la Basilicata e gli Abruzzi concorsero com- plessivamente col 39.53% dell’intera emigrazione; e, supposto che questa proporzione siasi mantenuta (purtroppo forse è aumentata), sarebbero 316,000 individui sottratti ad una popolazione totale di 3,300,000 abitanti2. Dato che la proporzione dei maschi emigrati rispetto alle femmine fu in media fino al 1900 di 70 a 30 e quella degli adulti di 80 a 20 avremmo avuto, in un solo anno, una emigrazione di 220,000 maschi contro 96,000 femmi- ne e fra quelli di 176,000 adulti. Perciò, essendo il 9 febbraio 1901 la proporzione dei maschi adulti rispetto alla popolazione complessiva di quelle tre regioni del 29.33%, essa si sarebbe ridotta già (pur tenuto calcolo del numero dei minorenni diventati adulti, ma anche degli adulti deceduti) a poco più del 27%, mentre la media generale del Regno è di 32.28. Se di tre in tre anni dovesse ripetersi questo fenomeno, le fosche previ- sioni, cui ho accennato nel mio rapporto, avrebbero, disgraziatamente, una solida base!

1 Mette conto ricordare, per quanto non abbia strettissima relazione con questo studio, che la somma spesa da questa massa enorme di paria moderni per trasferirsi in America, ammonta, in cifra tonda, a non meno di novantasei milioni di lire, il 75% delle quali introitata da Compagnie di navigazione stra- niere! 2 Il numero delle vedove e delle donne col marito assente (95% in America) esistente al 9 febbraio 1901 nella Campania, nella Basilicata, nelle Calabrie, nelle Puglie e negli Abruzzi erano complessivamente di 385,000 sopra una popolazione di 8,423,000 abitanti; mentre la cifra totale del Regno, nonostan- te il numero enorme degli emigranti temporanei settentrionali nella stagione in cui avvenne il censi- mento non era che di 1,003,122 sopra 32,475,000 abitanti, con la proporzione cioè dal 30 al 46 per mille. (In Basilicata e Calabrie però essa arrivava al 65 per mille, oltre il doppio quindi della media del Regno).

250 * * *

Per fortuna, però, il mondo, nonostante tutti i dati statistici, va innanzi, pur sempre, per le forze meravigliose che in sé stesso possiede e che, riguardo alla popolazione, furono così mirabilmente intravedute da Malthus e da Darwin. E perciò il principio che la specie o gli esseri si riproducono tanto più facilmente quanto più facile ne è la distruzione o la perdita, si verifica in que- ste regioni col maggior numero di nascite nei maschi. E difatti vediamo, ad esempio, che nella provincia di Pavia (la quale conta 6200 abitanti più di quella di Potenza, i nati dal 1° gennaio al 4 febbraio 1901 non furono che 792 maschi e 791 femmine contro 1074 maschi e 939 femmine nati in Basilicata, e che i nati dal 1° gennaio 1895 al 9 febbraio 1901, mentre risul- tano 38,003 maschi e 37,467 femmine nella provincia di Pavia, persistono ad essere in Basilicata, non ostante le enormi cause di mortalità (alcune anche speciali per l’infanzia) nulla meno che 41,370 maschi e 39,120 femmine. Ciò dimostra che la vitalità popolare non è affatto presso a spegnersi in quella infelice provincia e che non è questione che di provvedimenti seri ed urgenti, perché possa ritornare allo stato normale. Ma di essi non è qui il caso di parlare; tanto più che le cifre stesse nella loro muta eloquenza ne dimostrano l’evidente necessità. Ecco invece all’uopo un altro dato che a corroborare l’opinione che pos- sono aver prodotto gli anteriori. Nel 1897, a parità quasi di popolazione i nati illegittimi furono nella provincia di Pavia 311, in quella di Potenza 645! Ed i nati morti (quindi non classificati) 530 per Pavia ed 896 per la Basilicata. Ma dei nati nel 1897 che furono 15,907 per la provincia di Pavia e 19,535 per quella di Potenza, non ne rimanevano al 9 febbraio 1901, per essere inscritti nel censimento, che 12,125 per Pavia e 12,600 per Potenza, il che equivale ad una mortalità nell’infanzia per questa provincia del 355%o e per quella solamente del 238%o in soli quattro anni.

* * *

Ma il 2° volume del censimento, oltre a dare cifre per sé stesse spiegabi- lissime, ne contiene altre che esigono, in chi le studia, un possesso troppo profondo di sociologia, perché possa darsene conto.

251 E difatti, tenendo sempre alla mano l’esempio della provincia di Pavia con quella di Potenza, dato che la popolazione dell’una è di 497,000 indivi- dui e quella della seconda di 491,000, ci risulta il seguente prospetto:

Tab. 3 Ripartizione del territorio

PROVINCIE POPOLAZIONE NUMERO ABITANTI presenti ASSENTI delle famiglie con dimora Fissa Abituale Pavia 496,925 108,700 487,234 9,735 17,148 Potenza 490,705 124,872 481,160 8,845 9,698

e gli assenti vengono classificati come segue:

Tab. 4 Assenti temporanei

PROVINCIE TOTALE In altre famiglie In altro Comune All’Estero nello stesso Comune del Regno

Pavia 17,148 1,118 12,035 3,995 Potenza 9,698 1,012 8,165 522

Tab. 5 Situazione delle famiglie

PROVINCIE CONIUGATI VEDOVI NUMERO FAMIGLIE di famiglie col capo assente o Maschi Femmine Maschi Femmine morto

Pavia 91,775 93,688 11,133 21,044 108,700 5,792 a) Potenza 92,532 103,439 7,005 28,914 124,872 25,285 b)

a) In questo prospetto si considerano come capi famiglia anche i vedovi senza prole; mentre non si tien conto delle vedove senza prole, le quali non pertanto avrebbero necessità d’un sostegno. Neppure le coppie di vegliardi cadenti che hanno tutti i figli robusti in America e neppur i bimbi orfani d’ambo i genitori, pei quali non v’ha speranza di rifugio che in due ospizi capaci complessivamente di 150 posti, vengono a contare in questa cifra pietosa. Ne risulta quindi che l’enorme sproporzione sarebbe ancor più aggravata, ove si potesse fare un computo esatto. b) I dati della tabella 10 sono ancora più eloquenti.

252 * * *

È tutta una falange di donne e di creature innocenti abbandonate, che atten- de da oltre Atlantico il pane per sfamarsi, mentre i campi sui quali ha vissuto sino- ra divengono sterili per mancanza di braccia robuste che li coltivino. Le migliaia di donne che a Garaguso-Corleto-Perticara e Craco accolsero l’onorevole Zanardelli, come le turbe dei fedeli correvano incontro in Giudea al Redentore, diedero una pallida idea della triste condizione d’alcuni villaggi a questo riguardo. Supposto che ad ognuna delle 25,285 famiglie della Basilicata, il cui capo non era presente all’epoca del censimento, occorrano per vivere trecen- to lire annuali (in ragione cioè di circa venti centesimi al giorno in media per ogni donna o minorenne), occorrerebbe pure che dalla provvida America entrassero annualmente in Basilicata nullameno che sette milioni e mezzo di lire unicamente per alimentazione meschinissima degli abbandonati. Si calcola, invece, che in quella provincia entrino annualmente da parte degli emigranti circa dieci milioni, ma non si riflette che la maggior parte di questi va a rimborso o pagamento d’interessi di debiti usurari, od in ricupe- ro ed acquisto di piccole proprietà; mentre ogni anno aumenta il numero di quelle famiglie le quali non hanno più notizia del proprio capo. Quei 25,000 uomini, trattenuti o richiamati in patria dal sicuro affidamento del rialza- mento economico del loro paese, mediante un razionale aiuto di credito agrario, produrrebbero annualmente assai di più; mentre invece sono 200,000 oramai i lucani che dall’America concorrono a formar questa somma tanto grande in apparenza e così insufficiente in realtà. A complemento quindi del precedente prospetto valgano quelli più detta- gliati che seguono: Tab. 6 Risultati della leva militare (anno 1897)1

RENITENTI DICHIARATI DICHIARATI abili COMPARTIMENTI INSCRITTI RENITENTI V ISITATI ‰ abili ‰ Lombardia 52,414 2,074 39 50,086 28,113 561 Emilia 28,614 665 23 27,597 15,782 572 Toscana 30,593 961 31 29,394 15,062 512 Abruzzi e Molise 19,446 1,245 642 17,982 9,545 531 Basilicata 8,312 1,313 158 6,905 3,133 452 Calabrie 21,423 2,191 102 18,960 8,812 465 Regno 406,935 26,430 65 376,945 199,586 530

1 A quest’ora, dopo 6 anni d’emigrazione enorme e colle facilitazioni accordate dalla legge, le condi- zioni devono essere assai più gravi. Vedasi il Rapporto nell’introduzione. 2 La provincia di Campobasso dà il 107‰.

253 Vale la pena di riflettere anche su questa tabella. La Basilicata offre quattro volte più renitenti alla leva che la Lombardia e sei volti e mezza più che l’Emilia, mentre presenta il 21 per cento di meno di coscritti abili al servizio militare. Poco dissimile è la condizione delle Calabrie. Tutto ciò che v’era di utile, di robusto, di DÉSIRABLE INMIGRA- TION stanno assorbendolo gli Stati Uniti, lasciando a noi… il resto. Il male si è che tutta codesta gente improduttiva la lasciano radunata appun- to laddove riesce di maggior peso, ed ha minore possibilità di aiuto. Così si spiega come possa anche avvenire la seguente proporzione o spro- porzione che si voglia, fra celibi e nubili nelle suaccennate regioni. Gli stor- pi, gli sciancati, gli inabili al lavoro o comunque incapaci a guadagno, non possono certo pensare a maritarsi.

Tab. 7 Celibi e nubili oltre i 16 anni d’età (1901)

PROPORZIONE tra loro PROPORZIONE per 1000 abitanti COMPARTIMENTI CELIBI NUBILI Celibi Nubili Celibi Nubili Lombardia 552,039 470,123 1,000 852 129 110 Emilia 332,805 263,482 1,000 775 138 107 Toscana 330,889 268,499 1,000 808 130 105 Abruzzi e Molise 136,024 134,444 1,000 989 94 93 Basilicata 44,631 42,072 1,000 945 91 86 Calabrie 138,142 136,005 1,000 980 101 99 Regno 4,090,913 3,442,683 1,000 841 126 106

Ma la sproporzione si accentua se entriamo nel campo delle famiglie e vediamo come l’elemento mascolino valido al lavoro vada scemando nel Mezzogiorno.

254 EDOVI V 565,872 518,710 1,141,582 ONIUGATI C EDOVI V ONIUGATI C Coniugati e vedovi distinti per sesso e gruppi d’età Coniugati e vedovi EDOVI V Dai 16 ai 21 anniDai 21 ai 50 anni Dai 50 anni in su Dai ONIUGATI MF MFM F M F M FM F REGIONI C BasilicataCalabrieAbruzzi 652Emilia 1,965Lombardia 1,835 4,905 11,327 21,706 156,158Regno 1,268 7,435 393 2,385 3,588,323 4,215,235 4 966 38 123,246 16,885 16 190 6,919 64 310,930 25 105 2,138,917 1, 24 140,851 57,334 167 158,898 193,540 111 71,569 484,648 410,944 3,288 257,352 1,054 556,011 3,356 17,435 305,191 6,563 19,246 11,089 89,395 12,699 37,770 112,500 34,486 19,304 65,132 263,366 95,051 26,955 164,107 16,734 54,849 185,566 23,278 50,601 120,369 5,947 22,287 76,197 144,342 49,105 84,168

Toscana 1,378 8,616 21 138255 281,405 325,366 13,104 22,787 173,230 130,746 53,019 85,176 Tab. 8 Tab. Le cifre troppo grosse e complesse sono causa sovente di confusione; è opportuno quindi riassumerle e proporzionarle: Coniugati Vedovi (a) Proporzione tra maschi e femmine coniugati vedovi Proporzione M F M F MF MF BasilicataCalabrieAbruzziPuglie 92,477Campania 232,213 103,552Piemonte 273,234 270,174Veneto 7,005 573,568 373,630Lombardia 20,061 313,541 567,546Emilia 26,650 613,301 28,918 372,261 72,474Toscana 52,916 582,517 749,282 538,769 26,562Liguria 1,000 61,795 1,000 74,717Regno 141,721 758,478 551,464 1,120 85,171 422,426 1,000 1,169 159,909 456,020 95,468 63,919 1,000 1,000 1,147 1,000 432,581 1,000 179,490 182,269 464,883 135,684 1,000 4,128 1,070 5,749,134 61,828 1,000 3,600 66,148 997 184,843 1,026 5,939,582 1,000 1,000 1,000 2,320 103,594 642,380 24,353 1,000 108,107 1,000 2,697 1,012 1,023 1,455,054 3,118 1,000 2,140 52,209 1,000 1,000 1,000 1,000 1,024 1,909 2,123 1,019 1,000 1,012 1,000 1,000 1,029 1,000 1,675 1,634 1,000 2,327 2,148 Regioni Coniugati Vedovi per 100 Proporzione a) Di cui 2,001 nate nel 1885 a) Di Tab. 9 Tab.

256 Tab. 10 Situazione delle famiglie all’epoca del Censimento (1901)

DIFFERENZA PROPORZIONE UOMINI FAMIGLIE per numerica fra le di famiglie FAMIGLIE coniugati o senza capo COMPARTIMENTI esistenti al vedovi ogni 1000 famiglie ed i presente per 9.2.1901 presenti capi abitanti presunti capi ogni 1000 famiglie famiglia famiglie Piemonte 767,418 642,263 231 -125,155 -176 Liguria 236,671 203,843 219 -32,728 -138 Lombardia 884,073 844,750 206 -39,323 -44 Emilia 493,462 484,254 201 -9,208 -18 Lazio 241,736 234,336 210 -7,400 -30 Abruzzi e Molise 322,969 299,884 224 -23,085 -71 Campania 735,641 626,484 233 -109,157 -148 Puglie 465,143 400,192 237 -64,951 -139 Basilicata 124,872 99,482 254 -25,390 -203 Calabrie 341,019 252,274 256 -88,745 -260 Sicilia 837,422 686,794 237 -150,628 -179 Sardegna 182,215 148,073 233 -34,142 -187 Veneto 562,081 602,688 179 +40,607 +72 Toscana 497,695 522,168 195 +24,473 +46 Umbria 126,893 134,251 190 +7,358 +58 Marche 208,214 209,778 196 +1,564 +7 Regno 7,027,524 6,391,514 215 -636,010 -90

Per ben comprendere quest’ultima tabella convien ricordare in qual modo si sogliono costituire le famiglie nelle varie regioni d’Italia. Il sistema patriarcale ha le sue manifestazioni maggiori in Veneto, in Toscana, nell’Umbria, nelle Marche e nell’Emilia. In Basilicata e Calabria v’hanno paesi in cui non si effettua un matri- monio se non è preparata apposta la casetta per albergarlo. Il comune di Pisticci, offre, a questo riguardo, un esempio ed uno spettacolo interessantis- simo. In Lombardia e nel Lazio l’influenza delle grandi città si fa sentire nella composizione delle famiglie pel gran numero di persone che vivono isolate; come in Toscana influisce pure la grande quantità di pensionati d’ogni regio-

257 ne d’Italia che vi accorrono attratti dal buon mercato della vita domestica. Questi fattori contribuiscono ad equilibrare i vuoti lasciati dall’emigra- zione temporanea importantissima nel Piemonte e nelle regioni montane della Lombardia e del Veneto; sì che la cifra di 176 famiglie per mille che si verifica in Piemonte non ha affatto il valore di quella di 148 che risulta nella Campania in cui la città di Napoli esercita, non pertanto, un grave peso. L’Abruzzo ed il Molise offrono apparentemente una cifre inferiore alla media del Regno, ma accanto a Teramo che offrirebbe un’eccedenza del 92 per mille di presunti capi-famiglia in relazione al numero delle famiglie esistenti, abbiamo Aquila e Campobasso le quali soffrono rispettivamente del 169 e del 112 per mille di deficienza. Così nel Veneto, Belluno ha una deficienza del 111 per mille, mentre in Lombardia Cremona ha un’eccedenza del 3 per mille, cui corrispondono nelle Calabrie Cosenza col 293 ed in Basilicata il circondario di Lagonegro col 307 per mille di famiglie il cui capo è assente o morto. Ma queste cifre ci dimostrano pure dove esista grave pletora di popolazio- ne ed ove, regolata con sagge misure, l’emigrazione sarebbe realmente a consi- derarsi proficua. L’Emilia e le Marche non offrirebbero guari di un opportuno drenaggio; e se l’esuberanza che qui notiamo si potesse adoperare a colmare i vuoti delle regioni meridionali, guadagnerebbe l’Italia in ricchezza, in quiete ed in rialzamento fisico di razze incrociate1.

* * *

Ma anche una brevissima analisi delle tabelle precedenti non viene inoppor- tuna. Mentre noi vediamo che al di sotto dei 16 anni le cifre rimangono quasi uguali in ogni regione; ecco manifestarsi la sproporzione già nel gruppo dai 16 ai 21 anni, inacerbirsi nel gruppo successivo e quindi decrescere dai 50 in su, dappertutto eccetto che il Basilicata, dove arriva invece ad una cifra invero- simile. Dobbiamo dedurre da questo che, mentre nelle Calabrie e negli Abruzzi esisteva ancora, all’epoca del censimento, una discreta tendenza al ritorno

1 Vedasi all’uopo quanto si disse circa le tenute di Grassano e Monticchio.

258 dell’emigrante, con la conseguente introduzione nel Regno d’una certa ric- chezza rappresentata da risparmi accumulati, in Basilicata, invece, era spari- to anche questo pur problematico beneficio dell’esodo. E frattanto dobbiamo notare come i vecchi vadano raccogliendo allori in campi riservati ad altre età e, mentre in Lombardia il numero dei coniugi maschi al disopra dei 50 anni è di 61 per 1000 abitanti, in Basilicata esso arriva a 70, negli Abruzzi a 78, con quale utilità pel miglioramento della razza è facile immaginare! Ma ciò che aggrava singolarmente la condizione delle plebi meridionali è il numero enorme di vedove in rapporto ai maschi ed anche all’intera popola- zione; giacché in Basilicata esse sono oltre quattro volte più numerose dei vedo- vi, e rispetto alla popolazione figurano pel 58 per 1000, mentre in Lombardia appena arrivano al 22. Rimane a decidere come si potrà tra qualche anno sopperire al sostenta- mento di tutta questa gente infelice, se le condizioni della Basilicata non si miglioreranno con provvedimenti pratici ed efficaci. Se esigenze imperiose di spazio e di tempo non lo vietassero, verrebbe molto a proposito riprodurre qui nella loro integrità le splendide pagine scrit- te in proposito dal cav. G. Spera, circa le cause e gli effetti della emigrazione, nel suo recentissimo libro sulla Basilicata; dalle quali risalta chiaramente come, non l’esuberanza, ma il meglio della popolazione abbia abbandonato il suolo lucano. Reintegrare nelle proporzioni normali la popolazione, non solo della Basilicata, ma anche delle province finitime, dovrebbe essere quindi il compito precipuo ed immediato, per chi dovesse o volesse, rialzare veramente le sorti di quelle disgraziate regioni.

* * *

L’esposizione delle cifre relative al censimento sarebbe finita, per l’ogget- to che ci proponiamo, se non valesse forse la pena di ricondurre anche un esempio più ristretto, il quale potrebbe riuscir molto utile per le considera- zioni che si dovranno fare più innanzi. Volli scegliere all’uopo quattro circondari appartenenti a regioni com- pletamente distinte ed aventi, qual più qual meno, la stessa popolazione. Il circondario di Lagonegro (Basilicata) è tra i più afflitti dal fenomeno emi-

259 gratorio e questo è causa, ad un tempo, ed effetto dell’enorme disagio di quelle popolazioni. Il circondario di Chiavari (Liguria) è tra quelli dell’alta Italia che hanno fornito e continuano a fornire il maggior contingente all’emigrazione, la quale, invece è una delle cause precipue della sua invidiabile prosperità. Il circondario di Rimini (Romagna) non ebbe sinora che limitatissimo esodo (per quanto le condizioni della popolazione non siano guari soddisfa- centi); ed avrebbe in sé gli elementi migliori, per quella colonizzazione inter- na di cui tanto si predica la necessità. Il circondario di Crema (Lombardia) presenta la stessa enorme densità di popolazione del precedente, senza che qui si verifichino i disturbi sociali non rari in quello; e non pertanto l’emigrazione non ha neppur qui altro che manifestazioni affatto sporadiche; perché lo sviluppo razionale dell’agricol- tura vi ha portato quel benessere che nella maggior parte del Mezzogiorno (posta in eguali condizioni) non tarderebbe a regnare. Ecco perciò alcuni specchietti, che si riferiscono a questi quattro circon- dari, nei riguardi della popolazione. Nella seconda parte di questi appunti, trattando brevemente della vita municipale delle regioni in cui l’emigrazione si manifesta in modo anorma- le, riapparirà questo confronto; e le cifre ne acquisteranno maggiore valore.

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Serva di riassunto a tutte le tabelle precedenti (ed a prova indiscutibile dell’anormalità delle condizioni demografiche nelle province del Mezzogiorno più afflitte dall’emigrazione) il calcolo seguente, desunto dalla Tavola III C del II volume del censimento 1901 testé pubblicato. Si tenga presente: 1° che, se la longevità è più frequente nel Mezzogiorno in confronto delle province dell’Italia alta e centrale, vi è in proporzione inversa nei vecchi la capacità a proficuo lavoro; 2° che per le nubili non esi- ste o quasi il mezzo colà a procurarsi la vita come, pei numerosi stabilimen- ti industriali avviene invece nel nord; 3° infine che la beneficenza (come vedremo più innanzi) vi è assai limitata.

260 Prendendo quindi per base il numero dei maschi adulti dai 16 ai 50 anni presenti all’epoca del censimento risulta:

Tab. 10-bis Per ogni 1000 maschi dai 16 ai 50 anni di età

FANCIULLI NUMERO di DONNE DAI 6 AI 50 ANNI INDIVIDUI d’ambo i persone impro- D’ETÀ d’ambo i sessi COMPARTIMENTI sessi al di duttive o quasi oltre i 50 anni sotto di 6 ogni 1000 Nubili Maritate Vedove d’età anni d’età maschi adulti Lombardia 643 828 564 37 746 2818 Emilia 629 820 556 37 815 2857 Toscana 616 814 561 38 833 2862 Abruzzi e Molise 762 889 751 39 1001 3442 Basilicata 797 817 759 65 964 3402 Calabrie 834 850 750 64 929 3427 Regno 657 819 581 41 799 2897

Questa tabella mi sembra non abbia bisogno di commenti; parlano trop- po chiaro le cifre!

Tab. 11 Popolazione in relazione alla superficie, al sesso ed allo Stato Civile

Superfi- POPOLAZIONE CONIUGATI VEDOVI Densità cie in in Kmq Kmq M F Totale MFMF CIRCONDARI Lagonegro 2,389 48,523 59,263 107,86 45 17,949 22,989 1,720 6,538 Chiavari 965 53,193 58,263 111,456 122 17,726 18,770 2,339 6,387 Rimini 513 50,599 50,393 100,992 196 17,154 17,605 2,331 4,168 Crema 500 48,992 47,070 96,062 192 17,234 17,199 2,475 3,820

261 Tab. 12 Proporzione nei rapporti del sesso e dello Stato Civile e percentuale di adulti

Adulti dai 16 anni in Popolazione totale Coniugati Vedovi su per 100 abitanti Circondari M F M F M F M F

Lagonegro 1,000 1,221 1,000 1,286 1,000 3,801 27,29 38,03 Chiavari 1,000 1,095 1,000 1,061 1,000 2,731 30,19 34,99 Rimini 1,000 805 1,000 1,026 1,000 1,800 32,50 32,30 Crema 1,000 953 1,000 991 1,000 1,543 33,09 21,56

Tab. 13 Ripartizione della popolazione nel territorio e nelle famiglie

Popolazione Numero di Circondari Frazioni Famiglie comuni Agglomerata Sparsa pei poderi

Lagonegro 39 16 88,442 19,344 28,435 Chiavari 28 56 60,991 50,465 24,914 Rimini 18 42 36,275 66,717 19,682 Crema 68 56 76,263 19,799 (a) 19,687

a) La popolazione residente in frazioni di due o più case viene considerata agglomerata.

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La sproporzione fra gli elementi costitutivi della popolazione non potrebbe essere più evidente in quel circondario appunto, in cui, nella mia recente visita in Basilicata, dovetti constatare le maggiori miserie. La minima percentuale dei maschi adulti, la massima nelle femmine, il minor numero di centri popolosi nel maggior spazio di territorio e l’agglome- razione antigienica ed antieconomica della popolazione, sono altrettante cause di disagio, ed altrettanti stimoli ad emigrazione, sempre più perniciosa. La spro- porzione in senso contrario che si nota nell’Emilia, e più specialmente nelle Romagne, dà ragione invece dei disturbi sociali che colà vanno verificandosi.

262 Da ciò a tentare con mezzi efficaci di produrre un equilibrio (ricordan- do all’uopo quegli esempi isolati, ma importantissimi, cui ho accennato nel mio rapporto ufficiale, relativamente alle colonie agricole di Monticchio, Grassano, Pignola e Policoro), non dovrebbe esistere particolare contrarietà. Non è il caso, ripeto, di entrare al riguardo in disquisizioni speciali; ma solo di far rilevare, oltre che l’opportunità, anche la necessità di attribuire a questo problema quell’attenzione che finora gli è stata negata. Emigrazione spontanea dai punti che abbiamo studiato, non esiste attual- mente, perché quella che avviene è prodotta forzatamente da cause, le quali è in potere dello Stato eliminare. A nessun ufficio meglio che al Commissariato dell’emigrazione dovreb- bero far capo le misure necessarie al riguardo.

* * *

Ma le cifre relative al censimento potrebbero valere, in gran parte, sola- mente quali prove della necessità di provvedimenti; ma non già quali indica- zioni delle misure che si dovrebbero adottare per distruggere le cause d’una emigrazione dannosa. Occorrono all’uopo altri dati, moltissimi dei quali sono già scaturiti dalle dotte discussioni circa i sistemi tributari dello Stato, la riforma agricola, i concetti cui s’informano i trattati del commercio, la ripartizione dei lavori pubblici, le agevolazioni dei trasporti e la distribuzione del credito agrario. Non mi soffermerò, quindi, per ora, su questi argomenti, richiamando invece l’attenzione sulle condizioni fatte alle classi proletarie rurali dai sistemi amministrativi e tributari comunali in vigore nel Mezzogiorno e che io non ebbi, disgraziatamente, altro campo di studiare da vicino, che in una terza parte dei comuni della Basilicata. La questione si allaccia necessariamente a quelle che riguardano le rifor- me generali tributaria, agraria ed amministrativa, che stanno all’ordine del giorno; ma io mi permetterei di osservarla sotto un punto di vista, che fino- ra non fu guari toccato nelle discussioni. Le cifre che potrò allegare sono di data piuttosto antiquata, ma poiché il disagio venne aumentando d’allora in qua, apparisce, di leggieri, come esse debbano essere tanto più attendibili. I bilanci comunali dell’alta ed anco della media Italia hanno la loro base

263 principale d’entrata nelle imposte che colpiscono più direttamente le classi abbienti nella proprietà fondiaria; né qui è il caso di discutere se (economi- camente) sia questo o meno un errore. Nel Mezzogiorno invece si nota una tendenza affatto opposta e (senza troppo generalizzare) nei comuni da me visitati risulta evidente un sovracca- rico esagerato sugli individui che fanno parte della comunità e su quelle pic- cole industrie da cui ritraggono una pur misera vita. Le sovrimposte su terreni e fabbricati sono ben lungi dal paragonarsi in entità a quelle applicate nel Nord; e, pertanto, un illustre pubblicista ed uomo di governo lucano assicurava testé come l’abolizione di esse avesse ad essere tra le prime misure efficaci per la rigenerazione economica della Basilicata1. Io non mi attenterò certo a discutere quest’affermazione, la quale ha la sua base principale nella necessità che esisterebbe di sopprimere qualsiasi classe d’imposta per gente che non ha pane a sufficienza, e mi limiterò quindi mode- stamente ad una esposizione di cifre, nell’intento di dimostrare come quell’emi- grazione, che l’illustre deputato considera tanto dannosa, possa avere origine in imposte anche di tutt’altra natura.

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Il numero immenso di analfabeti che si riscontra nel Mezzogiorno restringe necessariamente a pochi la partecipazione alle pubbliche ammini- strazioni; ed è naturale che questi pochi, appartenenti alle classi proprietarie, cerchino di far ricadere sulla generalità della popolazione i carichi maggiori della finanza comunale, proteggendo invece la rendita pur tanto ridotta, delle loro proprietà2. Ed ecco quali risultati mi darebbero lo spoglio coscienzioso della pub- blicazione del Ministero di agricoltura, industria e commercio, relativa ai bilanci comunali per l’anno 18993.

1 La Basilicata, On. Pietro Lacava, Nuova Antologia, fasc. 1° maggio 1903. 2 La Basilicata, G. Spera, Roma 1903. 3 Bilanci comunali, pel 1899 - Ministero d’agr., ind. e comm. - Roma 1899

264 Tab. 14 Quota di partecipazione per ogni abitante alle principali imposte comunali

SOVRIMPOSTA TASSE comu- DAZIO TASSA sul TASSA FONDIARIA nali escluso il REGIONI consumo bestiame da focatico dazio e comunale lavoro Per abitante Per ettaro sovrimposta Basilicata 1.42 0.94 0.47 1.94 (a) 0.96 1.65 Calabria 2.41 0.72 0.42 2.35 2.07 1.45 Abruzzi 1.63 0.88 0.59 1.75 1.53 1.79 Lombardia 3.57 0.25 0.14 5.36 9.44 1.70 Veneto 3.38 0.23 0.12 5.50 7.02 1.05 Liguria 14.09 0.65 0.16 4.19 8.56 2.16 Regno 4.59 0.64 0.12 4.12 4.68 2.25

(a) L’on. Lacava nel suo bellissimo studio sulla Basilicata, dianzi accennato, darebbe per sovrim- posta il computo relativo al 1902 che equivale a 2.10, mantenendo pel resto la cifra del 1899.

Tab. 15 Quota di partecipazione per abitante e per ettaro di superficie alle imposte sui terreni

SOVRIMPOSTA SOVRIMPOSTA COMUNI IMPOSTA ERARIALE ROVINCIALE COMUNALE TOTALE eccedenti la Terreni e fabbricati P sovrimposta Terreni e fabbricati Terreni e fabbricati REGIONI di 50 cent. Addizionali Per abit. Per ettaro Per abit. Per ettaro Per abit. Per ettaro Per abit. Per ettaro (per100) Basilicata 23 5.85 2.89 3.74 1.85 1.94 0.96 11.23 5.70 Calabria 65 3.96 3.62 3.22 2.94 2.35 2.07 10.07 8.63 Abruzzi 36 3.78 3.30 2.49 2.17 1.75 1.53 8.02 7.00 Lombardia 82 7.25 12.76 2.30 4.05 5.36 9.44 14.91 26.25 Veneto 92 5.11 16.52 2.47 3.15 5.50 7.02 13.08 16.99 Liguria 79 6.27 12.83 3.12 6.88 4.19 8.56 13.58 37.77 Regno 69 6.01 6.82 2.67 3.03 4.12 4.68 12.80 14.53

Mentre queste cifre sono state raccolte e messe a confronto per dimostrare l’in- giustizia di cui sono vittime le classi popolari delle tre regioni più disgraziate del Mezzogiorno, parrebbero invece radunate espressamente per rendere più manife- sta la grave disuguaglianza di pesi sulle proprietà immobili a danno dei possidenti settentrionali.

265 È bene perciò affermare ch’esse non hanno affatto questo scopo, impe- rocché la disuguaglianza proviene da cause che nulla hanno a che fare con l’argomento della perequazione. Il proletario della Basilicata appartenente pei 9/10 alla classe rurale paga in media poco meno (proporzionalmente) di quanto paga il proletario lombardo appartenente per 7/10 alla classe operaia; chi paga realmente meno è il possidente; ma (per mille altri motivi) la sua condizione è infinitamente peggiore di quella del possidente settentrionale. Il male si è che delle sue miserie pensi a rivalersi sui proletari. Ciò che risulta infatti e che doveva risultar chiaro da questi prospetti, è che le classi proprietarie (e quindi dirigenti) nelle province afflitte da emi- grazione dannosa, rendono con l’applicazione delle imposte comunali ancor più miserevole l’esistenza delle classi lavoratrici e creano con ciò la spinta più poderosa all’esodo loro. Ed è tanto vero che quest’esodo ha la causa principale negli aggravi comunali, che in alcuni comuni della Basilicata (e precisamente nel circon- dario di Matera) i Consigli municipali, in vista della mancanza di braccia prodotta dall’emigrazione, hanno escogitato, quale mezzo di produrre una immigrazione artificiale dalle regioni limitrofe, la promessa di esonero totale agli immigranti delle tasse municipali. Oh non sarebbe più equo diminuire il carico ai cittadini non ancora emigrati, per evitare che il vuoto si allarghi? Ostano le necessità dell’amministrazione e le condizioni, d’altra parte miserrime, dei proprietari? - Si provveda in questo caso in modo diverso, ma non si mantenga da un lato la spinta ad emigrare, per creare dall’altro un allettamento ingiusto per colmare i vuoti!

* * *

Purtroppo però la spinta all’esodo non proviene solamente dalla inegua- le distribuzione degli aggravi; ma altresì (e molto) dal modo con cui si spen- dono i proventi municipali. È indubitabile che il peso di 2, 3 e persino 5 lire annuali in media per ogni individuo, senza distinzione di sesso o d’età, per la sola tassa focatico, costituisce un formidabile incentivo ad emigrare. Ma non è men vero che la mancanza d’ogni comodità e d’ogni pubbli- co ausilio nelle disgrazie, l’impossibilità di avere un medico che assista nelle

266 infermità, di un rifugio qualsiasi in caso di bisogno, di una medicina, che ridoni la salute senza disseccare la borsa, od almeno di un necroforo munici- pale che venga a sollevare il cadavere d’un congiunto per portarlo al cimite- ro, fanno apparir meno dolorosa la via dell’esilio. Anche qui la statistica fornisce dati utilissimi, per quanto di data poco recente, e relativi a spazi troppo vasti. Trattandosi di dolori riparabili, con- verrebbe poter offrire esempi più ristretti e poter considerare, non solo per provincia, ma per circondario, per comune e, quasi famiglia per famiglia, le cause di così lamentevole disagio. Prima però di ricorrere alle cifre dei bilanci comunali, non è fuori di luogo dare uno sguardo al modo con cui è organizzata la beneficenza pub- blica sulla quale i proletari devono far pure assegnamento. Qui pure le cifre proporzionali daranno un concetto più rapido delle differenze.

Tab. 16 Patrimonio delle Opere Pie Quota di partecipazione per ogni abitante sul patrimonio

OPERE PIE TOTALE REGIONI Esistenti prima del 1880 Lasciti o creazioni dal 1880 al 1898 per abitante Somme Per abitante Somme Per abitante Basilicata (a) 6,606,720 13.45 1,301,021 2.65 16.10 Calabria (a) 10,869,817 7.93 1,304,703 0.95 8.88 Abruzzi 25,051,763 17.39 1,484,541 1.03 18.41 Lombardia (b) 424,956,075 99.24 80,152,642 18.71 117.95 Veneto 134,051,068 42.77 19,141,713 6.11 48.88 Liguria 86,191,398 80.03 (c ) 41,029,336 38.09 118.12 Regno 1,867,159,222 58.43 294,796,966 9.08 67.51

(a) Dal 1880 in poi questo patrimonio venne in gran parte perduto per la rovina delle istituzioni. (b) Non vi figura la Cassa di Risparmio delle province lombarde, dei cui redditi gran parte va in bene- ficenza. (c ) Quest’aumento spetta per metà al lascito della duchessa di Galliera.

267 Tab. 17 Beneficenza Provinciale Bilancio 1897

REGIONI Per abitante

Basilicata...... 0.48 (a) Calabria...... 0.55 Abruzzi...... 0.39 Lombardia...... 0.84 Veneto...... 0.68 Liguria...... 1.01 Regno 0.66

(a) In Basilicata non esiste, quasi, beneficenza privata, perché la maggior parte dei pochi che la potrebbero fare è assente per undici mesi dell’anno; quindi, fuori che a Potenza, a Melfi ed a Matera, non si trovano neppure mendicanti, ai quali nessuna speranza arriderebbe d’aiuto. La miseria popola- re è quindi arrivata a tal grado, che perfino le sue più naturali manifestazioni dovettero modificarsi.

Di fronte a queste cifre non è avventato il pensare come spetti allo Stato di condurre un certo equilibrio nella distribuzione dei redditi di questo patri- monio colossale lasciato dalle generazioni passate, quando l’idea d’una Italia unita sembrava un’utopia ed ognuno non pensava che al proprio campanile. Ostando statuti, tradizioni e pretese, l’erario dovrebbe sopperire ora, per non aver più tardi a sobbarcarsi a maggiori sacrifici.

268 Ecco ora la distribuzione proporzionale sulle spese:

Tab. 18 Quota per ogni abitante sulle spese pei principali servizi dei Comuni

PULIZIA LOCALE ed igienica SPESE di OPERE BENEFI- Sicurezza REGIONI amministra- Spese varie Assistenza ISTRUZIONE pubbli- CENZA medica ai pubblica zione ospedali poveri che ostetrici obbligatoria Basilicata 2.07 0.22 (a) 1.86 0.26 1.52 1.78 0.19 Calabria 1.88 0.30 2.69 0.39 1.34 1.61 0.22 Abruzzi 2.19 0.23 3.09 0.47 1.54 1.59 0.23 Veneto 2.88 1.35 2.31 (c) 0.76 2.47 2.12 0.28 Lombardia 2.77 0.79 2.79 (c) 0.68 2.96 1.85 0.31 Liguria 5.31 (b) 0.93 3.56 0.38 (d) 3.97 4.75 0.33 REGNO 3.03 0.76 2.85 0.49 2.49 2.37 0.31

(a) V. nota (a) della Tab. 14 alla pagina precedente. (b) Contribuisce in gran parte a questa cifra straordinaria il servizio pel dazio consumo, il quale dà nel prospetto anteriore la cifra enorme di L. 14.09 per abitante ed è sopportato in massima parte dagli innumerevoli alberghi, zeppi di forestieri in ogni stagione. (c) La grande quantità di Opere pie a favore degli infermi giustifica questa apparente deficienza, mentre aggrava l’importanza delle cifre precedenti, data la mancanza quasi assoluta in quelle regioni di tali istituzioni. (d) Fa riscontro a questa cifra quella della colonna precedente, in cui figurano le spese per ospe- dali e sussidi agli infermi.

* * *

Risulta da quest’ultimo specchietto come le spese generali d’amministra- zione siano di poco diverse da quelle in cui ogni altra regione sono caricati i contribuenti; ma a quale enorme diversità corrispondono invece i servizi! Ed ecco che ciò che si spreca in spese d’amministrazione viene rispar- miato nella beneficenza e nell’assistenza medica, di cui v’ha pur tanto biso- gno, e nella istruzione che rialzerebbe il livello intellettuale delle classi lavo- ratrici. L’equilibrio si ristabilisce apparentemente nella rubrica Opere pubbliche; ma, mentre nelle regioni settentrionali queste opere sono volte generalmen- te a migliorare ed accrescere la viabilità e la canalizzazione delle acque, esse

269 non servono disgraziatamente qui, che a riparare i anni di frane ed allaga- menti, e debbono necessariamente rinnovarsi senza lasciar traccia dei sacrifi- ci occorsi che nelle esauste borse dei miseri contribuenti. Quale risultato di questi aggravi, della diminuita rendita dei terreni e dell’abbandono dei fondi e delle casupole di cui non poterono i proprietari emigrati, anche a misero prezzo, disfarsi, abbiamo le seguenti cifre.

Tab. 18 bis Vendite forzate d’immobili nel 18971

PER MANCATO pagamento imposta PER MANCATO pagamento dei debiti COMPARTIMENTI Media per ogni Espropriazioni Media per ogni Esecuzioni fiscali 100,000 abitanti effettuate 100,000 abitanti Lombardia 88 2.59 168 4.94 Emilia 154 6.91 324 14.55 Toscana 187 5.04 225 10.91 Abruzzi e Molise 766 76.20 144 14.32 Calabrie 537 41.89 259 20.21 Basilicata 277 51.36 137 25.41 Regno 9752 33.78 4696 16.22

1 Annuario statistico 1900

Le cifre che antecedono sono l’indice indiscutibile della necessità ed urgenza di ripopolamento razionale, di riforme amministrative e di sgravi. Ma tutte le misure, che si avessero a prendere a questo riguardo, sareb- bero inefficaci a rallentare l’esodo emigratorio e la progressiva rovina di regio- ni un tempo floridissime, ove non si pensasse a distruggere l’usura ed a dar modo ai piccoli proprietari, che costituiscono i quattro quinti delle popola- zioni Lucane e Calabresi, di trarre dal loro lavoro e dalla loro proprietà un equo compenso. Ma né in Basilicata né in Calabria esistono, almeno apparentemente, i capitali che sarebbero necessari al ripristinamento di un credito agrario bene- fico. Conviene quindi attirarveli, non con mezzi empirici, che sui capitalisti non

270 hanno presa, né col pretendere che Province e Comuni, i cui bilanci sono esausti, provvedano le basi principali. Lo stato deve contribuire; ma il suo contributo è necessariamente limi- tato dalle esigenze generali; mentre, invece, è indubitabile che anche in regio- ni così povere esistono somme enormi assolutamente improduttive per man- canza di fiducia nelle istituzioni cui dovrebbero essere affidate. Nel progetto di legge a favore della Basilicata, preparato con intelletto d’amore dall’illustre e compianto Giuseppe Zanardelli, non si tiene conto a proposito del nuovo Istituto di credito agrario a fondarsi, di questo possente ausilio; mentre si pretende un nuovo sacrificio dal bilancio provinciale. A questa dimenticanza riparerà certamente la Commissione che sta rive- dendo il progetto; ma non è inopportuno ricordare, che con la limitazione esagerata degli interessi che l’istituzione potrà pretendere, non è a sperarsi che si produca un allettamento al concorso dei capitali privati. Così, lo spazio di 50 anni che si vuol concedere alle ammortizzazioni porterà l’esaurimento rapidissimo di ogni risorsa, e, dopo una effimera sosta, l’usura ripiglierà più possente la sua azione demolitrice. Non è qui il caso di estendere maggiormente la larva di progetto che mi permisi indicare nel mio rapporto; ma varrebbe la pena di dedicarvi una certa riflessione. Ecco frattanto uno specchietto succinto dei capitali affidati ad Istituti di credito popolare e di risparmio, nelle regioni sulle quali si sono fatti i prece- denti confronti.

Tab. 19 Istituti di credito popolare (1898)

PROPOR- CASSE di rispar- SOCIETÀ coo- CASSE postali ZIONE per COMPARTIMENTI mio ordinarie perative di cre- di risparmio TOTALE abitante (1899) dito (1899) (1897) Lire

Lombardia 600,777,000 120,400,000 59,200,000 780,379,000 182 Emilia 155,673,000 23,468,000 15,517,000 194,658,000 80 Toscana 167,660,000 3,912,000 42,178,000 213,750,000 84 Abruzzi e Molise 9,882,000 2,640,000 10,025,000 22,547,000 16 Calabrie 9,075,000 6,074,000 14,469,000 29,618,000 22 Basilicata 159,900 862,800 8,900,800 9,923,700 20 Regno 1,430,816,000 233,842,000 533,404,000 2,198,062,000 67

271 Da questo prospetto, oltre che l’enorme differenza nel capitale deposita- to in proporzione agli abitanti, appare evidente come accorrano spontanei e volenterosi i capitali laddove esiste sicurezza assoluta d’impiego anche a mitissimo interesse. Perciò la garanzia dello Stato per gli interessi dei depositi, o meglio assai per le azioni dell’istituenda Cassa di credito fondiario per la Basilicata, sareb- be il vero, il proprio mezzo per dar vita florida e possente all’istituzione. Di quale beneficio possano riuscire alla Basilicata i nove milioni (che ammontano attualmente ad undici) depositati nelle Casse postali di Risparmio, non è facile farsi un’idea; riesce invece interessante il prospetto che si riferisce alla distribuzione del credito fatto dagli Istituti di emissione nell’anno 1899 nelle varie regioni.

Ammontare degli sconti e delle anticipazioni fatte dagli Istituti d’emissione nell’anno 1899

PROPORZIONE COMPARTIMENTI SOMMA TOTALE in Lire per abitante

Lombardia 607,670,734 141.89 Emilia 110,639,067 42.25 Toscana 221,290,247 86.42 Abruzzi e Molise 20,367,012 14.83 Calabrie 42,124,237 30.74 Basilicata 2,140,680 4.36 Regno 3,154,672,360 97.14

In relazione a queste cifre stanno quelle dei protesti cambiari e dei falli- menti, le quali potrebbero anche attestare l’onestà commerciale dei commer- cianti della Basilicata. Difatti dalla statistica del 1897 in proposito si desu- me che in Basilicata si ebbero 15 protesti cambiari e fallimenti 1.30 su ogni 100,000 abitanti contro 27 protesti ed 11 fallimenti in Lombardia e rispet- tivamente 36 ed 8.50 nella media generale del Regno. Altri dati non meno interessanti potrebbero desumersi dalle cifre riguar-

272 danti il movimento degli altri Istituti Bancari, quello delle Poste e quello della Giustizia, ed infine, quello dello stato delle vie di comunicazione; ma non farei complicare una dimostrazione, la quale sembrami oramai suffi- cientemente corredata di prove materiali.

* * *

Il fenomeno dell’emigrazione non deve ritenersi, né una disgrazia, né una fortuna per l’Italia; esso può essere l’una e l’altra a seconda della località e del tempo in cui si manifesta, delle località cui si dirige e del modo con cui si verifi- ca. Il disagio delle classi lavoratrici e dei piccoli proprietari è causa, bensì, dell’e- migrazione: ma di essa è anche indubbiamente un effetto, il quale va giornal- mente aggravandosi. Non spetta a me indicare quanto si debba fare in proposito; a me basti affer- mare come, dopo gli studi fatti, mi sia formato la convinzione che oggi in Basilicata ed in alcune zone delle Calabrie e degli Abruzzi, l’emigrazione costi- tuisce un vero disastro. Per chi non ha molta consuetudine coi numeri riflettenti il movimento della popolazione, le cifre sopra riferite non bastano e converrebbe forse scen- dere a più minuti confronti; ma per lo scopo ch’ebbe la missione, ch’io pro- curai di compiere come meglio ho potuto, confido siano riuscite a dimostra- re quanto lo studio del fenomeno emigratorio, nelle sue origini e nei suoi effetti in Italia, renda necessaria la provvida azione del nuovo Ufficio istitui- to dalla legge.

BIBLIOGRAFIA E FONTI

1. Interpellanza sulla Basilicata - Marzo 1902 - On. Ettore Cicciotti. 2. La Basilicata nella questione meridionale - Sulle condizioni economiche della Basilicata - Discorsi dei consiglieri provinciali: Fontana-Cantisano- Potenza, maggio 1902. 3. La Basilicata - Cenni geografici e storici - Prof. Pietro Orsi. 4. Storia delle popolazioni lucane - G. Raccioppi. 5. La regia Cattedra di zootecnia e caseificio della Basilicata - Il problema agrario e zootecnico - Relazione sull’impianto di Stazioni di monta tau-

273 rina - Frutticoltura razionale - La razza bovina in Basilicata - Funzionamento dei Consorzi agrari - Ricerca di acqua potabile - La col- tura delle leguminose da foraggio - Proposte varie - Prof. Giovanni Salerno. 6. Relazione sulle Cattedre ambulanti di agricoltura della Basilicata - Prof. D. Bellini. 7. Per la Basilicata - La voce dei campi - Progetto di riforma agraria - On. Maggiorino Ferraris. 8. La Basilicata - On. Pietro Lacava. 9. La riforma agraria - On. Antonio Salandra. 10. Pel Mezzogiorno d’Italia - On. Ettore Cicciotti. 11. Scritti sulla Questione sociale - Pasquale Villari. 12. Nord e Sud - Francesco Nitti. 13. Italiani del Nord e Italiani del Sud - A. Niceforo. 14. Discorsi e relazioni parlamentari - Sonnino - Fortunato - Materi - Lacava - Gianturco - Cicciotti - Sacchi - D’Onofrio - Torraca - Balenzano - Chimirri - Boselli - ecc. ecc. 15. Note geologiche sulla Basilicata - C. De Giorgi. 16. Il problema agricolo e l’avvenire sociale - Virgili. 17. La colonizzazione dei terreni incolti in Italia - Guffanti. 18. Id. id. in Prussia - Mazzola. 19. Le condizioni igieniche del circondario di Lagonegro - Dottor A. Vitale. 20. La Basilicata - Ing. G. Spera. 21. Atti dell’inchiesta agraria - Relazione di Ascanio Branca. 22. In Calabria - Caterina Pigorini-Beri. 23. Discorsi di Giuseppe Zanardelli - 1902 - Napoli, Potenza, Lagonegro, Matera, Rionero. 24. Progetto di legge a favore della Basilicata - Ministero Zanardelli. 25. Id. id. id. - Ministero Giolitti. 26. Memoriali dei comuni di Avigliano, Pignola, Rotonda, Chiaromonte, Senise, Noepoli, Terranova del Pollino, Valsinni, Matera, Fardella, San Chirico Raparo, Rapolla, Rionero in Vulture, Montescaglioso, Castelgrande, ecc. 27. Memoriali del dottor A. Vitali di Teana - Dottor L. Mango di Avigliano - Dottor G. Melidoro di Valsinni - Comm. Ridola di Matera - Luigi Lo Porfido di Montescaglioso - Dei comizi agrari di Matera e Potenza.

274 28. Progetti e proposte per la costruzione delle linee ferroviarie Albano di Lucania-Castrovillari, Lagonegro-Castrovillari, Grumo-Ferrandina- Padula. 29. Bilanci comunali e provinciali 1895-99. 30. Annuario statistico 1900. 31. I e II volume del censimento 1901. 32. Id. id. 1881.

275 LA DEPUTAZIONE PARLAMENTARE LUCANA*

A compimento della mia missione, rimanevami consultare, le autorevo- lissime opinioni, dei Rappresentanti della Basilicata in Parlamento. Non mi venne fatto di poterli tutti avvicinare, ed è con mio sommo rammarico, che devo limitarmi ad esporre quanto potei apprendere da una parte, pur nume- rosa ed importantis-sima di essi. Dall’On. Pietro Lacava, ebbi cortesi rimostranze, per non aver visitato l’importantissima zona, che sta, fra il Sinni ed il Basento, e nella quale, l’emi- grazione, si manifesta con speciale violenza. Dal lungo colloquio, che volle accordarmi, non mi fu difficile, però, desumere, come in quella zona le cause generali, non sieno guari dissimili, da quelle imperanti nei finitimi circondari di Potenza e di Lagonegro. Fra le par- ticolari però, l’Onorevole Lacava, attribuisce specialissima importanza, alla sempre attesa, e non mai verificatasi, costruzione del tronco ferroviario, che partendo da Pisticci, verrebbe a congiungere la linea Napoli-Metaponto a Padula e per questa, (quando fosse condotta fino a Castrocucco) con quella del litorale Mediterraneo. Secondo l’On. Lacava, i lavori di costruzione, che importerebbe l’attua- zione di questo progetto, basterebbero ad arrestare, quasi per completo, l’e- migrazione dei lavoratori, ed apporterebbero, alle popolazioni proletarie affa- mate, qualche anno, di verace ristoro. Non si preoccupa Egli del fatto, che i lavori ferroviari, distrarrebbero da quelli dei campi, anche le poche forze, che vi si dedicano attualmente; perché è persuaso, che moltissimi emigrati, resi- denti al Brasile, sapendo di trovare occupazione in patria, farebbero sforzi disperati, per ritornarvi. Ad ogni modo, la costruzione della ferrovia, non potrebbe a meno, di dare grande impulso ai traffici della regione, attirandovi anche dei capitali, che vi troverebbero utilissimo impiego nell’industria dei latticini e nella bachicoltura. La mancanza di mezzi di comunicazione, rapidi ed economici, accresce

* Dal volume di Ausonio Franzoni, L’emigrazione in Basilicata nelle sue cause, nei suoi effetti e nei prov- vedimenti atti ad attenuarne la morbosità. Relazione dell’inchiesta compiuta, per desiderio di S. E. il Cav. Giuseppe Zanardelli Presidente del Consiglio dei Ministri e per incarico del R. Commissariato dell’emigrazione dal 12 Novembre al 14 Dicembre 1902, Brescia, Stab. Unione Tipo-Litografica Bresciana, 1903, pp. 109-116.

276 a dimisura il prezzo dei concimi artificiali, diminuendo, invece, il valore dei prodotti esportabili, e quindi, non v’ha speranza, che in simili condizioni, l’agricoltura, possa, anche mediante larghi sussidi e pratiche istruzioni, rag- giungere un sensibile miglioramento. È d’accordo, però, sull’utilità somma, dell’istruzione di poderi modello, in molti punti della Basilicata. Chiestogli, su che cosa principalmente, egli e l’On. Lovito suo collega, fondassero la proposta di far rimpatriare, a spese dello Stato, gli emigranti che si trovano a disagio in America, conviene nella difficoltà di attuazione di questo provvedimento, suggerito da sentimenti umanitari e dalla convinzio- ne, che alla regione ne verrebbe profitto. L’On. Lacava, il quale è uno dei più grossi proprietari del Potentino, lamenta vivamente, la deficienza di istituzioni di Credito nella sua Provincia; e ritiene, che si debba, al più presto, arrivare all’adozione di seri provvedi- menti, a questo proposito.

* * *

L’On. Giustino Fortunato, volle accordarmi esso pure, un’ora d’interes- santissimo colloquio. Ne riportai l’impressione che, se l’ingegno è in Lui pre- claro, la cultura vastissima e nobilissimi gli intenti, è in Lui, altresì, così profondo lo scoraggiamento, così sradicabile la sfiducia in ogni provvedi- mento, fin ora discusso, per rialzare le sorti del Mezzogiorno, e, principal- mente della Basilicata, da togliere ogni ardire, ad inoltrare qualsiasi pratico suggerimento. “Fra vent’anni, egli mi disse, allorché l’Italia, si sarà veramente accorta, che tutto il Mezzogiorno è una cancrena inguaribile, Ella mi darà ragione! Ho percorso a piedi, tutta la parte montana del Mezzogiorno e ne ho stu- diato a fondo le condizioni geologiche; per me, i miglioramenti agricoli, sono una illusione, la terra non dà, perché non può dare. Eccettuate alcune zone della Campania e della terra di Bari, il resto è destinato, in tempo rela- tivamente breve, a diventare deserto. Sarebbe quindi gettata ogni somma, che si volesse spendere in impossi- bili miglioramenti come credo, che i denari, che si spendessero in ferrovie e bonifiche non servirebbero ad altro, che a sfamare momentaneamente parte di quelle misere popolazioni. Per la Basilicata, la triste condizione dell’agricoltura viene dalla forma-

277 zione geologica del terreno; e, perciò, quella regione, non sarà mai rimune- rativa per l’agricoltura ne potrà essere ricca. Anzicchè profondere tesori in strade, ponti e gallerie, converrebbe alle- viare, anzi abolire del tutto, i tributi di qualsiasi genere; poiché colà esiste, nei nove decimi della popolazione, l’impossibilità di pagarli. Qualunque legge di sgravi che debba essere applicata con uguali criteri, in tutta l’Italia, non avrebbe che la parvenza della giustizia; ma sarebbe, invece, affatto ini- qua. La perequazione arriverà quando saranno completamente disseccate, le fonti di vita di gran parte del Mezzogiorno, e, prima di tutto, quindi, della Basilicata. Sgravi adunque, ad ogni costo ed in ogni cosa; sarebbe forse questo, l’u- nico mezzo di ritardare (giacché non credo si possa evitare) un non lontano spopolamento. Non sono d’accordo con chi crede nella colonizzazione nuova della Basilicata con elementi nordici; perché sono convinto che, salvo in qualche raro punto, gli emigrati periranno vittima della malaria, o, degenereranno, e la terra non avrà guari miglioramento dal mutato lavoro. Il valore dei concimi che si dovrebbero apportare per mutare la compo- sizione del nostro suolo sarebbe superiore al valore di esso. Quindi io ritengo che l’emigrazione sia uno sfogo che conviene lasciare aperto, od aprire sempre più, giacché è tanta misera gente che almeno va a morire lungi dai nostri occhi.” Esisteva tanta amarezza nella voce vibrante del mio onorevole interlocu- tore, ch’io non osavo interromperlo, pur non comprendendo il perché di tale pessimismo, in un uomo notissimo e per la modernità delle sue idee, e per la filantropia delle sue opere. Pure non potei a meno di osservargli, a questo punto, come, secondo le sue parole, data l’impossibilità di guarir l’ammala- to, si dovesse rinunziare anche ai rimedi per mantenerlo, più a lungo, in vita. “Conviene rinunziarvi, rispose, perché tutto ciò che non è radicale, è una pura farsa. Se Ella vuol far opera buona insista unicamente sopra la necessità di sgravi di tributi, speciali pel mezzogiorno, specialissimi per la Basilicata. Le ripeto, che quando il contadino saprà di non esser costretto a pagare quello che non può, sotto la minaccia (che Ella avrà constata non esser vana) d’esser cacciato anche dalla sua tana, non penserà ad emigrare; perché, fatal- mente, è legato a quel suolo, che pur non basta a dargli i mezzi d’esistenza.

278 Non sono, perciò, d’accordo; colla proposta, dell’On. Sonnino circa lo sgra- vio parziale della tassa fondiaria nel Mezzogiorno, perché ne approfitterebbe chi non ne ha bisogno; mentre i miseri ne ritrarrebbero minimo profitto. Conviene ch’essi non vedano più la faccia dell’esattore; se no, è meglio lasciarli partire, e se chi rimane, è maggiormente aggravato, tanto peggio per esso!”. Ci trovavamo negli ambulatori di Montecitorio; e già il mio interlocu- tore era stato, ripetutamente, avvisato che lo si attendeva, per discutere negli Uffici, intorno al progetto per la diminuzione del prezzo del sale, al quale, egli, come un infinità di persone, che me ne parlarono in Basilicata, si dimo- stra contrario; mi congedò, quindi, cortesemente, lasciandomi convinto, bensì, ch’esso è contrario ad ogni misura di carattere provvisorio; ma non manifestandomi alcun concetto concreto, di ciò che radicalmente e costitu- zionalmente si dovrebbe fare.

* * *

L’intervista, gentilmente concessami, dall’On. Emanuele Gianturco, mi sollevò da quel senso di sfiducia, che il pessimismo dell’On. Fortunato m’a- veva posto nell’animo. L’ On. Gianturco non sembra partecipare di tale pessimismo. Egli è inve- ce d’opinione, che convenga infondere nelle classi emigratrici la convinzione che il Governo si affanna a cercare i mezzi di aiutarli e di render loro meno penosa l’esistenza in Patria. Crede, che, all’uopo siano specialmente efficaci, i provvedimenti di carattere locale, quali le costruzioni immediate delle vie di assoluta necessità, gli aiuti ai comuni per la provvista di acqua potabile, le opere di difesa per le frane e le istituzioni di pratico insegnamento agrario, con sussidi a quanti dimostrano di voler adottare moderni sistemi. Riferendosi l’egregio uomo, specialmente al territorio del suo collegio, in cui si trova l’interessante città di Avigliano, si compiacque apprendere, com’io avessi cercato di studiarne, in quanto m’era stato possibile, i bisogni; convenendo nella necessità della riforma del locale. Ospizio degli orfani, per dare a questi un’istruzione pratica d’agricoltura, che li renda veramente utili alla regione che s’adopra ad allevarli. Mente veramente pratica ed ingegno coltissimo, comprende quanto si

279 debba fare per modificare il carattere degli abitanti ed attenuare le troppo gravi differenze di classe; ed approva il metodo oggettivo nella breve inchie- sta da me compiuta.

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Dell’ Onorevole Comm. Francesco Paolo Materi e delle sue progressiste e coraggiose iniziative, ebbi campo a discorrere benché succintamente negli appunti relativi al paese di Grassano (pag. 83 e seg). Non avendo l’onore di conoscerlo personalmente, mi attendevo quindi di trovare in lui quel tipo nord-americano, che m’ero figurato, aspro ed asciutto nei modi e nelle paro- le, preoccupato, soprattutto, di trarre dal suo tempo e dal suo patrimonio il maggior profitto materiale possibile. Ma poiché la Basilicata è il paese dei contrasti; incontrai in lui invece, il gentiluomo meridionale, espansivo e cortese, che sembra più avvezzo alla vita molle, della capitale, che a quella della vallata ridente, ma deserta; in cui si trova la parte migliore delle sue vaste proprietà. Uomo d’idee geniali e di rapida decisione, dopo aver fatto sforzi inutili per ottenere dai suoi coloni compaesani l’adozione dei moderni sistemi di agricoltura. Egli si convinse che il mezzo migliore, per trarre dai suoi poderi i frutti che possono dare, consisteva nell’introdurvi lavoratori, cresciuti in terre ove l’agricoltura è più progredita. Visitando la sua magnifica fattoria di Grassano si è costretti a dargli ragione; e gli esempi consimili di Pignola, di Montalbano e di Monticchio confermerebbero in questo concetto, ove non sorgesse il dubbio, che in nes- suna di queste località si siano fatti gli sforzi più propri, ad ottenere dal con- tadino Lucano gli stessi risultati, che i contadini Romagnoli, Marchigiani, Emiliani o Lombardi appaiono capaci di dare. Non spetta a me di andare al fondo di tale questione, solo parmi oppor- tuno rammentare che, or fa mezzo secolo, il padre dell’On. Materi (che a Grassano era ancora una specie di feudatario, e che, come il figlio, era, però, uomo d’idee assai progressiste a questi riguardi) ottenne dalla popolazione di Grassano uno sforzo meraviglioso, che la denotò, tutt’altro, che refrattaria a seguire utili insegnamenti. Gli ingegneri incaricati dello studio per la costruzione della via naziona- le che unisce Matera a Potenza, avevano dichiarato impossibile, comprende-

280 re nel tracciato il paese di Grassano, perché, ad un certo punto, la via avreb- be dovuto passare lungo i fianchi d’un burrone inaccessibile. Ad ovviare il pericolo, il Barone Materi convocò i maggiorenti del Comune ed i capi di famiglia, espose loro il danno che al paese ne sarebbe venuto, li animò all’impresa, anticipando gran parte del denaro necessario, ed in pochi giorni, mercé la cooperazione di tutto l’elemento robusto della popolazione, il tratto di strada, che pareva impossibile a costruirsi, era com- piuto. S’impieghino gli stessi sforzi, la stessa energia, e, qualora sia possibile, anche gli stessi mezzi, e si otterrà dai Grassanesi che coltivino i loro terreni coi metodi produttivi che l’On. Materi ha già adottati. Comunque, Egli è del parere che la rigenerazione della Basilicata dipen- de dalla introduzione di maggior numero possibile di contadini del centro e del settentrione d’Italia, molto più abili al lavoro, e molto più disposti a vive- re in mezzo ai campi e ad adattarsi a contratti, di cui i contadini Lucani, nella maggior parte, non vogliono sapere. Egli considera (con concetti prettamente darwiniani, i quali, del resto, ebbero il loro trionfo in America, e segnatamente nell’Argentina), che que- sta introduzione di elementi etnici diversi servirebbe anche un miglioramen- to della popolazione, tanto più, che, in molte località, la parte mascolina più robusta è ormai definitivamente emigrata. V’ha indubbiamente un grande fondo di praticità e di filosofia in que- sto concetto; e quando si pensa, che tanti robusti trevisani, bellunesi e tren- tini lasciano quotidianamente il loro paese per avventurarsi nelle inospiti fazendas del Brasile, non sarebbe forse fuor di luogo, iniziare un tentativo di questa specie, in alcuno dei latifondi demaniali, o provinciali, i privati della Basilicata; tanto più che, ove il tentativo non riuscisse, il male sarebbe più facilmente riparabile. Con tali concetti, è superfluo ricordare come l’On. Materi, non possa essere che un entusiasta fautore dell’istituzione di Fattorie Modello, e della massima facilitazione del credito agrario in natura.

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L’Onorevole Michele Torraca, cui la vita trascorsa nell’ambiente vivace e fecondo del giornalismo accorda, coll’ampiezza delle idee, una grande dutti-

281 lità e praticità di opinioni proprie, unite alla cortese deferenza per le opinio- ni altrui, volle ripetutamente favorirmi delle sue autorevoli e preziose indica- zioni. Egli è convinto che l’emigrazione della Basilicata risponde bensì, a cause molteplici generali e locali; ma che si tratta, soprattutto, d’un fenomeno mor- boso, il quale, appunto perché morboso, dev’essere sottoposto ad una cura. E con pratici intendimenti Egli fa consistere, appunto, come l’Onorevole Granturco, questa cura nel rialzare il morale abbattuto delle popolazioni, col mezzo di materiali, ma immediati, per quanto, sulle prime, leggeri provvedimenti. Egli fa consistere, come l’On. Lacava, alcuni di questi, nell’almeno par- ziale, ma urgente costruzione di tronchi ferroviari, già progettati e votati; come l’On. Fortunato, in isgravi tributari, che, pur non essendo gli stessi voluti dall’On. Sonnino, non giungono al radicalismo dell’Onorevole Deputato di Melfi;come l’On. Granturco, in provvedimenti locali che colpi- scano l’immaginazione dei proletari; ma che in luogo di consistere, alle volte, in opere di consolidamento, che imporrebbero sovente spese eccessive, faci- litino la costruzione di case coloniche fuori dell’abitato; e, come l’On. Materi, infine, nel miglioramento maggiore possibile dell’agricoltura, mediante l’istituzione di molti poderi modello, pratiche scuole, e facilitazio- ni di credito in natura; senza però arrivare, a quanto mi parve, a condivide- re coll’Onorevole Deputato di Grassano, le sue aspirazioni ad un rinnova- mento etnico della popolazione Lucana.

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L’On. Marchese Cesare Donnaperna, col quale ebbi un breve, ma inte- ressante colloquio, condividendo le idee dei suoi onorevoli colleghi circa i provvedimenti d’indole generale, riguardanti l’agricoltura e lo sviluppo delle vie di comunicazione, volle, a preferenza, intrattenermi sulla necessità di opere di bonifica, specialmente per la Valle del Sinni, onde riparare ai perni- ciosissimi effetti della malaria ed alle costanti e dannosissime erosioni, che il fiume che lambe il suo paese di Senise, continua facendo in quel desolato ter- ritorio. Anch’ esso partecipa vivacemente dell’opinione dell’On. Gianturco, che sia, sopratutto, col mezzo di provvedimenti locali immediati, che si possa

282 convincere la classe lavoratrice a rimanere in patria. Insiste, come già i rap- presentanti comunali di Chiaromonte, Senise e Valsinni, sulla opportunità della costruzione di una ferrovia economica a trazione elettrica, che ponga lo scalo di Nova Siri in comunicazione col centro della vallata.

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Per quanto non appartenga alla deputazione Lucana, l’On. Ettore Ciccotti è uno dei figli più preclari di Potenza. Molti come lui; ma nessuno più di lui, parsemi s’interessassero alla rigenerazione di quella patriottica pro- vincia; e mi fu sommamente grato (così a Potenza prima d’intraprendere il mio giro d’ispezione, quanto a Roma, poi che l’ebbi compiuto) di abboccar- mi con esso. Conoscitore profondo del suo paese, Egli s’è dedicato con amore anche agli studi sul fenomeno emigratorio in Basilicata, e fu guida intelligente al Professore Bosco, R. Commissario dell’Emigrazione, quando questi, nel Maggio scorso, procedette ad un’inchiesta poco dissimile della mia. Nella sua interpellanza sulle condizioni della Basilicata, svolta nella seduta del 28 Aprile u.s. egli espose, sotto i loro vari aspetti, le cause del disagio in cui si trova quella popolazione, e, quindi, delle spinte materiali e morali ad emi- grare. Ed appunto in questo doppio complesso di cause, egli si arresta, per dimostrare, come, se anche alle une è difficile porre immediato rimedio, non dovrebbe esser così colle altre, dato il regime di libertà e di uguaglianza sotto cui viviamo. Egli crede, (e molteplici fatti appoggiano la sua opinione) che una delle cause principali dell’emigrazione consista negli arbitri innumerevoli com- messi dalle autorità municipali a danno della classe proletaria, nella distribu- zione iniqua dei gravami comunali, nelle vessazioni continue e tradizionali degli abbienti che dispongono, senza quasi controllo, della pubblica ammi- nistrazione, mentre i lavoratori sono costretti a sopportarne i pesi, senza trar- ne che lievissimi benefici. L’individuo si decide ad emigrare assai meno pel desiderio di lucro, o di un benessere di cui non ha idea precisa, quanto per sottrarsi alle mille con- trarietà cui è soggetto nel suo paese e ch’egli spera, come spesso gli si fa cre- dere erroneamente, che non troverà in America. L’On. Ciccotti, non crede all’efficacia, per la Basilicata, delle attuali isti-

283 tuzioni tutorie, trovandosi la Provincia in condizioni troppo diverse dalle altre, perché, l’autorità Prefettizia, possa esercitare la sua vigilanza continua, e la Deputazione Provinciale e la Giunta Provinciale Amministrativa, possa- no rendersi esatto conto delle condizioni di tante località, che si trovano pres- socché segregate. Considera quindi l’emigrazione, come una forma di sciopero, il quale riesce sovente, pur troppo, come molti altri, a danno di padroni e d’operai. Vorrebbe un controllo più efficace, mediante l’aumento del personale della R. Prefettura, con funzionari provetti, disposti ai non leggeri disagi di continue e severe ispezioni. Per ciò che riguarda le condizioni agricole della Provincia, egli non partecipa del pessimismo dell’On. Fortunato; ma è d’ac- cordo con lui, sulla necessità di sgravi totali, (fosse anche per un tempo limi- tato), a favore delle classi lavoratrici. Non crede nella necessità di grandi lavori ferroviari, considerando che le somme, le quali verrebbero assorbite dagli impresari nella loro costruzione, avrebbero ben migliore destinazione, in sussidi materiali, a favore dei lavora- tori indigenti.

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L’assenza momentanea da Roma degli Onorevoli Branca, Grippo, Lovito e Mango deputati della Basilicata, mi privò della soddisfazione di conoscere direttamente le loro autorevoli opinioni, sopra un argomento di così vitale importanza per quella Provincia; ho motivo di credere, però, ch’esse non siano guari dissimili, da quelle dei precitati loro Onorevoli Colleghi.

284 Eugenio Azimonti

Perchè si è avuta e si ha emigrazione dal potentino, e come attenuarne le conseguenze*

* Eugenio Azimonti, Perchè si è avuta e si ha emigrazione dal potentino e come attenuarne le conseguenze, Potenza, Tip. Coop. La Perseveranza, 1907, ri- stampato in Eugenio Azimonti, Il Mezzogiorno quale è. Relazioni e scritti raccolti da G. Fortunato, Bari, Laterza, 1919, pp. 1-21.

285 Premessa

Le notizie di fatto e le considerazioni che seguono riguardano il Circondano di Potenza, come quello che ho avuto occasione di conoscere nelle mie gite di propaganda, in qualità di direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura.

Cause determinanti l’emigrazione

Non esito nell’asserire che la spinta principale ad emigrare, è stata data dalle miserrime condizioni economico-sociali dei lavoratori agricoli, condi- zioni le quali, di ben poco migliorate, perdurano tuttora. Dei lavoratori rura- li si posson fare due grandi classi: 1° . quella dei piccoli fittuari a grano (terratichieri o terraticanti); 2° . quella dei salariati, operanti nelle masserie medie o grandi. Non esiste né ha esistito una vera e propria classe di braccianti agricoli. Le aziende medie o grandi, che vanno sotto il nome di masserie, non mancano in nessuno dei Comuni del Circondario; ma mentre in quelli della parte occidentale, verso il Salernitano, se ne riscontrano poche e di non gran- de estensione (se si considera la sola parte coltivabile e coltivata), in quelli della parte orientale, che tocca le Puglie (Bari), cioè nella vallata del Bradano (Banzi, Genzano, Acerenza, Palmira, Tolve, S. Chirico Nuovo), si può dire che gran parte del territorio (se si eccettua quel tanto che circonda l’abitato, e che è occupato da colture arboree specializzate) è diviso in medie o grandi aziende, di solito affittate ad industriali agricoli, che le conducono diretta- mente col mezzo di salariati. Sul complesso del Circondano di Potenza può sicuramente affermarsi, che i terratichieri superano per numero i salariati. Ciò dipende dal fatto, che essendo il territorio del Circondario soggetto a coltivazione, in gran parte ondulato, e compreso tra limiti di altitudine dai 350-500 ai 1000 e più metri sul livello del mare, prevale la piccola coltura sulla media e sulla grande. Ciò premesso, è facile arguire che il massimo contingente alla emigrazio- ne è stato dato fin qui dai terratichieri. Dei salariati sono emigrati molti di quel- li della parte occidentale del Circondario; ben pochi di quelli della parte orien- tale, confinante con la provincia di Bari. Di ciò si vedrà la ragione più avanti.

286 In quasi tutti i Comuni, parecchi dei terraticanti o piccoli fittuari a grano erano anche minuscoli proprietari del locale di loro abitazione, situa- to nel paese o villaggio rurale, e di vari frammenti di terra nuda e di vigna specializzata, insufficienti coi loro scarsi prodotti a sostenere la famiglia. Con la emigrazione molte di queste frammentarie proprietà sono state abbandonate, come lo furono pure tante delle particelle assegnate alle fami- glie nelle quotizzazioni dei beni comunali, operatesi, in alcuni Comuni. Il bilancio economico di una di queste famiglie di terratichieri, prese tra quelle senza proprietà loro, è presto riassunto, nelle sue grandi linee, così come dovevan essere alcuni anni fa. Supposta una famiglia di tre persone adulte, valide al lavoro, con un numero variabile di figliolanza di età varia del tutto inetta o poco atta al lavo- ro, può ritenersi che essa coltivasse a terratico una estensione di “terreno nudo” di circa 30 tomoli pari a poco più di ettari 12 (considerando il tomolo di 41 are), lavorandola completamente a zappa, e servendosi di una vettura grossa (giumenta o mulo) o di due medie o piccole (asini) per i trasporti delle derra- te; vivendo in un unico locale a pian terreno, con vani comparti, per il qual ricovero corrispondeva un fitto annuo di 2-3 tomoli di grano (20-30 lire). Per i 30 tomoli di terreno può ritenersi avesse luogo questa ripartizione, tra le colture: tomoli 7 maggese di granone, patate, fagioli, cavoli in coltura consociata. “1 maggese di fave da seme; “ 17 grano (in parte sopra maggese, in parte di ristoppia; in parte autun- nale (duro o tenero, in parte primaverile, cioè saragolletta o marzulla o ver- minia, e ciò per dar tempo di compiere la semina a zappa); “ 5 biada od orzo, sopra grano di 1° anno nei terreni più scarti. La famiglia teneva alcune dozzine di galline ed allevava due maiali, nelle buone annate, per vendere una parte dei prodotti e consumare lo scarto. Una sommaria analisi della produzione porta a questi risultati:

287 SUPERFICIE SEMENTE PRODUZIONE VALORE IN LIRE COLTURA tomoli ettari tomoli ettolitri tomoli ettolitri semente produzione Grano 17 7,00 19 10,45 115 63,25 171 1035 Graturco1 11/4 0,70 70 38,50 8 420 Patate1 6 3,30 80 - 18 240 Fagioli1 7 2,87 1/6 0,09 2 1,10 2 24 Cavoli1 { -----20 Fave 1 0,41 1 0,55 10 5,50 9 90 Biada e orzo 5 2,05 7 3,85 70 38,50 28 280 1 Colture consociate 30 12,33 L. 236 2109

Le industrie dei maiali e dei polli avran potuto dare, tenendo conto della quantità dello scarto delle sopra dette derrate consumate, un utile netto di circa un centinaio di lire. Risulta cosi una produzione lorda complessiva, al netto delle sementi, di L. 2119 - L. 236 + L. 100=L. 1983; ossia, a ragione d'ettaro, L. 160 circa! Togliendo al valore della produzione l'ammontare del terratico, ritenuto che potesse essere 3 tomoli a tomolo (cioè, 165 litri di grano mercantile con- segnato all’abitazione del proprietario per ogni 41 are), e del fitto di casa, si avrebbe avuto una disponibilità di L. 1983 - L. 900 + L. 30 = Lire 1053, con la quale la famiglia doveva pensare al suo sostentamento e al vestiario, non che agli altri bisogni della vita. Per una famiglia composta di almeno tre per- sone adulte vigorose, con non meno di 6-7 altre persone non valide o poco valide al lavoro, non era di certo gran che! Nè la media annua di salario, risultante per ogni lavoratore valido (a non tener conto del lavoro prestato dalla figliolanza poco valida) in L. 350 circa, può considerarsi come reale; perchè ad essa bisognerebbe sottrarre una quota parte da ritenersi come beneficio dell'industriale agrario, ossia, interesse ed ammortamento del piccolo capitale di scorta (sementi, vettura, attrezzi, ecc.). Si tenga d'altro lato, presente, che i tre adultì, buoni a lavorare a zappa completamente i 30 tomoli, facendo le maggesi a più di un palmo (circa 30 centimetri), dovevano attendervi anche nelle giornate piovigginose, fredde, ecc. Aggiungasi ancora che la produzione poteva, in annate meno favorevoli, restringersi a più esigui termini; ed allora, detratto il grano pagato per il fitto,

288 la famiglia rimaneva senza semente, che doveva poi prendere a prestito non rare volte usurario! A volte, non infrequenti, l'estate senza pioggie rendeva esi- gua, per non dire insignificante, la produzione del granturco e delle patate. Venivano allora a mancare la base principale per il vitto (perchè i maccheroni e il pane di grano genuino si vedevano in tavola solo nelle grandi ricorrenze) ed uno dei cespiti per allevare i maiali e nutrire le galline. La famiglia era costretta a ricorrere al prestito (di solito usurario) per vivere sino al nuovo rac- colto, nella speranza che fosse discreto! È ovvio arguire che la vita di quelle famiglie doveva essere assai miserevole: bestiale, per il continuo faticoso lavo- ro della zappa in terre tenaci, priva di ogni conforto materiale e morale! Le famiglie che son rimaste non si trovano in condizioni molto migliori di quelle andate via. Se è vero che il fitto a grano è ribassato (non si parla più dei quattro oppu- re tre tomoli a tomolo, ma invece, il più di frequente, del due tomoli a tomo- lo e spesso del tomolo a tomolo), è anche vero che le terre, spossate da una agricoltura di rapina, cacciano malamente nelle discrete annate, come medie dei vari appezzamenti, le 5-6 sementi, non ostante il riposo della terra per l’ab- bandono periodico imposto dalle attuali condizioni di spopolamento.

Una vera e propria classe di braccianti agricoli, viventi sul lavoro giorna- liero, non è mai esistita né esiste nel Circondano di Potenza; i terratichieri, nel contempo, in parte minuscoli proprietari quando si trovavano ad essere in molti ed avevan poca terra per rispetto alle braccia disponibili, lavoravano anche le vigne specializzate o i seminativi condotti direttamente dai proprie- tari, e riscuotevano allora (come del rimanente verificavasi tempo fa anche in altre regioni d’Italia) paghe semplicemente irrisorie, in un con un vitto poco umano. Da uno a due carlini (un carlino L. 0,42, circa), pane (fatto di poco grano con patate e granturco misti), e minestra di verdura anche per i lavori più faticosi: ecco quanto veniva loro corrisposto. E siccome allora la popolazione abbondava, gran mercé se i contadini potevan trovare occupazione per tale compenso, dopo di avere ultimati i pro- pri lavori. Passando a dire dei salariati ad anno delle medie e grandi aziende (mas- serie), la nota si mantiene sempre tristissima. Non molti anni fa, ecco quanto veniva loro corrisposto: salario in dana- ro, non superiore ai 1525 ducati (un ducato = L. 4,25); in derrate, un tomo-

289 lo di grano (litri 55) al mese per il pane; qualche poco di olio e di sale per il condimento delle vivande, di cui si dovevano essi stessi provvedere; qualche poco di tela o altra roba pel vestiario. E, notisi, fra questi salariati contavansi pure i pastori del bestiame brado, sottoposti ad una vita delle più disagiate che immaginar si possano.

I dati di fatto e le considerazioni sopra esposte, nel loro insieme non con- testabili, illuminano a sufficienza, sembrami, le ragioni per le quali dai più disgraziati Comuni del Potentino (Potenza, Brindisi di Montagna, Trivigno, Albano di Lucania, Pietrapertosa, Castelmezzano, Anzi, Laurenzana, Corleto Perticara, Guardia Perticara, Calvello, Abriola, Pignola, Marsicovetere, Tramutola, Marsiconuovo, Brienza, Satriano di Lucania, Sasso di Castalda, Savoia di Lucania, S. Angelo le Fratte, Vietri di Potenza, Balvano, Baragiano, Picerno, Ruoti, Cancellara, Vaglio dl Basilicata, ed altri ancora) si è avuta quella spaventosa emigrazione in massa, che è dato oggigiorno constatare.

Stato presente dell’agricoltura in seguito al fenomeno dell’emigrazione

Con l’esodo in massa dei terratichieri, richiamati dai primi coraggiosi partiti alla ventura, si è verificato, nei Comuni dove il vivere era più sten- tato, un abbandono della terra, il quale, limitato dapprima ai soli tratti meno propizi (quelli che non si sarebbero mai dovuti diboscare!), si estese di poi, col crescere in intensità del fenomeno, anche alle parti più suscetti- bili di buona coltura. Così, mentre prima si seminava dovunque, ed anche dove non sarebbe stato conveniente il farlo, oggidì si vedono estese plaghe di territorio non cat- tivo, e in qualche sito anche ottimo (alta vallata dell’Agri ed altrove), colti- vate solo a tratti, saltuariamente, cambiandosi a periodi di 3-4 anni gli appez- zamenti coltivati. Non dappertutto si usufruisce, come dovrebbesi, delle “terre vacanti”, mediante il pascolo degli armenti. Ciò è dovuto veramente a mancanza di un po’ di iniziativa, da parte di molti proprietari. Quanta parte della superficie, che era una volta seminata si trovi oggi abban- donata, è difficile indicare con precisione, mancando gli elementi di buona stati- stica: il catasto geometrico non è ancora compiuto per tutto il Circondario. Certo è che l’occhio rileva, principalmente nei Comuni che stanno tra

290 Potenza e il Salernitano, una forte saltuarietà nei coltivati, mentre prima gli stessi dovevano, per i segni indubbi che ancora ne rimangono (pietre raccol- te in mucchi irregolari, solchi di scolo), ricoprire tutte le pendici e i fondi di valle, anche nelle località più ripide e meno provviste di terra, che non si sarebbero dovute mai sottoporre a coltura. In seguito a tale stato di cose la proprietà fondiaria ha subito qualche ribasso, ma non dappertutto, in proporzione di quello dei fitti. Il valore del terreno nudo per ettaro, dove si è messo alla pari coi fitti, può ritenersi, da quanto mi consta sicuramente dalle notizie avute di alcune recenti compre- vendite, si aggiri tra le 400 e le 600 lire circa. Tale valore, sembrami, non sia inferiore a quello delle altre “terre nude” d’ Italia, in condizioni simili a quel- le del Potentino. Pur essendo ribassati i fitti (e per le zone più lontane dall’abitato il ribas- so si può ritenere maggiore della metà) i proprietari non trovano da affittare che una sola parte delle loro terre. Ben pochi son quelli che arrivano ad aver- le tutte fittate ai terraticanti. Coloro i quali conducono vigne o seminati a mano padronale, debbono pagare ora ai giornalieri circa L. 2 a giornata, e anche assai dippiù nelle epo- che critiche (mietitura, irrorazione delle vigne, ecc.), e non sempre trovano braccia. I salariati scarseggiano, e alcune masserie dei Comuni innanzi citati rimangono chiuse, non condotte. Bisogna però notare in verità, che i salariati di tutta quanta la zona occi- dentale del Potentino percepiscono ancora oggi compensi assai assai esigui e notevolmente al di sotto (meno della metà) di quelli, che i medi e grandi affittuari della zona orientale confinante le Puglie (vera classe di industriali agricoli intelligenti ed attivi, per quanto agronomicamente poco istruiti) pagano ai loro salariati. Difatti a Corleto Perticara, Anzi, Abriola, Calvello, Laurenzana, ecc. ecc., un gualano (bifolco) percepisce difficilmente più di 25-30 ducati l’an- no, un tomolo di grano al mese per il pane, olio, sale, ecc. più il diritto a far porzione su qualche tomolata di grano. Invece a Genzano e Comuni limitrofi lo stesso gualano o forese percepisce dai 55 ai 65 ducati l’anno, pane, sale, olio, e il beneficio di 4 giornate d’aratro circa. Sempre a Genzano, i mesaruoli, cioè quelli assoldati a mese, godono per tale periodo di tempo 30-40 lire di salario, più pane, minestra, sale, olio. Sembrami che in tali dati di fatto sia da ritrovarsi la ragione della scarsissima

291 emigrazione, che si ha da Genzano e Comuni limitrofi nella vallata del Bradano, e della fortissima, invece, che si ha da’ Comuni verso il Salernitano nelle alte valli del Basento e dell’Agri. È doveroso riconoscere, per altro, che le condizioni naturali del terreno, essendo assai meno favorevoli (eccezion fatta per tratti limitati) alla produ- zione granaria nella zona occidentale che in quella orientale, il reddito netto unitario delle masserie è molto minore in quella zona che in questa; epperò anche il proprietario o l’affittuario o il mezzadro, conducenti la masseria della zona occidentale, ritraggono un lucro netto minore. Ciò però non vuol dire che le condizioni non possano cambiarsi o addirittu- ra anche capovolgersi con nuovi sistemi di agricoltura (prati artificiali e bestiame).

In breve, dove il fenomeno emigratorio è stato intenso, l’agricoltura, anziché piegarsi per forza di cose a nuovi metodi più consentanei alle attua- li condizioni dl scarsezza della mano d’opera, è rimasta tale e quale (per man- canza d’istruzione pratica, di volontà intelligenti operose e, in ultimo soltan- to, di mezzi); invece di trasformarsi si è ridotta per entità di superficie com- plessivamente occupata. Di questo stato di cose hanno avuto il massimo danno i medi proprieta- ri, per i quali la vita oggi è ridotta così difficile da non sapere come tirare a campare da “galantuomini”! Ma, del rimanente, nemmanco i piccoli fittuari a grano, che continuano a far dell’agricoltura di rapina, e i salariati si trovano ad avere migliorate gran che le loro condizioni. Ben poche in un anno sono le giornate che vengon loro pagate, come giornalieri, a due e più lire. Tali paghe, relativamente alte, non creano ricchezza, purtroppo! Onde le misere condizioni dei lavoratori rurali permangono e permane la emigrazione; aumentatasi anzi ultimamente per via del richiamo operato da parenti od amici, che già si trovano ad essere collocati in America.

Rimedi atti ad attenuare la depressione economica producendo ricchezza con tornaconto

Quali i rimedi a questo stato di cose? Esclusa, per conto mio, l’idea di limitare in qualsiasi modo la libertà

292 individuale di chi crede di poter migliorare il proprio stato esulando altrove, rimane a vedere quale assegnamento si possa fare sulla immigrazione, di cui tanto si è parlato in questi ultimi mesi, e quale su altri mezzi, più lenti nella loro esplicitazione, ma più generali e più sicuri nella riuscita. La immigrazione di mezzadri dalle regioni a sovrappopolazione (Romagna, basso Veneto, Emilia) ha entusiasmato la gente facile ad accen- dersi; ma ha lasciato freddi i più positivi. Per una complessa serie di fatti, sembra a me che tale immigrazione sia da considerare, se non del tutto impossibile, certo difficilissima, e in molti casi non consigliabile. Le ragioni mi sembrano di doppio ordine: a) sociale; b) economicoagricolo

a) Nei riguardi sociali: Una immigrazione che non si faccia per diecine e centinaie di famiglie, andan- do così a costituire delle vere tribù di nuova popolazione, è destinata a fallire. Poche famiglie, peggio una o due soltanto, collocate qua e là isolata- mente in un ambiente sociale così differente da quello donde provengono, non possono resistere: faranno di tutto per tornare alle loro regioni appena l’ambiente si mostri in qualche modo sfavorevole. I pochi tentativi isolati, fatti nel Circondario di Potenza, lo dimostrano. Particolarmente interessante è l’esempio che ne dà il signor Vincenzo Mùrolo, il quale da circa dieci anni ha iniziato, sui beni acquistati dal baro- ne Lombardi, di Pignola, la costituzione di aziende a mezzadria con famiglie provenienti, in un col fattore, da Gubbio (Umbria). Dopo di avere sostenute spese rilevantissime per trasporto di persone, masserizie ed animali, il signor Murolo si trova al presente con due sole fami- glie, avendone importate, escluse le rimaste, altre sette, che se ne tornarono, lasciando il debito colonico non indifferente, alla prima constatazione del loro disagio (morti per malaria, impossibilità di adattarsi al nuovo ambiente); e, delle rimaste, una sola si trova sin dall’inizio, ed è sulla via di estinguere total- mente il debito colonico: l’altra non conta che due anni di permanenza. Da notarsi che il signor Murolo costruì case in buone condizioni, spen- dendo assai, le provvide di acqua potabile, e cercava vie più migliorarne le condizioni.

293 Ad Acerenza, invece, permangono da un paio d’anni due famiglie di marchigiani, credo, pure in territorio malarico, sui beni del signor Panni Michele, nella vallata del Bradano. L’esperienza del signor Panni mi sembra troppo breve, né la conosco abbastanza nei particolari, per poter additarla come sicuramente riuscita; tra l’altro, non è possibile ancora poter giurare sulla permanenza di quei coloni. Altre due famiglie, marchigiane, vivono negli immediati dintorni del Capoluogo, coltivando a mezzadria non molti tomoli di terra presa in affit- to dal signor prof. Giovanni Salerno, e concorrendo con la loro opera alla diretta lavorazione di altra terra. Date le condizioni specialissime di tale esempio, non si può da esso trarre norma per tutto il Potentino. E, del rimanente, trattasi di una permanenza non ancora biennale, per cui, anche sotto questo principalissimo punto di vista, è prematuro ogni giudizio. Non so di altre famiglie del Circondario di Potenza. Cogli indigeni non si verifica, pare, nessuna intesa, nessuna fusione di questi elementi settentrionali, che rimangon sempre come estranei, non riu- scendo nemmanco a intendersi nel discorsi. Onde già, per questa sola con- statazione, viene completamente a mancare la pretesa azione miglioratrice, per via dell’esempio, dell’agricoltura locale. Del resto non è col trapianto di agricoltori empirici, per quanto provetti, di altre regioni, e capaci soltanto di attuare quel determinato meccanicismo agricolo, sempre quello, anche dove le condizioni d’ambiente non sono più favorevoli, che si riesce a far progre- dire l’agricoltura. Così facendo si sono avuti, anzi, clamorosi insuccessi in molte parti d’Italia. Nei riguardi sociali noterò, per finire, che la mancanza della scuola, del medico condotto, della levatrice, delle strade rotabili per accedere al più vicino centro abitato, sono tutte condizioni le quali, creando un ambiente sociale trop- po inferiore a quello da dove provengono, fanno sì che famiglie immigrate si trovino in un continuo stato di sofferenza, a prescindere anche dal nocumento della malaria, più o meno grave, ma esistente quasi dovunque in campagna.

b) Nell’ordine economico-agricolo: Non si può consigliare a nessuno un’impresa che non abbia per base il tornaconto. Deve perciò dimostrarsi, chiaramente a base di cifre, la conve- nienza che dovrebbero avere i proprietari, o gl’industriali agricoli che vi si sostituissero, a far sorgere d’un colpo aziende coloniche a guisa di quelle

294 romagnole o, in genere, dell’Italia Centrale, da affidarsi appunto a famiglie importate. Siccome si evita solitamente da tutti di mettere in piazza le notizie pre- cise riguardanti i propri affari, così mancano dati concreti di esempi reali su cui appoggiarsi per tentare tale dimostrazione. Ma sembra a me, per via di induzioni non del tutto infondate, che gli esempi di colonizzazione rapida avutisi non provino in modo indubbio che una tale impresa rapida possa dare un largo tornaconto, tale da incoraggiare anche a far ricorso al credito per accelerarla.

Partendo dal “terreno nudo” del Potentino per far sorgere rapidamente aziende coloniche complete, costruendo la casa, a guisa di quelle dell’Italia Centrale, tracciando strade d’accesso e poderali, facendo piantagioni, prov- vedendo subito il podere delle scorte vive e morte, sempre come si trovano nelle mezzadrie del centro d’Italia (perché senza tutto questo quelle famiglie non verranno quaggiù, o, venute, non rimarranno), fare tutto questo vuol dire anticipare al primo anno un capitale non inferiore alle dieci lire per ogni 12-15 ettari di terreno nudo. Ora questo terreno nudo, quest’azienda creata in un colpo, non potrà pure d’un colpo rimunerare con la maggior copia dei prodotti il capitale investito. Finché gli aumentati e migliorati mezzi di produzione portati sul suolo non esplicheranno pienamente la loro funzione produttiva, finché quei 12-15 ettari non avranno raggiunto un certo livello di produzione assai supe- riore a quello di partenza e, sopratutto, finché non comincerà ad aversi frut- to dal soprassuolo (piantagioni), il capitale investito avrà, scarsissima o nes- suna rimunerazione. Dopo quanti anni i lavori ricorrenti sull’azienda cesse- ranno di avere carattere straordinario, e diventeranno modi normali, mentre le produzioni tenderanno ad assestarsi su di un livello piuttosto alto per rispetto al punto di partenza? A voler essere ottimisti, si richiederà almeno tanto tempo quanto se ne richiede per impiantare e rendere normale una buona rotazione con legumi- nose foraggere, e cioè, al minimo, un quinquennio. Le piantagioni legnose, sia pure specializzate e di pronto reddito, saranno in turno regolare, cioè con entrate ed uscite presso a poco costanti annualmente, soltanto dopo 2-3 lustri, al minimo. Per tutto ciò non è quindi infondato il supporre, che nel periodo inizia-

295 le si andranno accumulando, al capitale investito nel primo anno, gli inte- ressi non corrisposti, perché la produzione di parte padronale basterà a mala pena alle spese di parte padronale. D’altro canto con ogni probabilità, a meno di essere favorite da annate eccezionali, le famiglie coloniche saranno in debito nei primi anni. Nel caso che, come accadde al signor Mùrolo, le famiglie se ne andassero dopo 2-3 anni, senza pagare, è ovvio che tale debito si dovrebbe pure accumu- lare al capitale d’investimento fondiario. Di modo che le 10.000 lire iniziali diventerebbero, dopo i primi anni, 12-13-14 mila, senza esagerazione alcuna. Supponiamo ora che si possa passare in non molti anni da una produ- zione lorda di 150-160 lire per ettaro, quale era quella della “terra nuda” ini- ziale, a una quasi doppia di 300 lire per ettaro di terreno sistemato in azien- da colonica. Sembrami che sia una supposizione favorevole, e difficilmente superabile, se non dopo alcuni lustri! Alla metà padronale di tale produzione si tolgano le spese di parte padro- nale (imposte, amministrazione, spese vive dirette di coltivazione da soste- nersi a metà, quale acquisto di anticrittogamici, di sementi e concimi dal di fuori dell’azienda; riparazioni di scorte morte e, in genere, manutenzione delle scorte padronali, manutenzione dei caseggiati ecc., ecc.) e si avrà come ammontare degli interessi ai capitali terra nuda, investimenti fondiari, scor- te padronali, una somma non superiore alle 100 lire, da quanto io calcolo, se non vado errato. Allora, supposto il valore della “terra nuda” lire 500 l’ettaro; gli investi- menti complessivi lire 1200 l’ettaro; le scorte padronali lire 300 l’ettaro: que- sti capitali, sommanti in tutto a lire 2000 per ettaro di azienda colonica, rice- veranno, stando le cifre supposte, una rimunerazione non superiore al 5%. Che se poi la terra nuda costasse lire 1200 l’ettaro, come si pagò Monticchio; se molte famiglie coloniche, dopo di essere costate spese di tra- sporti, se ne andassero, lasciando debiti colonici per sovvenzioni fatte nei primi anni: allora, ognun lo vede, se non si supera la produzione lorda per ettaro di lire 300, il che, subito subito, dopo non molti anni, sembrami dif- ficile, allora la rimunerazione del capitale scenderebbe al di sotto del 5%! Colui il quale avesse fatto un mutuo col credito fondiario per ottenere la colonizzazione rapida, non si troverebbe bene, dovendo corrispondere, tra interesse e ammortamento del mutuo in 50 anni, qualche cosa di più del 5%. Come oggi stan le cose, la “terra nuda” del valore di circa 500 lire l’etta-

296 ro (se n’è venduta pure a meno!), anche fittata, nella peggiore delle ipotesi, a tomolo per tomolo, dà al proprietario 25 lire lorde per ettaro. Tolte l’impo- sta fondiaria e la minima spesa di amministrazione, ecco lire 20 nette, cioè il 4%. Chi possiede molta “terra nuda” non ha dunque molto stimolo a colo- nizzare rapidamente. Chi ne possiede poca, essendo costretto ad accrescere le rendite per vivere, deve preferire alla colonizzazione rapida con le famiglie importate, investimenti graduali più produttivi.

Vero è che a tali gravi inconvenienti potrebbe porsi rimedio parziale, assegnando, ad ogni famiglia colonica, una doppia estensione superficiale, ossia, facendosi le aziende di 25-80 ettari, anziché di 12-15. In tal modo la famiglia potrebbe trarre subito dalla terra tanto da vivere senza bisogno di anticipazioni da parte del proprietario, e questi investirebbe minor capitale per ogni unità superficiale. Ma io non credo si possano trovar famiglie di lassù, le quali si adattino a coltivare le terre a mezzadria a tali patti e condizioni transitorie. Sopratutto la mancanza di varie colture legnose, già in turno regolare di produzione, sul fondo che si vorrebbe affidare a mezzadria, preoccupa giu- stamente i componenti la famiglia colonica: “oh, l’alberate nostre!”, ho senti- to esclamare dagli umbri e dai marchigiani, venuti quaggiù a far la mezzadria sulla “terra nuda”. In fatto, ogni buon agronomo sa, e sta stampato in molte buone pub- blicazioni, che in un periodo di trasformazione agraria non può parlarsi di mezzadria. La coltura del fondo deve esser fatta a mano diretta, col sussidio di salariati in parte cointeressati. Sarebbe perciò più razionale e conveniente, che le famiglie immigrate fossero dapprima assunte come salariati in parte cointeressati, avendo così modo di farsi garantire un minimo, che assicuri loro il mantenimento pres- so a poco come nella loro regione. Ma a tali condizioni ogni persona avveduta, che inizi la trasformazione agraria nel Potentino, deve preferire gl’indigeni; i quali, se non accettano la mezzadria che non conoscono (come si pratica nel centro d’Italia), se scap- pano quando si trovano in condizioni da non poter vivere umanamente, non credo abbiano da rifiutare condizioni tali da permetter loro di fare una vita migliore della miserrima passata sino ad oggi. Alcune poche egregie persone, che hanno iniziata con prudenza la tra-

297 sformazione agraria nel Potentino, non difettano di salariati in parte cointe- ressati dove è possibile, pagandoli, è ovvio, più del doppio di quanto si paga- van prima e si vorrebbero anche pagar da molti di quelli, che più gridano e imprecano per la mancanza di braccia!

Attenuata, se non esclusa, la possibilità e la convenienza della immigra- zione di famiglie di mezzadri dalla Romagna e regioni contermini, aventi in determinate epoche dell’anno alquanta sovrappopolazione, che resta a fare? Ecco: Occorre mettere in opera i mezzi più atti, volta a volta, a intensivare, con tornaconto sicuro e piuttosto largo, la coltura, aumentando più rapidamen- te che sia possibile la produzione complessiva. Debbono, cioè, esser di guida nella trasformazione agraria le norme fon- damentali della sana economia rurale, norme non sempre ben conosciute da quelli che han creduto di dovere interloquire in merito alla questione rurale meridionale. Ahimè! Io non do una ricetta miracolosa di facile e rapido esito, ma la colpa non è mia! Tale ricetta non esiste, a voler essere sinceri! Nelle attuali condizioni di spopolamento delle campagne di molta parte del Potentino, che cosa in sostanza può e deve farsi, principalmente, per rag- giungere lo scopo di cui sopra? Io direi, innanzitutto, quanto segue: 1. Largo uso di macchine d’ogni sorta, compatibili con la topografia dei luo- ghi (e ce ne sono!), per utilizzare al massimo la scarsa popolazione oggidì malis- simo utilizzata. (Per citare un sol fatto, che è indice della situazione, si con- tinua ancora dai terraticanti a fare tutti i lavori a zappa con enorme spreco di energia; si richiedono, p. es., sino a 15 opere per sementare una tomolata di grano, ovvero circa 40 per ettaro: a lire 2,00 l’una, come si dovrebbero paga- re secondo il mercato, tante quante occorrono per tutti i lavori di coltura dalla semina al raccolto!). 2. Larga estensione accordata all’industria delle pecore, oggidì assai assai rimuneratrice, per utilizzare tutte le terre vacanti, in attesa di poter intrapren- dere una coltura più intensiva. (Si dice: “mancano i pastori!”. Mancano per- ché non si vogliono pagare 500-600 lire l’anno, affidando loro quante peco- re possono custodire, riunendosi vari proprietari od affittuari, come del resto

298 stanno facendo i poveri terratichieri rimasti, ritraendone un largo tornacon- to, senza alcun dubbio!). 3. Diffusione via via dei prati artificiali (l’erba medica può aver larga applicazione in tutto il Potentino) e quindi della industria del bestiame; con che richiedonsi, è vero, più capitali, ma assai meno mano d’opera per unità, di superficie. Ciò sia detto principalmente per le terre altimetricamente più elevate, più sfruttate e incapaci di produzioni discrete di grano, dopo l’agri- coltura di rapina praticatavi. 4. Introduzione graduale, in seguito, del gelso, pianta colonizzatrice per eccellenza. Data la minima densità di popolazione del Potentino, sembrami ovvio convenga, per attuare quanto sopra col massimo tornaconto, non già frazio- nare le masserie in aziende coloniche, come qualcuno vorrebbe consigliare; ma condurre le proprietà, dove è possibile, in aziende medie e grandi. Formare altre masserie, non distruggere quelle esistenti, per intanto! Dove non fosse possibile la conduzione in aziende medie, per la cattiva topografia dei luoghi o per il frazionamento grave della terra, che in molti Comuni del Potentino si verifica, ivi converrà, sembrami, fare della coloniz- zazione a scartamento ridotto con gli indigeni, assai più modesti. Non si dica che sono contrari alle novità, che non vogliono vivere in campagna! Le buone novità oggi non le sanno, perché nessuno le ha mai mostrate loro praticamente; ma, vistele convenienti, le abbracciano con entusiasmo. Un solo anno di propaganda nel Circondario me l’ha insegnato. Gli Aviglianesi vivono pure isolati nella campagna e sarebbero un ottimo, meraviglioso strumento di colonizzazione, qualora fossero utilizzati con cri- teri moderni. Sia permesso a me, settentrionale, questo sfogo in favore di tanta pove- ra gente, degna di miglior sorte. Una casetta d’abitazione e una piccola stalla per l’importo di 3-4 mila lire, un migliaio di lire di scorte (due vacche, un aratrino voltorecchio e un erpice), questo po’ di capitale affidato giudiziosamente a una famiglia di Aviglianesi, che oggidì si ammazza bestialmente con la zappa senza nessun criterio moderno, renderà, si può esserne certi, più assai del 5% che rende- ranno i più vistosi capitali investiti per render possibile la immigrazione dei mezzadri romagnoli!

299 In conclusione: Io sto per un’azione larga, illuminata, intenta, con aiuti morali (istruzio- ne pratica gratuita, diffusa a piene mani) e materiali (piccoli sussidi in natu- ra, credito prudente, pure in natura, agli agricoltori diretti), a rincuorare le sane energie paesane, che malgrado la morta gora dell’ambiente generale, non mancano in nessuno dei Comuni del Potentino.

Potenza di Basilicata, gennaio 1907. Stéphane Piot

La Basilicate*

* In «Annales des Sciences Politiques», 1907, n. 1, pp. 28-47, ristampato in C. Erickson (edited by), Emigration from Europe 1815-1914, London, Adam & Charles Black, 1976, pp. 96-104.

301 From 1881 to 1901 the population of Italy increased from around 29,000,000 to nearly 33,000,000 inhabitants. That was a gain of four millions. Lombardy, Liguria, TuscanyAbruzzi, Calabria, Sicily, all the provinces, the richest in industry and agriculture, as well as the poorest, most backward and most miserable, saw their population figures increase. Only one, Basilicata, experienced a loss: 524,405 inhabitants in 1881, 491,790 in 1901. However, for many years it had already been the least densely populated, except for Sardinia: 49 inhabitants per square kilometre, when the average for the Country was 113. On the other hand, it was the province where births were the most numerous. Emigration has made the gap. In 1899, 8,906 inhabitants departed, 11,000 in 1900, 16,586 in 1901 200,000 in twenty years, that is, nearly half of the actual population. Certain towns have lost 30, 36, 49, 47 per cent of their total population, numbers equivalent sometimes to 6o per cent of their ablebodied population. Laurenzano declined from 7,000 to 4,000 souls, Pignola from 4,000 to 2,000. Marsicovertere from 3,000 to 1,600, San Fele from 9,000 to 6,000, Potenza, capital of the province, from 20,000 to 16,000. And all this emigration was a permanent emigration. There is no longer a temporary emigration from Basilicata, or very little, in twenty years 3,000 temporary emigrants compared to 200,000 permanent emigrants. They leave without hope of return. At first the poorest emigrated, then the small and then the middling property owners: the able-bodied men, then the women, the children, the aged (...). What is the cause of this emigration? What is the situation of Basilicata? Are they wrong to call it an Italian Ireland? (...) A quasi-medieval life was led in the southern provinces. The unification of Italy called the people sharply to the demands of modern life, too hastily for them not to suffer, and they have not yet recovered from that violent shock (...). In 1860 pastoral farming still provided the principal, nearly the only, wealth of Basilicata. Her mountains were covered with immense forests, forests of oak, often unexploited, but the soil of which formed excellent pasturage. The herds spent the summer in the mountains; in the winter they came down towards the Ionian coast or mingled in the Tavoliere with herds from Pouilles and Abruzzi. In 1860 there were 350,000 hectares of forest; since then, nearly half, 170,000, have disappeared, at the same time as the head of cattle fell from around 1,000,000 to about 600,000.

302 The first blow to pastoral farming was dealt by “le brigandage”. We speak of political plunder which followed the fall of the Bourbons, a kind of chicanery which required more than five years to conquer completely. For five years, these bands, a mixture of old soldiers, adventurers and malefactors, were masters of the country, burning the forests, killing the animals, and imposing upon the inhabitants (...). The partition of the landed estates added to the ruin of pastoral farming. Ancient Neapolitan law recognized two kinds of property; property in full and complete ownership and property subject to civic custom. These civic customs were sometimes extensive and nearly equivalent to a communal ownership. On these properties, the peasants, the villains, could not only use the pastures, draw water, take stones, gather dead wood, acorns and chestnuts, but, under certain conditions, could plant trees and build houses (...). There is no need to say more than that in time this regime gave rise to disputes, the peasants trying to increase, the lords trying to diminish these rights, the ones and the others seeking to transform the property subject to civic custom to property in full and complete ownership. All of the economic history of the last centuries is full of these struggles. Without going into the different attempts made under the Bourbons to transform this regime, let us say that it was definitively abrogated by Murat. Property in full ownership was to be kept definitively by its owners. As for the remaining land, an estimate had to be made of the value of the rights belonging to the proprietors and the value of the rights belonging to the community. Once these rights had been estimated (according to the case, depending on the nature of the customary rights involved, the share of the inhabitants could be a third, a half, or threequarters of the property), one proceeded to the division of the lands. The share of the owners was left to them free of all charges; the part of the community was assigned to the commune, but only under a deed of temporary deposit. For, said the ministerial circulars: “If the communes had succeeded to the feudal rights, one would not have done anything other than to change the name of the owners, and it would have been better to tolerate an ancient occupation than to establish a new one. The real benefit that one hoped for was to free the land of feudal servitude and not to enrich the patrimony of the communes to the detriment of the Citizens”. What one wanted “was to

303 raise to the rank of owner the most indigent class. The aim was to transform the cafoni into agriculturists”. All the lands attributed to the communes were to be apportioned, distributed, among the inhabitants, with preference given to the poorest, at the rate of 2-4 tomoli (61-121 squares of ten metres) per head. Only the woods which had a slope such that they were impossible to cultivate should remain under the jurisdiction of the Council of State. Murat had hardly the time to start his grand work of reform. The Bourbons alternatively abandoned him and took him back according to whether it was their policy to depend on the property owners for support or to attach the populace to themselves. Nearly everything still remained to be done in 1860.1 From this time really dates the era of subdivision and allocation, although the work is far from finished still today, after a hundred years! Difficult work, it is true, which may be an excuse. It was acknowledged that civic customs were inalienable and “that in consequence all the necessary research would be permitted to discover whether such estate land which appeared to have been held in full private ownership even from time immemorial, was not a usurped property”. A great proprietor of the north said to me: “Never buy even a hectare in the south: one never knows what might happen”. It is not enough therefore to divide up the estates; it is necessary, first of all, to investigate the land which is to be divided and then to know on what basis to allocate it. From this follow endless law suits. There are no years without someone pleading a case. One time it is the latifundists whose complete ownership is being contested and from whom such or such services are being reclaimed; at another it is the peasants who are being reproached with having exaggerated their charges upon the estate, with having, for example, transformed the ancient customs into useful practices or into civic customs. And the details of the case could go back to the middle ages. Another time it is the communes which, since Murat, have leased the estate lands instead of dividing them up, or have let them be engrossed by the peasants, agents of the countryside, or neighbouring proprietors. It was not uncommon at one time for all these disputes to give rise to riots. Certain ones remain famous: that of Melfi in

1 From 1806 to 1815, 19,161 hectares of estate land were partitioned in Basilicata to 13,334 persons. From 1815 to 1860 only 8,788 hectares were partitioned to 6,978. From 1861 to 1887, 17,238 hec- tares went to 27,611 people.

304 1830, of Venosa in 1848, of Matua and Calciano in 1860. Today, the peasants are more calm, at least in Basilicata. That is because they now know what to expect as to the utility of these partitions of land. As for the government, clear about the inanity of reform, it partitions the least amount possible, and does it only when constrained and forced, often by the owners of great estates themselves, demanding to abandon part of their property in order to enjoy the rest in complete ownership. In effect, the law was based on the idea that it was enough to offer to the proletariat, to the cafoni, a piece of land to change them definitively into proprietors, and experience has shown the futility of this attempt. How could it have succeeded? These new owners were chosen from among the poorest. They had no capital, no money, not even tools, not even seeds. Certain ones regarded this hectare which was given them as a gift, as charity, and in spite of the prohibition on selling or mortgaging, got rid of it for 200 or 100 francs perhaps. Others began to cultivate; but before that, they had to borrow. How could they repay from the produce of this parcel of land producing hardly enough for their own food? They also ended by selling; and all these petty pieces of land went to augment the middle and great estates. “The great partition of land has not left any trace of improvement, agricultural or social”. Such was the conclusion of the enquiry of 1884, where it was noted, among other things, that of the 800 lots into which the estates of Barletta had been divided in 1850, three-fourths had fallen into the hands of welltodo proprietors by 1881. This is the conclusion of all the enquiries. Recently at Potenza, Melfi, Gorgoglione, Tolve, Brindisi di Montagna, Atella, Salandra, Vaglio, Materna, Irsina everywhere the replies were unanimous. “Almost all the allotments are abandoned; the recipients have sold at no matter what price, or abandoned them purely and simply” (...). The partition of the estates did not produce any social amelioration; on the contrary, it was the initial cause of the economic malaise from which the province suffers. As we have seen, it was from 1860 that the systematic partition of the land began. Until then the law remained nearly a dead letter. Besides, one had naturally begun by dividing the estates most susceptible to division; insofar as one advanced with the work of division, it was necessary to begin to cut into the most mountainous lands and those farthest from the villages, the lands least susceptible to cultivation.

305 These allotments were nearly all in forested land. The first concern of the new owner, whether peasant or latifundiste, was to clear the ground and seed it, thus diminishing the pasturage, and in addition, he sold the cattle, often the only existing capital, in order to gain some working capital. The liquidation of church property coincided with the partition of the estates. Middle and large proprietors, farmers, agents of the countryside, even traders, pushed by arrogance to call themselves in turn latifundiste, all bought these lands almost thirty million hectares in five years. All the savings of the province disappeared; debts were incurred; animals were still being sold and forests were being cut down. During the early years, the deforested land yielded a return without effort; one was cultivating virgin soil. And for some time at least, one had the illusion that Basilicata was to become a province of agricultural prosperity. Stimulated by the example and encouraged by the success, the ancient proprietors began in their turn to clear the ground. Basilicata had been an immense forest. At one time previously was not the Lucanie [ancient name for Basilicata] celebrated for its woods, and did it not draw its name from them? Nearly half the forests disappeared in a few years. Enthusiasm was the order of the day. Above all, political enthusiasm overflowed. Unity had been achieved. Roads and bridges were to be created, railways and canals constructed, markets opened, education spread. The pastoral art, good for primitive times, no longer suited the new times. All would be transformed. All would be renewed. The illusion was of short duration. Soon the land became exhausted, and manure was lacking because of the diminution of animals; yields went down. Money was short, mortgage debt accumulated, taxes rose, workers’ wagcs went down. The means of communication were slow in arriving, and those which were established served only to cause competition; prices fell. Treaties of commerce were signed and all to the advantage of industry. They ruined agriculture; one sold at a loss. During this time the deforestation was producing little by little its natural effect. The ram washed the mountains and denuded them of their thin covering of plant soil. The torrents hollowed out the valleys and covered them with pebbles, stones, and sand. The plains were transformed into swamps, and malaria became intense. Water broke down the soil and landslips menaced the villages. Step by step the present situation was being approached, which for greater clarity it is useful to pinpoint with figures (...).

306 In 1822, the head of cattle numbered 788,718: 503,000 sheep, 101,734 goats, 57,600 beef and cows, 126,384 pigs. In 1840 the number of sheep alone was 757,119. In 1875 there were only 556,614 head of cattle; in 1881 only 539,520, of which 41,364 beef and cows, 359,833 sheep, 112,394 goats, 25,929 pigs. That was a decrease of twothirds in sixty years. We ought to find this decline offset by a rise in field crops. They were worth in 1865 64,299,624 francs. They are now worth only 39,283,248 francs. This is a diminution of nearly half in forty years. Without going farther, let us examine the situation in 187983 and in 1902. It is in that period, above all, that the crisis became acute. Without doubt the production of olives and oranges rose, by more than half. But olives and oranges are found only in certain regions, notably on the Ionian and the Tyrrhenian coasts. It is a specialized culture which one can hardly put in general statistics. In contrast, the production of maize fell from 512,000 hectolitres to 55,000, and the area cultivated, from 27,133 hectares to 1,800. The production of potatoes fell from 208,172 hectolitres to 119,353; the area cultivated, from 21,235 hectares to 20,000. The production of legumes fell from 650,353 quintals to 191,472; the area cultivated from 16,344 hectares to 13,107. The production of oats, barley and rye fell from 642,305, 281,532, 15,291 hectolitres to 300,606, 88,872, 8,288; the area cultivated from 45,502, 21,043, 3,395 hectares to 35,396, 12,164 1,688. And it is the same for flax, hemp, chestnuts. One chestnut tree is often all that remains of the immense forests destroyed, and is nevertheless sometimes the only fortune of a family. How often have I not heard it said, “Those people, they are not unhappy, they have a chestnut tree”. In addition to these figures, it is clear that not only have the production and the area cultivated diminished, but that again the yield per hectare is less. Less and less is cultivated, and that which is cultivated is managed in a worse and worse way on land more and more exhausted. Less and less is cultivated. In all the villages, half, sometimes twothirds, of the land has been abandoned: mountain land, fallenin land, ravines, and also land too far away. The agricultural worker is paid on average 1.70 per day; but, given the distance of certain fields and the loss of time occasioned,

307 the price of the effective day’s work often comes to 5 francs, without considering that the worker arrives at his work already fatigued by a bong walk (...). One prefers to abandon these lands too far from town. Methods of cultivation become worse and worse. Above all, one is forced to economize, for the burden of taxes and of mortgage debt takes away all possibility of modernizing agricultural methods. (...) Crushed by taxes and mortgage debt, can the property owner at least sell his produce easily? In 1898, 52,700,732 francs had been spent on roads, of which 33,754,186 was the responsibility of the State, the rest the responsibility of the province. But while in Lombardy, for example, there were 57 kilometres of road for each 100 square kilometres, in Basilicata, the 2,270 kilometres of road constituted an average of hardly 24 kilometres for each 100 square kilometres. Even today, 21 communes, some of which are important centres, have no carriage roads, but only footpaths. At the first snowfall in October all communication is interrupted until spring. Basilicata is no better supplied with the 337 kilometres or railway of which only 112 are truly regional. For the villages are often 25, 33, 40, 45, 54, 56, 65 and 80 kilometres away from the stations, rarely less than 8, 10, 17. Merchandise is carried on the back of a donkey or on the roof of the infrequent coach(...). It is a primitive means, and it is not rare that a quintal has already cost 3, 5 or 7 francs, before arriving at the nearest station. What profit can remain from the sale of these products thus burdened with a major expense of transport, if one thinks that a hectolitre of wheat, which in 1879 was sold for 22.80, sold in 1894 at only 16.38, that in the same period a hectolitre of oats fell from 8.72 to 6.26, the hectolitre of wine from 35.25 to 20.50, the hectolitre of oil from 101.15 to 63.10. There are too many taxes, too much debt, to be able to farm; one cannot sell. Also all the farms have depreciated in value themselves. Fifty years ago the best lands in the mountains were worth from 500 to 800 francs per hectare, in the plains from 800 to 1200 francs. In the mountains today they are barely worth from 150 to 250 francs, in the plains from 250 to 400. The best pasture in the mountains is worth from 300 to 500 francs, in the plains from 400 to 600 francs. Buyers are not to be found today in the mountains at 150 to 200 francs, m the plains at 200 to 250, approximately the price of renting a farm in the north of Italy. (...)

308 People have always emigrated from Basilicata. Formerly it was coppersmiths musicians, petty earners spending ten, twenty, and thirty years abroad, suffering many privations (some have assured me they drank not a single glass of wine during their absence), and returning to the country with modest savings. Then it was a few young men, bolder and more enterprising than the others, calling and attracting each other. They remained in touch with their families all along, and often the entire family lived from the money they sent. They still preserved the memory of their villages; and not infrequently one sees churches where some banner, some statue of gift plaster, was “given by emigrants”. The contact continued. Today it is emigration en masse and without any thought of returning. “Tuti la monn’ fosse paraviso, la reuerrij di l’ome e la suva casa” (the world would be a paradise, if the true happiness of man were still in his home). It was an old Lucanian proverb. The Lucanians have now forgotten it. They depart. They depart forever, taking with them women and children. They recover their customs in America. They have their priests, their doctors, their feasts for patron saints; they form veritable colonies. It is not paradise. But why should they come back? At least, they live. “He who has not put his foot on the precipices of Lucany”, said the senator Lucara, “who has not seen the sadness of the mountains and of the plains, cannot grasp the grievous situation of a region which is attacked at the very sources of life”. The President of the Council, Zanardelli, wanted to see for himself. “For how many days have I gone through the immense extent of mountains, denuded, scorched, without any produce. One walked hour upon hour without finding a house, and the anguished silence of the mountains succeeded the deadly plain where the rivers mingled with the valleys, ravaging cultivation and infesting the countryside with malaria. I have seen for example the bed of the Agri be one with the valley, and the water almost stagnant, not having, so to speak, any course in this immense arena. There a great battle has been lost against the forces of nature and the misfortune of men”. It was thus that in 1902 Zanardelli expressed himself, on returning from his triumphal journey in Basilicata. (...) Emigration from Basilicata has become contagious. It will only stop the day when the peasant will have proof that he can live and the property owner the near certainty that he will be able to enrich himself .(...)

309

Adolfo Rossi

Vantaggi e danni dell’emigrazione nel Mezzogiorno d’Italia. Note di un viaggio fatto in Basilicata*

* Adolfo Rossi, Vantaggi e danni dell’emigrazione nel Mezzogiorno d’Italia. Note di un viaggio fatto in Basilicata e in Calabria dal R. Commissario dell’emigra- zione Adolfo Rossi, Ottobre 1907, in «Bollettino dell’emigrazione», 1908, n. 13, pp. 3-31; 93-99.

311 Il 1° del mese di ottobre u.s. mi trovavo in viaggio diretto a Cosenza. Ero incaricato dal Commissario generale di verificare in qualche provincia di forte emigrazione per quali ragioni non funzionano i Comitati dell’emigra- zione e studiare come e in qual modo si possa sostituirli. Essendomi ferma- to a Potenza per passare la notte, trovai all’albergo Lombardo una Commissione parlamentare della giunta d’inchiesta sulle condizioni dei con- tadini nelle provincie meridionali, composta del senatore Antonio Cefaly, presidente, dei deputati F. Nitti e G. Raineri, del professore di geologia, G. Di Lorenzo, del prof. Azimonti, direttore della locale cattedra ambulante di agricoltura, del delegato tecnico prof. Ernesto Marenghi e del sig. F. Montesanto, segretario. Informato dello scopo del mio viaggio, il presidente on. Cefaly mi disse che quel giorno stesso la Commissione aveva iniziato una serie di escursioni nella Basilicata e nella Calabria e che una gran parte degli interrogatori che faceva ai proprietari ed ai contadini riguardava i vantaggi e i danni dell’emigrazione. Aggiunse che nella mia qualità di Commissario della emigrazione avrei potuto essere un utile membro aggregato alla Commissione e m’invitò gentilmente a seguirla e a partecipare ai suoi lavori, osservando che siccome la Commissione stessa disponeva di una buona auto- mobile, avrei potuto compiere assai rapidamente un viaggio che da solo e con le carrozze avrebbe richiesto dei mesi. Non potevo far altro che ringraziare il Presidente, informando il Commissario generale del cortese invito, e il giorno appresso continuai il viaggio con la Commissione.

Albano di Lucania (Potenza)

Il 1° ottobre la Commissione aveva visitato i comuni di Avigliano e di S. Fele. La mattina del 2 si partì alla volta di Albano di Lucania, comune a 35 chi- lometri da Potenza, a 897 metri sul livello del mare, situato in una pittoresca posizione ma circondato da cime di montagne in gran parte brulle e rocciose. Il sindaco informa che nel censimento del 1891 la popolazione era supe- riore all’attuale; la diminuzione proviene dall’emigrazione che comincia a portare via anche le famiglie intiere. La popolazione di oggi si calcola a 2400, di cui circa 600 in America. Il Sindaco osserva che l’emigrazione è causata dalla povertà delle terre

312 circostanti e dall’allettamento delle alte mercedi che si possono guadagnare all’estero. Le mercedi locali, che 8 o 10 anni addietro erano di centesimi 50 al giorno oltre il vitto, sono ora più che raddoppiate, ma tuttavia scarseggia la mano d’opera, è sempre più difficile trovare contadini a giornata, e, nella stagione dei raccolti, si ricorre a contadini provenienti dal Leccese. La delinquenza è notevolmente diminuita. Qualcuno dei reduci d’America acquista dei piccoli poderi nelle vici- nanze del paese. Alla posta vi sono circa 60,000 lire di risparmi dei cosiddetti americani. I reduci non si adattano più ai faticosi lavori di una volta a meno che non si tratti di lavorare nei propri poderi. La maggioranza emigra per New York, e Bueuos Aires. La malaria che esiste nelle terre basse del territorio comunale è diminuita grazie alla distribuzione del chinino. Nell’ufficio municipale vengono interrogati alcuni piccoli proprietari, i quali si lamentano di essere stati rovinati dall’emigrazione e dal conseguente aumento delle mercedi. Non pochi poderi di medi proprietari vanno all’asta per mancato pagamento di imposte. Un proprietario di 255 ettari di terre montuose dice che ha i suoi beni vincolati dall’esattore, il quale li ha messi in vendita complessivamente per 21,000 lire, cifra che dimostra il magro reddito di queste proprietà. Una volta la maggior parte dei proprietari trovavano da affittare i loro beni, ma ora nessuno li vuole in causa della troppo scarsa loro rendita: si preferisce emigrare. Uno dei proprietari afferma che mentre fino a dieci anni or sono ricava- va seimila lire l’anno dall’affitto delle sue terre, ora non ritrae neanche tanto da pagare l’imposta fondiaria che varia da 4 a 5 lire l’ettaro. Richiesto del suo parere sugli emigranti, dice che alcuni di essi, non abi- tuati ad avere del denaro, al loro ritorno dall’America lo sciupano, e che le loro lunghe assenze quando sono ammogliati, causano non di rado disordi- ni nelle famiglie.

* * *

Il contadino Valenzano Rocco, padre di sei figli, informa che a più di due ore di distanza dal paese tiene in affitto sei tomoli di terre. (Il tomolo equivale a 41 are come misura di superficie e a 55 litri come misura di capa-

313 cità). Il terreno è così povero che quest’anno ha fruttato appena il doppio delle sementi e nelle migliori annate dà con fatica dai tre a quattro grani per ogni semente. Due dei suoi figli emigrarono recentemente negli Stati Uniti. Dice che le mercedi sono ora da 75 centesimi ad una lira, oltre tre pasti, che si compongono di pane di granturco e qualche zuppa di fagioli o di patate. La casa del Valenzano consta di due stanze. Nella prima alloggiano il figlio primogenito con la moglie, un bambino, un maiale ed alcuni polli. Nella seconda stanno il Valenzano, sua moglie, una figlia di 15 anni, un figlio di 17, e questi due ultimi dormono in un solo letto. L’affitto delle 2 stanze costa 20 lire all’anno. Il paese manca di acqua potabile. Gli abitanti devono andare a provve- dersene a 3 chilometri di distanza e per il trasporto dell’acqua le famiglie numerose sono costrette a tenere una vettura, cioè un mulo od un asino. Un piccolo proprietario racconta che l’emigrazione non lascia nel paese che i vecchi e gl’invalidi, perché i migliori se ne vanno e talora portano via le intiere famiglie. Dice che una volta i contadini presi a giornata si contentavano di un modesto vitto e ora vogliono invece cibi di prima qualità. I cinque tomoli di terre che egli possiede, in causa della scarsezza di brac- cia non gli fruttano che i legumi per la famiglia e, se li vuole, è costretto a coltivarseli personalmente. Ha un figlio prete emigrato a Buenos Aires, il quale gli spedisce i dena- ri per pagare le imposte. Conclude dicendo che tiene nel paese due palazzi (case) vuoti. Udendo le deposizioni di alcuni di questi piccoli proprietari, si riceve l’impressione che essi erano abituati a vivere col prodotto degli affitti di minuscoli poderi quando la mano d’opera costava dieci soldi al giorno ed anche meno; e mentre essi imprecano contro l’emigrazione, si pensa se non costituissero una specie di parassitismo a danno del lavoratori dei campi. Non essendo questi piccoli proprietari abituati al lavoro manuale non hanno oggi neanche la possibilità di poter emigrare così i modesti contadini stanno ora realmente meglio dei loro antichi padroni.

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Il sig. Osvaldo Di Grazia, appartenente ad una buona famiglia della

314 Basilicata, racconta che mentre studiava al liceo pensò di dedicarsi all’agri- coltura. Venne ad Albano di Lucania e in parte acquistò dalla Banca di Italia e in parte prese in affitto seicento tomoli di terre. Ne tiene la maggior parte a pascolo. Dice che, per la scarsezza delle braccia e per il salario aumentato, ha trovato opportuno far coltivare a mezzadria, ma conclude che se non si dedicasse ad altre speculazioni, come acquisto e vendita di bestiame, non se la caverebbe. Usa l’aratro Sack. Deplora la mancanza dell’acqua: per averne in paese deve tenere un mulattiere che gli costa 565 lire l’anno.

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Il sacerdote Don Bollettino, giudice conciliatore, dice che l’emigrazione ha messo un freno all’usura, ma che anche buona parte del denaro che viene dall’America va a finire in mano agli usurari e di bottegai che hanno antici- pato il denaro per il viaggio o per mantenere le famiglie degli emigrati. Vi sono negozianti che prestano il grano per la semina a più del 25 per cento. Per diminuire la miseria dei piccoli proprietari, Don Bollettino propor- rebbe che lo Stato li esentasse per 10 anni dall’imposta fondiaria. Dice che la salute pubblica lascia molto a desiderare per la cattiva nutri- zione. Deplora la promiscuità con la quale dormono le famiglie, ma aggiun- ge che ben di rado si sente parlare di scandali. Racconta che le donne spingono spesso i mariti ad emigrare, con la spe- ranza di essere poi condotte esse pure in America.

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Vito Russo è un giovane contadino che, emigrato alcuni anni or sono, ha imparato a New York a fare il barbiere e dopo aver mandato una buona quantità di denaro alla sua famiglia, è tornato ora ad Albano di Lucania per prendere il padre, la madre, la sorella e portarseli con sé a New York. Richiesto perché avesse emigrato, risponde testualmente: “Qui ero pove- ro e lacero, andavo scalzo e guadagnavo cinquanta centesimi nei giorni in cui si poteva lavorare. A New York come semplice garzone barbiere guadagnavo da 12 a 14 dollari la settimana. Poi ho preso una piccola bottega. Prima di partire l’ho venduta per 500 dollari ed ora torno a New York a metterne su un’altra migliore”.

315 Siccome era la prima volta che una automobile giungeva in Albano di Lucania, uscendo dal Municipio l’abbiamo trovata circondata dalle donne e dai ragazzi, del paese, il quale con meno di 3000 abitanti ha sei preti.

Pignola (Potenza)

Da Albano di Lucania, siamo passati al comune di Pignola, incrostato fra le rocce, a 9 chilometri da Potenza. Il sindaco dice che la popolazione è in continua diminuzione per effetto dell’emigrazione. Nel 1881 Pignola conta- va 4000 abitanti; nel 1901 erano 2557 ed oggi sono appena 2100. L’emigrazione ha raddoppiato i salari che fino a 10 anni fa erano di pochi centesimi al giorno: ora le mercedi dei giornalieri sono di L. 1.50 oltre il vitto; anche le donne guadagnano da una lira ad 1.50 secondo le sta- gioni. Il sindaco riconosce che coi loro primi risparmi gli emigrati pagano i debiti propri e delle loro famiglie; ma deplora che oltre gli uomini più vali- di emigrino spesso intiere famiglie: teme che nel villaggio rimarranno pochi vecchi soltanto. “E il Governo, aggiunge, rimarrà senza soldati!”. Afferma che in passato gli agenti delle Compagnie di navigazione facili- tavano molto l’emigrazione, ma crede che oggi la loro influenza sia assai scar- sa; non vi è famiglia nel paese, quasi, che non abbia parenti od amici in America. Molti lavoratori hanno già fatto più di una volta la traversata tran- satlantica e conoscono non solo le varie Compagnie ma anche i singoli piro- scafi. Parecchi, quando tornano in America, vanno a Napoli ad acquistare i biglietti senza bisogno dell’intermediario. Interrogato se avesse qualche proposta da fare dal punto di vista di even- tuali restrizioni dell’emigrazione, il sindaco risponde che la gratuità dei pas- saporti gli sembra una facilitazione, ma dichiara pure che il maggiore eccita- mento proviene dall’esempio di quegli emigrati che inviano risparmi alle famiglie e che tornando dopo 2 o 3 anni dall’America si costruiscono una casetta nuova o acquistano un podere nelle vicinanze del paese. Aggiunge che non tutti gli emigrati sono economi e che parecchi tor- nando dall’America sciupano il danaro. La delinquenza è diminuita. Il paese ha due medici condotti: un terzo, libero, emigrò a Chicago.

316 Pignola contava anni addietro nientemeno che 24 preti: ora ne sono rimasti soltanto 4.

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Il proprietario Eugenio Ferretti ha 1500 pecore e 500 capre. Dice che, in causa delle aumentate mercedi, da un capitale di circa 20,000 lire di bestiame ricava con fatica dal 4 al 5 per cento di reddito. Un piccolo proprietario dichiara che per la crisi ha dovuto abbandonare una parte dei suoi 50 ettari di terre montuose. Afferma di ricavare dal resto un centinaio di lire appena, mentre ne paga 250 di imposte. Specula sul vino e s’ingegna con altre industrie. Dice che per la legge sulla Basilicata fu diminuita finora soltanto la tassa sui fabbricati. Alcune vigne vengono zappate da contadini baresi. Rocco Boffilo, presidente di una piccola Società cooperativa agricola di produzione e di consumo, la quale conta 29 soci, tiene in affitto alcune vigne: due terzi del reddito sono suoi, un terzo del proprietario. - La va male, dice, parecchi contadini qui non sanno pane; vivono di patate e fagiuoli. I salari sono cresciuti, è vero, ma c’è lavoro soltanto per 3 o 4 mesi dell’anno. - Perché tanti vanno in America? - Perché vi stanno meglio. Il lavoro qui e pesantissimo. All’alba il conta- dino deve recarsi al podere, che il più delle volte dista due o tre ore dal vil- laggio, cogli istrumenti in ispalla, rincasando a notte fatta. Prima di giunge- re sul luogo ove ha da lavorare, dopo aver fatto sei o sette chilometri di mon- tagna, è già avvilito. Aggiungasi l’inverno lungo, rigidissimo. Torna uno dalla America e sentendo che là si guadagna bene e che non vi sono questi disagi, il contadino non sa resistere alla tentazione di andare. Questo è quello che si chiama il contagio dell’America. Richiesto del perché la Cooperativa agricola di produzione viva stenta- mente, il Boffilo risponde che le terre circostanti sono assai magre e che ci vorrebbero delle casse agrarie per i contadini onde aiutarli ad acquistare le sementi e gli strumenti più necessari. Il comune è povero, aggiunge. Lo Stato dovrebbe provvedere alla scuo- la. I padri mandano i ragazzi a lavorare anziché alle scuole. Uno fra i vari contadini interrogati (i quali depongono tutti uniforme-

317 mente sulla miseria dei terreni dirupati e delle aspre montagne) dice che, malgrado i risparmi degli emigranti, vi sono ancora parecchi usurai nel paese. Egli ha preso cento lire in prestito al 10 per cento e gli sembra un tasso one- sto. Per piccole somme alcuni si fanno pagare un soldo al mese per ogni lira. Anche il grano per la semina viene prestato con usura. Attraversando queste brulle montagne si pensa che un prospero avveni- re non potrà mai sorridere alla Basilicata a cui la natura fu troppo matrigna: qualche miglioramento sarà possibile soltanto coi rimboschimenti e con la sistemazione delle acque.

Potenza

Tornati a Potenza, la sera stessa del 2 ottobre, nell’ufficio del prof. E. Azimonti, direttore della Cattedra ambulante di agricoltura, si interrogarono vari proprietari e contadini. Il dott. Ricciuti ha acquistato per L. 27,000 duecento ettari di terreni montuosi che, nelle loro parti meno aride, coltiva, per quanto gli è possibi- le, con sistemi moderni. Dice che il prato artificiale, l’erba medica e la lupinella riescono bene, malgrado la povertà del terreno e la scarsezza dell’acqua. In causa della defi- cienza delle braccia, non può coltivare direttamente e ricorre alla mezzadria. Dichiara che i contadini hanno ragione di emigrare perché ogni lavora- tore bravo ed economo può mettere da parte 1000 lire all’anno. Parecchi emigrati hanno risparmi alla posta ed alcuni li investono ora in rendita pub- blica per ricavar maggior profitto. Richiesto se ritenga che si possano trovare rimedi contro l’eccesso di emigrazione, dice che allo stato delle cose nessuno può trattenere la corren- te. Vanno tutti, anche coloro che possiedono una casa ed un podere: tutti vogliono provare. Interrogato sull’opera che esercitano i rappresentanti delle Società di navigazione risponde che, quantunque meno essi facilitano sempre l’emigra- zione perché sono troppo interessati a vendere il maggior numero possibile di biglietti di passaggio. Crede che un certo freno si potrebbe mettere vie- tando l’emigrazione ai giovani soggetti alla leva. Deplora la ignoranza e la mancanza di istruzione elementare tecnica in

318 cui vivono questi contadini. Un contadino, dopo aver lavorato per tre anni negli Stati Uniti, tornò con 1500 lire, con cui comperò un piccolo podere. Ne tiene in affitto un altro più grande, ma dice che il ricavato è così meschino che dovrà tornare in America “ove si guadagna di più”. Vive in una sola stanza a pian terreno con suo padre, sua moglie, due figli e un asino, nella città di Potenza.

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Michele Brancucci, vecchio contadino, possiede un ettaro di terra a due ore di cammino dalla città, per il quale paga 19 lire di tassa fondiaria. Descrive egli pure la povertà di queste terre che vengono coltivate con sistemi primiti- vi soltanto per l’attaccamento che i contadini hanno per i luoghi nativi.

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Il contadino Bonaventura Corradi ha lavorato negli Stati Uniti guada- gnando un dollaro e mezzo al giorno, mentre qui, dice, non prende che 30 soldi. Aggiunge che sarebbe tornato negli Stati Uniti, ove ha passato quat- tordici anni, se non avesse 9 giovani figli, la maggior parte dei quali emigre- ranno certamente man mano che l’età lo permetterà loro.

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Il contadino Michele Trapezza racconta che è tornato da New York con 3000 lire di risparmi, con cui si costruì una casa. Vengono interrogati altri contadini e piccoli proprietari che depongono uniformemente sulla povertà di queste terre. Fra altro dicono che è assurdo il credere possibile una migrazione interna, dalle provincie della Italia set- tentrionale in Basilicata, perché questi terreni sono troppo poveri. Qualcuno ritiene che se venissero dei contadini ferraresi, veneti o di altre regioni, fini- rebbero ben presto coll'emigrare essi pure in America.

319 Laurenzana (Potenza)

La mattina del 4 si partì alla volta di Laurenzana. Lungo la strada si sostò alquanto presso un accampamento di pastori, i quali fra pecore e capre custo- divano 2000 capi di bestiame. Erano caratteristici alcuni pali sostenenti delle specie di ceste ovali che costituiscono i guardaroba dei pastori. Laurenzana, ove si giunse verso le 10 ant., è alta 800 metri sul mare. Il sin- daco sig. Caffarelli informa che mentre nel 1881 il comune aveva una popola- zione di 7300, non ne aveva che 4300 nel 1901 e oggi conta poco più di 3000 abitanti, tutti gli altri essendo emigrati specialmente nell’America del Nord. Dice che prima si emigrava per miseria, ora per ispirito di imitazione e per procurarsi dei risparmi. Aggiunge che non pochi dei reduci sciupano i denari guadagnati e sono costretti poi a emigrare di nuovo. Non abituati ad aver denari, quelli che tornano fanno spesso sfoggio dei loro guadagni e mostrano dei biglietti da 100 lire che tengono in tasca. Afferma che gli agenti di emigrazione non solo facilitano i viaggi per guadagnare le commissioni, ma talvolta, anticipano essi medesimi l’intiero importo dei biglietti di passaggio; sicuri di essere rimborsati coi primi dana- ri guadagnati dagli emigrati in America. Crede che facilitino l’emigrazione anche col fatto che fanno imbarcare come passeggieri di seconda classe dei lavoratori che avendo superato la quarantina correrebbero rischio di non essere accettati imbarcandosi come passeggieri di terza classe. Dice che una risorsa dei piccoli proprietari era una volta l’affitto, spari- to oggi con l’emigrazione. Ora i proprietari sono costretti a coltivarsi da sé le terre o ad abbandonarle. I giornalieri, ossia i contadini che si pagano a gior- nata, diventano ogni giorno più rari malgrado l’aumento delle mercedi. Crede che certe zone di questo povero territorio diventerebbero più frut- tifere se si adottassero sistemi moderni di agricoltura. Una ventina di pro- prietari potrebbero farlo con l’aiuto del direttore della Cattedra ambulante di agricoltura. Il Comitato mandamentale di emigrazione non ha mai funzionato, come la Commissione visitatrice delle carceri. Il sindaco dice che se si con- vocasse il Comitato e chiamasse, per dar loro opportuni consigli, i contadini emigrati, questi nella loro ignoranza supporrebbero che il sindaco non voglia farli partire e che il Comitato sia una istituzione creata dal Governo per met- tere ostacoli alla emigrazione a favore dei proprietari.

320 Richiesto del suo parere su eventuali rimedi contro l’eccesso dell’emi- grazione, il sindaco dichiara che egli comincerebbe con l’abolire tutti i rap- presentanti delle Società di navigazione. Una specialità dell’emigrazione del paese è questa: che l’80 per cento dei contadini emigrati fanno i lustrascarpe a New York e in altre grandi città degli Stati Uniti. Nel paese vi sono molte case chiuse ed abbandonate. Alcune di esse dovettero essere abbattute perché minacciavano di cadere. Il sindaco conclude la sua deposizione dichiarando che questi proprieta- ri, piccoli e medi, tanto danneggiati dall’emigrazione, dovrebbero essere esentati dal pagamento dell’imposta fondiaria per un trentennio!

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Rocco Pellettieri è un contadino che malgrado i suoi 68 anni lavora ancora come un giovanotto. Racconta con orgoglio che è stato un della I classe chiamata sotto le armi da Vittorio Emanuele II. Possiede 10 tomoli di terre sterili e ne tiene altri 10 in affitto, ma dice che qualche volta ci rimette perfino la semina: in certi anni la neve dura per 5 mesi. - Perché vanno in America? - Perché qui le terre sono sterili e là si guadagna assai di più e si sta molto meglio.

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Il pretore sig. Gianni dice che riterrebbe opportuno frenare alquanto l’eccesso dell’emigrazione non rilasciando i passaporti con la facilità e la gra- tuità attualmente in vigore. Un altro vecchio contadino (gli interrogati sono quasi tutti vecchi poi- ché i giovani si trovano in America) racconta che ha 3 figli negli Stati Uniti e che rimane con lui il quarto perché storpio. Dice che possedeva due fondicelli, ma uno se l’è portato via la valanga e l’altro “l’ha impietrato ‘a jumara”. (cioè l’ha coperto di sassi il torrente). Aggiunge che ha in affitto un poderetto: quest’anno semino un tomolo di grano e ne fece due, che non bastano per pagare l’affitto. Dice che qualche povero vecchio come lui va a lavorare a giornata quan-

321 do ne trova e che per alcuni è terribile l’inverno di forzato riposo, durante il quale “chi mangia e chi non ne ha si gratta la pancia”.

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Michele Fanelli, piccolo proprietario e affittuario, dice che ogni anno vengono abbandonate delle terre per la mancanza di braccia. I salari aumentati, dice, e il reddito diminuito ci hanno rovinato. Ha un figlio emigrato in America che in due anni mandò 2000 lire con cui s’industria facendo il commercio dei maiali.

Corleto Perticara (Potenza)

Poco dopo le due pom. ci fermavamo a Corleto Perticara, comune di circa 4500 abitanti. Siamo ricevuti con grande cortesia dal senatore Carmine Senise, il noto ex-prefetto, che da qualche tempo vive a riposo in questo suo paese nativo. Egli comincia col riconoscere che l’emigrazione ha giovato alle classi povere. In Corleto pochissimi sono ora gli indigenti, tutti pagano le tasse, e un pasto- re, dice testualmente, sta meglio di un maestro di scuola. Un mulattiere gua- dagna non meno di ottocento lire l’anno. Soltanto i proprietari di terre, pic- coli e grandi, sono danneggiati per le aumentate mercedi e per la scarsezza della mano d’opera. Non vi è ora popolano che non mangi pane bianco. Senza l’emigrazio- ne, siccome la popolazione era in continuo aumento, la miseria sarebbe cer- tamente cresciuta. Vi è qualche emigrante che, dopo dieci o dodici anni, torna con un capi- tale dalle 10 alle 20 mila lire; e questi esempi di notevoli guadagni costitui- scono il maggiore incentivo per l’emigrazione. L’on. Carmine Senise conclude dicendo di ritenere che una spinta la danno anche i rappresentanti delle Società di navigazione.

322 Viggiano (Potenza)

Percorrendo una strada montuosa, attraverso un paesaggio che diventa meno aspro e che è coperto qua e là da boschi, verso le sei pom. arriviamo a Viggiano, a 1200 metri sul mare. La caratteristica di questo paese, sotto il quale si stende una fertile valla- ta divisa in piccole proprietà, si è che quasi tutti gli emigranti fanno i suo- natori ambulanti di arpa e d’altri istrumenti, spingendosi nei più lontani paesi, persino in Cina e nell’Alaska. Il sindaco comincia con l’osservare che la popolazione è in diminuzione. Nel 1881 gli abitanti erano 7000, ora non arrivano a 5000. Prima partivano soltanto i musicanti di professione; ora emigrano anche i contadini e talora con l’intiera famiglia. Numerosi sono i ragazzi dai dodici anni in su, che ven- gono portati in America dai parenti. Quasi tutti coloro che emigrano senza famiglia, e sono il fiore della gio- ventù, mandano a casa i loro risparmi. Due terzi degli emigrati, facendo i musicanti, sono sparsi, come si dice- va, in tutto il mondo, dall’America del Sud a quella del Nord, dal Transvaal all’Australia. Il sindaco prevede che Viggiano andrà sempre più spopolandosi. Non crede che gli agenti dell’emigrazione esercitino un’influenza notevole. Nel territorio del Comune la proprietà è frazionata. Ogni famiglia pos- siede il suo orto o la sua vigna. I lavoratori che si prendono a giornata pro- vengono dal Leccese. Le mercedi sono da lire 2 a 2.50 alla scarsa, cioè senza il vitto. Il prezzo delle proprietà è diminuito per la difficoltà di coltivarle e per la grandezza delle imposte fondiarie. Per ottanta tomoli di terra, il sin- daco paga 500 lire d’imposte all’anno. Anche le pigioni delle case sono dimi- nuite. Le donne non lavorano in campagna. Il sindaco conclude dicendo che l’emigrazione, antichissima in questo Comune, fu aumentata dalla rapidità delle comunicazioni e che andrà cre- scendo ancora pel suo carattere speciale (i musicanti). Piccoli proprietari a cui non mancherebbe di certo il pane se rimanessero a casa, coltivando le loro vigne, emigrano per i risparmi che possono fare all’estero.

323 * * *

De Nigro Pasquale, dottore in scienze agrarie, grosso proprietario. Ha 500 tomoli di terre sue e ne amministra altri 600. Lamenta la scar- sezza della mano d’opera quantunque le mercedi siano raddoppiate negli ultimi anni. Dice che a Viggiano non si trovano più custodi per gli animali e che neanche i ragazzi vogliono guardare le pecore. È innegabile che l’emigrazione ha portato l’agiatezza a Viggiano. All’ufficio postale vi è mezzo milione di risparmi e numerosi sono oggi nel paese i possessori di titoli di rendita. Un suo colono emigrato pochi mesi or sono, ha già mandato a casa 950 lire. - Questa -osserva- è ciò che si chiama la febbre dell’emigrazione. Nessuno di noi proprietari guadagna tanto. Un amico mio che paga 500 lire all’anno di fondiaria, il signor Prospero Cascia, ha i figli emigrati in America perché guadagnano assai di più che se rimanessero in paese.

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Il commesso postale di Viggiano depone che giungono al suo ufficio da 15 a 20 mila lire di risparmi al mese, che ogni mese egli paga da 8 a 10 mila lire di vaglia e che pure ogni mese è incaricato di acquistare da 7 ad 8 mila lire di titoli di rendita.

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Un piccolo affittuario, che va spesso a lavorare a giornata, dimostra che il piccolo podere non gli frutta sempre quanto basta per pagare l’affitto. Dice che nella prossima primavera emigrerà anche lui. Un suo fratello si trova a Boston, Mass, ove guadagna 10 lire al giorno.

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Un altro bracciante racconta che tiene in affitto un podere di scarsissima rendita. Ultimamente seminò 4 tomoli di grano e ne cavò appena 8. Lavora a giornata per altri proprietari guadagnando una lira al giorno oltre il vitto. Viggiano dista 54 chilometri dalla ferrovia.

324 Moliterno (Potenza)

La mattina del 5 aprile, da Viggiano si passò a Moliterno, Comune a 700 metri sul mare, in bella posizione, con buone case e fiorenti vigneti. Il sindaco farmacista, dice che la popolazione del paese era di 6500 nel 1881 e di 5600 nel 1901 e va ora diminuendo ancora. Dal 1 gennaio al 30 settembre ultimo ha rilasciato 191 nulla osta per passaporti. L’emigrazione è costituita di contadini, la maggior parte giovani. Crede che gli agenti delle Società di navigazione la facilitino molto, e li vorrebbe aboliti. È di opinione che il governo dovrebbe proibire l’emigrazione a tutti i cittadini soggetti al ser- vizio militare, fino al 39° anno di età! Conclude osservando che chi è stato in America non lavora più volentieri come prima e si reca tardi al lavoro.

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Il signor Francesco Padula, grande proprietario, dice che, per la scarsità delle braccia, metà delle terre rimane incolta. La vigna si tiene da quasi ogni famiglia più per farsi un po’ di vino che per speculazione. L’ industria prin- cipale è l’allevamento delle pecore e delle capre. Il formaggio di Moliterno è molto ricercato a New York e se ne esporta una notevole quantità negli Stati Uniti. Egli solo ne esporta mille quintali all’anno. Vi sono poi altri grossi esportatori. Consegnato alla stazione di Montesano, questo formaggio si vende da 220 a 225 lire al quintale, mentre pochi anni fa era assai più a buon mercato e si vendeva a 150 lire appena. Gli emigranti di Moliterno sono gente intraprendente che si dà al piccolo commercio anche all’estero. Il signor Padula osserva che le migliori famiglie del luogo dovrebbero avviare i figli all’agricoltura e invece ne fanno dei dottori e degli avvocati. I salari degli zappatori sono di due lire al giorno oltre un litro e mezzo di vino e la colazione senza pane. Il signor Padula dice che si potrebbe frenare l’e- migrazione vietandola agli analfabeti ed ai giovani soggetti al servizio militare. “Se il governo -aggiunge- volesse richiamare qualche classe sotto le armi, chi troverebbe, se sono tutti in America?” Crede che per la Basilicata sarebbe utile il rimboschimento, quando fosse fatto dal governo. Richiesto della sua opinione sull’emigrazione interna, risponde: “I lavoratori dell’Alta Italia non si possono trovare bene in Basilicata.

325 Guadagnano di più nei loro paesi e mangiano meglio. Che volete che ven- gano a fare qui?” Moliterno conta un ingegnere, due medici, tre farmacisti, quattro avvo- cati, otto maestri e nove preti. Il vecchio contadino Lo Buffo, richiesto del perché tanti vadano in America, risponde: “Perché gli affittuari ricavano troppo poco dalle terre. Con una lira e settanta al giorno, i giornalieri non possono mantenere gros- se famiglie. Sono più i giorni in cui non si può lavorare o per la neve, o per la pioggia, o per le feste, di quelli in cui si lavora”. Il ricevitore postale dice che tiene nel suo ufficio circa un milione di depositi. Le spedizioni vanno ora diminuendo perché molti inviano direttamente il loro danaro alle famiglie in lettere raccomandate. (È da notare, infatti, che ogni anno da parte dei rappresentanti del Banco di Napoli e degli altri banchieri di New York, degli Stati Uniti e dell’America del Sud aumenta la richiesta di carta monetata italiana, per centinaia di migliaia di lire. Questi biglietti di Banca vengono appunto acquistati dagli emigrati allo scopo di rinviarli in lettere raccomandate alle loro famiglie, sia perché questo sistema evita ai destinatari il disturbo di andare a cambiare i vaglia, sia perché non vogliono far sapere i loro interessi agli estranei). Un giovane contadino dice che prima egli faceva l’affittuario, ma fu obbligato a smettere perché i redditi erano troppo scarsi. Ora lavora a gior- nata e assicura che, malgrado la scarsità delle braccia, vi sono dei mesi in cui non vi è richiesta di lavoratori, specialmente nell’inverno, quando per lungo tempo le campagne sono coperte di neve. Afferma che durante tutta l’anna- ta può lavorare al massimo 160 giorni con salari da L. 1.50 a L. 1.70 e un pasto. Soltanto all’epoca della mietitura guadagna L. 250. - Appena -conclude- trovo in prestito i denari per il viaggio, me ne vado in America anch’io.

Lagonegro (Potenza)

Da Moliterno si proseguì il viaggio verso Lagonegro (700 metri sul mare) ove si arrivò alle 4 p.m. Il cav. Piccardi, grosso proprietario, un vero campione della robustezza di questi montanari, egli ha 81 anni e va ancora a cavallo, afferma che quan-

326 tunque paghi ai salariati mercedi relativamente scarse, non può più tirare innanzi. I giornalieri che fino all’anno scorso prendevano una lira, ne voglio- no ora 1.25 e il vitto. Le donne, che prima si contentavano di 30 centesimi al giorno, ne vogliono ora da 60 a 75. - Perché emigrano? gli si chiede. - Vedono tornare i paesani col soprabito e il sigaro in bocca e vogliono andarsene tutti. È innegabile che mandano risparmi: il danno è per noi. Come consigliere provinciale ho sostenuto una proposta di far pagare 10 lire di tassa per ogni passaporto. Crede all’influenza degli agenti di emigrazione. Racconta che tre emigrati di Lagonegro risiedendo per lunghi anni all’e- stero sono diventati milionari. Uno, il sig. Grisolia, è tornato con un milio- ne. Anche i signori Jannuzzi, che, si son fatte bellissime posizioni nel Brasile, sono di Lagonegro. Il cav. Piccardi dà queste informazioni senza commenti e senza malizia, ma in altri Comuni ho notato che quando certi proprietari fra i più danneggiati dalla emigrazione alludono agli emigrati diventati ricchi, ne parlano con manifesti segni di stizza e d’invidia, dubitando che quelle rapi- de fortune siano state accumulate onestamente. Il facente funzione di sinda- co informa che la popolazione di Lagonegro, la quale era di circa 6000 nel 1881, è diminuita ora di un terzo in causa dell’emigrazione. Una piccola indu- stria locale è la tessitura della lana. Una volta la pastorizia era la principale indu- stria. I beni ecclesiastici servivano al pascolo. Il facente funzione di sindaco è proprietario e parla delle rendite assai scarse e della povertà della terra che spesso è nuda roccia. Riconosce che i contadini emigrano, quantunque i sala- ri siano aumentati, perché la terra non rende e i proprietari non trovano con- veniente far lavorare a così alte mercedi. Crede che il governo dovrebbe favorire in Basilicata l’industria pastori- zia per farla rifiorire.

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Vincenzo Riccio, vecchio contadino di 71 anni, coltiva un magro pode- re distante quattro ore di cammino dal paese. -Che vuoi fare- dice con frase scultoria nella sua semplicità con questa acerba montagna? Qui non si può vivere. Stiamo male noi e stanno male anche i proprietari. Ha un figlio in America: un altro fa ora il soldato.

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Un perito di terre spiega con particolari tecnici la sterilità di queste mon- tagne. I terreni ritenuti migliori si possono acquistare con 10, 12 o 15 lire il tomolo, e intanto è curioso notare che per fare il campo sperimentale si è comperato un podere di sette ettari pagandolo 8000 lire. Altri contadini spiegano, facendo i loro conti annuali, quanto sia diffici- le ricavare dai poderi il prezzo dell’affitto.

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Il contadino Caiaffa racconta che dovette decidersi ad abbandonare il suo fondo infruttifero. - Zappi dice e poi non raccogli. - Perché non l’hai venduto? - E chi vuoi che lo prenda? sono tutti sassi. Racconta che all’inverno per mangiare deve prendere spesso 10 lire in prestito. - Che cosa avete mangiato oggi? - Stamane due peperoni e patate e oggi nel pomeriggio un po’ di pasta e fagiuoli. Racconta che aveva quattro figli e che gli sono morti di carbonchio, si suppone dopo aver mangiato carne di pecore morte di malattie contagiose, carne messa sotto aceto. L’unico suo figlio superstite si trova in America, di dove gli ha mandato 1000 lire per restaurare la casa.

Latronico (Potenza)

La mattina del 6 ottobre s’andò a Latronico, capoluogo di mandamen- to, a 40 chilometri da Lagonegro, a 800 metri sul mare. Il pretore informa che il Comitato per l’emigrazione non ha mai funzio- nato per le solite ragioni: assenza di spirito filantropico, mancanza assoluta di volontà di lavorare gratuitamente: spesso poi avviene che i membri desi- gnati dalla legge sull’emigrazione per comporre il Comitato non sono in buone relazioni personali tra loro in causa dei partiti locali. I Comitati per

328 l’emigrazione, anche se venissero trasformati in Patronati a cui si pagassero le spese di un locale, di cancelleria, di illuminazione e magari anche di un segre- tario, riuscirebbero completamente inutili in questa provincia, ove l’emigra- zione è già fenomeno vecchio di venti o trent’anni, ove non vi ha famiglia i cui capi non abbiano già emigrato o non contino parecchi amici in America, ed onde, infine, per i lunghi abusi subiti in passato, è completa la sfiducia per tutto ciò che provenga dalle autorità governative o locali.

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Il sindaco dice che la popolazione è in diminuzione; 2300 abitanti sono in paese e 1500 in America, ove cominciano ad emigrare le famiglie intiere. Alla posta esistono molti risparmi, buona parte dei quali s’investe ora in car- telle di rendita. I contadini stanno oggi assai meglio di prima; sono rovinati i piccoli pro- prietari, i quali dai terreni poveri non ricavano tanto da pagare le imposte.

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Il sig. Gioia è l’unico proprietario che usi in questi dintorni i concimi chimici e gli aratri moderni. Il misoneismo degli altri proprietari è tale che dicono di non volere usare gli aratri Sack perché rovinano i buoi! Il Gioia informa che con gli antichi sistemi queste terre fruttano al massimo cinque semenze, ma con le concimazioni artificiali egli ne ricava invece da 13 a 24. Loda molto l’istituzione della cattedra ambulante di agricoltura, il cui diret- tore a furia d’insistere finirà col convertire qualche altro agricoltore. Il sig. Gioia dà ai suoi contadini giornalieri 2 lire oltre un litro di vino: afferma che ne trova quanti ne vuole perché chi si lamenta dell’eccessiva scar- sità di mano d’opera è gente che non vuol pagare mercedi ragionevoli. L’emigrazione locale si rivolge in grande maggioranza agli Stati Uniti: coi primi risparmi gli emigrati pagano i propri debiti e poi si costruiscono una bella casetta. I miglioramenti igienici che si trovano in questi paesi in fatto di abitazio- ni sono dovuti tutti all’emigrazione. Le numerose case nuove e pulite che si vedono in ogni villaggio, sono dei così detti americani; esse consistono gene- ralmente in una o due camere a pianterreno ed altrettante al primo piano e

329 sono costruite con calce e mattoni. In esse non si vedono più i maiali, gli asini e le galline nella medesima stanza in cui dormono i contadini. Per gli anima- li gli americani costruiscono un locale apposito accanto all’abitazione.

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Vincenzo Tucci, giornaliero, dice che guadagna una lira al giorno e il vitto, oppure 1.70 alla scarsa. Afferma che non torna conto prendere terre in affitto. Ha moglie e quattro figli e dormono tutti in una stanza, in due letti. A questi contadini che lavorando a giornata non ricavano il necessario per mantenere decentemente la famiglia, vien fatto di domandare: -Ma perché non andate in America anche voi?- A tale domanda rispondono che sono rimasti a casa o perché non hanno trovato i danari necessari pel viaggio, o perché, a differenza di tanti altri, non è bastato loro l’animo di lasciare sola la moglie con piccoli figli. Conviene notare che non tutti hanno lo spirito ardito e intraprendente che occorre all’emigrante anche se semplice contadino.

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Liborio Loffrano, contadino settantenne, racconta che ha un piccolo podere. - Semino un tomolo -dice- e ne cavo un tomolo e mezzo. - E perché non la vendi questa terra? - E chi se la piglia? Ha moglie e cinque figli, di cui uno a New York che gli manda qualche cosa. - Mangi carne? - E chi me la dà “’a carne?”. Tornando da Latronico a Lagonegro, visitiamo tre pulite case di conta- dini, una delle quali appartiene a un certo Cosentino, che ha passato 9 anni fra Buenos Aires e Montevideo. Tornato con 4000 lire, comperò una venti- na di tomoli di terreno, che coltiva. Dal soffitto della cucina pendono i pezzi di lardo e di carne di maiale. La moglie di Cosentino sta preparando della pasta all’uovo per il pranzo. Nelle case degli “americani” sono evidenti un maggiore benessere e una certa pulizia. Il Cosentino racconta che prima di andare in America possedeva i soli vestiti che teneva indosso.

330 In una casetta vicina abita un simpatico tipo di vecchio contadino, pic- colo e allegro, il quale, essendo scoppiata la camera d’aria d’una ruota del- l’automobile, offrì sul serio all’intiera Commissione di ospitarla durante tutta la notte nella sua cucina. E come vuoi fare se siamo in dieci? Eh! Vedrete che “ci arrangeremo!”.

Ancora Lagonegro

La mattina del 7, mentre si preparava l’automobile per la partenza da Lagonegro, interroghiamo due medici del luogo, i quali informano che, in causa della povertà del suolo, si emigrava anche anticamente dal paese: gli abitanti di Lagonegro andavano a Napoli, prima del 1860, a farvi i ciocco- lattieri e i calderai. Il dott. Alviano possiede vari poderi di circa 150 ettari complessivamen- te e afferma che non ricava neanche da pagare le 800 lire d’imposta fondia- ria. Produce qualche ettolitro di vino per uso della sua famiglia ed ha fatto il conto che gli viene a costare lire 1.25 al litro. Dice che quando si ricava dal grano il sei per uno, si pagano appena le spese. L’emigrazione crea in Lagonegro una piccola borghesia chiamata ameri- cana: son reduci dagli Stati Uniti o dall’Argentina, che hanno una piccola rendita dalle tre alle cinque lire al giorno e si contentano di vivere con essa, senza lavorare, come altrettanti pensionati, con la sola ambizione di diventa- re consiglieri comunali o presidenti della Società operaia. Vi sono circa cento famiglie di questo genere. (…)

Dati statistici

Ad illustrazione delle informazioni raccolte nella presente relazione aggiungo due prospetti statistici concernenti il movimento dell’emigrazione nel decennio 1898-1907 dalle provincie di Potenza, Catanzaro, Cosenza e Reggio di Calabria. Dall’esame del primo prospetto si scorge che l’emigrazione non solo venne aumentando nei dieci anni in tutti i singoli circondari di queste pro-

331 vincie ma in alcuni di essi crebbe in misura elevatissima. Nei quattro circondari della provincia di Potenza l’aumento percentuale fra i due quinquenni 1898-1902 e 1903-1907 oscillò tra 116 a 150. Fra i cir- condari della provincia di Catanzaro spicca quello di Crotone con un aumen- to percentuale, nello stesso periodo, di 215. I circondari della provincia di Cosenza sono pure tra quelli che nell’ultimo quinquennio hanno dato all’e- migrazione un più largo contributo, in ispecie il circondario stesso di Cosenza con un aumento percentuale di 343. I circondari della provincia di Reggio di Calabria presentano anch’essi aumenti molto rilevanti, massime il circondano di Palmi con un aumento percentuale di 285 e quello stesso di Reggio Calabria con 211. Considerando le proporzioni dell’emigrazione su diecimi- la abitanti per ciascun circondano della Basilicata e delle Calabrie, indicate nel secondo prospetto, vediamo che nella provincia di Catanzaro il numero dei partiti sta intorno ai 280 per diecimila abitanti ed in taluni circondari, come quello di Nicastro, sale ancor più toccando quasi 350. Nella provincia di Potenza (278 emigranti per diecimila abitanti) l’emigrazione del circondario di Lagonegro raggiunse la proporzione di 328. Nella provincia di Cosenza (262 emigranti per diecimila abitanti) il circondario di Rossano ha uno degli indici massimi di 332 e nella provincia di Reggio di Calabria (238 emigranti per diecimila abitanti) il circondario di Gerace ha un massimo di 285. Nel secondo prospetto sono state indicate anche le percentuali dell’anal- fabetismo nei singoli circondari delle quattro province. L’intenso movimen- to di emigrazione per l’estero causò nelle regioni del Mezzogiorno una dimi- nuzione di popolazione in parecchi Comuni. Questo grave fenomeno si è verificato particolarmente in Basilicata; di 71 Comuni del Regno che nel 1901 presentarono una diminuzione di 800 e più individui, 24 appartengo- no a quella regione. La diminuzione di popolazione per effetto dell’emigra- zione continua a verificarsi nella Basilicata come risulta dalle seguenti cifre:

Popolazione censita al 10 febbraio 1901 490,705 Popolazione calcolata al 1 febbraio 1907 470,385 Diminuzione 20,320

La diminuzione annua per mille abitanti nel sessennio 1901-1906 fu di 7.03. Segue l’elenco nominativo dei Comuni delle province di Potenza e Cosenza nei quali si è verificato fra il 1881 e 1901 (date di censimento) una diminuzione di popolazione superiore al 20 per 100.

332 1903- ALABRIA C EGGIO R 1902 1907 1902 1907 OSENZA E , C ATANZARO , C OTENZA P 1898-1908) DECENNIO ( 8052 8906 10,797 16,586 14,096 13,402 11,856 17,0094622 18,098 15,088 7030 10,420 11,687 15,091 16,011 100 15,060 13,787 129 10,391 21,802 18,987 16,0687021 10,629 16,207 7116 100 7103 152 9817 9061 7856 14,246 22,103 21,531 17,520 8018 16,651 100 208 EMIGRAZIONE NEI CIRCONDARI DELLE PROVINCIE DI ’ Potenza Catanzaro Cosenza Reggio di CalabriaReggio 3510 3567 5805 8609 11,827 12,356 10,845 18,385 16,566 13,641 6663 14,358 100 216 UMENTO DELL A e Province LagonegroMateraMelfiPotenza 2723 3329Catanzaro 3053Crotone 1356 3544 di Cal.Monteleone 1189 3525 1341 1594 2632Nicastro 1346 3227 1458 3698 2930 2447 3107 1407 2671 2905 3479 3261 4486Castrovillari 1989 5154 2643 4190 4370 4382 2974Cosenza 3602 1893 513 4064 2780 3905 4391 3263Paola 3006 4269 3393 3235 845 4511 2497 1356 3598 4359Rossano 3128 3821 1013 3927 1954 3612 1749 2600 5905 6120 100 1751 3091 2418 3981 3172 2148 6137 5852 2284Gerace 6099 2207 3220 5499 118 2748 5363 5971 2789 1890 5051Palmi 2612 2845 5485 100 3459 2841 1566 1418 4123 2314 3315 3678 di CalabriaReggio 5207 4893 127 3460 1471 3054 2332 100 2606 1837 1340 100 100 3311 2413 4458 1092 2872 6123 1861 1419 116 2674 2092 150 100 1083 4602 4773 2321 172 1104 1281 1637 2047 4535 3300 3148 1219 1644 146 2760 5997 3469 3631 3453 3097 1860 1528 1199 100 9052 3994 2301 4096 2274 2295 1613 7944 4201 3595 100 2599 3371 2778 215 624 7281 3792 100 5221 5052 3228 1463 118 1857 6462 5893 4390 3159 1769 156 6382 5478 3865 3626 2743 2781 100 4727 2453 6321 1407 3765 2337 3970 5781 2704 3427 343 4932 100 4804 100 5602 100 2759 5307 162 192 4984 4110 211 100 1567 4442 181 100 283 Circondario 1898 1899 1900 1901 1902 1903 1904 1905 1906 1907 1898- 1903- 1898- 333 EMIGRAZIONE E ANALFABETISMO NELLA BASILICATA E NELLE CALABRIE

Emigrazione 1898-1907 Analfabeti su 100 CIRCONDARI E PROVINCE Proporzioni a persone di oltre 6 Numero diecimila anni medio annuo abitanti

Lagonegro 3528 327.7 77.2 Matera 2448 219.7 75.9 Melfi 3080 291.0 74.2 Potenza 4333 275.1 74.6 Potenza 13389 277.5 75.4 Catanzaro 3756 252.2 76.5 Crotone 2021 269.9 79.1 Monteleone di Calabria 3867 267.0 79.4 Nicastro 3774 343.0 78.7 Catanzaro 13418 280.2 78.3 Castrovillari 2948 264.6 80.2 Cosenza 4119 210.5 76.9 Paola 3212 315.0 81.9 Rossano 2055 331.9 79.7 Cosenza 12334 261.9 79.2 Gerace 3872 284.9 84.0 Palmi 3004 208.3 80.0 Reggio di Calabria 3634 228.8 73.0 Reggio di Calabria 10510 239.4 78.0

334 ELENCO DEI COMUNI DELLE PROVINCE DI POTENZA E COSENZA CHE DAL 1 GENNAIO 1882 AL 10 FEBBRAIO 1901 EBBERO UNA DIMINUZIONE DI POPOLAZIONE LEGALE NON INFERIORE AL 20%

Popolazione residente CIRCONDARIO COMUNE Al Al Diminuzioni 1 gennaio 10 febbraio 1882 1901 Provincia di Potenza Lagonegro Colobraro 2705 2161 544 Fardella 1504 1060 444 Latronico 4103 3144 959 Moliterno 6983 5408 1575 S. Paolo Albanese 1088 836 252 S. Severino Lucano 4433 2741 1692 Teana 1272 874 398 Matera Oliveto Lucano 1116 886 230 Melfi San Fele 9704 6348 3356 Potenza Anzi 3649 2863 786 Armento 3035 2097 938 Balvano 3732 2951 781 Brienza 5287 3731 1556 Brindisi di Montagna 2229 1754 475 Calvello 5248 3445 1803 Campomaggiore 1485 1185 300 Laurenzana 7013 4304 2709 Marsico Nuovo 8084 6415 1669 Marsico Vetere 3002 1631 1371 Montemurro 4277 3015 1262 Pietrapertosa 3018 2273 745 Pignola di Basilicata 4023 2567 1456 Potenza 20,353 16,163 4190 Ruoti 3711 2963 748 Saponara di Grumento 3062 2058 1004 Sasso di Castaldo 2281 1434 847 Savoia di Lucania 1908 1476 432 Spinoso 2656 2098 558 Tito 4673 3621 1052 Tramutola 3528 2815 713 Trivigno 2570 1780 790 Viggiano 6030 4351 1679 Provincia di Cosenza Castrovillari Lungro 5742 4000 1742 Morano Calabro 9974 6596 3378 Mormanno 5932 4679 1253 Cosenza Pietrafitta 2972 1883 1089 Paola Sangineto 2190 1605 585 Terrati 530 273 257 Rossano Rossano 18,141 13,354 4787

335 Nelle succinte note che sono state fin qui esposte, i fatti e le persone par- lano abbastanza chiaramente da sé perché vi sia bisogno di lunghi commenti. La questione è estremamente complessa; le persone giudicano general- mente l’emigrazione dal solo punto di vista del tornaconto individuale: per il piccolo proprietario danneggiato dall’aumento delle mercedi l’emigrazio- ne è una rovina, mentre il contadino la crede una risurrezione, una specie di liberazione dall’antica schiavitù. Lo scrivente si ritiene poi in dovere di non fare calcoli sul bilancio dei danni e dei vantaggi dell’emigrazione, anche per un riguardo alla Giunta parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei contadini nelle provincie meri- dionali, la quale dopo un’indagine assai più larga e profonda manifesterà i suoi autorevoli giudizi e le sue conclusioni. Per la maggioranza del proletariato agricolo i benefizi dell’emigrazione appaiono senza dubbio superiori agli svantaggi: vent’anni addietro sarebbe sembrato follia il pensare che gli uffici postali dei poveri villaggi, di due o tremila abitanti, avessero un movimento di centinaia di migliaia di lire all’anno, frutto di risparmi dei braccianti. Ma il rovescio della medaglia è anche tale da impensierire e da far augu- rare che le migliorate condizioni della patria diminuiscono questo esodo dei nostri lavoratori. Intanto nelle provincie di maggiore emigrazione sarebbe urgente curare l’istruzione elementare. I locali per le scuole sono per lo più indecenti e scar- si. Meno l’emigrante è ignorante e meno ha bisogno di tutela all’estero. La prima assistenza ai nostri lavoratori e ai loro figli dovrebbe essere prestata in patria, col mezzo delle scuole elementari, serali e festive. Tizio, supponiamo, è un padre di molti figli già adulti: essi vanni quasi tutti all’estero e Tizio li raccomanda al suo amico Caio a cui invia anche del denaro perché aiuti i detti figliuoli e li protegga. Caio penserebbe naturalmente: Ma il mio amico Tizio che mi manda qui i figli ignoranti, sporchi, male- ducati, non avrebbe fatto meglio se egli ne avesse curato un po’ l’istruzione prima che partissero, a casa, nel suo paese? I figli gli farebbero più onore presso gli stra- nieri ed egli non avrebbe bisogno di spendere danari per assisterli all’estero. A Tizio possono essere paragonati gli Stati dai quali emigrano tanti anal- fabeti. Adolfo Rossi

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