Notiziario di informazione musicale e avvenimenti culturali LA FENICE

Comunicato stampa n. 12 Conferenza stampa Venezia, 2 luglio 2004

Stagione Lirica 2004-2005 di

Daphne, tragedia bucolica in un atto di Richard Strauss su libretto di Joseph Gregor vedrà la sua prima rappresentazione a Venezia, al Teatro La Fenice dal 9 al 21 giugno 2005, con repliche il 12, 15 e 18. Stefan Anton Reck dirigerà l’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice; direttore del Coro è Piero Monti; nuovo allestimento, regia di Paul Curran; scene e costumi di Kevin Knight. Gli interpreti principali saranno: Daniel Lewis Williams, Peneios; Birgit Remmert, Gaea; , Daphne; Roberto Saccà, Leukippos; Frank Porretta Apollo.

La proposta di un’ incentrata sul mito di Dafne venne avanzata a Strauss direttamente dall’autore del libretto, Joseph Gregor, che nel 1935 ne aveva già ultimato la scrittura. Strauss accettò, ma non rinunciò a chiedere una serie di corpose modifiche al testo (fra le quali la soppressione del previsto coro sentenzioso conclusivo), occupando Gregor in una serie di rielaborazioni a partire dal settembre 1935, fino a decidere di scrivere a quattro mani la versione definitiva, terminata nel 1937. Il lavoro alla partitura occupò gli ultimi mesi dello stesso anno e l’atto unico venne presentato alla Staatsoper di Dresda il 15 ottobre 1938, sotto la guida di un direttore fortemente legato all’esperienza creativa straussiana, Karl Böhm. Di fronte alle sollecitazioni del testo, Strauss rispose optando per scelte drammaturgico-musicali di trasparente allusività. Al ruolo della protagonista egli dedicò linee melodiche sinuose ed avvolgenti, quasi visivamente ramificate come in una figura liberty, con un procedimento che si fa emblematico nella finale dissoluzione della linea melodica in rabescati vocalizzi. La partitura screziata, ricca di raffinatezze timbriche d’ogni genere, corrisponde all’aura mitica dell’ambientazione pastorale, non senza tuttavia rinunciare a toni espressivi più netti e decisi o a pittura sonora. Certo, l’attenzione ad un mito come quello di Daphne rientrava nella sensibilità art-nouveau, Jugendstil, del tempo. Strauss vi ritrovò l’ennesima declinazione d’un tema per lui assai caro ed intrigante: l’insondabilità del mistero femminile. E «mistero» è parola chiave: la giovane Daphne nel trasformarsi in alloro lascia una domanda insoluta, che nemmeno il sottotitolo «tragedia bucolica» chiarisce. Quest’opera possiede in effetti, in quanto teatrale, le parvenze del dramma tragico ma chiamarla «tragedia» sembra forzato; non tanto perché il soggetto consti d’un mito metamorfico estraneo al repertorio tragico, ma perché la sua trama s’incentra sullo scandaglio d’una misteriosa interiorità – quella della fanciulla Daphne; che fin dall’inizio ci appare avvolta dal suo mondo, quello della natura vegetale, e che, fin dall’inizio, prova un profondo disagio nei confronti di tutto ciò che appare transeunte (il calar del sole) ed umano (l’amore «personale» di Leukippos): tutti aspetti e contenuti che annullano l’idea stessa di sviluppo drammatico e rendono il finale qualcosa di implicito sin dalle prime battute. Gli eventi sono investiti di valenze simboliche, tali da far apparire come necessario e predeterminato quanto sulla scena appare fortuito. Il fascino impenetrabile di Daphne è nella sua enigmatica chiusura al mondo: una chiusura che solo l’amore,

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purché fattosi morte (quella di Leukippos), riesce a violare. In quel momento rivelatore emerge in Daphne un’emotività talmente sofferta da suscitare la pena di Apollo, che si commuove ed intercede presso Zeus affinché alla giovane sia restituita in forma eterna l’imperturbabilità cui la sua vita aveva aspirato. Il soggetto di Daphne verte intorno al fascino della riservatezza femminile; fascino avvertito come il frutto d’una sensibilità talmente profonda e delicata da preferire l’isolamento e la negazione di sé alla vita su questo mondo.

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