Diario del viaggio in Birmania di Helene Weifner e Paolo Orsini

Un viaggio finisce quando non hai più sogni da inseguire

Foto e testo di Paolo Orsini

dicembre 2015 1

INDICE

1. SENZA MAI DORMIRE 1.1. Da Firenze a Milano (16-12-2016) 1.2. Da Milano a Singapore (17-12-2016) 2. 60 TONNELLATE DI FOGLIA D’ORO (Primo giorno a Yangon, 18-12-2016) 3. L’ALBERO SACRO DELLA BODHI (Primo giorno a Mandalay, 19-12-2016) 4. LA MEGALOMANIA DEL RE BODAWPAYA (Secondo giorno a Mandalay, 20-12-2016) 5. “UAN DOLLÀR, UAN DOLLÀR !” (Terzo giorno a Mandalay, 21-12-2016) 6. BAMBÙ SULL’IRRAWADDY (Crociera da Mandalay a Bagan, 22-12-2016) 7. DALL’ALBA AL TRAMONTO A BAGAN (Primo giorno a Bagan, 23-12-2016,) 7.1. Il volo in Mongolfiera (Intervista a Helene Weifner) 7.2. Il mercato di Nyaung U 7.3. Le altre visite del primo giorno a Bagan 8. NERE CIOTOLE DI BIANCO RISO ( Secondo giorno a Bagan, 24-12-2016) 9. NATALE A PINDAYA (25-12-2016) 10. DA PINDAYA AL LAGO INLE (26-12-2016) 11. IL SORRISO DELL’ETNIA PA-O (27-12-2016, secondo giorno su Lago Inle) 12. IL RIPOSO SOPRA I FIORI DI LOTO (28-12-2016, terzo giorno sul lago Inle) 13. IL RIENTRO SULLA TERRA FERMA (29-12-2016, dal lago Inle a Yangon) 14. RITORNO A YANGON (30-12-2016) 14.1. La Pagoda tutta d’oro 14.2. Il Bogyoke Aung San Market 14.3. Il Karaweik Palace

Per le fonti, si fa riferimento alla guida Loney Planet (abbr. LP seguita dal n° della pagina), a Wikipedia, altrimenti sono citate nella nota.

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SENZA MAI DORMIRE

Da Firenze a Milano (16-12-2015)

Partenza ore 16.00 da Firenze SMN con Dopo aver fatto il check in all’Hotel Cervo e Trenitalia Frecciarossa e arrivo in perfetto orario a lasciate le valigie in camera, scendiamo subito per la Milano Centrale. Di corsa al binario 3 per il treno per cena in una dignitosissima sala, con pochi ospiti, oltre Malpensa. Biglietti alla macchinetta (Trenord, € 6 a a noi. Cucina casalinga molto buona, orchidee di persona) e saltiamo sul treno pochi minuti prima della plastica un po’ dappertutto. Abbiamo fame, partenza. Arriviamo alla Malpensa - Terminal 2 - e prendiamo un hamburger con verdure grigliate, telefoniamo alla navetta dell’Hotel Cervo, come da un’insalatona di noci e nocciole, piatto di patatine accordi al momento della prenotazione dell’albergo. fritte e vino rosso della casa. Chiudo con un grappino. Dopo una ventina di minuti arriva un simpatico Quindi subito a letto. Dormita interrotta da un vecchietto alla guida di un van. Subito concordiamo improvviso pensiero ansiogeno: ma quanto denaro l’orario di ripartenza all’indomani per l’aeroporto, con posso esportare? Sono imbottito di dollari, non è che quattro ore di anticipo rispetto al decollo. Il vecchietto alla dogana mi sequestrano il malloppo? Medito nel resta stupito del nostro esagerato anticipo, azzarda cuore della notte di suddividerlo in varie borse in una ribattuta in dialetto milanese, ma ovviamente si modo che sia più difficile trovarlo. Si sveglia Helene e adegua alle nostre decisioni. Helene ha sentito troppe per rassicurarmi e farmi dormire mi ordina di dare storie e letto troppi articoli di giornale su terrorismo, un’occhiata su internet. Mi collego e apprendo che il controlli aeroportuali, code interminabili ai check-in e limite entro il quale non ci sono problemi è € 10.000. ne è rimasta scioccata. Non vuole perdersi per nessun Mi riaddormento rassicurato, mentre Helene motivo al mondo il viaggio della vita, costato tanti poveretta fa una fatica immane a riaddormentarsi, sacrifici economici. Non posso certo darle torto anche fino a quando il mio cellulare ci sveglierà entrambi alle se la prendo un po’ in giro. 6.30

Da Milano a Singapore (17-12-2015)

La navetta, questa mattina guidata da un tragitto che effettua il nostro jet e fissiamo alcuni dati: nero, ci porta in poco tempo al Terminal 1 di altitudine 9448 m. , temperatura esterna da - 53° a - Malpensa. Il Check in è ancora chiuso perché è 63° m., velocità 837 km/h . Milano → veramente molto presto. Nell’attesa assistiamo ad una Venezia→Sarajevo →Sofia→Mar Nero. Il cielo per ora sceneggiata di una nera che urla, piange e si dispera, è sereno o con poche nuvole, Helene si è alzata ed è insieme al suo compagno, di fronte a due poliziotti. andata a occupare un posto libero adiacente al nostro, Probabilmente ha assaggiato l’abilità criminale ma con finestrino e si gode il panorama dall’alto con dell’Italia e ci ha rimesso borsa, soldi, passaporto, immenso piacere; dopo un poco la seguo e mi sistemo chissà. Partenza da Milano Malpensa Terminal 1 ore accanto a lei, dato che i posti sono liberi. Arriva il 11 con la Singapore Airlines e arrivo previsto al pranzo, quelli della Singapore Airlines sono Singapore Changi International Airport dopo quasi 13 soddisfacenti, il menù è stampato in un’elegante ore di volo. Da Malpensa siamo partiti con un’ora e brochure che porteremo a casa per ricordo. Smoked mezzo di ritardo per problemi non so di che cosa. Ci Salmon with potato salad; Beef Goulash served with divertiamo a controllare sul monitor di bordo il sautéed vegetables and mashed potatoes; Gaeng Phed 3

Kai, cioè un pollo al curry alla maniera Thai; infine un portarci via tutto perché siamo in arrivo, eccoci buon gelato alla fragola; un vino bianco accettabile, finalmente a Singapore alle 6.35 ore locali. Singapore mentre il coffee è fatto forse con la cicoria . Finito il notturna è affascinante, Helene ha ragione a difendere pranzo siamo ancora sul Mar Nero, ma sono arrivate le coi denti il posto al finestrino. Mare nerissimo, nuvole e Helene è dispiaciuta per non poter guardare tempestato da milioni di luci, centinaia di navi alla dal finestrino. Mar nero → Samsun → Batumi → Tiblisi fonda nell’enorme porto, diversi minuti di volo per → Baku → Turmekbasi → Mary → Ghazny (sotto sorvolarlo interamente e arrivare a compiere un Kabul). Sopra l’Afghanistan le nuvole si dissolvono e la perfetto morbido atterraggio, nonostante la stazza del luna piena illumina la notte delle montagne afghane. bestione della Singapore Airlines. Helene ammira estasiata le luci dei villaggi, che hanno forme strane e bizzarre, ora rotonde ora strette e lunghe, ora a forma di stella. Invece, ammiro, con simile estasi, le stupende hostess della Singapore TOPINA ERA COSÌ BELLA che i suoi genitori decisero di farle sposare l’essere più potente che Airlines. Indossano un elegante vestito fantasia con ci fosse al mondo. Così si misero in cerca di uno fiori ruggine su fondo blu. Queste asiatiche a mio sposo. Per prima cosa andarono dal Sole. avviso son le più belle hostess del mondo. Hanno facce “Oh, Sole,” lo pregarono “per piacere, sposa la nostra bella figlia”. Il Sole acconsentì subito, ma larghe, tonde, piene, ma anche lunghe come le loro vennero presi da un dubbio e chiesero: “Ma modelle di Modigliani. Tutte di capelli corvini, tu sei davvero l’essere più potente che ci sia al nerissimi, raccolti in crocchie o chignon, più o meno mondo?”. “Be’, no,” rispose il Sole “la Pioggia è più potente di me, perché quando piove mi con la stessa acconciatura tutte quante. La fronte è caccia via dal cielo”. “Ci spiace,” dissero i libera dai capelli, il trucco è perfetto, anche se genitori di Topina, nell’atto di tornarsene via “ma noi vogliamo che nostra figlia sposi solo marcato. Il nero del rimmel contrasta in modo netto e l’essere più potente”. Andarono dalla Pioggia, attraente con il biancore privo di imperfezione della che però disse che il Vento era più potente, visto pelle dei volti. Seni piccoli, molto alte e slanciate, vite che le nuvole portatrici di pioggia sono sempre spinte in giro da lui. Allora andarono dal Vento, strettissime, emergono per la loro bellezza, più che e questi, per quanto desideroso di sposare per la loro divisa. M’incanto a guardarle, sono Topina, ammise che non era lui l’essere più l’incarnazione della bellezza femminile orientale. potente, visto che, per quanti sforzi avesse fatto, non era mai riuscito a soffiar via quel Masso di Appena seduti ci consegnano delle pezzuole di spugna roccia che si trovava sempre sul suo cammino. bollenti di vapore per tergersi le mani prima di Allora andarono dal Masso di roccia, che disse che il Toro era più potente, poiché veniva ogni mangiare. Lasciano la pelle morbida come se si fosse sera ad affilare le corna su di lui e così facendo utilizzato della crema. Mi leggo un breve racconto di ne rompeva sempre qualche pezzo. Allora Dino Buzzati, resisto ad un paio di cascaggini, mi andarono dal Toro che si rammaricò di non essere il più potente, visto che doveva girare a guardo Jurassik Park che è un film facile, perché non destra e a sinistra secondo gli ordini del Cuoio di c’è bisogno che segua i dialoghi in inglese. Dopo il film cui erano fatte le redini che lo guidavano. Allora non so più che fare per ingannare il tempo, allora andarono dal Cuoio, che era felicissimo all’idea di sposare la bella Topina, ma che dovette provoco Helene, lotto con lei per conquistare almeno ammettere anche lui che c’era qualcuno più un quarto d’ora di finestrino, non vuole cedere, non so potente, vale a dire il Topo che viveva nella stalla e che ogni notte veniva a rosicchiarlo. perché dato che è notte e voliamo sopra le nuvole, a Allora il Topo che viveva nella stalla fu scelto me non interessa, lo faccio solo per provocarla, ma come sposo. Si rivelò un tipo forte e gagliardo, l’avrà vinta lei e non mi sposterò. Torno a guardare il proprio il compagno che ci voleva per la topolina. monitor con le informazioni di viaggio. Stiamo volando sopra Ghazni → Dera Ismail Klan → Jang → Abobar → Fonte: MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 54-55 ripreso in Sirsa → Etawah → Gearge Town → Kuala Lumpur. “ Storie e leggende birmane” a cura di Guido Ferraro e Leggo un secondo racconto di Buzzati, “L’assalto al Gabriella Buscaglino Traduzione dall’inglese a cura di Guido Ferraro e Gabriella Buscaglino Nuova edizione: Grande Convoglio”, fino al secondo pranzo-colazione a ottobre 2015 © 2015 Tarka/Fattoria del Mare s.a.s. di base di pollo, verdure, spaghetti cinesi ed anche Franco Muzzio Piazza Dante 2 - Mulazzo (MS) burro, marmellata, yogurt e brioscia gommosetta e macedonia di frutta. Le hostess sono rapidissime nel

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LA GUERRA CONTRO LE ZANZARE è iniziata già a Firenze, prima di partire, con l’acquisto del malarone, diverse scatole a costi proibitivi. Abbiamo letto più volte il chilometrico bugiardino. Non è finita: la nostra dotazione comprende alcuni flaconi di autan tropical e una da mezzo litro di biokill. Ogni mattina, prima di uscire, il rito della reciproca spruzzata da capo a piedi, vestiti compresi. In valigia quasi esclusivamente abiti chiari, con maniche lunghe; calze lunghe e berrette bianche. Helene non ha usato profumi, per il timore che attirassero le zanzare (e poi il cocktail Cristian Dior, autan e biokil può essere letale per l’uomo, più che per la zanzara).

Potete immaginare la nostra cocente delusione quando ci siamo accorti che, nella stagione secca, di zanzare ce sono ben poche. In tutto il viaggio, le occasioni di incappare nei temibili insetti sono state così rare che ricordo perfettamente i luoghi del atteso incontro: una in una toilette di un ristorante a Mandalay; un paio mentre eravamo in attesa della partenza, prima dell’alba, da Yangon per il trasferimento in barca sull’Irrawaddy per Bagan; un’altra l’ho fulminata nella camera del albergo di Pindaya con la paletta, che ci eravamo portati da casa, sfidando impavidi il divieto di trasporto aereo. Sul lago Inle, nonostante il nostro lodge poggiasse su palafitte sopra l’acqua lacustre ricoperta di sterminate distese di piante e fiori di loto (habitat ideale per gli insetti), la situazione non è stata drammatica: le zanzare ci sono, si raccolgono a sciami e svolazzano in circolo per ore, giungendo puntualissime al tramonto e andandosene all’alba. Non destano alcuna preoccupazione perché non sono aggressive e perché i lodge sono muniti di fitte e solide zanzariere in tutte le finestre e sulla porta scorrevole d’ingresso. Tenere la porta aperta lo stretto tempo necessario per entrare ed uscire, e non dimenticarsi qualche finestra aperta, sono le uniche precauzioni da osservare per avere la camera priva dei fastidiosi insetti. Nelle rare occasioni in cui qualche zanzara più determinata è riuscita a penetrare le barriere protettive, è stata subito fulminata senza pietà dalla nostra micidiale paletta elettrica, che si è rivelata un utilissimo attrezzo al punto che non abbiamo mai utilizzato la grande zanzariera sopra il nostro letto, se non per fare qualche foto ricordo.

Dato che Helene, per nessuna ragione al mondo, avrebbe rinunciato a questo viaggio, si è premunita in maniera molto accurata, per tutto ciò che riguarda VACCINAZIONI E PREVENZIONE contro qualsiasi tipo di malanno. Grazie alla “complicità” di un nostro amico, che lavora al reparto Malattie Infettive e Tropicali dell’ospedale della nostra città e che ha stilato un’accurata completa lista di vaccinazioni e un lungo esaustivo elenco di farmaci, ci siamo attrezzati meglio di un marines di stanza in un acquitrinio tropicale. All’ASL di Firenze, reparto vaccinazioni internazionali, abbiamo fatto un lungo colloquio con un esperto (si è collegato al sito del Ministero e leggeva, sarei stato capace anch’io) prodigo di consigli e raccomandazioni, per poi sforacchiarci le braccia: epatite, tetano e pasticche per il tifo. Prima di partire abbiamo iniziato la profilassi con il malarone, anche se poi ci hanno informato che nelle zone turistiche del Myanmar la malaria è stata debellata. In valigia hanno trovato posto diverse boccette di amuchina, disinfettanti, cerotti, antipiretici, pasticche contro la dissenteria e il suo contrario, sintomatici contro un’infinità di sintomi, che forse (fortunatamente) non subiremo mai, oltre alla già citata serie di flaconi per la lotta alle zanzare (vedi capitolo a parte). Temevo che alla dogana ci avrebbero fermato per contrabbando di medicinali.

Nella nostra personalissima guerra contro il male siamo partiti con un equipaggiamento sanitario superiore a quello del Battaglione San Marco, ma per fortuna abbiamo utilizzato poche medicine, se non il malarone, che ogni mattina concludeva le nostre abbondanti colazioni. A titolo di cronaca (spicciola) ho avuto soltanto un pomeriggio di febbre, disappetenza e debolezza alle gambe, verso il sesto giorno di viaggio, ma tutto si è risolto con una lunga profonda dormita, che mi ha permesso di recuperare tutte le facoltà psico- fisiche, senza utilizzare alcun farmaco. Helene ha sofferto un po’ più a lungo le sue fastidiose allergie, soprattutto per la polvere che ci ha accompagnato sempre e ovunque, ma con gli antistaminici il disturbo si è reso accettabile. Un giorno l’intestino è andato in tilt, si è aggiunto un po’ di mal di gola, ma il disturbo non le ha impedito di continuare a mangiare, pure piccante, fino a quando è crollata, le è venuta un po’ di febbre, se ne è andata a letto, ha fatto una dormita di oltre 10 ore, e tutto è passato senza problemi.

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60 TONNELLATE DI FOGLIA D’ORO

( Primo giorno a Yangon, 18-12-2015)

Si scende al Terminal 2 e si prende la coincidenza per Yangon al Gate E3 che raggiungiamo in poco tempo, senza incertezze. Abbiamo alcuni minuti di attesa che impieghiamo per riempire i moduli per l’ingresso in Myanmar. Ci imbarchiamo in un altro colosso della Singapore Airlines e in 2 h e 18’ saremo nella capitale della Birmania.

Si decolla e quasi subito ci servono il solito mix di colazione (pane, burro, marmellata, yoghurt) e pranzo (maiale, riso e verdure). Il tragitto è sul mare, verso Bangkok, tenendo sulla destra il Vietnam e sulla sinistra Singapore. Dovrei dormire, sono quasi 24 ore che non chiudo occhio, ma non ho sonno, sto bene, mi sento carico di energia, siamo all’inizio del viaggio, non ho dolori né acciacchi dovuti all’immobilità forzata per lungo tempo. Helene invece è crollata, dopo ore e ore passate incollata al suo finestrino per non perdersi neanche un chilometro del suo viaggio notturno e diurno dall’alto dei 10.000 metri, adesso dorme profondamente, tutta rannicchiata di lato sul sedile. È spossata anche perché ha avuto alcuni forti dolori alla testa durante gli atterraggi per la sinusite cronica che l’affligge.

Su questo volo per Yangon già un paio di assaggi di elementi caratteristici della Birmana. Allegria, testimoniata da un gruppo di donne birmane che tutte insieme ridono, scherzano, parlano a voce alta. Un monaco, con il tradizionale abito arancione. Ha tolto i sandali, ha tirato su i piedi nudi e li ha sistemati sotto le natiche nel sedile dell’aereo, smanetta con un cellulare di ultima generazione, ha inforcato un paio di lussuosi occhiali d’oro e si sta godendo il lauto pasto offerto dalla S.A. Credevo che i monaci non potessero possedere beni, se non ciabattine e tonaca, ma questo mi sembra una vera star. Sarà la prima foto di un’interminabile serie, dato che incontreremo monaci in mille situazioni diverse, anche molto meno agiate di questa.

Eccoci in arrivo a Yangon, la nostra eccitazione spazza via tutta la stanchezza e la tensione del volo accumulata, con Helene non riusciamo a guardarci senza sorriderci di felicità. Atterriamo all’aeroporto Mingaladon di Yangon alle ore 9.20 (1 h in meno di fuso orario, rispetto a Singapore) con una temperatura accettabile (27°) e, nonostante le nostre felpe e i pantaloni pesanti, non ci sentiamo soffocare. L’aria è comunque calda e pesante. Una serie di lunghe file al controllo passaporti, ma Helene, da guida esperta, becca quella che scorre velocemente. Anche il recupero delle valigie è veloce. All’uscita dovrebbe esserci la nostra guida con in mano il cartello con i nostri nomi. C’è una gran confusione, l’aeroporto è piccolo, ma il traffico intenso, urla, facchini, tanti giovani in longyi1, cattivi odori, luce accecante che inonda gli spazi da grandi sporche finestre, un battaglione schierato di guide con i loro cartelli. Non siamo in un aeroporto internazionale, siamo in Birmania. Eccolo il cartello con i nostri nomi. Lo sorregge una donna, non molto alta, lunghi capelli neri lisci, occhi piccoli e scuri, grosse labbra atteggiate a un sincero e accogliente sorriso. Si chiama Maw e come aspetto mi sembra tipicamente birmana. Dopo le presentazioni, andiamo allo sportello bancario per cambiare il denaro. Su consiglio della guida cambiamo 300 dollari a testa e riceviamo 389.100 kiats. Saranno sufficienti per quasi tutta la permanenza in Birmania, anche perché spesso abbiamo pagato in dollari mentre più raramente abbiamo usato la carta di credito.

Usciamo dall’aeroporto e arriva la nostra macchina, una Toyota (come la maggior parte delle auto, insieme a Nissan e Honda). L’autista si chiama U Thet, è scuro di pelle, con abiti eleganti chiari, freschi di stiratura. L’interno dell’auto è lussuoso, rifiniture in radica, copertine di cotone bianco con pesanti ricami che proteggono sedili e schienali, pesanti alti tappetini in lana, una scatola di fazzoletti di carta ricoperta di cotone ricamato con sopra il

1 Tipico capo di abbigliamento birmano, portato sia dagli uomini che dalle donne, simile al sarong, è un pezzo di stoffa che si porta come una lunga sottana, ma che gli uomini possono abilmente ripiegare fino a formare dei pantaloni corti, per poter lavorare con più comodità. 6

coperchio un grosso coniglietto. Una scorta di bottigliette di acqua che consumeremo senza parsimonia, aria condizionata al massimo. Helene immediatamente prenderà accordi su temperatura da mantenere non troppo bassa e finestrini da tenere chiusi.

Il Myanmar, meglio conosciuto in occidente con il nome di Birmania, è il più grande paese del sud-est asiatico. Terra affascinante e magica, è oggi un Paese che si trova in condizioni di immensa arretratezza e nel quale il potere è ancora nelle mani di burocrati, militari e guerriglieri . Il resto della popolazione vive secondo i ritmi di una civiltà contadina profondamente religiosa, senza ombra di fanatismo che le permette di sopravvivere alle difficoltà di una dura dittatura militare. Probabilmente i primi abitanti di queste terre furono i mon; mentre nel I secolo a.C., questa zona fu abitata dai Pyu, una popolazione dedita al commercio con la Cina e l’India. Il regno Pyu più potente era quello di Sri Ksetra, che scomparve nel 656. In seguito, questo regno si ristabilì, ma verso la metà del IX secolo furono sconfitti dal regno di Nanzhao. I Birmani, o Bamar, cominciarono a migrare verso la valle dell'Irrawaddy dal Tibet nel IX secolo. Nell'849, stabilirono un regno che aveva come capitale Pagan; durante il regno di Anawratha (1044-1077), l'influenza dei Birmani si estese anche ben oltre i confini della Birmania attuale, tanto che dal

1100 alcune parti dell'Indocina erano controllate dal loro regno, che viene definito comunemente come primo impero birmano.

Verso la fine del 1200, i Mongoli sotto Kublai Khan invasero il regno, ma nel 1364 i Birmani riuscirono a ripristinare l’ordine, stabilendosi ad Ava: in tale periodo la cultura birmana era al massimo del suo splendore. Tuttavia, nel 1527, gli Shan saccheggiarono la città di Ava. Nel frattempo, i mon si erano ristabiliti a Pegu (Bago), che era diventato un florido centro commerciale e un centro religioso importante. I Birmani fuggiti da Ava fondarono il regno di Toungoo nel 1531, sotto che riunificò la Birmania e fondò il secondo impero birmano, entrando così in una nuova fase di prosperità, che durò però poco a causa di ribellioni e per la mancanza interna di risorse necessarie per controllare le nuove acquisizioni imperiali. Nel 1613 Anaukpetlu n, che aveva espulso gli invasori portoghesi, fondò una nuova dinastia ad Ava, che però fu nuovamente distrutto nel 1752 dai mon, con l’aiuto dei francesi.. Alaungpaya stabilì allora una nuova dinastia, di Konbaung, creando il terzo impero birmano durante il 1700.

La Dinastia Qing della Cina spaventata dalla crescita dell'influenza birmana, tentò di invaderla quattro volte dal 1766 al 1769 senza nessun esito. I monarchi successivi persero il controllo di Ayutthaya, ma conquistarono Arakan e Tenasserim. Nelle guerre Anglo-Birmane (1824-1826, 1851-1852 e 1885-1886), la Birmania fu sconfitta dai britannici e divenne così una provincia dell'India britannica, dalla quale si distaccò nel 1937. Durante la seconda guerra mondiale i giapponesi fecero una campagna in

Birmania, nel 1942 (invasione giapponese) cacciando i nuovi padroni, i britannici. Ma gli alleati reagirono e nel luglio 1945 ripresero il paese, con l'aiuto dell'AFPFL (Lega per la libertà delle persone antifasciste), guidato da Aung San.

Nel 1947, quest’ultimo divenne vicepresidente del Consiglio esecutivo della Birmania, in un governo transitorio. Tuttavia, nel luglio dello stesso anno, alcuni rivali politici assassinarono Aung San e parecchi membri politici. Il 4 gennaio 1948, la nazione si trasformò in una repubblica indipendente, conosciuta come Unione della Birmania, con Sao Shwe Thaik come primo presidente ed come Primo Ministro. Ma, puntualmente, con l'indipendenza, arrivarono anche le richieste, avanzate dalle minoranze (chin, kachin, karen, mon e shan) di uno Stato Federale, richieste che furono portate avanti con una guerriglia contro lo stato, che rispose con una feroce repressione. Diversamente della maggior parte delle altre ex colonie britanniche, la Birmania non divenne membro del Commonwealth.

http://www.viaggimyanmar.it/storia-1568-160.htm

La distanza tra l’aeroporto di Yangon e il nostro albergo è poco più di una decina di km. ma il tempo previsto è circa 1h 30’. La Birmania si presenta a noi subito nel suo aspetto peggiore : traffico caotico, code interminabili, cantieri stradali enormi, inquinamento a livelli elevatissimi. Una delle prime cose che la nostra guida ci fa notare è il colore delle targhe dei veicoli birmani : rossi per quelli pubblici (bus e taxi), nere per quelle private. Si guida sul lato destro, come da noi, ma i volanti sono rimasti sulla sinistra, come in Inghilterra, chissà perché, complicando ulteriormente la vita all’automobilista, ma pare che nessuno ci faccia caso. Le previsioni sui tempi di percorrenza sono confermate: un cantiere per costruire una sopraelevata paralizza l’unica arteria disponibile tra l’aeroporto e il centro città. L’ingorgo che si è formato è impressionante, ma il nostro autista è perfetto animale da metropoli impazzita: 7 clacson suonato di continuo, improvvisi cambi di corsie, frequenti brusche accelerate e relative frenate, imbocco di stradine sterrate come scorciatoie per guadagnare uno o due minuti. Il suo andare a scatti mette a dura prova la nostra schiena, già deteriorata dopo il volo transoceanico di decine di ore. Ci rassegniamo ben presto che, comunque, non c’è altro modo per arrivare in albergo.

Maw per intrattenerci ci parla un po’ in generale della Birmania in un italiano che ha imparato da autodidatta. Parla in modo corretto e, anche se sbaglia regolarmente tutti gli accenti, bene o male si fa capire. Ha una voce bassa, parla a scatti, quando le viene un discorso in testa corretto lo spara come una raffica, ma è dolce e disponibile, ci piace subito e avremo con lei per tutto il viaggio un ottimo rapporto. Ogni tanto si aiuta con qualche parola in inglese con Helene, spesso scrive su un foglietto i vocaboli italiani con relativo significato che impara da noi. Ha 47 anni ma sembra una ragazzina, un marito impiegato, una mamma di 83 anni e una figlia di 18, ancora bambina, per il giudizio della madre, dato che guarda “ Biancaneve e i sette nani”, legge Harry Potter, scrive moltissimo, anche in inglese, dipinge e disegna con bravura. La madre ci ha fatto vedere un disegno molto realistico di un paio di forbici. Non ha ancora il fidanzato e vuole andare a studiare in Thailandia. Maw è laureata in chimica, ha fatto l’università statale e per questo difficilmente trova lavoro. Ha lavorato in aeroporto a Yangon sulle torri di controllo, poi è stata inviata a Singapore per imparare la cartografia aerea. Finito lo studio, dopo un breve periodo come cartografa, ha abbandonato e si è messa a studiare come guida turistica. Ha coronato il suo sogno e da tre anni accompagna i turisti in giro per la Birmania. Abita in affitto a Yangon e insieme alla sua famiglia c’è anche l’anziana madre. In Birmania un reddito solo non basta per pagare l’affitto, vorrebbe acquistare una casa di proprietà, ma potrebbe permettersi soltanto una casa fuori Yangon, e se ci fossero dei trasporti pubblici decenti, lo farebbe immediatamente, ma non ci sono ed è costretta a stare in affitto per restare nella capitale. È di etnia Burma, l’etnia dominante.

Primo impatto con Yangon nel tragitto dall’aeroporto all’albergo. La Radio Station Road è l’arteria principale che percorriamo, a diverse corsie, abbastanza ben tenuta. I marciapiedi, invece, sono inesistenti o semidistrutti. I lati delle strade sono corsie sterrate con molta sporcizia. Cantieri grandi e piccoli da tutte le parti per incrementare il già abbondante inquinamento anche acustico. City taxi numerosissimi, statali e privati. Bus di tutti i tipi, molti acquistati di seconda e forse anche terza mano dai cinesi, in condizioni pietose, frequenti quelli raffreddati ad aria e quindi con i portelloni del motore aperti, dato il caldo torrido. I passeggeri dall’interno del bus sputano fuori la loro saliva rossa di betel, sicché le fiancate sono lerce di strisce rosse. Maw ci informa che nel betel, un masticatorio diffuso in tutta la Birmania, si può mescolare anche tabacco o varie droghe2. È un vero e proprio vizio di popolo.

Intorno a questa grande strada che porta direttamente al centro di Yangon c’è molta vegetazione tropicale, passiamo davanti al giardino zoologico, a un enorme lussureggiante parco che ospita il Myanmar Golf Course, al Kandawgyi Lake, dove trovano collocazione palazzi e case ben conservate e di bell’aspetto, anche se il verde che le circonda è opaco, malato, avvizzito per lo smog, il caldo, la polvere.

Lungo la strada, sui marciapiedi raramente asfaltati, ci sono svariati bar, con tantissime persone, in maggioranza uomini, ma anche molte donne, alcune addirittura da sole. Sono catapecchie coperte di lamiera, tirate su in economia, con materiali di scarto. I tavolini e gli sgabelli in plastica sono bassi esattamente come quelli dei bambini dei nostri asili. Non capisco il motivo di questa usanza, in Cambogia erano di altezza normale, forse perché i Birmani sono abituati a mangiare per terra, comunque erano tutti ad altezza giusta per respirare il massimo dello smog

2 I semi di Areca catechu, oltre ad essere ricchi di grassi, contengono molti tannini, uno di colore rosso, detto kuni o rosso-areca. Queste sostanze hanno la proprietà di stimolare la secrezione salivare e favorire la digestione, hanno effetti cardiotonici e azione vermifuga e astringente. Il modo più comune di consumare le noci di betel è quello di tagliarle in fette sottili, avvolgerle nelle foglie di pepe di betel (Piper betle), preventivamente spolverate di calce, aggiungendo, talora, altre spezie, come cannella, noce moscata, cardamomo, catecù, ecc. Si ottiene, così, il vero e proprio betel, sotto forma di bocconcini che vengono masticati dopo i pasti per profumare l'alito e aiutare la digestione, spesso anche per consuetudini sociali o riti cerimoniali. La presenza delle foglie di pepe di betel aggiunge anche un blando effetto narcotico, oltre al sapore aromatico piccante. Le noci di betel presentano, tuttavia, l'inconveniente di annerire i denti e tingere la saliva di rosso, come conseguenza dei tannini contenuti in abbondanza(Wikipedia).

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proveniente dai tubi di scappamento dell’enorme massa di traffico cittadino. Su tutti i tavoli un bricco di caffè. I gestori sono per la maggior parte giovani, molto magri, con l’immancabile longyi.

La nostra guida ci propone, per motivi di razionalizzazione del tempo a disposizione, di fare un primo giro di visite prima di andare in albergo. Anche se sono 24 ore che non dormiamo, accettiamo di buon grado, nonostante che prima, in macchina sulle code della Radio Station Road, qualche avvisaglia di spossatezza, ci avesse imposto di chiudere gli occhi e assopirci per qualche minuto. Il programma di Maw prevede tre siti : la Botataung Pagoda con le sue incredibili reliquie portate dall’India 2000 anni fa e conservate nel suo labirinto; la Chaukhtatgyi Pagoda per ammirare il gigantesco Buddha disteso a mio avviso il più bello in assoluto di tutta l’Asia; la Shwedagon Pagoda, il gioiello più grande del mondo, punto culminante di tutte le visite a Yangon, ma anche uno dei monumenti religiosi più importanti e grandiosi di tutta la Birmania, simbolo del paese. Il programma annunciato da Maw ci toglie quel poco di fiato che ci era rimasto, armo la macchina fotografica, estasiati dalle aspettative e pieni di eccitazione, ci accingiamo, con il cuore che batte, a conoscere le meraviglie del Myanmar3.

Il tour pomeridiano inizia con la visita della Botataung Pagoda4. Più piccola (40 metri di altezza) e meno maestosa della Shwedagon Paya, fu distrutta da una bomba nel novembre del 1943. Un pannello prima dell’ ingresso mostra la sequenza degli elementi che costituiscono gli “zedi” delle pagode birmane5. È stata ricostruita con una struttura simile alla precedente, ma con una differenza inconsueta: è cava e si può camminare all’interno in una specie di labirinto a sezioni triangolari, nei cui angoli c’è sempre qualcuno inginocchiato a pregare. Pareti e soffitti sono completamente rivestite di lamelle dorate, l’effetto è abbagliante. Inizia per noi il primo di numerosi stati di stupore e ammirazione. Nelle nicchie ai lati, protetta da grate, reti, inferriate, vetrate raramente pulite, un’enorme quantità di statue e statuette del Buddha, antiche reliquie, una montagna di oggetti in oro o argento tra i più disparati, offerti dai fedeli, moltissime scatole per il betel. Una collezione molto vasta e ricca, ma assolutamente non fruibile visivamente a causa della sporcizia accumulata sui vetri e per via delle grate, spesse e pesanti che la proteggono per evidenti motivi di sicurezza, dato che i metalli e le pietre preziose sono in abbondanza. Nella parte centrale c’è la sacra reliquia di Buddha (un capello), custodita in un tempietto di borchie d’avorio tempestato in oro e decorato con diamanti e pietre preziose. Maw ci dice che di solito ci sono molte persone a pregare, ma oggi non è molto affollata, nonostante Yangon sia una metropoli di 5 milioni di abitanti.

La cucina birmana gode di una pessima reputazione, dato che talvolta i piatti grondano olio e difettano della varietà tipica della cucina thailandese o indiana. Forse il giudizio è eccessivamente negativo. La migliore cucina birmana è probabilmente quella shan. Il riso è l’elemento fondamentale del pasto e viene consumato insieme a un vasto assortimento di piatti tipici, un’interessante mescolanza di influenze bamar, mon, indiane e cinesi. Anche i noodles (spaghetti) di riso sono onnipresenti e mescolati con tutto, carne, pesce, verdure. Per i piatti principali sono utilizzati spesso i gamberi (anche se sono molto costosi), i pesci, il maiale e il montone, soprattutto il pollo. Il manzo, definito carne tabù, viene mangiato solo raramente. Una grandissima varietà di verdure, di spezie (curry – che dicono sia meno piccante di quello indiano - , masala ,peperoncini rossi), di frutta tropicale, soprattutto durante i mesi estivi, servita spesso come dessert. Ai lati delle strade, in piccole bancarelle che vendono cibi a prezzi molto inferiori rispetto ai ristoranti, si ha la possibilità di provare diverse pietanze tipiche del posto, accompagnate spesso da bevande calde , ma occorre fare una certa attenzione, perché a volte le condizioni igieniche possono non essere ottimali. Il piatto più conosciuto del Myanmar, venduto praticamente ad ogni angolo di strada, è il mohinga, un brodo di pesce con curry molto saporito. Tradizionalmente è un piatto servito a colazione, ma è possibile trovarlo ad ogni ora del giorno. Per quanto riguarda il costume birmano, se si parla di cucina, bisogna tenere presente che bisognerebbe mangiare usando la mano destra, mentre la mano sinistra è usata solo per riempire i piatti.

3 Il concetto alla base dei monumenti religiosi birmani è assimilabile a quello delle piramidi maya e azteche dell’America Centrale: l’edificio si presenta come una simbolica montagna che il fedele deve scalare, accompagnato nel cammino da bassorilievi e affreschi di carattere sacro (LP, 377). 4 Deve il nome ai 1000 capi militari che oltre 2000 anni fa scortarono le reliquie del Buddha nella transizione dall’India al Myanmar (Bo significa capo, generalmente in senso militare, e tataung vuol dire 1000) 5 La base dello stupa è fatta di mattoni coperti di lamine d’oro. Poi, dal basso verso l’alto si susseguono il basamento (circolare, ottagonale o quadrato) costituito dalle terrazze e da una serie di anelli concentrici (pyissayan). La parte successiva è a forma di campana (khaung laungbon), al di sopra della quale c’è il turbante (baungyit), quindi la ciotola dell’elemosina invertita (thabeik) e i petali di loto. Poi inizia il cosiddetto “germoglio di banana” (nga pyaw bou) e quindi la corona o ombrello (hti), che di solito è la parte dove sono attaccati o contenuti più gioielli, rubini e zaffiri. Sopra lo hti c’è la gemma di diamanti (seinbou), che può contenere pietre preziose di caratura enorme (Luigi Balzarini, Viaggio in Myanmar, www.turistipercaso.it)

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Foto 1 - Botataung Pagoda (Yangon)

La visita successiva è alla Chaukhtatgyi Paya6, praticamente un grande capannone in acciaio e cemento che ricovera un Buddha sdraiato gigantesco. Particolare il volto con gli occhi in vetro riprodotti perfettamente, le labbra dipinte di rosso acceso, i piedi con le unghie laccate di rosa, la gigantesca mano poggiata sul fianco. La prima sensazione che ricevo è che questo Buddha sia prigioniero della pesante struttura che lo ricovera, ma non ne soffra assolutamente, estasiato nella sua femminile aria di beatitudine. L’altra sensazione è il contrasto tra il gigantismo della statua e la piccolezza dell’essere umano inginocchiato di fronte in preghiera. La limitatezza dell’uomo rispetto al sacro, alla religione, all’idolo.

6 Paya significa “cosa sacra”, e non solo “pagoda”; i birmani infatti lo utilizzano anche per le statue di Buddha, i luoghi di culto in generale e per una vasta iconografia religiosa, comprendente simboli oggetto di venerazione. Per i monasteri invece il termine usato è “kyaung”.

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Foto 2 - Buddha disteso Chaukhtatgy Paya (Yangon)

La terza visita della giornata è quella cruciale del soggiorno a Yangon, la Shwedagon Paya, la cui leggenda fa risalire la costruzione originale a circa 2500 fa7. È un complesso molto grande, che arriva a 99 metri di altezza, con svariate pagode e padiglioni. Lo zedi centrale è ricoperto da 60 tonnellate di foglia d’oro8. Lo hti9, alto 10 metri è un rifulgere di pietre preziose e fa da supporto a un globo d’oro, che contiene diamanti, rubini, topazi, zaffiri per 1800 carati, sormontato da un eccezionale solitario di 76 carati. Mi chiedo come sia possibile che tutti questi tesori siano privi di ogni protezione. La nostra guida ci informa che gli unici furti sono stati fatti dai venti monsonici, che ogni tanto sradicano qualche lamella d’oro. L’effetto visivo d’insieme è spettacolare, commovente, incredibile a qualunque ora del giorno e della notte. L’attrazione che fa questo complesso è molto forte, frequentato ogni giorno da moltitudini di fedeli di ogni età, giovani monaci, turisti: come ogni musulmano sogna di andare una volta nella vita alla Mecca, così il fedele buddhista desidera fare visita alla Shwedagon Pagoda. L’atmosfera che si percepisce è unica e particolare : si va dal silenzio profondo della meditazione e della preghiera, interrotto solamente dai colpi dei gong, alla gioiosa e animata confusione per la presenza, all’interno del complesso, di numerose attività lavorative e commerciali. Le

7 La maggior parte degli archeologi concorda sul fatto che l’edificio sia stato costruito dai mon in epoca compresa tra il VI e X sec. Al pari di molti altri antichi zedi di questo paese così soggetto ai terremoti, è stato ricostruito parecchie volte e la struttura attuale risale al 1789 (LP,47).

8 Nel XV sec. ebbe inizio la tradizione di dorare lo stupa. La regina Shinsawbu, cui si devono molte delle migliorie apportate all’edificio, fece raccogliere una quantità d’oro pari al suo peso (40 kg.) che, dopo essere stato lavorato in foglia sottile, fu utilizzato per ricoprire la struttura. Il genero Dhammazedi fece ben di più perché offrì una quantità d’oro pari a quattro volte il suo peso e quello dellqa moglie (LP,47). 9 Il pinnacolo sopra lo zedi che ha la forma di un ombrello. 11 botteghe vendono fiori e frutta per le offerte, oggetti di antiquariato, libri, ombrelli cerimoniali e fiori di carta, svariate immagini e riproduzioni del Buddha. Da ammirare anche le numerose antiche campane, finemente cesellate.

Foto 3 - Shwedagon Paya (Yangon)

Maw si dà molto da fare per illustrarci tutto il complesso, ma la stanchezza del viaggio non ci permette di seguire con la dovuta attenzione. Helene resiste meglio di me, ogni tanto mi accorgo di dormire in piedi, per un attimo ho avuto l’impressione che mi stesse per sfuggire di mano la macchina fotografica, sarebbe stato un disastro al primo

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giorno di vacanza. Uno dei siti più belli non solo della Birmania ma di tutto il mondo buddista, non riesco purtroppo a godermelo come vorrei, perché sono costretto a lottare accanitamente contro la stanchezza.

Sfiniti, ma con ancora negli occhi l’oro abbagliante della Shwedagon Pagoda, arriviamo finalmente all’East Hotel Dining Art & Craft, situato in un vialone trafficassimo, prospiciente un enorme grattacielo moderno in vetro e cemento, con una parte ancora in costruzione. Il viale ha una parte centrale a scorrimento veloce a diverse corsie e carreggiate laterali dove regna perenne una gran confusione. Il nostro autista, una specie di Indiana John del traffico cittadino, fatica a trovare un posto libero per fermarsi davanti all’albergo, anche lui non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto degli addetti dell’albergo, accorsi immediatamente. Auto parcheggiate ovunque, venditori ambulanti di tutto, i soliti bar con i piccoli tavolini, negozi con montagne di merce esposta all’esterno, quasi buttata sul marciapiede,

C’ERANO UNA VOLTA DUE sorelle. La prima si sposò ed ebbe per figlio un bel bambino. La seconda si sposò anche lei, ma ebbe per figlio un piccolo tartarughino. La sorella maggiore aveva vergogna di questo tartarughino e avrebbe voluto gettarlo in mare, ma la sorella più giovane disse che dopo tutto era suo figlio: gli diede nome Tartaruga d’Oro e si mise ad allevarlo con sollecitudine. I due cugini, ragazzo e tartaruga, crebbero insieme volendosi un gran bene. Quando fu arrivato a sedici anni, il ragazzo chiese a sua madre — la sorella maggiore — di comprargli una nave, in modo che lui potesse diventare mercante. La madre acconsentì a comprargli la nave, ma a patto che il ragazzo promettesse di non portare con sé quel suo orribile amico tartaruga: perché lei disapprovava quell’amicizia con una bestia. Il ragazzo rifiutò di promettere, ma il cugino tartaruga annunciò che lui non avrebbe viaggiato su una nave, perché aveva paura del mare. Così la nave fu comprata, e il ragazzo prese il mare su di essa.Aveva navigato poche miglia quando scoprì, con sua grande gioia, che il cugino tartaruga se ne stava addormentato nella stiva, dove si era nascosto prima che la nave prendesse il largo. Navigarono per alcuni giorni, poi incontrarono una tempesta che spinse la nave verso un’isola abitata da orchesse. Quando la tempesta si fu acquietata, il ragazzo sbarcò sull’isola con i marinai per raccogliere acqua fresca. Le orchesse assunsero forma umana e vennero fuori a dare il benvenuto. Il ragazzo e i suoi marinai, non sapendo che fossero orchesse, si innamorarono di loro, tanto che il ragazzo ne sposò la regina e i marinai sposarono le altre orchesse. Quella sera le orchesse diedero una gran festa per i loro sposi e dopo il banchetto, stanchi per la baldoria e le gozzoviglie, il ragazzo e i marinai si addormentarono. Ma Tartaruga d’Oro restò sveglio. Allora un’orchessa disse alla sua regina: “Signora, permetteteci di prender due e tre di questi marinai ubriachi e portarceli nella foresta per mangiarli”. L’orchessa regina diede il suo permesso. E un’altra orchessa propose che, dato che avrebbero dovuto stare insieme agli esseri umani per un po’ di tempo, sarebbe stato bene nascondere nella foresta i loro tre tesori: la cassetta che conteneva tutte le loro “vite”, il rubino che valeva un reame e il tamburo a sonagli che obbediva a tutti i comandi. L’orchessa regina fu d’accordo. Allora le orchesse presero tre marinai addormentati e se ne andarono nella foresta; ma Tartaruga d’Oro le seguì di soppiatto. Quando furono arrivate nella foresta, le orchesse divorarono i tre marinai, poi seppellirono le ossa che erano rimaste e misero i loro tre tesori sui rami più alti di un albero. Dopo aver fatto questo, tornarono indietro e si misero a dormire a fianco del ragazzo e degli altri marinai. Tartaruga d’Oro attese che le orchesse si fossero tutte addormentate e avessero preso a russare; a quel punto svegliò il ragazzo e i marinai e raccontò loro quello che aveva visto, ma senza far cenno ai tre tesori. E siccome gli altri non volevano credergli, li portò nella foresta e mostrò loro le ossa dei marinai morti. Consigliò al ragazzo di tornare sulla nave e salpare immediatamente; il cugino fu d’accordo e i marinai corsero sulla nave. Tartaruga d’Oro, invece, restò indietro e non raggiunse gli altri sulla nave se non dopo essere andato a prendere dall’albero i tesori delle orchesse. La nave non aveva percorso che poche miglia quando i marinai videro l’orchessa regina farsi sotto con il suo seguito: venivano avanti a gran passi correndo sull’acqua e pareva proprio che per loro non dovesse esserci più scampo. E invece ecco che il nostro Tartaruga d’Oro con tutta calma tira fuori la piccola scatola che conteneva le “vite” delle orchesse e la fa a pezzi con una spranga di ferro. Immediatamente le orchesse morirono e i loro corpi scomparvero sott’acqua. Qualche giorno dopo arrivarono a una città il cui re aveva solo una figlia e nessun figlio maschio. Il ragazzo si innamorò di questa figlia del re e chiese consiglio all’amico tartaruga. Questi, come si ricorderà, aveva preso con sé il rubino che valeva un reame: con quello andò dal re, comprò il reame e poi nominò il ragazzo re della città e lo fece sposare alla principessa; quanto a lui, tenne per sé il titolo di principe. Passò un po’ di tempo e a Tartaruga venne la nostalgia di rivedere sua madre; chiese quindi permesso al cugino di poter tornare indietro alla loro città. L’amico cercò di convincerlo a restare ancora un poco, ma poiché vedeva che non c’era niente da fare, gli diede il suo permesso. Allora l’altro si accomiatò e prese con sé il tamburo a sonagli che era stato delle orchesse. Scuotendo il tamburo, gli ordinò: “Portami a casa da mia madre!” e zacchete, si ritrovò nella sua città, proprio nella casa materna. Alla madre raccontò le sue avventure e restò con lei in gran gioia. Ma anche il re di questa città aveva una figlia bellissima e nessun figlio maschio. I re dei sette reami confinanti avevano mandato ambasciatori a chiedere la mano della principessa, ma il re aveva sempre rifiutato. Un giorno accadde che Tartaruga d’Oro vide la principessa e se ne innamorò. Così, pregò sua madre di andare dal re a chiedere per lui la mano della principessa. Al principio la madre non ne volle sapere ma poi, visto che il figlio si struggeva per la principessa al punto che non dormiva né mangiava, alla fine andò dal re. Questi, al sentire la sua richiesta, si mise a ridere e disse: “Se quella brutta tartaruga di tuo figlio vuole la mia figliola, dovrà costruire un ponte d’oro e un ponte d’argento che uniscano la sua casa con il mio palazzo. E dovrà farlo entro sette giorni da oggi; se non ci riuscirà, sarà messo a morte”. La madre corse a casa terrorizzata. “Tartaruga d’Oro, il tuo pazzo desiderio di sposare la principessa ti costerà la vita!”. Gli riferì la richiesta del re. “Tutto qui quel che vuole che io faccia?” disse la tartaruga. “Mia cara mamma, non ti preoccupare; soltanto, svegliami di buon’ora fra sette giorni”, e tranquillo tranquillo se ne andò a dormire. Il settimo giorno, quando sua madre lo svegliò di buon’ora, egli tirò fuori il suo tamburo a sonagli e, scuotendolo, disse: “Voglio un ponte d’oro e un altro d’argento, che uniscano la mia casa con il palazzo del re”, e subito apparvero i due ponti. Allora andò dal re e, con faccia tosta, gli chiese in sposa la principessa. Il re si vergognava di avere per genero una tartaruga, ma d’altra parte doveva mantenere la parola data, e così iniziarono a fare i preparativi per il matrimonio. Ma prima che si fosse arrivati al giorno stabilito per le nozze, i re dei sette reami confinanti giunsero con i loro eserciti pronti a far guerra, perché giudicavano che quel re li aveva insultati, rifiutando di dar la figlia a uno di loro. Allora il re fece venire Tartaruga d’Oro e gli disse: “Dato che tu sarai mio erede quando avrai sposato mia figlia, è tuo compito difendere la città”. “Molto bene. Maestà” rispose la tartaruga. Andò a casa e agitò il tamburo a sonagli. “Voglio un esercito forte abbastanza da sbaragliare i nemici” comandò, e subito apparve un possente esercito. La tartaruga si mise alla testa delle truppe e sconfisse i sette re. In questo modo egli si guadagnò l’approvazione e la gratitudine del re, e il matrimonio fu finalmente celebrato. Se non che ora era la principessa a essere scontenta, perché si vergognava di un marito così brutto. Ma una mattina che si era svegliata molto prima del solito, ella scoprì con gran sorpresa un bel giovane che dormiva accanto a lei. Saltò su spaventata e vide vicino al letto pelle e guscio di tartaruga. Allora, comprendendo che il giovane non era altri che Tartaruga d’Oro, raccolse la pelle e il guscio di tartaruga, li portò in cucina e li buttò nel fuoco. Il giovanotto la seguì gemendo: “Sto bruciando, vado a fuoco!”. Ma quando la principessa gli gettò addosso un secchio d’acqua fresca, si sentì di nuovo bene. E fu così che Tartaruga d’Oro rimase un bel giovane, e visse felice e contento con la principessa 13 Fonte: MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 98-102. ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

motorini parcheggiati in tre o quattro file, gente che cammina disordinatamente in tutte le direzioni. Scendiamo dall’auto e siamo frastornati, dall’afa, dal rumore, dal caos, dal cattivo odore. Un paio di facchini corrono immediatamente per prendere le nostre valige e portarle nella hall, urlano e si agitano, contribuendo a far aumentare il nostro sbigottimento. Saliamo le scale esterne per entrare nell’albergo senza guardarsi intorno e ci rifugiamo, con un sospiro di sollievo, nella hall. Formalità di check-in con una sola raccomandazione: se dalla doccia non viene acqua o solo acqua fredda telefonare alla reception. Maw ci informa che la mancia base per camerieri e facchini è di 1.000 kiats (circa un quarto di dollaro) per persona. Comincia la prima di una lunga serie di mance. Sono 24 ore che non dormiamo, ma prima ritirarsi in camera, decidiamo di andare a mangiare in uno dei due ristoranti vicini al nostro albergo, che ci hanno indicato Maw e l’autista.

Usciamo di nuovo nel caos del vialone prospiciente l’albergo. Siamo subito abbordati dal caldo e da una moltitudine di conducenti di trishaw, il caratteristico carretto trainato da una bici o da un motorino. Rifiutiamo gli inviti perché vogliamo andare a piedi, ma ci rendiamo conto che la stanchezza limita fortemente la nostra capacità di attenzione. Data l’estrema pericolosità di attraversare strade trafficatissime e considerato che non abbiamo molto appetito, concordiamo che non è da furbi farsi buttare sotto da una macchina al primo giorno di vacanza in Birmania e decidiamo di tornare subito in albergo. Ceniamo all’ Amber Café Bill dell’ East Hotel, con un mix preso al buffet, chicken and vegetables alla cinese, riso a vapore bianco e birra Myanmar, due ingredienti immancabili nella nostra dieta per tutto il viaggio. Mentre attendiamo, mi collego per la prima volta con whatsapp per messaggiare con le mie figlie e i nostri cari. Creo un gruppo Min-gha-la-ba con il quale resteremo in contatto con gli amici più intimi. Per ora tutto funziona perfettamente e velocemente. Paghiamo il conto di $ 22,00, barcolliamo verso l’ascensore, saliamo in camera. Dopo la doccia, prepariamo le valigie per il giorno dopo, dato che abbiamo un transfert aereo interno. Andiamo a letto che non sono ancora le 21.00. Crolliamo esausti, ma un’ora dopo mi sveglio, sudato e accaldato, ancora spossato. Mi riaddormento per risvegliarmi nuovamente a mezzanotte. Non riesco a riprendere sonno, devo ascoltare qualche capitolo de Il dicembre del Prof. Korde di Saw Bellow che ho registrato nel mio lettore mp3. Fa un gran caldo, c’è un fracasso infernale per un cantiere aperto nell’enorme grattacielo proprio di fronte alla nostra camera, insomma si comincia male. Helene fortunatamente se la dorme della grossa. Finalmente riesco a prendere sonno e faccio tutta una tirata fino alla mattina successiva.

Il termine Buddha in lingua pali significa "chi conosce o raggiunge l'illuminazione". Il fondatore del Buddhismo si chiamava in realtà Siddharta, ed aveva come patronimico quello di Gautama o Gotama. Nacque in una famiglia principesca, del clan dei Sakya, che viveva a Kapilavastu, in una regione che oggi fa parte del Nepal, a 170 chilometri circa dall'odierna Benares. Nacque verso la metà del 6° secolo a.C. Suo padre si chiamava Suddhodana e la madre Mahamaya. Il giovane principe venne allevato in mezzo al lusso, avendo a disposizione tutte le comodità ed i piaceri. A 19 anni sposò una donna bellissima, Yasodhara. Per molti anni condusse una vita fatta di lusso e felicità domestica. Ma un giorno il giovane incontrò un vecchio, un malato, un morto ed un monaco. Quelle quattro realtà lo colpirono profondamente. Dopo essersi reso conto che la vecchiaia, la malattia e la morte sono la sorte dell'umanità e che vi sono delle persone che aspirano ad una vita diversa, decise di dedicarsi anche lui alla ricerca della verità. Aveva 29 anni quando decise di lasciare tutto e di ritirarsi in luoghi solitari per meditare. Si addentrò nella foresta, si rase il capo, indossò l'abito giallo di un eremita e per sei lunghi anni cercò una soluzione. Interrogò famosi sapienti, si diede all'ascetismo più rigido ma non riuscì a trovare la Risposta. Una notte, infine, si sedette sotto un albero e promise che non si sarebbe mosso da lì finché non avesse trovato la Risposta. Sotto quell'albero combatté l'ultima battaglia, quella contro le inclinazioni e i desideri del cuore umano, la battaglia contro l'amore per il mondo, l'illusione, l'aspirazione ad esistere e a gioire, contro il desiderio dell'onore, della felicità, della vita familiare, del benessere, del potere ecc. Fu assalito dal demone Mara, ma Siddharta superò le tentazioni. Dopo quarantanove giorni di meditazione, in una notte di luna piena del mese di maggio, in un luogo noto come Buddhagaya, egli raggiunse l'illuminazione. Da allora fu noto come "il Buddha". Aveva circa trentacinque anni. Da quel giorno percorse per altri quarantacinque anni il nord dell'India insegnando e predicando il suo messaggio di speranza e di felicità. Buddha morì all'età di 80 anni a Kusinara, in una notte di luna piena nel mese di karttika (ottobre-novembre)

(Diego Fusaro, http://www.filosofico.net/ilbuddhismo.htm) 14

In Birmania non esiste LA VITA NOTTURNA. In Birmania si va per Dall’Italia abbiamo portato un stare in silenziosa meditazione e andare a letto presto, per svegliarsi all’alba, paio di PRESE ELETTRICHE comprate in continuare a godere del silenzio, della brezza mattutina, dei paesaggi meravigliosi. un negozio di Firenze. Come precauzione per La tarda serata, o peggio la notte, non sono momenti consigliati ai turisti. Nelle stare tranquilli può andare, ma non sono metropoli come Yangon o Mandalay, la popolazione locale, prevalentemente necessarie. Tutti i nostri alberghi, dai 3 ai 5 giovane, si accalca in folle caotiche, rumorose e maleodoranti, sciamano come stelle dispongono di prese universali, miriadi di calabroni sui motorini, oppure se ne stanno seduti su piccoli sgabelli e addirittura dotate di interruttore su ogni tavoli, lungo le strade intasate di traffico e sature di smog. A Yangon ci hanno presa singola. Non abbiamo avuto nessun consigliato di rientrare in albergo non più tardi delle 21.30, sia per qualche pericolo problema nel ricaricare i nostri smartphone proveniente dagli immancabili malintenzionati, sia per l’inquinamento e il traffico. o le pile della macchina fotografica. Le Le strade sono sconnesse e intasate, i marciapiedi inesistenti o possono nascondere interruzioni della corrente elettrica si tombini aperti come fatali trappole col rischio di finire in una fogna. Frequenti le verificano dappertutto, anche nelle feste religiose con il monaco che prega, canta, ripete ininterrottamente monotone metropoli o nelle città turistiche, litanie. Sono spazi dedicati alla meditazione religiosa e non è bene che il turista generalmente qualche ora al pomeriggio e passeggi con le proprie scarpe a fare fotografie tra i tappeti che i fedeli hanno steso alla sera. I grandi alberghi dispongono di per inginocchiarsi di fronte al baldacchino sfavillante di lucine colorate dove sta il generatori in funzione 24 ore su 24 e lo monaco a pregare e cantare. Nessuno ti dice niente, sono tutti molti pacifici e stacco della corrente non è neanche rispettosi, ma è bene che anche tu li rispetti e li lasci pregare in santa pace. percepibile. Nelle località turistiche, bar, ristoranti e negozi possono avere i loro Nelle località turistiche lontane dalla capitale, come Bagan o Pindaya, la generatori. Altrimenti sono dotati di vita notturna è più tagliata su misura per gli stranieri, numerosi sono i locali candele. Sulle strade invece, anche per la accoglienti per bere o per mangiare. Purtroppo non si può restare a lungo in questi scarsità dell’illuminazione pubblica, può locali perché sono tutti all’aperto, di fronte a strade sterrate dalle quali si alzano piombare il buio siderale assoluto, quindi uragani di polvere ad ogni passaggio di auto, che si deposita su tavoli e sedie, in un una torcia o la lampadina del cellulare omogeneo alone marrone chiaro che gli zelanti camerieri, armati di sudici stracci, (attenzione alla carica) sono indispensabili. non riescono a eliminare prima della successiva ondata polverosa. Altro problema Pochi problemi anche con la connessione per la vita notturna sono le interruzioni della corrente elettrica: i locali non dotati wifi. In ogni albergo c’è e funziona, anche se di gruppo elettrogeno piombano improvvisamente nel buio, si accendono le candele la velocità è da lumaca in villeggiatura. Lo e l’atmosfera diventa molto suggestiva, se non fosse per la polvere potresti a lungo smartphone dialoga bene con whatsapp, rimanere a godertela. Le strade normalmente sono prive di illuminazione, l’unico mentre per restare davanti allo schermo di modo per orientarsi è utilizzare la luce delle proprie torce e o dei cellulari. Non un pc per controllare la propria casella di conviene avventurarsi di notte troppo lontano dalla strada principale o dai luoghi posta, guardare un filmato su youtube, conosciuti, perché il dedalo delle viuzze non ha nessun riferimento toponomastico e aprire una pagina su facebook, fare una se viene il buio totale rischi di perdere la via di ritorno. telefonata con skype occorre tutta la pazienza del miglior monaco eremita.

Per tutta questa serie di motivi che mettevano in apprensione Helene, per una certa stanchezza dovuta all’intensità delle visite durante il giorno, agli appuntamenti all’alba con la nostra guida, agli incontri prestissimo negli aeroporti per i flight transfer, alle traversate in barca, agli incontri con monaci affamati, alla sera abbiamo fatto poca vita notturna, preferendo spesso le lunghe e rigeneranti dormite. Alle 5 della pomeriggio terminava il servizio della nostra guida e del nostro autista, ci riportavano in albergo e ci davano appuntamento per il giorno dopo. Capitava a volte pertanto che dalle 17.30 eravamo già in camera e ci restavamo perché non avevamo nessuna voglia di cenare dopo le luculliane colazioni del mattino e anche gli abbondanti pranzi nei vari ristornati dove ci portava Maw, che restava con noi a mangiare e la cosa ci faceva molto piacere.

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L’ALBERO SACRO DELLA BODHI

(Primo giorno a Mandalay, 19-12-2015)

In macchina, mentre andiamo all’aeroporto coperchio. Si chiama Uen That, sarà il nostro autista “domestico” di Yangon, Maw ci consegna una sim filosofo per prossimi tre giorni . È laureato in filosofia della società birmana MPT costata 5000 kiats, che all’università di Mandalay. Come filosofo avrebbe sostituisco immediatamente alla mia. Il cellulare avuto ben pochi sbocchi lavorativi e quindi si è fatto funziona perfettamente e adesso sono in contatto con assumere come dipendente in una società che quello di Maw, se abbiamo bisogno o ci smarriamo, noleggia auto con autista. Desidera diventare guida possiamo comunicare, il costo della sim è veramente turistica, gli manca l’esame di lingua inglese per avere irrisorio. l’abilitazione. Ha 28 anni, è sposato ed ha un figlio di 4 anni e una sorella che ha sposato in italiano e vive in Un’amica di Maw, preventivamente avvertita dalla nostra guida, porta un longyi in dono per Helene. Desideriamo darle una mancia ma rifiuta. Helene regala 5000 kiats alla bimba che ha con sé per acquistare qualche cosa per la scuola, la piccola non rifiuta. Inchini di ringraziamento, sorrisi e foto di saluto tutti insieme. Helene va subito a cambiarsi e si presenta orgogliosamente con il suo longyi, comincia l’integrazione agli usi e costumi del paese che ci ospita. Foto insieme a Maw, anche lei naturalmente con il longyi, tra le sedie della sala d’aspetto Foto 4 - Aeroporto domestico di Yangon dell’aeroporto. Alcuni di questi sedili hanno il Priority Umbria. Seat, c’è la figurina della donna incinta, dell’invalido e del monaco, a cui occorre lasciare libero il posto. Mandalay, a un primo sguardo superficiale, appare come una griglia intricata e caotica di strade Partiamo alle 11.20 con la MANN intasate dal traffico e di anonimi e brutti palazzi in YADARNAPON AIRLINES e arriviamo a Mandalay, cemento. In realtà avremo modo di apprezzare le sue dopo uno scalo a Heho, alle ore 12.30. Nonostante si zone tranquille e alberate, i monasteri ordinati e puliti, fosse venuti in Birmania con il pregiudizio che gli aerei i quartieri artigiani vivi e laboriosi, soprattutto con lo dei voli interni non fossero mai puntali, si parte sguardo onnicomprensivo dall’alto della collina della abbastanza regolari. Questi voli sono come una specie Mandalay Hill, dove sorgono numerosi templi10 di autobus, con vari atterraggi e decolli, restiamo in aereo in attesa della discesa di chi è arrivato a destinazione e della salita di chi deve partire.

A Mandalay abbiamo un nuovo autista, un 10 giovane con un’auto molto simile all’altra che abbiamo Secondo i miti birmani, Buddha visitò di persona Mandalay Hill e, avuto a Yangon, con le stoffe ricamate e gli interni in sotto le spoglie di una gallina, trovò anche il tempo di correre precipitosamente su una scogliera sul fiume, per scappare dalle radica, compresa la fila di santini attaccati sul vetro trappole del re. In epoche meno leggendarie, in realtà Mandalay dalla parte del guidatore. Fortunatamente la scatola non ha assunto la forma di città fino al 1857. Il suo periodo breve, anche se di grande importanza, come capitale birmana è durato dei fazzoletti di carta non ha il coniglietto sul solamente dal 1861 fino all’occupazione inglese, avvenuta nel 1885. 16

Foto 5 - Mahamuni Paya, applicazione della foglia d'oro impatto ci colpisce particolarmente. Nel tempio ci sono molte persone, la maggior parte delle quali è inginocchiata di fronte al Buddha a pregare, ma altre sono accovacciate sul rosso pavimento di marmo e leggono in silenzio i quotidiani o libri. Nel tempio si va per pregare, ma anche per mangiare o per istruirsi. In un padiglione adiacente, squallido, tetro e molto affollato, sono conservate alcune statue khmer in bronzo, trafugate secoli prima da Angkor Wat. La leggenda vuole che prima della guerra con gli inglesi vi fossero raccolte molte altre statue, bottino di numerosi furti fatti in Cambogia. Furono fuse per costruire La prima visita è alla Mahamuni Paya, tempio i cannoni per difendersi dagli inglesi. Oggi rinomato per la Statua del Buddha seduto, alta 4 metri ne sono rimaste alcune, tra cui una del dio hindu e interamente ricoperta da uno strato di 15 cm. di (che risulta evirata) e una di Airavata (dio elefante a foglia d’oro che i fedeli buddisti continuamente tre teste). Secondo una credenza locale, se si sfregano applicano; la statua è talmente “assalita” che gli addetti alla lucidatura del volto d’oro del Buddha, che deve sempre risplendere, sono costretti a fare il loro lavoro alle 4 del mattino. Solo gli uomini possono accedere alla statua, attraverso uno stretto camminamento e delle scale, faccio fatica ad arrivare vicino alla statua e subisco qualche sguardo severo, dato che sono lì per curiosare e Foto 6 - Mahamuni Paya, Mandalay non per ripetutamente le mani su una parte del corpo delle devozione. statue si può guarire dai mali che affliggono le Helene è corrispondenti parti del corpo umano. Notiamo una costretta a lunga fila di fedeli intenti in queste opere di rimanere a strofinamento. aspettare, insieme alle Un salto all’enorme mercato adiacente alla altre donne Foto 7 - Statue Kmer alla Mahamuni Paya Mahamuni Paya, con decine di negozi stracolmi di a pianterreno, la maggior parte delle quali genuflesse merce di ogni tipo per locali e turisti stranieri. Siamo in preghiera. Siccome lei è in piedi, qualcuno attirati da splendidi oggetti di artigianato, soprattutto severamente ortodosso, la fa inginocchiare. L’oro è alcune perfette riproduzioni dell’arpa birmana11. I ovunque in questo anfratto che racchiude la statua, dal soffitto alle pareti, la statua stessa, a parte il volto, 11 Considerato lo strumento musicale nazionale del Myanmar, è ha perso le sue forme originali perché continuamente utilizzata nella musica tradizionale ed è l'unica arpa ancora in uso in ricoperta dalle lamine d’oro. L’effetto è strabiliante e tutta l'Asia. Le sue origini risalgono ad epoche antichissime (se ne trovano tracce in civiltà coeve agli Ittiti). Diversamente dalle arpe suscita emozioni anche a un miscredente come me, occidentali, la cassa armonica o risonatore si sviluppa interamente soprattutto nel vedere la sincera devozione dei in orizzontale. Le parti principali dell'arpa sono la cassa armonica lunga circa 80 cm. e larga 16 cm. e il lungo manico ricurvo o cordiera buddisti birmani. Sarà uno spettacolo ricorrente che ci che fuoriesce in altezza dalla cassa per circa 60 cm. e funge anche da accompagnerà per tutto il viaggio, ma questo primo "catena", attraversando longitudinalmente tutta la parte superiore della cassa. Il corpo dello strumento è ricavato da una radice 17 costi sono elevati, per ora Helene si limita ad comprerà una con la riproduzione della foglia acquistare degli infradito, molto utili perché occorre dell’albero della Bodhi12, sacro al Buddha. Devo togliersi e rimettersi le scarpe molto frequentemente. riconoscere che questi oggetti artigianali in oro sono Io testardo continuo la pulizia dei piedi con la salvietta, molto belli, originali, caratteristici e non hanno ma costringo tutte le volte Helene e Maw ad aspettare neanche un prezzo proibitivo, soprattutto perché si che mi sia infilato i calzini e rimesso le scarpe. può pagare in kiats e nessuno ti fa pressioni perché tu acquisti per forza qualcosa. Anche se non siamo in un viaggio di gruppo, dove sei costretto a visitare le varie “fabbriche”, certi Rientriamo in macchina per spostarsi nel accordi con i tour operator sono ineludibili, e quindi successivo sito. Una bambina viene vicino al finestrino anche noi ci sorbiamo le nostre visite guidate. Oggi e ci offre una ghirlanda di gelsomino bianco e siamo in un laboratorio dove lavorano le foglie d’oro profumato. Ha nello sguardo un messaggio di tristezza che abbiamo visto appiccicare sul Buddha dai fedeli e di povertà talmente commovente che Helene nella precedente pagoda. Le lamelle sono sottilissime, abbassa il finestrino e compra la ghirlanda. L’attacca in tre dimensioni e sono vendute a 8000, 6000 e 4000 alla maniglia per sorreggersi dell’auto e ne percepisce kiats. Vengono ridotte in questi sottilissimi spessori da con piacere il dolce effluvio. Arriviamo allo un gruppo di uomini, che picchiano incessantemente con dei mazzuoli sulla lamella, fino a ridurla a meno di un millimetro di spessore. Fa un gran caldo all’interno di questa fabbrica, il lavoro degli Foto 8 - Laboratorio lavorazione foglia d'oro, Mandalay uomini è faticoso, sono Shwenandaw Kyaung dove ci accoglie l’intenso Foto 9 - Shweenandaw Kyaung, a torso nudo, profumo del legno di teak, soprattutto dopo l’ultimo particolare dell'intarsio con il longyi restauro. Costruito dal re Mindon, lo abitò fino alla avvolto a guisa di pantaloncino corto e sono sudati morte nel 1878. Suo figlio re Thibaw, ossessionato dal fradici, ma non si fermano un attimo. In una sala fantasma del padre, decise di farlo demolire e di attigua, un gruppo di donne, tra cui anche una molto ricostruirne uno nuovo nel 1880 fuori delle mura. Vi anziana, accovacciate per terra, di fronte a tavolini alti trasferì tutto ciò che rimaneva del complesso una ventina di cm. sistemano le lamelle dentro le monastico, comprese le numerose grandi sculture di bustine, dopo essersi cosparse le mani di polvere di legno. Fu risparmiato dai vasti bombardamenti di marmo, per evitare che le lamelle si attacchino alle Mandalay durante la seconda guerra mondiale. Si dita. Poi vengono messe in mostra e in vendita nelle sono potuti così salvare stupendi intarsi in legno e sale attigue al laboratorio. Helene non resiste e ne 12 L'albero della Bodhi era un antico fico sacro (Ficus religiosa), collocato all'interno dell'area in cui oggi sorge il Tempio di d'albero scavata, nel quale viene inserito un lungo manico ricurvo Mahabodhi, a Bodh Gaya (circa 100 km da Patna nello che termina a forma di foglia o di becco di cigno. Il piano armonico è stato indiano di Bihar) sotto il quale Siddhartha Gautama, il maestro costituito da una pelle di cervo ( oggi si utilizzano anche altri religioso fondatore del buddhismo, in seguito noto come Buddha, materiali) tesa e incollata al corpo, internamente vi è fissata una giunse alla bodhi (illuminazione). Secondo la tradizione buddhista, "catena" o cordiera nel quale sono fissate le 16 corde di seta che Siddharta Gautama meditò sotto questo albero, fuoriescono dal piano armonico attraverso piccoli fori. chiamato Ashwattha nel Tripitaka, quando giunse al nirvana; Il fico Generalmente l'intero corpo dell'arpa è decorato con pezzi di mica, sacro, di cui l'albero di Bodhi è un esemplare, è sacro oro e lacca rossa e nera (http://www.sonusdesumundu.it/ ) . a induisti, giainisti e buddhisti (Wikipedia). 18

Foto 10,11 - Kuthoday Paya da inferriate, ma ai tempi di Maw bambina ci si poteva nascondere all’interno.

Incontriamo una splendida fanciulla birmana con sulle guance la foglia dell’albero della Bodhi realizzata con il thanahka. Molti i cani randagi che dormono sulle guide verdi dove dovremmo camminare, ma dato che abbiamo i piedi scalzi preferisco, per non prendere qualche pulce, camminare sulle infuocate piastrelle di ceramica dell’ampio piazzale. ricchissime laminature in oro, che rappresentano le 10 Jataka13. Peccato che la scarsa luce che penetra all’interno della grande sala non permetta all’oro di rilucere come dovrebbe. I monasteri in legno di teak sono una caratteristica onnipresente del paesaggio del Myanmar, un aspetto importante del patrimonio culturale del paese. Ne troveremo ovunque, ogni villaggio ha il suo con variazioni di costruzione e di decorazione, che riflettono gli stili culturali locali.

La successiva visita è alla Kuthodaw Pagoda, citata in tutte le guide come il più grande libro del I Bamar, detti anche Birmani costituiscono la maggioranza della popolazione mondo. Infatti i 15 volumi del Triptaka14, sono stati (circa il 70%). Si pensa siano migrati incisi su 729 grandi lastre di pietra; ciascuna di queste anticamente dall’Himalaya e già nel XI sec. pietre sono state messe al riparo in una piccola dominavano gran parte del territorio che oggi pagoda, per proteggerle dalla pioggia e dal sole; forma il Myanmar dalla loro capitale Bagan. queste centinaia di pagode sono state raccolte attorno Quando, nel XIX gli inglesi conquistarono la a uno stupa centrale alto 57 metri, completamente Birmania, furono i Bamar a subire le perdite più dorato. Quando il re Mindow convocò qui il V sinodo gravi e molte usanze di corte, quando la buddista, incaricò 2400 monaci di leggere l’intero monarchia venne abolita, furono perdute. Nonostante un ostinato attaccamento ad antiche corpus canonico buddhista e, senza interruzioni, vi credenze (come quella dei ), i bamar, dai impiegarono quasi sei mesi. conducenti di trishaw ai generali, sono devoti buddhisti. I Fotomonaci 11 godono- Kuthoday di grande Paya, rispetto e i Anche Maw ha la sua personalissima storia da mezzi di Mandalay comunicazione danno conto raccontarci : quando era bambina, i suoi genitori un quotidianamente degli atti meritori compiuti giorno vennero a pregare alla Kuthoday Paya. Mentre dalle massime autorità di governo presso i loro pregavano, lei s’incontrò con altri bambini e si principali luoghi di culto buddhisti del paese, in misero tutti quanti a giocare a nascondino. A linea con una tradizione di patrocinio iniziata dai quell’epoca le stupe che contenevano le lastre di sovrani birmano. Il regime militare è stato sul marmo con le incisioni del Triptaka erano tutte quante punto di rendere il buddhismo religione di stato (come aveva fatto il primo ministro U Nu nel aperte. Oggi le stupa sono chiuse e le lastre protette 1960); inoltre, nel tentativo di compattare la

13 popolazione, il governo ha introdotto lo studio Storie delle vite passate del Buddha, tema ricorrente negli affreschi e nei bassorilievi dei templi. della lingua bamar (birmano) nelle scuole di tutto 14 I “tre canestri” cioè le tre scritture buddiste classiche : 1) Vinaya il paese, ragion per cui, anche le altre etnie, (disciplina monastica) ; 2) Sutta (discorsi del Buddha); 3) parlano il birmano come seconda lingua (LP,337). Abhidhamma (filosofia biddhista) 19

Riprendiamo la macchina e ci inerpichiamo verso la Mandalay Hill che con i suoi 230 m. di altezza è l’unico punto elevato dal quale si possa ammirare il tramonto sulla piana di Mandalay. Per arrivare in cima dobbiamo arrampicarci a piedi nudi tra scalinate, rampe e percorsi piastrellati, passando tra decine di banchi con souvenir per i turisti. Sulla sommità, costruita dal re Anawrahta nel 414, possiamo ammirare la stupenda Su Taung Pyai Pagoda, che significa “pagoda che esaudisce i desideri”, per secoli luogo di pellegrinaggio importante per i buddisti, dalla quale possiamo ammirare uno splendido tramonto sulla piana di Mandalay. Una piacevole brezza accarezza i pensieri, restiamo assorti a contemplare il disco rosso del sole al tramonto, osserviamo i monaci che conversano con i fedeli, guardiamo una varia umanità di tutte le razze, affacciate alle terrazze per godere del panorama, o appoggiata alle colonne per riposarsi dopo la ripida salita. Tra tutti, parliamo con un’anziana signora cinese, che abita al confine tra la Birmania e la Thailandia. Ha fatto la scuola cattolica in Cina con il missionario italiano Colombo, molte monache erano italiane, ha studiato inglese, adesso è in pellegrinaggio, apprezza il longyi di Helene e l’ha fermata apposta tra la folla per rimarcare la sua ammirazione. Interessante un raccoglitore in metallo di vasi d’acqua di coccio (sono più di venti) con sopra degli ombrellini bianchi. Nelle pagode l’acqua è d’obbligo e gratuita.

Foto 12 - Su Taung Pyai, Mandalay Hill 20

A sera, dato che l’autista ci aveva terrorizzato, consigliandoci, se fossimo usciti, di rientrare in albergo entro le 21.30, decidiamo di cenare nel ristorante dell’albergo. Mi stupisco perché credevo che la Birmania fosse un posto tranquillo, senza grandi problemi di sicurezza. Maw non ci ha messo in guardia. Il Bill Restaurant dell’albergo, anche se molto più caro (24,50$) di quelli che avremmo trovato fuori e ci impone il pagamento in dollari, è dignitoso e il mangiare accettabile. Solito mix di cucina birmana e cinese, vermicelli with au Soon Salad ( 3 $) immangiabili, perché troppo carichi di peperoncino; ottimi i gamberetti e i cetrioli cotti (7 $), buono il pesce, forse un branzino in salsa piccante (steamed lemon Hamotton Fish, 7 $), il tutto accompagnato solito riso bianco ( 1 $ a scodella). I vermicelli sono talmente roventi che resteremo condizionati per tutto il viaggio, chiedendo a tutti i camerieri dei ristoranti cibo “no spicy”. Questa sera cambiamo birra, proviamo la Tiger (2 $ a bottiglia). Ci accompagna musica tradizionale birmana, lui suona uno xilofono, lei un’arpa. Interessante, suggestivo, fa molto atmosfera esotica, ci piace. Dopo un po’ ci sembra ripetitiva e noiosa, e ci isoliamo senza rammarico nella nostra conversazione.

Foto 13 - Tramonto da Mandalay Hill

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UNA VOLTA, UNA COPPIA di vecchi afflitti dalla povertà si fermò a riposare fuori del villaggio, sotto un albero di tamarindo. Disse il vecchio a sua moglie: “Mi sento così stanco per aver raccolto la legna. Come vorrei che fossimo ricchi!”. “Non ti preoccupare, marito caro,” rispose la moglie “se avremo fortuna, ci capiterà di scoprire un vaso pieno d’oro nascosto sotto terra”. Il vecchio rise, messo di buon umore dalla allegra risposta della moglie. Il nat che stava nascosto in quell’albero di tamarindo sorprese quella conversazione e, trovandola simpatica, decise di far loro una piacevole sorpresa. Quella notte, a un certo punto, il vecchio svegliò la moglie. “Moglie cara,” disse tutto eccitato “ho fatto uno strano sogno. Lo spirito di quell’albero di tamarindo mi è apparso e mi ha chiesto di tirar fuori un vaso pieno d’oro sotterrato ai suoi piedi, tre passi a est.” “Curioso,” rispose la moglie “ho fatto anch’io lo stesso sogno e quando tu mi hai chiamato, stavo per svegliarti”. “Be’, non dovremmo essere così sciocchi da eccitarci tanto” disse il marito. “Di certo il sogno non vuol dire niente, è solo che ci siamo addormentati avendo in testa le nostre chiacchiere sull’oro”. Così si riaddormentarono. Se non che, alcuni ladri stavano passando vicino a quella casa e sorpresero quella conversazione. Corsero subito all’albero di tamarindo e, scavando una buca tre passi a est dalla sua base trovarono un vaso di terracotta. Tolsero il coperchio, accesero una luce e videro un gran serpente arrotolato dentro, profondamente addormentato. Allora rimisero il coperchio e si sentirono pieni di rabbia verso quel vecchio. Il capo dei ladri disse indignato: “L’unica spiegazione è che lui abbia trovato il vaso con dentro il serpente e l’abbia di nuovo sotterrato. Poi, quando ha sentito i nostri passi, sapendo che eravamo lì a origliare, ha raccontato una storia. Quel vecchiaccio bugiardo voleva proprio farci morire per i morsi del serpente. Faremo morire lui e sua mo glie al nostro posto”. I ladri, dopo aver accuratamente fissato con una corda il coperchio del vaso, lo portarono alla casa dei due vecchi. Sentendoli russare capirono che erano profondamente addormentati; allora scivolarono in casa e lasciarono il vaso ai piedi del loro letto. Quando fu mattina, la vecchia si svegliò e, vedendo il vaso, chiamò il marito tutta eccitata. L’uomo slegò la corda, tolse il coperchio e scoprì che il vaso era pieno d’oro. Così i due vecchi divennero ricchi e da allora in poi vissero nel lusso.

Fonte: MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 180-182 ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

Dopo cena, nonostante l’avvertimento, usciamo con il fermo proposito di rientrare per le 21.30. Il personale dell’albergo, facchini, uscieri e tassisti rincarano la dose, avvertendoci di stare attenti. Helene non è tranquilla, lo sento, ma vuole uscire per forza, c’è un mercato notturno a pochi passi dal nostro albergo, vuole dare un’occhiata e fare qualche foto col cellulare. Nella strada perpendicolare c’è una festa religiosa, andiamo a vedere. La strada è stata chiusa al traffico, hanno disteso per terra degli enormi tappeti rossi dove la gente resta seduta o distesa, oppure inginocchiata nei momenti di preghiera. È stato costruito, all’inizio della strada, un grande baldacchino, pieno di luci di tutti i colori che si accendono a intermittenza, addobbi dorati o argentati, sotto il quale un monaco prega, canta, predica. Usa un altoparlante, quindi la sua voce si sente fin da molto lontano, la sentiremo anche dalla nostra camera e farà da sottofondo ai nostri tentativi di addormentarsi fino alle 22.30. La maggior parte dei fedeli sono donne, molti i bambini, qualche uomo. Tutti hanno dei cappelli o dei copricapo tradizionali. Helene non vuole rimanere a lungo, molti ci fissano, siamo elementi discordanti e poi camminiamo tra loro con le scarpe, è proibito, loro sono tutti scalzi. Ci allontaniamo per andare verso il mercato, nella speranza che sia ancora aperto. Purtroppo le bancarelle stanno chiudendo, c’è cattivo odore in giro, molta sporcizia, buio spesso e profondo in alcuni punti, ancora molto traffico. Non ci sentiamo assolutamente a nostro agio e decidiamo di ritornare velocemente in albergo.

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Statue e immagini del Buddha e struttura dei templi, a una prima superficiale occhiata, possono sembrare molto simili, ma non è assolutamente vero. Rispondono a alcuni canoni di rappresentazione e architettura molto rigidi, ma ricchi di importanti variazioni. Per apprezzare i canoni strutturali e le loro variazioni occorre concentrare la propria osservazione su una serie, molto ampia e variegata, di elementi.

Per il Buddha, le varie posizioni, in piedi, seduto, disteso. Gli occhi. Lo sguardo, la bocca e il sorriso. Se lo guardi da lontano sorride, se lo guardi da sotto sembra arrabbiato. Le mani e le varie posizioni delle braccia. Le unghie dei piedi e delle mani. I colori, il rosa, l’ocra e l’oro.

Per i templi, le varie strutture geometriche, quadrate o ottagonali. La forma a campana o a bulbo, con le guglie dorate che possono avere diamanti incastonati o centinaia di campanelline. Le pagode sono disseminate di offerte in denaro dei fedeli, raccolte in trasparenti teche; oppure offerte in cibo e frutta, sistemate nei vassoi. Le bacchette di incenso. L’acqua nei caratteristici orci. Le campane e rintocchi con il batacchio di legno. I gòng con qualcuno sempre disposto a percuoterlo con regolare cadenza. I bianchi ombrelli di stoffa di tutte le dimensioni e altezze. I fiori di tutti i tipi raccolti nei vasi. Le ghirlande di gelsomino e i festoni colorati e scintillanti. L’inchino con le mani giunte e la prostrazione a terra sui tappeti. La genuflessione di fronte alle gigantesche statue del Buddha.

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LA MEGALOMANIA DEL RE BODAWPAYA

(Secondo giorno a Mandalay, 20-12-2015)

Sveglia alle 6.30, perché l’appuntamento con la guida è per le 7.30 e vogliamo fare la nostra consueta abbondante colazione al Gold Yadanar Hotel, una variegata scelta di salato di cucina cinese, con pollo, verdure, manzo, spaghetti, noodles, riso, oltre all’ampio settore dolce. La macchina viene a prenderci e ci dirigiamo verso il fiume. All’uscita di Mandalay dobbiamo pagare un pedaggio, così naturalmente all’entrata. Raramente viene consegnata una ricevuta, quindi mi chiedo che fine faranno quei soldi che il nostro autista paga e che fanno parte del costo del viaggio a nostro carico. Finiscono nelle tasche dei generali? Il pedaggio è dovuto perché all’interno dell’auto ci sono due stranieri come noi, una specie di tassa di soggiorno.

Foto 14 - Riva dell'Irrawaddy, Mandalay Foto 15 - Mingun, stazione dei taxi

Arriviamo all’imbarcadero, praticamente un punto dove l’argine, piuttosto scosceso del fiume Ayeyarwady, presenta una rudimentale scalinata in legno, fangosa e scivolosa, che Helene percorre con molta circospezione. Veniamo accolti da alcuni maiali che grufolano nel fango e non capisco perché siano qui. A fianco della nostra barca ci sono altre barche che hanno trasportato rena dal fiume, dentro grossi sacchi. Ogni sacco viene scaricato sulla testa di una bambina che lo trasporta per pochi metri sulla ripida salita dell’argine, per poi depositarlo sulla testa di un’altra bambina che fa altri pochi metri, e così una lunga catena fino ad arrivare in cima all’argine, sulla strada, dove tutti i sacchi vengono caricati su un camion e portati via. Il fango del fiume è ovunque, nei corpi e nelle vesti logore dei bambini lavoratori. Ancora il sole non ha fatto la sua apparizione, chissà da quanto tempo questi bambini sono qui a sgobbare, per una misera paga.

Saliamo sulla barca per mezzo di una semplice asse messa tra la riva e il ponte della barca. Helene ha paura di cadere nel fiume e avanza con molta lentezza. Noto il terrore nel suo sguardo. Partiamo alla volta del villaggio di Mingun alle 8.30. Abbiamo modo di vedere e fotografare il sorgere del sole lungo il fiume Ayeyarwady, le barche, le casupole di legno e bambù, qualche barcone più lussuoso sede di ristoranti, molte attività lavorative lungo il fiume, cave, depositi di materiali. Durante la navigazione incontriamo numerose chiatte, praticamente degli zatteroni, lunghe almeno una cinquantina di metri e larghe circa 10, fatte con tronchi di bambù legati tra loro. Sopra una tenda e uno o due motorini. Sono i tagliatori e venditori di bambù che percorrono tutto il fiume per vendere in città i loro tronchi. Vivono quasi sempre sul fiume, sopra queste zatterone. 24

Foto 16 - Renaioli al lavoro, Irrawaddy, Mandalay

La giornata è fredda, Helene è tutta intabarrata e Maw, protetta soltanto da uno scialle di lana, trema come una foglia. Grigiore e foschia, acqua limacciosa, pesante di terra, contorni di tutto sfumati nella nebbia mattutina, comprese le pagode che emergono soltanto con le loro punte dorate. Il cielo uniformemente grigio e il freddo non mi mettono di buon umore e non mi viene voglia di fare foto. La barca è riservata solo a noi, ormai siamo abituati a viaggiare da soli con la nostra guida. Due uomini di equipaggio, il comandante e un marinaio, ci offrono il benvenuto con del tè cinese. Poco dopo, il marinaio ricompare con quattro album di splendide foto della Birmania, Helene è interessata all’acquisto, lui chiede 15.000 kiats ad album, io ne offro 50.000 (€ 35,00) e lui accetta di corsa. Ci rendiamo conto di aver speso un po’ troppo, quei renaioli visti prima forse ci mettono mesi per guadagnare stessa cifra, ma le foto, fatte da fotografi birmani di un certo livello, sono stupende. Quando il sole è un po’ più alto e ci ha riscaldato, il marinaio ci propone una colazione di ciambelle fritte di fagioli, bananine e caffè. La Coca Cola si paga e visto che già abbiamo dato, decidiamo di bere solo caffè.

Foto 17 - Mingun , venditore di cappelli

25 Foto 18- Panorama dalla Mingun Paya

Arriviamo a Mingun. È un piccolo villaggio famoso per la più grande campana del mondo, pesante una novantina di tonnellate, che fedeli e turisti possono suonare, percuotendola con un grosso batacchio di legno. Siamo accolti, a pochi metri dall’argine del fiume dove siamo sbarcati, da un nutrito gruppo di “taxi”. Si tratta di carri in legno, con bellissime capote di bambù intrecciato, trainate da coppie di buoi, guidati da autisti con larghi cappelli di bambù, che indossano anche se oggi il sole non ha il coraggio di farsi vedere. Più avanti comincia l’ immancabile serie di negozietti ambulanti, ma i venditori non ti asfissiano, anzi sono talmente ospitali e sorridenti, disposti a farsi fotografare anche con i loro piccoli in braccio, che Helene familiarizza subito e commossa, cade nel loro astuto trucco e cede alla tentazione dell’acquisto, mentre io scatto fotografie in quantità.

Mingun significa “il posto per il riposo del re” che qui sostava mentre era in costruzione la pagoda e i due grandi leoni in pietra, lavori iniziati nel 1790, andati avanti per decenni. Sarebbe dovuta diventare la pagoda più grande del mondo se il re Bodawpaya non fosse morto nel 1819. È rimasta l’enorme struttura in mattoni, un quadrato largo 72 metri. L’altezza della terrazza inferiore raggiunge i 140 metri e le guide dicono che sia la più alta pila di mattoni della terra. La salita in cima alla pagoda è d’obbligo anche se Maw pare tema lo sforzo, siamo scalzi e i gradini sono ripidi, sconnessi e sporchi di polvere e detriti. Arrivare sulla terrazza superiore e godere di tutto il panorama della piana di Mandalay è esperienza unica e assolutamente da gustare. Come tutti i turisti arrivati fin quassù piantiamo le nostre bandierine sulla cima sotto forma di pose strane e buffe per le foto di rito. Helene è affascinata dalla vista della sterminata pianura, anche se immersa nella foschia mattutina. Il contrasto tra l’azzurro metallico del fiume Ayeyarwady e il verde cupo della fitta vegetazione tropicale è stupendo, soprattutto nei punti in cui, dalla fitta boscaglia, emerge lo scintillio delle punte dorate delle pagode e delle loro bianchissime strutture.

Anche la discesa presenta diverse difficoltà per la forte pendenza della scalinata e, adesso, anche per il maggior affollamento di turisti che creano code e blocchi. Quando siamo costretti a restare fermi per far passare i gruppi, l’occhio cade su migliaia di bastoncini di incenso che i fedeli birmani hanno incastrato per devozione nella montagna di mattoni che forma la struttura della pagoda.

Foto 19 - Bastoncini di incenso sulla Mingun Paya

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Foto 20 - Mingun

Una volta tornati a terra proseguiamo la passeggiata, passando dall’immancabile mercatino, per arrivare alla Mingun Bell, la più grande campana del mondo, fatta costruire dal megalomane re Bodawpaya con circa 90 tonnellate di bronzo. È sospesa da terra di mezzo metro e piegandosi si può entrare dentro, cosa che Helene fa immediatamente. All’interno incontra almeno una dozzina di turisti che scattano foto in tutta comodità, tanto per rendersi conto della grandezza (diametro 5 metri, altezza 4 metri, un miniappartamento in pratica). È anche perfettamente funzionante, infatti Helene, una volta uscita, prende il grosso batacchio in legno e la colpisce più volte, per il piacere acustico di coloro che sono rimasti all’interno.

La visita di Mingun prevede anche la bellissima Mya Thein Tan Paya che ci accoglie con il suo bianco abbagliante. Costruita dal re Bagyidaw nel 1816, tre anni prima di salire al trono, in onore della moglie preferita, la principessa Hsinbyume. Le sette terrazze intorno alla pagoda rappresentano le sette catene montuose intorno al Monte Meru, la montagna sacra per il Buddhismo. Gravemente danneggiata nel 1838 da un terremoto, il re Mindon la restaurò nel 1874.

Prendiamo un horsekart per tornare all’imbarcadero dove ci attende la nostra barca. Breve ma piacevole passeggiata sul carretto, tra le polverose larghe strade di Mingun, anche se le innumerevoli buche e il duro legno del piano del carro dove siamo accovacciati, ci sconnettono tutte le ossa della schiena. Riprendiamo la barca per proseguire fino alla città di Sagaing, dove ci attenderà il nostro autista con l’auto.

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Foto 21 - Mya Thein Tan Paya

Foto 22 - Pon Nya Shin Paya

Lungo il fiume ammiriamo le coste circostanti fitte di vegetazione e di innumerevoli piccole pagode, monasteri e abitazioni. È un paesaggio unico al mondo, la cifra stilistica del paesaggio birmano. Siamo incantati, 28 perché scorre davanti a noi, come in un film. Finalmente il sole è piantato in cielo con orgoglio e ha dato forte brillantezza a tutti i colori. Siamo al limite della commozione per questo paesaggio di natura e di costruzioni umane. Sagain infatti significa “alberi che incombono sul fiume”, è città spirituale nella quale abitano più di 6000 monaci e i birmani la utilizzano come rifugio spirituale dallo stress e dalle sofferenze della vita. Il fiume è anche frenetico brulicare umano, sia per le svariate attività lavorative, sia per le mansioni domestiche (numerosi birmani si immergono per lavarsi , le donne vengono a lavare i panni, i bambini restano immersi a giocare praticamente tutto il giorno)

Dopo lo sbarco, la prima visita è alla Umin Thounzeh (trenta grotte), un porticato a forma di luna crescente circondato da colonne con 30 porte e all’interno 45 Buddha, che rappresentano il periodo tra il momento dell’illuminazione iniziale e il raggiungimento del nirvana. Cominciamo a salire la collinetta per arrivare alla Soon U Ponya Shin Paya situata sulla cima. Soon U significa “prima colazione”: la leggenda15 narra che nella vita anteriore del Buddha, la prima colazione fosse offerta dagli spiriti. Il grande Buddha centrale ha accanto un enorme coniglio in bronzo, attualmente utilizzato per raccogliere le elemosine. Le pareti della pagoda sono ricoperte da numerosi dipinti con le storie della vita del Buddha, con cui i birmani insegnano il buddhismo ai loro bambini. Lo stupa centrale, costruito nel 1312, interamente ricoperto d’oro, è alto 29 m. ed è stupendo.

Foto 23 - Umin Thounzeht

15 La leggenda vuole che la struttura fosse magicamente apparsa durante la notte, costruita da Ponya, il fedele ministro del re, in un turbine di attività sovrumana ispirato da una magica reliquia del Buddha che aveva scoperto in una scatola di noce di betel. Il mito fantasiosamente sostiene che lo stesso Ponya fosse di magica discendenza, poiché il padre era “volato”a Sagaing dalle montagne dell’Himalaya migliaia di anni prima, giungendo a una curiosa comunità composta dal Buddha, sette eremiti e un orango con un fiore. La genealogia birmana non annoia mai. (Myanmar, Loney Planet, Edizione 2012, pag. 248) 29

Mentre discendiamo, tra scalinate e terrazze piastrellate con motivi geometrici a tenui colori pastello, senza un filo di polvere e con la ceramica perfettamente lucidata che risplende al sole, incontriamo una monaca americana che, “intervistata” da Helene, ci racconta la sua storia. Professoressa in un’università degli USA, a seguito di un viaggio in Birmania, fatto per approfondire il suo desiderio di meditazione, venne colpita da una sorta di illuminazione al punto da decidere che il destino della sua vita non sarebbe potuto essere altro che lasciare la carriera universitaria in America e dedicarsi alla vita monastica in Birmania. Ogni tanto rientra negli Sati Uniti per ritrovare parenti ed amici, non smette i suoi abiti da monaca, i suoi familiari l’hanno accettata così com’è, adesso sostiene di aver trovato la pace e la serenità della vita.

Riprendiamo l’auto e arriviamo alla città di Amarapura che significa “città immortale”, una volta fiorente per le tessiture. Ancora oggi vi sono numerose fabbriche di tessuti, ne visitiamo una. La visita successiva è al Monastero di Maha Ganayon , fondato nel 1914, famoso per la rigidità dell’insegnamento. All’interno, più di 800 monaci, provenienti da tutta la Birmania, studiano le sacre scritture. Superati i rigidissimi esami, vengono inviati ai loro villaggi o città, e possono a loro volta fare gli insegnanti nei monasteri, come docenti non solo esperti di sacra scrittura e storia del Buddha, ma anche come specialisti di etica e di comportamento.

Discendendo in auto da Sagaing Hill su una strada tortuosa e polverosa, notiamo mura ricoperte per chilometri di centinaia di lapidi, nelle quali sono incisi i nomi e le offerte dei donatori che hanno sovvenzionato la costruzione, il restauro e il mantenimento del monastero. Una quantità di denaro enorme, finita tra le mura del complesso monastico. Sedute sul bordo della strada, inondate da nuvole di polvere a ogni passaggio di auto, delle povere donne, ridotte in miseria, chiedono l’elemosina. Lo fanno in un modo incomprensibile per noi, gettando verso l’auto in arrivo un pezzo di stoffa, una coperta, un asciugamano, forse per richiamare l’attenzione del guidatore, quindi si alzano e tendono la mano per chiedere il denaro. Sostengono la stoffa con le braccia a formare una specie di cesto, forse per raccogliere al volo l’offerta che dovesse essere loro lanciata dall’auto in corsa. Non credo che molte auto si fermino, ma la polvere che respirano quella è assicurata ad ogni passaggio di auto.

Al tramonto andiamo a fare due passi sul ponte U Bein che dicono essere il ponte pedonale in teak più lungo del mondo. Si trova sul lago Taung Thaman, subito prima di entrare in città a Mandalay. Siamo in compagnia di molti adolescenti e giovani: la passeggiata al tramonto sul ponte è il massimo del romanticismo e, in effetti, è molto suggestiva, anche se l’affollamento ne riduce il fascino. Le coppie non sono numerose, svariati gruppi di ragazzi e ragazze fanno lo struscio per tutti i 1,2 km. di lunghezza del ponte. Nel sottostante poco profondo lago, molte barche coloratissime portano i turisti in giro. Qualche pescatore, immerso fino alla vita, lancia la propria rete. Sotto il ponte, sulle rive del lago, molti bar, tavoli e sedie di plastica sudicia, sotto grandi ombrelli fatti con foglie di palma, pieni di avventori che si godono il tramonto e l’aria fresca. Ogni tanto si vede passare un contadino a piedi o su un carro trainato da una coppia di buoi. Quando il disco rosso del sole tocca il basso orizzonte sul lago, si alzano centinaia di cellulari per la foto ricordo del mitico tramonto. Dopo pochi minuti dalla scomparsa del sole, l’aria si raffredda in pochi istanti, il buio comincia a avvolgere ogni cosa, ma non diminuisce l’allegria dei ragazzi, anzi pare che la frenesia aumenti, forse l’eccitazione è portata dall’aria notturna. Si accendono le luci delle bancarelle, si vedono fumare le pentole con il mangiare messo a cuocere sulle griglie o sui fornelli, si percepiscono gli odori dei fritti e degli arrosti.

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Foto 24 (1-2-3) - Barche sul lago Thaung Thaman dall’U Bein Bridge

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Ancora un paio d’ore di fregola per i ragazzi presenti, ma non per noi che decidiamo di tornare in albergo per la solita strada super trafficata, piena zeppa di motorini e col pedaggio da pagare. A cena andiamo in un ristorante indicatoci dalla nostra guida, vicino all’albergo. Cucina cinese, costo irrisorio, tavolacci in plastica sudicia, quasi sulla strada, pavimento sconnesso, con varie buche, in una delle quali Helene infila una gamba della sedia, finendo in terra. Accorrono in soccorso i camerieri che la sollevano, tra le mie risate, dato che non si è fatta male. Ogni tanto arrivano in visita cani randagi, il nostro atteggiamento è di assoluta indifferenza e quindi ci lasciano in pace. Prendiamo un paio di birre, a differenza della maggior parte degli altri avventori che di birre se ne fanno portare addirittura una cassa intera. Helene trova in un tappo della sua birra Myanmar un premio di 200 kiats, possiamo andare a incassarli quando vogliamo e in qualsiasi locale. Vicino ai tavoli le sputacchiere per il betel. Un posticino rustico, caratteristico, modesto, ma con un grande e moderno schermo televisivo, dove trasmettono una partita della Juventus. A me, tifoso della Fiorentina, cosa mi è toccato vedere in Birmania !

Foto 25 - Tramonto sul Thaung Thaman lake

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“UAN DOLLÀR, UAN DOLLÀR !”

(Terzo giorno a Mandalay, 21-12-2015)

Anche oggi levataccia, per prendere una barca, a noi riservata, che ci porterà in escursione a Inwa, sulle rive dell’Irrawaddy, tranquillo villaggio, in una zona di sterminati campi di riso, di banane, di barbabietole da

Foto 26 - Barcaiolo sull'Irrawaddy zucchero, costellati da stupa e monasteri, nel tipico affascinante paesaggio birmano. Il modo più suggestivo e molto utilizzato di visita è a bordo di uno sgangherato ma efficiente e colorato horsekart, trainato da un povero magro ronzino, guidato da un altrettanto magro birmano. Le strade sono rigorosamente sterrate e polverose, ma da queste parti passano solo motorini e qualche autocarro, le buche carezzano la spina dorsale.

Appena scesi dalla barca ci abbordano due Foto 27 - Guidatore di horsekart giovanotti con tutta la loro mercanzia. Riusciamo a svicolare con destrezza dalla loro morsa, saltando sull’horsekart, ma i due baldi giovinastri si affiancano con le loro biciclette e, pedalando come forsennati, non ci mollano di un metro. Il nostro ronzino, non certo un purosangue da gran premio, non riesce a distanziarli, loro ci seguono instancabili per diversi chilometri fino a Inwa, nonostante abbiano nelle loro sacche una gran quantità di oggetti molto pesanti in pietra, giada e bronzo. Se mi volto indietro e incrocio i loro sguardi, scattano le labbra in larghi sorrisi e mostrano le mani con qualche oggetto. Forse meditano di fare una vendita al volo, mentre l’horsekart corre lungo la strada, sollevando la polvere che finisce addosso ai due disgraziati. Imperterriti continuano a pedalare, a offrirci la loro mercanzia, a indicarmi le pagode affinché possa fare le mie foto. Quando il calesse arriva a destinazione e scendiamo ci circondano, hanno il fiatone ma sono ben determinati a non lasciarci andare via. Premiamo il loro sacrificio, comprando due collanine e due braccialetti per la stratosferica cifra di 25.000 kiats.

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La prima visita è al Bagaya Kyaung, un monastero in legno di teak, sorretto da 267 tronchi il più grande dei quali misura 18 m. di altezza e 2,7 di circonferenza. A Helene piace da matti abbracciarli e farsi fotografare. L’interno è buio con alcune sciabolate di sole che filtrano dalle finestre socchiuse. In uno di questi coni di luce troviamo un monaco che si riscalda al sole, l’immagine è stupenda. L’interno è silenzioso, anche se percorso da molti turisti, si respira, come in tutta la Birmania, un’autentica spiritualità. Gli intarsi sono bellissimi, con motivi ripetuti che raffigurano fiori di loto, pavoni, figure geometriche. Incredibilmente belle le grandi cornici intarsiate, con motivi decorativi religiosi, che circondano le porte e le finestre, sia quelle esterne che quelle interne.

Riprendiamo il nostro calesse e continuiamo questo stupendo giro in mezzo alla silenziosa campagna birmana, incontrando ogni tanto zedi dorate la cui sommità sovrasta bianchissime pagode. Foto 28 - Bagaya Kyaung Costeggiamo risaie e piantagioni di banano , accompagnati dalla colonna sonora dello scalpiccio degli zoccoli del nostro destriero, e giungiamo alla Yadana Hseemee Paya, piccolo sito in mattoni con alcune antichissime stupa e un Buddha, ombreggiato da un enorme secolare albero. All’interno un pittore accovacciato davanti all’esposizione dei suoi numerosi dipinti in vendita e un bambino, con un costumino coloratissimo, che tenta di venderci qualcosa per tutto il tempo che siamo rimasti all’interno del complesso.

Risaliti in calesse, proseguiamo il nostro cammino tra sterminati campi di banani. In alcuni punti la strada si fa stretta e passa proprio in mezzo alle piante di banano, purtroppo senza frutti. In altre si trotta tra le risaie. I contadini dividono la risaia in vari settori con sentieri e dighe, fatte da tronchi e fasciame secco. Piantano il riso in un settore e successivamente lo allagano. Dopo la raccolta il settore deve essere prosciugato, per la nuova semina e questo si fa manualmente, con una specie di draga, praticamente un cucchiaione che scorre su un cavo, raccoglie l’acqua dal settore da prosciugare e la getta, al di là della diga, nel contiguo settore da allagare. È un movimento avanti e indietro da ripetere con la forza delle braccia migliaia di volte. Per risaie di diversi ettari ho visto lavorarci un Foto 29 – Piccolo venditore alla singolo contadino. Yadana Hseemee Paya

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Foto 30 - Risaie e pagode nella campagna di Inwa

Arriviamo al Me Nu Oak Kyaung, costruito nel 1822 in mattoni e stucco col ocra, con intricate sculture, contrariamente all’usanza dell’epoca di costruirli in legno. Per questo ha resistito fino a oggi, sconfiggendo gli incendi e le intemperie; la struttura è scolorita e dissestata, ma proprio per questo ha un suo particolare fascino. Come nella maggior parte dei templi birmani, grandi e maestose chinthe16 sorvegliano l’ingresso e introducono all’interno, il quale ripara diverse statue e immagini del Buddha. Il monastero raccoglie una grande varietà di stupa in calce bianca o in mattoni, tutti sormontati da imponenti hti, alcuni ricoperti d’oro. Giungiamo qui nella calura opprimente del mezzodì, ma vale la pena salire le scale che sormontano le varie terrazze e arrivare fino in cima, sotto la guglia dorata della stupa principale, per ammirare il panorama, dopo essersi soffermati a studiare le intricate sculture e gli stucchi molto elaborati che si trovano un po’dappertutto.

Riprendiamo il viaggio con il nostro horsekart. Lungo la strada, in questa campagna a qualche km da Mandalay, si possono ammirare diversi mestieri, oltre al contadino nella risaia. I fiumi da queste parti sono ricchi d’oro, quindi troviamo spesso i cercatori d’oro. Dozzine di uomini, ma anche qualche donna, setacciano rena e sassi alla ricerca delle pepite, ammucchiano grosse quantità di detriti ai bordi della strada, forse per essere utilizzati in seguito nell’edilizia. I carbonai, creano dei pezzi di carbone a forma di disco del diametro di circa 30 cm. con dei fori all’interno per facilitare la combustione. Una volta cotti allineano i dischi sulla strada, davanti alla propria fornace, in attesa dei compratori. I benzinai vendono benzina solo per le moto, contenuta dentro le bottiglie di plastica dell’acqua minerale ed esposte su uno scaffale a bordo strada. Di solito, se ne stanno distesi su sdraio a aspettare il cliente, all’ombra di grandi alberi. A volte è presente l’ “autogrill”, un carretto carico di bibite e snack.

In questi dintorni di Mandalay si trovano una gran quantità di bottegucce con prodotti alimentari di ogni genere; negozi che vendono abbigliamento, di provenienza sicuramente cinese, thailandese o indiana; carretti e

16 Divinità guardiana per metà leone e metà grifone. 35

venditori ambulanti per ogni tipo di merce di provenienza locale, come le stuoie di bambù che i birmani delle campagne usano per dormire (in città si usa il materasso). Le stuoie sono di due dimensioni: per single e matrimoniali. Entriamo in una casa- laboratorio di ciotole di legno di bambù smaltato. Un’intera famiglia vi lavora, compreso un bimbo di tre anni che tiene stretta tra le sue manine una ciotola e ce la mostra silenzioso e impassibile. Il resto della famiglia è composto da un boss sui 40 anni che ci accoglie con squisita ospitalità, un paio di anziani che continuano a lavorare in silenzio, accovacciati per terra, sopra le loro ciotole, senza degnarci della minima attenzione; alcune donne che ci spiegano i processi di lavorazione e ci mostrano i prodotti. Helene, naturalmente, ha fatto la sua parte di brava turista occidentale, acquistando una bella ciotola smaltata di nero.

Quello dello shopping imposto dai venditori ambulanti

è un problema esistente anche in Birmania, seppur a livelli moto meno fastidiosi dei paesi arabi. I bambini ti seguono con la loro cantilena continua “uan dollàr, uan dollàr”, ma dopo qualche decina di metri, se resti impassibile, mollano la presa; il problema è che i bambini lasciano troppo presto la scuola per fare i venditori di souvenir ai turisti; i giovani maschi sono più aggressivi e determinati, anche perché il guadagno è facile e senza particolari fatiche, considerato soprattutto il fatto che l’alternativa potrebbe essere il duro lavoro nei campi. Al ritorno, all’imbarcadero sul fiume, prima di saltare sulla nostra barca, una ragazza, non meno insistente e determinata, vende una pipa in rame e terracotta intarsiato a Helene, mentre io fotografo due fanciulle molto carine, pulite e ben vestite, una rarità nelle campagne, che preparano alcune collanine. Una delle due ha sulle guance una foglia disegnata con il thanahka, un disegno finissimo e molto ben fatto. Acconsente a farsi fotografare, la ritraggo con uno splendido orgoglioso sorriso. La madre della ragazza è quella che ha venduto la pipa a Helene. Insieme a un’altra donna sono sulla riva del fiume, sedute su un piccolo pontile di legno, a lavare i panni, in un punto dove l’acqua è miracolosamente quasi limpida. Usano del detersivo in polvere che cospargono in abbondanza sui vestiti da lavare, strofinano e schiumano energeticamente con una grossa spazzola, per poi risciacquare tutto nell’acqua del fiume. Non oso chiedere di fare foto (in realtà ne ho fatta una di nascosto) perché le donne sono seminude; poi capisco il perché : dopo il bucato, si insaponano e si tuffano nel fiume per fare il bagno.

Prima di salire di nuovo in barca, aspettiamo che alcune donne abbiamo scaricato un gran numero di sacchi di riso e un uomo sia salito sulla barca, non senza difficoltà con il proprio motorino, e ritorniamo verso Mandalay. Ci attende il nostro autista per portarci al ristorante, la lunga passeggiata in calesse ci ha messo appetito. Pranzo all’ Unique Myanmar Restaurant, per 21.500 kiats mangiamo zuppa di vegetables, pollo al curry e il classico Myanmar Set, vale a dire mix di cucina birmana piccante con carne e verdure, solita birra e riso bianco. Foto 31 e 32 - Yadana Hseemee Paya

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Prima di rientrare in albergo ci tocca la visita di un’altra “fabbrica”. Ieri quella dei tessuti, oggi quella del legno. Queste visite entusiasmano Helene, che acquista sempre qualcosa, ma lasciano perplesso me, sento puzza di tarocco, non certo ai livelli della Cina quando visitai uno di questi laboratori dove le operaie ai telai erano delle “attrici” che smisero di lavorare appena noi turisti lasciammo la fabbrica e entrammo nello showroom. Questi artigiani del legno, che comunque fotografo da ogni punto di vista, se ne stanno chini con la massima concentrazione sui loro modellini, già del tutto ultimati, a ritoccare con qualche utensile dei piccoli particolari. Nell’attiguo magazzino troviamo una tale quantità di prodotti finiti, che quei pochi operai che abbiamo visto non avrebbero potuto produrre nemmeno se avessero lavorato giorno e notte tutta la vita. Altra caratteristica interessante : nonostante queste fabbriche siano l’esaltazione della produzione locale, non altrettanta fortuna ottiene la moneta locale, qui vogliono bei dollaroni, in perfette condizioni di salute. Tutti i prezzi sono esposti in $ , le carte di credito sono ben accette ma devi pagare un 3% in più di commissione.

Foto 33 - Me Nu Oak Kyaung Il turno di Maw e dell’autista è terminato, ci salutano e se ne vanno; dato che è metà pomeriggio e che abbiamo del tempo libero, facciamo una passeggiata nei dintorni dell’albergo. Esperienza che dura poco più di un ora, Helene vuole rientrare in albergo, impaurita dal traffico caotico, disgustata da nauseabondi odori provenienti dalle fogne a cielo aperto, frastornata dai rumori dei clacson che suonano in continuazione. Le strade sono a più corsie, intasate da macchine, camion e autobus, e una gran quantità di motorini che trasportano persone e merci, intere famiglie anche di 4 persone, genitori e due figli in un unico motorino. C’è l’obbligo del casco, ma la maggior parte non se lo può permettere. In tanti fanno i tassisti con il motorino, credo senza alcuna licenza e abbordano i turisti per strada, molti con i calessi motorizzati. La circolazione è caotica e senza regole, grazie alla scarsa presenza di polizia urbana. I motorini tagliano continuamente la strada in tutte le direzioni, sbucando all’improvviso da strade laterali. Mamme con bimbi piccoli, vanno contromano in mezzo alle macchine, che sfrecciano da tutte le parti, cambiando continuamente di corsia per guadagnare pochi metri, come fa tranquillamente il nostro autista. Le donne quando siedono nel sellino posteriormente tengono le gambe da una sola parte, anche perché con il longyi è impossibile 37 divaricarle. Se invece sono sole indossano pantaloni. I motorini sono talmente numerosi che in alcune strade sono parcheggiati in terza o quarta fila e mi chiedo quello che lo ha parcheggiato nella prima fila come fa a uscire.

La passeggiata, oltre alla pericolosità di attraversare la strada perché non esistono passaggi pedonali (e se anche esistessero il pedone è l’ultimo che ha la precedenza) è funestata dall’odore nauseabondo che a folate ci aggredisce. Sotto i marciapiedi scorrono le fogne. I marciapiedi non sono altro che lastre separate messe una vicino all’altra sopra la fogna. Spesso sono sconnesse o mancanti, quindi è pericoloso camminare, specialmente se va via la luce e resti al buio, puoi finire dentro un tombino. Nelle strade prive di marciapiede non ci sono fogne, ma la puzza è ancora più intensa perché ci sono mucchi di spazzatura un po’ ovunque. E dire che ho visto numerosissime donne spazzino, con le loro divise verdi, spazzare le strade, anche quelle sterrate, anche di notte. Le bancarelle, i mercati, i negozi sono talmente tanti e grandi produttori di rifiuti che non è facile rimuoverli tutti.

Entriamo, per ripararsi dall’inquinamento acustico e atmosferico, in un moderno outlet, attirati dai cartelloni pubblicitari che lo esaltano come grandioso, esteso su 7 piani. In realtà, soltanto il secondo piano è terminato e allestito con tutti i negozi, mentre tutti gli altri sono al grezzo, ancora con i cantieri aperti. Lo scopriamo per sbaglio, uscendo con l’ascensore all’ultimo piano, dove c’è una scuola. Vediamo molti studenti, con i loro libri sottobraccio, camminare in mezzo ai laterizi, ai sacchi di cemento e alle cataste di mattoni. Nell’outlet del secondo piano ci sono molti negozi di abbigliamento, marche italiane, scarpe sportive, abiti cinesi a pochissimo prezzo. Qualche gioielleria con prodotti in giada, una gioielleria thailandese con oro e diamanti. Chiediamo IL BUDDHISMO (diffuso anche in Cambogia, il prezzo di un paio di orecchini in oro e Laos, Sri Lanka e Thailandia) differisce da religioni come diamanti, la commessa premette subito che l’induismo, l’ebraismo, l’islam e il cristianesimo perché non si basa si tratta di merce autentica, poi prende una sull’adorazione di una o più divinità, ma è piuttosto un sistema calcolatrice, picchia un po’ sui tasti e ci psico-filosofico. Oggi questa definizione raccoglie una gran varietà mostra la cifra: 530 $. Tra le boutique e le di interpretazioni del credo fondamentale, che prendono tutte le mosse gioiellerie, anche un negozio microscopico dall’illuminazione di Siddharta Gautama. La scuola theravada che vende macchinette per contare i soldi. sostiene che il raggiungimento del nibbana (nirvana) richiede Negozi e corridoi sono quasi deserti, l’impegno dell’individuo, mentre secondo la scuola mahayana gli soltanto noi come stranieri, più che altro individui devono attendere che tutta l’umanità sia pronta per la giovani ragazze. Le numerose commesse, salvezza. La dottrina mahayana non rifiuta l’altra scuola, ma carine, ben vestite e perfettamente sostiene di averla estesa. Da parte loro i buddhisti theravada truccate, ma inoperose. Acquistiamo per considerano l’altra versione come un’errata interpretazione degli 24.900 Kiats una maglietta con sul davanti un insegnamenti orso che va su originali un monociclo. del Buddha. Dopo In che estrema ho pagato sintesi in si contanti, potrebbe la commessa prima scrive prezzo e numero dell’articolodire che a penna il buddhismo su un registro, theravada poi ripeteè più austerol’operazione e ascetico su una e, secondotastiera di un pc e infine batte lo scontrino alla cassa. Partitaalcuni, doppia? più Ho difficile dato 25,000 da mettere kiats, nello in pratica scontrino rispetto c’è segnato alla versione il resto di 10 cent., ma in Birmania non esistono i centesimimahayana di Kiats, perché (LP, 371)allora il prezzo non è intero?

Usciamo dall’outlet e decidiamo di correre in albergo, perché adesso, a tutti i frastuoni e i cattivi odori di fogna e smog, si sono aggiunti quelli delle fritture e delle zuppe dei ristoranti. Non sono ancora le 19.00 ma in Birmania si cena presto. In albergo, dato che non abbiamo ancora fame, mi metto al pc per scaricare un po’ di mail dalla mia posta, collegarmi con la mia libreria online, leggere un po’ di Repubblica. È lunedì, il quotidiano tratta più che altro di calcio, nel campionato la Fiorentina ha battuto il Chievo ed è seconda in classifica, a 1 punto dall’Inter che è prima. Sono felice e desidero vedere i goal di Kalinic su youtube, ma la connessione è lentissima, dopo un po’ mi passa la voglia e raggiungo Helene in camera, che nel frattempo ha sistemato le valigie perché domani lasciamo questo albergo. Partiremo alle 6 di mattina, rendez-vous in hall alle 5.45 con Maw, quindi forse è meglio andare a dormire. Non ho ancora sonno, mi collego per messaggiare con le mie figlie e alcuni amici su whatsapp. Non riesco a prendere sonno, mentre Helene è già crollata e dorme della grossa, la stanza è troppo calda, nonostante l’aria condizionata accesa al massimo da ore, troppo rumorosa per il sottofondo continuo del traffico, gli acuti stridori dei clacson, i rombo delle moto. Dalle 20.00 inoltre la festa religiosa della strada accanto ha ripreso in pieno la propria attività, il

38 monaco che prega con l’altoparlante, i fedeli che cantano le loro litanie. Solo la stanchezza può sconfiggere questo generale fracasso e indurre al sonno, ma oggi abbiamo fatto solo mezza giornata di visite e quindi non sono stanco. Ripensando alla giornata non riesco a comprendere il motivo per cui Maw non ci ha fatto assistere al pasto dei monaci nel monastero di Mahagandayon, come da programma. L’ora del pasto era alle 11.30 ma non abbiamo fatto in tempo, nonostante noi fossimo puntuali alle 8.30 nella hall come concordato, per via della lunga passeggiata con l’horsekart. Perché inserirlo nel programma, farmi venire l’acquolina in bocca e poi non realizzarlo?

Maw avrà in serbo una gradita sorpresa per rimediare a questa lacuna.

Il Buddhismo in Birmania è presente prevalentemente nella sua tradizione Theravada, praticata dall'89% degli abitanti; è il paese buddhista più religioso in termini di percentuale di monaci rispetto alla popolazione e di percentuale di reddito speso per la religione. Prevalenza di aderenti si ha tra le etnie Bamar, Shan, Rakhine, Mon, Karen, oltre che tra la diaspora cinese meglio integrata; i monaci, noti collettivamente come Sangha, sono da sempre membri molto venerati della società. In alcuni gruppi etnici il buddhismo theravada viene praticato in concomitanza col culto nativo degli spiriti-Nat (soprattutto la richiesta di una loro intercessione negli affari mondani).

Per quanto riguarda la religiosità quotidiana, due sono le pratiche più popolari: acquisire meriti per la vita futura attraverso le scelte e decisioni attuali (il percorso più comune seguito dai buddhisti birmani) e la meditazione Vipassana; il percorso detto "Weizza" è invece un po' meno seguito, essendo piuttosto una forma esoterica legata all'occulto. La via dei meriti implica la stretta osservanza dei cinque precetti (astenersi dall'uccidere; dal prendere ciò che non è dato; dalla cattiva condotta sessuale; dal mentire; dall'assumere bevande fermentate che provochino disattenzione) e l'accumulo di merito attraverso le opere di carità e le buone azioni commesse (generosità-Dāna) al fine d'ottener una rinascita favorevole.

La storia del buddhismo in Birmania conta con tutta probabilità più di due millenni di vita; secondo il "Mahavamsa", cronaca in lingua Pali del V secolo di Ceylon, l'imperatore Ashoka inviò due monaci, Sona e Uttara, in terra Thai ed alcuni storici registrano l'arrivo dei monaci reali in Birmania nel 228 a.C.: portavano con sé anche libri e testi sacri.

Durante l'amministrazione britannica della nazione birmana le politiche del governo sono state spiccatamente secolari, quindi i monaci non erano protetti dalla legge; il buddhismo non è mai stato patrocinato dal governo coloniale e ciò ha provocato tensioni ricorrenti tra la popolazione e i governanti europei. Vi fu inoltre una forte opposizione per gli sforzi missionari cristiani nel tentativo di convertire gli abitanti.

A partire dal 1948, quando il paese ottenne l'indipendenza dall'impero britannico, sia i governi civili che militari succedutisi nel tempo hanno per lo più sostenuto la religione; ma durante il regime militare di (1962-88) si tentò di riformare la Birmania attraverso la cosiddetta "via birmana al socialismo", che conteneva in parte anche elementi buddhisti.

Durante la rivolta 8888 * , molti monaci che parteciparono attivamente vennero trucidati dai soldati del Tatmadaw: il successivo regime militare, il consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (CSPC) pur avendo inizialmente favorito il buddhismo, non ha mancato di perseguitare tutti quelli che risultassero contrari alla dittatura, fossero essi buddhisti, cristiani o musulmani (Wikipedia).

(*) : La Rivolta 8888 fu un'insurrezione nazionale il cui fine era la democrazia, che iniziò l'8 agosto 1988 in Birmania. Finì il 18 settembre, dopo un sanguinoso colpo militare. A causa delle rivolte, fu fondato il Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo. Durante il periodo della crisi emerse come icona nazionale. Dopo la rivolta 8888, ci fu un'altra serie di insurrezioni, tutte soppresse dal governo militare. Durante la rivoluzione, migliaia, o anche di più, monaci e civili (principalmente studenti) furono uccisi dal Tatmadaw (Forze armate birmane). Il caso presso il ponte rosso, dove i militari aprirono il fuoco sulla folla di studenti protestanti che stavano attraversando il ponte, è indimenticabile per la causa democratica birmana (Wikipedia).

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BAMBÙ SULL’IRRAWADDY

(Crociera da Mandalay a Bagan, 22-12-2015)

Foto 34 - L'alba sull'Irrawaddy

Oggi è prevista una crociera in un barcone del Malikha River Cruise per il trasferimento da Mandalay a Bagan sull’Irrawaddy con partenza ore 6.50. Arriviamo all’imbarcadero alle 6.00 con un certo anticipo, ci siamo svegliati alle 5.00 perché avevamo il rendez-vous con Maw nella hall dell’albergo alle 5.45. È ancora buio, ma c’è già un po’ di traffico in giro. Numerose donne spazzino con le loro casacche verdi, che ammucchiano la spazzatura ai bordi delle strade, in attesa che passi la macchina a raccoglierla. All’imbarcadero, nonostante l’ora, solito nugolo di facchini pronti a prenderci i bagagli e a aiutarci a salire sulla barca. Elargizione della mancia canonica di 1.000 kiats a chi ci aiuta. Helene corre sul ponte scoperto per prendere la migliore posizione, ma non ci sono problemi, a quest’ora siamo i primi ad essere saliti sulla barca. È freddo e tira una bella brezza mattutina ghiaccia, ma siamo attrezzati con felpe, giubbotti, berretti, quindi ci sistemiamo sulle nostre sdraio e aspettiamo la partenza. Dovremo rimanere su questa barca fino al tramonto, quindi possiamo prendercela comoda, ma siamo eccitati all’idea della lunga navigazione su questo largo fiume limaccioso. La barca si riempie di turisti, in tutto saremo una quarantina, molti americani, qualche francese, una giapponesina che viaggia da sola. Quando più tardi il sole comincerà a martellare con i suoi raggi ultravioletti, lei si proteggerà con un equipaggiamento da guerriero galattico: giubbotto impermeabile con cappuccio, pantaloni lunghi e scarpe alte da ginnastica; per il viso un equipaggiamento particolare: una visiera di plastica fumé che porterà ininterrottamente abbassata a coprirle totalmente il volto e la mascherina di carta filtrante sulla bocca. L’unico momento della giornata che emergerà mostrando le fattezze di essere umano sarà quando andrà in toilette, per il resto è rimasta tutto il viaggio immobile sulla sdraio a leggersi un piccolo libro dai caratteri in verticale.

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Foto 35 – La spettacolare skyline della pagoda all’alba

La prima emozione è vedere l’alba. Il sole spunta sopra la riva che non è molto alta, tra le chiatte, i barconi, le basse costruzioni. Siamo in partenza proprio mentre il sole comincia la sua lenta salita verso il cielo. Anche la nostra andatura è lenta, ci metteremo tutto il giorno per arrivare a Bagan.

Verso le 8.00 facciamo colazione con pane Ci rendiamo conto che non sarà facile far abbrustolito nel quale abbiamo spalmato del burro e passare le ore fino all’arrivo, nonostante ci scorra della marmellata presi a cucchiaiate da alcune ciotole. davanti, come un film, la vita del fiume: chiatte che trasportano ghiaia e sabbia, altre che hanno accatastato montagne di sacchi di riso; numerosissime barche di pescatori con rombanti piccoli motori, l’elica fissata in fondo ad una lunga pertica. Pescano con dei retini, non tanto grandi, posti all’estremità di un lungo bastone di bambù, si piazzano in mezzo al fiume con 6- 7 barche a formare una specie di diga in attesa del passaggio del pesce. La nostra barca è costretta a virare per evitarli. Comunque, anche se il fiume presenta lunghi tratti diritti, la navigazione raramente è in linea retta, non solo per la presenza dei pescatori, ma anche di isolotti, secche segnalate con pali di Foto 36 - Pescatori bambù conficcati, chiatte ferme. Il traffico del fiume è più o meno quello delle metropoli cittadine. Ci sono 41 delle enormi zattere fatte con tronchi di bambù, sopra pagode, bianche abbaglianti, rosse di mattoni, le quali vivono e lavorano i raccoglitori di bambù, che rilucenti d’oro, che spuntano qua e là tra la fitta tagliano e trasportano in su e in giù per tutto il fiume vegetazione. Vediamo un grande Buddha seduto, gli enormi tronchi. Sopra queste zatterone abbiamo ricoperto d’oro, che dà le spalle a una serie di pagode. trovato tende, motorini, intere famiglie con bambini È come stare davanti a uno schermo dove passano le piccoli. Passano qui sopra, al freddo e all’umido, gran immagini simbolo che raccontano tutta la storia parte dell’anno. religiosa della Birmania. Ma non solo, anche scene di vita quotidiana e lavorativa dei suoi abitanti: dalle immense chiatte che trasportano di tutto, tronchi, fusti di carburante, migliaia di sacchi di riso, alle piccole imbarcazioni dei pescatori che lanciano le loro reti, dalle navi turistiche, alle barche dei locali.

Foto 37 - Raccoglitori di bambù

Ogni tanto, tra la vegetazione rigogliosa lungo le adiacenti basse colline, spunta qualche cima dorata di pagoda. La riva è comunque generalmente Foto 38 - Pagode sulla sponda dell'Irrawaddy piatta e priva di vegetazione, costellata di baracche, raggruppate in piccoli villaggi o isolate. Il giorno è Il via vai di imbarcazioni è continuo in tutte le chiaro, la temperatura ha abbandonato i livelli quasi direzioni, il grande fiume non ha un percorso regolare, polari della notte e dell’alba, siamo tutti molto più un letto ben delimitato, ma è tutto un frastagliarsi in elettrizzati e felici. Seduti nelle nostre sdraio, ben mille rivoli collaterali, tra pericolosissime secche e coperti e riparati dal vento, ci godiamo uno spettacolo immensi slarghi che sembrano più laghi che fiumi. unico, indimenticabile, caratteristico del paese che stiamo visitando: basse colline ricoperte di alberi che costeggiano il grande fiume, migliaia di stupe e

Foto 40 - Pescatori in attesa del passaggio del pesce

Foto 39 - Le guglie delle pagode tra la fitta vegetazione

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Foto 41 - Un grande Buddha seduto spalle alla pagoda

Passa una chiatta che trasporta centinaia di Questa deve essere zona di fornaci perché orci di cotto, utilizzati per i liquidi, come in antichità, in troviamo, lungo la riva, enormi cataste di questi orci particolare da sistemare nelle pagode e nei monasteri color rosso. Mentre navighiamo, dato che non per la distribuzione dell’acqua ai fedeli e ai monaci. abbiamo nulla da fare che godersi lo splendido paesaggio, a Helene viene un’idea in testa e non riesce a scacciarla: ha sentito che a Bagan fanno le escursioni in mongolfiera e vuole provarci. Incarica Maw di informarsi e prenotare. Io non mi lascio trascinare visto anche il costo (Maw ci dice 380,00 $ a persona). La nostra guida fa alcune telefonate e prenota, basterà passare dall’ufficio di Bagan della compagnia e pagare per avere il biglietto e sperare che le condizioni meteorologiche lo permettano, ma non mi sembra che siano previsti grossi sconvolgimenti climatici per domani. L’eccitazione di Helene schizza alle stelle e il

pasto che facciamo verso mezzodì, a base di insalate di Foto 42- Deposito di orci in attesa del trasporto riso dentro bustine di plastica e qualche bananina, le sembra il più buon pasto di sempre.

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Foto 43 - Inwa Bridge

Durante il lungo tragitto passiamo sotto due Foto 44 - Ayeyarwaddy Bridge grandi ponti in acciaio e cemento. Il primo, vicino a Mandalay, l’Inwa Bridge, è il più vecchio, costruito accumula, creando secche e problemi alla navigazione. dagli inglesi nel 1934. Fino al 1990 è stato l'unico Il pericolo delle secche è serio, il barcone è costretto a ponte che attraversava l’ Ayeyarwady. Col tempo e fare improvvise virate e lunghi giri per evitarle, in un con l’aumento del traffico pesante, la sua capacità di paio di occasioni sono stati spenti i motori e, prima di carico si è ridotta e nel 2002 si dette iniziò alla ripartire, un ragazzo, con un lungo bastone di bambù costruzione di uno nuovo, che fu, accanto a quello verniciato di bianco, ha saggiato da prua la profondità. vecchio, inaugurato l'11 aprile 2008. Il secondo, molto Il comandante era all’erta e dava i segnali di rotta al più lungo, è l’Ayeyarwady Bridge di Pakokku. Maw timoniere. dice che i piloni del ponte fanno diga e la sabbia si

C’ERANO UNA VOLTA DUE GIOVANI CHIAMATI BUONASORTE E TUTTOZELO. Vivevano nel medesimo villaggio, ma di carattere erano molto diversi. Buonasorte non amava lavorare e si affidava alla fortuna, mentre Tuttozelo era sempre impegnato nel lavoro e nella fortuna non ci credeva. Buonasorte se ne restava a casa sua, mentre Tuttozelo risaliva regolarmente il corso del fiume Irrawaddy per portar giù zattere di bambù. Siccome il bambù aveva raggiunto alti prezzi in quella zona, Tuttozelo era ricco e possedeva parecchio bestiame. Un giorno i genitori di Buonasorte lo rimproverarono di essere un fannullone e gli imposero di andare a lavorare con Tuttozelo sull’Irrawaddy. Buonasorte raccontò a tutti gli amici che era la sua buona stella che lo spingeva ad andare e che di certo sarebbe stato per lui un viaggio molto fortunato. Il viaggio d’andata fu senza sorprese per Buonasorte, così Tuttozelo lo prese in giro: “E allora, dov’è tutta quella gran fortuna che ti aspettavi di trovare nel viaggio?”. “Aspetta”, rispose l’altro la “fortuna viene adagio ma sicura”. Durante il viaggio di ritorno si levò una tempesta e le zattere di bambù dovettero essere ormeggiate sulla riva. Si erano fermati in un luogo selvaggio e desolato, e Tuttozelo schernì Buonasorte: “E allora, è tutta qui quella gran fortuna che ti aspettavi di trovare nel viaggio?”, e tutti i loro compagni di lavoro scoppiarono a ridere. Buonasorte, stufo di queste beffe e risate alle sue spalle, se ne andò a fare una passeggiata sulla riva del fiume. “Guarda che, se sei in ritardo, non ti aspetteremo” gli gridò Tuttozelo. Ma Buonasorte rispose: “Se la mia fortuna vuole che mi lasciate indietro, non mi lamenterò”. Andò più avanti, finché giunse a uno specchio d’acqua trasparente come cristallo. Volendo bagnarsi in un’acqua così chiara, ci saltò dentro; e subito si trovò trasformato in una scimmia. Tuttavia non si lamentò. “Se la mia fortuna vuole che io finisca i miei giorni da scimmia, per me va bene” disse a se stesso. Camminò ancora per un po’ e trovò una pozza d’acqua fangosa. “Proverò anche questa” si disse, e ci saltò dentro; subito ritornò un essere umano. Allora, trovati due vasi lì vicino, ne riempì uno con l’acqua trasparente come cristallo e l’altro con l’acqua fangosa; poi tornò coi due vasi alle zattere, ancora ferme perché la tempesta non era passata. “Cosa hai lì?” chiese Tuttozelo. “Nient’altro che acqua” rispose Buonasorte. “Che dono meraviglioso dalla tua fortuna” lo schernì Tuttozelo. “Un regalo d’acqua per uno che lavora sul fiume”. Buonasorte non rispose. Intanto la tempesta era diminuita e ripresero il loro viaggio. Le zattere fecero sosta ad una città e Tuttozelo scese a terra per incontrare certi mercanti di bambù. Buonasorte se ne stava pigramente seduto sulla sua zattera a guardare un acquaiolo che faceva una nuotata dopo aver riempito le sue anfore d’acqua. Allora Buonasorte ebbe un’idea. Preso il suo vaso d’acqua chiara come cristallo, andò presso quelle anfore, ne scelse una a caso, la vuotò a metà e ci versò dentro quell’acqua prodigiosa. “Adesso vedremo chi è fortunato abbastanza, o sfortunato abbastanza, da bagnarsi in quest’acqua” ridacchiò Buonasorte. L’acquaiolo venne a prendere le anfore per andare a fare il suo giro di vendita in città. Ora, il re di quella città aveva una bella figlia, e il caso volle che proprio quella mattina non ci fosse acqua abbastanza nel suo bagno, perché le cameriere si erano scordate di procurarla. Siccome la principessa si era molto arrabbiata, una delle cameriere corse fuori a cercare un vaso d’acqua: incontrò l’acquaiolo e comprò una delle sue anfore, per risparmiarsi di andare sino al fiume. Le toccò proprio quella in cui Buonasorte aveva versato l’acqua trasparente come cristallo. Logico che, appena ci si immerse, la principessa si trasformasse in una scimmia! Il re mandò i suoi araldi in giro per la città ad annunciare che una qualche magia aveva trasformato in scimmia la principessa, e che qualunque mago avesse saputo guarirla l’avrebbe avuta in matrimonio. Buonasorte udì e si recò a palazzo con il suo vaso di acqua fangosa. Non appena la spruzzò sulla principessa, lei ridiventò un essere umano. Così Buonasorte sposò la principessa, diventando principe ereditario, e quando il re morì fu re a sua volta. Qualche tempo dopo, una stagione sfortunata colpì Tuttozelo. Le sue zattere furono interamente distrutte da una tempesta, tutto il suo denaro fu rubato e tutto il suo bestiame morì, a parte una mucca malandata. “Il mio vecchio aiutante Buonasorte adesso è un re” pensò. “Se vado da lui con questa mucca e gli dico che è tutto quello che mi rimane, di sicuro sarà così impietosito da darmi oro e gioielli”. Così andò al palazzo con la sua mucca malandata. Le guardie lo fermarono alla porta e gli chiesero cosa avesse a che fare con il re. Alla vista delle spade scintillanti di quelle guardie, Tuttozelo perse il suo sangue freddo e non seppe più che dire. Una delle guardie,44 appoggiandosi alla spada, gli domandò di nuovo: “Allora, cos’hai da fare col re?”. Al che egli scappò via lasciando la sua mucca con le guardie. Fu così che Tuttozelo divenne un povero mendicante. Fonte: MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 109-112. ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

Foto 45 - Barca sull’Irrawaddy

Foto 46 - Tramonto sull'Irrawaddy

Il sole comincia a calare. Ci allertiamo tutti quanti per ammirare il tramonto sull’Irrawaddy, preparo la macchina fotografica e comincio freneticamente a scattare. Mi viene alla mente un’altra crociera, quella sul Nilo, e un altro spettacolare tramonto tra le palme. Adesso siamo quasi tutti in piedi a guardare il sole che si sta per coricare dietro gli alberi, il problema è che siamo tutti dalla parte della barca dove sta tramontando, la facciamo pericolosamente sbilanciare e il capitano ci deve urlare di rimetterci a sedere, altrimenti ci rovesciamo. Tra l’altro siamo in zona secche e quindi procediamo con la massima lentezza e circospezione. Adesso il sole è tramontato, il cielo è rosso e lo skyline nero delle punte delle stupa è meraviglioso, sono immagini bicolore che credo ci rimarranno per sempre impresse nella memoria.

La nostra crociera è finita. Siamo arrivati a Bagan, le operazioni di discesa sono difficoltose perché la stazza della barca 45 ha distrutto il minuscolo pontile in legno che avevano approntato per farci scendere e quindi il comandante decide di far “incagliare” la barca sulla riva, così possiamo scendere direttamente sulla riva. Su questa spiaggia c’è movimento, si percepisce immediatamente l’aria frizzante e vacanziera, Bagan è cittadina con spiccate tendenze turistiche, molto frequentata anche dai birmani. Da una parte vediamo un palco e sentiamo della musica. Ci avviciniamo per curiosare. Maw spiega che è una rappresentazione per il culto dei nat. Musica molto forte sparata da tre musicisti e balli piuttosto scatenati di una coppia di quelle che credo siano drag-queen birmane. Maw mi illumina: sono due uomini che personificano le mogli dei nat, che danzano per richiamare lo spirito affinché possa entrare nel corpo della persona che lo ha invocato. Dato che la nostra solerte guida ci avverte che può capitare che, per un fatale errore, lo spirito entri nel corpo di uno spettatore, decidiamo di andare verso l’albergo .

In talune occasioni il culto dei nat va oltre la semplice offerta propiziatoria e si spinge nel regno dell’invocazione spiritica. In questo ambito il rito più diffuso è il nat pwe (festa degli spiriti), uno speciale evento

musicale che dovrebbe indurre i nat a convenire nel luogo prescelto.

KO GYI KYAW

Per attirare un nat a una festa occorre l’intervento di un medium, detto nat-gadaw (moglie del nat) che può essere una donna o un uomo travestito, il quale con canti e danze, invita il nat a prendere possesso del suo corpo. I nat amano la musica rumorosa e allegra, quindi durante queste feste i musicisti percuotono con grande intensità

gong, tamburi e xilofoni, producendo un baccano che si potrebbe quasi definire una forma arcaica di rock and roll. Nel corso del nat pwe c’è sempre il rischio che lo spirito decida di possedere non il medium, ma uno degli spettatori.

Uno degli spiriti più frequentemente evocati è quello di Ko Gyi Kyaw (grande fratello Kyaw), un nat ubriacone che risponde alle offerte di liquore tracannato dalla nat-gadaw. Quando entra nel corpo di qualcuno, questo nat si abbandona a danze lascivie, quindi lo stato di trance indotto da Ko Gyi Kyaw è una prospettiva decisamente imbarazzante per il malcapitato posseduto.

Una volta che si è stati posseduti da un nat, l’unico modo per evitare che lo spirito faccia ritorno più e più volte consiste nell’affidarsi all’opera di un vecchio monaco buddhista esperto in esorcismi: si tratta di pratiche che possino durare giorni o addirittura settimane. Chi trascura una simile procedura può essere condannato a portare il marchio dei nat per il resto della vita. Le ragazze che sono state possedute da un nat non possono sposarsi se prima non sono state sottoposte a un esorcismo idoneo (LP, 374)

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Prima di andare in albergo occorre passare a prendere il ticket per il volo in mongolfiera. La società si chiama Ballons over Bagan , il pilota sarà un certo David Head e il costo si conferma sui 390,00 $ , si accettano anche le carte di credito. L’appuntamento è per l’indomani, ore 5.25 a.m. , verrà un pulmino a prendere il passeggero direttamente in Hotel.

È notte, fa freddo, non c’è diffusa illuminazione da queste parti e poi spesso scompare. Forse è il caso di andare in albergo, l’autista che è di queste parti ci porta immediatamente allo Sky Palace Hotel. Anche la sua auto, come tutte le altre è agghindata con immagini sacre, nastrini rossi e bianchi per invocare la protezione degli spiriti nat. Mangiamo in albergo e poi ci mettiamo subito a dormire, vista la levataccia di domani per il volo in mongolfiera.

Foto 47 - Tramonto a Bagan

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Foto 48 - Alba a Bagan

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DALL’ALBA AL TRAMONTO A BAGAN

(Primo giorno a Bagan, 23-12-2015)

Giornata molto impegnativa e fitta di visite e eventi straordinari. Si inizia con il tour in Mongolfiera da parte di Helene (se ne è andata di soppiatto, senza svegliarmi, quando era ancora buio) e si finisce con l’arrampicata sulla Shwesan Daw Paya per vedere il sole che tramonta tra le guglie delle pagode. Come noi tanti turisti: alla mattina sui cieli di Bagan decine di mongolfiere, al tramonto sulla Pagoda centinaia di persone, ma gli spettacoli resteranno indelebili nella memoria di tutti quanti.

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La zona archeologica17 ha una superficie di 67 kmq e offre alla vista migliaia di templi, da quelli che svettano dalla fitta vegetazione con imponenti pinnacoli ricoperti d’oro , a quelli di appena uno o due metri di altezza; la terra non è arida, circondata da una parte dal fiume Irrawaddy e dall’altra dai Monti Shan. Oltre che in mongolfiera, la percorreremo comodamente con la nostra auto, passando da strade per lo più sterrate e polverose, prive di illuminazione artificiale, o da sentieri pieni di sterpaglie, senza alcuna indicazione o punti di riferimento. La possibilità di perdersi, per chi non è del posto, è altissima.

Foto 49 e 50 - Tramonta il sole a Bagan

17 Nella piana di Bagan ci sono oltre 2.200 monumenti ancora in piedi e rimangono un numero uguale di rovine o di altre prove di strutture del passato. L'ottimo "Inventario dei Monumenti a Pagan" di Pierre Pichard ha individuato 2.834 monumenti. Terremoti, inondazioni e invasioni hanno distrutto soprattutto le parti più alte di molti templi e stupa. Diversi tra i monumenti esistenti sono stati ristrutturati, riordinati, ridipinti e 'abbelliti' nel corso degli anni. Sia birmani che stranieri, inoltre, da lungo tempo hanno attuato un saccheggio sistematico dei manufatti e dei tesori. Avventurieri occidentali e archeologi nella seconda parte del XIX secolo hanno rimosso molte statue, affreschi e altre antichità per portarle nei musei ed esporli al pubblico, anche se molti di questi reperti sono stati distrutti durante le guerre in Europa nel XX secolo. Anche se l'attuale governo del Myanmar ha vietato l'esportazione di antichità, importanti elementi continuano a scomparire nelle mani di ricchi collezionisti privati, un tragico destino che ha colpito numerosi siti di interesse storico e architettonico. L'essere stato elevato a "Patrimonio dell'Umanità" potrebbe rivelarsi sia una benedizione che una maledizione. Più visitatori potrebbero portare reddito necessario per la zona, ma potrebbe anche aumentare la commercializzazione e l'ulteriore distruzione di questo eccezionale patrimonio. Prof. Robert D. Fiala ( www.cultore.com )

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Due principali tipi di strutture architettoniche storiche si trovano nella zona di Bagan. La pagoda, o stupa (in birmano si chiama Zeidi o Zedi) è uno dei principali monumenti buddhisti. Il termine è spesso anche Paya usato in inglese in modo intercambiabile con pagoda. Originariamente un cumulo di pietre è diventato un monumento funebre, poi ha acquisito simbolismo cosmico del Buddha contenente le sue reliquie. Molti Zedi sono stati costruiti per onorare una persona notabile, o addirittura per mantenere il ricordo duraturo di una famiglia importante. Lo Zedi ha la forma di una campana (spesso solida), su una struttura in mattoni situata su base quadrata od ottagonale; di solito ha un picco leggermente affusolato in metallo dorato, decorato con gioielli, sormontato da una decorazione a forma di ombrello sacro (Hti). Spesso queste strutture erano coperte con stucco e ornate con fini intagli. Oltre ai numerosi stupa solitari, ne esiste una varietà agli angoli della maggior parte dei templi. Quando i fondi lo consentivano, gli stupa origina li spesso venivano racchiusi in costruzioni più grandi ed elaborate.

L'altra grande forma di architettura superstite a Bagan è il tempio, o pahto, che può assumere una varietà di forme. I templi (gu) sono stati ispirati dalle grotte scavate dai buddhisti nella roccia in India. Erano edifici più grandi e multi -piano, luoghi di culto che comprendevano corridoi riccamente affrescati con immagini sacre e statue. A differenza degli archi a sbalzo di Angkor, i templi di Bagan impiegano ampiamente sia le volte a barile che gli archi ogivali. I templi spesso vennero costruiti intorno a uno Zedi e comprendevano una serie di altri edifici, come quartieri per i monaci e sale di riunione e preghiera. Il pahto spesso era una struttura massiccia, quadrata o rettangolare con terrazza esterna che rappresenta il Monte Meru, la residenza simbolica della divinità, circondato da uno spesso muro per separare il regno del sacro dal mondo esterno.

Prof. Robert D. Fiala ( www.cultore.com )

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Si pensa che probabilmente qui siano stati costruiti più di 13.000 tra templi, pagode e altre strutture religiose. Un patrimonio unico edificato tra l'XI e il XII secolo in quest'area di 26 miglia quadrate (42 Kmq). Anche se forse, già a partire dal secondo secolo d.C., ci sono stati coloni in questa zona sulla riva sinistra del fiume Ayeyarwady , le mura originali del primo insediamento permanente risalgono probabilmente alla metà del IX secolo. Verso la metà dell'XI secolo Bagan, sotto il re Anawrahta (r. 1044-1077), divenne un regno unico iniziando la sua età dell'oro. Nel periodo successivo alla sua vittoria sui Mon nel 1057, la cultura Mon e soprattutto la sua forma di Buddhismo Theravada esercitò un'influenza dominante. Il re divenne un convinto sostenitore delle idee e delle pratiche Theravada iniziando un programma di grandi costruzioni a sostegno della nuova religione. I trentamila prigionieri della guerra Mon includevano non solo la famiglia reale, ma anche studiosi, artigiani, capomastri e leader religiosi; tutti contribuirono a gettare le fondamenta di questa nuova, prosperosa, società. Tra i trofei pregiati portati a Bagan, in quel periodo, ci furono 32 copie del Tripitaka, le scritture Theravada. Dal regno di Anawrahta, fino alla conquista da parte delle forze di Kublai Khan nel 1287, la zona è stata il centro vibrante di una frenetica architettura religiosa. Kyanzittha (r. 1084-1113), secondo successore di Anawrahta, continuò senza interruzione il ritmo delle costruzioni. Nel corso del XII secolo Bagan divenne nota come la terra di quattro milioni di pagode. Anche se si tratta di un'evidente esagerazione, rispecchia sia la ricchezza che le implicazioni religiose del nuovo regno. Un sistema altamente sviluppato di canali di irrigazione sostenne una fiorente coltura del riso, tuttavia i grandi progetti di costruzione, alla fine potrebbero aver contribuito al collasso del regno. La regione è generalmente arida con precipitazioni limitate, tranne in determinati periodi. Palazzi, molti monasteri e abitazioni private vennero costruiti con legno molto deperibile, inoltre dal momento che praticamente tutti i templi e gli stupa erano fatti di mattoni di cotto, la quantità di vegetazione locale necessaria per mantenere il fuoco dei forni è stata enorme. Ma questa interpretazione non è condivisa da tutti gli studiosi, dal momento che solo pochi forni sono stati scoperti ed è chiaro che molti mattoni sono stati fatti altrove e portati a Bagan via fiume. L'ultimo sovrano, il re Narathihapati (r. 1255-1287), fu anche lui un costruttore, responsabile dell'ultimo grande progetto religioso, il Mingala-Zeidi. Quando le armate mongole entrarono nell'area, rifiutò di sottomettersi opponendo una strenua resistenza. Le cronache riferiscono che demolì oltre 6.000 templi e pagode per rafforzare le mura della città. Questa distruzione di una parte importante del suo patrimonio, tuttavia, risultò inutile. Gli eserciti invasori di Kublai Khan alla fine avevano completato la fine di Bagan, anche se forse le distruzione maggiori vennero dagli inutili tentativi difensivi, piuttosto che dalla furia delle armate mongole. La capitale non recuperò mai la sua importanza, anche se meravigliose prove della sua grandezza rimangono ancora oggi nella piana di Bagan. Una recente indagine ha indicato che ci sono ancora 2.217 monumenti identificabili più quasi lo stesso numero di cumuli di mattoni e di terra che non possono essere identificati. Praticamente tutte le strutture superstiti sono di mattoni, anche se alcune sono in pietra arenaria.

Prof. Robert D. Fiala (www.cultore.com )

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IL VOLO IN MONGOLFIERA

Helene ha scelto uno dei modi più suggestivi, magici, indimenticabili (e anche costosi) per ammirare la pianura che si estende tra le città di Nyaung, Old Bagan e New Bagan: il volo in Mongolfiera18. (Intervista e foto di Helene Weifner)

Foto 51 - Pochi istanti dopo il decollo

Come è iniziata la tua avventura? Sono venuti a prendermi in albergo con un van alle 4.45, c’era già una coppia di inglesi, era buio e molto freddo. Siamo passati da un altro albergo e abbiamo preso altre persone, eravamo otto in tutto, oltre agli inglesi anche due coppie di australiani e un olandese. Per arrivare a destinazione siamo passati di fronte a numerosi templi, già i venditori ambulanti erano sistemati di fronte alle pagode con i lumini accesi, il gioco delle ombre era suggestivo; le pagode mi sono sembrate molto più grandi e maestose di quello che mi sono apparse alla luce del giorno.

18 La mongolfiera è una enorme bolla d'aria calda che sfrutta un semplice principio della fisica, il principio di Archimede: "un corpo, parzialmente o interamente immerso in un fluido, riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del fluido da esso spostato". Per far sì che una mongolfiera possa galleggiare (e vincere la forza di gravità), dobbiamo ridurre la densità della massa d'aria all'interno dell'involucro. Per ridurre la densità scaldiamo l'aria, di conseguenza si riduce pure la massa per unità di volume che risulta così più leggera dell'aria fredda all'esterno dell'involucro (http://www.slowfly.it/what.htm).

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Puoi raccontarci i preliminari del volo? Il pulmino si è fermato in una zona, recintata da una grossa corda, di fronte a quella che ho immaginato fosse la mongolfiera dove sarei salita. Si è presentato immediatamente un uomo inglese che ha detto essere il nostro pilota. Ci ha raccontato le sue esperienze di volo, tra cui un raduno a Todi in Umbria, me lo ha specificato quando ha capito che ero l’unica italiana del suo gruppo. Ci hanno dato da bere del tè caldo, perché faceva molto freddo; ci hanno invitato a fare i nostri bisogni perché poi non ci sarebbe chiaramente stato più modo di farlo e infine ci hanno spiegato come si gonfia una mongolfiera.

continua il riscaldamento dell’aria per mezzo del bruciatore20 che funziona a gas.

Puoi spiegarci come funziona? Grandi ventilatori gettano l’aria, che in un primo momento è fredda, dentro il pallone; quando l’aria ha riempito per due terzi l’involucro19, viene accesa la torcia per riscaldarla; contemporaneamente il cesto che porterà passeggeri e pilota, che in un primo momento è Foto 50-51-52-53 Gonfiaggio del pallone disteso a terra, si alza e si sistema in verticale; quindi

19 L'involucro è costituito da pannelli di Nylon ( o Poliestere) cuciti insieme con nastri sia longitudinali sia paralleli alla base. Il tessuto 20 ha una struttura detta ripstop ovvero la trama è formato da piccoli ll bruciatore scalda l'aria all'interno dell'involucro trasformando il quadrati che impediscono ad un foro o strappo di allargarsi gas propano (GPL) in una bella fiamma. Il gas è contenuto sotto ulteriormente. Tutto questo per garantire la totale sicurezza del pressione nelle bombole allo stato liquido. Agendo sulle valvole del volo. Alla base del pallone, lo scoop (il triangolo di stoffa che funge bruciatore si apre e si chiude il flusso che, allo stato liquido, sale nei da para fiamma) e il primo giro di panelli sono in materiale tubi di collegamento, entra in una serpentina che ne permette il resistente al calore chiamato Nomex. riscaldamento trasformandolo da liquido a gassoso, raggiunge gli http://www.slowfly.it/what.htm ugelli e si infiamma a contatto di una piccola fiamma pilota (http://www.slowfly.it/what.htm). 53

Quando siete saliti sul cesto? Il cesto21 è diviso in quattro sezioni : due esterne per i passeggeri , e due interne, una per il pilota, l’altra per le bombole del gas e il bruciatore. Che emozione hai provato al decollo? Anche se ci siamo sollevati da terra con molta lentezza, avevo il cuore che batteva a gran velocità. Fortunatamente i venti erano propizi, siamo rimasti piuttosto in basso, mentre altre mongolfiere sono salite molto più in alto. In tutto eravamo 24 mongolfiere, 12 per ogni compagnia. Che emozioni hai provato al primo apparire del sole? L’attesa del sorgere del sole è stata carica di commozione, appena è apparso all’orizzonte, come un grande disco rosso velato dalla foschia mattutina, ne ho subito tutto l’eccitante fascino.

Che cosa hai provato a vedere le pagode dall’alto? Mi sembrava di essere un uccello che vola sopra i templi e le pagode. Hai la possibilità di ammirare la completezza della costruzione, compreso l’intero perimetro delle mura che servono da recinzione, noti le persone che microscopiche si arrampicano su alcune pagode per giungere alla sommità. La vastità della pianura di Bagan con centinaia di templi è tutta davanti ai tuoi occhi, un’immagine indimenticabile e di una suggestione incredibile. Hai il mondo sotto di te che ti abbraccia, senza ostacoli, non c’è una sola porzione del territorio che non riesci a vedere. Le pagode sono di tutte le dimensioni, dalle più immense alle più piccole, e questo è un ulteriore aspetto della bellezza di quest’area.

Foto 56 - Pagode e foschia

La foschia è un disturbo o un fascino in più? Fortunatamente non era troppo spessa, come un velo trasparente che ammantava tutte le costruzioni, per me è stato un ulteriore aspetto del fascino della zona. Forse le foto non risultano perfette, ma l’emozione che provi alla vista dell’orizzonte leggermente opacizzato è molto forte, anche perché credo che a quest’ora sia più naturale. I ballons nel paesaggio birmano non sono fuori luogo? – Dobbiamo accettare che è, comunque, un aspetto economicamente necessario per il turismo, anche se limitato solo a due società, non birmane, i piloti sono inglesi o australiani; ma ci sono tanti giovani che lavorano nell’organizzazione e sono tutti birmani.

21 La cesta è costituita da un intreccio di vimini. A tutt'oggi è l'unico materiale che si è dimostrato flessibile e durevole. L'intera struttura è rinforzato da tubi in alluminio che a loro volta sono connesse al telaio del bruciatore e all'involucro con cavi in acciaio (http://www.slowfly.it/what.htm).

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Foto 57 - Grandi pagode, piccole stupa

A parte le costruzioni religiose, che cosa ti è piaciuto di più? Lo sterminato terreno agricolo che c’è in tutta la pianura, tra una pagoda e l’altra, con i contadini al lavoro, specialmente donne, che si portano dietro i loro piccoli; molti animali di allevamento, tantissimi uccelli; fabbriche che producono i mattoni per restaurare le stupa; sono rimasta affascinata dalla perfetta geometria della suddivisione dei campi, dalla vastità delle coltivazioni di sesamo, tra laghetti e canali per l’irrigazione.

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Descrivici il tuo pilota. Si chiama David Head, è inglese, lavora a Bagan da novembre a fine febbraio (la stagione turistica) e poi il resto del tempo lo passa in giro per il mondo, soprattutto in Italia e in Australia; siamo stati in buone mani perché ha un background di migliaia di ore di volo.

Come è stato l’atterraggio? Il nostro perfetto, non ce ne siamo nemmeno accorti, ma ho visto altre mongolfiere che si sono quasi schiantate a terra, con le grida tra il divertito e lo spaventato dei passeggeri. L’atterraggio si fa in posizione seduta su una panca, sorreggendosi a delle apposite maniglie, al di sotto Foto 58 - Mr. David Head, pilota di mongolfiere della paratia della cesta, piegando la testa in avanti, quindi non riusciamo a vedere al di fuori. Siamo rimasti in questa posizione fino a quando il pilota ci ha ordinato di rialzarsi perché l’atterraggio era completato. Sono accorsi immediatamente diversi giovani che hanno trattenuto la mongolfiera a terra per farci scendere.

Mai un brivido di paura? Sono rimasta tranquilla perché sempre in massima sicurezza, anche perché il pilota mi ha dato fiducia e senso di sicurezza. Helene arriva in albergo alle 9.00 nel Con un’abile manovra, ha evitato che un’altra momento in cui sto andando a fare colazione. Si siede mongolfiera in fase di atterraggio, ci venisse addosso. I accanto a me per fare una seconda colazione e per ragazzi che tenevano la nostra mongolfiera hanno raccontarmi tutto quanto per filo e per segno, ancora mollato le corde e il pilota l’ha fatta salire presa dall’eccitazione e dalla felicità per rapidamente, così ha potuto evitare la collisione. l’indimenticabile esperienza.

E quando siete scesi a terra cosa avete fatto? Non siamo potuti scendere finché tutte le 24 mongolfiere non erano atterrate, siamo dovuti restare fermi all’interno della cesta per una buona mezzora.

Abbiamo dovuto attendere che l’aria fosse quasi tutta uscita dal pallone, perché deve poggiarsi sgonfia su un fianco, solo allora possiamo scendere con la massima sicurezza. Una volta tutti a terra, ci siamo ritrovati di fronte a un sontuoso buffet, fatto di flute di champagne, frutta fresca (banane, papaya, cocomero,) e un ottimo dolce alla banana. Infine ho ripreso il bussino che mi ha portato in albergo. L’organizzazione mi ha rilasciato un Ballon Flight Certificate che attesta che Helene Weifner “flew in hot air balloon over the ancient city of Bagan on 23-12-2015” con la firma del pilota David Head.

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7.2

VISITA AL MERCATO NYAUNG U DI BAGAN

Un grande mercato ma non sterminato come altri messicani o nordafricani che ho visitato. L’esterno è molto più sporco, caotico, maleodorante, sconnesso e polveroso dell’interno. Fuori ci sono poveri e venditori minimi con misere cose, mamme disperate con i loro piccoli sporchi e affamati. Una miriade di motorini, mucchi di laterizi, carrette, mattoni, fogne a cielo aperto, discariche, motocarri, animali, cani randagi, via vai incessante di persone di ogni età.

Foto da 59 a 75 – Nyaung U Market, Bagan

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L’interno è molto più pulito e ordinato, coperto da stuoie e la luce, ma soprattutto il caldo, filtrano con difficoltà. Il contrasto netto con l’esterno, che trasuda povertà e miseria, ti insinua nella pelle una certa tristezza, presto mitigata dall’ atmosfera di questo mercato, particolarmente suggestiva e attraente. Pulsazioni accelerate sia dei venditori che dei compratori. Noi visitatori Il 90% dei venditori è di sesso passiamo nell’indifferenza femminile, specializzate in generale e questo ci rassicura, qualunque tipo di mercanzia, dal possiamo fare tutte le foto che pesce ai polli, dalla frutta alla vogliamo, chiedere informazioni, verdura. I pochi uomini vendono toccare la merce, senza che le stesse cose. I banchi sono nessuno tenti di venderci molto bassi oppure la merce è alcunché. distesa per terra davanti alla venditrice che sta seduta su un piccolo sgabello oppure rannicchiata per terra. Una donna è distesa sulla sua verdura. Pesano la merce su moderne bilance elettroniche oppure su artigianali stadere con

58 due piatti in bilico su un’asta di Il contrasto tra il verde brillante bambù. Ogni tanto una tavolata, della foglia e il marrone chiaro un punto di ristoro, dove le del bambù del cesto mi cattura e donne mangiano zuppe o scatto molte foto. insalate di vermicelli di riso.

Vari vassoi con il tofu e le “bistecche di soia”. Cipolle, bianche e rosse, accatastate a centinaia su grandi vassoi di bambù, ogni venditrice ha di fronte a sé diversi vassoi, mi chiedo quanto lavoro ci sia stato

Sono attirato anche da grandi Il settore più vasto è quello della cesti dove sono sistemate grosse frutta e verdura, ci sono muraglie mele rosse, la cui particolarità è di banane, caschi enormi di essere protette da una garza a accatastati disordinatamente un maglie grosse per evitare il po’ dappertutto. Abbiamo visto, deterioramento. nei dintorni di Bagan e lungo l’Irrawaddy, sterminate piantagioni di banane. Qui sono presenti quelle più grosse verdi, non quelle piccoline gialle che troviamo in tutti i buffet degli alberghi. Gruppi da tre a cinque donne vendono il betel, da grandi Sono mele provenienti dalla Cina cesti di bambù, dove le foglie e le abbiamo trovate in sono sistemate, una per una, a moltissimi mercati in tutta la formare una spirale verde fino al Birmania. bordo del cesto. Ogni cesto ne può contenere qualche migliaio.

per la raccolta e il trasporto. Molte bancarelle hanno allineato centinaia di legnetti con i quali si produce la polvere per il thanahka.

Frutti esotici di diverse tipologie, 59 di cui non mi è facile sapere i nomi. Qualche banco ha polli e pesce, soprattutto secco, di provenienza fluviale o lacustre, mentre quello fresco di mare è più raro, forse per problemi di conservazione. Rara la carne di manzo e di maiale. Noto la differenza tra la povertà di questo mercato, destinato ai locali, e l’abbondanza di carne e di pesce, di calamari e di gamberetti presente nei menù di alberghi e ristoranti destinati ai turisti.

Questo è un mercato più che altro alimentare. Il “non food” è in parte rappresentato dai soliti prodotti per stranieri che troveremo in tutta la Birmania, in parte prodotti per i locali, molte ciabattine, stoffe, oggettistica per la casa di legno, di bambù e di plastica. Per visitare le pagode occorre togliersi scarpe e eventuali calzini, quindi per comodità compro un paio di infradito di plastica per 3.000 kiats (€ 2,11).

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Esisitono vari siti di agenzie fotografiche e tour operator, per mezzo delle quali si possono ammirare (e anche acquistare) foto molto belle della Birmania.

Tra questo cito la http://www.asiaphototravel.com/

e il fotografo Win Kyaw Zan, nato a Yangoon nel 1973 ;

la www.bobophotoart.net e il fotografo Bo Bo Zaw

che ha lavorato molto anche nello stato dello Shan.

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NELL’ANNO 293 DELLA NOSTRA ERA — raccontano le cronache birmane — era sovrano di Pagan il re Theinhko. Un giorno egli stava andando a passeggio nella foresta quando sentì fame e, passando accanto a un campo di cetrioli, ne prese uno senza pensarci e lo mangiò. Il contadino lo prese per un ladro e gli diede un tal colpo col manico della spada che lo uccise. Quando lo seppe, il palafreniere del re venne e chiese: “Oh, contadino, perché hai colpito il tuo padrone?”. L’altro rispose: “Non ho avuto ragione di colpirlo, poiché l’ho visto prendere e mangiare un mio cetriolo?”.Allora il palafreniere gli disse che era regola che chi avesse ucciso il re diventasse re a sua volta, ma il contadino rispose: “Ah, no, io non voglio essere re! Guarda i miei cetrioli: non crescono nel mio orto come bambini che succhiano il latte materno?”. Il palafreniere ricorse a parole più persuasive: “Contadino! Non solo tu avrai sempre i tuoi cetrioli, ma avrai anche le ricchezze di un re. Un re ha bei vestiti, buon cibo quanto ne vuole, oro, argento, e poi cavalli ed elefanti, buoi e bufali, capre, maiali e riso in abbondanza!”.

Così alla fine il contadino acconsentì e andò con lui. Il palafreniere lo portò con sé a palazzo senza che nessuno lo sapesse e raccontò il tutto alla regina, che lo elogiò per la sua saggezza. Temendo che ci potessero essere disordini nel paese, proibì a chiunque di entrare o uscire dal palazzo, sostenendo che il re era in pericolo. Intanto fece lavare il contadino, strofinandolo con polveri da bagno in modo da tirar via tutto lo sporco e le malattie. Quando poi una giovane concubina lo prese in giro, la regina si chiese: “Dobbiamo battere questa schiava?”; ma non appena lo ebbe detto, una statua di pietra che stava sopra la porta venne giù di colpo e, battendo con i gomiti addosso alla ragazza, la uccise. E tutti a palazzo lo videro ed ebbero paura, come se fosse dovuto toccare a loro.

Quando fu la vigilia del settimo giorno, la regina mandò in giro degli araldi in tutto il reame, che suonassero un grande gong e dicessero: “Domani il re partirà per un viaggio. Che tutti i ministri, maggiori e minori, si rechino a palazzo; che nessuno manchi!”.All’alba tutti i ministri e gli uomini di corte erano a palazzo. Furono radunati e quando si aprirono le porte della sala del trono tutti levarono le mani in segno di saluto e di obbedienza. Solo uno dei ministri alzò la voce con tono di disprezzo: “In verità questo non è il nostro sovrano. E la regina non ci ha consultati”. Subito la statua di pietra sulla porta venne giù di nuovo e lo colpì con i gomiti, uccidendolo. Tutti, a partire dai ministri, videro questo fatto ed ebbero paura, come se fosse dovuto toccare a loro.

Il palafreniere era abile negli affari di Stato. Aveva persuaso il contadino ad andare con lui, perché se fosse tornato da solo senza il re tutti avrebbero sostenuto che era stato lui ad ucciderlo. Così aveva preso il contadino come testimone e, siccome aveva un’acuta intelligenza, aveva pensato bene di mostrarlo prima alla regina senza che nessun altro lo sapesse. Fu così che il contadino divenne re, e fu il grande e potente re Sawrahan. Del suo campo di cetrioli fece un ampio giardino, ben curato; vi fece poi plasmare e collocare la grande statua di un naga2. Pensava che fosse giusto venerare un’immagine di naga, perché essi sono più nobili e più potenti degli uomini. Inoltre egli consultò gli eretici monaci Ari a proposito di cinque pagode che fece costruire e nelle quali collocò quelle che non erano né immagini di nat né immagini del Signore Buddha, e dedicava loro un culto, con offerte di riso, piatti di curry e bevande fermentate, mattina e sera.

Fonte: The Glass Palace Chronicle of the Kings of Burma (trad. ing. delle parti III, IV, V), University Press, Rangoon 1960, pp. 58-60. Per le notizie sui monaci Ari si veda MAUNG HTIN AUNG, Folk Elements in Burmese Buddhism, Oxford University Press, London 1962, il cap. 9. ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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7.3

LE ALTRE VISITE DEL PRIMO GIORNO DI BAGAN

Terminato il giro al mercato, puntiamo verso la Shwezigon Paya, il principale sito della zona di Nyaung U, costruita alla fine dell’ XI sec. e che si trova al centro di un muro di cinta di 230 m. su ogni lato, accessibile da quattro porte. Questa pagoda ha diversi primati storici : la struttura è servita come prototipo per molte altre costruzioni realizzate successivamente in tutta la zona; è stata uno dei primi luoghi simbolo del trionfo del Buddhismo Theravada sulle altre correnti; è stata la prima a ospitare le 37 immagini dei nat all’interno delle proprie mura, inserite dal costruttore, il re Anawrahta (1044-1077), nelle terrazze inferiori. Oggi i nat sono stati rimossi, tuttavia Maw ci informa che a Shwezigon si celebra un Festival frequentatissimo da pellegrini che onorano i nat. Terremoti e altri fenomeni naturali hanno lasciato il segno nel corso dei secoli, soprattutto quello devastante del 1975 ; gli interventi di restauro, locali, nazionali e internazionali, hanno aggiunto o modificato qualcosa alla struttura, il più eclatante di tutti è stato la completa doratura effettuata nel 1983-1984. Ha una base ottagonale, su cui si elevano tre terrazze quadrate accessibili dai quattro punti cardinali per gran parte originali, così come erano nell’ IX sec., ciascuna delle quali negli angoli presenta uno stupa più piccolo, che riprende la forma di quello centrale; ogni terrazza è decorata con piastrelle riproducenti le scene della Jataka, la vita del Buddha. La guglia centrale è sormontata dalla tradizionale hti a ombrello, simbolo di sovranità. Ogni santuario (Kyg-gu Taik) contiene un Buddha in bronzo dorato di circa 3,5 m. Sono le più grandi statue originali di Bagan, risalgono agli inizi del XII secolo e rappresentano i Buddha che hanno conseguito l'illuminazione : Gotama, Kassapa, Konagom e Kakusana.

I TEMPI IN CUI PAGAN ERA UNA SPLENDIDA CAPITALE, chiamata “la città dei quattro milioni di pagode”, in una di queste innumerevoli pagode c’erano un paio di grosse pinze, i magistrati reali erano soliti in tutti i giudizi portare le parti in causa di fronte a queste pinze, e ognuno doveva dare la propria versione dei fatti tenendo le mani in mezzo ad esse: non appena una persona diceva qualcosa di falso, le pinze subito si serravano sulle sue mani. In questo modo, dappertutto nel paese la gente non osava rompere contratti o commettere torti e i giudici da parte loro si trovavano ben poco impegnati, non essendoci quasi mai controversie da dirimere. Ora, l’amministratore di un monastero, che era un monaco laico, aveva ricevuto in affidamento da un mercante un viss d’oro (il viss è una tradizionale unità di misura di peso birmana, pari a 1.633 grammi). Il mercante, che doveva

assentarsi per un viaggio, aveva pensato che quella fosse la persona più indicata se voleva esser certo di trovare l’oro al suo ritorno. Invece il nostro monaco, proprio al contrario, passò tutto il tempo che il mercante fu via a lambiccarsi il cervello per trovare il modo di ingannare non solo il mercante ma anche le famose pinze. Alla fine, elaborò un piano geniale. Prese il suo bastone, lo scavò all’interno, fuse il viss d’oro e ce lo colò dentro, poi sigillò l’apertura con la cera. Quando il mercante tornò dal suo viaggio e chiese indietro il suo viss d’oro, il nostro monaco sostenne di averglielo già restituito. Allora il mercante fece causa al monaco e i due furono portati dal giudice davanti alle pinze. Il mercante, essendo il querelante, doveva dare per primo la sua versione. Tenendo le mani tra le pinze, disse: “Io affermo di aver dato in

affidamento al monaco laico un viss d’oro, e affermo anche che quell’oro non mi è stato restituito”. La folla che si era radunata per assistere al processo aveva gli occhi fissi sulle pinze, ma queste restarono immobili.

Fu la volta del monaco laico che si fece avanti appoggiandosi al suo bastone. Prima di affrontare la prova disse al mercante: “Amico, tienimi il bastone mentre metto le mani tra le pinze”, e il mercante, senza alcun sospetto, prese il

bastone. Poi il mercante diede la sua versione dei fatti: “Io affermo che sì, il mercante mi ha dato in affidamento un viss d’oro, ma quel viss d’oro io glielo ho restituito, e adesso lo ha lui”. La folla guardava le pinze in attesa; ma queste

non si mossero. Il giudice era perplesso, ma la folla gridava che le pinze erano inutili e ingiuste, perché era chiaro che una delle due parti aveva detto una bugia e le pinze non lo avevano denunciato. E tutti presero a farsi gioco delle pinze. Il giudice, però, pensò e ripensò finché arrivò a indovinare il trucco escogitato dal monaco. Le indagini dimostrarono che quella supposizione era corretta, così il monaco fu punito e il mercante ebbe indietro il suo oro. Ma le pinze sembravano come disgustate degli esseri umani e da allora in poi non ne vollero più sapere di collaborare con la giustizia: non si chiusero mai più sulle mani di nessun testimone, anche se aveva detto la più enorme delle bugie.

Fonte: MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 157-159 ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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Foto 76 – Shwezigon Paya, Bagan

Le pagode prima di questa venivano costruite utilizzando o la forma di emisfero o quella di cilindro. In questa, invece, ci sono 3 terrazze degradanti, una quadrata, una ottagonale, una circolare, sormontata dalla struttura decorata a campana, poi il germoglio di banana sopra l’ombrello e in cima un globo d’oro con incastonato un diamante. Da un punto di vista religioso, questo complesso è di fondamentale importanza per il suo legame con i 37 nat22, raccolti in un padiglione sul lato sud-orientale del complesso.

In corrispondenza dei quattro punti cardinali si trovano dei santuari che proteggono 4 Buddha alti 4 metri, realizzati nel 1102 , le più grandi statue bronzee di Bagan. Esiste, in un punto prima della scalinata orientale, una cavità di 10 cm. nella pietra dove l’acqua con cui veniva riempita serviva da “specchio” per i sovrani birmani, che potevano così ammirare la sommità della stupa, senza inclinare la testa e far cadere la corona. Helene giura di aver visto il riflesso perfettamente, io ho tentato di fotografarlo ma la luce non mi è stata amica.

22 Uno degli aspetti più suggestivi della cultura birmana è il culto dei nat (spiriti). Sebbene molti eminenti buddhisti cerchino di ridimensionare la loro importanza, i nat costituiscono tuttora un aspetto importante della vita quotidiana dei birmani LP, 373). 64

IL CULTO DEI NAT è un residuo dell’epoca prebuddista. Il nat è uno spirito che può esercitare un potere su un luogo (naturale o costruito dall’uomo), una persona o un settore dell’esperienza umana.

Un tempo era consuetudine costruire grandi templi separati e dedicati a una classe superiore di nat, quelli derivati da figure storiche realmente esistite (per esempio sovrani thailandesi o birmani) che avevano incontrato una morte violenta o ingiusta. Questi nat sovrumani, se venerati adeguatamente, potevano assicurare il proprio appoggio nell’esecuzione di compiti importanti, imprese belliche e così via.

All’inizio dell’XI sec., a Bagan, re Anawratha proibì l’usanza dei sacrifici animali (che facevano parte del culto dei nat del Monte Popa) e ordinò che venissero distrutti tutti i templi dedicati ai nat. Resosi conto che in questo modo avrebbe allontanato i sudditi dal buddhismo theravada, Anawratha tornò saggiamente sui suoi passi e annullò il divieto del culto dei nat. A quel tempo sui veneravano 36 nat (anche se di fatto ce ne sono molti di più)

e Anawratha ne aggiunse un trentasettesimo, , una divinità hindù basata sulla figura di , che egli incoronò come “re dei nat”. Dato che secondo la mitologia tradizionale buddhista, Indra rese omaggio al Buddha a nome di tutti gli dei hindu, questo inserimento avrebbe posto tutti i nat in posizione subordinata al buddhismo. Il piano del re ebbe successo: oggi la cosmologia più seguita pone Buddha e i suoi insegnamenti al primo posto.

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Foto 77-78-79 - Tra i padiglioni della Shwezigon Paya

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Foto 80 - Htliminlo

La successiva visita della giornata è dedicata al Tempio Htilominlo che significa “desiderio del re” o “desiderio dell’ombrello”, costruito dal re Nandaungmya (1211-1230), all'inizio del suo regno, per commemorare il fatto di essere scelto, tra cinque figli del re, proprio in questo luogo, come principe ereditario. Secondo la leggenda, divenne il successore ufficiale di suo padre perché l'ombrello bianco del re si era improvvisamente inclinato verso di lui, in segno di preferenza. È un imponente tempio a tre piani in mattoni rossi (con qualche pietra) costruito su una bassa piattaforma quadrata di 140 m. per lato, originariamente rivestito in stucco bianco scolpito, con placche in terracotta sui costoni delle terrazze. . Alcune di queste squisite applicazioni, finemente lavorate, sono ancora visibili, e ci chiediamo che magnificenza doveva essere originariamente. Su ogni lato, terrazze quadrate degradanti con stupa e Statue del Buddha presidiano i quattro punti cardinali. L'imponente guglia centrale si eleva fino a 46 metri con l’amalaka, (il bulbo a forma di loto) posto alla base inferiore del sikhara (pinnacolo centrale a forma di pannocchia presente in molti templi della zona di Bagan).

Dal direttore del Dipartimento di Archeologia di Bagan (LP 176), a qualunque guida turistica, si sostiene che il tour di Bagan non è completo se manca la visita al tempio di Ananda, ritenuto non solo un capolavoro dell’architettura, ma anche una ricchissima raccolta di straordinari dettagli decorativi di ogni genere. Rappresenta l’abbandono del canone antico di realizzare i tempi a un solo piano e una sola entrata. Costruito tra il 1090 e il 1105

67 da re Kyanzittha, fu seriamente danneggiato nel terremoto del 1975, ma è stato perfettamente restaurato. Circondato da un imponente muro di cinta, con quattro ingressi ad arco, custoditi da divinità guardiane. Dato che è anche un monastero, all’interno si trovano numerosi edifici e padiglioni. A forma di croce greca con 4 entrate, ognuna sormontata da una stupa. Il suo hti sulla stupa centrale è alto 53 m. e si vede luccicare da qualunque punto della pianura di Bagan, un vero spettacolo! In occasione del 900° anniversario dell’inizio della sua costruzione (1990) tutte le guglie furono rivestite da lamelle d’oro, mentre la base e le terrazze sono decorate con 554 formelle invetriate che raffigurano le scene della Jataka; le grandi porte hanno sculture e decorazioni in teak di eccezionale fattura; di grande impatto visivo anche le 10.000 nicchie che sono scavate all’interno, ognuna con cornici di stucco finemente e riccamente decorato, al punto che resteresti fino all’intorpidimento con la testa rivolta verso l’alto per ammirarle; completano la dotazione religiosa quattro grandi statue di Buddha in teak dorato massiccio, in posizione eretta alte quasi 10 metri. Soltanto due sono originali, le altre due sono copie perché un incendio le ha distrutte intorno al 1600. Il volto del Buddha cambia espressione a seconda se sei troppo vicino (sembra arrabbiato) oppure se sei più distante (sorride) e le interpretazioni di tale cambiamento variano da guida a guida, ma non ricordo purtroppo cosa ci ha raccontato Maw, ma la cosa è vera perché è perfettamente testimoniata dalle mie foto.

Il baniano, o ficus religiosa, è venerato come l’albero simbolo dell’illuminazione del Buddha.

Foto 81 - Ananda Patho 68

Poi andiamo al Shwegugyi Patho , che significa “Grande Grotta Dorata”, fatto costruire dal re (1113-1167) in solo sette mesi, come testimoniato da un’iscrizione in lingua pali, su una lastra di pietra all’interno. I testi omettono però il fatto che il figlio di Alaungsithu portò qui il padre malato nel 1163 per soffocarlo. È un grande tempio a un solo piano, con tre terrazze quadrate degradanti con stupa e guglie in ogni angolo e nel blocco centrale. L’architettura del tempio riflette un cambiamento dello stile avvenuto in quel periodo, con la tendenza a forme più leggere, ariose, maggiori decorazioni e soprattutto la ricerca della verticalità. Maw ci fa notare che è avvenuto lo stesso cambiamento che da noi c’è stato con il passaggio dallo stile romanico a quello gotico. All’interno ci sono pregevoli rilievi in stucco sulle pareti e fini intagli sulle porte , oltre a un pregevole Buddha in legno di teak. Foto 82 - Shwe Gu Gyu

La visita successiva è alla Thatbyinnyu Paya , che significa “onniscienza” è il più alto tempio di Bagan (m.62), anche questo costruito dal re Alaungsithu nel 1144; il rilucente sikhara è alto 82 metri. Non ci è permesso, cosa frequente forse per motivi di sicurezza, salire oltre la seconda terrazza, ma anche da questa altezza possiamo godere dell’indimenticabile panorama della pianura di Bagan, che non ci stanchiamo mai di ammirare e fotografare.

Ci dirigiamo adesso verso la riva dell’Ayeyarwady per ammirare la spettacolare Buphaya, uno stupa a forma di zucca (bu), che le guide dicono essere il più antico di tutta Bagan. In realtà, la tradizione sostiene che sia stato costruito durante il regno del re Pyusawhti, nel III secolo d.C. e la maggior parte dei ricercatori lo collocano intorno all'850 circa, nello stesso periodo a cui risalgono le mura della città vecchia; altri lo collocano nell'XI secolo, anche se quello che c’è oggi è una ricostruzione, perché fu distrutto dal terremoto del 1975, con alcune strutture in cemento armato, che differiscono non poco da quelle originarie. Anche la completa doratura è opera recente. Dalle terrazze sopra queste strutture si gode di una piacevole vista sul fiume, costellato da centinaia di barche coloratissime, ombrelloni e tende per i vari mercatini e bar sulla bianca riva sabbiosa.

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Foto 83 - Buphaya

Nei templi e nei santuari le statue del Buddha hanno le mani in diverse posizioni, che hanno significati diversi:

Abhaya : le mani sono distese in avanti, con i palmi verso l’esterno, per simboleggiare l’offerta di

protezione e di liberazione dalla paura. Bhumispara : la mano destra tocca il suolo e simboleggia un particolare momento della vita del Buddha quando egli sedette in meditazione sotto un baniano e fece voto di non alzarsi prima di aver raggiunto l’illuminazione. Dana : una o entrambi le mani sono distese in avanti con i palmi rivolti verso l’alto per simboleggiare l’offerta del Dhamma (insegnamento buddhista) al mondo. Vitarka o Dhammachakka : il pollice e l’indice si uniscono a formare un cerchio: questo gesto evoca la

prima esposizione pubblica della dottrina del Buddha.

(LP,371)

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Riprendiamo l’auto e visitiamo un grosso laboratorio che produce oggetti in legno laccato, alcuni con applicazioni di foglia d’oro. Ciotole di ogni forma e dimensione, vasi di tutti i tipi, braccialetti, piatti, scodelle. Vediamo molte operaie al lavoro, levigano, immergono le ciotole nei coloranti, decorano. Lo showroom è molto ampio, con montagne di oggetti, tutti molto ben sistemati, facciamo diversi acquisti perché i prezzi (rigorosamente in dollari) non sono a nostro avviso esagerati e sono questi tra i souvenir più belli e caratteristici da riportare a casa, visto che la lavorazione della lacca è una peculiarità delle botteghe artigiane di Bagan. Maw ci illustra il procedimento di lavorazione: su un’intelaiatura di bambù si applicano vari strati di resina che viene fatta solidificare in cantina (al sole si scioglierebbe). Possiamo scendere nel sottosuolo e osservare gli scaffali con migliaia di oggetti all’essiccatura. Le decorazioni vengono fatte con un punteruolo dotato di una punta finissima, devono essere realizzate con estrema abilità perché gli errori non si possono correggere, infatti gli artigiani sono tutti concentrati, in silenzio chini sui loro oggetti. Con orgoglio una commessa ci informa che i manufatti più belli (scatole, piatti, ciotole, portagioie) sono fatti con molti strati di lacca sovrapposti. Maw ci avverte di fare attenzione nell’acquisto di oggetti di lacca venduti per pochi dollari nelle bancarelle di strada o intorno alle pagode: possono essere fatte con una base di cartone o di plastica, invece che di lacca.

Le prime LACCHE rinvenute in Myanmar risalgono all’ XI sec. e tradiscono l’influenza cinese. Le tecniche impiegate oggi sono note con il nome di yun, antico termine bamar che indica la popolazione di Chiang Mya, da dove nel XVI sec. il re Bayinnaung importò tali tecniche (insieme a qualche artigiano fatto prigioniero). Lo stile più antico, che prevede l’applicazione di oro e argento su uno sfondo nero, risale forse all’epoca Pyay (dal V al IX sec.)

L’artigiano per prima cosa intreccia un’intelaiatura in bambù (negli oggetti di migliore qualità il telaio è tenuto insieme da crini di cavallo o di asino); i pezzi più piccoli sono fatti interamente di bambù. Viene poi stesa e lasciata asciugare la lacca. Dopo qualche giorno il prodotto può essere sabbiato usando la cenere derivata dalla pula del riso, e quindi rivestito con un altro strato di lacca (un articolo di ottima qualità può avere fino a 15 stati di lacca). La lacca viene infine cesellata, dipinta e lucidata per eliminare la vernice, che resta solo nelle incisioni. Gli oggetti multicolore si ottengono ripetendo più volte il procedimento di cesellatura, pittura e lucidatura. L’intero processo di produzione richiede da cinque a sei mesi e il risultato è un’opera di grande pregio che può avere fino a cinque colori (LP, 379).

Sistemati gli oggetti acquistati nel baule dell’auto, ci dirigiamo verso la Manuha Paya, costruita nel 1059 anche se ha un aspetto che sembra moderno. La caratteristica che ne fa struttura quasi unica è la presenza di tre Buddha seduti sulla parte anteriore e un enorme Buddha disteso nella parte posteriore, collocati in nicchie troppo piccole per le loro dimensioni. Infatti facciamo fatica addirittura ad avvicinarsi; la logica di questa sistemazione è il simboleggiare la sofferenza patita per una prigionia da parte del sovrano Manuha, costruttore della pagoda. Ulteriore conferma a questa ipotesi è data dal fatto che il Buddha disteso, quindi in prossimità della morte, ha il sorriso sul volto, come se per Manuha la morte fosse l’unica liberazione dalla sofferenza della sua prigionia.

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Foto 84 - Calesse a Bagan

Un salto nell’altro tempio buddhista nelle vicinanze, Nam Paya, che si pensa fosse il luogo dove è stato tenuto prigioniero il re Manuha. La leggenda La successiva visita è al tempio di Gubyaukgyi dice che questo era un tempio indù e i conquistatori lo (che significa Grande Tempio a Grotta Dipinto), adottarono come prigione. La caratteristica che ne fa rinomato sia per una serie di affreschi dai colori vivaci sito unico e imperdibile di tutta Bagan, è la presenza e ben conservati all’interno, probabilmente dello nell’interno di splendidi blocchi di pietra arenaria, stesso periodo (1113) della costruzione del tempio; sia mirabilmente scolpiti. Anche le finestre in pietra per una serie di stucchi che decorano l’esterno. 25 traforata sono uniche per la finezza delle incisioni e Progettato in stile indiano, con finestre in stile pyu donano all’interno una luce particolarmente che lasciano penetrare poca luce. Maw infatti è suggestiva e misteriosa. Si pensa che questo sia il costretta a accendere la pila del suo cellulare per primo tempio in stile gu23 di Bagan. Nella parte centrale ci sono quattro pilastri, sempre in pietra arenaria, con scolpito il Dio a tre facce, dio le convinse con l’inganno a divorare i propri corpi, poi le nutrì con i fiori per impedire loro di mangiare i fedeli. mentre sui lati sono raffigurate teste di mostri con le 25 24 Pyu si riferisce ad una serie di città-stato antiche (ma anche della bocche aperte piene di fiori (kala-ate). loro lingua) nelle regioni centrali e settentrionali, approssimativamente tra il 100 a.C. e l'840 d.C. La storia dei Pyu ci è nota grazie a due principali fonti: i resti della loro civiltà in forma di rovine e soprattutto le iscrizioni (alcune in Pali, ma principalmente in 23 linguaggio Pyu, variante del Gupta) e da piccoli rapporti di alcuni Gu = tempio in una grotta. viaggiatori e commercianti cinesi, conservati nella storia imperiale 24 La leggenda narra che Shiva impiegasse tali creature per della Cina. La popolazione Pyu è ritenuta appartenente ad un proteggere i templi, ma poiché queste si rivelarono troppo feroci, il gruppo etnico diverso da quello dei Bamar. 72 illustrarci e farci ammirare gli splendidi affreschi sul soffitto.

Foto 85 - Shwezigon Paya, feticcio raccoglitore di offerte

Foto 88 - Mercatini di fronte a Htliminlo

Foto 89 - Venditrice, Bupaya

Foto 86 - Htliminlo, venditrici di legna

Foto 89 – Venditrice , Buphaya

Foto 87 - Htliminlo

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Foto 90 - Shwezigon Paya, particolare di un intarsio in legno

Dopo andiamo al piccolo davvero pericolosa e quindi perché siamo nel tardo tempio di Minglazeou, tutto in sbarrata da una cancellata. pomeriggio, il sole comincia a mattoni, a terrazze, con scale essere radente e dà un colore ripidissime al punto che la nostra caldo a tutta la vegetazione e al guida è rimasta a terra e ha rosso dei mattoni dei templi della lasciato salire me e Helene. piana che si stende davanti a noi.

Foto 91 - Donna con cesto Dato che sta per arrivare il tramonto corriamo a vederlo

Il senso di avventura è accresciuto dal fatto che su

questo tempio non si hanno notizie storiche, infatti non ho Foto 92 – 93 – Il Buddha di Ananda trovato niente né sulle guide né Patho nelle sue diverse espressioni

su internet. La vista ha ripagato

Non siamo potuti lo sforzo dell’arrampicata, arrivare sulla sommità perché soprattutto

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Helene, nonostante l’affollamento, è arrivata proprio sulla sommità della pagoda, sistemandosi sull’ultima terrazza, litigando con un cinese per il posto a sedere migliore.

Foto 97 - Gubyauk Gyi

Foto 96 - Gubyauk Gyi, altare dei giorni della settimana Foto 94 - 95 - Manuha Paya, suddivisione del riso in sacchi per le offerte Mi fermo qualche metro sotto di lei, mi siedo sulle pietre che formano il costone a protezione dal punto migliore di tutta Bagan, della terrazza. Ho le gambe la Shwe San Daw dove centinaia penzoloni nel vuoto, per di turisti si arrampicano fino alla sicurezza non faccio molti cima. Inizia la salita per i movimenti, ma sono a mio agio, numerosi ripidissimi scalini. mi concentro sul tramonto. Foto 98 - Shwesan Daw Paya Ammiro Helene: va su come un Helene è estasiata, lo vedo dal gatto, desidera arrivare sulla suo sorriso beato. Una volta sommità, so che vuole godersi lo discesi, commentiamo le nostre spettacolo dal punto migliore, sensazioni e siamo concordi: quello più in alto. È in movimento siamo riusciti a isolarsi dal da questa mattina alle 4.45 ma mondo, nonostante le centinaia mi distanzia, salgo più di turisti, ci è sembrato di essere lentamente per riprendere fiato soli con noi stessi, di fronte allo ogni tanto. Mi giro per vedere splendore della natura e alla dall’alto la fiumana di persone magnificenza delle opere che sta salendo, come me, l’erta dell’uomo. Abbiamo provato una scalinata. Il sole è ancora alto sensazione di pace, di quindi ci sarà un po’ da tranquillità, di appagamento che aspettare, meglio così ci raramente abbiamo percepito Foto 99 Minglazeou riposeremo, baciati dai raggi durante la nostra vita e che ci solari, mentre lo sguardo si perde porteremo sempre con noi, come nella vastità della piana di Bagan. uno dei più grandi doni della Birmania.

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Per i buddisti non esiste un momento prestabilito per recarsi alla pagoda, tutti i giorni sono indicati, tutti i

momenti vanno bene. I pellegrini vengono per adempiere un dovere spirituale e compiere il percorso rituale, la deambulazione circolare intorno allo stupa, si viene per chiedere aiuto in un momento difficile, per ringraziare

di una grazia ricevuta, per sentire quella scintilla interiore che l'atmosfera di silenzio e pace del luogo trasmette. Sugli altari del Buddha, in segno di gratitudine per il suo insegnamento si offrono dei fiori, profumatissimi rami intrecciati di gelsomino; i fiori, simbolo della vita per eccellenza, fioriscono ed appassiscono a testimoniare che nulla è permanente, chiave per accettare ed affrontare le difficoltà con calma e serenità.Si asperge di acqua fresca la postazione dedicata al giorno della settimana corrispondente a quello in

cui si è nati (ci ritornerò, ma i calcoli astrologici, retaggio induista, sono importantissimi nella vita del birmano). Acqua, sinonimo di purezza, le parole "freschezza" e "pace" hanno lo stesso termine in comune, l'acqua fresca spegne simbolicamente il fuoco della sofferenza. Nella pagoda si può passare giusto il tempo di un momento di raccoglimento, ma anche giornate intere e si prega, si mangia, si medita, si dorme. Fedeli allineati come un corpo di ballo avanzano con le loro scope in mano e tengono il suolo pulito.Ogni spazio se

associato al Buddha diventa sacro. Anche il cosmo è sacro. La cupola centrale di uno stupa sta a simboleggiare il monte Meru, la montagna cosmica buddhista che segna il centro dell'universo. Compiere il giro rituale intorno a uno stupa non è solo rievocare la vita del Buddha, ma anche orientarsi saldamente al centro del cosmo.

http://www.saranathan.it/2011/03/stupa-pagode-e-monasteri-2.html

Foto 100 - Gubyauk Gyi 76

Foto 101 – 102 - Panorama da Minglazeou

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Foto 103 - Shwesan Daw Paya - Salita per la conquista della vetta per ammirare il tramonto

Fede e superstizione si danno la mano in Myanmar. Circa il 90% dei birmani è buddhista, ma molti seguono anche culti animisti, come quello dei nat, spiriti associati alla natura. La gente è fiera della propria religione e ama discuterne con gli altri, per cui conoscerne almeno i fondamenti aiuta a capire meglio la mentalità di questo popolo. La costituzione garantisce la libertà di culto, ma al Buddhismo è riservato uno status particolare. Nel paese sono presente altre religioni, fra le quali l’Islam e il cristianesimo contano il

maggior numero di fedeli.

I mon furono il primo gruppo etnico del Myanmar a praticare il buddhismo theravada (che significa “dottrina degli anziani”), la più antica e conservatrice forma di buddhismo. Nel corso del III sec. a.C. Asoka, il grande imperatore indiano, invitò dei missionari in questa terra (allora conosciuta come “Terra d’oro”) e una successiva ondata di missionari, questa volta singalesi, sia ritiene sia giunta tra il VI e il X sec. Nel IX sec. i pyu del Myanmar settentrionale stavano già fondando il buddhismo theravada con elementi del buddhismo

mahayana (“grande veicolo”) e tantrico, che avevano portato con sé dalla propria terra di origine, l’altopiano del Tibet. All’inizio del’era di Bagan (XI sec.) il sovrano bamar Anawratha decise che il buddhismo praticato nel suo regno avrebbe dovuto essere ‘purificato’ da tutti gli elementi estranei alla tradizione theravada. Il buddismo birmano non si liberò mai completamente delle caratteristiche tantriche, hindu e animiste, ma rimase prevalentemente theravada (LP, 370)

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NERE CIOTOLE DI BIANCO RISO

(Secondo giorno a Bagan, 24-12-2015)

Foto 104, 105, 106, 107 - Monaci alla raccolta delle offerte a Bagan

A Mandalay non eravamo riusciti a vedere la processione dei monaci mentre ricevono le offerte per il loro pranzo e, dato che io avevo fatto le bizze, come un bambino viziato, lamentandomi con Helene perché avrei voluto vedere la cerimonia ad ogni costo, questa mattina la nostra guida e il nostro autista hanno fatto una levataccia e gli straordinari. Intorno alle 5.30 vengono a prenderci in albergo per andare all’incrocio di una strada, nel comprensorio di Bagan, dove sarebbero dovuti passare i monaci, con le loro grosse ciotole, per ricevere le offerte. Gironzoliamo a lungo tra queste strade tutte uguali e prive di segnaletica o punti di riferimento, passando più volte dallo stesso punto,

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perché anche i nostri due birmani non riescono a raccapezzarsi. Finalmente, dopo aver chiesto informazioni ai rari autoctoni in giro a quest’ora, ci fermiamo nella strada dove avrebbero dovuto passare i monaci. La conferma che il posto è giusto ci viene dalla presenza di alcune donne birmane con il riso cucinato pronto per essere dato in offerta dentro le pentole. Conosciamo una simpatica signora di Singapore, accompagnata da un’amica birmana, che si fa ripetutamente fotografare insieme a noi. Helene, e l’ormai grande amica di Singapore, si fanno accompagnare da Maw in una botteguccia vicina, per acquistare frittelline di mais, di cipolla, di fagioli e di fagiolini, cotte in grosse pentole posate su fornelli messi per terra, sulla strada davanti alla bottega. Devo dire che hanno fatto la scelta giusta visto che i nostri compagni di processione birmani hanno solo riso. Tutte le donne (a eccezione di un vecchio) sono in fila una accanto all’altra, rigorosamente scalze per rispetto, in attesa dei monaci. L’attesa è lunga, ma abbiamo modo nel frattempo di calarsi nella vita quotidiana dei birmani. Il vecchio gioca insieme a due bambini, semplicemente con delle bacchette di bambù; spesso passano donne, alcune accompagnate da bambine, con grosse ceste sulla testa piene di ogni tipo di verdure, fresche o secche; alcune camminano portando sulla testa, in perfetto equilibrio, quelle grosse sporte di bambù colorato intrecciato, che praticamente hanno quasi tutte le donne birmane;

una donna si esibisce nel raccogliere un cencio che le è caduto, piegandosi fino a terra senza togliere la cesta dalla testa; le nostre compagne di processione sono tutte rigorosamente in longyi, coperte con grosse maglie di lana e alcune anche con pesanti berrette di lana, l’aria è frizzante, ma non gelida. Questa situazione ci piace molto, Helene sprizza gioia da ogni poro perché si è potuta integrare perfettamente nella vita quotidiana birmana. Finalmente arriva la processione dei monaci, li vediamo sbucare dal fondo della strada, annunciati dai ripetuti colpi del gong di ottone, tenuto in mano dal capofila, il monaco forse più anziano, o forse il capo del monastero da dove provengono; seguono via via tutti gli altri in ordine decrescente di Foto 108 - Preparazione delle polpette per età, fino a chiudere la fila con una decina di bambini. Tutti passano l'offerta ai monaci in silenzio davanti alle persone, con gli abiti tradizionali bruno- rossastri e le teste perfettamente rasate, si fermano un attimo porgendo la ciotola e ricevono una cucchiaiata di riso o le frittelline da Helene, proseguendo la loro camminata senza proferire parola. Il silenzio è quasi irreale, siamo sulla strada ma non passano macchine, nessuno parla, quasi mi dispiace rompere questo profondo silenzio con il rumore dello scatto della mia macchina fotografica in incessante lavoro. Dopo la cerimonia dell’offerta, i monaci scompaiono nel dedalo delle viuzze della zona, noi salutiamo con una serie di inchini e di sorrisi, sia la signora di Singapore che tutte le 80 altre donne birmane e saliamo in auto per tornare in albergo, per fare colazione visto che non l’abbiamo ancora fatta. Mentre passiamo con l’auto scorgiamo su una piazzetta un furgone fermo con i monaci dentro e sopra il tetto. L’occasione è troppo ghiotta per non fermarsi e scattare qualche altra foto. Sul tetto del furgone hanno preso posto i bambini e i ragazzi che hanno del tutto perso la loro silenziosa compostezza, adesso ridono, scherzano, fanno la gioiosa confusione che fanno tutti i bambini del mondo, quando sono felici. Gli altri monaci sono seduti comodamente all’interno del furgone, credo se ne tornino al loro monastero. Beh, questi sono monaci fortunati, si fanno accompagnare dal taxi del monastero, ricevono abbondanti libagioni, tutto sommato qualche bel privilegio ce l’hanno, sicuramente molti di più di quelli che hanno quelle famiglie che, insieme a noi, poco prima hanno dato loro riso e polpettine fritte.

Un birmano destina il 10% del proprio reddito alle offerte, in alcuni stati come lo Shan, può arrivare addirittura al 50%. Una semplice considerazione: se noi ricchi occidentali si facesse altrettanto, forse scomparirebbe la povertà e la fame dal mondo. Lo stipendio medio di un birmano è di 85 dollari al mese, anche se si tratta di un dato irreale e solo statistico, dato che l’80% della popolazione vive ancora di agricoltura e non utilizza il denaro quotidianamente.

Foto 109 - Vecchio con carro e cheroot birmano

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Foto 110, 111,112 - Villaggio Min Nan Thu

Torniamo in albergo per fare la prima colazione. Si riparte per visitare il villaggio di Min Nan Thu. Veniamo accolti dal boss della comunità, una giovane birmana, con il suo bel longyi fiorito e largo maglione giallo. Un leggero thanahka sul volto, le mani prive della ruvidezza delle contadine. Eppure questo è un villaggio di contadini, le case sono tutte in bambù, con le pareti intrecciate con disegni geometrici molto belli e il tetto in paglia o lamiera. Da queste parti si coltiva il sesamo che adesso è accatastato in gran quantità in tutto il villaggio; si raccolgono le arachidi (troviamo due enormi ceste, quasi dei silos, piene fino all’orlo) per la produzione dell’olio. La signora ci fa visitare alcune case, molto decorose, con l’arredamento in bambù o in legno, pavimenti in linoleum o moquette, stuoie e tappeti dappertutto, alle pareti decine di foto dei cari, alcuni emigrati chissà dove, altri estinti. Quasi tutte le case hanno dei piccoli giardini con piante e fiori rigogliosi, oppure microscopiche coltivazioni di cotone. Dentro le case ci sono le donne che cucinano, hanno le pentole per terra su fornelli a legna, come ho visto da moltissime parti. Rare le cucine moderne. I contenitori dell’acqua sono, come in tutta la Birmania, quelli in terracotta che troviamo anche nelle pagode. Tutte le abitazioni hanno il loro altarino, con immagini sacre o statue del Buddha; gli armadi sono tutti a vista, praticamente grucce con gli abiti attaccati a un bastone, in quella che dovrebbe essere la camera da letto, una stanza esattamente come tutte le altre, una specie di pedana raccoglie le stuoie per dormire e una miriade di oggetti intorno (le cassettiere sono inesistenti in questo tipo di abitazione). Mi sembra che non sia molto affollato, questo villaggio, forse sono tutti a lavorare in città, gli uomini sicuramente perché non ne vedo nessuno. C’è un vecchio accoccolato con un termos e due tazzine di caffè poste in terra tra i suoi piedi che fuma una sigaretta e ci guarda senza sorridere, ma senza protestare quando gli faccio la foto; poi trovo una vecchia che fuma uno di quei cannoni fatti solo con foglie della pannocchia del granturco, tenendola appoggiata su una ciotola che mantiene sotto la bocca, credo per raccogliere la cenere. I buoi nella loro stalla fatta solamente da una mangiatoia e una tettoia che la ripara dalla pioggia; la signora boss del villaggio continua a farci vedere vecchi attrezzi di legno per tagliare le canne di bambù, telai per filare, la fornace per fondere e lavorare i metalli, con un enorme soffietto per alimentare il fuoco; in un piccolo laboratorio alcune donne lavorano ai telai per produrre stoffe, con le quali fanno tovaglie e coperte; onestamente ci fanno vedere quali sono gli oggetti prodotti all’interno del villaggio (pochi) e quali vengono dai mercati delle città (molti). La falegnameria dove si costruiscono le ruote dei carri, lavoro, ci dice la boss, costoso e molto impegnativo. Finalmente scorgo un bimbo piccolo, avrà tre anni, tutto ricoperto di thanahka, che scappa da sua madre che per gioco lo rincorre. C’è anche il nonno vicino che sorride. In un altro emporio, molto più grande e moderno del precedente, tantissimi oggetti, non certo prodotti qui. Questo villaggio è meta di turisti che vengono accompagnati dai tour e quindi le vendite dello shop center servono da sostentamento per tutto il villaggio. Alcuni ragazzi stanno realizzando dell’oreficeria, ma sicuramente le centinaia di collanine, 82 orecchini, anellini d’argento in vendita provengono da altrove; c’è anche il busto in bronzo dorato di un generale della giunta birmana, se non fosse stato troppo pesante era un souvenir originale da riportare a casa. Un saluto finale alla signora del villaggio, con caloroso abbraccio e foto ricordo tutti insieme con gli oggetti che abbiamo acquistato.

Comincia a fare caldo. La prossima visita è il piccolo tempio Tayoke Pyay tutto in mattoni, un vero gioiellino di decorazioni esterne e interne. Alcune statuette, incastonate nelle nicchie, sono rifatte, ma l’aspetto generale della struttura è molto suggestivo. Due scale inserite tra spesse mura portano al piano superiore, dove le terrazze sono decorate con formelle invetriate. Stucchi ornamentali molto belli e ricchi sia sulle pareti, sia sugli archi dei portoni. Costruito nel 1287, durante il regno di Marathi Pati che subì l’invasione mongola. Temendo per la propria vita, il re fuggì lungo il fiume Ayeyarwady con la sua corte, il nome del tempio significa infatti “Colui che è fuggito dal cinese”.

Il tempio che visitiamo successivamente è quello di Nandamanya, una piccola costruzione iniziata nel 1248 da parte del re Kyacri (1235-1250), con una sola entrata e un unico ambiente, ma un interno ricco di affreschi molto ben conservati. È passato alla storia come la “Tentazione di Mara”: rappresenta le tre figlie del maligno, raffigurate seminude, rarità per l’iconografia sacra birmana, che tentano il Buddha, per impedirgli di raggiungere l’illuminazione, con le tre più pericolose contaminazioni della pratica buddhista : l’avidità, la rabbia e la delusione. Vicino al tempio c’è la grotta Kyattan, usata anticamente come monastero. Scendiamo nei sotterranei dove troviamo qualche stuoia, sedie, pochi oggetti. Ci dicono che qui vi abitano ancora i monaci, ma non ci casco, conosco come i monaci sono gelosi dei loro privilegi. Infatti, poco distante da questa grotta “turistica” , il vero monastero, moderno, grande, pulito, accogliente e confortevole. Quello che visitiamo dopo è il tempio a due piani Sulamuni, uno dei più belli di tutta Bagan, circondato dal una fitta vegetazione e da splendidi alberi in fiore. Costruito nel 1181 circa dal re Narapatisithu, a terrazze degradanti che ne danno l’aspetto piramidale. Circondato da mura tra le meglio conservate di tutta Bagan, possiede svariate creature mitologiche e ornamentali scolpite all’esterno tra i frontoni e i pilastri, oppure pregevoli elaborati stucchi tra le modanature delle porte o delle finestre. Anche l’interno ne è ricchissimo, insieme a affreschi abbastanza ben conservati. Interessanti anche le formelle invetriate con smaltatura verde applicate sulla base e sulle terrazze. A piano terra quattro Buddha orientati secondo i quattro punti cardinali, completamente ricoperti d’oro per le lamelle applicate dai fedeli, meno uno che ha in testa uno strano copricapo a baldacchino. Anche Helene vuole provare l’esperienza di devozione. Acquisita un paio di lamelle dall’immancabile venditore nelle vicinanze e si cimenta nella non facile, per chi non è abituato, applicazione dello strato finissimo d’oro sulla statua del Buddha.

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Foto 114 - Tayoke Paya

L’ultima visita è al tempio Dhama Yan Gyi , massiccio capolavoro di architettura del XII sec. visibile da ogni punto della piana di Bagan, a terrazze degradanti, con una forma piramidale perfetta. È noto per una leggenda che sa di mistero e di horror26, tetra atmosfera rafforzata dalla presenza di numerosi pipistrelli appesi alle volte degli altissimi soffitti in mattoni del deambulatorio esterno. Qui si possono ammirare pitture murali e stucchi ancora molto ben conservati.

Per oggi le visite ai templi buddhisti di Bagan sono terminate. Il pomeriggio Maw e l’autista hanno diritto al riposo. Prima di salutarli andiamo a pranzo al Sarabha Restaurant di Old Bagan, immancabile cucina cinese, salad, uova, chicken, ottimi noodles di soia, la classica Mnyamar Beer per soli 16.500 kiats. Rientriamo in albergo e, dato che c’è la piscina, proviamo a metterci un po’ al sole, ma fa troppo caldo. Helene resiste più a lungo di me, ma senza costumi (non li abbiamo portati) non è possibile e quindi decidiamo di salire in camera a fare una pennichella. Foto 115 - Sulamani Gup Haya, interno

26 Si racconta che re Narathu fece costruire il tempio per espiare i propri peccati: aveva soffocato a morte suo padre e suo fratello e fatto giustiziare una delle sue mogli, una principessa indiana, colpevole di aver praticato riti indù. Si dice che anche Narathu avesse ordinato agli operai di far combaciare i mattoni della muratura a secco in modo così perfetto che tra l’uno e l’altro non passasse nemmeno uno spillo – pena il taglio delle braccia. Appena superato l’ingresso occidentale , si osservano nelle pietre degli incavi delle dimensioni di un braccio, dove pare avvenissero queste amputazioni (LP 173) 84

Foto 116 - Sulamani Gup Haya

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Foto 117 - Dhamma Yan Gyi

Nel tardo pomeriggio, quando è un po’ più fresco, facciamo una passeggiata per Bagan. Non è traumatico come Yangon o Mandalay, anche se le strade sono sterrate e, in questa stagione secca, c’è polvere dappertutto. Il traffico non è affatto caotico. Troviamo un grande busto in bronzo dorato di un generale e ci mettiamo in posa per delle foto, chissà se con le recenti elezioni la democrazia getterà questi monumenti nelle discariche. Verso l’imbrunire ci fermiamo in un bar sulla strada, ci sembra molto caratteristico e cool, addirittura con le candele sui tavoli. Un vecchio viene con uno straccio sudicio a spolverarci le sedie di legno, ricoperte da una spessa coltre di povere rossa, accende le candele e se ne va. Penso come sono romantici i birmani. Nessuno ci degna più di attenzione, finché mi alzo, vado dentro al bar e ordino una birra. Nel frattempo è passato un tir dalla strada di fronte e ha alzato un immensa nuvola di polvere che ricade su di noi, vanificando il lavoro del vecchio. Helene non brontola perché sa che fa parte dell’inevitabile attraente gioco. Adesso è buio, ma proprio buio, perché il sole è tramontato e la luce elettrica è saltata. Solito blackout a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine. Le candele non erano per romanticismo ma per necessità. Altre nuvole di polvere per altri passaggi di camion, questa volta ricoprono le nostre patatine. Beviamo alla svelta la birra prima che si trasformi in fango e ce ne torniamo veloci in albergo, rischiarando la strada con la torcia del cellulare. Passiamo davanti a un negozio che ha dei pesci di bambù colorati, con delle lunghe code rosse. Ne acquistiamo uno, facciamo due chiacchiere con la signora del negozio, che ci confessa di essere scappata da Yangon perché troppo caotica, mentre nella tranquillità di Bagan ci sta proprio bene. Ci è subito simpatica e acquistiamo anche conchiglie di fiume, magneti e altri oggetti. Anche noi gli stiamo simpatici, soprattutto quando Helene le racconta che abbiamo donato il cibo ai monaci, ci ha addirittura abbracciato e regalato un calendario con belle immagini della Birmania, perché donare cibo è molto più nobile che donare soldi. Niente cena, non abbiamo fame, siamo stanchi dopo le innumerevoli visite alle pagode di Bagan, andiamo a letto presto per una bella dormita scaccia stanchezza. 86

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NATALE A PINDAYA

(25-12-2015)

Sveglia ore 6.30 ormai come quasi tutti i giorni delle nostre vacanze in Birmania. Causa disturbo ( un po’ di febbre e di disappetenza) del pomeriggio e della sera precedenti, non faccio la solita superabbondante colazione al buffet dell’albergo, mi limito a un paio di tazze di caffè all’americana e qualche dolcetto secco.

Foto 118 – Vista sulla piana di Bagan dalla Thisawaddy Paya

Maw e l’autista ci aspettano e hanno deciso, prima di portarci a prendere l’aereo per Heho, di farci salutare Bagan per l’ultima volta. Un fuori programma a sorpresa molto suggestivo perché abbiamo la possibilità, arrampicandosi sulla Thitsawaddy Paya, di vedere l’alba sulla pianura disseminata di pagode. C’è un po’ di foschia, come ha trovato Helene dalla mongolfiera, ma il panorama è mozzafiato e scatto un’enormità di foto. Le pagode più grandi emergono dalla fitta vegetazione tutte quante come fiori rigogliosi. La luce radente del sole appena nato esalta il rosso dei mattoni e l’oro delle cupole. Le nuove pagode, di un bianco abbagliante, spiccano tra il verde degli alberi, in un contrasto forte e suggestivo. Ogni tanto il vento accompagna la preghiera di qualche monaco che la diffonde con 87

l’altoparlante. A quest’ora mattutina ci sono già molti turisti, ma anche locali, molti sono attorno ad un uomo che, accovacciato su un muretto del secondo piano della pagoda dove siamo saliti, sta dipingendo il panorama su una tela. Maw l’ha riconosciuto : è un noto politico di Yangon, ci dice anche il nome ma dopo pochi istanti si dissolverà dalla mia memoria. Dopo l’autista filosofo, anche il politico pittore.

Arriviamo all’aeroporto di Bagan per prendere un ATR 72 di una compagnia cambogiana. Nei voli interni non c’è nessun controllo Foto 119 - Politico pittore documenti. Una volta che ci hanno consegnato il biglietto, ci fanno staccare da un foglio un’etichetta adesiva circolare con un determinato colore e ci dicono di appiccicarcela sul davanti della camicia. Sarà questa etichetta che servirà per indirizzarci verso il volo giusto, controlleremo che anche tutti gli altri abbiano lo stesso colore. La sala d’attesa di questo aeroporto sembra quella di un vecchio albergo coloniale, con colonne e balaustre in teak istoriato, antica sporcizia, monaci accovacciati, turisti americani o asiatici che fanno la figura degli alieni, donne birmane con le loro colorate pesanti berrette di lana. Dei due gate ne è aperto uno solo, l’altro credo sia da sempre chiuso, viste le condizioni di abbandono della porta e lo sporco sulle vetrate. I due unici monitor elettronici nell’unica sala d’attesa non danno informazioni sui voli ma solo immagini pubblicitarie. Gli annunci dei voli sono dati in inglese da una giovanile e squillante vocina femminile, assolutamente incomprensibile. Molti turisti si presentano al gate ma si accorgono che non è il loro volo dall’etichetta che hanno appiccicato sulla camicia. Noi non siamo in ansia perché vediamo Maw seduta tranquilla in attesa.

Finalmente partiamo, un volo di una mezzoretta, i posti non sono assegnati, Helene si precipita correndo sulla pista, per avere il posto al finestrino. Può così comodamente ammirare la distesa dei campi della campagna intorno a Bagan, suddivisi nei loro perimetri di confine da alberi o canali, una vera e propria distesa a scacchi di vari colori, dal verde del grano o del riso, al marrone del sesamo, al giallo della colza. Il colore predominante è il rosso, perché la terra non coltivata e quindi senza vegetazione è di colore rosso, dato che è molto ricca di minerali ferrosi, magnesio, zinco e nickel. Quando stiamo per atterrare il panorama cambia perché lo Shan, lo stato autonomo dove si trova Pindaya, la nostra successiva destinazione, che raggiungeremo in auto, è molto meno piatto, con una vegetazione più folta, montana. Svariate pinete e grandi alberi isolati con i loro enormi ombrelli che fanno una grande ombra. Anche dall’alto le pagode sono ben visibili, anzi spiccano tra la vegetazione con le loro punte dorate e le loro superfici bianche. Sembra proprio che la Foto 120 - Panorama dalla Thitsawaddy Paya pagoda vinca sulla natura, nonostante quest’ultima sia rigogliosa e la circondi ovunque, ma la sua guglia riesce sempre orgogliosamente ad emergere, a non rimanere sepolta dall’intricata fitta ragnatela di rami e di foglie. Vi sono anche pagode crollate e quasi totalmente assorbite dalla natura, ma l’uomo cerca in tutti i modi di difenderle e con le donazioni, abbondanti e numerose: moltissime sono restaurate e riportate agli antichi splendori.

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All’aeroporto, dopo aver dato le immancabili mance di 1000 kiats ai due facchini che ci hanno aiutato, saliamo a bordo di una nuova macchina con un nuovo autista. È un van molto spazioso, meno addobbato con cotoni ricamati, santini e cianfrusaglie come gli altri, forse perché questo autista non viene da una metropoli come Yangon o Mandalay. Le porte posteriori si aprono da sole su comando dell’autista e così finisce la schiavitù, per noi imbarazzante, dell’ aprire e chiudere le porte da parte di Maw o dell’autista.

Foto 121 – Coltivazioni nella campagna dello Stato di Shan

Proseguiamo da Heho verso Pindaya per una cinquantina di km. per oltre due ore, per via della strada sconnessa, dei numerosi tornanti perché la zona è montana, del traffico pesante di camion e bus turistici, che ci impongono improvvisi rallentamenti e andature da lumaca. Molte auto, ma soprattutto moltissimi motorini, che trasportano intere famiglie. Il paesaggio è molto bello e vario, campi che formano mosaici colorati che riesco a fotografare al volo, con la macchina in movimento. Ogni tanto si trovano anche carri trainati da bufali, o carretti di miseri contadini. In prossimità di Pindaya troviamo, su questa che è una strada di grande comunicazione a intenso traffico, molte persone che a piedi si dirigono verso la città. In gran parte si tratta di ragazze vestite con gli abiti della festa, lunghe gonne coloratissime e camicette bianche risplendenti di bucato. Quasi tutte hanno golf o giubbotti di lana, e colorati berretti di lana, nonostante sia estate e la temperatura sia molto elevata. Maw ci dice che a Pindaya c’è una festa e che molte persone vanno in pellegrinaggio alle Pindaya Caves e molte persone si sono messe in cammino di notte . La scuola è terminata e i genitori portano i loro figli nelle grotte per ringraziare i Buddha del buon andamento dell’anno scolastico o dell’esito degli esami. Questa zona è prevalentemente abitata da popolazioni di

89 etnia shan27, ma non manca d’incontrare molto spesso donne di etnia pa-o28, subito riconoscibili per il loro tradizionale turbante fatto con un foulard a scacchi arancione e nero.

Foto 122 - Pindaya

Durante il tragitto da Heho a Pindaya di circa 50 km. abbiamo trovato ben due caselli dove ci hanno fatto pagare il pedaggio. Nel primo il nostro autista ha avuto qualcosa da ridire, abbiamo chiesto spiegazioni, ci ha detto che il pedaggio era passato da 500 a 700 kiats senza preavviso; alla fine ha naturalmente pagato, ma non ha avuto nessuna ricevuta. Mi chiedo dove andranno a finire quei soldi. Dopo pochi chilometri un altro casello e un altro pedaggio da pagare. Maw ci spiega che lo Shan è uno stato autonomo e fa pagare questo obolo solo agli stranieri, una specie di tassa di soggiorno.

Arriviamo finalmente al Pindaya Inle Inn, denominato nel programma del tour operator come un Bamboo Hut, molto confortevole suggestivo. La nostra “capanna” è in muratura e immersa, come tutte le altre, in una fitta vegetazione lussureggiante, che rende la zona fresca e rilassante. Abbiamo anche un terrazzino che dà sulle piante rigogliose e i fiori scintillanti, con due sdraio, che occupiamo immediatamente, non perché siamo stanchi, tutt’altro, il

27 Sono il gruppo etnico più numeroso della Birmania. La maggior parte di essi è buddhista e si autodefinisce tai (“shan” in realtà è una parola bamar che deriva dal vocabolo “Siam”, il che è significativo, dal momento che dal punto di vista etnico, culturale e linguistico, questa etnia è affine alla popolazione tai che vive oltre confine, in Thailandia, in Laos e nella provincia cinese dello Yunnan 28 Sono il settimo gruppo etnico come grandezza, con una popolazione di circa 600.000 - 1.800.000, sono il secondo gruppo etnico più grande nello stato di Shan. Si stabilirono nella regione Thaton dell'attuale Myanmar intorno al 1000 a.C. e si ritiene che ci siano ben ventiquattro sottogruppi, molti dei quali al giorno d’oggi fuggiti nel nord della Thailandia, a causa di conflitti militari in corso in Myanmar. Dediti prevalentemente all’agricoltura, coltivano le foglie dell'albero thanapet, cipolle, aglio, peperoncino, patate, riso, arachidi, fagioli, semi di sesamo, senape, e tè verde.

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posto ci piace e siamo eccitati, ma vogliamo goderci lo spettacolo della natura, il canto degli uccelli, il rumore dello scorrere dell’acqua dalle numerose fontane. Non abbiamo molto tempo per poltrire, ci aspetta il pranzo e le numerose attrattive di questo stato, come ci ha anticipato Maw in auto: villaggi lacustri, grotte, centri archeologici, feste popolari, etnie e costumi tradizionali. Una summa concentrata di quello che offre la Birmania, che da sola vale il viaggio.

Il nostro pranzo di Natale, in piacevole compagnia della nostra guida Maw, è nel bellissimo Green Tea Restaurant sul lago Botaloke, la solita cucina cinese di vegetables e carne di manzo, ma cibi molto ben cucinati, spendendo 16.125 kiats, vale a dire poco più di 11€, sicuramente il pranzo di natale più economico di tutta la nostra vita, considerando che nel conto totale ci sono anche 625 kiats di marche da bollo per il governo dei generali (è Natale anche per loro). I camerieri indossano dei pantaloni giallo senape, di fattura speciale, tipici di queste zone, mentre le cameriere indossano delle lunghe gonne di seta o di raso con delle bluse bianche di seta. Sono i primi camerieri eleganti che troviamo, una particolarmente attraente la faccio mettere in posa, perché voglio fotografarla. Si mette orgogliosamente immobile di fronte al mio obiettivo, così posso ritrarre il suo fiero sorriso.

Nel pomeriggio, visitiamo le Pindaya Caves, o Pagoda Rupestre Shwe Oo Min , un’enorme grotta calcarea dove, nel corso dei secoli, sono state collocate quasi 900029 statue di Buddha, di tutte le epoche, dimensioni, forme, materiali, colori, dalla generosità dei fedeli, che in molti casi le hanno ricoperte di foglie d’oro.

Foto 123,124,125 - Pindaya Caves, ingresso

La grotta è in cima alla strada che porta alla sommità della collina, che facciamo comodamente in auto (come tutti e infatti c’è una gran confusione di veicoli) dalla quale si può ammirare uno stupendo panorama su tutta la vallata e il lago Pone Taloke. Troviamo anche gli immancabili monaci e anche numerose monache nei loro tradizionali abiti rosa, in una grande confusione ma che è molto attraente e piacevole perché tutti sono felici e sorridenti. All’ingresso ci sono moderne statue in stile disneyano raffiguranti un arciere nell’intento di scoccare un dardo contro un enorme ragno30 , draghi e serpenti giganteschi, alla base dei quali moltissimi giovani birmani, nei loro variopinti vestiti della festa, si riprendono con i telefonini i loro felici sorrisi. Si sale poi le scale (o meglio si prende l’ascensore), poste a

29 Il numero è in continuo aumento per le incessanti donazioni dei fedeli, non solo birmane, ma anche da istituzioni buddhiste da tutto il mondo. 30 Sono i simboli ufficiali della città di Pindaya. Secondo la leggenda sette principesse sorprese da una tempesta si rifugiarono nella grotta di Shwe Oo Min , dove furono fatte prigioniere da un nat malvagio sotto forma di ragno gigante. Per loro fortuna passava da quelle parti il principe Kummabhaya di Nyaungshwe (Yaungwe) il quale, udite le invocazioni di aiuto delle fanciulle, uccise il ragno con una freccia e le liberò (LP 191) 91 fianco della bianca stupa di Nget Pyaw Taw Pagoda, per arrivare alle grotte ; un’altra scalinata porta a un padiglione che protegge un enorme Buddha seduto di 12 metri di altezza nello stile shan , tipico della zona. La scalinata conduce poi a un altro padiglione che conserva un Buddha disteso. Di fianco all’ingresso delle grotte c’è un pannello con delle illustrazioni che rappresentano i 31 stati dell’essere, cioè le varie tappe e le reincarnazioni che bisogna percorrere per raggiungere il nirvana. Maw si prodiga a spiegarci le complesse fasi di questo processo, ma il suo italiano un po’ nebuloso non contribuisce a fare chiarezza filosofica in noi.

Foto 124-125 - Pindaya Caves - Interno delle grotte

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I popoli che compongono il mosaico etnico del Myanmar si concentrano in zone geografiche ben definite ed è sempre stato così. La vasta pianura centrale, il cui suolo, il più fertile del Myanmar, è bagnato dall’Ayeyarwady (Irrawaddy) è stata sempre dominata dal gruppo che nelle varie epoche si è dimostrato il più forte – in genere, negli ultimi secoli, i bamar, i birmani. Le altre etnie continuano a vivere più o meno isolate fra le montagne che delimitano gran parte dei confini internazionali del paese: tra queste figurano gli shan, i kayak e i kayin a est, i kachin a nord, i chin e i rakhaing a ovest. Come in molti altri paesi la cui popolazione è disomogenea dal punto di vista etnico (e religioso), l’orgoglio e i pregiudizi tra i vari gruppi razziali spesso sono causa di tensioni. Basta infatti chiedere a un bamar (oppure a uno shan o un kayn) la sua opinione riguardo ai compatrioti appartenenti a altre etnie o religioni per farsi un’idea di quali difficoltà abbiano incontrato i vari governi del Myanmar nel tentare di mantenere la pace e la stabilità dei confini (LP, 337).

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All’interno della grotta si riesce a malapena a camminare tra gli stretti passaggi, cunicoli, scale, terrazze, gallerie naturali, labirinti, ma l’impressione appena si entra nella grotta è davvero da tagliare le gambe per l’emozione. I Buddha si stagliano sulle variegate pareti calcaree della grotta e incombono ossessivamente come centinaia di dorate stalagmiti che risalgono verso il soffitto, alcuni minuscoli, altri giganteschi di alcuni metri. È davvero uno spettacolo unico al mondo, Helene ed io, nonostante la folla che ci circonda, ci spinge, ci sommerge, subiamo un fascino tale che abbiamo le lacrime agli occhi e ci manca la parola per alcuni minuti. Maw prova a raccontarci qualche leggenda ma non riusciamo a concentrarci sulle sue parole, tanto siamo estasiati. Molti pellegrini si accalcano intorno a una rara colonna (formata dall’unione di una stalattite con una stalagmite) detta “il Buddha perspirante”. I fedeli, come cade una goccia dalla volta, si bagnano la fronte, ritenendo che l’acqua sacra tolga le malattie, porti fortuna e ridoni la bellezza. Più avanti scoviamo la “Meditation cave”, un antro con altre statue di Buddha immerse nella semioscurità, a cui si accede attraverso un cunicolo alto solo poche decine di centimetri. Helene vi scivola dentro, io dato che non mi sono bagnato con l’acqua miracolosa di prima, non riesco a fare le necessarie contorsioni e resto fuori a aspettarla. Helene sosta qualche minuto in meditazione all’interno, per riemergere poi felice della sua esperienza mistica. Troviamo anche alcune famiglie di etnia Pa-o coi loro foulard arancioni, una scolaresca con le divise della scuola (Helene si mescolerà all’interno del gruppo, che prega per ringraziare il Buddha per il buon esito degli esami, per assaporare insieme a loro l’esperienza di devozione).

All’uscita Helene fa una donazione perché davvero siamo rimasti colpiti dalla bellezza e dalla spiritualità emanata da questo luogo. Deve firmare con un nome diverso perché non si possono fare donazioni con nomi non birmani e quindi, in ricordo della protagonista del romanzo La sposa birmana di Ma Ma Lay Journal-Gyaw che ha letto prima di partire, si firma Wai Wai . Scendendo attraversiamo l’immancabile mercatino che offre di tutto. Helene si fa cospargere da Maw di thanahka, più che altro per vanità autoctona, dato che il sole ormai è al tramonto. Acquistiamo anche del te, presente nei cesti e nelle scatole delle venditrici birmane in numerose diverse qualità.

Foto 126 - Famiglia di etnia Pa-o

Proseguiamo la nostra escursione in auto passando da un laboratorio artigianale dove producono una stupenda carta fatta dalla corteccia di albero, con decorazione floreali. Le donne pestano la corteccia bagnata con acqua su dei mortai, la dispongono in basse vasche quadrate piene d’acqua, insieme a molti petali di fiori. Successivamente mettono la carta a essiccare al sole e quindi staccano i fogli che hanno la dimensione di un metro circa per lato. Lo shop center dispone di molti oggetti (quaderni, biglietti, ventagli, semplici fogli di carta) fatti con questo materiale. Molto interessante anche la lavorazione degli ombrelli di carta, coloratissimi, con il manico in bambù. Sono tutti sono tutti ottimi souvenir, perché originali e fatto in loco, non provenienti dal solito mercato centrale di Yangon, anche se gli ombrelli sono di grandi dimensioni e non è facile trasportarli.

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Successivamente ci fermiamo un quarto d’ora in un enorme piazzale, dove in febbraio- marzo, per il plenilunio del Tabaung, si organizza il paya pwe, la festa delle pagode. Ci sono molti enormi ficus, con i loro giganteschi rami contorti, sui quali si può comodamente sedersi o arrampicarsi. Anche oggi incontriamo molti birmani che fanno il picnic, ci siamo mescolati insieme a loro, abbiamo fatto molte foto suggestive e particolari. C’è silenzio, c’è pace, c’è tranquillità.

Foto 127 - Laboratorio artigianale carta, Pindaya

Rientriamo in albergo e, siccome è presto, andiamo un po’ a spasso nei dintorni. La strada è continuamente occupata da intere mandrie di buoi, condotti dai contadini che li guidano con lunghi bastoni di bambù. A volte si creano dei veri e propri ingorghi, una mandria deve essere bloccata per farne passare un’altra, nei punti in cui la strada si restringe, perché occupata da cantieri, cumuli di masserizie, oppure interrotta da stretti ponti. In mezzo alle mucche e ai bufali, il solito nugolo di motorini che sfreccia, come uno sciame di mosche, in tutte le direzioni. Mi diverto a fotografare ragni giganteschi abbarbicati nello loro immense ragnatele, molti tipi di fiori, enormi tronchi di bambù, grandi alberi frondosi.

Prima di cena una sosta nella terrazza dell’albergo a bere qualcosa. Timorosi delle zanzare, ci siamo attrezzati con le nostre creme e spray, ma come al solito (fortunatamente) ci hanno deluso: soltanto qualcuna, che non ci infastidisce per niente. Sprofondati nelle ampie poltrone di vimini, sorseggiamo la Myanmar Beer e commentiamo la bellezza della grotta ricolma di Buddha, ancora incisa profondamente nelle nostre pupille.

La THANAHKA è una pasta cosmetica comunemente usata in tutta la Birmania, il cui utilizzo risale a oltre 2000 anni fa. Si ottiene dai rami di un albero (limonia acidissima) tradizionalmente venduti in piccoli tronchetti. La corteccia viene macinata finemente insieme a poca acqua su una pietra circolare o su un piatto di legno, finché si ottiene una pasta omogenea che viene applicata per lo più sul viso e a volte sulle braccia da donne, bambini e in misura minore dagli uomini. Questa pasta, densa e giallastra, trova impiego soprattutto come filtro solare o per proteggere la pelle dal vento. Possiede anche proprietà antisettiche, idratanti, toniche, che contribuiscono a mantenere l’elasticità della pelle. Sembra inoltre che riesca anche ad allontanare zanzare ed altri insetti. Il suo gradevole profumo ricorda quella del legno di sandalo. La Thanahka viene considerata anche un maquillage ornamentale e in occasione di feste e cerimonie rituali le donne amano liberare la fantasia creando sul loro viso suggestivi disegni dalla fine trama, per mezzo di pennellini o piccoli pettini. Oggi la Thanahka è venduta anche confezionata in sacchetti di facile uso e comoda da trasportare, come “polvere di limonia” oppure vasetti in forma di crema densa. Il legno, profumato e giallastro, è anche usato per realizzare oggetti artigianali come pettini e scatole.

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DA PINDAYA AL LAGO INLE

( primo giorno al lago Inle 26-12-2016)

Di prima mattina rispettoso silenzio per il sonno di andiamo al mercato di Pindaya. Maw. All’alba sono poi arrivati i compratori e quindi il caos è aumentato.

o comunque del sud-est asiatico. Sterminata l’offerta di frutta (soprattutto banane, papaya, mele) e di verdura (cipolle, fagioli, fagiolini di decine di specie diverse). Alcuni banchi

Maw non ha praticamente dormito perché il suo albergo dà sulla piazza del mercato e già alle quattro di notte sono arrivati i È un mercato “a rotazione”, ogni venditori ambulanti per montare 5 giorni cambia città, perché i birmani non fanno la spesa tutti i giorni come noi. È molto

vendono polli, altri pesce fresco di provenienza non locale, più frequenti quelli con pesce secco, i banchi e disporre enormi pescato nel vicino lago Inle, quantità di merci, e non hanno certo fatto tutto questo nel interessante perché destinato ai locali, non ai turisti, con prodotti che non ho mai visto, credo caratteristici solo della Birmania,

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rosso acceso e i verdi tentacoli, zucchero, Maw spiega che è un spiccano dai grandi cesti di dolce, tipico di queste parti, da bambù. Non posso fare a meno mangiare a morsi. Vassoi di

Foto 128-144 - Mercato di Pindaya sistemato in bastoncini e scatole

bambù pieni di fagioli bianchi che di fotografare tutto quanto come sembrano conchiglie. Formiche e un forsennato. Bambine che larve di formiche cotte al vapore; vendono, dentro bottiglie di Maw sostiene che siano ottime, plastica che hanno contenuto non le assaggiamo, nonostante acqua, con ancora la loro Helene, nel suo spirito di voler originale etichetta, olio di colza o fare tutto, ne sia tentata. Le di semi di arachide, ma questa foglie di banana sono utilizzate, di bambù. Noto dei tubi verdi di oltre che da scatola, anche da bambù, “inscatolati” all’interno di foglie di banana, riempiti di

vassoio per contenere qualsiasi non è produzione locale, costa cibo, soprattutto verdure. poco, viene dall’estero, forse Dragon Fruit con il loro colore dalla Cina o dalla Thailandia. Molti banchi hanno pentole di tutte le dimensioni con cibi cotti, perché questo mercato è anche 97 un immenso ristorante e si shan, si legge la statistica del pil mangia a ogni ora. della Birmania, meglio che in ogni Interessantissimi i volti dei libro di economia. venditori, o meglio delle venditrici, perché il 90% sono ll Myanmar sta attraversando un momento epocale del suo percorso di sviluppo, come donne, anche qualche bambina. dimostrano le grandi trasformazioni e le Siamo nello stato dello Shan, con riforme politiche ed economiche intraprese molte presenza di etnie pa-o e con la costituzione di un governo semi-civile danu31 , quindi abbiamo la nel 2011. Dopo cinquant’anni di isolamento politico ed economico, il Paese è in via di possibilità di ammirare volti, transizione da una economia dirigista copricapo, vestiti diversi da tutto chiusa ad una economia di mercato aperta. il resto della Birmania. Longyi Questo processo di liberalizzazione e di coloratissimi, è incredibile come apertura verso l’economia globale è il Una donna, che ha masticato risultato di ambiziose riforme in campo non se ne trovi uno uguale betel, ha la bocca rossa come se fiscale, monetario, bancario e valutario così all’altro. Copricapo di lana, grandi come nella sfera del commercio fosse insanguinata. Immagine e spessi, protettivi del freddo internazionale e degli investimenti esteri. diabolica non infrequente in notturno, ma le donne, Tali riforme, insieme a una migliore tutto il Paese. Il cappellaio, con i gestione macroeconomica, hanno posto le specialmente quelle anziane, lo suoi cappelli disposti uno sopra basi per un’espansione accelerata dell’economia birmana che è cresciuta ad all’altro e impilati su dei bastoni un tasso medio del 5,1% dall’anno fiscale di bambù; in questo modo, riesce 2005/06 al 2009/10, e negli ultimi tre anni a trasportare senza problemi 50 al ritmo elevato dell’8,5%, che è superiore a cappelli per pila e esporre quello della media dei Paesi ASEAN. Il reddito pro capite ha raggiunto circa 1300 centinaia di cappelli. dollari nel 2014, avendo come conseguenza la “promozione” del Myanmar, nella Le bancarelle sono classificazione della Banca Mondiale, dalla tengono anche adesso che c’è il anche lungo le strade, insieme a categoria dei paesi a basso reddito a quella sole alto e non è freddo; molti un gran movimento di persone, dei paesi a reddito medio-basso. Le sopra al copricapo di lana animali, carri, motorini, macchine previsioni del Fondo Monetario Internazionale confermano anche per il tengono quello a cono di bambù, agricole, piccoli furgoni che 2016 e 2017 un tasso di espansione tipico di tutta l’Asia. Grandi ceste scaricano merce continuamente. economica comparabile a quello attuale, di bambù con all’interno le foglie Un caos però tranquillo, assumendo che la transizione politica a per il betel disposte una ad una ordinato, non abbiamo mai seguito delle elezioni del novembre 2015 avvenga senza traumi e che proseguano le in spirali concentriche che sentito grida isteriche, o peggio riforme economiche. Fra i principali motori devono aver richiesto una litigi. La gente ha comunque sui del recente boom birmano si annoverano la pazienza infinita per la volti il segno della sofferenza per rapida crescita del commercio estero e sistemazione. il duro lavoro, la vita grama. Le l’aumento notevole delle entrate in valuta derivanti dal turismo, dagli investimenti donne, soprattutto le giovani, diretti esteri e dagli aiuti pubblici allo non hanno l’allegra sviluppo. Tutti questi fattori di crescita sono spensieratezza che strettamente legati alle politiche di 31 I danu sono solo alcune migliaia, diffusi contraddistingue la giovane età. liberalizzazione degli scambi commerciali e nella regione di Mandalay e soprattutto delle transazioni finanziarie e alla revoca, Ho notato sguardi tristi, alcuni nello stato dello Shan e intorno al Lago quasi totale, delle sanzioni economiche Inle.Parlano un dialetto facilmente spenti o rassegnati. Helene non è imposte dai Paesi occidentali. comprensibile dagli altri bamar, con i quali condividono anche il Buddhismo d’accordo su questa mia rivista RISE (Relazioni Internazionali e Theravada e i costumi tradizionali. Il interpretazione, e in effetti non termine danu deriva International political economy del Sud-Est da donke (letteralmente: arcieri tutti hanno questo aspetto, asiatico), numero 1, gennaio 2016. coraggiosi) e si suppone che siano i abbiamo anche trovato ragazze discendenti degli arcieri dell'esercito birmano stanziatisi in queste aree dopo le con splendidi sorrisi, ma secondo guerre in Siam. me, sui volti di queste donne

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Foto 145-146-147-148-149 - Pescatori Intha del Lago Inle

Dopo aver salutato un parente di Maw che ha un negozietto di vendita di cellulari, lasciamo il mercato, prendiamo l’auto e torniamo verso Heho, destinazione il mitico lago Inle. Discariche a vista lungo la strada, frequenti ma non enormi. Questa strada è più trafficata di mezzi a motore di ogni tipo, non ci sono carri trainati da buoi, anche perché mancano le corsie laterali sterrate. Cartelli che vietano, pena l’arresto, l’ingresso nel bosco, protetto dal governo, per evitare che i contadini, taglino gli alberi per il proprio indispensabile sostentamento, per cucinare e riscaldarsi32.

Fronteggiamo un alto ponte della ferrovia che attraversa un valico, nulla di strano se non fosse per la presenza sui binari di un monaco e di uno stuolo di fedeli che lo segue. Sono pellegrini e sono andati fin lassù per fare una foto ricordo, infatti la vista sulla vallata del lago è unica e stupenda, sempre che non sopraggiunga il treno. Spesso incontriamo donne, ma anche bambine, che portano sulla testa fasci di piccoli tronchi, da usare per il fuoco per la cucina. Devono aver sfidato il divieto del governo e essersi rifornite nelle fitte boscaglie che costeggiano la strada. Incrociamo motorini che nel piccolo portabagagli trasportano di tutto, uno ha un intero stand da mercato di patatine fritte e snack. Cartelli pubblicitari attaccati sui grandi alberi che bordeggiano la strada. Il cartello pubblicitario della birra Myanmar è praticamente diffuso ovunque, sulle case, sulla facciata di ogni locale aperto al pubblico. Non si capisce perché, dato che è spesso l’unica birra disponibile e comunque diffusa in ogni esercizio. Maw ci informa che da un paio di anni ha fatto capolino l’Heineken, ma la Myanmar ha il monopolio assoluto. Anche altre marche la fanno da padrone: Telenor (telefonini) , Grand Royal (whiskey), MPT (sim card), High Class con il giglio come quello fiorentino (whiskey).

Anche in questa zona, siamo nello stato autonomo di Shan, per passare da una città all’altra dobbiamo pagare il pedaggio, come al solito preceduto da brevi, sommesse discussioni da parte del nostro autista, forse per aumenti ingiustificati o comunque non comunicati preventivamente. Si passa, come sempre, senza aver avuto nessuna

32 Secondo Win Myo Thu, fondatore dell’ONG birmana Ecodev (www.ecodev.mm.com) il 90% della popolazione birmana utilizza legname per cucinare con un consumo di circa tre tonnellate all’anno per nucleo familiare – una quantità che mette a serio rischio le foreste del paese, soprattutto nella zone più aride. Per affrontare il problema, il Forest Research Institute del Myanmar ha ideato il Fornello A1, un dispositivo a elevata efficienza energetica e distribuito nella ‘dry zone’ dalla Ecodev. Costa circa 2 dollari e riduce il consumo del legname a due tonnellate annue (LP, 356)

99 ricevuta. Costeggiamo grandi piantagioni di canna da zucchero e numerose risaie; adesso è stagione secca e le piantine di riso sono appena spuntate. In questa zona vi sono molti invasi d’acqua, nei quali raramente viene coltivato il riso, bensì allevato il pesce. Altro pedaggio di $ 10,00 a persona per entrare nel lago Inle. Sta diventando una vessazione. Accettano anche gli euro se i dollari non sono perfettamente stirati e privi di difetti, come quello che ha presentato Maw e che le è stato prontamente restituito. Se proprio non hai niente di meglio, accettano anche i kiats. La Toyota con il cambio automatico e gli interni in radica riparte alla volta del lago Inle.

mondo, compresa la copertina della nostra Lonely Planet.

I tradizionali pescatori Intha spingono le loro barche dal fondo piatto sulle immobili acque lacustri con un solo remo; governano la barca restando in piedi, remando con un piede con un movimento semicircolare che li fa avanzare con lentezza, ma anche precisione, permettendo loro di avere una mano libera da utilizzare per la pesca o per districarsi tra la vegetazione lacustre. Le donne, invece, remano sedute. I pescatori che adesso incontriamo non sono originali, sono dei buffoni che si mettono in posa, Giunti sulla riva si scende dall’auto per salire fanno equilibrismi restando in piedi con una sola sulla barca. Prima salutiamo il nostro autista gamba, tenendosi con il remo piantato sul fondo del “terrestre” con ringraziamenti, congratulazioni e lago e sollevando con l’altro la rete conica, che forse mance. non ha mai catturato un pesce. Dopo la circense esibizione, sfrecciano con le loro barche davanti alla nostra e non ti lasciano proseguire. Sei praticamente ostaggio e non oso pensare che cosa può succedere se non elargisci i soliti 1.000 kiats di mancia per ogni pescatore come premio per la loro pagliacciata. Scatto comunque delle foto stupende, grazie anche alla giornata climaticamente perfetta e alla luce giusta.

Adesso ci affidiamo a uno “lacustre” con la sua lunga barca piatta di legno, tre sedie e un grande spazio a prua dove vengono caricate le nostre valigie e protette da un telo. Helene conquista la prima sedia, di fronte alla prua della barca, perché vuole godere appieno della vista e delle sensazioni di questo lago famoso in tutto il mondo. Non ci siamo ancora abituati alla veloce e rumorosa navigazione della nostra barca, che incontriamo immediatamente i famosissimi pescatori del lago Inle, quelli fotografati in tutte le guide del

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Anche se sono buddisti e indossano il tradizionale costume birmano moderno, gli Intha (il nome significa “gente che vive nell’acqua”) del Lago Inle sono culturalmente abbastanza diversi dai vicini Shan. si ritiene che i loro antenati siano migrati nella regione dell’Inle da Dawei, nel Myanmar meridionale. Secondo la leggenda più diffusa nel 1359 due fratelli di Dawei giunsero a Yaunghwe (antico nome di Nyaungshwe) per lavorare al servizio del locale sao pha (signore del cielo). Il capotribù shan fu talmente soddisfatto dei due che invitò altre 36 famiglie di Dawei, dalle quali si dice che discenderebbero tutti gli Intha del lago Inle. Secondo una teoria più probabile, gli Intha arrivarono dal Myanmar meridionale nel XVIII sec. per sfuggire alla guerra tra i Thai e i Bamar. Il rapporto degli Intha con l’acqua è atavico e indissolubile. Per loro l’acqua è tutto: elemento di vita, fonte di sostentamento, territorio, campagna da coltivare, mercato galleggiante. Qui studiano, pregano, giocano, imparano un mestiere e, ovviamente sin da piccoli, si impratichiscono con la curiosa e caratteristica tecnica di remata con la gamba. L’insieme, abbinato alla scenario delle acque calme del lago contornate da montagne, ha un effetto coreografico notevole.

La tecnica di pesca degli Intha è assolutamente unica. Il lago è poco profondo (circa 3 metri), e lungo rive, canali e paludi è color fango. Nei punti lontani dalla riva l’acqua è più chiara, ma non ha una trasparenza tale da consentire ai barcaioli di vedere il pesce che nuota sul fondo. Riescono a percepirne la presenza attraverso le bollicine smosse dai pesci che strisciano il muso nel fango. Quando li individuano, calano una lunga nassa nel punto da dove provengono le bolle e quindi con un bastone appuntito e con il tatto controllano se le maglie della nassa danno scuotimenti: se c’è movimento significa che il pesce è stato imbrigliato nella nassa. Con il bastone lo spingono verso le maglie esterne, dalla quali il pesce non potrà più tornare indietro, poi estraggono la nassa dall’acqua e smagliano il pesce imprigionato. E’ un modo di pescare che richiede grande perizia e pazienza, ed è sempre meno usato. Oggi anche i pescatori Intha tendono a preferire l’uso delle reti, che manovrano con una mano sola stando in piedi sulla punta della barca, mentre con l’altra e con la gamba remano per disperdere la rete o ritirarla. La pesca con la rete richiede l’ausilio di alcune barche di battitori, che colpiscono violentemente col remo gli ammassi di alghe e giacinti d’acqua in modo da snidare i pesci che si acquattano tra le radici. (http://turistipercaso.it/myanmar/72706/myanmar-un-viaggio-per-gli-occhi-la-mente-e-il-cuo.html?page=6

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La corsa in barca sul lago è piacevole e rilassante perché la superficie è piatta e non ci sono scosse alla barca e anche pochi schizzi. Helene prudentemente retrocede alla sedia centrale, per ripararsi dal vento e dagli spruzzi. Se la situazione dovesse peggiorare abbiamo in dotazione ombrelli e coperte con cui proteggersi. Siamo seduti su sedie di legno, ma i nostri posteriori sono protetti da colorati cuscini. La vista è perfetta da ogni lato e la possibilità di scattare foto illimitata, basta mettere un tempo di posa veloce, per evitare foto mosse. Spesso navighi in controluce, ma le sagome scure delle barche o dei pescatori, sono altrettanto affascinanti. È uno spettacolo unico, sembra di essere seduti in una platea di un cinema e di ammirare un meraviglioso documentario. Fa da contorno sonoro l’assordante, ininterrotto rumore del motore della barca e delle altre che continuamente ci incrociano, è parte integrante dell’atmosfera affascinante che ci circonda. Quando più tardi saremo nella camera del nostro albergo, due bambine dello staff ci porteranno i tappi per le orecchie per difendere il nostro sonno dal rumore dei motori delle barche, costante fino a molto tardi. Di notte solo qualche raro passaggio, per via dell’oscurità, le barche fortunatamente non hanno fari.

Foto 150 - Palafitta sul Lago Inle

Noto che i cartelloni pubblicitari sono stati disseminati per tutto il lago, sia sulle palafitte nei villaggi, sia dove non ci sono abitazioni ma solo isole incolte o più frequentemente con rigogliosi orti galleggianti, con pomodori e altre coltivazioni. Questa forma di idroagricoltura è talmente diffusa che, sia la superficie che la profondità del lago, ogni anno si riduce sempre più.

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Gli orti galleggianti sono ampie, suggestive isole sull’acqua dove si coltivano pomodori e cavoli, melanzane, fagioli, aglio e cipolle. La comunità, in stagione, produce cinquanta quintali di pomodori al giorno. Gli orti sono fertilissimi, restano ancorati al fondo grazie a pali di bambù e non vengono mai sommersi dall’acqua perché, galleggiando, seguono le variazioni di livello del lago. Per costruire un orto galleggiante ci vogliono tre anni, e c’è da compiere un’operazione davvero ingegnosa. La base è costituita da un’isola di giacinti d’acqua, sui quali si dispone uno strato di alghe raccolte dal fondo del lago. Alghe e giacinti formano presto un intreccio inestricabile, sul quale è collocato uno strato di terra. Tutto quanto può raggiungere anche il metro e mezzo di spessore

( http://www.internazionale.it/reportage/2016/01/18/reportage-birmania-lago-inle)

UN LADRO TEMERARIO, CHIAMATO Nga Tat Pya, viveva una volta vicino a Sagaing, nell’Alta Birmania. Tutte le notti era solito attraversare il fiume Irrawaddy sulla sua barchetta per dirigersi verso la città di Ava, che era allora capitale. Appena vi giungeva, ispezionava furtivamente le case di ministri e uomini ricchi, e laddove scopriva che era possibile intrufolarsi lo faceva, e rubava e sottraeva qualsiasi gioiello o altra ricchezza su cui riusciva a mettere le mani. C’è da dire che, sebbene Nga Tat Pya fosse un disonesto, non aveva mai danneggiato i poveri: al contrario, li aiutava. Le sue vittime erano molto arrabbiate per gli attacchi che quasi tutte le notti venivano inferti alle loro proprietà e facevano del loro meglio per catturarlo, ma Nga Tat Pya era di gran lunga troppo furbo per loro. La faccenda diventava così grave che andarono dal re e gli chiesero di catturare il ladro. Il re promise di farlo, e la folla di gente che era stata derubata lasciò il palazzo per ritornare alle proprie case ad attendere la notte.Quella notte il re si camuffò e andò a passeggio su e giù per la riva del fiume per vedere se Nga Tat Pya fosse venuto ad Ava. Era passata la mezzanotte quando il ladruncolo approdò a riva. Attendendosi di trovarla deserta come al solito, fu sorpreso di scorgervi un uomo. “Chi è là?” chiese dalla sua barca, e il re travestito rispose: “Sono io; sto aspettando il mio padrone”.“Bene, amico mio,” disse il ladro, che a questa risposta si sentì lusingato “puoi venire con me”. Allora i due entrarono di soppiatto in una casa in rovina accanto al fiume. Il re aveva sentito dire che Nga Tat Pya amava molto le bevande forti, così ne aveva preventivamente lasciata una provvista nella casa diroccata. Quando furono dentro, il re offrì a Nga Tat Pya un bel bicchiere che il ladro apprezzò assai, tanto che ne chiese ancora. Naturalmente il re gli diede da bere tanto quanto ne volle: finché Nga Tat Pya fu troppo ubriaco per potersi difendere. Prontamente, il re lo legò con una corda e gli prese una gran borsa di gioielli che quello aveva con sé, poi ritornò al suo palazzo. La mattina, quando il re doveva dar udienza ai suoi ministri, mise al dito alcuni degli anelli che aveva trovato nella borsa del ladro. Quando i ministri videro quegli anelli li riconobbero come i loro, ma dato che erano sulle dita del re non osarono dire niente.“Bene, ministri, guardate questi anelli. Non sono vostri?” domandò il re.“Essi hanno una notevole somiglianza con i nostri anelli, Vostra Graziosa Maestà” risposero i ministri. “Sono, in effetti, di vostra proprietà” rispose il re. “Vi sono stati rubati da Nga Tat Pya. L’ho acchiappato la notte scorsa e adesso se ne sta legato in una cantina sulla sponda del fiume. Andate a prenderlo”. Quando Nga Tat Pya fu condotto al cospetto del re, gli dissero che l’uomo che aveva incontrato la notte prima altri non era che proprio lui. “Che tipo di punizione scegli?” chiese il re. “Qualsiasi arma e qualsiasi tipo di esecuzione mi andranno ugualmente bene. Per me è lo stesso” rispose orgogliosamente il ladro. “Ma se mi è consentito di esprimere un desiderio, allora oserei dire che mi piacerebbe sposare una delle vostre bellissime damigelle”. Il re fu sorpreso da una risposta così audace. Pensò tra sé e sé: “Questo è certo un insolente briccone; ma ci vuole un cuore intrepido e audace per insultare un re in questo modo. Quasi quasi lo risparmio e lo assumo al mio servizio”. Così Nga Tat Pya venne perdonato e servì lealmente il re. Si ricorda che un giorno il principe di Taungdwingyi suscitò una sommossa e costrinse il re di Ava a marciare contro di lui con un grosso esercito. Quando arrivarono in vista di Taungdwingyi, trovarono il luogo così ben difeso che il re vide subito che sarebbe stato difficoltoso sottomettere i rivoltosi con le anni; così mandò Nga Tat Pya segretamente a uccidere il generale dei rivoltosi. Quando il principe ribelle venne a sapere che il generale era morto, capì che tutto era perduto, così chiese la pace e rese omaggio al re di Ava. Nga Tat Pya fu ricoperto di onori. Egli servì il re con lealtà e costruì una pagoda chiamata Mashi Khana, che significa “Attualmente a corto”, perché mentre la costruiva spesso si era trovato appunto “a corto” di fondi. Ben presto, anzi, si arrangiò a trovar più denaro ritornando alla sua passata occupazione: se ne usciva di notte e ritornava con bottini freschi, poi riprendeva la costruzione della pagoda. Così ancora adesso si può ammirare vicino a Sagaing una pagoda che è stata eretta con il ricavato di furti.

Fonte: MAUNG MAUNG PYE, Tales of Burma, Macmillan & Co., Calcutta 1952, pp. 52-55. ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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Foto 151-152-153 - Le barche del lago Inle

Mi chiedo che motivo c’è di inquinare la bellezza del lago con questi cartelloni che sono gli stessi, delle solite 10 aziende che li hanno disseminati in tutta la Birmania, e che praticamente ci accompagnano dal primo istante in cui abbiamo messo piede, all’aeroporto di Yangon. In questa parte del lago le palafitte sono ben tenute, alcune addirittura moderne, penso sia una zona piuttosto ricca, per via del turismo, con pagode e templi, bellissimi alberghi e molti ristoranti, negozi, le cosiddette “fabbriche” all’interno delle quali vengono “prodotti” numerosi oggetti artigianali locali; ho usato le virgolette perché, qui più che altrove, è evidente che la produttività di queste poche operaie non è sufficiente a riempire gli adiacenti enormi showroom dove la merce è in esposizione e in vendita. Il rifornimento viene da altrove, non vogliamo sapere da dove, tanto non ti diranno mai Cina o India o Thailandia.

Sul lago troviamo barche con venditrici di artigianato locale per turisti, ma sono molto meno aggressive dei pescatori e non ci disturbano. Le immagini delle palafitte e dei pescatori del Lago Inle sono arcinote e arciviste in tutti filmati e le foto delle guide turistiche, quindi non mi scatenano estatiche sensazioni di meraviglia. Mi attira maggiormente il brulichio di gente e di attività nelle città costiere che visitiamo, le decine e decine di barche a motore,

104 piene zeppe di turisti con gli ombrelli di tutti i colori aperti per proteggersi dal sole; il rumore assordante e continuo dei motori delle barche che sfrecciano in tutte le direzioni, sollevando con l’elica un allungato rosone di spuma di acqua marrone; dove l’acqua è più bassa il colore è quello della melma, dove c’è maggiore profondità il verde è cupo, tendente al grigio acciaio. La vegetazione galleggiante è fiorente e sparsa ovunque, dalle rive si stacca e arriva fino al centro del lago, punteggiando la superficie. Le eliche delle barche sono fissate in fondo ad un’asta di acciaio di tre metri di lunghezza, per poter essere posizionata alla profondità giusta e per essere sollevata fuori dall’acqua quando s’incontrano le barriere vegetative, i tronchi di bambù messi sull’acqua per segnalare i confini delle proprietà, i grossi cespugli che galleggiano e compaiono all’improvviso.

Nelle acqua placide del lago Inle sorgono alcuni villaggi su palafitte, ovviamente

tutti in legno, che sono un’opera di ingegneria sensazionale per la precisione e la solidità con cui sono costruiti. Si affacciano su lunghi canali trafficati di barche, come fossero viali. Tutto è su palafitta: case, garage coperti (per l’ormeggio delle piroghe), l’ospedale, l’ambulatorio del dentista, il parrucchiere, l’ufficio postale, monasteri, negozietti e shop vari, i laboratori di fabbri e falegnami, cantieri per le barche, le immancabili pagode, persino alberghi per turisti come l’hotel Shwe Inn Tha (carissimo). Solcando i canali con la barca si

vedono bambini che si lavano sguazzando allegri, donne che fanno il bucato, stendendo la biancheria con i loro bei capelli lunghi sciolti e i modi pieni di contegno, dignità e elegante raffinatezza. Su qualche palafitta si nota la parabola satellitare. Colpisce l’eccezionale pulizia dei canali: non c’è in giro una cartaccia, non una buccia d’ananas, non una lattina vuota che galleggia. Ogni villaggio dispone di un efficiente sistema fognario: scaricano i rifiuti in contenitori che vengono svuotati dalla municipalità di Nyaungshwe. Acqua e luce

provengono dalla rete idrica e elettrica dei villaggi sulle sponde. Le case tradizionali (long house) ospitano diverse famiglie. Le più semplici hanno pareti di bambù intrecciato su strutture di teak: ogni diciotto anni le pareti vanno completamente ricostruite. Le più opulente sono interamente in legno di teak. Tutti, e anche i bambini, si spostano da una casa all’altra pagaiando su snelle canoe piatte. Sotto ogni casa c’è almeno una barca ormeggiata. L’altro modo per spostarsi nel lago è costituito da più grosse, e altrettanto snelle, barche mosse da motore

diesel, che viaggiano velocissime sollevando ampi schizzi

http://turistipercaso.it/myanmar/72706/myanmar-un-viaggio-per-gli-occhi-la-mente-e-il-cuo.html?page=6

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All’interno di un negozio di tessuti troviamo le donne giraffa33, impegnate a lavorare sui loro telai. Altra pagliacciata, tipo quella dei pescatori. L’effetto circense è esaltato dall’assalto di una comitiva di americani che sghignazzanti come solo loro sanno essere sguaiati, si fanno fotografare con le donne giraffa. Un po’ come le meraviglie del lunapark di qualche secolo fa, la donna cannone o quella barbuta. Queste poverette, portano sul collo, sulle braccia, sulle caviglie dei pesantissimi anelli dorati (alcuni sono posti sopra un tavolo così il turista può personalmente sentirne il peso). Alle donne giraffa presenti ne ho contati più di venti a spirale per il collo. Sui volti maschere di Foto 154 – 155 Donne giraffa indifferenza, si lasciano fotografare e assumono una posa appena più sorridente, ad uso e consumo di noi occidentali che, senza nessun rispetto, le osserviamo come bestie da baraccone. Anche Helene non resiste al desiderio di farsi ritrarre e si piazza in mezzo a due di loro per le foto di rito. Sono quattro donne, credo di una certa età, non giovanissime, non è facile decifrarne l’età. Un’altra, molto più giovane, è seduta su una panca, non fa niente se non guardare fuori della finestra. Mi guarda e si lascia fotografare, ha solo alcuni anelli al collo, alle gambe, ai polsi, molto meno delle altre perché è più giovane (sembra che aggiungano un anello a ogni compleanno). Il suo sguardo perso nel vuoto, velato di una tristezza molto più profonda delle acque del lago che sta guardando, mi stringe il cuore.

33 La leggenda narra che i Kayang sono entrati in guerra contro i Padaung che per sconfiggerli avrebbero scatenato delle tigri contro di loro. Un saggio anziano di Padaung allora consigliò di proteggere le donne con collari d’oro da mettere al collo, alle braccia e alle gambe. Con il tempo questi anelli sono diventati simbolo di bellezza e di seduzione delle donne di queste due etnie. 106

Torniamo sulla barca e continuiamo il nostro giro sul lago, comodamente seduti sulle nostre sedie, abbiamo la possibilità di gustarsi uno spettacolo indimenticabile : le montagne che circondano il lago, le palafitte, le barche con i loro rombanti motori che sfrecciano in tutte le direzioni e in ogni ora del giorno e qualcuna anche della notte, trasportando turisti, locali e merci in un turbine di traffico intenso e rumoroso, gli orti galleggianti, le migliaia di tronchi di bambù conficcati nel fondo del lago per ancorare l’orto galleggiante, che altrimenti scomparirebbe, trasportato via dalla corrente. Ogni tanto abbiamo la fortuna di incontrare gli aironi, che spiccano il volo dalle isole galleggianti e con i loro colli lunghissimi volano con eleganza. I gabbiani volano a stormi incrociando o seguendo le barche. Molti ragazzi e bambini, hanno l’abitudine di acquistare un sacchetto di cibo per lanciarlo ai gabbiani mentre vanno in barca. Tirandolo in alto sopra la barca, attirano stormi di gabbiani che roteano sopra e prendono al volo il cibo. Seguono a lungo il tragitto della barca, con alte strida di gioia, sia dei gabbiani che dei bambini.

LE DONNE GIRAFFA sono di etnia Padaung (= collo di rame), non native di questi luoghi. Vivono nel territorio attorno alla città di Loikaw nella parte più orientale dello stato Shan, e ancora più in là in territorio thailandese. Quelle che si vedono in altre parti del Myanmar sono state costret te a emigrare in cerca di guadagno, grazie alla fama che il loro aspetto così singolare serve per attrarre turisti nei negozi di souvenir e artigianato locale. Una volta gli anelli al collo erano il destino di tutte le donne Padaung. Oggi tocca solo ad alcune “prescelte”. Il primo anello viene posto all’età di 5-6 anni, poi ogni anno se ne aggiunge uno fino ad un massimo di 25-26 e un

peso totale di 6 kg. L’apposizione degli anelli non provoca, come potrebbe sembrare a prima vista, un innalzamento del mento. In realtà sono la clavicola e la scapola ad abbassarsi. Comunque sia, l’effetto è quello allungare il collo a dismisura, conferendo loro quell’aspetto giraffesco con il quale sono conosciute. Gli anelli che le donne Padaung indossano oggi sono fabbricati in Thailandia e si possono allargare e staccare. Così alla sera li possono togliere (cosa che anni fa non era possibile), ma per dormire hanno bisogno di avere un sostegno ai lati della testa, che altrimenti cadrebbe perché i muscoli e i tendini del collo eccessivamente

Foto 156 Burmese Cat Village allungati e indeboliti non sono più in grado di sostenerla. In altri termini, sono costrette a portare gli anelli al collo per tutta la vita.

http://turistipercaso.it/myanmar/72706/myanmar-un-viaggio- per-gli-occhi-la-mente-e-il-cuo.html?page=9

E ancora, ammiriamo gli uomini intenti a pescare, soprattutto carpe e pesci gatto, a raccogliere alghe e argilla per fare gli orti. I raggi del sole, riflettendo sull’acqua ci abbagliano e siamo costretti a utilizzare gli occhiali scuri.

Prima di andare a pranzo, facciamo un salto al Burmese Cat Village. I gatti in Birmania sono quasi sacri, perché sempre presenti sia un tempo nelle corti reali che adesso nei monasteri. Pare che oggi il vero gatto birmano sia in pericolo di estinzione, ecco l’importanza di questo allevamento. Ne troviamo a decine, molti dormono beati nelle loro ceste al sole, altri passeggiano annoiati tra le casette in legno che offrono loro riparo per la notte, uno è arrampicato sulle spalle di una turista americana, alcuni mangiano dalle loro ciotole colorate.

Pranziamo insieme a Maw all’Eyeful Lake, per 29.500 kiats, poi si accorgono di aver fatto un errore nel conto e, con un’onestà che francamente ci stupisce, non ce ne saremmo mai accorti, ci chiedono 20.500 kiats. Ottima 107 insalata di avocado con cipolla, e altrettanto ottima insalata di te, due piatti originali e birmani, per il resto solite cineserie piccanti con vermicelli, riso al vapore e birra .

Anche se la cucina birmana non è particolarmente rinomata a livello mondiale per le sue specialità, una pietanza assolutamente degna di nota, più che altro perché molto particolare, è L’INSALATA DI FOGLIE DI TÈ . La Birmania è infatti uno dei pochi paesi in cui le foglie di tè, oltre a essere utilizzate per l’infusione, si mangiano, dando vita ad un piatto a dir poco curioso. Le migliori foglie di tè verde del raccolto, vengono messe da parte per essere destinate poi a finire nei piatti anziché nei bicchieri. Vengono fatte essiccare e fermentare e, una volta mature ed epurate di quel gusto amaro che le contraddistingue, son pronte per essere messe in insalata. L’insalata di foglie di tè non prevede solo la loro presenza esclusiva, ma anche altri ingredienti, per lo più croccanti quali arachidi, semi di sesamo, piselli fritti, mini gamberetti essiccati. L’aglio fritto c’è quasi sempre e spesso si trovano anche fette di pomodoro e cavolo. Il tutto condito con una spruzzata di lime. Non è detto però che tutti gli ingredienti vengano necessariamente mescolati insieme: infatti può capitare che vi portino un’insalata di foglie di tè scomposta (che fa molto cucina d’avanguardia) con gli ingredienti serviti separatamente, affinché possiate comporre l’insalata secondo i vostri gusti. La lahpet thoke, che letteralmente significa insalata di tè verde, è parte integrante della cultura birmana e, oltre a trovarsi nei menù di tutti i ristoranti, viene offerta come snack ed è sempre presente nelle occasioni importanti, quali i matrimoni. Il sapore di questa bizzarra insalata non è facilmente descrivibile. Una punta di amaro delle foglie di te si percepisce comunque ma, mischiate agli altri ingredienti, dà vita ad un insieme armonico, gustoso e difficilmente replicabile.

http://www.tastingtheworld.it/insalata-di-foglie-di-te-birmana-lahpet-thoke/6830/

Dopo pranzo visitiamo una fabbrica di cheroot, il sigaro birmano secondo la terminologia anglosassone. Lo stato dello Shan è noto in tutto il mondo per questa produzione di qualità. Le colline intorno alla città di Kalaw, sopra il lago Inle, sono zona di produzione delle foglie che essiccate serviranno per avvolgere i cheerot. Al lavoro esclusivamente donne, realizzano a mano, uno alla volta, migliaia di sigari, con miscele che prevedono una parte di tabacco e un’altra di altre sostanze aromatiche come anice, menta, banana, tamarindo. Maw ci informa che un’operaia guadagna 1000 kyat (un quarto di dollaro) ogni 200 sigarini arrotolati. Le più brave sono talmente rapide che possono farne più di 1000 al giorno. Anche se non fumiamo abbiamo acquistato sigari grandi e piccoli ai vari aromi.

Dopo il laboratorio di sigari, visitiamo quello di tessuti In Raw Khone. Donne, sedute per terra, di fronte a grandi rocchetti dove viene arrotolato il filo derivato dal gambo del loto, dal quale esce un insieme di diversi filamenti che la tessitrice manualmente raggruppa in un solo filo; abbiamo personalmente constatato la grande resistenza alla trazione di questo filo ; altre, sedute di fronte a grandi telai, producono, grazie ai veloci e abili movimenti delle loro mani, stoffe dalle mille trame diverse. Poi la stoffa è impregnata nel il colore, immergendola in bacinelle contenente il colorante.

108 Foto 157 - Laboratorio di cheroot MOLTO TEMPO FA, in un certo villaggio, un uomo e sua moglie lavoravano ai piedi della montagna coltivando barbabietole. Dal momento che non avevano figli, essi trasferivano il loro affetto a gatti e cani. Un giorno adottarono un micino dal pelo bianchissimo che chiamarono Phyu Thi e trattarono come un figlio. Esso crebbe sempre più grande, un giorno dopo l’altro. Un giorno, dopo colazione, la vecchia signora mise del pesce al curry in una pentola di terracotta, la chiuse con il coperchio e lasciò la casa per vendere le foglie di barbabietola nei sobborghi. In quel momento il vecchio stava intrecciando corde di bambù sotto la capanna. Senza perder tempo, il gatto Phyu Thi alzò furtivamente il coperchio per mangiarsi il pesce al curry, ma dal basso il vecchio udì un rumore, al che prese una pietra ed entrò in casa. Vedendo Phyu Thi mangiare il pesce con la testa piegata nella pentola, il vecchio diventò una furia e gli tirò la pietra. Anziché colpire il gatto, la pietra colpì la pentola: il collo del recipiente si ruppe e restò intorno al collo del gatto, il quale corse via nel bosco pieno di paura. Fu allora che si imbatté in un gallo con la sua gallina. Al vedere il gatto, la coppia nascose i propri polletti in un punto sicuro; poi il gallo disse alla gallina: “Questo gatto sembra strano, ha un cappio intorno al collo”. Quando il gatto sentì questo disse: “Non sono un gatto qualunque, io, sono un gatto asceta: sul mio collo non c’è un cappio, ma un rosario. Guardate il mantello che indosso: non è di un purissimo bianco? Se avete figli, mandateli con me per imparare come va il mondo. Li educherò bene”. Il gatto pronunciò queste parole con solennità e, credendo a quanto aveva detto, la coppia di galline gli mandò insieme un figlio perché venisse educato. Proseguendo oltre nel viaggio, incontrarono una coppia d’anatre. Nello stesso modo, il gatto insistette perché mandassero con lui uno dei loro figli per studiare. La coppia d’anatre acconsentì e un anatroccolo li accompagnò. Dopo un po’ incontrarono una coppia di fagiani sotto un cespuglio sulla loro strada. La fagiana parlò come aveva fatto il gallo. Ma, indicando il pollastrello e l’anatroccolo, il gatto spiegò che era consigliabile anche per loro mandare un figlio perché fosse educato come gli altri. La coppia di fagiani allora mandò il loro figlio più amato con il gatto. Dopo un certo tempo incontrarono una coppia di corvi. Il gatto ripeté la solita vecchia storia. In verità, la femmina era dubbiosa di quel che diceva, ma il corvo, vedendo il pollastro, l’anatroccolo e il giovane fagiano, si preoccupò del futuro di suo figlio. Così lo mandò con il gatto. Cominciò a calare la notte. Essendo arrivati alla cavità di un albero, il gatto disse: “Oggi terrò lezione all’anatroccolo dentro al cavo di questo tronco. Voialtri andate a dormire sull’albero!”. Il pollastro e gli altri andarono a dormire sull’albero, e il gatto si divorò l’anatroccolo seduta stante. Venne il mattino. Accorgendosi che mancava l’anatroccolo, gli altri chiesero dove fosse. Al che il gatto replicò: “È diventato istruito ed è ritornato dai suoi genitori”. La notte seguente il gatto chiamò il pollo a stare con lui, e disse agli altri due di dormire sull’albero. Come aveva fatto la notte prima, il gatto divorò il pollastro mentre gli altri stavano dormendo. Il mattino seguente anche il pollo non si trovava da nessuna parte. Di nuovo gli altri chiesero al gatto dove si trovasse il galletto e il gatto rispose nella stessa maniera. Da quel momento, però, i due superstiti non prestarono più fede alle parole del felino. Il giovane fagiano borbottò: “Ehi, sembra un po’ strano che l’anatroccolo e il galletto siano ritornati dai loro genitori. Io penso che siano stati mangiati dal maestro”. “Sì, penso che sia ben possibile quello che dici” replicò il piccolo corvo. Così fecero un piano. “Uno di noi sarà convocato, questo è certo. Così dobbiamo stare con le orecchie dritte. Appena il gatto cercherà di mangiarlo, colui a cui tocca lancerà un grido e combatteremo insieme”. Poco alla volta calarono i raggi del sole e tornò la notte. Il gatto li chiamò entrambi e domandò: “Bene, chi di voi due vuole tornare per primo dai suoi genitori?”. Fu il giovane corvo a farsi avanti: “Signore, desidererei tornare io per primo. Stanotte, per piacere, fammi diventare un allievo istruito”. Il gatto, acconsentendo, disse: “Benissimo; tu, invece, stanotte è meglio che resti a dormire sull’albero”. Poi fece entrare la preda nella cavità del tronco. Ma il fagiano si piazzò vicino all’entrata e attese il segnale. Quando dalla cavità giunse il grido: “Aiuto, aiuto!”, si precipitò nel cavo del tronco e graffiò gli occhi del gatto con gli artigli, continuando finché non divennero ciechi. Poi i due se la diedero a gambe. Da allora in poi gli occhi dei gatti non sono simili a quelli degli altri animali: sono disposti verticalmente anziché orizzontalmente.

Fonte: questa fiaba è stata raccolta presso Rangoon nel 1987 ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

Una donna è addetta a questa mansione e le sue mani sono irrimediabilmente colorate di rosso. Nello shopping center centinaia di sciarpe, alcune delle quali in tessuto di puro loto, pregiato, prezioso e raro. Le altre sono di lana, cotone e seta. Helene decide per la rarità di pregio: una bellissima sciarpa in tessuto di loto color cioccolato pagata 100 dollari. Il tessuto al tatto si presenta morbido, resistente e con una sensazione tattile unica e mai sentita prima, ci hanno informato che per farla ci sono voluti 4.000 gambi di fiore di loto.

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Foto 158 - Palafitte sul Lago Inle

Il laboratorio successivo che visitiamo è quello del ferro. Abbiamo la fortuna di assistere a un’altra pagliacciata. Un gruppo di quattro baldi giovanotti, a un comando di un direttore di orchestra accovacciato di fronte a loro, con le mani nere di limatura di ferro, la faccia sporca, e l’aria truce, danno vita a un concerto di ritmici colpi di mazza sul ferro, precedentemente arroventato, per renderlo una sottile lamella. Il gioco non è facile perché i colpi delle mazze, essendo 4 i mazzieri, vanno dati nel momento giusto e col ritmo giusto, per non colpirsi a vicenda. Bello da filmare, piacevole da sentire il ritmo dei colpi, ma l’esibizione è durata un paio di minuti, il tempo di deliziare i turisti presenti. La performance richiede forza, resistenza, concentrazione e sacrificio, ma i 4 ragazzi dimostrano di avere queste caratteristiche , anche se solo per un tempo limitato. Appena abbiamo fatto qualche foto, terminano la loro esibizione e si accovacciano sul pavimento a far baldoria tra di sé.

Ben presto arriviamo alla Phaung Daw Oo Foto 159 - Orti galleggianti Paya, all’interno della quale troviamo cinque piccole statue del Buddha ricoperte dai fedeli di foglie d’oro talmente tante volte che le loro forme originali sono scomparse. Anche adesso ci sono decine di uomini (alle donne è proibito) che applicano le sottilissime lamelle, su delle specie di rotondeggianti statuette dalle forme morbide e sinuose, che non hanno assolutamente più nulla dei tratti originali del Buddha. L’unico modo per capire come erano fatte è osservare alcune vecchie fotografie appese alle mura circostanti.

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Foto 160 – Phaung Daw Oo Paya

Maw ci racconta la leggenda di queste cinque statuette: un re fece scolpire cinque statue di Buddha e ogni anno, alla festa di ottobre, venivano portate in giro per il lago su un enorme barcone a forma di uccello per essere ammirate e venerate dagli abitanti dei vari villaggi. Un giorno la barca si rovesciò (nel punto in cui avvenne l’incidente oggi è stato issato un obelisco). Tutti si misero immediatamente alla ricerca dei Buddha in fondo al lago, ma riuscirono a ritrovarne solo quattro, li ricollocarono sul barcone che avevano raddrizzato, rientrarono alla Pagoda da dove erano partiti. Quando arrivarono ebbero l’incredibile sorpresa di trovare il quinto Buddha di miracolosamente di nuovo nella sua collocazione all’interno della pagoda. Da quel giorno vengono portati in giro solo quattro, mentre il quinto Buddha resta prudentemente in Pagoda.

Nella Phaung Daw Oo Paya troviamo, accatastate vicino al padiglione che protegge i cinque Buddha, una gran quantità di casse in cartone con chissà cosa dentro, svariate confezioni decorate con nastri luccicanti e fiocchi colorati,

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Foto 161 - Novizio contenenti il completo per il monaco (tunica, ventaglio e ciabatte), una lavatrice e moltissimi altri doni di vario genere. Maw s’informa: un donatore di un paese vicino, oltre a fare restaurare tutto il padiglione dei Buddha, ha fatto queste donazioni per un valore complessivo di $ 10.000,00. Siamo nello stato del Shan, la gente è molto religiosa, alcuni arrivano a donare anche il 50% dei propri redditi.

Prima di rientrare in albergo, abbiamo la fortuna di vedere un novizio, nella propria barca piena di fiori, nastri, luci decorative. Indossa il lungo abito bianco e ha in testa una coroncina di fiori colorati, a lato due ombrelli di bambù, in questo momento chiusi. È seduto in posa ieratica, non sorride, pare avere un aria tra il serio e lo spaventato, tutto preso nel suo ruolo e consapevole della grande importanza della cerimonia, circondato da altri ragazzi, forse parenti o amici. Rientriamo all’ Ann Heritage Lodge , il nostro albergo sul lago Inle, dopo una lunga e impegnativa giornata. Dopo cena ci sediamo sulla terrazza del ristorante per ammirare il lago di notte, approfittando della mancanza di zanzare. Questa sera c’è luna piena e quindi molte barche continuano a sfruttare la luce lunare per navigare e diffondere il rombo dei loro motori su tutta la vallata. Dormiremo lo stesso, senza l’ausilio dei tappi per le orecchie.

Foto 162 - Controluce sul lago Inle

A livello sociale ogni birmano di sesso maschile, nel corso della propria vita è tenuto a trascorrere due periodi in monastero, una prima volta in qualità di samanera (novizio) tra i 10 e i 20 anni, e una seconda come hpongyi (monaco che ha preso i voti) dopo i 20 anni. Praticamente tutti i giovani sotto i 20 anni partecipano alla cerimonia dello shinpyu (noviziato) che consiste nel “prendere l’abito monacale e la ciotola per le

elemosine”. Tutto ciò che un monaco possiede deve provenire, in forma di dono, dalla comunità dei laici. Al momento della propria ordinazione, ogni monaco riceve tre tonache (inferiore, interna e esterna). Le tonache di colore rosso vivo sono riservate ai novizi sotto i 15 anni, mentre le più scure sono indossate dai monaci che hanno formulato i voti definitivamente. Tra i pochi oggetti che un monaco può possedere figurano un rasoio, una tazza, un filtro (per eliminare gli insetti dall’acqua), un ombrello e una ciotola per le elemosine.

Le donne possono anch’esse partecipare alla vita monastica in qualità di dasasila (ossia “monaca dai 10 precetti”, spesso chiamate anche thilashin (che “possiedono la moralità”). Le monache birmane si rasano la testa, indossano tonache di colore rosa, e prendono i voti nel corso di una cerimonia simile a quella degli uomini. Il generale, tuttavia, il monachesimo femminile è ritenuto meno prestigioso rispetto a quello maschile: ciò è in gran parte dovuto al fatto che le monache non compiono cerimonie a favore dei laici e seguono solo 10 precetti, ossia tanti quanti i novizi maschi (LP,372). 112

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IL SORRISO DELL’ETNIA PA-O

(27-12-2016, secondo giorno su Lago Inle)

Foto 163 - Ragazza di etnia pa-o (foto di Helene Weifner)

Sveglia alle ore 9.00 perché oggi è domenica e tutti vogliamo dormire un po’ di più, compresi Maw e il nostro autista. Dopo colazione facciamo una passeggiata, nell’attesa dell’arrivo della nostra barca, tra i pontili che collegano i vari lodge del nostro albergo, sopra le calme acque lacustri, cosparse di verdi rilucenti foglie di loto e di grandi fiori bianchi. La luce è perfetta per splendide foto, il sole non è ancora rovente e ci abbronza teneramente, le zanzare se ne sono andate a dormire, abbiamo fatto l’abitudine al ronzio dei motori della barche, insomma l’atmosfera è ideale per una romantica passeggiata sul legno dei pontili.

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Foto 164 - Palafitta sul lago

L’esplorazione lacustre di oggi prevede di lasciare la piatta ampiezza dell’invaso principale e di avventurarsi in un canale secondario, più tortuoso, con frequenti piccole rapide, dovute a basse dighe artificiali fatte con tronchi di bambù e foglie intrecciate. In alcuni punti lo spazio per passare è quanto la larghezza della barca, il nostro abilissimo pilota vi passa in mezzo senza rallentare e senza la minima incertezza. La profondità del canale non è molta, più o meno un metro.

Foto 165-166-167 - Sui canali ci si lava e si lava di tutto

Lungo l’argine, parallelo al canale, c’è un sentiero in entrambi le direzioni; ogni tanto incontriamo un uomo o una donna che camminano da soli. Frequenti i microscopici moletti, fatti con due o tre assi inchiodate e qualche tronco conficcato sul letto del canale. Servono per l’attracco delle barche, ma più spesso le donne accucciate lavano i panni con l’acqua torbida di marrone del fiume. Quando s’incontra la chiusa, se si deve salire, il pilota dà il Ovunque è costeggiato da fitta e rigogliosa massimo del gas, fa il salto alzando l’asta con l’elica, vegetazione, interi boschi di bambù alti anche tre per poi riprendere la corsa appena superata la chiusa. metri, con tronchi molto grossi e verdi. Alberi tropicali Un’operazione banale, ma credo ci voglia un po’ di isolati, con degli ombrelli fogliari enormi e grandi abilità per farla senza intoppi come fanno tutti i piloti radici che escono dalla terra si abbarbicano a distanza di queste acque. A scendere è più facile, basta alzare anche di molti metri dall’alto tronco, guardandoli mi l’asta dell’elica e lasciarsi trasportare dalla corrente, è chiedo come possano sostenere il massiccio albero. più divertente perché si sobbalza come se si fosse al luna-park. Anche in questi canali secondari c’è un gran traffico di barche di turisti e di locali. Occorre stare

114 all’erta soprattutto perché le barche sono molto lunghe e non è facile avere spazio incrociandosi in curva oppure in prossimità delle chiuse. I piloti, come ho già fatto notare, sono preparati e non commettono mai nessun errore.

Arriviamo al Sae Ma Village, scendiamo dalla barca e proseguiamo a piedi sul pianeggiante sentiero sterrato, più o meno per un chilometro. Noi siamo perfettamente attrezzati con scarpe da trekking, Maw invece indossa le infradito, ma non mostra nessuna difficoltà nel proseguire sul largo sentiero polveroso, che costeggia il fiume, che qui è al centro della vita del villaggio, ci si fa più o meno tutto, come lavare i motorini o le mucche, o farsi un vero e proprio bagno con tanto di shampoo. Foto 170 - Trasporto foglie di pannocchie di mais per sigari

popolazione del Myanmar è contadina, pertanto la vita nelle campagne segue il ritmo della lavorazione dei campi e il ciclo delle stagioni. La politica dei generali di Yangon e i sogni di modernizzazione e benessere, che abbiamo visto nei monitor degli aeroporti, si impantano nelle acque dei fiumi o dei laghi ingigantite dalle piogge tropicali, o si bruciano al polveroso sole cocente della stagione secca.

Incontriamo un gruppo di una decina di uomini all’interno di un vasto bosco di bambù. Maw chiede spiegazioni: un uomo deve costruirsi la casa e quindi è in questo bosco con un gruppo di volontari che lo aiutano a tagliare i tronchi e a trasportarli. Vengono tagliati non con la sega, ma con una specie di affilato machete, che richiede qualche preciso colpo per abbattere il grosso tronco. Poi i tronchi vengono adagiati sull’acqua del fiume e riuniti in gruppi di una decina per essere trasportati verso il villaggio. Notiamo anche un altro particolare modo per trasportare il bambù: i tronchi, lunghi anche diversi metri, vengono adagiati sul pianale di un furgone, la cui lunghezza non riesce a contenerli per intero; per almeno 3-4 metri restano fuori del pianale, poggiati Foto 168 - Contadina di Etnia Pa-o per terra. Il camion li trascinerà, lasciandoli scorrere Procediamo paralleli ad assolati campi di lungo la strada. girasole, di banane, di sesamo, è questa zona agricola Il sentiero collega due villaggi quindi è e non turistica. Possiamo osservare l’autentica vita del piuttosto affollato di persone e animali magri e contadino birmano, delle donne con i loro piccoli nel rachitici (cani e mucche). Le donne trasportano sulle marsupio, dei tagliatori di bambù. Oltre il 70% della loro teste borse colme di tutto, oppure grandi fasci di 115 legna da ardere; sulle loro schiene bimbi dormienti all’interno di grandi foulard piegati in modo da formare un comodo marsupio. Sono cariche fino all’inverosimile, percorrono chilometri sotto il sole, coi loro lunghi longyi e le loro ciabattine infradito.

Non riesco a resistere a fotografarne una che ha la borsa in testa, una specie di pala di bambù nella mano sinistra, un altro attrezzo per l’agricoltura nella mano destra, e il suo piccolo di qualche mese che dorme nel marsupio. Percorrerà a lungo il sentiero per poi deviare e attraversare i campi sotto il sole abbagliante, riparata dal suo cappello di bambù a larghe tese, copricapo che qui più o meno hanno tutti, uomini e donne.

Troviamo un vecchio che trasporta, legato ad una canna di bambù appoggiata sulla spalla, un blocco di foglie secche di pannocchia di granturco, con le quali si fanno i grossi sigari birmani che fumano nei villaggi di campagna, soprattutto le donne, mentre gli uomini preferiscono i più forti e piccoli cheroot. Foto 169 - Casetta degli Spiriti

Spesso incontriamo dei gruppi di uomini che, con i cesti messi a bilanciere alle estremità di tronchi di bambù poggiati alle spalle, trasportano ogni tipo di merce, per il sostentamento alimentare dei vari villaggi. Da questi sentieri non riescono a passare né camion, né furgoni e quindi i trasporti si fanno con la forza delle gambe e delle braccia.

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Foto 171 - Campi vicino al Villaggio di Sae Ma

Le esportazioni di beni sono aumentate in Myanmar a un ritmo sostenuto con un tasso di crescita medio annuale dell’11% tra il 2011 e il 2014, lievemente superiore a quello dei tre anni precedenti. Le esportazioni birmane continuano a essere concentrate nei prodotti primari, fra cui predomina il gas naturale (40% del totale) seguito dalla giada, articoli di abbigliamento e prodotti agricoli, mentre si assiste a un crollo delle esportazioni di legname dovuto a una nuova legislazione molto restrittiva in tema di salvaguardia ambientale. Il Paese ha appena iniziato a espandersi nelle esportazioni di manufatti, un segnale della scarsa e tardiva integrazione del Myanmar nella catena globale del valore. I partner commerciali sono anch’essi tuttora poco numerosi e si concentrano nei paesi limitrofi, soprattutto Cina e Thailandia con una quota complessiva del 70% delle esportazioni, come conseguenza delle sanzioni imposte dall’Occidente fino a tempi recenti.

Un altro fattore di dinamismo dell’economia birmana è il turismo, che ha registrato una forte espansione. Gli arrivi di turisti sono più che triplicati dal 2011 raggiungendo la cifra di 3 milioni nel 2014. In parallelo, gli introiti in divisa estera derivanti da questa attività nel 2014 sono stati di circa 1,6 miliardi di dollari, sei volte superiori di quelli del 2011, ed equivalenti a circa il 14% delle esportazioni di beni. Un altro indicatore molto rilevante per osservare gli effetti della recente apertura del Myanmar al mercato finanziario globale è rappresentato dagli afflussi di investimenti diretti esteri (IDE), che mostrano una decisa tendenza espansionistica con oscillazioni di breve periodo spiegabili con la presenza di grandi progetti infrastrutturali che provocano dei picchi negli investimenti in anni specifici. Si nota infatti, dai dati forniti dall’UNCTAD, che il volume di IDE nel 2014 è stato più che triplo rispetto al periodo 2005-07, ma tuttavia equivalente a solo il 6% degli investimenti totali del Myanmar, a fronte di una media del 20% per i Paesi dell’Asia sudorientale. che recentemente hanno maggiormente attratto gli investitori esteri sono gli idrocarburi, le telecomunicazioni, l’alberghiero, e il manifatturiero (soprattutto il tessile). Malgrado i segnali molto positivi sul versante degli IDE, secondo il rapporto della Banca Mondiale Ease of Doing Business 2016, il Myanmar si classifica al 167° posto su 187 paesi per quanto riguarda la facilità di fare impresa e occupa l’ultima posizione fra le nazioni dell’ASEAN e la penultima nell’area dell’Asia orientale e del Pacifico. Nonostante i notevoli progressi economici, il Myanmar rimane la nazione più povera dell’ASEAN in termini di PIL pro capite, a eccezione della Cambogia. Il 37% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, e i tre quarti dei poveri sono concentrati nelle zone rurali. Il Myanmar si trova attualmente al 150° posto nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano (ISU) stilata dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), appartenendo alla categoria dei Paesi a basso sviluppo umano, mentre altre nazioni meno progredite dell’ASEAN, come la Cambogia, il Laos e il Vietnam, sono nel gruppo di Paesi a medio sviluppo umano. Tuttavia, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è relativamente bassa, confrontata con quella dei Paesi vicini. Rivista RISE (Relazioni Internazionali e International political economy del Sud-Est asiatico), numero 1, gennaio 2016.

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Continuiamo la nostra camminata lungo fiume e arriviamo ad una palafitta. Non è sull’acqua, ma ora è periodo di siccità, probabile che nella stagione delle piogge qui sia tutto allagato. Il padrone di casa scende, ci viene incontro sorridente e ci invita in casa a bere un tè. Il tutto è stato precedentemnete organizzato da Maw, ma questi sono veri abitanti del luogo, coi i loro longyi, le loro palafitte in bambù, la loro casa priva di mobili. È in programma una visita al vicino agglomerato di case dove si cucinano e si mettono ad essiccare delle specie di ciambelle secche, fatte con amido di riso. Prima però dobbiamo approfittare dell’ospitalità del capo-villaggio e saliamo nella sua casa.

Foto 172-173-174 - Produzione di croccanti sfogliatine

Ci accoglie un giovane che si presenta come figlio del boss e un bambino che è il nipote. Notiamo l’assenza di donne, strano perché di solito in casa ci sono le donne e non gli uomini. Ci spiegano che sono tutte a fare i crackers all’amido di riso. Il capo di casa è vedovo e ci mostra con orgoglio la foto della moglie defunta; non è una bella donna, mentre il figlio è un bel ragazzo di 30 anni, sa un po’ d’inglese perché lavora in Thailandia. Il nipotino ha 10 anni ed è molto timido, resta praticamente sempre attaccato al padre, anche se ci guarda e ci

sorride. Il vecchio ci invita a sedere sul “tappeto buono” e ci offre un bicchiere di tè. Helene è titubante, viste le condizioni di pulizia del bicchiere, ma alla fine ne assapora un paio di sorsi. Ci portano un cestino con alcuni dei famosi cracker all’amido riso, sottilissimi dischi bianchi di una ventina di cm. di diametro. Sono buoni, sembrano le “nuvolette di drago” cinesi e come quelle si attaccano al palato, creandoci difficoltà nel deglutire. Il giovane capisce il nostro disagio e allora porta una ciotola, piena di olio che sembra quello della macchina da cucire, sul quale intingere le sfogliatine. Helene con discrezione rifiuta, io per dovere d’ospitalità faccio l’eroe, e mi pappo l’intera sfogliatina intrisa d’olio. Seduti per terra, mangiamo questi prodotti locali, ridiamo e scherziamo con questa ospitale 118 famiglia birmana, con naturalezza e spontaneità. Comunichiamo a gesti e atteggiamenti, Maw s’impegna nella traduzione, anche se il dialetto di queste parti è diverso dalla lingua che si parla a Yangon. Forse risultiamo simpatici perché i padroni di casa ridono e si divertono. La cucina è praticamente un angolo con una serie di pentoloni e tegami poggiati sul pavimento, intorno a una specie di fornello a carbone. Nella camera da letto, una stuoia per dormire, un grande altare con molte immagini sacre del Buddha, e anche uno più piccolo per le preghiere ai nat e le immancabili numerose foto dei parenti.

Foto 175 - Venditrici Etnia Pa-o

Foto 176 – Bimbi del Sae Ma Village

Lasciamo la palafitta, passiamo davanti alla casetta degli spiriti34 e, accompagnati dal vecchio, andiamo in una zona vicina dove ci sono alcune baracche, all’interno delle quali le donne sono impegnate a preparare le sfogliatine. Un impasto di amido di riso, acqua e calce (proprio calce, che serve per non farle spezzare e siano quindi trasportabili); vengono cotte una a una su piastre di metallo con coperchio; dopo vengono messe a essiccare sulle stuoie di bambù al sole; ce ne sono molte sparse un po’ dappertutto, ogni stuoia ne contiene una cinquantina; successivamente vengono

34 Un po’ in tutta la Birmania, come nel resto del sud-est asiatico, si costruiscono queste case perché si pensa che il luogo potrebbe essere abitato da spiriti e non si sa se buoni o cattivi. Sono costruite in varie dimensioni, da piccole a veri e propri palazzi, sia di legno che in muratura. A seconda della grandezza o del tipo di costruzione possono attrarre o respingere vari tipi di spiriti. E’ usanza comune lasciare delle offerte alla casa degli spiriti (fiori, cibo, ecc.)

119 riprese una a una per una seconda cottura, su una piastra sopra il fuoco contenente della sabbia per “gonfiarle” e renderle più croccanti. Infine vengono pazientemente sistemate in grossi cesti di bambù e trasportate al mercato per essere vendute.

Salutiamo, con una lunga serie di inchini, il vecchio boss che ci ha accompagnato nella visita e, dopo aver oltrepassato un cimitero di monaci con le lapidi accanto a una discarica, visitiamo il monastero Nga Phae Gyaung che una volta era detto “dei gatti saltanti”. Il monaco successivo a quello fondatore ha proibito la pratica del salto del gatto, per non maltrattare gli animali. Tutto in legno di teak antico (1843), originariamente era stato interamente costruito senza utilizzare chiodi, ma solo legni a incastro. I successivi restauri sono stati invece fatti utilizzando chiodi di ferro.

Nel ristorante dove ci fermiamo, per la prima volta da quando siamo in Birmania, veniamo importunati dai cani randagi e assaliti da bambini venditori. I cani sono della razza che si trova in tutto il paese, con il manto marrone chiaro; vagano fra i tavoli in cerca di cibo, finché qualche bimbo Foto 177 - Tagliatore di bambù cade nell’irresistibile trappola e dà loro da mangiare, legandosi senza scampo per tutta la durata del pranzo agli occhi imploranti e alla bocca aperta del cane in attesa del cibo. Il gruppo dei bambini, nel quale ci sono anche un paio di ragazzine più grandi, vendono sciarpe coloratissime, che si sono legate a turbante sulla testa. Sono di etnia Pa-o, hanno una determinazione e una pazienza nell’aspettarci degna di essere premiata. Se dal tuo tavolo al ristorante incroci il loro sguardo per un attimo, immediatamente sventolano la loro mercanzia, accompagnata da un seducente sorriso, nella speranza che tu compri loro qualcosa. Helene fa ripetuti cenni di promessa. Accanto alla lampada sopra il nostro tavolo, così come in molti altri, ci sono sacchetti di plastica trasparente pieni d’acqua, attaccati al soffitto con un filo. Mi chiedo a cosa servano. Maw spiega che tengono lontane le mosche. Probabilmente, dato che la brezza li fa girare Foto 178 - Ciabattine del monaco lentamente, i riflessi della luce spaventano gli insetti. Ipotesi personale, non suffragata dalla nostra guida. Le mosche comunque ronzano lo stesso 120 numerose intorno a noi, forse perché non c’è vento. Quando stiamo per andarcene, veniamo subito circondati dal gruppo dei bimbi venditori, manteniamo la promessa e compriamo un sciarpa da una ragazzina, scontentando tutte le altre che protesteranno rumorosamente. Riportiamo la calma sistemandoci tutti insieme sorridenti per una foto ricordo, poi ce ne andiamo, ma il gruppo continua a inseguirci lungo la strada. Una si avvicina e ci implora di comprarle qualcosa perché ancora non è riuscita a vendere niente a nessuno. Con fatica e dispiacere resistiamo alle lusinghe.

In molte abitazioni l’immagine del nat è costituita da una noce di cocco agghindata con un gaung baung (turbante rosso), che rappresenta il nat dalla duplice natura Eindwin-Min , (“signore della grande montagna che risiede nella casa”). Un’altra diffusa forma del culto dei nat si esprime attraverso nastri rossi e bianchi legati allo specchietto retrovisore o sul bagagliaio della macchina.

Questi colori sono infatti le tinte tradizionali dei nat protettori. Alcuni nat guardiani dai tratti animistici più marcati rimangono fuori dalle abitazioni e dalle paya. Per esempio, ai piedi di un vecchio albero particolarmente venerato, magari accreditato di particolari poteri sulla zona circostante, può trovare spazio un santuario dedicato al nat degli alberi. Simili costruzioni sono frequenti soprattutto ai piedi dei baniani (Ficus Religiosa) di grandi dimensioni, dal momento che questi alberi sono venerati come simbolo dell’illuminazione del Buddha.

Nelle comunità rurali è possibile trovare ei tempietti nei boschi dedicati agli spiriti guardiani dei villaggi; questi santuari sono spesso semplici strutture in legno o di bambù grandi quanto la casetta di una bambola, la cui esatta collocazione viene divinata dal locale saya (maestro o sciamano), esperto nel trattare con gli spiriti. La conoscenza del complesso mondo dei nat è poco radicata nelle nuove generazioni.

Per i birmani la possessione spiritica, vuoi per suggestione psicologica, vuoi a causa degli agenti soprannaturali, è una realtà concreta. I birmani non temono tanto che gli spiriti gettino la rovina sulla loro vita quotidiana,ma piuttosto che prendano possesso della loro mente o del loro corpo, inducendoli a comportamenti irrazionali in pubblico ( LP, 374)

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Riprendiamo le visite, giungendo al villaggio di Indein, detto “la collina dei mille stupa”. Non sono di grandi dimensioni, costruite nell’arco di 500 anni, dal XIV al XVIII sec., la maggior parte in rovina perché abbandonate. Prima di giungere alle stupa, passiamo sotto un lungo porticato delimitato da colonne, con svariate sarabande di venditori ambulanti che, tra paccottiglia per turisti disattenti, possono anche offrire oggetti ben fatti e di pregio (soprattutto tessuti, lacche, arazzi, marionette). Si presume che il tempio di Shwe Indein raggruppi oltre 1600 stupa. Cumuli di massi e di pietre, formati dalle macerie delle stupe crollate, fanno da contorno a quelle ancora in piedi, aggredite dalla vegetazione, grandi alberi o tappeti di muschi, erbe e foglie; alcuni alberi hanno poggiato le loro radici sulle stupa e s’innalzano con i loro tronchi avvolgendole. Le loro fronde circolari sbocciano in cima formando un verde ombrello, al posto delle punte dorate. La natura che vince sull’opera dell’uomo, sono immagini stupende e non risparmio i miei scatti fotografici. Il colore marrone ruggine dei mattoni a vista di quelle in rovina, contrasta nettamente con il bianco accecante, che risplende in questa meravigliosa giornata di sole, di quelle nuove o restaurate a calce. Il bianco pieno delle pagode nuove si staglia sul blu profondo del cielo in un contrasto cromatico unico e affascinante.

Foto 179,180,181,182,183,184 - Indein

È la tappa successiva quella che si rivelerà uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Birmania. Proseguo da solo, Helene non sta bene e ha rinunciato per il troppo caldo. Percorro una lunga scalinata coperta che risale la collina e mi porta alla Shwe Inn Thein Paya, un eccezionale complesso di 1054 zedi, costruiti tra il XVII e il XVIII ma quasi tutti restaurati e dorati. Fortunatamente il vento spira con decisione, può così agitare le migliaia e migliaia di piccole campanelle attaccate alla sommità degli zedi. I loro leggerissimi batacchi, fatti di una semplice lamella metallica dorata, come foglie si agitano al minimo soffiare di brezza. L’effetto sonoro credo sia unico al mondo, un’esperienza sensoriale uditiva assolutamente da non perdere. Decido di tornare in basso a riprendere Helene perché non può perdersi lo spettacolo. Avevo ragione: nonostante il disturbo fisico che le intorpidisce i sensi, resta estasiata. Le campanelle, di varie grandezze, intonano melodie a ogni soffio del vento, sempre diverse perché il vento non tira nella stessa direzione e con la stessa intensità. È una musica incredibile, leggera e soave, si potrebbe stare ore in silenzio e immobili a ascoltarla senza annoiarsi. 123

Torniamo verso l’imbarcadero, passando tra varie bancarelle e venditori di souvenir. Qui ce ne sono veramente tanti, organizzati e aggressivi, con prezzi non sempre accettabili. La nostra attenzione è stata catturata da un gruppo di giovani donne di etnia pa-o che hanno steso un telo per terra, tra le stupa in rovina, sotto l’ombra di un grande banano. Vi si sono accovacciate e hanno esposto le loro mercanzie, più che altro frutta (mango e papaya). Hanno tutte degli splendidi sorrisi, felici con i loro piccoli in braccio, ridono e scherzano tra loro, senza costringerci a comprare nulla come fanno gli altri. Helene riesce a catturare al volo con il cellulare il sorriso di una giovane pa-o che resterà per sempre impresso nella nostra memoria, come simbolo della felicità e della semplicità di questa etnia.

Rientrati al nostro albergo sopra le tranquille acque lacustri, prima di cena prendiamo una Myanmar Beer nell’ampio salone del primo piano dell’Ann Herotage Lodge . Decidiamo di non cenare, siamo un po’ stanchi, Helene ha la sua fastidiosa allergia. Andiamo a letto presto.

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Foto 185,186 - Shwe In Tain Paya

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IL RIPOSO SOPRA I FIORI DI LOTO

(28-12-2016, terzo giorno sul lago Inle)

Foto 187 - Maye Ni Gone Village

Oggi, come da programma, ci godremo il nostro “all day at leisure” all’Hotel sul lago Inle. Il nostro lodge è una palafitta sul lago, sopra un mare di foglie di loto e alcuni grandi fiori, che galleggiano con le loro corolle al sole mattutino. Ci piace pensare che vi abbiamo dormito sopra. Ci siamo svegliati presto, nonostante la giornata libera, per via del frastuono delle barche a motore che sfrecciano su lago in ogni direzione. Ci consoliamo con una ricchissima

126 colazione, in un ambiente molto spazioso, elegante, raffinato, pulito. Questo albergo è lussuoso e molto confortevole, ma soprattutto gode di una vista fantastica sul lago Inle.

Foto 188 - I due sistemi di propulsione per le barche del Lago Inle

importanza nell’economia familiare, soprattutto per il fatto che si prenderanno cura dei genitori quando diverranno anziani. Non tutte le case di campagna hanno l’energia elettrica e l’acqua corrente, abbiamo visto pochissime antenne della televisione, pochi generatori elettrici, qualche pannello solare.

Percorriamo a piedi il sentiero che costeggia il corso d’acqua, tra risaie, qualche campo di canna da zucchero, banani e grandi alberi di mango. Le donne del villaggio sono tutte impegnate nella produzione delle sfogliatine croccanti, ma qui sono fatte con farina di fagioli e quindi sono colore bruno rossastro. Foto 189,189,190,191,192,193,194,195 - Maye Ni Gone Vengono lasciate a seccare sulle stuoie di bambù, Village alcune delle quali lungo il sentiero sterrato, subendo infarinate di polvere, se passa un motorino o un Seguiamo il consiglio della nostra guida Maw motocarro. Il canale è attraversato da piccoli ponti e in mattinata facciamo una passeggiata fino al vicino fatti di assi di legno inchiodate tra loro; è l’unico modo villaggio Maye Ni Gone. È un povero agglomerato di per collegare le due rive, dove si trovano le case. A un modeste case di contadini e di pescatori, adagiato ai certo punto ci troviamo davanti un bel ponte in lati del canale che lo collega al lago. Di solito in mattoni, un grande piazzale, con alberi di frangipane Birmania, le case dei villaggi non sono molto grandi, con i grandi fiori in piena sbocciatura e siepi ben ma all’interno possono trovarvi riparo anche diverse tenute. Non possiamo che trovarci davanti a un generazioni. Le nascite dei bambini sono occasione di monastero, la ricchezza e pulizia del quale contrasta grande gioia, sia maschi che femmine. I primi sono con la povertà di tutto il resto del villaggio. coccolati di più, ma anche le seconde hanno grande 127

Entriamo e abbiamo la fortuna i trovare un gruppo di giovani monaci in piena attività. Hanno finito di studiare, si accingono a pregare per qualche minuto, rannicchiati sulle gambe davanti a varie statue del Buddha con le mani giunte e i gomiti appoggiati sulle ginocchia, per poi andare a mangiare. Un vecchio è seduto da solo in anziani e poi quelli da 5 o 6 posti, con i giovani o i mezzo al pavimento, immobile e in silenzio. È preso ragazzi. Mangiano in totale silenzio, con movimenti d’assalto da alcuni turisti coreani che lo mitragliano di scatti con i loro potenti teleobbiettivi. Gatti ovunque, la maggior parte dei quali sonnacchiosi e rannicchiati. Le stanze dove dormono i monaci sono

visibili, possiamo osservare tutti i loro averi, vestiti e oggetti personali, sparpagliati ovunque sul pavimento o appesi in bastoni fissati alle pareti. In posizione dominante nella sala principale, un grande dipinto con il ritratto del monaco fondatore del monastero. Su grosse lavagne nere sono appuntati i nomi dei donatori e delle cifre che hanno elargito. Troviamo il refettorio con i monaci accoccolati per terra davanti ai loro bassi tavoli circolari. Un tavolo da due con i più lenti, facendo attenzione a non far rumore con le posate sui piatti. Ciotole di riso bianco, insalata verde e un bicchiere di tè; da una parte della grande sala, immersa nella penombra perché le finestre sono socchiuse e lasciano trapelare solo qualche lama di luce, un lungo tavolo rettangolare davanti al quale sono accovacciate tre donne, che hanno portato il mangiare offerto ai monaci. Sul tavolo c’è ancora molto cibo disponibile. Quello che mi colpisce, durante la nostra penetrazione discordante in questo luogo, è il silenzio che regna ovunque, in ogni ambiente. Anche

128 durante la lezione, nessuno ha parlato, gli allievi si sono limitati a ricopiare sui loro quaderni ciò che il maestro ha scritto sulla lavagna. Durante il pranzo la conversazione forse è proibita, il silenzio è davvero irreale, abituati come siamo alle nostre ciarliere abbuffate a tavola. Forse, quasi un apparente controsenso, il momento meno silenzioso è quello della preghiera, ritmata da nenie continue, ripetute e monotone, per noi assolutamente incomprensibili. Disciplina, silenzio, concentrazione, meditazione, armonia tra ambiente esterno e stato d’animo interno. Anche i gatti se ne stanno silenziosi e immobili in un anno o due, stanno mangiando dalle loro gavette questi luoghi. metalliche, che hanno portato con i panierini in plastica, che avevo anch’io quando andavo all’asilo.

Sono tutti molto cordiali, sorridenti, allegri, si lasciano fotografare senza problemi. Lasciamo una piccola Lasciato il monastero, troviamo poco più avanti, una offerta in Kiats che un bimbo corre a strappare dalle scuola elementare. Chiediamo il permesso di nostre mani appena riceve l’autorizzazione dalla Foto 196,197,198,199 - Monastero di Maye Ni Gone maestra.

Uno degli aspetti più attraenti della bellezza di tutte le donne birmane, compresa la nostra guida, è la lucentezza dei loro serici capelli neri. Abbiamo chiesto a Maw quale fosse il segreto cosmetico, ci ha tolto il dubbio di fronte a uno dei tanti sacchettini di plastica con il prodotto che si trovano qua e là appesi nelle bancarelle di tutti i mercati.

Il TRADIZIONALE SHAMPOO ALLE ERBE BIRMANO, si ottiene facendo bollire la corteccia di un arbusto conosciuto come tayaw con i neri avvicinarsi, quattro giovani maestre ci invitano con i baccelli dell’ acacia kin pun. La corteccia ha proprietà loro sorrisi. Un gruppo di una quindicina di bambini, di balsamiche e deve essere più sottile possibile, per essere non più di 5-6 anni di età, alcuni addirittura di appena maggiormente assimilabile, mentre i semi agiscono come uno shampoo detergente. Le donne birmane sono orgogliose delle loro acconciature che rappresentano un aspetto molto importante del loro fascino naturale e non sofisticato. 129

Foto 200,201,202 - Scuola elementare di Maye Ni Gone

La “spa” di questo albergo non è altro che un Rientriamo in albergo e pranziamo al lodge come tutti gli altri, attrezzato per i vari ristorante interno. Insalata di papaya e cavolo tagliato trattamenti. La ragazza della reception e la terapista a listarelle, pollo fritto con rafano, omelette con vengono a prendermi in camera per accompagnarmi banana e sughetto, dolce al cocco, un ottimo dessert.

Pomeriggio di totale relax con sessione di massaggi. Valutiamo alcune proposte nella brochure che troviamo in camera: Helene decide per un Mnyanmar traditional oil free massage ($25), io preferisco un più energico Thay traditional Oil free

massage ($ 25). Ho sentito cose molto attraenti sui massage-room. Indosso soltanto l’accappatoio e le massaggi thailandesi, voglio provarci. Il mio turno è mutande, ai piedi gli infradito; sulle prime mi sento un alle 16.00 e Helene farà la sessione delle 17.00, po’ a disagio, in imbarazzo. La ragazza è giovane e quando rientreremo in camera e ci racconteremo molto carina, con lunghi capelli neri raccolti a coda di come è andata, scopriremo che la massaggiatrice ci ha cavallo, come tutte le ragazze birmane. fatto a entrambi esattamente lo stesso tipo di massaggio.

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rilassarmi e stare bene. Passa poi alle gambe, ai polpacci, mi piega con troppa energia le gambe e sono costretto a dirle, a gesti, di non forzare sul mio ginocchio malandato. Le faccio vedere le cicatrici dell’operazione ai legamenti e sorride di comprensione. Sono bocconi, non posso godere della vista della sua giovanile bellezza, mi pregusto già il momento in cui mi massaggerà davanti e mi farà girare e potrò così vedere il suo bel viso, i capelli nerissimi e soffici, le dita lunghe, con lo smalto rosso alle unghie. Lavora con forza sulla schiena, poggiandosi con le sue ginocchia e premendo, ma alterna anche carezze di estrema dolcezza. A volte sento dolore ma è sopportabile e non dico niente per non passare da rompiscatole. Sono consapevole che il massaggio thailandese è per palati forti. Lei però percepisce il mio disagio, si ferma mi dice qualcosa in un inglese per me incomprensibile, la rassicuro che tutto è ok e il massaggio riprende. Si ferma, mi dice qualcosa che non capisco, intuisco che devo girarmi. Mi metto a faccia in su e sono felice di poterla adesso Parla inglese ma non capisco quasi nulla, così guardare mentre lavora sopra di me, ma non mi dà il comunichiamo a gesti e sorrisi. La stanza è tempo di gustarmi la sensazione di eccitazione che mi esattamente come tutte le altre dei vari lodge, con poggia delicatamente un asciugamano sugli occhi e due lettini con sopra le zanzariere. Appena entrato praticamente mi benda. Accidenti non vedo niente, nella stanza, metto mano alla cintura dell’accappatoio vorrei protestare ma non lo faccio perché non saprei per togliermelo, ma lei con gesto deciso, mi blocca; mi come dirglielo in inglese. Chiudo gli occhi e mi offre un tè che bevo seduto su una poltrona di vimini concentro sulle sensazioni tattili che percepisco dal da solo, mentre lei prepara il lettino. Mi piace contatto delle sue mani e del suo corpo, attraverso lo starmene qui seduto, davanti a un finestrone che ti spesso strato di spugna dell’accappatoio e offre la vista del Lago Inle, in silenzio perché il mio dell’asciugamano. Per 25 dollari merito qualcosa di inglese è da impacciati, quasi mi dimentico che sono meglio, ma accontentiamoci. Mi ripaga in parte qui per farmi un massaggio. È lei a ricordarmelo quando mi massaggia le dita delle mani con le sue, una presentandosi davanti a me con un sorriso invitante. sensazione piacevolissima, come quando lavora alla Non ho ancora finito il mio tè, lo ingurgito in un solo testa e sul collo. Tento di guardarla dalla fessura che si sorso. Mi alzo e vado di fronte al lettino, chiedo di è creata sulla mia benda, la intravedo, ma lei se ne nuovo se posso togliermi l’accappatoio, mi giunge un accorge subito ed esce dalla mia visuale, con un gesto nuovo gentile sorriso di diniego. Mi fa distendere su di superiorità femminile. Ha ragione, questo non è un lettino, non solo con l’accappatoio addosso, ma mi bordello di Bangkok. Finalmente mi toglie la benda, mi mette addosso anche un telo di spugna, coprendomi fa mettere a sedere sul lettino, lei si mette dietro e mi tutto il corpo. Delusione profonda e crollo del mito del massaggia la schiena, ma anche adesso non posso massaggio thailandese. guardarla.

Sono a pancia in giù, con la testa poggiata su un cuscino troppo alto e non sono proprio rilassato. Comincia dalla pianta dei piedi, lavora molto bene la ragazza con le sue dita piccole, ma forti che si insinuano tra le dita dei miei piedi. Comincio a

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Foto 203,204,205 - Lago Inle

Il massaggio finale alla schiena è tra le cose più piacevoli di tutta la sessione, perché rilassante, non effettuato con la forza degli altri movimenti che ha fatto fino a questo momento. Poi improvvisamente si ferma, si mette di lato in piedi, con le mani dietro la schiena e mi fa un inchino. La sessione di massaggio thailandese per cieco è terminata, sorrisi di saluto e me ne torno, un po’ deluso, alla mia camera per dare il cambio a Helene. Mi rendo conto che questo tipo di massaggio, dato che si fa con alcune parti del corpo della terapista possa essere, soprattutto se è giovane e carina, eccitante e quindi capisco le precauzioni che la ragazza ha preso. Helene mi racconta che le ha fatto lo stesso tipo di massaggio, nelle stesse condizioni di copertura totale tattile e visiva.

Prima di cena prendiamo due Myanmar Beer ($ 4 cad.) seduti di fronte a un finestrone che dà sul tramonto nel lago, una vista molto suggestiva. Ci piace stare qui, in silenzio, a guardare l’acqua del lago, le montagne che lo circondano, le barche che lo solcano. Poi la fame ci scuote. Pochi metri più in là, nello stesso salone, ci sediamo di fronte ad un altro finestrone del ristorante dell’Ann Heritage Lodge. Adesso è buio, fuori non si vede niente, ci concentriamo sul cibo: una papaya salad ($3) per ciascuno, un chicken con verdure ($5), un altro chicken piccante ($6) e finiamo con un pancake alla banana ($2), tutto ottimo, in un ambiente elegante, raffinato, silenzioso, spendendo in totale $19. Rientriamo in camera, le ragazze dell’albergo ci hanno preparato il letto con la zanzariera. Helene ha provato a dormirci ma si sente soffocare e quindi, dato che di zanzare non se ne vedono, la togliamo e dormiamo senza. I tappi per gli orecchi invece li utilizzeremo.

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Foto 206 - Fiore dell'albero del frangipane

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NEL VASTO PANTHEON BIRMANO, U Shin Gyi è il solo che ancora vivo sia stato trasferito da questa terra al mondo dei nat. Egli è spesso rappresentato come uno spirito benevolo che indossa un abito giallo e tiene un’arpa d’oro sotto il braccio. A lui vengono fatte delle offerte sia prima sia dopo un periodo di penitenza e digiuno: generalmente queste consistono di riso cotto, noci e zucchero di cocco, banane, tè e foglie di betel. Nella zona del delta dell’Irrawaddy quasi ogni casa possiede un altare su cui gli abitanti fanno offerte a U Shin Gyi perché la gente che vive lungo le rive del fiume lo ama e lo considera il suo protettore. Tra le molte storie della sua vita, questa è la versione più largamente accettata. Due sorelle delle tribù Mon vivevano in un villaggio vicino a Pegu. Ognuna di loro aveva un figlio, e il figlio della sorella maggiore, Maung Aung, era molto legato al suo giovane cugino Maung Shin. Quando il padre di Maung Shin morì, il giovane e sua madre piombarono in giorni bui, tanto che furono costretti a dipendere dalla benevolenza dei loro parenti in migliori condizioni finanziarie. Maung Shin era desideroso di diventare monaco, ma non sapevano dove trovare il denaro che gli avrebbe permesso di affrontare la cerimonia dell’iniziazione. Lui e sua madre andarono a trovare la zia (la madre di Maung Aung) e chiesero il suo aiuto, ma lei non volle aiutarli. A dispetto della durezza della zia, Maung Shin e Maung Aung rimasero amici intimi e andarono a visitare insieme la Shwe Maw Daw Pagoda. Maung Shin era molto abile nel suonare l’arpa, e con la dolce musica del suo strumento incantava i pellegrini che venivano alla pagoda. Questi, in cambio, ben volentieri gli offrivano qualche moneta; i due cugini spartivano il denaro così ottenuto, e questo era sufficiente per scongiurare la fame. Maung Aung, però, non voleva dipendere dall’abilità del cugino, così andò in giro cercando qualche altra maniera per ottenere da sé di che vivere. Un giorno gli si presentò un’opportunità, e fu lesto ad approfittarne. Una barca era in partenza verso un’isola del delta, dove avrebbe preso un carico di bambù e di giunchi. Ora, il capitano della barca aveva bisogno di qualche uomo in più nel suo equipaggio, perché era a corto di braccia: pareva piuttosto difficile mettere insieme un equipaggio, dato che si diceva che l’isola cui erano diretti fosse abitata da mostri e da spiriti. Maung Aung si offrì di far parte della ciurma, e il capitano fu ben contento di prenderlo con sé. Quando fu il momento di partire, suo cugino prese a insistere per accompagnarlo nel viaggio. La madre fece di tutto per dissuaderlo, perché temeva i pericoli che il figlio avrebbe incontrato e perché aveva sognato dei misteriosi spiriti femminili che venivano a rapirlo. Ma non ci fu nulla da fare: Maung Shin era ostinato e deciso a partire. Lo stesso giorno in cui la barca doveva salpare, al momento di salutare la madre piangente, ella lo vide scivolare sul pavimento di casa: segno certo di cattivo augurio e di una qualche disgrazia in arrivo. Ancora una volta, la donna supplicò il figlio di non andare, ma egli si mise l’arpa sotto il braccio e si imbarcò con suo cugino. La fragile imbarcazione navigò giù per le placide acque dell’Irrawaddy, oltrepassando fitte foreste e meravigliosi paesaggi. Poi, però, si levò una tempesta che spinse la barca fuori della sua rotta, tanto che i vortici minacciavano di trascinarla a fondo. Si capirà quindi la gioia dell’equipaggio quando il capitano portò la barca ad ancorarsi sana e salva presso una piccola isola, chiamata Isola delle Belle Donne. Gli uomini si diedero a tagliare canne e bambù nella giungla vicina, mentre Maung Shin fu lasciato a custodire la barca e preparare il cibo. Per ingannare il tempo, prese l’arpa e cominciò a suonare. La sua dolce musica fu trasportata nell’aria e attrasse un gruppo di spiriti femminili che abitavano in quell’isola: vennero, si sedettero accanto alla barca e lo incoraggiarono a continuare. Quando lui disse che doveva smettere per preparare il cibo per i suoi compagni, le fanciulle lo assicurarono che avrebbero fatto tutto loro. Quando gli uomini dell’equipaggio furono di ritorno con un gran carico di bambù e di giunchi, subito sedettero a mangiare e furono piacevolmente sorpresi a sentire quanto fosse delizioso ciò che era stato preparato per loro. Mentre essi scherzavano sui meravigliosi progressi di Maung Shin in cucina, Maung Aung ebbe un sospetto: che il cugino avesse incontrato qualcuno dei famosi spiriti del luogo? Il giorno seguente i suoi sospetti ebbero conferma, perché osservando di nascosto vide il cugino suonare l’arpa circondato da un gruppo di belle ninfe. La sera, lo prese da parte e gli chiese se avesse avuto visite a bordo. “Delle ragazze sono venute ad ascoltare la mia musica” disse innocentemente Maung Shin. “Ma non sono esseri mortali, fratello mio,” replicò Maung Aung “sono spiriti cattivi. Hai detto loro qualcosa?”. “Sì, ho detto alla più giovane fra loro che l’amo e che resterò qui con lei” rispose Maung Shin. Quando Maung Aung udì questo, fu così sopraffatto dalla paura per il cugino che pianse come un bambino. “Perché, oh, perché l’hai fatto?” gridava, ma Maung Shin non capiva quella sua agitazione. Il giorno seguente Maung Aung si rifiutò di lasciar solo suo cugino e rimase a bordo nella speranza di incontrare le ninfe e pregarle di sciogliere il giovane dalla promessa. Ma quel giorno non venne nessuna di loro; il capitano poi decise che si poteva lasciare l’isola, dal momento che si era procurato un buon carico di giunchi e bambù. Levò l’ancora, ma la barca non voleva muoversi: rimaneva assolutamente immobile, proprio come se delle mani nascoste la trattenessero saldamente. Tutti pensarono che ciò fosse dovuto alla sfortuna di qualche membro dell’equipaggio; tirarono a sorte per scoprire chi fosse e per tre volte la sorte indicò Maung Shin. Invano Maung Aung prese le difese del cugino: il capitano fece legare il povero ragazzo mani e piedi e lo fece gettare fuori della barca. Ma non appena raggiunse l’acqua le ninfe lo afferrarono e lo portarono sulla riva: qui gli altri lo videro seduto e vestito come un nat, mentre suonava serenamente la sua arpa. Era divenuto U Shin Gyi, spirito guardiano e signore di quelle isole. Quando sua madre apprese la triste notizia pianse amaramente e chiese a Maung Aung di condurla all’isola. Appena furono là, U Shin Gyi apparve di fronte a sua madre nel suo aspetto divino e la pregò di ritornare serena a casa; ma se in qualsiasi momento avesse desiderato il suo aiuto ella doveva fare un’offerta di riso cucinato, qualche pezzo di noce di cocco, qualche banana, zucchero, tè e qualche foglia di betel. Le diede pure oro a sufficienza per condurre una vita agiata, e le raccomandò di donare ai poveri e di offrire elemosine ai giovani bisognosi che desideravano diventare monaci. Dopo una triste scena di addio, lentamente la barca lasciò l’isola, con l’affettuosa madre in piedi sulla prua che gettava un ultimo sguardo a suo figlio, mentre questi stava sulla riva con le mani protese verso di lei.

Fonte: MAUNG MAUNG PYE, Tales of Burma, Macmillan & Co., Calcutta 1952, pp. 93-99 ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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Foto 207 - Risaie che costeggiano il lago

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IL RIENTRO SULLA TERRA FERMA

(Dal lago Inle a Yangon, 29-12-2016)

Anche questa mattina ci alziamo con tutta calma perché Maw verrà a prenderci in albergo alle 10.00. Dopo la colazione – more solito – abbondante, facciamo una passeggiata tra i lodge-palafitta dell’hotel, camminando lungo i pontili di legno che li collegano. La giornata si annuncia abbracciata da un sole caldo e pieno, la luce è brillante e forte al punto che siamo costretti a indossare cappelli e occhiali da sole. Grazie alle lenti scure possiamo ammirare i cangianti riflessi delle acqua lacustri, tra le sterminate distese di foglie di loto che galleggiano sotto i lodge; l’acqua riflette i raggi del sole, come diamanti incastonati tra le foglie del loto e i tronchi delle palafitte. Ogni tanto qualche fiore prende, per via del modo particolare del battere del sole, un trasparente colore biancastro. L’acqua ha uno spesso colore giallino, tipicamente asiatico. Restiamo immobili sulla terrazza principale a osservare il lago in attesa della barca di Maw. La vita nel lago è già frenetica, le barche sfrecciano rombanti in tutte le direzioni; se seguissimo il nostro momentaneo desiderio, resteremmo tutto il giorno a lasciarsi ipnotizzare da queste lame di luce.

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Foto 208 - Gli orti galleggianti

ricco e vasto come quello che abbiamo visitato a Pindaya, ma anche in questo ci sono le venditrici delle varie etnie –

arancioni - frequenti intorno al Foto 209,210 - Barche sul lago lago Inle. Espongono non solo Arriva Maw, saliamo sulla barca e diamo un ultimo sguardo di saluto al nostro albergo-palafitta, nel quale abbiamo passato dei momenti di relax e di serenità indimenticabili. La prima visita di frutta, verdura e pesce secco, ma anche gran varietà di piccoli

oggetti per la casa, per la cura del Foto 211,212,213 - Trasporto dei corpo, oltre agli immancabili tronchi sulla strada per Mine Thauk

molte sono donne pa-o, con i loro tradizionali foulard a scacchi questa mattina sulla terra ferma è il mercato a rotazione del villaggio di Mine Thauk. Non è 136 souvenir per i turisti. Maw una gran bella ombra. L’albero sigarette, molto più rare. Una del frangipane che ha perduto le foglie ma presenta stupendi grandi fiori dai petali bianchi.

Foto 214 - Il betel Foto 219 - Essiccazione del tabacco compra delle zolle di terra piccola azienda lavora la canna ferrosa, cotta in forno, che si da zucchero. Alcuni contadini – ci mangia per combattere sono anche donne – raccolgono l’aerofagia. C’è anche la le grosse canne, mozzandole per farmacista, una donna mezzo di larghi machete, con un accoccolata davanti a una distesa certo sforzo, perché hanno un di scatole di medicine, diametro di diversi centimetri. Le ordinatamente disposte per terra canne vengono accatastate nel davanti a sé. piazzale dell’azienda che le lavora, non molto distante dai campi di coltivazione. Qui Alberi di mango un po’ vengono trattate e lo zucchero dappertutto e poi strane orchidee, che si arrampicano sulle fronde degli alberi come fossero degli enormi ragni. È come passeggiare in un giardino botanico naturale, in mezzo alle Foto 215 - La farmacia costruzioni e le attività lavorative Proseguiamo la passeggiata nei dell’uomo. Diverse stuoie distese dintorni del villaggio, tra molti per terra con sopra il tabacco in grandi alberi di ficus e di tamarindo. Sono enormi e fanno

Foto 220 - Pubblicità

liquido si raccoglie in grosse vasche metalliche circolari per poi essere raccolto e venduto. Vediamo anche la costruzione di una casa in bambù a opera del suo proprietario. Ha disposto sul fase di essiccamento, mescolato campo dove sorgerà la casa tutto con altre foglie o fiori, per fare i l’occorrente : i grossi tronchi di sigari, quelli più piccoli, che bambù per la struttura portante, Foto 216,217,218 - Mine Thauk fumano i birmani al posto delle le pareti fatte di foglie di bambù Village Market

137 intrecciato, il tetto sempre di lungo il canale con la barca. Tra i canali collaterali passano solitari contadini sulle piatte barche di legno che quasi si fondono con la fitta vegetazione che galleggia sul lago. Possiamo ammirare anche le tipiche palafitte del Lago Inle, povere abitazioni di contadini o pescatori, niente a che vedere con il lusso dei lodge della zona turistica. Ogni tanto qualche palafitta più moderna, in lamiera Pranzo al Ristorante del villaggio più resistente, tutte molto di Nyaung Shwe del Lago Inle, colorate. non ricordo il nome perché la Foto 224,225 - Shweyan Pyae ricevuta è strappata proprio Kyaung sull’intestazione. Dato che oggi

per me è il Beer Free Day, perché Foto 221,222,223 - Taglio, raccolta ne ho bevuta troppa nei giorni e lavorazione della canna da precedenti, prendiamo due zucchero succhi di avocado, molto buoni e bambù intrecciato. Il proprietario della casa in questo momento sta lavorando da solo, ma presto i vicini o i parenti verranno a aiutarlo e la casa sorgerà in poco Visitiamo il Monastero Shweyan tempo. Pyae, tipico della regione dello Shan, la cui costruzione risale agli inizi del IX sec. Il complesso principale è realizzato completamente in legno di teak, con intarsi finemente lavorati e molti laminati in oro. Le finestre sono ovali, rarità per la Birmania; all’interno numerose statue ed Foto 226 - Shweyan Paya elaborati ornamenti decorativi. Il monastero è una scuola severa e pastosi (1.500 kiats cad.), rinomata in tutta la Birmania per un’insalata con uova e i giovani monaci. Abbiamo la un’insalata di avocado, finiamo fortuna di trovarli accovacciati con dei pancake alle fragole e sul pavimento, con i loro con pine apple (3.000kiats cad.) quaderni aperti, intenti a per un totale di 16.000 kiats + ricopiare ciò che il monaco 800 kiats di tasse, ma alla insegnate scrive su una lavagna. ricevuta non hanno applicato le Niente banchi per gli allievi, e marche da bollo, come fanno in niente cattedra per l’insegnante, altri ristoranti. Continuiamo la visita del villaggio ma solo una sedia, sulla quale è di Mine Thauk proseguendo addormentato un grosso gatto rosso. 138

Foto 227 Mine Thauk Village

Giungiamo all’aeroporto di Heho, per il volo di ritorno a Yangon. Nonostante l’esistenza di alcune apparecchiature elettroniche , l’annuncio del volo è urlato da un addetto che passa in sala d’attesa con un megafono, mentre un suo compare mostra un cartello con il numero del volo scritto a mano. I gates sono quattro, ma è agibile solo il 2, è una porta in legno con una vetrata sudicia, con una piccola maniglia in ottone che ne permette l’apertura a spinta.

Foto 228 - Gabbiani che seguono le barche per ricevere il cibo 139

Accanto alla porta, una colonnina in cui viene fissato il cartello che prima aveva fatto il giro della sala d’attesa imbracciato dall’addetto dell’aeroporto. Il cartello è sempre il solito, quello che cambia è il numero del volo che viene scritto a mano su un pezzo di carta e appiccicato sopra al cartello. Sopra, affissi al muro, due monitor a cristalli liquidi; uno della LG che trasmette pubblicità, immagini turistiche di vita felice in Myanmar, donne e uomini giovani, belli e sorridenti, in perfetta sintonia con i canoni di bellezza occidentali; l’altro della Samsung, inonda la sala di immagini di ieratici monaci che presiedono conferenze, partecipano a dibattiti, inaugurano scuole, circondati da un alone di benessere e ricchezza. Insomma una Birmania che sicuramente esisterà, ma che è senza dubbio quella che i generali al potere vogliono diffondere al mondo. Per arrivare al nostro aereo camminiamo lungo la pista, scortati da un addetto. Il volo da Heho a Yangon è con la www.airkbz.com , l’aereo è un ATR 72 . Partiamo in orario a metà pomeriggio e in meno di due ore siamo di nuovo a Yangon. Torniamo all’East Hotel, lo stesso del giorno del nostro arrivo.

Foto 229 - Contadini di Mine Thauk Village

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IN UN PICCOLO VILLAGGIO vicino a Insein viveva una volta un’anziana coppia che si guadagnava da vivere lavando vestiti nel fiume. Una mattina, andando al lavoro, trovarono un grosso uovo che giaceva in riva all’acqua. Era così grosso che non capivano di quale specie potesse essere, così se lo portarono a casa e lo misero in una tinozza. Dopo qualche giorno, dall’uovo dischiuso venne fuori un piccolo coccodrillo che la coppia chiamò Nga Moe Yeik, cioè Nuvola di Pioggia. Poiché non avevano bambini, decisero di allevare la bestiola come fosse loro figlio. Ben presto il coccodrillo divenne troppo grande per stare ancora nella tinozza; ragion per cui lo portarono nel fiume. Ogni giorno andavano a chiamarlo e gli davano del cibo. Questo durò per molti mesi, ma nel frattempo Nuvola di Pioggia diventava non solo selvaggio come ogni coccodrillo ma anche presuntuoso, perché era ormai riconosciuto da tutti quale signore del fiume. Un giorno l’anziana donna andò al fiume come sempre per portargli da mangiare. Quando la vide venire lungo la strada, il coccodrillo sentì un irresistibile desiderio di divorarla, e quando lei si chinò per porgergli il cibo, fece schioccare le sue poderose mascelle. La donna non ebbe paura, gli disse solo di non scherzare sempre. Ma Nuvola di Pioggia non riuscì a trattenersi, e in un momento aveva divorato la povera donna che l’aveva allevato con tanto amore. Subito dopo fu preso da vergogna e rimorso e si sentì così afflitto che il vecchio cui aveva mangiato la moglie finì per perdonarlo, raccomandandogli solo di non perdere mai più il controllo di se stesso. Il giorno dopo l’uomo portò il cibo al coccodrillo, ma esso fu di nuovo preso da un’irresistibile voglia di carne umana. Quando il vecchio si trovò tra le fauci della bestia, chiese tempo per pregare, il coccodrillo acconsentì e questa fu la sua preghiera: “Io so di non meritare di morire. Se questo è vero, possa io nella mia prossima vita essere un mago tanto potente da vendicare mia moglie e me stesso uccidendo questo essere ingrato”. Poi disse al coccodrillo che era pronto e in un attimo fu inghiottito. Nuvola di Pioggia, re di tutti i coccodrilli, vagò su e giù per l’Irrawaddy uccidendo, a quel che si dice, centinaia di persone. L’unico di cui fu sincero amico — lo abbiamo visto in un altro racconto — fu lo sfortunato principe Min Nandar, di cui peraltro causò la morte, disubbidendo agli ordini del re6. Quando ebbe compiuto cento anni, come accade a tutti i coccodrilli, ebbe il potere di assumere forma umana. E in questa forma camminava lungo la riva del fiume quando vide una bella principessa che si bagnava e se ne innamorò. Coi suoi modi di sempre, la rapì portandola in un’isola deserta, dove la lasciò pensando di far ritorno dopo poco. Invece si trovò a dover sposare un’altra ragazza di cui s’era innamorato in precedenza, cosicché dimenticò del tutto la principessa. Il re padre di questa, addolorato per la sua scomparsa, la offrì in sposa a chiunque avesse saputo ritrovarla. Qualche tempo dopo giunse uno straniero e disse al re che era stato Nuvola di Pioggia a rapire sua figlia e che lui, essendo un gran mago, era in grado con la sua bacchetta di far comparire il coccodrillo alla sua presenza. Quell’uomo non era altri che il vecchio che tanti anni prima era stato divorato dall’ingrato Nuvola di Pioggia e per il quale era finalmente giunta l’ora della vendetta. Una notte, mentre Nuvola di Pioggia se ne stava accanto alla moglie e al loro figlio appena nato, fu improvvisamente gettato a terra da una gragnola di colpi alla schiena. La moglie fu molto allarmata dalle grida e dai gemiti e, mentre i colpi non finivano di perseguitarlo, lui le confessò di essere in realtà un coccodrillo e non un essere umano. Corse fuori dalla stanza e si trovò d’improvviso trasportato di fronte al padre adottivo. Questi, secondo la sua preghiera, nella nuova vita era diventato un potente mago, sicché ordinò a Nuvola di Pioggia di andare subito all’isola e riportare la principessa. Così egli fece, ma nel viaggio di ritorno fu assalito e percosso dalla gente che aveva fatto soffrire quando era re dei coccodrilli. Riuscì a raggiungere il palazzo del re e a restituire la principessa a suo padre, ma subito dopo si abbatté senza forze e morì. Sua moglie seppellì il corpo e costruì un tempietto sulla sua tomba. A Rangoon esiste tuttora una pagoda dedicata al nostro Nuvola di Pioggia, in cui si dice siano conservate le sue ossa, e il suo spirito è venerato come nat. Fino a pochi anni fa c’era anche un ponte che portava il suo nome, ora sostituito da uno nuovo. Raccontano che durante la seconda guerra mondiale centinaia di bombe gli caddero accanto ma esso rimase intatto: naturalmente, perché lo spirito di quel gran coccodrillo lo difendeva.

Fonte: MAUNG MAUNG PYE, Tales of Burma, Macmillan & Co. Calcutta 1952, pp. 8-11; KHIN MYO CHIT, A Wonderland of Burmese Legends, Tamarind Press, Bangkok 1984, pp. 23-25; un’altra versione si trova in MAUNG HTIN AUNG, Burmese Folk-Tales, Oxford University Press, London 1948, pp. 136-139 ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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14 RITORNO A YANGON

(30-12-2015)

La prima visita dell’intera giornata che I segni zodiacali Birmani sono una invenzione dei monaci sapienti del trascorreremo di nuovo a Yangon è la Sule Pagoda, Myanmar, che crearono questo sistema astrologico attraverso la profonda comprensione del mondo cosmico incorporandovi questa ottagonale perché otto sono i sentieri che Buddha conoscenza insieme alle loro osservazioni del cielo e del regno animale. percorrerà dopo il suo risveglio spirituale35. Il tempio Questo tipo di astrologia si chiama Mahabote, che si può tradurre come tutto d’oro è il vanto di Yangon nel mondo, dato che "piccolo vaso" o "piccola chiave", probabilmente perché si tratta di un risale a circa due millenni fa, anche se nel corso dei ramo fuori dal sistema astrologico induista. Le grandi cose vengono secoli, a causa degli incendi e dei terremoti, è stato sempre contenute in piccoli forzieri e il Mahabote è una di queste, un ricostruito e restaurato innumerevoli volte. Pertanto contenitore estremamente potente del regno della conoscenza non siamo in grado di stabilire con esattezza il periodo esoterica. in cui è stato fondato. Mentre ci prepariamo alla visita, L'astrologia birmana si basa sul numero otto, un numero che propone facciamo una riflessione: abbiamo avuto la possibilità l'equilibrio cosmico e la frequenza divina che si può registrare in ogni di ammirare un larghissimo ventaglio religioso- luogo nell'universo: si dice che il numero otto rifletta l'armonia architettonico di templi, dagli stupa più piccoli e dell'energia, infatti anche il Buddhismo è fondato su questo numero (*). diroccati di Bagan o Indein, al più incredibile e Possiamo ritrovare il numero otto in molti simboli originali della spettacolare di tutti, la Shwedagon Paya a Yangon, il Birmania, ma anche in altre culture del mondo, il più famoso è il sacro luogo più sacro di tutto il paese, che ogni birmano fiore di Loto che si apre nei suoi otto petali. Questo antico metodo sogna di visitare almeno una volta nella vita. Siamo fondamentale di identificare l'energia che permea l'universo sappiamo commossi e estasiati da tanta ricchezza. che si basa su sette pianeti (come anche l'astrologia induista), più Rahu, che non è un vero pianeta ma una presenza celeste concettuale, è un La Sule Paya, dove ci troviamo adesso, è simbolo ideologico appartenente al simbolismo intrinseco della circondata da alti e moderni edifici, per lo più interiorità umana. Letteralmente definita, Rahu è il punto di intersezione tra la terra, il sole e la luna al momento di una eclisse, per governativi e commerciali. Qui è in massima evidenza scopi astrologici, Rahu serve come fosse un pianeta invisibile del il contrasto tra la frenesia e il caos dominante nella sistema zodiacale birmano. Questo fa raggiungere otto entità grande metropoli, e il silenzio e la spiritualità della planetarie che danzano nella nostra orbita e che quindi ci influenzano pagoda, nonostante all’interno vi siano innumerevoli nella nostra esistenza attraverso il tempo. botteghe, che ne fanno un importante e affollato punto d’incontro urbano, non solo di preghiera, ma Il Mahabote si basa anche sugli otto giorni della settimana, quindi per anche altre attività profane. L’alto zedi ( 46 m.) si poter usare l'ottavo giorno in più nel calendario di calcolo, i monaci del Myanmar divisero a metà il mercoledì facendone due giornate: staglia imponente in tutto lo sterminato paesaggio di Mercoledì mattina (00:01-12:00) e Mercoledì pomeriggio (12:01-00:00). costruzioni della città, rivelandosi da ogni punto lo si Un altro aspetto di questa forma di astrologia incorpora le direzioni guardi. cardinali, dove anche qui, vediamo l'utilizzazione del potere mistico del numero otto, in quanto vi sono otto direzioni cardinali. In ogni direzione 35 Secondo la tradizione le Quattro nobili verità, e con esse il "Nobile vibra la propria energia simbolica distintiva, secondo il proprio giorno di ottuplice sentiero", rappresentano il primo sermone del Buddha Shakyamuni, tenuto al Parco delle gazzelle di Sarnath, vicino nascita, la direzione dovrebbe rivelarsi vantaggiosa per voi. a Varanasi (detta anche Benares), all'età di 35 anni, dopo che nei pressi del villaggio di Bodhgaya (nell'odierno stato del Bihar) aveva (*) : Gli elementi essenziali dell'otto nell'astrologia birmana sono: otto raggiunto il risveglio spirituale. Con l'insegnamento della dottrina energie planetarie - otto giorni della settimana - otto direzioni cardinali del "Nobile ottuplice sentiero" il Buddha Shakyamuni intendeva offrire ai suoi discepoli il percorso di liberazione dalla sofferenza. Gli - otto segni animali dello zodiaco. elementi sono : 1) retta visione; 2) retta intenzione; 3) retta parola; 4) retta azione; 5) retta sussistenza; 6) retto sforzo; 7) retta http://simbolisignificato.it/simboli-astrologia/astrologia-birmana presenza mentale; 8) retta concentrazione. 142

Appena entrati all’interno del complesso, La campana superiore della pagoda è tutta Helene fa un’offerta nel modo originale studiato in circondata da ponteggi in bambù che permettono agli questa pagoda: si tratta di mettere una foglia d’oro, operai di restaurarla. È un’immagine molto bella acquistata in loco, dentro una piccola caravella di perché particolare e unica, anche se la fittissima trama legno che, azionata da un argano direttamente da chi dei tronchi di bambù, sporca la vista della doratura. A fa l’offerta, per mezzo di una carrucola arriva fino alla terra montagne di lunghi grossi tronchi di bambù, base dello zedi. Le foglie d’oro raccolte servono per la utilizzati dal cantiere, fanno da sfondo ai padiglioni continua doratura della pagoda. Helene è orgogliosa di collaterali. Notiamo anche molti giovanissimi operai, infilati con tutto il corpo in strettissimi pertugi, per il restauro e l’applicazione della foglia d’oro. Questo tempio è veramente un enorme fulcro di svariate attività umane, resteremmo qui tutto il giorno affascinati e attratti dalle mille iniziative dei birmani.

di aver partecipato. I modi di fare offerte sono svariati, oltre a questo ingegnoso e spettacolare. Nei numerosi padiglioni troviamo Buddha di tutte le dimensioni, grandi maschere di nat, statue di vari spiriti, grandi catini che raccolgono banane, mango, cocco e papaya vendute come offerte dai vari venditori in loco. Avvertenza importante: il cocco da dare in offerta ai nat deve essere verde, altrimenti non lo gradiscono ed è molto meglio non farli arrabbiare.

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Con la cessazione del dominio coloniale inglese nel gennaio 1948, i territori della Birmania si costituirono in stato democratico a struttura federale. L’Unione birmana si inserì attivamente nel sistema delle relazioni internazionali e dal 1961 con U Thant ebbe per un decennio la Segreteria generale dell’ONU. Nel 1962 il generale Ne Win prese il potere con un colpo di Stato e assieme al Consiglio della rivoluzione guidò il Paese per 26 anni, dando vita alla «via birmana per il socialismo». Nel 1974 una nuova Costituzione decretò la nascita della Repubblica socialista di Birmania, con capitale Rangoon; il potere venne accentrato nelle mani del presidente Ne Win e del Burma socialist programme party (BSPP), unico partito legale. Il generale Sein Win (1919-1993) fu nominato primo ministro. Il governo si servì dei servizi segreti (MIS) per stroncare ogni opposizione; l’addestramento marziale e l’indottrinamento politico inflitto a tutti i settori dirigenti della società e dell’economia furono condotti nel nome del popolo e della «coscienza socialista».

Dizionario di Storia Treccani

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Foto 230,231,232,233,234,235 - Sule Paya

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duro pavimento di legno dei vari quello che rifornisce anche tutti padiglioni sparsi un po’ ovunque. Parcheggiata su un lato del lago, la Karaweik, un gigantesco barcone di legno dipinto di rosso e oro, ospita un intero palazzo da mille e una notte, dove si trova un ristornate, conosciuto da tutti

i tour operator del mondo. Foto 239-240-241-242-243-244 – Aung San Market, Yangon

gli altri mercati sparsi per la

Birmania di prodotti per i turisti, i Foto 235 - Yangon, contrasto tra il souvenir che abbiamo trovato nei moderno e il tradizionale vari mercatini in prossimità delle

Lasciata la pagoda, facciamo una passeggiata nel vicino Kandawgyi Foto 236,237,238 - Kandawgyi Nature Park , più di 100 ettari nel Nature Park cuore di Yangon, di cui 60 Durante la cena sul palco ci sono occupati da un lago36. Orti danze e spettacoli tradizionali botanici molto ben curati e puliti, birmani. Helene non resiste e belle piante d’alto fusto, fiori facciamo immediatamente la dappertutto. prenotazione per la cena di questa sera, che è l’ultima della nostra vacanza in Birmania e vogliamo chiudere in bellezza, pagode. Qui c’è di tutto, food e con qualcosa da veri turisti non food, il meglio della occidentali, per poi domani produzione birmana, cinese, trasferirsi in Cambogia. Cena a thailandese. I commercianti sono buffet e spettacolo costano $ Innamorati che si appartano di ricchi, scorgiamo una grassa 28,00 a persona, decidiamo per il fronte al lago, qualcuno che gira primo turno, dalle 18.30 fino alle con delle piccole canoe, 20.30.

Non possiamo lasciare la Birmania senza visitare il Bogyoke Aung San Market, il principale mercato di Yangon,

altri che dormono distesi all’ombra di immensi alberi o sul

36 Maw ci spiega che la terra che è servita matrona cinese contare per la costruzione della Shwedagon Paya viene da qui e che successivamente è tranquillamente un’alta mazzetta stato deciso di fare un lago. 146 di dollari. I prezzi sono elevati, troviamo anche molti ritratti di ma i prodotti sono interessati e Aung San Suu Kyi38 che ha vinto attraenti. Grandi gioiellerie con le elezioni di novembre 2015 e pietre preziose di tutti i tipi, che tenterà, chissà se con alcune specializzate in giada; successo, la difficilissima boutique con ricchissimi transizione della Birmania dei generali verso la democrazia. Foto 246 - Salone di Bellezza

abiti da sposi, sterminati reparti con stoffe, vestiti calzature. Helene è attratta da una botteguccia di un’artista, una simpatica birmana che ci presenta i suoi lavori con cordialità. Acquistiamo un Foto 245 - Aung San Suu Kyi quadretto fatto con i colori acrilici applicati con un La capitale del Myanmar è bastoncino invece del pennello. Pranzo al Monsoon Restaurant stata spostata nel 2005 da Rappresenta le contadine nel rione della Botataung MawYangon è venuta a Naypydaw a prenderci. Quella con birmane che raccolgono il riso, Pagoda, pollo al curry, pollo allo suoche marito sembra per una accompagnarci mossa curiosa è e in realtà tradizione in con il tradizionale copricapo di yogurt, un’ottima insalata di tofu, al ritorno prenderemo un taxi. CredoBirmania. sia contenta I re dispostavano noi, siamo bambù a cono. un succo di papaya e una birra continuamente la capitale sotto stati dei bravi turisti, curiosi, Un’interpretazione moderna e per 25.875 kiats. Rientriamo in consiglio degli astrologi, e decorativa. L’aperto sorriso albergo e sfruttiamo il tempo simpatici,proprio guardandoattivi, coinvolti, le stelle con dell’artista ci coinvolge e libero per fare una passeggiata alcuneanche pretese il governo ma passato non certo ha deciso di spostarsi. Si pensa che vogliamo fotografarci insieme a nei dintorni, ma come al solito il irrealizzabili. Scende dall’auto e ci questa sia una mossa accompagna fino all’ingresso lei. Meritano una visita più gran caos di Yangon ci scoraggia strategica, in quanto attenta i grandi e numerosi e torniamo in albergo per farsi dellaallontana Karaweik,ndosi del dal resto mare questa la base è negozi che vendono pietre belli e eleganti per la serata al l’ultimapolitica si sera è allon intanata Myanmar, anche preziose e gemme37. In altre Karaweik Palace. salutiamoda possibili lei eattacchi il marito esterni con una e certacostruendo commozione, una sola perché strada anche per botteghe con quadri e stampe accedere alla nuova città è 38 noi siamo stati bene insieme a In Birmania è normale che gli uomini facile chiudere l’ingresso se indossino il longyi. Ma quando, nel lei.necessario. Comunque Quando domani è stata la 37 febbraio del 2011, e gli altri Il Myanmar ricava notevoli introiti rivedremocostruita la nuova perché capitale, dovrà è dall’industria delle gemme , tra cui rubini, esponenti dell’esercito si presentarono a stato messo a disposizione lo giada e zaffiri, e dei metalli preziosi come una cerimonia trasmessa in televisione accompagnarci all’aeroporto. oro e argento. Si tratta tuttavia di con un decorativo acheik, la versione spazio per la costruzione delle femminile del sarong, tutti rimasero un’attività controversa a causa delle ambasciate dei paesi esteri. deplorevoli e pericolose condizioni i cui perplessi. Secondo quanto dichiarato da Nessuna ambasciata ha voluto un astrologo di Yangon in un’intervista al sino costretti a lavorare i minatori. La spostarsi da Yangon a giada imperiale e i rubini più pregiati Time, i generali stavano compiendo un possono essere acquistati soltanto yadaya, ossia un rito magico. In giro si Naypydaw, tranne una: la dice che indossando l’acheik femminile, i durante il Myanmar Gems, Jade e Pearl Corea del Nord. Emporium, una sorta di fiera riservata agli generali sperassero di contrastare la operatori autorizzati che il governo profezia in base alla quale una donna un organizza tre, quattro volte all’anno ma a giorno avrebbe guidato il Myanmar (LP, Nay Pyi Taw, l’attuale capitale della 375) Birmania (LP, 349)

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Maw è venuta a prenderci con suo marito per accompagnarci e al ritorno prenderemo un taxi. Credo sia contenta di noi, siamo stati dei bravi turisti, curiosi, simpatici, attivi, coinvolti, con alcune pretese ma non certo irrealizzabili. Scende dall’auto e ci accompagna fino all’ingresso della Karaweik, del resto questa è l’ultima sera in Myanmar, salutiamo lei e il marito con una certa commozione, perché anche noi siamo stati bene insieme a lei. Comunque domani la rivedremo perché dovrà accompagnarci all’aeroporto.

Foto 247 - Aung San Market

All’ingresso della Karaweik, a lato della reception, dove una giovane hostess sbriga le formalità del nostro ingresso, notiamo una coppia di birmani, un giovane e una ragazza, tutti agghindati con costumi tradizionali dai mille colori, languidamente distesi sotto un padiglione con pesanti dorati intarsi, probabilmente per rappresentare il sensuale ozio dell’antica casta regale birmana.

Percorriamo un vialetto di un centinaio di metri, a sinistra del lago, per arrivare all’ingresso della dorata luccicante nave, dove c’è il ristornate. Ai lati del vialetto, banchetti dai quali il meglio della gioventù e bellezza birmana in costumi tradizionali, ci offre appetitosi stuzzichini di vario genere. Una donna anziana cuoce delle ottime frittatine alle quali non rinunciamo.Nella hall, prima della sala ristorante, una coreografia di ombrelli di carta in vendita, da $ 5 in su. Segue un desk dove un giovane, se gli dici in che giorno della settimana sei nato, ti fa l’oroscopo e ti scrive su un foglietto il corrispondente birmano di una caratteristica insita nella tua natura. Helene ha ricevuto un “luce brillante” che l’ha molto inorgoglita. Per l’appunto siamo nati entrambi di mercoledì, giorno che, secondo il calendario buddista birmano, è diviso in due parti. Helene è un elefante con le zanne, mentre io, che sono nato di pomeriggio, sono un elefante senza zanne. Il desk successivo propone, da parte di una bella fanciulla, il thanahka sul volto. Helene non rinuncia nemmeno a questa performance. Arriva un giovane in abiti tradizionali, ci chiede il nome e ci accompagna al tavolo a noi riservato. È il 36 e si trova piuttosto lontano dal palco dove avverrà lo spettacolo tradizionale. Il tempo di ordinare da bere, l’immancabile birra per me e un succo d’orange per Helene (costo a parte 8.400 kiats), e ci immergiamo nel ricchissimo, sontuoso buffet con cucina del Myanmar e asiatica in genere. Ogni vivanda ha il suo nome in inglese e quindi la scelta non è difficile. Lo spettacolo è il solito insieme di musica tradizionale fatta da alcuni strumenti a corda o a fiato; balli con costumi ricchissimi che riproducono quelli storici tradizionali; scenografie semplici ma indicative. Questi spettacoli, fatti esclusivamente per la clientela internazionale del turismo organizzato, sono in Asia più o meno tutti uguali nella struttura e nella scenografia. Ne ho visto uno a Pechino con costumi, balli e canzoni cinesi, ma molto simile. Dopo un po’ ci annoiamo perché la musica non è certo eccitante, i balli sono un po’ statici,

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solo i costumi, ricchissimi di diademi, sete, dorature sono interessanti. Le bellezza e la bravura del corpo di ballo è accettabile. Ci scuotiamo dal torpore quando arriva l’elefante, un costume molto ricco di ricami colorati che riproduce esattamente il pachiderma, i due uomini nascosti all’interno, che permettono la performance, sono bravi e l’apparizione ci diverte. Il buffet non ci attira più di tanto perché cominciamo ad essere saturi della cucina birmana dedicata a noi turisti, troppo vicino a quella cinese che già conosciamo molto bene.

Foto 251 - Stuzzichini

Foto 248, 249, 250 - Karaweik Palace

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Dopo aver fondato la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) nel 1988, dopo aver stravinto le elezioni del 1990, dopo che l’esercito ha ignorato i risultati delle urne e l’ha messa agli arresti domiciliari per 15 dei successivi 21 anni, dopo una difficile transizione quinquennale avviata nel 2011, nel quale il ritorno della democrazia in Birmania è spesso stato in dubbio, e dopo 54 anni di governo militare, AUNG SAN SUU KYI è finalmente al potere. Più o meno. La Lnd ha ottenuto l’ottanta per cento dei seggi parlamentari assegnati dalle elezioni del 2015, le prime davvero libere dal 1990, ma non è Aung San Suu Kyi che ha prestato giuramento come presidente il 30 marzo. L’onore è andato al suo amico d’infanzia Htin Kyaw, importante esponente dell’Lnd che è stato al suo fianco da quando la donna è stata liberata dagli arresti domiciliari nel 2010. I generali temevano Aung San Suu Kyi al punto di includere nella costituzione una clausola che le impedisce di diventare presidente. In realtà la clausola riguarda chiunque abbia dei parenti stretti di nazionalità straniera. Ma Aung San Suu Kyi è l’unica importante figura della politica birmana che corrisponda a tale descrizione (i suoi figli hanno il passaporto britannico). Anche se hanno rinunciato al potere assoluto, i militari si sono rifiutati di modificare questa clausola, e hanno ancora diritto di veto sulle modifiche costituzionali. Quindi sarà Htin Kyaw a prendere ufficialmente il potere

(Gwynne Deyer, Internazionale,150 31-03-2016)

Foto 252, 253, 254 - Lo spettacolo al Karaweik Palace

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Dopo le 20.30 ce ne andiamo. Prima di prendere il taxi facciamo una breve passeggiata nel parco che costeggia il lago dove si trova ormeggiata la Karaweik. Abbiamo la possibilità di ammirare un po’ di vita notturna della capitale. Gli uomini sono molto più numerosi delle donne, ma vediamo anche tante giovani ragazze e intere famiglie con i bimbi piccoli. Gli ubriachi sono un po’ dappertutto (e non sono ancora le 21.00), sui tavoli non solo bicchieri di liquori, ma intere bottiglie di whiskey, la birra è presente a casse intere. Una piccola band suona musica moderna, non certo quella che abbiamo sentito all’interno della Karaweik. A quest’ora il parco presenta molta più sporcizia, ma possiamo passeggiare con tranquillità e sicurezza. Helene, comunque, non si trova a suo agio, teme qualche ubriaco malintenzionato. Appena arrivati nella piazzetta dei taxi, il tassista più svelto di tutti gli altri ci assale senza nemmeno darci la possibilità di reagire. In un attimo ci ritroviamo dentro la sua lercia auto; concordiamo, secondo le istruzioni di Maw, il prezzo : lui vuole 5.000 kiats, io ne offro 3.000, non va bene, discutiamo tranquillamenete, ci accordiamo per 4.000. Parte a razzo e viaggia zigzagando tra le auto, a folle velocità, nei larghi vialoni alberati poco illuminati di Yangon. Quasi ci prende il panico perché siamo abituati agli autisti della ICS Tour che trattano le loro auto come gioielli da non rovinare con brusche frenate e improvvise accelerate. In un baleno siamo al nostro albergo, gli lascio 5.000 kiats come voleva, è felice e battiamo il cinque per salutarci.

A letto presto, dobbiamo dormire subito, dato che domani partiamo prima dell’alba per la Cambogia. Riusciamo a addormentarci nonostante il frastuono per la solita festa religiosa nella strada adiacente e il cantiere di

fronte.

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C’ERANO UNA VOLTA DUE FRATELLI che erano entrambi re. Il maggiore era signore del reame di Thihapura, il più giovane del reame di Ratanapura. Il re di Thihapura aveva un figlio di gran bell’aspetto, chiamato Principe E-Naung. Il re di Ratanapura aveva una figlia, la Principessa Phutsapa, così bella che la gente diceva che era più simile a una dea che a una comune mortale. I suoi genitori ne erano molto orgogliosi e quando fu cresciuta decisero di darla in matrimonio a suo cugino, il Principe E-Naung, il solo considerato degno della sua mano. Al momento di combinare il matrimonio mandarono al principe un ritratto della figlia, ma fecero i conti senza l’infido dio dell’amore che mutò il dipinto della bella principessa in quello di una brutta vecchia rugosa. Quando il ritratto fu mostrato al principe, egli si arrabbiò tanto per quello che aveva tutta l’aria di un insulto che sputò sul dipinto e ordinò di riportarlo indietro a Ratanapura. Disse anche di riferire al re che egli era disgustato per l’offerta di una tale orrenda donna. Quando il re di Ratanapura udì questo, divenne furioso. Mandò subito dei messaggeri a un principe indiano che una volta aveva chiesto la mano della principessa, per dirgli che ora sarebbe stato ben accolto come pretendente. Questi fece salti di gioia e si mise subito a fare i preparativi per il suo viaggio in Birmania. Anche la Principessa Phutsapa fu molto indignata all’udire che il Principe E-Naung aveva sputato sul suo ritratto e l’aveva chiamata una brutta vecchia rugosa. Per quanto non fosse entusiasta di diventare la moglie di un principe indiano, decise che quello era l’unico modo di vendicarsi dell’insulto che aveva ricevuto. Così, quando il principe indiano arrivò con il suo gran seguito e i suoi preziosi regali, prontamente diede il suo consenso al matrimonio. A Ratanapura si fecero festosi preparativi e tutti i membri di entrambe le famiglie reali furono invitati alla cerimonia. Tra loro, naturalmente, c’erano anche il re di Thihapura e suo figlio, il Principe E-Naung. Questi era ben contento che la sua orrenda cugina sposasse il principe indiano; ma scoprì di aver commesso un terribile errore non appena la principessa gli fu presentata ed egli si rese conto di quanto fosse incomparabilmente attraente. Anzi, fu tanto colpito dalla sua bellezza da cadere svenuto ai suoi piedi. Vedendo questo la principessa sorrise, perché capì che il principe era rimasto molto sorpreso e soffriva per l’errore commesso. Quando riprese i sensi, E-Naung corse nel giardino a cercar conforto nella solitudine. A questo punto parve al dio dell’amore che le cose fossero andate troppo avanti, così mandò un aiuto allo sfortunato principe nella persona del fratello favorito di Phutsapa. Questi raggiunse il cugino in giardino e gli chiese preoccupato: “Cosa mai ti sta facendo soffrire a questo modo? Posso esserti di qualche aiuto? Hai un’aria così pallida e stravolta!”. “Mio caro cugino,” rispose il principe “mi trovo in un gran pasticcio. Posso uscirne solo se tu mi farai un favore”. “Dimmi solo cosa devo fare”. “Dovresti essere così gentile da andare dalla Principessa Phutsapa, e chiederle di darti una medicina che possa curare il mio dolore”. Il giovane principe corse nelle stanze della sorella e le raccontò di come E-Naung stesse soffrendo per un male sconosciuto e di come avesse chiesto una medicina dalle sue mani. La principessa, che era la sola a conoscere il motivo reale delle sofferenze del principe, era però ancora molto arrabbiata. Così, invece di dare al fratello quello che il principe aveva chiesto, lo mandò via dicendo che non voleva essere importunata da tali richieste. Il giovane principe, non comprendendo un rifiuto così brusco, tornò a insistere con la sorella, ma invano. Alla fine, temendo che la malattia del cugino peggiorasse, si procurò una medicina da qualcun altro e la portò al principe dicendo: “Caro cugino, questa medicina mi è stata data da mia sorella con le sue mani. E mi ha incaricato di dirti che sarà felice di incontrarti quando starai meglio”. Il Principe E-Naung credette davvero che la medicina gli fosse stata mandata dalla principessa e così fece finta di berla davanti al giovane cugino. Ma dentro di sé era colmo di gioia all’idea di incontrare la sua diletta. Invece, quando lui e il giovane principe andarono dalla principessa, ella rifiutò di vederli dicendo di essere indisposta. Sconvolto da questo secco rifiuto, E-Naung andò a nascondere il suo orgoglio ferito. La mattina seguente radunò il suo seguito e disse loro di tener pronto un carro e dei cavalli veloci vicino alla porta orientale del palazzo. Poi si vestì come il principe indiano ed entrò nelle stanze della Principessa Phutsapa. Lei non si accorse del travestimento e quando lui l’afferrò tra le braccia si dibatté e gridò, chiamando il Principe E-Naung, ma alla fine lui la portò via sul suo carro. Arrivarono a una grotta. Qui il principe si fermò e portò dentro Phutsapa, lasciandola per terra senza una parola di spiegazione, poi risalì a cavallo e ritornò al palazzo. Toltosi il travestimento, entrò da una porta secondaria e riprese il suo posto tra gli invitati come se non si fosse mai mosso. Il re e la regina di Ratanapura vennero da lui con il principe indiano e gli dissero che la loro diletta Phutsapa era scomparsa. Il principe finse di esser sorpreso ed espresse ad alta voce il suo stupore, ma il principe indiano comprese e maledisse dentro di sé l’uomo che aveva causato la sua disgrazia. E-Naung, che si era goduto la sconfitta del principe indiano, quando fu passato quel momento di scompiglio rimontò a cavallo e tornò alla grotta, di nuovo travestito come il suo rivale. Si avvicinò silenziosamente all’entrata e restò ad ascoltare: la principessa, che in cuor suo era davvero innamorata di E-Naung, chiamava il suo nome, implorandolo di venire a salvarla dal principe indiano che — lei credeva — l’aveva rapita e rinchiusa nella grotta. E-Naung, contento per quello che aveva udito, entrò nel rifugio. Lei, che ancora lo prendeva per il principe indiano, cercò di sfuggirgli, ma lui le afferrò le mani e le domandò se davvero amava il principe E-Naung. “Perché mi ponete una tale domanda?” rispose la principessa. Io l’ho sempre amato, ma quando ha sputato sul mio ritratto e mi ha chiamata una brutta vecchia ero così arrabbiata che per vendicare l’insulto ho accettato di sposarvi. Quando poi il Principe E-Naung mi ha vista di persona per la prima volta, ha capito di aver fatto un errore e il suo cuore quasi si spezzava. Per cui, Vostra Altezza, vi chiedo di perdonarmi e di liberarmi dalla promessa fatta perché non potrei mai amarvi”. Convinto finalmente dell’amore della principessa, E-Naung si tolse la falsa barba e i falsi baffi e disse: “Mia cara, tu mi hai dato una lezione, ma il mio cuore ferito ora è guarito e tu hai fatto di me il più felice degli uomini. Non pensare più al principe indiano, che sta per far ritorno al suo paese, più triste ma anche più saggio”. Quando la principessa vide che era davvero il suo amato, pianse per la gioia e gli chiese perdono. Il principe disse: Domani noi saremo uniti in matrimonio”. Poi i due tornarono a palazzo. E-Naung fu perdonato per il trucco che aveva usato e ci si diede subito ai preparativi per il nuovo matrimonio. Il re e la regina di Ratanapura furono felici all’idea che andasse in porto il loro piano originale di dar la figlia in sposa a suo cugino. Questa storia è molto nota in Birmania, dove è tuttora spesso rappresentata a teatro da attori che indossano i costumi tradizionali.

Fonte: MAUNG MAUNG PYE, Tales of Burma, Macmillan and Co., Calcutta 1952, pp. 59-66. ripreso in “ Storie e leggende birmane” op.cit.

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INDICE DELLE FOTOGRAFIE

Foto sotto il titolo : Ragazza con riproduzione della foglia Foto 51 - Pochi istanti dopo il decollo dell’albero della Boddhi Foto 52,53,54,55 - Gonfiaggio del pallone Seconda foto : Giovane suonatrice, Sky Palace Hotel, Bagan Foto 56 - Pagode e foschia Foto di chiusura di Helene Weifner Foto 57 - Grandi pagode, piccole stupa Foto 58 - Mr. David Head, pilota di mongolfiere Foto 1 - Botatatung Pagoda (Yangon) Foto da 59 a 75 - Nyaung U Market, Bagan Foto 2 - Buddha disteso Chaukhtatgy Paya (Yangon) Foto 76 – Shwezigon Paya, Bagan Foto 3 - Shwedagon Paya (Yangon) Foto 77-78- 79 –Tra i padiglioni della Shwezigon Paya Foto 4 - Aeroporto domestico di Yangon Foto 80 - Htliminlo Foto 5 - Mahamuni Paya, applicazione della foglia d'oro Foto 81 - Ananda Patho Foto 6 - Mahamuni Paya, Mandalay Foto 82 - Shwe Gu Gyu Foto 7 - Statue Kmer alla Mahamuni Paya Foto 83 - Buphaya Foto 8 - Laboratorio lavorazione foglia d'oro, Mandalay Foto 84 - Calesse a Bagan Foto 9 - Shweenandaw Kyaung, particolare dell'intarsio Foto 85 - Shwezigon Paya, feticcio raccoglitore di offerte Foto 10 - Kuthoday Paya, Mandalay Foto 86 - Htliminlo, venditrici di legna Foto 11 - Kuthoday Paya Foto 87 - Htliminlo Foto 12 - Tramonto da Mandalay Hill Foto 88 - Mercatini di fronte a Htliminlo Foto 13 - Su Taung Pyai, Mandalay Hill Foto 89 – Venditrice , Buphaya Foto 14 - Riva dell'Irrawaddy, Mandalay Foto 90 - Shwezigon Paya, particolare di un intarsio in legno Foto 15 - Renaioli al lavoro, Irrawaddy, Mandalay Foto 91 – Donna con cesto Foto 16 - Mingun, stazione dei taxi Foto 92 - 93 – Il Buddha di Ananda Patho nelle sue diverse Foto 17 - Mingun, venditore di cappelli espressioni Foto 18 - Panorama dalla Mingun Paya Foto 94 - 95 - Manuha Paya, suddivisione del riso in sacchi per Foto 19 - Bastoncini incenso sulla Mingun Paya le offerte Foto 20 - Mingun Foto 96 - Gubyauk Gyi, altare dei giorni della settimana Foto 21 - Mya Thein Tan Paya Foto 97 - Gubyauk Gyi Foto 22 - Pon Nya Shin Paya Foto 98 - Shwesan Daw Paya Foto 23 – Umin Thounzeht Foto 99 - Minglazeou Foto 24 (1-2-3) - Barche sul lago Taung Thaman dall' U Bein Foto 100 - Gubyauk Gyi Bridge Foto 101 - 102 -Panorama da Minglazeou Foto 25 – Tramonto sul Taung Thaman Lake Foto 103 - Shwesan Daw Paya Foto 26 - Barcaiolo sull'Irrawaddy Foto 104-105-106 - 107 – Bagan, monaci alla raccolta delle Foto 27 - Guidatore di horsekart offerte Foto 28 - Bagaya Kyaung Foto 108 - Preparazione delle polpette per l'offerta ai monaci Foto 29 – Piccolo venditore alla Yadana Hseemee Paya Foto 109 - Vecchio con carro e cheroot birmano Foto 30 - Risaie e Pagode nella campagna di Inwa Foto 110,111, 112,113 - Villaggio di Min Nan Thu Foto 31 e 32 - Yadana Hseemee Paya Foto 114 - Tayoke Paya Foto 33 - Me Nu Oak Kyaung Foto 115 Sulamani Gup Haya , interno Foto 34 - L'alba sull'Irrawaddy Foto 116 - Sulamani Gup Haya Foto 35 – La spettacolare skyline della pagoda all’alba Foto 117 - Dhamma Yan Gyi Foto 36 - Pescatori Foto 118 – Vista sulla piana di Bagan dalla Thisawaddy Paya Foto 37 - Raccoglitori di bambù Foto 119 - Politico pittore Foto 38 - Pagode sulla sponda dell'Irrawaddy Foto 120 - Panorama dalla Thitsawaddy Paya Foto 39 - Le guglie delle pagode tra la fitta vegetazione Foto 121 - Coltivazioni nella campagna dello Stato di Shan Foto 40 - Pescatori in attesa del passaggio del pesce Foto 122 - Pindaya Foto 41 - Un grande Buddha seduto spalle alla pagoda Foto 123, 124,125 - Pindaya Caves - Ingresso Foto 42 - Deposito di orci in attesa del trasporto Foto 124-125 - Pindaya Caves - Interno delle grotte Foto 43 - Inwa Bridge Foto 126 - Famiglia di etnia Pa-o Foto 44 - Ayeyarwaddy Bridge Foto 127 - Laboratorio artigianale carta, Pindaya Foto 45 – Barca sull’Irrawaddy Foto 128-144 - Mercato di Pindaya Foto 46 - Tramonto sull'Irrawaddy Foto 145-146-147-148-149 - Pescatori Intha del Lago Inle Foto 47 - Tramonto a Bagan Foto 150 - Palafitta sul Lago Inle Foto 48 - Alba a Bagan Foto 151,152,153 - Le barche del lago Inle Foto 49 e 50 - Tramonto a Bagan Foto 154 – 155 Donne giraffa 154

Foto 156 Burmese Cat Village Foto 157 - Laboratorio di cheroot RINGRAZIAMENTI Foto 158 - Palafitte sul Lago Inle Foto 159 - Orti galleggianti Foto 160 – Phaung Daw Oo Paya Si ringrazia lo staff dell’Agenzia Argonauta Viaggi di Firenze e, Foto 161 – Novizio in modo particolare, Nicoletta Falorsi che con competenza e Foto 162 - Controluce sul lago Inle soprattutto pazienza ha organizzato, insieme a Helene Weifner, Foto 163 - Ragazza di etnia pa-o (foto di Helene Weifner) il viaggio in tutti i suoi aspetti. Foto 164 - Palafitta sul lago Foto 165,166,167 - Sui canali si lava di tutto Un ringraziamento va anche al Tour Operator ICS, Foto 168 - Contadina Pa-o corrispondente in Birmania. La guida turistica Maw ha tutti i Foto 169 – Casetta degli spiriti nostri complimenti per la simpatica e affabile disponibilità, per la Foto 170 - Trasporto Foglie Pannocchie per sigari competenza e precisione degli itinerari e per la preparazione Foto 171 - Campi vicino al Villaggio di Sae Ma storico-artistica sul suo paese. Foto 172,173,174 - Produzione di croccanti sfogliatine Foto 175 - Venditrici Etnia Pa-o Un particolare ringraziamento anche a tutti gli autisti, sia di Foto 176 - Bimbi del Sae Ma Village terra che di lago, perché hanno svolto il loro compito con perfetta Foto 177 - Tagliatore di bambù professionalità e massima disponibilità. Foto 178 - Ciabattine del monaco Foto 179,180,181,183 - Indein Infine, menzione speciale a Helene che ha fortemente voluto, Foto 185,186 - Shwe In Tain Paya ideato, organizzato e realizzato questo viaggio e, in completa Foto 187 - Maye Ni Gone Village autonomia, lo ha reso possibile senza difetti e nessun problema. Foto 188 - I due sistemi di propulsione per le barche del Lago Inle Foto 189,190,191,192,193,194,195 - Maye Ni Gone Village Foto 196,197,198,199 - Monastero di Maye Ni Gone Foto 200,201,202 - Scuola elementare di Maye Ni Gone Foto 203,204,205 - Lago Inle Foto 206 - Fiore dell'albero del frangipane Foto 207 - Risaie che costeggiano il lago Foto 208 - Gli orti galleggianti Foto 209,210 - Barche sul lago Foto 211,212,213 - Trasporto tronchi sulla strada per Mine Thauk Foto 214 - Il betel Foto 215 - La farmacia Foto 216,217,218 - Mine Thauk Village Market Foto 219 - Essiccazione del tabacco Foto 220 – Pubblicità Foto 221,222,223 - Taglio, raccolta e lavorazione della canna da zucchero Foto 224,225 - Shweyan Pyae Kyaung Foto 226 - Shweyan Paya Foto 227 Mine Thauk Village Foto 228 - Gabbiani che seguono le barche per ricevere il cibo Foto 229 - Contadini di Mine Thauk Village Foto 230,231,232,233,234,235 - Sule Paya Foto 235 - Yangon, contrasto tra il moderno e il tradizionale Foto 236-237-238 - Kandawgyi Nature Park Foto 239,240,241,242,243,244 – Aung San Market, Yangon Foto 245 - Aung San Suu Kyi Foto 246 - Salone di Bellezza Foto 247 - Aung San Market Foto 248,249,250 - Karaweik Palace Foto 251 - Stuzzichini Foto 252, 253, 254 - Lo spettacolo al Karaweik Palace 155

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